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Sommario del 16/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: la salvezza è un cuore umile che si fida di Dio

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Dio salva “un cuore pentito”, mentre chi non confida in Lui attira su di sé la “condanna”. Lo ha ribadito Papa Francesco nella sua omelia del mattino, presiedendo la Messa nella cappella di Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

L’umiltà salva l’uomo agli occhi di Dio, la superbia lo perde. La chiave sta nel cuore. Quello dell’umile è aperto, sa pentirsi, accettare una correzione e si fida di Dio. Quello del superbo è speculare all’opposto: arrogante, chiuso, non conosce vergogna, è impermeabile alla voce di Dio. Il brano del profeta Sofonia e quello del Vangelo suggeriscono a Papa Francesco una riflessione in parallelo. Entrambi i testi, osserva, parlano di un “giudizio” dal quale dipendono salvezza e condanna.

L’umiltà, l’unica strada
La situazione descritta dal profeta Sofonia è quella di una città ribelle, nella quale tuttavia c’è gruppo che si pente dei propri peccati: questo, sottolinea il Papa, è il “popolo di Dio” che ha in sé le “tre caratteristiche” di “umiltà, povertà, fiducia nel Signore”. Ma nella città ci sono anche quelli che, dice Francesco, “non hanno accettato la correzione, non hanno confidato nel Signore”. A loro toccherà la condanna:

“Questi non possono ricevere la Salvezza. Sono chiusi, loro, alla Salvezza. ‘Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore’, per tutta la vita. E questo fino a oggi, no? Quando vediamo il santo popolo di Dio che è umile, che ha le sue ricchezze nella fede nel Signore, nella fiducia nel Signore – il popolo umile, povero che confida nel Signore: e questi sono i salvati e questa è la strada della Chiesa, no? Deve andare per questa strada, non per l’altra strada che non ascolta la voce, che non accetta la correzione e non confida nel Signore”.

Sinceramente pentìti, non ipocriti
La scena del Vangelo è quella del contrasto tra i due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna. Il primo rifiuta ma poi si pente e va, il secondo dice sì al padre ma in realtà lo inganna. Gesù racconta questa storia ai capi del popolo affermando con chiarezza che sono loro a non aver voluto ascoltare la voce di Dio attraverso Giovanni e che per questo nel Regno dei cieli saranno superati da pubblicani e prostitute, che invece a Giovanni hanno creduto. E lo scandalo suscitato da quest'ultima affermazione, osserva Papa Francesco, è identico a quello di tanti cristiani che si sentono “puri” solo perché vanno a Messa e fanno la comunione. Ma Dio, dice, ha bisogno di altro:

“Se il tuo cuore non è un cuore pentito, se tu non ascolti il Signore, non accetti la correzione e non confidi in Lui, tu hai un cuore non pentito. Ma questi ipocriti che si scandalizzano di questo che dice Gesù sui pubblicani e le prostitute, ma poi di nascosto andavano da loro o per sfogare le loro passioni o per fare affari – ma  tutto di nascosto – erano puri! E questi il Signore non li vuole”.

Offrire persino i peccati
Questo giudizio “ci dà speranza”, assicura Papa Francesco. Purché, conclude, si abbia il coraggio di aprire il cuore a Dio senza riserve, donandogli anche la “lista” dei propri peccati. E per spiegarlo, il Papa ricorda la storia di quel santo che pensava di aver dato tutto al Signore, con estrema generosità:

“Ascoltava il Signore, andava sempre secondo la sua volontà, dava al Signore e il Signore: ‘Ma tu non mi hai dato una cosa, ancora”. E il povero era tanto buono e dice: ‘Ma, Signore, cosa non ti ho dato? Ti ho dato la mia vita, lavoro per i poveri, lavoro per la catechesi, lavoro qui, lavoro là…’. ‘Ma qualcosa tu non mi hai dato ancora’.- ‘Che, Signore?. ‘I tuoi peccati’. Quando noi saremo in grado di dire al Signore: ‘Signore, questi sono i miei peccati – non sono di quello, di quello, sono i miei… Sono i miei. Prendili tu e così io sarò salvo’ – quando noi saremo capaci di fare questo noi saremo quel bel popolo, ‘popolo umile e povero’, che confida nel nome del Signore. Il Signore ci conceda questa grazia”.

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Papa, tweet: dialogo coniugi essenziale per famiglia serena

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Com’è importante saper ascoltare! Il dialogo tra coniugi è essenziale perché una famiglia possa essere serena”.

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Nomina episcopale in Pakistan

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In Paksitan, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Hydarabad, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Max John Rodrigues. Al suo posto, il Papa ha nominato padre Samson Shukardin, dei Francescani minori, vicario generale della medesima diocesi. Il neo presule è nato il 29 gennaio 1961, a Hyderabad in Pakistan. Dopo aver completato l’educazione alla St. Bonaventure High School di Hyderabad e al Government Boys College Phalali dei La Salle Brothers, è entrato nell’Ordine Francescano dei Frati Minori, emettendo i voti semplici il 2 agosto 1987 e quelli solenni il 2 agosto 1991. Nel 1992 si è diplomato in Arte presso la Sindh University, Jamsharo, e successivamente in Teologia presso il National Catholic Institute of Theology di Karachi. È stato ordinato sacerdote il 10 dicembre 1993. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1993-1996: Vicario parrocchiale a Gujrat, Diocesi di Islamabad-Rawalpindi; 1996-2004: Procuratore della Provincia Francescana. Nel 1998 ha completato gli studi di Diritto Civile ottenendo la Licenza al Sindh Law College; 2004-2008: Custode dell’Ordine Francescano e Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori del Pakistan; dal 2008: Parroco di St. Elizabeth a Hyderabad, Direttore diocesano della Commissione di Giustizia e Pace, Direttore di AsIPA (formazione di piccole comunità cristiane); dal 2010: Vicario Generale della Diocesi di Hyderabad.

La diocesi di Hyderabad in Pakistan (1958), suffraganea dell'Arcidiocesi di Karachi, ha una superficie di 137.386 kmq e una popolazione di 22.309.840 abitanti, di cui 47.242 sono cattolici. Ci sono 15 Parrocchie, servite da 30 sacerdoti (11 diocesani e 19 religiosi), 89 suore e 6 seminaristi.

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Dialogo e comunione, pubblicato Rapporto finale su religiose Usa

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E’ stato presentato in Sala Stampa vaticana il Rapporto finale della Visita apostolica agli Istituti di Vita Consacrata delle Religiose negli Stati Uniti d’America. All’evento hanno preso parte il cardinale João Braz de Aviz e mons. José Rodríguez Carballo, prefetto e segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica, suor Mary Clare Millea, direttrice della Visita Apostolica negli Stati Uniti, e le religiose Sharon Holland e Agnes Mary Donovan, alla guida delle due Conferenze che riuniscono le suore Usa. Le religiose hanno preso parte stamani alla Messa di Papa Francesco a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un messaggio di speranza per l’Anno sulla Vita Consacrata appena iniziato. E’ stato definito così il Rapporto finale della Visita apostolica alle religiose statunitensi. Un documento articolato in 12 capitoli, frutto di un lavoro lungo 3 anni – dal 2009 al 2012 – che ha coinvolto 341 Istituti religiosi femminili e che, è stato affermato in Sala Stampa, conclude “una visita apostolica senza precedenti”. Il Rapporto che riconosce innanzitutto come le religiose americane, oggi circa 50 mila, siano una forza di bene nel Paese, in particolare nell’ambito della cura agli ammalati e dell’educazione, si sofferma sui punti fondamentali come la formazione teologica, la vita comunitaria e la preghiera, la centralità di Cristo nella propria testimonianza. E pur fotografando realisticamente alcuni problemi, come il calo di vocazioni, il testo evidenzia più le sfide che le controversie.

Comunione ecclesiale
Un capitolo particolarmente significativo del Rapporto è quello dedicato alla comunione ecclesiale. Il documento chiede alle religiose, soprattutto a quante hanno vissuto la visita con apprensione, che si “rafforzi la collaborazione tra i vescovi e religiosi”, anche con l’aggiornamento – chiesto dal Papa – del documento Mutuae Relationes. Il cardinale Braz de Aviz ha commentato al riguardo:

“Certo non possiamo ignorare che la Visita apostolica è stata vissuta con apprensione da alcune suore, come pure della decisione, da parte di alcuni Istituti, di non collaborare del tutto nello svolgimento di essa. Anche se questo è stato per noi motivo di amarezza, cogliamo l’occasione per esprimere la nostra disponibilità a instaurare un dialogo rispettoso e fruttuoso con gli Istituti che non sono stati pienamente condiscendenti con il corso della Visita. Vogliamo questo avvicinamento, vogliamo questo dialogo”.

Cammino e dialogo
Ancora, il porporato ha sottolineato che questa visita ha voluto non tanto cercare gli sbagli e giudicare le situazioni, quanto piuttosto avvicinarsi alle sofferenze e ascoltare le difficoltà. Un approccio, ha spiegato, che proseguirà in futuro. E, rispondendo ai giornalisti, ha evidenziato che il documento non scende troppo nei dettagli perché si rivolge a tutte le suore americane che vivono situazioni molto differenti tra loro. Il cammino dunque prosegue, hanno sottolineato i relatori. Con un dialogo, ha detto mons. Carballo, da “sorella a sorella”, il cui modello evangelico si trova nella visita di Maria alla cugina Elisabetta. Ed ha espresso l’auspicio che questo documento dia nuova linfa alle religiose americane:

“Speriamo inoltre e preghiamo affinché la riflessione sul suo contenuto promuova una sempre maggiore collaborazione tra gli istituti religiosi, con i pastori della Chiesa e i fedeli laici e con il nostro Dicastero, e aiuti ad approfondire lo spirito di comunione ecclesiale, conducendo così a un’effettiva rivitalizzazione della loro vita e missione e ad un nuovo interesse vocazionale per la vita religiosa”.

Fiducia e speranza
Dal canto suo, suor Millea, direttrice della Visita apostolica, ha messo l’accento sul clima positivo della visita dopo i timori iniziali. Ed ha ringraziato la Santa Sede per questa esperienza, in particolare il cardinale Braz de Aviz e l’arcivescovo Carballo:

“Thank you for inviting…
Grazie per avere invitato tutti noi a continuare ad aprire un dialogo onesto l’uno con l’altro, con i nostri pastori e con voi. Quindi tutto quello che resta di incerto, tra di noi, possa essere trasformato in fiduciosa collaborazione ed efficace testimonianza”.

Suor Donovan, a guida di una delle due Conferenze delle religiose americane (Cmswr), ha invece messo l’accento sulla felice coincidenza del rapporto con l’inizio dell’Anno per la Vita consacrata:

“We considerate a providential blessing…”
Consideriamo sia una benedizione provvidenziale il fatto che il rapporto finale della Visita apostolica giunga in questo momento di grazia: l’inizio dell’Anno della vita consacrata voluto da Papa Francesco. Quest’anno punta i riflettori sulla vita religiosa, non solo nel nostro Paese ma in tutto il globo, e non solo per i religiosi ma per tutta la Chiesa”.

Genio femminile
Una parte della conferenza stampa è stata dedicata al “genio femminile” e al ruolo che le donne hanno nella Chiesa. In particolare il cardinale Braz de Aviz ha affermato che “abbiamo interpretato male San Paolo dicendo che l'uomo è capo della donna” aggiungendo che Dio "non ha creato solo l'uomo o solo la donna”. Di qui, ha ribadito che è intenzione della Congregazione promuovere sempre più il contributo delle religiose.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Strage di bambini in una scuola del Pakistan.

Quelli che andranno prima: messa a Santa Marta.

Il prezzo della solidità: il prologo di Angel Rossi e uno stralcio del libro “Cordoba, Raiz de dos” di Javier Camara e Sebastian Pfaffén sugli anni difficili vissuti da Bergoglio nella città argentina: come novizio gesuita, come provinciale del suo ordine e come residente nella casa locale della Compagnia di Gesù.

Per non soffrire come un cane: Carlo Petrini su etica e sperimentazione sugli animali.

Una difficile mappatura: Cristiana Dobner recensisce il libro del rabbino Giuseppe Laras sul pensiero ebraico dall’illuminismo all’età contemporanea.

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Oggi in Primo Piano



Pakistan, talebani fanno strage di bambini. Bhatti: è orrore

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E’ di 135, di cui la maggior parte bambini, e 250 i feriti il bilancio dell’orribile strage perpetrata in Pakistan dai talebani, in una scuola di Peshawar. Dopo sette ore di attacco, i sei terroristi sono stati uccisi. Dal presidente francese, Hollande, a quello statunitense Obama, la condanna internazionale è stata unanime. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Una carneficina per rappresaglia, uno degli attacchi più sanguinosi e più aggressivi, perché contro bambini, che il TTP (Tehreek-e-Taleban Pakistan) abbia mai perpetrato. Gli oltre 100 bambini uccisi sono stati il prezzo delle azioni dell’esercito pakistano contro le roccaforti talebane nel Nord del Waziristan, regione al confine con l’Afghanistan. Le piccole vittime, tra i 6 e i 17, erano tutti studenti della scuola a Peshawar attaccata oggi da un commando del principale gruppo ribelle islamico del Paese legato ad Al Qaida. Sei gli assalitori, con indosso uniformi militari, che hanno assaltato la Scuola, destinata  all’istruzione dei figli dei militari, e proprio per questo obiettivo dei talebani, scelto, ha spiegato il portavoce dei terroristi, per far provare ai militari il dolore di chi perde le famiglie. Il premier Nawaz Sharif, partito subito da Islamabad per Peshawar, ha definito l’attacco una “tragedia nazionale”. “E’ terribile che abbiano scelto di attaccare una scuola con bambini - ha detto l’arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale locale, mons. Coutts - significa che i talebani non hanno limiti ed è gente pronta a fare qualsiasi cosa”. Paul Bhatti, leader della Alleanza delle minoranze pakistane:

R. – E’ un orrore. Dire che è una cosa che fa star male, è poco. E’ una cosa terribile, contro qualsiasi insegnamento religioso, contro qualunque ideologia umana: è inconcepibile una violenza di questo tipo. E io vorrei che lo Stato pakistano, e in particolare il governo attuale, prenda serie misure per eliminare questo tipo di violenza dal Pakistan: che non è soltanto contro il Pakistan, ma contro il mondo intero, contro l’umanità.

D. – In più, che cosa dovrebbe fare il governo? Dovrebbe cambiare completamente strategia?

R. – Anche se i terroristi erano sei, erano altamente preparati e questo non accade solo nel nord del Pakistan, ma è diffuso in tutto il Paese. E questo è frutto di quelle scuole nascoste, nelle quali si fa il lavaggio del cervello ai bambini proprio con questo obiettivo: che loro vivono, uccidono e muoiono in nome di questa ideologia. Fino ad adesso, noi non abbiamo visto passi concreti da parte del governo: che si impegnino a identificare queste scuole e a eliminare questa ideologia e identificare i bambini che sono, essi stessi, le prime vittime di questa ideologia. E questo non è stato fatto, nessuno lo fa. Condannano puntualmente, questo va bene, ma qui c’è bisogno di identificare la base di questo odio e di questa violenza che, secondo me, si trova in quelle istituzioni dove crescono queste persone che poi diventano terroristi. Di fronte a questo attacco, poi così orribile, si chiede veramente non solo un ulteriore impegno da parte nostra, ma anche da parte della comunità internazionale, passi concreti, ma anche strategie a lungo e medio termine. Perché altrimenti non riusciremo a venire fuori da questa situazione.

Mobeen Shahid, docente di Pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense e fondatore dell’Associazione internazionale “Pakistani cristiani in Italia”:

"Negli ultimi due anni di azione, il TTP ha piuttosto attaccato target dove le Forze armate erano presenti. Finora sono stati sempre attacchi contro le forze armate nei punti strategici. Questa volta, la loro azione si è allargata alle zone civili, come le scuole, che si trovano in zone all’interno della città, si tratta di zone governate dalle forze armate all’interno delle quali ci sono poi le scuole dove i figli degli ufficiali vanno a studiare, dalle elementari fino alle superiori, e vengono chiamate Army public school. In questo caso, i talebani ha voluto dare una lezione alle forze armate attaccando queste scuole di formazione che secondo loro sono sul modello occidentale per cui sono contro la "sharìa" islamica. Questo tipo di attacco è in sintonia in realtà anche con il fenomeno che troviamo in Nigeria, come Boko Haram dove si vieta l’educazione sul modello occidentale. Non mi sorprenderei che i talebani comincino ad attaccare anche altre scuole sul territorio nazionale.

 

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Onu: si discute sul ritiro di Israele dalla Cisgiordania

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Domani discussione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla risoluzione che chiede il ritiro di Israele dalla Cisgiordania. Appare scontato il veto da parte degli Stati Uniti, uno dei cinque membri permanenti, ma comunque Washington sta facendo pressioni sullo Stato ebraico, perché ammorbidisca le sue posizioni sulla creazione di uno Stato palestinese. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente: 

R. – Dovrebbe esserci una risoluzione avanzata dalla Giordania, a nome dell’Autorità palestinese, che è molto più dura nei confronti di Israele e pone apertamente la questione della fine dell’occupazione. E dovrebbe essercene una seconda, che viene presentata dalla Francia in accordo con la Gran Bretagna e con il sostegno, sostanzialmente, dell’Unione Europea, che invece indica un orizzonte di due anni per arrivare alla costituzione dello Stato palestinese attraverso una serie di parametri da stabilire. Per cui, la prima cosa da dire è che siamo comunque in una fase in cui ci sono attività, anche frenetiche, dal punto di vista politico, ancora in queste ore. La stessa Autorità palestinese ha capito che la risoluzione giordana non ha alcuna possibilità di passare e quindi sta cercando un accordo con gli Stati europei per arrivare a una formulazione di quella risoluzione che sia corrispondente ai desideri palestinesi. Certamente, è un passaggio importante che dice che la comunità internazionale, e in particolare l’Europa, sta cercando di riprendere un’iniziativa dopo il punto morto a cui è arrivato il processo di pace sponsorizzato soprattutto dal segretario di Stato americano, John Kerry, e che riporti al centro della questione l’obiettivo ormai non più rinviabile di un negoziato che affronti la questione dello status finale dei rapporti tra Israele e l’Autorità palestinese.

D. – Negli ultimi tempi, sembrano essersi irrigidite le posizioni del governo israeliano guidato da Netanyahu. Quali i motivi di questa parziale svolta?

R. – Da una parte, c’è il fallimento dell’iniziativa americana sostanzialmente sulla questione degli insediamenti. Israele sta andando verso nuove elezioni, a marzo, e Netanyahu si trova a fare i conti con un’alternativa che sta nascendo intorno a questo nuovo asse centriste. Ecco: questo nuovo asse che si sta formando al centro della politica israeliana, ha rimesso in movimento un po’ tutto il quadro delle alleanze e delle intese. E quindi, Netanyahu si trova a doversi spostare a destra per non perdere spazio all’interno dell’elettorato.

D. – Se è vero che si chiede a Israele di ammorbidire le sue posizioni, altrettanto bisogna dire nei confronti dei palestinesi…

R. – Ma certamente, da parte palestinese restano tutte le contraddizioni. Il famoso governo di unità nazionale, tra le fazioni dove Fatah e Hamas avrebbero dovuto essere insieme, è costantemente rimasto sulla carta, per cui il grosso limite di tutto questo dibattito è che si parla di Stato palestinese ma si fa fatica a vedere su quali prospettive potrebbe nascere.

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Sud Sudan: un anno fa l’aggravarsi delle violenze

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È trascorso un anno da quando, il 15 dicembre 2013, in Sud Sudan la contrapposizione tra il presidente, Salva Kiir, e il suo ex vice, Riek Machar, è degenerata in violenze e scontri, a Juba e non solo. Una crisi “tragica e inaccettabile”, secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che parla di “decine di migliaia di sud sudanesi uccisi”. Il numero uno del Palazzo di Vetro denuncia inoltre che “i leader del Sud Sudan hanno fatto sì che le loro ambizioni personali mettessero a repentaglio il futuro di un'intera nazione”. Il Consiglio di sicurezza Onu ha minacciato sanzioni mirate nei confronti di chi “ostacola il processo di pace”. Secondo il Palazzo di vetro, la metà dei 12 milioni di abitanti ha bisogno di assistenza umanitaria, compresi i due milioni di persone costretti ad abbandonare le proprie case per le violenze. Giada Aquilino ha intervistato suor Elena Balatti, missionaria comboniana, responsabile della radio diocesana di Malakal “Sout al Mahaba-Voce di Carità”: 

R. – Si è potuto parlare di guerra fin dagli inizi, perché il 15 dicembre 2013 – è passato un anno da quella data – c’è stato uno scoppio di violenza nella capitale Juba che nel giro di una settimana si è diffuso fino a coinvolgere un terzo del Paese. E la situazione non è ancora risolta. Può essere senz’altro definita una guerra e, in particolare, una guerra civile.

D. – Come definire questo scontro in atto? Politico? Etnico? Il segretario generale dell’Onu dice che i leader sud sudanesi hanno anteposto le loro ambizioni al futuro del Paese: perché?

R. – Questo tipo di scontro è stato anzitutto politico, nel senso che si è trattato chiaramente di una lotta per il potere all’interno del partito al governo. I politici immediatamente sono ricorsi alla forza delle armi e, nel giro di pochi giorni, il conflitto ha assunto una caratteristica di tipo etnico o tribale, perché l’esercito nazionale, seguendo la propria appartenenza etnica, si è diviso. La maggior parte dell’esercito era costituito da elementi di etnia Nuer, che è la stessa etnia dell’ex vicepresidente del Sud Sudan, Riek Machar. E come reazione, purtroppo, ad allearsi per prime al presidente del Sud Sudan, che è di etnia Dinka, sono state persone della sua stessa tribù. L’elemento etnico ha giocato un ruolo estremamente negativo in questo conflitto, lo ha esacerbato tanto che c’erano paure - forse in questo momento un po’ attenuate - che in Sud Sudan si prospettasse uno scenario simile a quello del Rwanda, all’epoca del genocidio. Che i politici, come il segretario generale delle Nazioni Unite ha affermato, si siano lasciati prendere dalle proprie ambizioni e le abbiano anteposte al bene del Paese può essere un’analisi che possiamo decisamente condividere.

D. – Malakal, dove lei si trova, è nell’Alto Nilo: una zona petrolifera importante del Paese. Come è cambiata dall’inizio del conflitto?

R. – Tutto l’Alto Nilo si è militarizzato. Questa situazione ha conseguenze a lungo termine. Per demilitarizzare un’area che è vastissima – è la regione più importante per quanto riguarda il petrolio – ci vorranno anni. Per esempio, quasi tutti gli uomini che si vedono girare nella città di Malakal hanno un’arma, hanno un fucile automatico, molti sono in uniforme. E questo cambiamento sociale è estremamente preoccupante.

D. – Lei si occupa dell’emittente diocesana: la radio della diocesi di Malakal, come anche altre radio cattoliche in questi mesi, ha subito i contraccolpi delle forti tensioni. Cosa è successo a “Radio Voce di Carità”?

R. – La radio della diocesi di Malakal ha cercato di rimanere operativa il più a lungo possibile dall’inizio del conflitto perché, come diceva la gente, sentire la voce della Chiesa rassicurava la popolazione civile in preda ad uno shock terribile, perché questo ciclo di violenza è stato rapidissimo. Il 18 febbraio però, purtroppo, la stazione è stata saccheggiata e sono stati fatti danni notevoli. Le trasmissioni sono state sospese. Stiamo finalmente prendendo degli accordi per le riparazioni più importanti, la prima delle quali è la torre che sostiene il sistema di antenne: è una torre di 72 metri che è stata danneggiata dal fuoco incrociato.

D. – Già quello dell’anno scorso fu un Natale con le violenze. Questo che Natale sarà per la popolazione e quali speranze ci sono per il 2015?

R. – Ieri, c’è stata una preghiera in tutte le chiese cattoliche e, per iniziativa governativa, è stata condotta anche a livello ecumenico. Quello che oggi la gente dice è: “Speriamo che questa preghiera che viene alzata da tutto il Sud Sudan ci porti un Natale di pace”. Perché se quest’anno il Natale può essere celebrato, questo stesso fatto avrà un effetto di guarigione su una popolazione veramente traumatizzata.

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Grecia: domani primo voto presidenziale. Mercati in tensione

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Mercati finanziari sotto pressione e Borse europee per lo più negative anche oggi. Questa è una settimana difficile visto il crollo ininterrotto del petrolio e della moneta russa, ma anche l’incertezza che grava sulla Grecia, da domani al voto per le presidenziali. Senza maggioranza qualificata infatti si andrebbe alle legislative, passaggio delicato – secondo alcuni analisti – per l’intera area euro. Ad Atene pieno sostegno arriva oggi dal Commissario per gli Affari economici Ue, Moscovici, ma alle Borse non basta. Gabriella Ceraso ha chiesto il parere di Franco Bruni, docente di Economia internazionale alla Bocconi di Milano: 

R.  – Mi sembra che non bisogna esagerare come sempre. I mercati sono sempre alla ricerca di pretesti per esagerare perché ci si guadagna a speculare. In questo caso è chiaro che se Samaras riesce a vincere c’è una prosecuzione più semplice del tentativo di riformare quello che serve da riformare in Grecia e di aiutarla a riprendere. Se dovesse andare male invece, ci saranno più possibilità che portino Tsipras e la sinistra al governo. Dopodiché, i rapporti con l’Europa saranno più difficili, più tesi, però non credo francamente che dovremmo pensare che la Grecia vada chissà dove e che esca dall’euro, che venga travolta… Credo che una ricostruzione dell’economia greca sia stata avviata e sia stata avviata con un certo successo. La Grecia comincia a vedere tutta una serie di novità nel suo funzionamento. Ovviamente. la popolazione è stata tassata moltissimo in quest’esercizio di ristrutturazione e ancora lo è. Quindi mantenere il consenso politico è difficile, può darsi che ci si riesca ancora meglio se si va verso governi apparentemente più contrari alla ristrutturazione.

D. – E’ anche vero che però da Bruxelles, la Grecia attende la @tranche di dicembre del prestito internazionale… Bruxelles ha chiesto in cambio altre misure, tagli a stipendi pensioni, indennità… La tensione sociale c’è in Grecia…

R. – Sì però sono tutte cose trattabili. C’è una nuova commissione a lavoro. Credo che per la finanza internazionale, la Grecia sia un problema piccolo. Non c’è nessun bisogno di allarmi, perché i numeri sono quelli che sono. Il problema è per i greci, che devono vivere ancora una stagione lunga di difficoltà, di aggiustamento, e la devono vivere nel modo migliore possibile. Speriamo ci sia un dialogo costruttivo, virtuoso, in cui l’Europa non tanto punisce la Grecia, come qualcuno vorrebbe, ma la aiuta sul serio e la aiuta anche con investimenti. Il vero problema è che la Grecia vive questo momento una fase in cui il resto dell’Europa è tutt’altro che concorde, piena di problemi.

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Operazione SalvaNatale a Roma: raccolta doni per i più poveri

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Donare regali alle famiglie che non possono permettersi di comprarne durante queste festività. L’idea è della Commissione delle Elette di Roma Capitale e dell’associazione Salvamamme, che con l’operazione SalvaNatale hanno distribuito 3.200 borse nei municipi romani per raccogliere doni da distribuire a quanti vivono disagi economici. Ce ne parla in questo servizio Tiziana Campisi

Un logo rosa con una donna che tiene in braccio un bimbo: è questa l’immagine che contraddistingue la borsa grigia dell’Operazione SalvaNatale; dentro, chiunque può lasciare un dono - cibo, vestiti, giocattoli - che giungeranno a famiglie disagiate. La speciale raccolta di regali vuole essere segno concreto di condivisione, solidarietà e sostegno a chi è in difficoltà. A descrivere l’iniziativa, dentro ogni borsa, è la favola scritta da Isabella Di Chio - e illustrata da Lisa Zengarini - “Quel raggio di sole” che vuole sensibilizzare ad uno sguardo verso il prossimo e ad un gesto di amore verso quanti hanno bisogno di aiuto. Distribuirà i doni l’associazione Salvamamme che da alcuni anni raccoglie nella borsa giocattoli. La presidente Grazia Passeri:

“Proviamo a farlo da due-tre anni; parte con migliaia e migliaia di giocattoli raccolti, con camion che girano l’Italia … Le famiglie raccolgono i giocattoli dei loro bambini, le aziende quelli un po’ fallati, meno ‘modaioli’, e li portano a Salvamamme. Poi vengono distribuiti a migliaia di bambini”.

L’Operazione Salva Natale vorrebbe far diventare realtà la favola che la racconta, per far giungere il necessario a chi non ce l’ha…

“La favola racconta il miracolo di Salvamamme con tinte delicate, e invita a far parte di questo miracolo”.

La raccolta promossa con l’Operazione Salva Natale durerà fino al 6 gennaio.

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I Francescani di Assisi: vivere il Natale accanto agli ultimi

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L’albero di Natale e accanto l’immagine di un povero con la scritta: “E’ nostro fratello”. Questa la copertina del numero speciale del mensile “San Francesco, patrono d’Italia” dei Francescani di Assisi. Pensando agli esclusi, agli ultimi, ma anche alle notizie di violenze e scandali politici, i Francescani invitano i lettori ad avere lo sguardo di Francesco sul mondo, come spiega al microfono di Paolo Ondarza il portavoce del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato

R. – Vogliamo immettere nella società lo sguardo di Francesco che ci conduce a guardare con occhi nuovi le persone che incontriamo ma soprattutto a portare nell’orizzonte del nostro sguardo le persone che gli altri emarginano: i profughi, le persone in fuga, quelli che incontriamo sulle nostre strade...

D. - Questo senso di fraternità nasce dal ritrovarci uniti in un’unica umanità che è quella assunta da Cristo nel Natale…

R. – Certo. Ci sono due piccole porte dove per entrare bisogna chinarsi: la porta che conduce nella Chiesa della Natività e la porta che conduce nella Chiesa della Risurrezione, ad indicare che per assumere l’atteggiamento di Gesù abbiamo bisogno di chinarci, di abbassarci, di abbassarci sulla nostra umanità e sull’umanità altrui. E credo che il Natale si imponga all’uomo contemporaneo per dire: rifletti sulla tua umanità, assumi quell’umanità di Cristo e vedrai che riuscirai a comprendere e a salvarti e a salvarci.

D. - Quell’umanità di Cristo che San Francesco da sempre ha contemplato e che ha fatto oggetto di venerazione di fronte al Bambino appena nato…

R. - San Francesco è l’inventore del presepe. Quando la notte di Greccio, lui annunciava, proclamava il nome di Gesù, lui si leccava le labbra, ma perché? Perché aveva capito due cose sostanzialmente: questo Dio ogni giorno viene a noi, si umilia, e parla con noi. E la seconda cosa che aveva compreso è che contemplando il mistero del Natale noi contempliamo la scommessa di Dio sull’uomo, un Dio che crede nelle nostre possibilità, che crede nella nostra umanità, e tutto questo fa gioire San Francesco. Lo fa gioire così tanto che si inventa la prima messa in scena del presepe.

D.  – Di qui la vostra esortazione come Francescani agli uomini di buona volontà affinché riportino speranza a un mondo lacerato da violenze e scandali politici …

R. – Sì, invitando tutti ad  essere uomini coraggiosi, ritornare ad abitare la società con coraggio facendo della nostra vita non un atteggiamento di conquista ma di servizio.

D.  – Come si vivrà questo Natale ad Assisi e come partecipare?

R. – La notte di Natale presiederà la celebrazione il cardinale Nicora, delegato pontificio per le Basiliche papali, perché Assisi ha un profondo legame con il Papa e con la Santa Sede. Il giorno di Natale sono in programma diverse celebrazioni: quella del Custode alle 10.30, la Messa solenne in Cappella papale, e poi nel pomeriggio. Tutti coloro che vogliono seguirci lo possono fare collegandosi al nostro sito www.sanfrancesco.org dove trovano non solo le indicazioni per le celebrazioni eucaristiche, ma la possibilità di seguire in diretta alcune delle celebrazioni più importanti. E poi tutti coloro che vogliono inviare, in questi giorni così belli e importanti di preparazione al Natale, la loro preghiera a San Francesco, lo possono fare collegandosi con la webcam sulla tomba di San Francesco sempre all’indirizzo del nostro sito.

D. – In questo modo anche chi è impossibilitato a recarsi fisicamente ad Assisi potrà trovare Assisi a casa propria…

R. – Io dico: si può vivere un pellegrinaggio virtuale, da casa, da lontano in comunione con San Francesco.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sydney: preghiera dei vescovi per vittime dell’attentato

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Una preghiera per le vittime ed un auspicio per la promozione della pace: così la Conferenza episcopale australiana, guidata dall’arcivescovo Denis Hart, scrive in una nota diffusa in seguito all’attentato avvenuto ieri in una caffetteria di Sydney. A commettere il crimine è stato un uomo, Man Haron Monis, religioso radicale iraniano, che ha tenuto in ostaggio per 16 ore decine di persone.

Il bilancio dell’attacco ha visto tre morti, incluso Monis, e molti feriti. “Ci uniamo in preghiera alle famiglie ed agli amici che piangono la scomparsa di un loro caro – scrive mons. Hart – e ringraziamo tutti i poliziotti e le squadre di emergenza che, in modo disinteressato, hanno messo la propria vita in pericolo, per salvare quella di altri australiani da questo tragico avvenimento”. Un ulteriori ringraziamento viene poi espresso per il personale medico intervenuto in soccorso dei feriti con “volontà, pazienza e coraggio”.

Quindi, il presidente della Conferenza episcopale australiana auspica che tutti i cittadini del Paese siano “unanimi nel condannare tale drammatico avvenimento e che possano supportarsi gli uni con gli altri, in quanto uomini di buona volontà”. “Mentre ci prepariamo a celebrare la gioia del Natale – conclude il presule – cerchiamo di promuovere la pace duratura e la comprensione reciproca. Pur colpiti da un così grave avvenimento, cerchiamo di raggiungere tutti con la forza dell’amore, che porta pace e guarigione”. (I.P.)

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Cronisti nel mondo: meno omicidi più rapimenti

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Meno assassinii, più sequestri: è il quadro tratteggiato dall’Organizzazione non governativa Reporters Sans Frontières (Rsf), in un rapporto sulle violenze ai danni degli operatori dell’informazione pubblicato oggi.

Secondo lo studio, nel 2014 - riporta l'agenzia Misna - i cronisti assassinati nel mondo sono stati 66 mentre l’anno scorso era stati 71. È cresciuto invece il numero dei rapimenti: dagli 87 casi del 2013 si è passati a 119 (oggi gli ostaggi sarebbero 40).

Due terzi degli omicidi si sono verificati in zone di conflitto: dall’Ucraina alla Libia e dalla Siria all’Iraq, dove quest’anno i combattenti sunniti del sedicente Stato islamico hanno filmato l’esecuzione dei cronisti americani James Foley e Steven Sotloff. (R.P.)

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Giordania: aiuti per i 7.000 i rifugiati cristiani iracheni

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I cristiani iracheni fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive che hanno trovato rifugio in Giordania sono ormai più di 7.000, e le risorse disponibili per la loro assistenza finiranno entro due mesi. A lanciare l'allarme è Wael Suleiman, direttore di Caritas Jordan.

“Il 70% dei profughi cristiani - riferisce Suleiman all'agenzia Fides - si trova concentrato nell'area di Amman. 1.000 di loro sono ospitati in 18 parrocchie, gli altri hanno trovato sistemazione nelle case. Vivono sognando di fuggire in America, in Australia e in Europa, in uno stato logorante di attesa che pesa soprattutto sui ragazzi e le ragazze in età scolare: passano giornate senza fare niente, anche perchè, per motivi burocratici, non hanno accesso alle scuole giordane”.

Sui profughi cristiani iracheni ospitati nel Regno Hascemita pesa un futuro incerto. “Come Caritas Jordan” spiega Suleiman “siamo in grande difficoltà. Sosteniamo gli affitti delle famiglie cristiane, distribuiamo cibo e beni di prima necessità, ma entro due mesi i fondi destinati a queste iniziative di assistenza saranno prosciugati. Dovremo dire a questa gente di lasciare le case e andare a vivere per strada. Finora ci hanno aiutato le Caritas di Germania e Usa. Ma nessun aiuto ci è venuto da altri enti. Nessun organismo umanitario internazionale offre aiuto ai cristiani, per non essere accusato di agire in maniera discriminatoria”. (R.P.)

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Centrafrica: appello di pace dell'arcivescovo di Bangui

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“La situazione in Centrafrica è volatile e precaria. Il governo non riesce a estendere la sua autorità su tutto il Paese. I gruppi armati continuano a seminare morte uccidendo cittadini pacifici. La paura si legge sui volti delle persone”. A parlare è mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e presidente della Conferenza episcopale centrafricana in un'intervista all'agenzia Sir.

“La gente - afferma il presule - è stanca e vuole la pace, ma è ostaggio delle bande armate che usano la violenza per imporsi. I funzionari statali fanno fatica a recarsi al loro posto di lavoro a causa della paura. Nonostante questo quadro, le Ong s’impegnano per cambiare la vita quotidiana dei centrafricani. Osserviamo un timido ritorno ai quartieri abbandonati.

Gli incontri di coesione sociale si moltiplicano. Questo mostra il desiderio dei centrafricani di voltare questa pagina oscura del nostro Paese”. Un desiderio che emerge anche dalle recenti visite effettuate da mons. Nzapalainga nei campi delle principali forze belligeranti (Seleka e Balaka).

“Il 23 dicembre - fa sapere l’arcivescovo - sarò con alcuni cristiani in un secondo campo Seleka. Nella prima esperienza (al campo Beal), 367 cristiani hanno risposto all’appello. Vogliamo avvicinarli ai loro fratelli per conoscerli, stimarli e amarli”. 

“Il Cristo sofferente - sottolinea mons. Nzapalainga - si presenta a noi attraverso i nostri fratelli. Molti giovani non vengono ascoltati, e noi ci prendiamo il tempo di ascoltarli, di ascoltare i loro sogni infranti. Dietro la loro avventura si nasconde la questione della ricerca della felicità. Una felicità al di fuori di Gesù rimane effimera. Con Gesù, troviamo il senso della nostra vita”.

Per l’arcivescovo, le iniziative nei campi Seleka e Balaka “sono gocce d’acqua che si riversano nel mare. La pace non è un’utopia. Ogni cristiano è un artefice di pace con le sue parole e le sue azioni. ‘Beati gli operatori di pace’. Spetta ai cristiani lasciarsi conquistare da Cristo e offrire la sua pace agli uomini. Queste iniziative sono l’espressione della nostra fede in Cristo e diventano un cammino di costruzione della pace”.

Dall’arcivescovo anche un appello alla comunità internazionale: “Ha il dovere di aiutare il Centrafrica affinché non diventi un covo di ladri, gangster, teppisti. Per questo, dovrebbe incoraggiare le persone di buona volontà, sostenerle per far arretrare il regno del male. La pace nel Paese è innanzitutto un compito dei centrafricani; la comunità internazionale viene per aiutare e non deve mettersi in prima linea. Deve aiutare i centrafricani ad accogliere e appropriarsi di questo processo”. (R.P.)

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Indonesia. Chiesa soccorre vittime dell’alluvione a Java

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La Chiesa cattolica indonesiana è in prima fila nell'opera di aiuto e soccorso alla popolazione colpita, nei giorni scorsi, da una frana di enormi dimensioni che ha causato decine di vittime e sfollati.

A causare lo smottamento - riferisce l'agenzia AsiaNews - le piogge torrenziali che, in questi giorni, hanno investito il distretto di Banjarnegara, nello Java centrale; il bilancio aggiornato dell'alluvione parla di 57 vittime, migliaia le persone coinvolte a vario titolo. A quattro giorni dal disastro, i soccorritori stanno ancora scavando nella melma e nel fango alla ricerca di eventuali dispersi.

La parrocchia di Sant'Antonio a Banjarnegara ha allestito due Centri per fronteggiare la crisi: il primo all'interno dei locali della parrocchia, nel centro di Banjarnegara; il secondo è situato in una cappella per la preghiera a Karangkobar, il villaggio più vicino all'area interessata dallo smottamento.

I volontari cattolici si prodigano nel portare aiuto a quanti sono ospitati sotto le tende e nei Centri di emergenza temporanei a Karangkobar; servono con urgenza cibo, acqua potabile e altri generi di prima necessità come coperte, lenzuola e medicine.

In questa stagione le piogge, spesso di forte intensità, si verificano a cadenza quotidiana. Col passare delle ore diminuiscono le probabilità di trovare sopravvissuti; alle operazioni di ricerca partecipano anche le unità cinofile, finora senza risultati di rilievo.

Interpellato da AsiaNews padre Christy Mahendra, sacerdote della diocesi di Purwokerto attivo nell'area, spiega che la parrocchia di Sant'Antonio ha aperto un conto corrente bancario per raccogliere fondi destinati alle vittime. "Col passare delle ore - sottolinea - sono sempre di più i fedeli che danno un aiuto, per contribuire alla missione della Chiesa che vuole farsi trovare pronta nelle situazioni di emergenza".

Intanto anche la Caritas di Purwokerto ha messo a disposizione volontari e personale qualificato; decine di persone sono accorse dalle diocesi di Bandung, Semarang e dall'Università cattolica Sanata Dharma di Yogyakarta per testimoniare in modo concreto la solidarietà cristiana nelle situazioni di crisi. Un'opera apprezzata anche da associazioni e gruppi musulmani (l'Indonesia è il Paese col maggior numero di fedeli dell'islam al mondo), fra cui l'Ong Dompet Duafa che ha chiesto alla Caritas di collaborare e coordinare gli sforzi per rispondere al meglio all'emergenza. (M.H.)

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Regno Unito: vescovi chiedono un'evangelizzazione creativa

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Sostenere, ispirare e incoraggiare le parrocchie del Regno Unito ad un’evangelizzazione più “creativa”, come auspicato da Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”. Questo lo spirito che anima “Proclaim 15” (“Annunciare 2015”), un nuovo progetto missionario che sarà lanciato il prossimo gennaio dalla Conferenza episcopale inglese e gallese nelle 22 diocesi del Paese.

Si tratta – come spiega il presidente della Conferenza episcopale il card. Vincent Nichols nel sito dedicato http://www.catholic-ew.org.uk, di “un’iniziativa pionieristica rivolta a tutti: clero, religiosi e laici, perché condividiamo un’unica missione che è quella di annunciare la gioia del Vangelo”. L’obiettivo, quindi, è di aiutare a rendere più efficace questa missione intraprendendo strade nuove, quelle invocate tante volte da Papa Francesco.

“L’’Evangelii Gaudium’” - ha evidenziato mons. Mark O’Toole, presidente del Dipartimento per l’evangelizzazione e la catechesi - è un vademecum per l’evangelizzazione della Chiesa: ci esorta a dare al nostro incontro con Gesù un’espressione semplice, ma radicale e creativa, nelle nostre comunità”.

Il programma di "Proclaim 15" è articolato in cinque parti. Esso comprende una fase preparatoria con la distribuzione di materiale per piccoli gruppi parrocchiali scaricabile, a partire dalla metà di gennaio, dal sito http://www.catholic-ew.org.uk.

Sono poi previsti la distribuzione di sussidi liturgici per Veglie di preghiera che si terranno nelle parrocchie l’11 luglio 2015; l’organizzazione, nella stessa giornata, di una Conferenza nazionale sull’evangelizzazione a Birmingham; la creazione di modelli grafici (template) per promuovere gli eventi e manifestazioni di “Proclaim 15 “e la distribuzione nelle parrocchie del materiale raccolto alla conferenza di Birmingham. (L.Z.)

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Potere e servizio: seminario Centro Tocqueville-Acton alla Lateranense

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Si svolgerà giovedì 18 dicembre, presso la Pontificia Università Lateranense, la prima Winter School organizzata dal Centro Studi Tocqueville-Acton (CSTA) e dalla Fondazione Novae Terrae, dedicata al tema “Potere e servizio nello spazio europeo”. L’iniziativa, organizzata in collaborazione con l'Associazione Prospettiva Europea e con Rubbettino Editore, sarà sviluppata in due parti. La sessione mattutina sarà dedicata alle relazioni introduttive di accademici ed esperti, mentre nel pomeriggio avrà luogo un workshop diviso in quattro aree di interesse (economico-sociale, politico-amministrativo,  comunicazione istituzionale, politiche familiari) cui potranno prendere parte giovani studiosi e ricercatori, selezionati sulla base degli abstract e dei curricula presentati.

Al seminario, interverranno, tra gli altri, il prof. Flavio Felice della Lateranense con una relazione su L’economia sociale di mercato: problemi e prospettive; il prof. Dario Velo dell’Università degli studi di Pavia sul tema Euro e politiche pubbliche per l’inclusione sociale e il prof. Bruno Mastroianni del Pontificio Ateneo della Santa Croce con una relazione su Comunicare la famiglia. Guida all'uso dei social per persone di buona volontà. Il coordinamento scientifico dell’evento è affidato al prof. Maurizio Serio (Univ. G. Marconi, Roma) e al dott. Antonio Campati (Centro studi Tocqueville-Acton). Per maggiori dettagli e informazioni sul programma visitare il sito www.tocqueville-acton.org. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 350

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.