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Sommario del 09/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: Chiesa è madre, non serve organigramma perfetto

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La gioia della Chiesa è essere madre, andare a cercare le pecore smarrite. E’ quanto affermato da Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che alla Chiesa non serve avere “un organigramma perfetto” se poi è triste e chiusa, se non è madre. Di qui l’invito ad essere “cristiani gioiosi” con la “consolazione della tenerezza di Gesù”. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Aprire le porte alla consolazione del Signore”. Francesco ha preso spunto, nella sua omelia, dalla prima lettura in cui il profeta Isaia parla della fine della tribolazione di Israele dopo l’esilio a Babilonia. “Il popolo – ha commentato - ha bisogno di consolazione. La stessa presenza del Signore consola”. Una consolazione, ha soggiunto, che c’è anche nella tribolazione. E tuttavia, ha ammonito “noi, al solito, fuggiamo dalla consolazione; abbiamo sfiducia; siamo più comodi nelle nostre cose, più comodi anche nelle nostre mancanze, nei nostri peccati. Questa – ha detto - è terra nostra”. Invece, ha affermato, “quando viene lo Spirito e viene la consolazione ci porta ad un altro stato che noi non possiamo controllare: è proprio l’abbandono nella consolazione del Signore”.

Francesco sottolinea che “la consolazione più forte è quella della misericordia e del perdono”. E ha così rivolto il pensiero alla fine del XVI capitolo di Ezechiele, quando dopo “l’elenco di tanti peccati del popolo”, dice: “Ma io non ti abbandono; io ti darò di più; questa sarà la mia vendetta: la consolazione e il perdono”, “così è il nostro Dio”. Per questo, ha ripreso, “è buono ripetere: lasciatevi consolare dal Signore, è l’unico che può consolarci”. Anche se “siamo abituati ad affittare consolazioni piccole, un po’ fatte da noi”, ma che poi “non servono”. Di qui, si è soffermato sul Vangelo odierno, tratto da Matteo, che parla della parabola della pecorella smarrita:

“Io mi domando quale sia la consolazione della Chiesa. Così come quando una persona è consolata quando sente la misericordia e il perdono del Signore, la Chiesa fa festa, è felice quando esce da se stessa. Nel Vangelo, quel pastore che esce, va a cercare quella pecora smarrita, poteva fare il conto di un buon commerciante: ma, 99, se ne perde una non c’è problema; il bilancio… Guadagni, perdite… Ma va bene, possiamo andare così. No, ha cuore di pastore, esce a cercarla finché la trova e lì fa festa, è gioioso”.

“La gioia di uscire per cercare i fratelli e le sorelle che sono lontani: questa – ha evidenziato Francesco – è la gioia della Chiesa. Lì la Chiesa diventa madre, diventa feconda”:

“Quando la Chiesa non fa questo, quando la Chiesa si ferma in se stessa, si chiude in se stessa, forse si è ben organizzata, un organigramma perfetto, tutto a posto, tutto pulito, ma manca gioia, manca festa, manca pace, e così diventa una Chiesa sfiduciata, ansiosa, triste, una Chiesa che ha più di zitella che di madre, e questa Chiesa non serve, è una Chiesa da museo. La gioia della Chiesa è partorire; la gioia della Chiesa è uscire da se stessa per dare vita; la gioia della Chiesa è andare a cercare quelle pecore che sono smarrite; la gioia della Chiesa è proprio quella tenerezza del pastore, la tenerezza della madre”.

La fine del brano di Isaia, ha spiegato, “riprende questa immagine: come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna”. Questa, ha detto il Papa, “è la gioia della Chiesa: uscire da se stessa e diventare feconda”:

“Il Signore ci dia la grazia di lavorare, essere cristiani gioiosi nella fecondità della madre Chiesa e ci guardi dal cadere nell’atteggiamento di questi cristiani tristi, impazienti, sfiduciati, ansiosi, che hanno tutto perfetto nella Chiesa, ma non hanno ‘bambini’. Che il Signore ci consoli con la consolazione di una Chiesa madre che esce da se stessa e ci consoli con la consolazione della tenerezza di Gesù e la sua misericordia nel perdono dei nostri peccati”.

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La visita del Papa all'Immacolata in Piazza di Spagna

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Una tradizione cara al Papa e ai romani. Nella visita alla Statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna, preceduta da una sosta nella Basilica di Santa Maria Maggiore, come annunciato all’Angelus, Papa Francesco ha voluto venerare la Vergine con una preghiera composta da lui stesso. Presente il sindaco capitolino, Ignazio Marino, salutato con cordialità dal Pontefice. Toccante il saluto con i fedeli presenti, in questa festa che, come ha detto il Pontefice, ci conduce al Natale di Gesù, ma in modo "controcorrente" rispetto a un certo modo di intendere la festa. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

L’atto di venerazione alla Vergine Immacolata è vissuto da Papa Francesco con intenso raccoglimento. Un clima particolarmente sentito dai fedeli che in tanti sono interventi all’evento. Per l’occasione, il Santo Padre ha recitato ai piedi dell’alta statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna una preghiera scritta di suo pugno. Francesco parla a nome della Chiesa che è in Roma e nel mondo intero e del grande conforto che tutti riceviamo nel sapere che la nostra Madre è totalmente libera dal peccato:

“Sapere che su di te il male non ha potere, ci riempie di speranza e di fortezza nella lotta quotidiana che noi dobbiamo compiere contro le minacce del maligno”.

Una lotta, questa, ricorda il Papa, in cui non siamo soli. Da peccatori possiamo contare, in quanto suoi figli, sulla amorevole maternità di Maria, così come voluto da Gesù, prima di morire sulla Croce. Papa Francesco invoca poi la protezione della Madonna per le famiglie, per la città di Roma e per il mondo intero:

“La potenza dell'amore di Dio, che ti ha preservata dal peccato originale, per tua intercessione liberi l'umanità da ogni schiavitù spirituale e materiale, e faccia vincere, nei cuori e negli avvenimenti, il disegno di salvezza di Dio”.

Infine, Francesco mette in evidenza lo stretto collegamento tra la ricorrenza dell’Immacolata e le imminenti festività natalizie:

“In questo tempo che ci conduce alla festa del Natale di Gesù, insegnaci ad andare controcorrente: a spogliarci, ad abbassarci, a donarci, ad ascoltare, a fare silenzio, a decentrarci da noi stessi, per lasciare spazio alla bellezza di Dio, fonte della vera gioia”.

A conclusione della celebrazione, toccante il saluto del Papa ai tanti ammalati intervenuti e, prima di rientrare in Vaticano, ancora un caloroso saluto alla folla di fedeli. 

Decine di migliaia dunque i fedeli che hanno gioiosamente invaso Piazza di Spagna per poter incontrare Papa Francesco in visita alla statua dell'Immacolata. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro: 

R. – Una festa bellissima, secondo me. È la prima volta che io sono qui a Roma, città che ci porta a pensare alla Vergine Maria, che ha un ruolo molto, molto importante nella storia, è la nostra Madre. Questa festa sicuramente ci dà moltissima speranza.

R. – Ci dà un sorriso e ci ha sempre accompagnato nei momenti più difficili. E’ un punto di riferimento.

D. – Il Papa nella sua preghiera alla Vergine Maria, in occasione dell’Immacolata, chiede appunto alla Madonna di darci la forza di essere controcorrente, di trovare il coraggio…

R. – Andare controcorrente significa seguire la realtà del Vangelo. Chi pratica il Vangelo, certamente, nella nostra società odierna, va controcorrente. E’ secondo me, quindi, un modo di chiederci di vivere il Vangelo.

R. – Prima di tutto, ci vuole tanto coraggio, tanta disponibilità da parte di ognuno di noi e poi bisogna non aver paura di essere delle persone autentiche, non aver paura di credere che il Signore opera in ognuno di noi.

R. – Secondo me, è proprio una lotta in questo mondo, che oggi è molto, molto complicato, molto, molto difficile. La società ci dice di essere autosufficienti, di non dipendere da nessuno… Lì, invece, c’è proprio questo bisogno di fermarci un po’ e accettare veramente il fatto che non siamo creati per stare da soli. Andare controcorrente vuol dire andare insieme.

D. – Il Papa durante l’Angelus ha invitato a diventare dono gratuito verso gli altri. Cosa vuol dire questa sua esortazione per lei?

R. – Basterebbe pochissimo per essere il dono per qualcuno. Bisognerebbe solo spendere cinque minuti, dieci minuti del proprio tempo, e rendersi utile agli altri, senza fare chissà quanto e spendere chissà cosa.

R. – Bisogna aiutare le persone che sono rimaste più indietro, quelle persone che veramente, di questi tempi, hanno perso il lavoro. Se possiamo dare una mano, la dobbiamo dare.

R. – Essere disponibili verso tutti. Aiutare in qualsiasi momento e occasione e dare aiuto e conforto a chi veramente ne ha bisogno, perché in questo periodo ce ne sono tanti.

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Papa: armi nucleari, spreco di denaro. I poveri ne pagano il prezzo

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Spendere soldi in armamenti nucleari è uno sperpero di ricchezza, che finiranno per pagare i poveri. Per vivere in pace al mondo non serve la paura di un disastro nucleare, ma “un’etica della fraternità”. Sono alcuni pensieri contenuti nel messaggio inviato da Papa Francesco al ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, presidente della Conferenza sull'impatto umanitario delle armi nucleari, che si chiude oggi a Vienna. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

“Hibakusha”. Una parola giapponese sconosciuta ai più, dietro la quale si cela la vita e la storia di una categoria di persone uscite da un inferno inenarrabile: l’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Gli “Hibakusha” sono i superstiti delle prime bombe atomiche e alla loro testimonianza si appoggia Papa Francesco per invitare gli Stati a rinunciare agli armamenti nucleari. Quello del Papa è un lungo e intenso appello ai governi a “ridurre la minaccia nucleare”, controbilanciandola con l’affermazione di un’“etica globale”, sollecitata con “urgenza” nel contesto di una comunità internazionale sempre più interdipendente.

Papa Francesco chiede di porre “maggiore attenzione” alle “sofferenze inutili” causate dall’uso di armi nucleari. “I codici militari e il diritto internazionale, tra gli altri, hanno da tempo vietato ai popoli – scrive – di infliggere sofferenze inutili. Se tale sofferenza è vietata nelle guerre convenzionali, ancor più dovrebbe essere vietata in un conflitto nucleare”. E qui, dopo aver salutato con calore gli Hibakusha e i superstiti di altri test di armamenti nucleari, il Papa incoraggia tutti “a essere voci profetiche” e a invitare “la famiglia umana a un più profondo apprezzamento della bellezza, dell'amore, della collaborazione e della fraternità, ricordando al mondo i rischi degli armamenti nucleari, che hanno il potenziale – dice –  di distruggere noi e la civiltà”.

“La deterrenza nucleare e la minaccia della sicura distruzione reciproca – prosegue – non possono essere la base per un'etica della fraternità e della convivenza pacifica tra i popoli e gli Stati. I giovani di oggi e di domani meritano molto di più. Meritano un ordine mondiale di pace fondato sull’unità della famiglia umana, fondato sul rispetto, la cooperazione, la solidarietà e la compassione. Ora è il momento per contrastare la logica della paura con l'etica della responsabilità e quindi favorire un clima di fiducia e di dialogo sincero”.

Come sempre, parlando di armi, Papa Francesco si sofferma sulla massa di denaro che serve per costruirle e possederle. “La spesa per le armi nucleari – afferma in modo netto – sperpera la ricchezza delle nazioni. Assegnare una priorità a tale spesa è un errore e una cattiva collocazione delle risorse, che sarebbero molto meglio investite nei settori dello sviluppo umano integrale, l'istruzione, la salute e la lotta contro la povertà estrema. Quando queste risorse vengono sprecate – sottolinea il Papa – i poveri e i più deboli ai margini della società ne pagano il prezzo”.

Nel terminare il messaggio – constatando ancora una volta che il desiderio della pace “non potrà mai essere esaudito solo da mezzi militari” e “tanto meno dal possesso di armamenti nucleari e di altre armi di distruzione di massa – Papa Francesco ribadisce che la pace “deve essere costruita sulla giustizia, lo sviluppo socio-economico, la libertà, il rispetto dei diritti umani fondamentali, la partecipazione di tutti alla vita pubblica e la costruzione della fiducia tra i popoli”. Dobbiamo essere “profondamente impegnati al rafforzamento della mutua fiducia perché solo attraverso tale fiducia potrà stabilirsi un pace vera e duratura tra le nazioni”, è l’esortazione finale con cui il Papa chiama gli Stati nucleari a confrontarsi sul tema al proprio interno, con gli altri Stati che possiedono arsenali simili e anche con chi ne è sprovvisto. “La mia grande speranza – conclude – è che questa responsabilità informerà i nostri sforzi in favore del disarmo nucleare, perché un mondo senza armi nucleari sia davvero possibile”.

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E’ morto il cardinale argentino Mejía, cordoglio del Papa

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E’ morto questa notte a Roma, all’età di 91 anni, il cardinale argentino Jorge Maria Mejía. In un telegramma di cordoglio indirizzato al fratello del porporato, Papa Francesco ricorda la “fedeltà e competenza” con le quali il cardinale Mejía ha servito per tanti anni “in diversi organi della Santa Sede”. Il Pontefice assicura dunque la sua preghiera e vicinanza a quanti piangono questo “pastore dedito alla missione evangelizzatrice” al quale, scrive, “mi legava una lunga amicizia”.

Nato a Buenos Aires, il 31 gennaio 1923 il porporato era malato da tempo. Lo scorso  16  novembre, dopo aver incontrato un gruppo di fedeli argentini alle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, Papa Francesco aveva visitato il cardinale Mejía da tempo ricoverato nella Clinica romana Pio XI. Le esequie del porporato si terranno giovedì 11 dicembre alle ore 11.30 all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro. La Liturgia Esequiale sarà celebrata dal cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio. Al termine della celebrazione Papa Francesco presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio.

Archivista e Bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa, Jorge Mario Mejía era stato creato cardinale da San Giovanni Paolo II nel Concistoro del 2001. Proprio durante il Pontificato di Karol Wojtyla, il cardinale Mejía aveva preparato la storica visita del Papa alla Sinagoga di Roma e poi l’Incontro dei leader religiosi ad Assisi, entrambi eventi nel 1986. Tra gli incarichi ricoperti: vicepresidente del dicastero “Giustizia e Pace”, segretario della Congregazione per i Vescovi e infine Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa (dal 1998 al 2003). Con la sua morte, il Collegio Cardinalizio risulta composto da 208 cardinali, di cui 112 elettori e 96 non elettori.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel pomeriggio di sabato 6 dicembre, ha ricevuto card. Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero.

In Kenya, Francesco ha nominato arcivescovo di Mombasa mons. Martin Musonde Kivuva, finora vescovo della diocesi di Machakos.

In Argentina, il Papa ha nominato vescovo coadiutore della diocesi di Goya  il rev.do Adolfo Ramón Canecín, finora vicario episcopale della Pastorale della diocesi di Formosa.

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Tweet del Papa: la famiglia è una comunità d’amore

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“La famiglia è la comunità d’amore in cui ogni persona impara a relazionarsi con gli altri e con il mondo”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex, seguito da oltre 16 milioni di follower.

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"Lineamenta" Sinodo famiglia 2015: non ricominciare da zero

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La Chiesa è in cammino verso la XIV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, che si riunirà dal 4 al 25 ottobre 2015. I “Lineamenta” di questo appuntamento sinodale sono costituiti dalla “Relatio Synodi” e da una serie di domande sulla recezione del documento sinodale e sull’approfondimento dei temi in esso contenuti. Le risposte che dovranno pervenire alla Segreteria generale del Sinodo entro il 15 aprile 2015 permetteranno la redazione del prossimo Instrumentum Laboris. Il servizio di Stefano Leszczynski

I “Lineamenta” appena pubblicati sono il documento di preparazione della XIV Assemblea generale ordinaria sul tema “La missione e vocazione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Tale documento si basa sui contenuti della “Relatio” dell’Assemblea sinodale straordinaria, da poco conclusasi e su una serie di domande necessarie a proseguire il suo cammino.

Pertanto, spiega la Segreteria generale del Sinodo – affidata al cardinale Lorenzo Baldisseri – questo tempo intersinodale, in quanto tempo di riflessione e di approfondimento si inscrive attivamente nel percorso già iniziato e coinvolge le Conferenze episcopali, i Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, l’Unione dei Superiori Religiosi ed i Dicasteri della Curia Roma nel perfezionamento del documento di lavoro in vista del prossimo Sinodo ordinario.

E’ importante, si legge nel documento, “lasciarsi guidare dalla svolta pastorale che il Sinodo straordinario ha iniziato a delineare”, e “far di tutto perché non si ricominci da zero, ma si assuma il cammino già fatto nel Sinodo straordinario come punto di partenza”.

Il documento, inviato ai vari Organismi ecclesiali, chiede innanzitutto se sia stata descritta in maniera adeguata la realtà della famiglia nella società odierna o se vi siano aspetti che debbano ancora essere evidenziati. Al Popolo di Dio si chiede di riflettere adeguatamente sul modo più corretto di impostare la pastorale familiare di fronte alle sfide della secolarizzazione per sostenere le famiglie di fronte alle contraddizioni culturali  che caratterizzano il contesto socio-culturale attuale. Come coinvolgere – si chiede il Sinodo – le comunità ecclesiali nella formazione dei presuli incaricati della cura pastorale delle famiglie e come sostenere le famiglie nella loro missione evangelizzatrice, in qualità di “Chiese domestiche”. Come aiutare le famiglie ferite e fragili, come promuovere al meglio i valori esaltati dalle famiglie cristiane e gioiose?

Gli interrogativi posti dal documento coinvolgono tutti gli ambiti della vita ecclesiale e vanno nella direzione di una sempre più forte collaborazione tra laici e religiosi. Gli obiettivi del resto sono molto impegnativi e toccano ambiti religiosi, teologici e sacramentali. In tal senso si pongono infatti le domande sui limiti imposti ai divorziati risposati, ma anche quelli sull’aiuto alle famiglie che abbiano al loro interno persone con tendenze omosessuali.

Il Concilio Vaticano II e il Vangelo della Famiglia sono le bussole per dare completezza alla vocazione e alla missione della famiglia. E’ necessario far comprendere il valore del matrimonio indissolubile e fecondo, valutare la conoscenza dei problemi legati alla denatalità e promuovere una profonda coscienza della trasmissione e della difesa della vita. Perché ciò sia possibile i “Lineamenta” non trascurano gli interrogativi sul perfezionamento dei percorsi di preparazione dei nubendi e le sfide per la pastorale familiare, soprattutto nei confronti di coloro che vivono lontani dal modello cristiano o, addirittura, tra coloro che non sono battezzati. In questo impegno globale che la Chiesa e il Popolo di Dio si apprestano ad affrontare con evidente concretezza e realismo nel prossimo Sinodo ordinario uno spazio è riservato anche alla ricerca di modi nuovi per collaborare e per coinvolgere le istituzioni socio politiche a livello locale ed internazionale.

In occasione della festa della Sacra Famiglia, che si celebrerà il 28 dicembre, la Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi invita tutte le comunità ecclesiali a promuovere momenti di preghiera e di celebrazione per la famiglia e per la prossima Assemblea sinodale, utilizzando a tale scopo la preghiera elaborata appositamente da Papa Francesco per il Sinodo sulla famiglia.

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Lanciata campagna "Stop alla minacce su Internet"

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"Stop alle minacce su internet". E' il titolo della campagna internazionale presentata oggi in Vaticano su iniziativa del Bice, il "Bureau International Catholique de l’Enfance" e di alcune ong come "Meter", in collaborazione col Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Già diecimila le firme raccolte, che segnano un impegno di responsabilità per ogni pubblicazione in Internet con l’obiettivo di denunciare e fermare abusi e molestie contro i minori che possono spingere anche il suicidio. L’occasione è il 25.mo anniversario della Convenzione sui Diritti del'infanzia. Il servizio di Gabriella Ceraso

La Chiesa promuove Internet e i social network come un’ occasione di conoscenza e comunione, ma è in prima fila anche nel mettere in guardia dalle ambiguità e dai pericoli che essi nascondono. Per questo, la Santa Sede ha deciso di dare visibilità al la campagna del Bureau. Le molestie su Internet, ha detto il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, sono una nuova e preoccupante forma di violenza sui minori alla stregua di piaghe come la tratta, i matrimoni forzati, il mercato della prostituzione. Gli strumenti normativi internazionali non sono riusciti a debellarle finora. Occorre fare di più, aggiunge il cardinale, e centrale per affrontare questo nuovo fenomeno, spiega, è il ruolo dell’educazione:

"E’ necessario educare i giovani a riconoscere negli altri persone di pari dignità, da considerare non 'nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare'. Occorre, cioè, educarli ai diritti umani, alla giustizia ed alla pace. Ciò implica, come affermato da Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2012, aiutare i giovani a scoprire nell’intimo della loro coscienza la legge morale naturale. Una legge che non sono loro a darsi e che li induce 'a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso'”.

Responsabili e rispettosi dell’altro nell’uso di Internet e nella pubblicazione di materiale in esso: tutti, con questo scopo, possono aderire alla campagna del Bureau sottoscrivendo i 5 punti che essa prevede sul sito "www.bice.org". Finora diecimila le firme raccolte, ha spiegato il presidente del Bureau - attivo in difesa della dignità dei bambini da 65 anni - Olivier Duval che ha presentato le cyber- molestie come un fenomeno mondiale sottostimato:

“Donc, sur internet il y a des formes négatives de harcèlement morale…
Allora, in Internet ci sono forme forti di molestie psicologiche, sessuali, di possesso che possono tradursi in intimidazioni, insulti, (…) furto d’identità fino alla diffusione di foto e video falsificati. La statistica dimostra che a un giovane su tre capita, una volta o l’altra, di subire molestie in Internet. Vorrei anche insistere sul fatto che non si tratta di un fenomeno occidentale: oggi abbiamo informazioni raccolte dalla rete dai nostri partner – ad esempio in Mali o in Perù – dalle quali risulta che la diffusione degli smartphone ha portato alla scoperta che anche in questi Paesi ci sono ragazzini che subiscono cyber-molestie. E’ quindi un fenomeno a livello mondiale, che porta all’ansia, alla vergogna, alla demotivazione, a risultati scolastici in ribasso, all’isolamento, l’abbandono, la depressione e può portare perfino al suicidio. E’ per questo che non dobbiamo assolutamente sottovalutare questo pericolo”.

E al tentato suicidio è arrivata anche Laetitia Chanut, testimonial della campagna, che ha raccontato della sua lotta di liceale contro chi, dopo averle rubato l’identità su Facebook, ha iniziato una persecuzione fatta di minacce e ricatti cui neanche le Forze dell’ordine hanno creduto inizialmente. Forti le sue parole:

“Moi je m’en suis sortie mais je sais que je suis loin d’être la seule à vivre ça…
Io ne sono uscita, ma so che sono lungi dall’essere l’unica ad avere fatto questa esperienza. Soprattutto, so che è già tanto essere uscita dall’ospedale. Vorrei semplicemente che, per quanto riguarda Internet, si acquisti consapevolezza: io sono sempre in Internet, utilizzo normalmente la rete dei social, ma penso che sia necessario che si impari ad utilizzarlo un po’ meglio, e soprattutto bisogna capire che non si tratta di violenza fisica: assolutamente no. E’ una violenza psicologica praticamente insormontabile! Anche se sono ormai passati tre anni, quello che è successo è sempre in un angolo del mio cervello e so che purtroppo, anche se in misura sempre minore, ci rimarrà sempre”.

Dobbiamo sorreggere le famiglie e i genitori. La compartecipazione è fondamentale al fianco delle norme esistenti nel contrasto alle cyber-molestie, ha aggiunto don Fortunato di Noto, fondatore dell’ Associazione Meter:

“Noi dobbiamo far sì che questi luoghi di povertà affettiva, queste nuove periferie digitali – io le vorrei chiamare ‘favelas tecnologiche’ – possano essere abitate e quando latita l’affetto, gli avvoltoi sono all’opera, ovunque! Noi ogni anno lanciamo una campagna nazionale di formazione. Abbiamo lanciato ‘In riga su Internet’. Stiamo distribuendo centinaia di migliaia – anzi se c’è qualcuno che ci aiuta finanziariamente, le possiamo distribuire anche in tutta Europa –  di questi ‘In riga su Internet’. Voi direte: ‘Ma oggi non valgono più le regole!’. Eh no, non è vero perché Internet non è senza regole: Internet ha le sue regole”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Coraggio di parlare, umiltà di ascoltare: la traduzione del testo dell’intervista di Elisaetta Piqué a Papa Francesco pubblicata sul quotidiano argentino "La Nacion".

La salvezza non si compra: il Papa all’Angelus per la solennità dell’Immacolata.

Uscire per dare la vita: messa a Santa Marta.

La deterrenza nucleare non può essere base della coesistenza pacifica: messaggio di Papa Francesco alla Conferenza sull’impatto nucleare delle armi atomiche.

Guerra ai bambini: drammatico rapporto sui minori vittime dei conflitti.

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Oggi in Primo Piano



Unicef: 230 milioni di bambini vittime di orrori nel 2014

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230 milioni di bambini vivono attualmente in Paesi e aree colpite da conflitti armati e ne restano vittime: è quanto denuncia l’Unicef  sottolineando che troppo spesso vengono dimenticati dalle cronache. Il servizio di Fausta Speranza: 

In Repubblica Centrafricana, Iraq, Sud Sudan, Stato della Palestina, Siria e Ucraina, 15 milioni di bambini in questi mesi sono stati coinvolti direttamente in conflitti violenti. Uccisi, reclutati con la forza, individuati deliberatamente come obiettivi da gruppi combattenti. Nella migliore delle ipotesi, piccoli orfani sfollati, rifugiati. Un orrore inaccettabile. E – denuncia l’Unicef – di intollerabile c’è anche che molte di queste crisi non catturano più l'attenzione del mondo. Nonostante che in alcune zone la violenza si sia triplicata rispetto all’anno precedente. Ma se questi sono i conflitti armati più palesi, orrore e disperazione accompagnano le tante aree di conflittualità che nel 2014 si sono inasprite. Anthony Lake, direttore generale dell'Unicef, è chiaro: in tutto il mondo, 230 milioni di bambini sono stati uccisi mentre erano nelle loro classi a studiare o mentre dormivano nei loro letti. O sono stati rapiti, mentre giocavano o andavano a scuola, torturati, reclutati, violentati e perfino venduti come schiavi. L’Unicef cerca di gridarlo al mondo: mai nella storia recente – afferma Lake – così tanti bambini sono stati soggetti a brutalità così terrificanti. E il punto è che in alcuni territori, la violenza è cronicizzata, tanto che da tempo non sono più nelle cronache: Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Pakistan, Somalia, Yemen. Nel raccontarlo, facciamo un elenco di Paesi e di brutalità, impossibile citare i nomi dei bambini che invece vorremmo nominare uno per uno, perché almeno alla storia di ognuno sia restituita la dignità di esistere. 

Ma se il dramma delle condizioni dei bambini nel mondo si aggrava, avviene invece che faccia sempre meno notizia, come afferma, nel'intervista di Fausta Speranza, Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: 

R. – Non fa più notizia. E proprio quest’anno in cui celebriamo i 25 anni della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, questa affermazione è sempre più pesante e dolorosa. Questa Carta, che è stata ratificata da 194 Paese e che comunque ha portato grandissimi cambiamenti nella vita dei bambini, purtroppo oggi è una Carta ancora molto violata. E proprio il tema dello stupro, del reclutamento dei bambini soldati che fa parte dei Protocolli opzionali proprio di questa Carta, rappresenta uno dei più grandi sfregi che i bambini del mondo oggi subiscono. Non dimentichiamo che ci sono ancora 250 mila bimbi che vengono reclutati: moltissimi di loro, con l’avvento di Isis, si trovano a vivere in condizioni difficili e non soltanto con i fucili in mano – lo voglio ribadire! – ma vengono utilizzati come cuochi, come portantini… Assistono purtroppo a decapitazioni, ad uccisioni, a flagelli. Inoltre vengono utilizzati e questa - io lo chiamo il “reclutamento 2.0” - è la grande novità di questi tempi: è quello di bambini utilizzati sui social media, utilizzati attraverso telecamere, attraverso youtube da gruppi estremisti per fare propaganda. Tutto questo è inaccettabile! Questo è davvero inaccettabile proprio nell’anno in cui noi celebriamo i 25 anni della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il trattato più ratificato del mondo, ma – diciamolo -  forse anche il più violato!

D. – In particolare che cosa dire delle aree di conflitto più note, però sembra anche dimenticate: Centrafrica, Sud Sudan, Iraq, Palestina, Siria, Ucraina?

R. – Una situazione davvero incredibile. Faccio l’esempio dei bambini di Gaza, che vivono in questo momento un inverno difficilissimo: questa guerra ne ha colpiti circa 58 mila; ne sono morti 540 e ne sono risultati feriti 3.000. Per non parlare di quello che accade in Siria, dove c’è una guerra che dura da 4 anni: di fatto 7 milioni di bambini sono colpiti da questo conflitto e - non dimentichiamolo - un milione e mezzo sono rifugiati. Noi parliamo di un conflitto vicino, quello del Medio Oriente, ma non possiamo dimenticare la Repubblica Centrafricana: ci sono due milioni e mezzo di bambini coinvolti in un conflitto che dura ormai da anni e purtroppo evidenze di 10 mila bimbi reclutati da gruppi armati. Oppure il Sud Sudan, una nazione che, tra l’altro, ha una vita molto breve, perché è nata qualche anno fa: si stima che ci stiano 235 mila bambini sotto i cinque anni che hanno problemi grandissimi di malnutrizione acuta grave e anche qui migliaia – 750 mila - sono i bambini sfollati. Sembra un quadro infernale, ma purtroppo avviene vicino e lontano da noi nel silenzio generale. Noi possiamo dire con forza che questo è stato un anno devastante!

D. – Se ne parla meno, ma anche in Ucraina i bambini sono state vittime…

R. – E’ emblematica! Non ci dimentichiamo che ci sono bambini sfollati, che ancora hanno bisogno di assistenza: molti sono rimasti orfani, qualcuno è stato vittima di violenza; molti di loro si trovano spesso a vivere in ripari di fortuna, in condizioni climatiche chiaramente molto difficili, con casi di malnutrizione acuta che cominciano a verificarsi. Hanno bisogno chiaramente di assistenza e – questo è forse l’evidenza maggiore – hanno enormi problemi igienico-sanitari collegati a questo status.

D. – Se ci sono crisi come quelle in Iraq, Centrafrica, Palestina, Siria, che sono state sulle cronache per alcuni mesi o settimane e poi sono state dimenticate, ce ne sono altre che da anni un po’ dimentichiamo: Nigeria, Congo, Somalia, Yemen, Afghanistan… E’ così?

R. – Sì, è così! Prendiamo una per tutte, quella della Nigeria, un Paese che qualche mese fa avevamo tutti inneggiato al successo perché era diventata una delle prime economie di tutta l’Africa: purtroppo nel Nord ci sono ancora delle situazioni di guerriglia molto forti; non dimentichiamo che Boko Haram fa attentati praticamente ogni giorno. Abbiamo lanciato la campagna “Bring Back Our Girls”, ma non se ne parla più, invece ci sono ancora rapimenti, di maschi, femmine, bambini. Prosegue la distruzione delle scuole, le uccisioni violente fatte fermando pullman sono all’ordine del giorno e colpiscono un Paese purtroppo ancora dilaniato, perché il Nord – come sappiamo – è nelle mani dell’estremismo islamico.

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Filippine. Si contano i danni del tifone Hagupit

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E’ salito a 27 morti il bilancio del super tifone "Hagupit" che, con venti a 210 km/h, sabato scorso si si è abbattuto sulle Filippine, sfiorando la capitale Manila. Il maggior numero di decessi si conta sull’isola orientale di Samar, già colpita dal tifone Haiyan che nel novembre 2013 provocò ottomila tra morti e dispersi. In prima linea nei soccorsi agli sfollati, circa un milione, c’è la Caritas che ha messo a disposizione chiese e seminari. Lo conferma Irene Broz della squadra di emergenza di Caritas Internationalis, intervistata da Paolo Ondarza: 

R. – Effettivamente, sono state evacuate un milione di persone. Alcune sono potute tornare nelle loro case, altre sono ancora nei centri di accoglienza. Si calcola che due milioni di persone siano state colpite. I dati non sono ancora certi, perché sono in corso le valutazioni dei bisogni, le telecomunicazioni hanno subito danni tali che non permettono di avere un normale flusso di informazioni, per cui i dati certi emergeranno nei prossimi giorni.

D. – E per quanto riguarda i danni alle abitazioni?

R. – Anche su quello sono in corso le valutazioni del caso per cui non abbiamo ancora dati certi.

D. – L’azione di Caritas è stata tempestiva?

R. – Assolutamente si. Dopo l’impatto di Haiyan e tutte le conseguenze c’era una grossa paura legata all’arrivo di Hagupit, però la preparazione è stata ottima sia da parte del governo che da parte della rete Caritas Filippine che, in collaborazione con la diocesi, ha cominciato a organizzare piani di emergenza tre giorni prima dell’arrivo del tifone. Caritas ha mobilitato fondi a livello locale e ha anche lanciato un appello di raccolta di fondi. Si può dire che la reazione sia stata rapida ed efficace.

D. – Hagupit ha colpito in particolare l’isola orientale di Samar, ma non solo. Come si caratterizza la popolazione interessata?

R. – Parte della traiettoria di Hagupit è la stessa di Haiyan. Molte di queste persone vivono di agricoltura, di pesca e si trovavano nel processo di ripristinare le loro vite dopo Haiyan.

D. – È una zona in fase di ricostruzione che ha subito ulteriori danni?

R. – L’impatto è doppio per parte della traiettoria di Hagupit, non tutta. Però, per quanto riguarda Samar effettivamente le persone colpite in parte sono le stesse che hanno subito danni in seguito ad Haiyan.

D. – Possiamo parlare sicuramente di un danno forte, ingente in termini di vite umane. Un danno in termini economici e a livello psicologico per queste persone…

R. – Certo. La paura di Hagupit era anche legata ai traumi subiti da Haiyan che sono ancora più che vivi nella memoria della popolazione. Per cui, assolutamente c’è anche un danno a livello psicologico, emotivo che non è da sottovalutare.

D. – Come si può contribuire all’azione di Caritas?

R. – Le donazioni a Caritas Internationalis saranno devolute alla risposta ad Hagupit. Dato che le valutazioni sono in corso, non abbiamo ancora una scala precisa dei danni e delle necessità a cui rispondere. In ogni caso, è sufficiente fare una donazione a Caritas Internationalis con un menzione specifica per le Filippine, per la risposta ad Hagupit. Questi soldi in seguito saranno devoluti a Caritas Filippine.

D. – Parrocchie, seminari sono stati messi a disposizione degli sfollati e tra un mese il Papa sarà nelle Filippine: a Toclaban incontrerà i superstiti di Haiyan. La gente sente questa vicinanza della Chiesa?

R. – Assolutamente sì. Si può dire che nelle Filippine la visita del Papa sia uno degli eventi che suscita più interesse e più aspettative da parte della popolazione. La risposta della Chiesa è stata forte. Anche in questo caso la Chiesa è molto vicina alle popolazioni toccate, per cui la visita del Papa è sicuramente molto significativa e sarà accolto nel migliore dei modi.

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Ebola, virus non demorde. La Boldrini ringrazia gli operatori

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Con circa 7.800 casi di contagio, la Sierra Leone, riporta l’Oms, ha superato la Liberia nella diffusione di Ebola. L’emergenza si aggrava, e oggi alla Camera dei deputati la presidente Laura Boldrini ha organizzato un incontro sull’allarme virus, appuntamento al quale hanno partecipato gli operatori umanitari delle varie organizzazioni impegnate nei tre Paesi maggiormente colpiti: Liberia, Sierra Leone e Guinea. Il servizio di Francesca Sabatinelli

“Dell’allarme Ebola ce ne siamo accorti tardi, quando i primi occidentali sono morti”: è stata questa la denuncia di Laura Boldrini nel ricevere oggi coloro che ha definito 'gli italiani eroi, che sfidano la paura, in prima linea nella lotta contro Ebola, che si distinguono per generosità e professionalità’. Ad ascoltarla c’erano gli operatori delle principali organizzazioni e istituzioni impegnate nel contrasto ad Ebola, tra le quali Emergency, Action Aid Italia, Fao, Istituto Superiore di Sanità, Oxfam, Medici con l’Africa – CUAMM, Medici senza frontiere Italia. E di Msf fa parte Saverio Bellizzi, medico-epidemiologo rientrato una settimana fa dalla Guinea, Paese dove negli ultimi mesi si è recato tre volte e dove tornerà a gennaio:

R. – La situazione è tuttora fuori controllo. In Guinea, addirittura, i casi del mese scorso hanno superato i casi di ottobre in cui si pensava si fosse ad un picco e ciò vuol dire che ci sono ancora numerosi focolai distribuiti in tutto il territorio. Adesso, man mano, dalla cosiddetta Guinea forestale l’epidemia si sta muovendo verso il nord, quindi, c’è ancora molto da fare. Parallelamente, sappiamo bene che in Sierra Leone l’epidemia è ancora molto molto attiva e che in Liberia c’è un leggero calo.

D. – Queste tre zone, quindi, non hanno un andamento simile?

R. – No, perché molto dipende dal contesto culturale, territoriale e anche dalla risposta locale delle organizzazioni e  delle autorità locali.

D. – In Guinea, dove è stato adesso lei, che tipo di risposta si sta dando al virus?

R. – La risposta è notevolmente migliorata con sul campo numerose organizzazioni internazionali e locali. C’è però ancora molto bisogno di un migliore coordinamento e di risorse umane che vengano collocate un po’ dappertutto, per poter arrestare l’epidemia.

D. – In questo momento, l’epidemia si sta affrontando nel modo giusto? All’inizio c’è stata la denuncia di chi diceva che ne fosse stata sottovalutata la portata. Allora, secondo lei, in che modo la comunità internazionale deve affrontare questo problema?

R. – Sicuramente, all’inizio, quando è stata data l’allerta, parliamo quindi di marzo, la situazione è stata molto sottovalutata e Medici senza Frontiere era l’unica organizzazione che era intervenuta immediatamente. Con il passare del tempo, dopo il continuo richiamo da parte nostra e anche da parte delle Nazioni Unite, più organizzazioni si sono messe in moto e adesso abbiamo una risposta che è molto migliore rispetto a quella precedente. Ciò non toglie che ci sia ancora molto, molto, bisogno soprattutto di risorse umane, in considerazione del fatto che tutto il sistema sanitario è stato stravolto. I medici, molti operatori sanitari locali, stanno ancora morendo in questo momento nei tre Paesi.

D. – Da parte della popolazione di questi Paesi c’è stata una presa di coscienza maggiore e quindi una capacità superiore di affrontare la malattia, o la paura sta creando problemi a voi che lavorate?

R. – La situazione, per quanto riguarda la risposta delle popolazioni, è molto variegata. A livello urbano, dove è stata fatta molta sensibilizzazione, la risposta è migliorata notevolmente e abbastanza rapidamente. In zone rurali, invece, permane ancora quello stato di resistenza, di non accettazione della malattia e ciò rende molto complicato affrontare la malattia stessa.

D. – Uno degli aspetti più gravi e più drammatici è quello dei bambini, che sono più volte vittime: perché si ammalano, o perché perdono i genitori, o perché sono vittime dello stigma sociale. Questa emergenza minori a che punto è?

R. – E’ un problema che sta venendo a galla sempre di più. Ci sono intere famiglie che vengono “sterminate” dalla malattia e quindi sempre più bambini piccoli che rimangono senza genitori o senza alcuna persona della famiglia che possa tenerli a bada. Quindi, il problema è venuto a galla da diversi mesi e adesso ci sono più e più organizzazioni che stanno cercando di affrontare il discorso.

D. – A lei cosa spaventa di più di questa epidemia, di ciò che sta avenendo in questi Paesi?

R. – La cosa che mi spaventa e che mi lascia un po’ timoroso è il fatto che si perda l’attenzione su questa malattia. Anche questo andare avanti e indietro dell’attenzione mediatica potrebbe far sì che le risorse promesse o le risorse che servono non vengano messe completamente in azione, perché verrà a mancare un po’ la percezione della situazione che è tuttora è molto grave.

Medici con l’Africa – CUAMM ha un team di cinque persone a Pujehun, nel sud della Sierra Leone, al confine con la Liberia, con 350 mila abitanti. Gli operatori sanitari non si occupano del trattamento ma procedono all’accertamento dei casi. Andrea Borgato, è il vicedirettore del CUAMM:

R. – La situazione rimane ancora grave, nel senso che i nostri cinque operatori sul campo continuano a dirci che purtroppo sono moltissimi i casi che vengono ancora rilevati positivi di Ebola. Nel distretto dove siamo noi, sembra che i casi stiano aumentando. C’è stato un periodo in cui c’era stata una flessione e c’eravamo anche un po’ illusi che la cosa stesse terminando. Invece, in questi giorni, registriamo ancora un aumento di casi, che vengono poi trasferiti ai centri di trattamento.

D. – Voi siete stati ricevuti da Laura Boldrini, che nel parlarvi ha elogiato molto il vostro lavoro, sicuramente ad altissimo rischio. Ha poi sollecitato l’invio di cinquemila operatori sanitari nei Paesi colpiti e un forte intervento dell’Unione Europea. Voi ritenete che questo sia necessario? Manca il personale? Mancano i fondi?

R. – Sicuramente, il sistema sanitario locale è un sistema sanitario molto fragile e debole e con questa epidemia è diventato ancora più debole e infragilito ed è incapace purtroppo, anche per mancanza di personale adeguato, di gestire la situazione. Sicuramente, c’è bisogno di un intervento di personale sanitario qualificato. I cinquemila invitati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sono i numeri che sembrerebbero necessari per affrontare in modo adeguato l’epidemia. Ci pare che il governo italiano abbia cominciato a fare qualcosa e la presidente Boldrini annunciava oggi che è stato approvato alla Camera, nella Legge di stabilità, un emendamento che dovrebbe consentire l’aspettativa al personale sanitario italiano per poter poi recarsi, anche per periodi brevi, in questi Paesi che sono stati così duramente colpiti da Ebola.

D. – Questo è un aspetto molto importante, perché è opportuno sottolineare che tutto il personale sanitario che si è recato in questi Paesi lo ha fatto a titolo volontario, prendendo le ferie…

R. –  Direi di sì. La maggior parte di chi ha potuto trasferirsi in quei Paesi, l’ha potuto fare soltanto in questo modo, quindi per periodi molto, molto, brevi. E ovviamente i periodi molto brevi rischiano di essere non totalmente efficaci, proprio per dare continuità a un lavoro sul campo, anche in termini di organizzazione e di formazione del personale locale. Anche questo, infatti, è un elemento fondamentale: dare opportunità agli operatori sanitari locali di formarsi e di essere capaci insieme agli operatori internazionali di far fronte ai problemi che questa epidemia ha portato dentro il sistema sanitario. Quello che conta, secondo noi, è che i riflettori dell’informazione continuino a rimanere accesi su questo problema. Oggi c’è Ebola, domani potrebbero esserci altre epidemie che si sviluppano in Paesi come l’Africa. E come si diceva oggi nell’intervento che è stato fatto alla Camera con la presidente Boldrini, c’è bisogno che il mondo e anche lo stesso nostro Paese, il governo italiano, investa sempre di più verso questi Paesi, aiutandoli a sostenere i propri sistemi sanitari. Dando nuovo fiato, nuova aria, a questi sistemi e dando anche nuova prospettiva di futuro, sicuramente certi problemi, anche di tipo sanitario, dovrebbero nel tempo trovare risposte molto più concrete e più immediate di quelle, come è successo in questi giorni.

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Card. Barbarin: cristiani in Iraq fedeli nonostante l'orrore

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Un momento di “fraternità, luce e fede”. Così il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, descrive il momento in cui, sabato scorso, durante la sua visita in Iraq, ha consegnato ai cristiani iracheni il videomessaggio di Papa Francesco. Le parole di conforto del Papa sono state ascoltate da migliaia di fedeli al termine della processione per l’Immacolata, svoltasi la sera del 6 dicembre per le vie di Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana della città di Erbil dove dallo scorso agosto hanno trovato rifugio gran parte dei profughi fuggiti dall’avanzata dei jihadisti. Il cardinale Barbarin racconta la sua visita al microfono di Ciprien Viet

R. – On a reçu tellement d’images violentes, horribles à propos d’Irak…
Abbiamo visto tante immagini violente, orribili riguardo all’Iraq, mentre in questa occasione abbiamo avuto immagini di fraternità, di luce e anche di fede. Quello che ammiro di più  dei cristiani perseguitati – e il Papa li ha ringraziati per questo – è che sono rimasti fedeli: nonostante le persecuzioni, nessuno ha rinnegato Cristo. Era stato detto loro: “O vi convertite all’islam, o prendete lo status di ‘dhimmi’ – che è una sorta di schiavitù – oppure ve ne andate, oppure sarete uccisi”. E sono partiti tutti. Questo è una segno di fedeltà a Cristo! Certamente, poi, c’è il contraccolpo, perché non hanno più la loro casa, non hanno più il loro lavoro, i figli non vanno a scuola, hanno lo stretto indispensabile per proteggersi dal freddo, dalla pioggia, per mangiare e vestirsi… E’ tempo di verificare che abbiano quanto è necessario da un punto di vista medico e sanitario e poi che si possano far tornare i bambini a scuola. Non ci sono ambienti per accoglierli, non ci sono le classi, non c’è nemmeno materiale scolastico… E poi serve che tutti possano ritrovare un lavoro. A Erbil c’è vita, e c’è anche molto lavoro … E’ bello anche vedere che tutte le associazioni che vengono dall’Europa non portano con sé cose materiali: vengono e fanno lavorare le persone sul posto, secondo il mestiere di ciascuno. E questo, naturalmente, è molto bello.

Sull’importanza di questa vicinanza del Papa si sofferma, sempre al microfono di Ciprien Viet, anche il patriarca Louis Raphaël I Sako di Babilonia del caldei: 

R. – Oh, cela nous a apporté beaucoup! Donc, un soutien moral…
Oh, ci ha dato molto! Intanto, un sostegno morale e spirituale straordinario. Ha visto quante persone c’erano, ieri (il 6 dicembre – ndr)? Erano oltre 5 mila persone in strada, davanti alla statua della Vergine Maria! Ho visto le lacrime negli occhi delle persone, lacrime di gioia e di speranza: perché sono molto colpiti da questa presenza, che è una presenza non solo di solidarietà, sia pur da lontano, ma una presenza fisica. Loro sono qui, tra noi, per condividere con noi la nostra sofferenza ma anche la nostra speranza.

D. – La processione di sabato sera è un segno: significa che i cristiani possono ancora vivere la loro fede liberamente, pubblicamente, in Iraq?

R. – Tout à fait, tout à fait. Et vous avez remarqué…
Infatti. E lei ha visto anche che il dono semplice di una candela fa la festa. Hanno bisogno di un piccolo gesto perché siano rassicurati di non essere stati dimenticati o isolati. Ecco perché questa visita ha donato molto a queste famiglie sfollate.

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ISTAT: nel 2013 record di italiani in fuga dall'Italia

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L'Italia attrae meno gli immigrati. Nel 2013, gli arrivi sono stati 307 mila, 43 mila in meno rispetto all'anno precedente. E' quanto emerge dall'ultimo rapporto dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. Mai così tanti, poi, gli italiani in fuga dal proprio Paese. Il servizio di Adriana Masotti

All’Italia si guarda di meno, ma l’Italia rimane comunque meta di consistenti flussi migratori dall’estero. 307 mila, tra italiani e stranieri, le iscrizioni all’anagrafe nel 2013, il 12,3% in meno rispetto all’anno precedente. La comunità straniera più rappresentata tra gli immigrati è quella rumena che conta 58 mila nuovi iscritti, 23 mila unità in meno rispetto al 2012. Seguono le comunità del Marocco (20 mila), della Cina (17 mila) e dell'Ucraina (13 mila). Nel 2013, le cancellazioni di cittadini stranieri residenti sono cresciute del 14,2% rispetto al 2012. Il commento di Enrico Tucci, ricercatore del Servizio struttura e dinamica demografica dell’Istat:

"Un primo commento che va fatto riguarda il livello dell’immigrazione che negli anni passati era molto alto. Il livello che si è avuto nei dieci anni precedenti difficilmente poteva durare a lungo. Quindi, che ci fosse un calo era anche abbastanza fisiologico. Però, chiaramente, questa minore attrattività dell’Italia nei confronti dell’estero è dovuta anche a fattori legati alla situazione economica del Paese. E, quest’ultima osservazione è confermata dal fatto che sono anche aumentati i rientri dei cittadini stranieri che tornano nel loro Paese di origine, oppure si spostano in un altro Paese europeo dove pensano di poter migliorare la loro situazione economica e lavorativa".

Secondo i dati Istat, il 2013 segna il dato record degli ultimi dieci anni riguardo agli italiani emigrati all’estero: 82 mila quelli che hanno lasciato l’Italia, il 20,7% in più rispetto all’anno precedente. Quelli rientrati sono invece 28 mila, mille in meno rispetto al 2012. Le principali mete di destinazione degli emigrati sono il Regno Unito (13 mila emigrati), la Germania (oltre 11 mila), la Svizzera (10 mila) e la Francia (8 mila). Lasciano il Belpaese soprattutto persone giovani e oltre il 30% di loro possiede una laurea. Sentiamo il dott.Tucci:

"Il dato degli emigrati italiani è sicuramente in forte aumento. Siamo passati da 68 mila a 82 mila emigrati di cittadinanza italiana in un solo anno. L’incremento è molto forte anche rispetto all’anno precedente, però diciamo che se si confronta questo dato al periodo pre-crisi, al 2008 ad esempio, questo numero è più che raddoppiato. Chi si sposta è principalmente di genere maschile: è un giovane dell’età compresa tra i 20 e i 45 anni nel 60% dei casi ed ha un titolo di studio medio-alto. I due terzi dei cittadini italiani che emigrano hanno almeno un diploma".

Mettendo insieme i due dati, il fatto che ci siano meno arrivi dall’estero e più partenze, si vede la popolazione italiana orientata a una diminuzione nel suo complesso. Una fotografia che il dott. Tucci conferma:

"Sì, questo in parte è vero, nel senso che noi abbiamo un saldo naturale – cioè la differenza tra le persone che nascono e quelle che muoiono – che è negativo. Però, l’immigrazione dall’estero continua più che a compensare questa perdita di popolazione. Il fatto che questo saldo migratorio stia fortemente diminuendo e che il saldo naturale continui a essere sempre più negativo, negli anni, neanche tantissimi, lascia prevedere che ci sia un’inversione di tendenza, cioè che la popolazione italiana, che ancora oggi continua a crescere, poi inizi ad invertire questa tendenza, ovvero a decrescere. Il dato secondo me che va evidenziato è il fatto che chi parte, in genere, è una forza lavoro ben istruita e sono sempre meno gli immigrati stranieri che la rimpiazzano".

Infine, nel 2013 i trasferimenti di residenza interni al territorio nazionale hanno coinvolto 1 milione 362 mila individui, quasi tutti italiani, confermando l'attrattività delle regioni centro-settentrionali nei confronti di quelle meridionali. Ancora il dott. Tucci:

"Si, rimane comunque forte il flusso migratorio tradizionale, che riguarda in prevalenza cittadini italiani che si spostano dal Mezzogiorno al Centro-Nord. Il fatto nuovo è che negli ultimi dieci anni è calata molto l’attrattività delle regioni nordorientali come le Marche e l’Emilia Romagna. Anche nell’ultimo anno hanno fatto registrare un forte calo delle iscrizioni dal Mezzogiorno. Invece, rimangono stabili i flussi migratori che dal Mezzogiorno si dirigono verso le regioni nordoccidentali, Piemonte e Lombardia. Su questo ha inciso anche molto questa situazione economica, che ha colpito maggiormente le regioni che si erano sviluppate di più negli ultimi anni".

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Presentata la V edizione del Presepe vivente di Matera

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Ritorna la V Edizione del Presepe vivente nei Sassi di Matera dal titolo: "Segui la Stella Cometa", che si svolgerà dal 2 al 5 gennaio 2015. Si tratta del primo appuntamento internazionale che celebra Matera come città designata Capitale europea della Cultura 2019, città già Patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco. Il presepe vivente di Matera, presentato oggi presso la Sala Stampa estera a Roma alla presenza, tra gli altri, del sindaco Salvatore Adduce, vedrà la partecipazione di oltre 300 persone, tra figuranti e rievocatori storici. L'evento è promosso, tra gli altri, dal Comune, dalla Provincia di Matera e dalla Regione Basilicata. Luca Collodi ne ha parlato con Luca Prisco, responsabile Comitato promotore Presepe Vivente Matera 2019: 

R. - Siamo giunti alla quinta edizione, quattro giorni dal 2 al 5 gennaio. Quest’anno ci sono diverse novità. La prima: il titolo “Segui la stella cometa”; ci sarà una scia luminosa che seguirà tutto il percorso. Ricordiamolo, sono 5 km di percorso. Quest’anno abbiamo quasi 400 figuranti; abbiamo l’aggiunta di due scene importanti: la prima è l’Annunciazione e l’ultima, alla fine della scena presepiale, sarà anche la strage degli innocenti.

D. - Un presepe che non si ferma soltanto alla Natività, ma che percorre almeno in parte la vita di Gesù  …

R. – Già dall’allocazione iniziale: noi facciamo sì che Matera diventi una Galilea di duemila anni fa. Insieme al gruppo storico romano formato da 70 persone, ricreiamo appunto quella che doveva essere nell’immaginario popolare l’arrivo di Gesù in una Galilea romana.

D. - Si entra dentro il presepe …

R. - Diciamo che le quinte del presepe sono i sassi di Matera, quindi la scenografia da sempre utilizzata - appunto - come sfondo per il presepe. Noi facciamo una scenografia ferma, quindi è il turista il visitatore che cammina e vede queste scenografie che di volta in volta cambiano, fino ad arrivare alla natività.

D. - Chi visiterà il presepe tra i sassi di Matera, vedrà scene statiche ma un grande gioco di luci …

R. - Noi stiamo puntando molto su questo: scie luminose, rappresentazioni di stelle addirittura sull’Altopiano delle Murge, quindi un intero altopiano che viene illuminato, e poi naturalmente la scenografia più bella, una stella cometa di un diametro di cinque metri montata spora la capanna. Sarà quindi un percorso non solo scenografico, ma illuminotecnico che accompagnerà i visitatori per tutto il percorso.

D. - Matera è designata capitale europea della cultura 2019. Questo aspetto di cultura e religione ha da sempre caratterizzato la città …

R. - Sicuramente oggi l’attenzione è aumentata, ma io voglio ricordare che già negli anni passati – negli anni ’50, ’60, quando Matera viene dichiarata “vergogna d’Italia” con il libro Cristo si è fermato a Eboli  - artisti quali Pasolini o altri la scelgono per i loro set cinematografici, quindi tentano di rivalutarla per ricambiare quella che era l’idea nazionale di vergogna di promiscuità tra uomo e bestia.

D. – Matera, i sassi di Matera, sono il luogo di grandi film. Perché Matera ha un richiamo soprattutto religioso da questo punto di vista?

R. - Sempre facendo un passo indietro nella storia, ricordiamolo: ad oggi Matera annovera 158 chiese rupestri e una quindicina in barocco o romanico-pugliese. Io dico che il connubio perfetto sin dal Medioevo, ancora oggi, è forte. È una scenografia naturale, che ricorda molto il misticismo, la vita di Gesù; che ricorda l’anima e quindi praticamente si ha una scenografia intatta: bisogna vederla per capirla.

D. - In un periodo di crisi come quello attuale un’iniziativa come questa, di una Matera vista in prospettiva culturale verso il 2019 che senso ha?

R. - Noi su questo discutiamo da sempre con la nostra amministrazione. In Italia se ne parla; il ministro Franceschini dà sempre degli ottimi spunti. Ricordiamo la cultura quale volano economico per una realtà – quella italiana - ricca di cultura e di monumenti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Parolin: riscopriamo la famiglia

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“Per gli italiani speriamo sia un Natale sereno anche se sappiamo che ci sono tante nuvole che si addensano sul loro cielo”. Lo ha detto ieri sera ai giornalisti presenti il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, davanti la basilica di san Francesco d’Assisi prima dell’accensione dell’albero di Natale che si è tenuta ieri sera.

“Il Natale è la festa della speranza e della voglia di ricominciare sapendo che non siamo soli in questo cammino, anche se a volte faticoso - ha aggiunto il cardinale -. Dobbiamo riscoprire la famiglia e questo è l’impegno della Chiesa. Rispondere alle sfide sulla famiglia perché è fondamentale per la società e per la Chiesa. Senza famiglia non c’è presente e non c’è futuro. Riscopriamo la famiglia, viviamo la famiglia”.

Nella sua omelia per la solennità dell’Immacolata Concezione nella basilica di san Francesco d’Assisi, il card. Parolin ha sottolineato che “il nostro è un tempo nel quale il progresso tecnico-scientifico ha portato tanti benefici alla vita umana, ma si accompagna a una incertezza di valori morali che mette a rischio la dignità della persona”. Facendo riferimento alla festa dell’Immacolata, il porporato ha evidenziato che “l’Immacolata Concezione canta il trionfo della divina misericordia e indica il sogno di Dio per l’umanità, voluto per ciascuno di noi”.

“La festa odierna non esalta solo Maria, ma anche la nostra vocazione. Guardando a Lei, sentiamo il desiderio di una bellezza autentica, che coinvolga tutta la nostra vita. Maria, la tutta bella, ci dice che è possibile rendere più bella la nostra vita e il nostro mondo e che il Signore desidera abitare con noi, diventare l’Emmanuele, il Dio con noi”, ha spiegato il cardinale. In questo cammino inaugurato da Maria “troviamo anche Francesco”, che “ci invita a spogliarci della mondanità, per rivestirci di Cristo”.

Il porporato ha ricordato a questo proposito le parole di Papa Francesco ad Assisi, quando visitò la “Sala della spogliazione”: “La spogliazione di San Francesco ci dice semplicemente quello che insegna il Vangelo: seguire Gesù vuol dire metterlo al primo posto, spogliarci delle tante cose che abbiamo e che soffocano il nostro cuore, rinunciare a noi stessi, prendere la croce e portarla con Gesù. Spogliarsi dell’io orgoglioso e distaccarsi dalla brama di avere, dal denaro, che è un idolo che possiede”. Di qui l’invito di guardare a san Francesco, che si spogliò delle vanità del mondo e si rivestì delle stigmate di Cristo, che accolse il Vangelo ‘sine glossa’, riparando così la Chiesa che rischiava di andare in rovina”. (R.P.)

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Malaria in Africa: meno contagi e meno vittime

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In Africa l’emergenza ebola continua, ma dalla lotta alla malaria arrivano buone notizie: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), tra il 2000 e il 2013 nel continente di gran lunga più colpito, i casi di contagio sono diminuiti da 173 a 128 milioni, mentre il tasso di mortalità si è più che dimezzato.

Secondo Margaret Chan, direttrice generale dell’Oms - riferisce l'agenzia Misna - i progressi sono dovuti a “strumenti migliori, più impegno politico, intensificarsi delle iniziative regionali e forte crescita dei finanziamenti nazionali e internazionali”. A poter utilizzare zanzariere impregnate di insetticida sarebbe ora circa la metà della popolazione delle aree a rischio, mentre nel 2004 il dato era del 3%. Meno incoraggianti i dati sulle donne incinte che si sottopongono alle cure preventive: a oggi non più del 43%.

Nel complesso l’Oms calcola che nel 2013 a livello globale la malaria abbia causato circa 584.000 vittime, in nove casi su dieci africane. Lo scorso anno i bimbi con meno di cinque anni morti per la malattia sono stati 453.000, 437.000 dei quali africani.

Due i Paesi dove per la prima volta non si sono registrati casi, Azerbaigian e Sri Lanka, mentre in altri 11 è stato mantenuto l’obiettivo “zero contagi”: è andata così in Argentina, Armenia, Egitto, Georgia, Iraq, Kirghizistan, Marocco, Oman, Paraguay, Turkmenistan e Uzbekistan. (R.P.)

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Congo: appello di pace dopo i massacri nel Nord Kivu

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“Vogliamo attirare l’attenzione della comunità internazionale sulla guerra più mortale come sul terrorismo che si stanno intensificando in questa parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, la cui popolazione attende una risposta immediata” afferma una nota del Coordinamento della Società civile del Nord Kivu, dopo l’ennesima strage di civili innocenti ad opera del gruppo di guerriglia di origine ugandese Adf-Nalu.

Secondo la nota inviata all'agenzia Fides, nel Territorio di Beni nella notte tra il 6 e il 7 dicembre i guerriglieri hanno assalito tre villaggi provocando 37 vittime. L’esercito congolese, appoggiato dai Caschi Blu della Missione Onu nella Rdc (Monuc), si è scontrato con gli assalitori, tre dei quali sarebbero stati uccisi.

Nel corso della loro fuga i guerriglieri hanno però assalito nella notte tra il 7 e l’8 dicembre almeno 5 villaggi, provocando la morte di 13 persone e il ferimento di 50. Gli abitanti dei villaggi colpiti sono fuggiti per paura di altre violenze.

Il Coordinamento della Società civile ha indetto due giorni di lutto ed ha annunciato l’avvio di un dialogo con i notabili di Butembo-Beni, “perchè ciascuno porti il proprio contributo per fermare la spirale di violenza fredda, mortale e sistematica che ha preso in ostaggio la popolazione del Territorio di Beni, serrandola in una morsa di terrore, di sfiducia e di confusione estreme”. (R.P.)

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Centrafrica: appello della Chiesa contro autori delle violenze

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“Dove sei?”. La domanda di Dio, dopo la trasgressione di Adamo ed Eva, rivolta a tutta l’umanità, viene riportata alla situazione della Repubblica Centrafricana da parte di mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, nella sua omelia di ieri per la Messa della solennità dell’Immacolata Concezione.

“Dove sei tu, giovane uomo, che sei stato armato, drogato e mandato a depredare, uccidere, bruciare i villaggi? Esci dai gruppi armati, deponi l’arma e riprendi il cammino della formazione per crescere e partecipare allo sviluppo del Centrafrica” afferma mons. Nzapalainga nella sua omelia.

L’arcivescovo di Bangui - riporta l'agenzia Fides - richiama la responsabilità di tutti nelle violenze che hanno sprofondato il Centrafrica nella sua peggiore crisi dall’indipendenza. Ai capi guerriglia: “Dove sei tu, il capo milizia che manipola, che si arricchisce sulla pelle dei poveri e semina il terrore, la morte e la desolazione? Esci dalla ribellione! Fai atto di contrizione per riconciliarti con la tua comunità e ritrovare la pace del cuore e dell’anima”.

Ma c’è pure la responsabilità delle donne che incitano alla violenza: “Dove sei tu, madre o sorella che alimenti il fuoco dello scontro armato con le tue menzogne e incitazioni all’odio e alla divisione? Esci dalla collera e dal desiderio di vendetta per pronunciare parole di pace, perdono e riconciliazione. In questo modo instraderai i tuoi figli e i tuoi fratelli sul cammino del bene”.

C’è poi il politico che “si nasconde dietro il pretesto di una crisi asseritamente religiosa per appagare il desiderio di vendetta personale e conquistare il potere con la violenza”. “Esci da questa situazione - esorta mons. Nzapalainga - riconsidera il tuo progetto politico e il tuo impegno per una vita migliore di questo popolo, che non conosce altro che la prepotenza da troppo tempo”.

L’ultima domanda “a te che fornisci le armi e che ti nascondi dietro i gruppi armati per conquistare parti di mercato. Chi sei? Dove sei? Dove sei tu?”. Domande che fanno prefigurare responsabilità che vanno oltre la Repubblica Centrafricana e che riguardano diversi attori internazionali, pubblici e privati.

“È venuto il momento di fermare le violenze. Di fare spazio alla grazia del perdono ricevuto oggi per voltare pagina, guardarsi di nuovo negli occhi e camminare ancora una volta insieme” conclude mons. Nzapalainga. (R.P.)

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Pakistan: ancora soprusi contro i cristiani

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"Sono stata picchiata e umiliata in pieno giorno solo perché appartengo alla comunità cristiana. Combatterò per ottenere giustizia e portare i colpevoli dietro le sbarre, perché ad altri poveri cristiani come me possa essere risparmiato tutto questo in un futuro". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews Alishba Bibi, vittima di un attacco brutale nelle scorse settimane da parte di una potente famiglia musulmana della zona.

Originaria della colonia di Rana Town, nel distretto di Sheikhupura, nella provincia del Punjab (la più popolosa del Pakistan), la 30enne e madre di quattro figli è stata aggredita in modo brutale e costretta a sfilare nuda, in seguito a una banale controversia. "Del resto - aggiunge la donna - è prassi comune che in questa zona i cristiani siano vittime delle angherie di questa famiglia, nessuno osa contrapporsi a Mushtaq Gondal perché vanta stretti legami con politici e malfattori. Tuttavia, non farò un passo indietro e lotterò sino a che non avrò ottenuto giustizia".

L'aggressione risale al 19 novembre: rientrando a casa con la figlia, dopo averla prelevata da scuola, Alishba Bibi viene aggredita a parole da una donna, Rani Bibi, appartenente a una famiglia musulmana molto influente della zona. Fra le due nasce un diverbio, durante il quale Rani chiama in aiuto i due figli, Muneeb Gondal e Mubeen Gondal.

I due giovani, armati di bastone, picchiano in modo selvaggio Alishba e, dopo averla denudata, derubata del telefono e di diecimila rupie, la abbandonano priva di sensi in mezzo alla strada. La madre cristiana viene soccorsa da due donne, Shamim Bibi e Rehana Shaukat, che abitano nella zona e la conducono nella casa di una di loro, per le prime cure mediche.

Decisa a ottenere giustizia, Alishba Bibi - con l'aiuto di Aslam Parvaiz Sahotra, vice-presidente di Human Liberation Commission Pakistan (Hlcp) - sporge denuncia alla polizia di Ferozwala; tuttavia, l'ufficiale a capo della caserma non accoglie con serietà l'istanza, compila in qualche modo i documenti e cerca di minimizzare la vicenda. Il padre dei due giovani, Mushtaq Gondal, è una persona influente della zona, temuta anche dalle forze dell'ordine che arrestano in un primo momento i figli, per poi rilasciarli poco dopo.

Il 5 dicembre era in programma l'udienza preliminare del processo a carico dei due imputati, ma il giudice aggiunto del distretto di Sheikhupura Younis Aziz ha subito aggiornato la seduta. Al momento non è chiaro se Muneeb Gondal e Mubeen Gondal andranno a giudizio. Intanto Alishba Bibi vive protetta negli uffici della Hlcp, nel timore di ritorsioni o vendette. Interpellato da AsiaNews Aslam Parvaiz Sahotra punta il dito contro la polizia, che invece di cercare giustizia si dimostra connivente con i colpevoli. "Per difendere gli imputati, i poliziotti - aggiunge - hanno prodotto un falso rapporto in cui affermano che Alishba avrebbe accoltellato Mubeen Gondal. Questo è il quinto incidente analogo che avviene nella zona, per mano di una leadership influente che vessa cristiani poveri e indifesi". (S.K.)

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Paraguay: la Chiesa denuncia corruzione e narco-politici

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La diffusa corruzione in Paraguay e suoi i legami con il traffico di droga, sono stati denunciati dal presidente della Conferenza episcopale del Paraguay, mons. Catalino Claudio Giménez Medina, vescovo di Caacupé, nell'omelia della Messa celebrata ieri, nel giorno della principale festa cattolica nel Paese, in onore della Madonna di Caacupé, alla quale hanno partecipato il Presidente Horacio Cartes, e alcuni membri del suo governo.

Una fonte locale ripresa dall'agenzia Fides, riporta che migliaia di paraguaiani, come ogni anno, si sono recati al santuario di Nostra Signora di Caacupé, a circa 55 chilometri da Asunción, per festeggiare la patrona della nazione e concludere il pellegrinaggio con la Messa solenne celebrata abitualmente dal vescovo di Caacupé.

Mons. Giménez ha citato nell’omelia il recente rapporto pubblicato da Transparency International, che vede il Paraguay al secondo posto come il Paese più corrotto dell'America Latina, dietro al Venezuela. “Ecco perché ci sono tanti malviventi e criminali per strada – ha detto il vescovo - ma ci sono anche i narco-politici, così la tendenza alla corruzione si estende a tutti i livelli, e diventa quasi inarrestabile. Ci fanno sentire in imbarazzo a livello internazionale".

Il vescovo di Caacupé ha esortato religiosi, fedeli e giovani a continuare ad assumere la sfida di evangelizzare tutti, dai politici corrotti ai massoni, che si fanno passare per cattolici solo per guadagnare adepti. “Dobbiamo vivere nella giustizia e nella verità, e voi giovani dovete seguire Gesù Cristo e gli ideali del Vangelo” ha concluso mons. Giménez. (R.P.)

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Bangladesh: a Dhaka,inaugurata prima università cattolica

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Ha aperto i battenti a Dhaka la prima università cattolica del Bangladesh. Le lezioni alla Notre Dame University Bangladesh (Ndub) sono iniziate ieri. Istituita dai missionari della Holy Cross, l'università conta 283 iscritti e 24 professori. Per il momento, le classi di studio sono inglese, economia, legge, filosofia e amministrazione aziendale.

Il 4 dicembre scorso - riferisce l'agenzia AsiaNews - si è svolta una giornata d'orientamento, alla quale hanno partecipato circa 350 persone. Ospite d'onore era il vescovo emerito di Dhaka, mons. Paulinus Costa, che rivolgendosi agli studenti ha detto: "Questa università vi insegnerà verità e saggezza. Dovrete imparare a essere persone impegnate nella vita professionale tanto quanto quella personale".

Padre Benjamin Costa, vice cancelliere dell'università, ha ringraziato il governo e i benefattori che hanno permesso l'apertura della Ndub. "Come missionari della Holy Cross - ha sottolineato - siamo impegnati a impartire un'istruzione basata sulla qualità; a instillare nei nostri studenti un vero senso di patriottismo e di amore per questo popolo e per il Paese. Con questi obiettivi in mente, il primo anno di studi sarà uguale per tutti gli studenti, che solo dal secondo inizieranno a specializzarsi".

La Notre Dame University Bangladesh ha ricevuto l'approvazione ufficiale del governo il 29 aprile 2013. "Siamo profondamente grati al Primo ministro Sheikh Hasina - ha aggiunto padre Costa - e al dott. A. K. Azad Chowdhury, presidente della Commissione fondi per le università, per questo grande dono. Vogliamo che questa università cresca sulla stessa linea del Notre Dame College di Dhaka, che ha servito il popolo bangladeshi per 64 anni".

In Bangladesh i missionari della Holy Cross sono noti e apprezzati per il loro apostolato educativo. Il primo Notre Dame College è stato fondato a Dhaka nel 1949 e oggi è considerato uno dei migliori del Paese. (R.P.)

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Mafia Capitale: Vicariato aveva estinto Ente ecclesiastico

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In riferimento alle notizie di stampa secondo cui l’Ente ecclesiastico Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, della diocesi di Roma, sarebbe implicato nell’ambito dell’ inchiesta riguardante il Comune di Roma, il Vicariato di Roma comunica:

1. Nel mese di marzo del 2010 il cardinale vicario Agostino Vallini dispose una visita canonica all’Arciconfraternita per procedere ad una ricognizione della vita associativa, delle iniziative e delle attività svolte dalla medesima, anche al fine di accertare la loro corrispondenza con le finalità statutarie. Nelle more del procedimento canonico, chiese all’Arciconfraternita di astenersi dal concorrere a bandi pubblici per l’ottenimento di finanziamenti diretti alla realizzazione di nuovi progetti, oltre quelli già in essere.

2. A conclusione della visita si accertò che la natura canonica dell’Arciconfraternita e le finalità statutarie della stessa non giustificavano l’attività svolta dall’ente ecclesiastico, vale a dire le molteplici e diversificate attività sociali che configuravano di fatto l’Ente più come una impresa sociale che come un ente ecclesiastico di culto e di religione. Inoltre risultò che l’Ente ecclesiastico, per l’espletamento delle convenzioni sottoscritte, aveva utilizzato lo strumento del subappalto a favore di Cooperative sociali con personale delle stesse, contravvenendo alle norme di legge.

3. A seguito di quanto sopra, il Vicariato rinnovò il divieto di nuove convenzioni e accreditamenti diretti con la Pubblica Amministrazione e fece obbligo di portare a termine i progetti ancora in essere, entro il termine improrogabile della naturale scadenza (31 dicembre 2012), in vista dell’estinzione dell’Arciconfraternita stessa. L’Arciconfraternita si impegnò a cedere i progetti alle Cooperative sociali di riferimento, cosa che avvenne con atto pubblico il 2 ottobre 2012.

4. Successivamente, il 19 novembre 2013 il Vicariato ha disposto una seconda visita canonica di verifica circa l’attuazione delle determinazioni prese in capo all’Arciconfraternita, il cui esito ha accertato l’adempimento.

5. Pertanto non risponde al vero che le attività svolte dalla Cooperativa “Domus caritatis” e dal Consorzio “Casa della solidarietà” siano riconducibili all’Ente ecclesiastico Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, di cui è in corso la procedura di estinzione. Di conseguenza il Vicariato di Roma è del tutto estraneo alle attività delle suddette cooperative sociali. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 343

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.