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Sommario del 07/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: la misericordia di Dio è una carezza sulle ferite dei nostri peccati
  • "Il popolo carioca mi ha rubato il cuore!": così il Papa agli organizzatori della Gmg di Rio
  • Il Papa ai vescovi della Tanzania: siate in missione permanente
  • Il Papa alla parrocchia di S. Gregorio Magno: solo Gesù ci fa uscire dalle tombe interiori
  • Il Papa approva proposta sul futuro dello Ior
  • Oggi l'incontro in Vaticano tra il Papa ed il re di Giordania
  • In udienza dal Papa il card. Filoni e mons. Chullikatt
  • Tweet del Papa: ci fa bene che il Signore scuota la nostra vita tiepida e superficiale
  • Vaticano. Presentato Convegno su Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e l'Africa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria, ucciso padre gesuita a Homs. Padre Lombardi: dove il popolo muore, muoiono anche i pastori
  • Nigeria, prima economia d'Africa e terra di violenze
  • 20 anni fa il genocidio in Rwanda. Ban Ki-moon: vergogna per l'Onu
  • Elezioni in Ungheria: trionfo per il partito conservatore del premier Orban
  • La Giornata mondiale della salute sulle malattie trasmesse da insetti
  • Divorzio Breve. Don Gentili (Cei): una legge contro la famiglia e la società
  • Roma. Contro la tratta riparte la "Carovana antimafie"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Corea del Sud: presentato il logo della visita del Papa
  • Siria: ancora morte ad Homs, Damasco e nei campi profughi giordani
  • Camerun: ricerche in corso per i religiosi rapiti nell'estremo nord
  • Costa Rica: Luis Guillermo Solis eletto presidente. La Chiesa invita all'unità del Paese
  • Pakistan. Paul Bhatti: “Risposte concrete contro le ingiuste condanne a morte per blasfemia"
  • Brasile: consegnato al Papa un documento sulla sofferenza dei popoli indigeni dell’Amazzonia
  • Isole Salomone: allagate e danneggiate missioni e scuole cattoliche, ancora panico fra la gente
  • Lago Ciad: per salvarlo chiesti fondi e cordinamento
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: la misericordia di Dio è una carezza sulle ferite dei nostri peccati

    ◊   La misericordia divina è una grande luce di amore e di tenerezza, è la carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati: è quanto ha affermato Papa Francesco durante la Messa presieduta stamani a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il Vangelo dell’adultera perdonata ha dato lo spunto al Papa per spiegare cosa sia la misericordia di Dio. L’episodio è noto: i farisei e gli scribi portano a Gesù una donna sorpresa in adulterio e gli chiedono cosa farne, visto che la legge di Mosè prevedeva la lapidazione, in quanto peccato considerato gravissimo. “Il matrimonio – afferma il Papa - è il simbolo ed è anche una realtà umana del rapporto fedele di Dio col suo Popolo. E quando si rovina il matrimonio con un adulterio, si sporca questo rapporto di Dio con il popolo”. Ma gli scribi e i farisei pongono questa domanda per avere motivo di accusarlo: “Se Gesù avesse detto ‘Sì, sì, vai avanti con la lapidazione’, avrebbero detto alla gente: ‘Ma questo è il vostro maestro tanto buono… Guardate cosa ha fatto con questa povera donna!’. E se Gesù avesse detto: ‘No, poveretta! Perdonatela!’, avrebbero detto ‘non compie la legge!’ … A loro non importava la donna; non importavano gli adulteri, forse qualcuno di loro era adultero… Non importava! Soltanto importava fare una trappola a Gesù!”. Di qui la risposta del Signore: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei!”. Il Vangelo, con una “certa ironia”, dice che gli accusatori “se ne andarono, uno per uno, cominciando dai più anziani’. Si vede – osserva il Papa - che questi nella banca del cielo avevano un bel conto corrente contro di loro”. E Gesù resta da solo con la donna, come un confessore, dicendole: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Dove sono? Siamo soli, tu ed io. Tu davanti a Dio, senza le accuse, senza le chiacchiere. Tu e Dio! Nessuno ti ha condannata?”. La donna risponde: “Nessuno, Signore!”, ma non dice: “E’ stata una falsa accusa! Io non ho fatto adulterio!”, “riconosce il suo peccato”. E Gesù afferma: “Neanche io ti condanno! Va’, va’ e d’ora in poi non peccare più, per non passare per un brutto momento come questo; per non passare tanta vergogna; per non offendere Dio, per non sporcare il bel rapporto fra Dio e il suo popolo”. "Gesù perdona! - afferma il Papa - Ma qui è qualcosa di più del perdono":

    "Gesù passa la legge e va oltre. Non le dice: ‘Non è peccato l’adulterio!’. N. non lo dice! Ma non la condanna con la legge. E questo è il mistero della misericordia. Questo è il mistero della misericordia di Gesù".

    “La misericordia – osserva Papa Francesco - è qualcosa di difficile da capire”:

    “’Ma, Padre, la misericordia cancella i peccati?’. ‘No! Qquello che cancella i peccati è il perdono di Dio!’. La misericordia è il modo come perdona Dio. Perché Gesù poteva dire: ‘Io ti perdono. Vai!’, come ha detto a quel paralitico che gli avevano condotto dal soffitto: ‘I tuoi peccati ti sono perdonati!’. Qua dice: ‘Vai in pace!’. Gesù va oltre. Le consiglia di non peccare più. Qui si vede l’atteggiamento misericordioso di Gesù: difende il peccatore dai suoi nemici; difende il peccatore da una condanna giusta. Anche noi, quanti di noi, forse dobbiamo andare all’inferno, quanti di noi? E quella è giusta, la condanna… e Lui perdona oltre. Come? Con questa misericordia!”.

    “La misericordia – afferma il Papa - va oltre e fa la vita di una persona di tal modo che il peccato sia messo da parte. E’ come il cielo”:

    “Noi guardiamo il cielo, tante stelle, tante stelle; ma quando viene il sole, al mattino, con tanta luce, le stelle non si vedono. E così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza. Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza, carezzando le nostre ferite del peccato. Perché Lui è coinvolto nel perdono, è coinvolto nella nostra salvezza. E così Gesù fa il confessore: non la umilia, non le dice ‘Cosa hai fatto, dimmi! E quando lo ha fatto? E come lo hai fatto? E con chi lo hai fatto?’. No! ‘Va’, va’ e d’ora in poi non peccare più!’. E’ grande la misericordia di Dio, è grande la misericordia di Gesù. Perdonarci, carezzandoci!”.

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    "Il popolo carioca mi ha rubato il cuore!": così il Papa agli organizzatori della Gmg di Rio

    ◊   Un “viaggio indimenticabile”, quello di Papa Francesco in Brasile, la prima visita internazionale del Pontificato, lo scorso anno in luglio, per la Giornata mondiale della Gioventù. Nove mesi dopo, il Papa ne ha riparlato stamane con emozione ricevendo nella Sala Clementina in Vaticano il Comitato organizzatore della Gmg di Rio de Janeiro, guidato dal cardinale Orani Tempesta, arcivescovo della città. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Il popolo carioca mi ha ricevuto “a braccia aperte”, ha ricordato il Papa, accogliendo “con gioia particolare” il gruppo di circa 60 persone laici, religiosi, sacerdoti e vescovi che hanno permesso – ha sottolineato Francesco - che “l’amore di Dio toccasse – letteralmente - il cuore di milioni di persone”. “E parlando con il cuore, - ha aggiunto - ho una confidenza da farvi:”

    “Quando cheguei ao Brasil, no meu primeiro discurso oficial…”
    “Arrivato in Brasile ho detto che volevo entrare nell’immenso cuore dei brasiliani chiedendo permesso, per farlo delicatamente e trascorrere la settimana con il popolo brasiliano. Però, alla fine di quella settimana, tornando a Roma, pieno di ‘nostalgia’, ho pensato che i ‘cariocas’ – (i cittadini di Rio) sono dei ‘ladri’! Sì, ‘ladri’, perché hanno rubato il mio cuore!”.

    “Aproveito a presença de vocês aqui hoje para agradecer-lhes por este ‘rouboi'...
    “Approfitto” quindi – ha detto – “per ringraziarvi di questo ‘furto’”, “per avermi contagiato con il vostro entusiasmo lì a Rio de Janeiro e, oggi, per avermi aiutato a ‘vincere’ la nostalgia del Brasile”.

    “Sei que não foi fácil organizar um evento destas dimensões… "
    “So che non è stato facile organizzare un evento di queste dimensioni” e “che a volte qualcuno avrà pensato che non si potesse fare”, ha osservato ancora Francesco. Ma “le ore di lavoro, i sacrifici e addirittura i malintesi momentanei sono piccoli di fronte alla grandiosità dell’azione di Dio sulle nostre povere risorse umane. E’ la dinamica della moltiplicazione dei pani”.

    “Não foi assim que aconteceu com a Jornada Mundial da Juventude?”.
    Non è andata cosi con la GMG?” ha chiesto il Papa, richiamando i membri del Comitato a guardare ora al futuro, “rassicurati dalla certezza che Dio moltiplica sempre i nostri sforzi”, per diffondere il messaggio della Gmg: “andate senza paura, per servire”. Dobbiamo essere una “Chiesa in uscita”, ha concluso il Papa, invitando a seguire l’esempio di Giuseppe de Anchieta, apostolo del Brasile, di recente proclamato Santo, a “mantenere viva nel cuore dei brasiliani la fiamma d’amore per Cristo e la sua Chiesa”.

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    Il Papa ai vescovi della Tanzania: siate in missione permanente

    ◊   La diffusione costante e capillare del Vangelo per rendere più solida non solo la Chiesa ma anche la società della Tanzania, contro i mali procurati tanto dal secolarismo quanto dalle superstizioni. Papa Francesco ha affidato questa indicazione pastorale di sintesi ai vescovi del Paese africano, incontrati oggi in occasione della loro visita ad Limina. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La storia per capire come raggiungere il futuro. Papa Francesco sovente, nel tracciare la strada d’azione pastorale più idoena per la Chiesa di un singolo Paese, comincia dai germi di bene del passato che, nel caso della Tanzania, il Papa individua nello “zelo” e nei “sacrifici dei primi evangelizzatori”, coloro – ricorda – che alla nazione africana diedero le “solide basi” su cui svilupparsi. Al pari di loro, Papa Francesco chiede oggi ai vescovi della Tanzania di “mantenere e promuovere sempre” l’“imperativo missionario”, affinché “il Vangelo possa permeare ogni opera di apostolato e illuminare tutti i settori della società tanzaniana”. Ciò, prosegue, vuol dire che la Chiesa locale deve essere sempre in missione a ogni livello, a cominciare dai suoi sacerdoti ma non solo. Penso in particolare, osserva Papa Francesco, alla testimonianza “offerta da coloro che lavorano nell'apostolato sanitario della Chiesa, non ultimo nella cura di chi soffre per l’Hiv/Aids, e da tutti coloro che si sforzano di educare con attenzione le persone per ciò che riguarda la responsabilità sessuale e la castità”. E penso, soggiunge, anche a chi si dedica "allo sviluppo integrale dei poveri e, in particolare, delle donne e dei bambini indigenti”.

    Sempre poi, in questo tipo di incontri, Papa Francesco sprona i vescovi a comportarsi da “padri e fratelli” per i loro preti, giacché "grande – dice – è il bisogno di sacerdoti santi, istruiti e zelanti”. Garantite loro, chiede, "un’adeguata formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale, non solo in seminario, ma per tutta la vita”. E lo stesso avvenga anche per i catechisti, il cui lavoro, ribadisce, è “davvero notevole” nel "promuovere il Vangelo e la pienezza della vita cristiana”. “Fate ogni sforzo – è la richiesta di Papa Francesco – per provvedere i catechisti di una comprensione globale della dottrina della Chiesa. Questo – sottolinea – li rafforzerà non solo nel contrastare le sfide della superstizione, l’aggressività delle sette religiose e la secolarizzazione ma, cosa più importante, nel condividere la bellezza e la ricchezza della fede cattolica con gli altri, in particolare i giovani”. Lo sguardo successivo, immancabile, è per le famiglie. Ricordando il Sinodo di ottobre che le vedrà protagoniste, il Papa esorta a un apostolato specifico che sia “più energico”, attraverso “un'assistenza spirituale e concreta libera da compromessi e disinteressata”. “Promuovendo la preghiera, la fedeltà coniugale, la monogamia, la purezza e l’umile servizio reciproco all'interno delle famiglie, la Chiesa – è la convinzione di Papa Francesco – continua a dare un prezioso contributo al benessere sociale della Tanzania, col quale, assieme al suo apostolato educativo e sanitario, favorisce certamente una maggiore stabilità e il progresso nel vostro Paese”.

    Ultimo pensiero, non certa per importanza, è per la libertà religiosa e il Papa si dice “particolarmente incoraggiato” nel sapere che la Tanzania “si impegna a garantire la libertà di cui i seguaci di varie religioni godono nel praticare la loro fede”. La “continua protezione e la promozione di questo diritto umano fondamentale – sostiene – rafforza la società consentendo ai credenti, nella fedeltà ai dettami della loro coscienza e nel rispetto della dignità e dei diritti di tutti, di far progredire l'unità sociale, la pace e il bene comune”. In questo senso, ai vescovi tanzaniani va l’apprezzamento di Papa Francesco per gli sforzi messi in atto per favorire il “perdono, la pace e il dialogo” nelle “difficili situazioni di intolleranza e, a volte, di violenza e di persecuzione”.

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    Il Papa alla parrocchia di S. Gregorio Magno: solo Gesù ci fa uscire dalle tombe interiori

    ◊   Solo Gesù può aiutarci ad uscire dalle tombe di peccato, dalle zone morte del nostro cuore. E’ quanto ha affermato Papa Francesco durante la Santa Messa presieduta ieri sera nella parrocchia romana di San Gregorio alla Magliana. Ricordando il Vangelo odierno sulla risurrezione di Lazzaro, il Santo Padre ha poi esortato a uscire dalle tombe che abbiamo dentro. Prima della celebrazione, il Pontefice ha incontrato le varie realtà della parrocchia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Tutti noi abbiamo alcune parti del nostro cuore che non sono vive. Alcuni hanno“tante parti del cuore morte, una vera necrosi spirituale”. Solo Gesù – ha affermato il Papa – è capace di aiutarci “ad uscire da queste zone morte”, da queste “tombe di peccato”:

    “Tutti siamo peccatori. Ma se noi siamo molto attaccati a questi sepolcri, li custodiamo dentro di noi e non vogliamo che tutto il nostro cuore risorga alla vita diventiamo corrotti e la nostra anima incomincia a dare cattivo odore, l’odore di quella persona che è attaccata al peccato”.

    Dobbiamo avere la forza di sentire quello che Gesù ha detto a Lazzaro:

    “'Lazzaro vieni fuori!'. Così vi invito a pensare un attimo in silenzio: Dove è la mia necrosi dentro? Dove è la parte morta della mia anima? Dove è la mia tomba?… E togliere la pietra, togliere la pietra della vergogna… Sentiamo la voce di Gesù che con la potenza di Dio ci dice: 'Vieni fuori, esci da quella tomba che hai dentro'”.

    Papa Francesco ha poi portato un dono per tutta la comunità, un Vangelo tascabile:

    “E’ un regalo che vi ho portato perché così ricevete la Parola di Dio e così potrete anche sentire la Parola di Gesù che vi dice: 'Venite fuori! E prepararsi alla notte di Pasqua'”.

    Prima della Santa Messa, Papa Francesco ha incontrato le varie le varie realtà della parrocchia. Ai bambini e i ai ragazzi il Santo Padre ha detto che non si può vivere bene senza una vera speranza:

    “La speranza mai delude perché la speranza è un dono di Dio e noi dobbiamo aprire il cuore a Dio perché ci dia la speranza”.

    Agli ammalati e agli anziani il Pontefice ha spiegato che la speranza è viva anche nella sofferenza:

    “Siamo stati redenti con Gesù nella croce. E quando viene la croce della malattia, noi somigliamo a Gesù”.

    Alle coppie che hanno battezzato recentemente i figli, il Papa ha poi detto:

    “E’ importante mantenere il rapporto con la parrocchia dopo il Battesimo, perché così crescono uniti alla comunità parrocchiale. Così la comunità cresce e si aiuta”.

    Incontrando i volontari della cooperativa “Prora”, per il reinserimento lavorativo di ex detenuti o ex tossicodipendenti, il Santo Padre ha infine indicato il luogo migliore per incontrare Gesù:

    “Il posto migliore, il luogo migliore per trovare il Signore è la propria debolezza. Gesù lo troviamo bene nei nostri peccati, nelle nostre colpe, nei nostri sbagli”.

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    Il Papa approva proposta sul futuro dello Ior

    ◊   Papa Francesco ha approvato una proposta sul futuro dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, riaffermando l’importanza della sua missione per il bene della Chiesa Cattolica, della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. “La proposta - riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - è stata sviluppata congiuntamente da rappresentanti della Pontificia Commissione Referente sullo Ior (Crior), della Pontificia Commissione Referente di Studio e di Indirizzo sull’Organizzazione della Struttura Economico-Amministrativa della Santa Sede (Cosea), della Commissione Cardinalizia dello Ior, e del Consiglio di Sovrintendenza dello Ior, e presentata al Santo Padre dal cardinale-prefetto della Segreteria per l’Economia con il consenso del cardinale Santos Abril y Castelló, presidente della Commissione Cardinalizia dello Ior. Tale proposta è stata definita sulla base di informazioni sullo status legale dello Ior e sull’operatività svolta, informazioni raccolte e presentate al Santo Padre e al suo Consiglio di Cardinali da Crior nel febbraio 2014”.

    “Lo Ior continuerà a servire con attenzione e a fornire servizi finanziari specializzati alla Chiesa Cattolica in tutto il mondo. I significativi servizi che possono essere offerti dall’Istituto assistono il Santo Padre nella sua missione di pastore universale e supportano inoltre istituzioni e individui che collaborano con lui nel suo ministero. Con la conferma della missione dello Ior e facendo seguito alla richiesta del cardinale-prefetto Pell, il presidente del Consiglio di Sovrintendenza, Ernst von Freyberg, e il management dello Ior porteranno a termine il loro piano al fine di assicurare che lo Ior possa compiere la sua missione come parte delle nuove strutture finanziarie della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Il piano sarà presentato al Consiglio dei Cardinali del Santo Padre e al Consiglio per l’Economia”.

    “Le attività dello Ior – prosegue il comunicato - continueranno a rientrare sotto la supervisione regolamentare dell’Aif (Autorità di Informazione Finanziaria), autorità competente nell’ambito della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. In conformità ai Motu Proprio dell’8 agosto 2013 e del 15 novembre 2013 e alla legge numero XVIII sulla trasparenza, supervisione e informazione finanziaria entrata in vigore l’8 ottobre 2013, è stata introdotta un’ampia e articolata struttura legale e istituzionale finalizzata a regolare le attività finanziarie all’interno della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. A tale proposito, il cardinale-prefetto Pell ha confermato l’importanza di un allineamento sostenibile e sistematico delle strutture legali e normative della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano con le best practice regolamentari internazionali. Una efficace supervisione regolamentare e i progressi raggiunti nella compliance, trasparenza e operatività avviati nel 2012 e sensibilmente accelerati nel 2013, sono fondamentali per il futuro dell’Istituto”.

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    Oggi l'incontro in Vaticano tra il Papa ed il re di Giordania

    ◊   Nel pomeriggio, alle 16, Papa Francesco riceverà a Casa Santa Marta il re di Giordania, Sua Maestà Abdallah II Al Hussein. E’ il quarto sovrano appartenente alla dinastia degli Hascemiti, sposato con la regina Rania, da sempre molto impegnata in ambito sociale e nella promozione dei diritti umani. Si tratta del secondo incontro tra Papa Francesco ed i reali di Giordania che aveva già ricevuto in Vaticano lo scorso 29 agosto. Nel corso del colloquio allora venne ribadita la necessità di trovare una soluzione pacifica alla crisi siriana e della ripresa dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi. Dopo l’incontro con il Papa, il re Abdallah II si recherà in Austria per incontrare il presidente Heinz Fischer. La visita giunge alla vigilia del prossimo viaggio di Papa Francesco in Giordania il 24 maggio prossimo, prima tappa del suo pellegrinaggio in Terra Santa. (B.C.)

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    In udienza dal Papa il card. Filoni e mons. Chullikatt

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e l’arcivescovo Francis Assisi Chullikatt, osservatore permanente presso l’Onu di New York e presso l’Organizzazione degli Stati Americani.

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    Tweet del Papa: ci fa bene che il Signore scuota la nostra vita tiepida e superficiale

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Quanto ci fa bene lasciare che il Signore scuota la nostra vita tiepida e superficiale!”.

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    Vaticano. Presentato Convegno su Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e l'Africa

    ◊   “La Chiesa in Africa dal Concilio Vaticano II al Terzo Millennio. Omaggio dell’Africa ai Papi Giovanni XXIII Giovanni Paolo II”: è il titolo del Convegno presentato stamani in Sala Stampa Vaticana, che si terrà a Roma presso l’università Urbaniana dal 24 al 25 aprile prossimi. A organizzarlo il Secam, Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e Madagascar, con il contributo del Pontificio Consiglio della Cultura. Il servizio di Benedetta Capelli:

    In vista della Canonizzazione di Giovanni XXII e di Giovanni Paolo II, il prossimo 27 aprile, ci si interroga anche sul loro contributo alla cultura africana. Vescovi, teologi, studiosi e personalità varie faranno il punto sul Continente a 50 anni dal Concilio Vaticano II, cercando di leggere i segni dei tempi alla luce dei contribuiti dati dai due Papi, prossimi Santi. Nel Concilio, convocato da Giovanni XXIII, la Chiesa ha mostrato anche fisicamente la sua universalità – ha detto mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura – e ha anche mostrato la sua apertura alla cultura moderna. Due elementi che si sono fusi nell’Enciclica Gaudium et spes:

    “Ai lavori di redazione di questa Costituzione, nella fase finale, assieme a padre Tucci, che è stato l‘anima della Gaudium et spes, c’era il giovane arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, il quale ha apportato un contributo decisivo nell’ultima fase del documento soprattutto per la parte che riguarda i rapporti con l’ateismo, il marxismo… Qui abbiamo il collegamento - molto evidente - tra Giovanni XXII, Giovanni Paolo II e il Consiglio della cultura perché, appena eletto al Soglio pontificio, arrivato a Roma, Giovanni Paolo II ha voluto creare il Pontificio Consiglio della Cultura per portare avanti un dialogo con la cultura contemporanea nel senso e nello spirito della Gaudium et spes, il documento ispiratore del Pontificio Consiglio della Cultura”.

    Il Convegno sarà articolato in quattro sessioni: uno sguardo storico all’Africa e al Concilio Vaticano II, si analizzerà l’eredità lasciata da Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e Paolo VI, il primo Pontefice a toccare la terra africana, ma poi si guarderà oltre con le sfide della Chiesa oggi e con l’attenzione verso la costruzione della cultura africana che sarà al centro del forum del Secam: “Fede, Cultura e Sviluppo”. Nel corso della conferenza stampa, mons. Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, si è soffermato in particolare sulla figura di Giovanni XXIII, il pontefice che creò il primo cardinale nero, il primo a ricevere a Roma intellettuali e artisti africani:

    “Il Papa ha voluto ricevere questi pittori, artisti. Per noi è una figura di sostegno. Da questo punto di vista riconosce la cultura africana, perciò Papa Giovanni XXIII, 'il Papa Buono', il Papa della pace, il Papa del riconoscimento della cultura nera”.

    Giovanni Paolo II ha amato molto l’Africa. Più volte è stato evocato il suo intervento forte a Goree, l’isola del Senegal dalla quale partivano gli schiavi, ma non solo. Il professor Martin Nkafu Nkemnkia, docente di Filosofia e Cultura del pensiero africano alla Pontificia Università Lateranense, si sofferma sull’invito rivolto da Papa Wojtyla agli africani:

    “Giovanni Paolo II a Nairobi disse che la Chiesa in Africa doveva avere il volto africano. Come fa ad avere il volto africano? Vuol dire che non dobbiamo più tendere la mano agli altri, se non per dare. Cristo deve essere in Africa – ed è – africano. Questo è ciò che vuol dire. La Chiesa ha fatto tanto in Africa: quante scuole, quanti centri sanitari, quante università, gente in politica... Quanti di questi hanno trasformato l’Africa grazie all’incontro con il cristianesimo. Grazie alla testimonianza che hanno avuto loro stessi, hanno dato luogo a quella che abbiamo oggi. Penso non ci sia un continente con tante presenze della Chiesa nel sociale come l’Africa”.

    Il Convegno sarà dunque un momento per guardare alla più stretta attualità della Chiesa in Africa, riconoscendo le proprie radici, capendo il contributo del Vaticano II e indicando le prospettive nuove sempre in comunione con la Chiesa universale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Parola tascabile: all'Angelus e durante la visita in una parrocchia romana Papa Francesco regala ai fedeli il Vangelo.

    Imperativo missionario: visita "ad limina" dei vescovi della Tanzania.

    Per il futuro dello Ior: il Papa ne conferma la missione.

    Sacerdote olandese assassinato a Homs: il gesuita Frans van der Lugt da cinquant'anni uomo di pace in Siria.

    Una storia che conta: Romano Penna sul ritrovamento di Gesù nelle fonti (anticipazione dell'intervento in occasione della presentazione dei due volumi dal titolo "I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI").

    La difficile arte dell'equilibrio: Philippe Levillain riguardo a un convegno sulla diplomazia pontificia.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria, ucciso padre gesuita a Homs. Padre Lombardi: dove il popolo muore, muoiono anche i pastori

    ◊   Nella città siriana di Homs è stato ucciso oggi da uomini armati un religioso gesuita olandese: si tratta di padre Frans Van der Lugt, 75 anni, giunto nel Paese nel 1966 e molto apprezzato per il suo lavoro. Il religioso, che risiedeva in una delle zone assediate più a rischio, aveva rifiutato di lasciare il quartiere quando c'era stata l'evacuazione dei civili, per essere accanto alla popolazione locale. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha detto che “muore così un uomo di pace, che con grande coraggio ha voluto rimanere fedele in una situazione estremamente rischiosa e difficile a quel popolo siriano a cui aveva dedicato da lungo tempo la sua vita e il suo servizio spirituale. Dove il popolo muore – sottolinea padre Lombardi - muoiono con lui anche i suoi fedeli pastori. In questo momento di grande dolore, esprimiamo la nostra partecipazione nella preghiera, ma anche grande gratitudine e fierezza per avere avuto un confratello così vicino ai più sofferenti nella testimonianza dell'amore di Gesù fino alla fine”. L’uccisione di padre Franz è stata una vera e propria esecuzione. Ascoltiamo la testimonianza di un suo confratello, padre Ziad Hillal, raggiunto telefonicamente ad Homs da Manuella Affejee:

    R. - Le père Franz a été abattu …
    Il padre Franz è stato ucciso nel giardino del nostro convento: gli hanno sparato alla testa. E’ stato un atto premeditato. Lui era mio superiore nella comunità gesuita. E’ un dramma! Sono veramente sconvolto: è stato assassinato un uomo di pace, come il padre Franz, che non ha mai attaccato nessuno, né verbalmente né in altro modo, che ha sempre parlato di pace e di riconciliazione, auspicando sempre un futuro migliore per la Siria e per i siriani…. E poi averlo trovato ucciso in questo modo! Quello che io posso dire è che il padre Franz ha sempre voluto essere accanto al suo prossimo: è stato il buon pastore che non ha mai voluto lasciare la sua gente. Ha dato la sua vita e non soltanto per i cristiani che sono lì, ma anche per i musulmani, per tutti i siriani. E’ un grande esempio per tutti. Erano circa due anni che viveva ad Homs, sotto assedio, e non ha mai, mai parlato di cose negative. Era sempre sorridente ed era lui a chiedere a noi come stavamo. E’ un grande esempio per me, per i gesuiti qui in Siria e per tutti quei siriani che vogliono che la pace regni in questo Paese.

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    Nigeria, prima economia d'Africa e terra di violenze

    ◊   Con un Prodotto interno lordo che nel 2013 ha raggiunto i 510 miliardi di dollari, la Nigeria è diventata la prima economia d’Africa, superando il Sudafrica. Rimangono tuttavia ancora gravi e stridenti le contraddizioni sociali nel Paese più popoloso e primo produttore di petrolio del Continente, dove giornalmente i contrasti etnici e le scorribande delle milizie islamiche di Boko Haram continuano a provocare decine di vittime. Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’economista Riccardo Moro, docente di Politiche dello Sviluppo:

    R. – In realtà, si tratta di un’operazione di maquillage, cioè di ricalcolo dei valori del Pil, inserendo nei dati della contabilità nazionale, in modo più credibile, in modo più fedele, soprattutto i proventi che vengono dal petrolio. Questa operazione – che viene fatta periodicamente da molti Stati – porta, anche in ragione dei cambiamenti degli ultimi dieci anni, a un dato apparentemente molto diverso. In realtà, non siamo di fronte a un cambio così repentino. Detto questo, sì, la Nigeria è uno dei Paesi più ricchi del mondo per risorse naturali, ma purtroppo questa ricchezza origina le guerre per la conquista del Delta dove si trova il petrolio e con sé le degenerazioni legate all’accaparramento delle risorse relativamente scarse, cioè quelle non monopolizzate da chi sfrutta le ricchezze minerarie, che portano poi anche a guerre civili fratricide.

    D. – C’è comunque un problema di redistribuzione delle ricchezza?

    R. – Non c’è dubbio. Anche con questo nuovo dato che praticamente quasi raddoppia il valore nominale del Pil, noi abbiamo un reddito pro-capite che rimane inferiore ai tremila dollari l’anno, quando invece i dati dei Paesi del Nord del mondo si attestano tra i 26 mila e i 40 mila dollari l’anno.

    D. – L’altissimo livello di violenza che c’è nel Paese è causato da questa situazione?

    R. – Non credo che la povertà provochi necessariamente violenze e guerre. Credo che non si possano fare mai automatismi di questo tipo, però è chiaro che una condizione di profonda povertà, soprattutto in un contesto in cui sono visibili delle disuguaglianze, diventi una condizione in cui le voci che inneggiano a utilizzare la violenza per accaparrare quei privilegi, che invece ad altri sono riservati, diventano più ascoltabili.

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    20 anni fa il genocidio in Rwanda. Ban Ki-moon: vergogna per l'Onu

    ◊   “Ricordare, unire, rinnovare”: è il motto del manifesto commemorativo per i 20 anni del genocidio in Rwanda. Al via oggi nel Paese africano le cerimonie che andranno avanti per più di tre mesi, a ricordare i cento giorni che nel 1994, tra aprile e luglio, videro scatenarsi violenze, massacri, atrocità, in una parola: genocidio, ad opera di estremisti hutu perlopiù sulla minoranza tutsi. Ieri, dopo l’Angelus, Papa Francesco ha espresso la propria “paterna vicinanza” al popolo rwandese, incoraggiandolo “a continuare, con determinazione e speranza, il processo di riconciliazione” e l’impegno di “ricostruzione umana e spirituale del Paese”. Il servizio di Giada Aquilino:

    “Non dobbiamo mai smettere di ricordare i più di 800 mila innocenti brutalmente assassinati e di rendere omaggio al valore e alla forza dei sopravvissuti”. Con queste parole il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in un messaggio, invita a non dimenticare le vittime del genocidio, soprattutto tra la minoranza tutsi, e poi gli oltre due milioni di profughi, in particolare tra la maggioranza hutu uscita sconfitta dalla guerra civile. Il numero uno del Palazzo di Vetro esorta a prendere “esempio dalla capacità dei rwandesi di unirsi e dimostrare che la riconciliazione è possibile, anche dopo una tragedia di tali proporzioni”; al contempo incoraggia “il popolo e il governo” di Kigali a “rendere ancor più profondo il rispetto dei diritti umani”. Ban Ki-moon prende parte direttamente alle commemorazioni in Rwanda. Chi invece non partecipa è l'ambasciatore di Francia nel Paese africano, Michel Flesch, dichiarato “persona non grata” alle cerimonie, dopo le critiche del presidente rwandese Paul Kagame, che ha accusato Parigi di aver avuto un ruolo nel genocidio, assieme al Belgio, nel silenzio della comunità internazionale. Proprio Kagame, assieme a Ban Ki-moon, ha acceso stamani al ‘Genocide Memorial Centre’ della capitale la torcia che brucerà per cento giorni, esattamente il tempo che durarono i massacri iniziati dopo che, nella notte tra il 6 ed il 7 aprile 1994, l’aereo dell'allora presidente Juvenal Habyarimana - con a bordo anche quello burundese Cyprien Ntaryamira - venne abbattuto mentre si trovava in fase di atterraggio su Kigali. Alla cerimonia, che ha preceduto una “marcia del ricordo” e una grande commemorazione nello stadio Amahoro della città, Ban Ki-moon ha ammesso che le Nazioni Unite, nonostante il tempo trascorso, provano ancora la “vergogna” di non essere state in grado di prevenire il genocidio; l’Onu, ha aggiunto, avrebbe “dovuto, e potuto, fare molto di più”. Erano presenti anche l'ex premier britannico Tony Blair e l’ex capo di Sato sudafricano Thabo Mbeki. In un messaggio, il presidente statunitense Barack Obama ha affermato che “di fronte all’odio dobbiamo ricordare l’umanità che condividiamo; di fronte alla crudeltà, dobbiamo scegliere la compassione; di fronte all’intolleranza e alla sofferenza - ha concluso - non dobbiamo mai essere indifferenti”.

    Per un ricordo del genocidio di vent’anni fa, Fausta Speranza ha intervistato il giovane rwandese Sula Nuwamanya, che collabora con l’associazione internazionale ActionAid:

    R. – Of course what happened in Rwanda...
    Certamente quello che è accaduto in Rwanda è stato davvero tragico: uno contro l’altro, abbiamo visto fratelli uccidersi. Qualcuno racconta di bambini colpiti alla testa, uccisi di fronte ai familiari, o di donne violentate di fronte ai figli. E’ una storia davvero triste quella che è successa, tremenda per il Rwanda, ed il Paese si è ritrovato in una situazione indicibile. Oggi cerchiamo di ricordare quello che è successo 20 anni fa, la tragedia che abbiamo attraversato, ma cercando il riscatto di cui abbiamo bisogno per ricostruire il nostro Paese, per assicurarci che quello che è accaduto non riaccada mai più. È stato detto che il Rwanda doveva liberare il proprio Paese da una intera etnia - questo è stato il genocidio – e tanti sono stati costretti a vivere in altri Paesi come rifugiati e, dunque, in una situazione davvero difficile, come quella che ho vissuto io in Uganda da rifugiato con i miei genitori, che hanno sofferto molto. Ma anche quelli che sono rimasti in Rwanda non hanno mai condotto una bella vita, perché sono stati divisi: si è deciso quanti tutsi dovevano andare all’università, quanti tutsi dovevano avere un lavoro, quanti hutu dovevano ottenere un lavoro... L’intero Paese è stato diviso e non sarebbe dovuto succedere. Quindi anche dopo il genocidio è stato un momento triste.

    D. – Le persone sono riuscite a perdonare?

    R. – Yes, looking at what happened…
    Sì, guardando quello che è successo, le tragedie che hanno attraversato in 20 anni, sono riusciti a dire: “Sì, abbiamo attraversato momenti davvero tragici, ma ora riuniamoci e andiamo avanti”. Oggi non succedono più le stesse cose tra gli hutu e i tutsi. Quindi guardiamo al passato, ma anche al futuro. Si riesce a perdonare, non cercando di dimenticare il passato che è impossibile, ma semplicemente volendo perdonarci.

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    Elezioni in Ungheria: trionfo per il partito conservatore del premier Orban

    ◊   In Ungheria le elezioni legislative sono state vinte, come pronosticato dai sondaggi, dalla formazione “Fidesz”, il partito conservatore del premier Viktor Orban. Alle sue spalle l’Alleanza Democratica di centrosinistra e il partito di estrema destra “Jobbik”. In calo l’affluenza rispetto a 4 anni fa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Netta vittoria nelle legislative, in Ungheria, per il partito del premier Viktor Orban. I conservatori conquistano il 45% dei voti e 134 seggi su 199. Il Paese – ha detto il primo ministro ringraziando gli elettori – è unito e “l'appartenenza dell'Ungheria all’Unione Europea non è più in discussione”. L’Alleanza Democratica di centrosinistra, composta da 5 partiti, si è fermata al 25% dei consensi. Sorprendente l’esito elettorale per la formazione di estrema destra “Jobbik” che supera la quota del 20%. “Ora siamo il più forte partito estremista nell'Ue”, ha detto il leader del partito dell’ultradestra magiara Gabor Vona. In vista del 25 maggio, giorno delle elezioni del Parlamento europeo, la destra ultranazionalista si afferma dunque anche in Ungheria, dopo la vittoria del Fronte Nazionale di Marine Le Pen in Francia. Nel Parlamento ungherese entreranno infine anche i Verdi che sono riusciti a superare il quorum e ad ottenere il 5% dei voti. In calo l’affluenza alle urne: quattro anni fa si era recato al voto il 65% degli aventi diritto. Ieri la percentuale dei votanti si è fermata al 62%.

    Per un commento sull’esito delle consultazioni, Amedeo Lomonaco ha intervistato Julia Sarkozy, corrispondente dall'Italia della Radio pubblica ungherese:

    R. - È un risultato abbastanza prevedibile anche perché l’opposizione di sinistra non ha mai presentato un programma di cambiamento convincente. E fino all’ultimo si è presentata molto divisa.

    D. - Come spiegare l’ampio consenso del partito di estrema destra Jobbik che ha ottenuto oltre il 20 per cento dei voti?

    R. – Esprime, probabilmente, l’insoddisfazione per la crisi economica e per l’Unione Europea. Rappresenta anche quella parte di euroscettici che, comunque, non volevano votare per il partito del premier. Però, nonostante questo rafforzamento, Jobbik si aspettava un risultato migliore. Non è soddisfatto dell’esito, voleva molto di più in Parlamento.

    D. - Dopo questo voto cambia la politica dell’Ungheria in chiave europea?

    R. - Non penso che il primo ministro Viktor Orban cambierà la sua politica europea. L’Ungheria non uscirà dall’Unione Europea: questo lo ha sottolineato più volte. Da oggi, subito dopo la conclusione delle elezioni parlamentari, i partiti cominciano a prepararsi per le elezioni di maggio per il Parlamento di Strasburgo. Vedremo se il partito Fidesz riuscirà a ripetere la sua vittoria e quale sarà la reazione dell’opposizione di sinistra. Se riuscirà ad ottenere più voti.

    D. - Da un punto di vista economico, che Paese è oggi l’Ungheria?

    R. - I dati mostrano che c’è stata una crescita economica notevole, la disoccupazione è diminuita, i salari sono aumentati. Del resto comunque i sociologi e anche i politologi sottolineano che quasi la metà della popolazione ungherese ha risentito della crisi economica. La povertà si sente …

    D. - E cala la partecipazione dell’elettorato ungherese al voto …

    R. - Dal primo voto democratico del 1990 in Ungheria questo è il risultato peggiore per quanto riguarda l’affluenza che si è attestata intorno al 60 per cento. Quindi neanche il 60 percento degli ungheresi riteneva importante andare a votare.


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    La Giornata mondiale della salute sulle malattie trasmesse da insetti

    ◊   Il 7 aprile, anniversario della fondazione dell’Organizzazione mjondiale della sanità (Oms), si celebra la Giornata Mondiale della Salute. Il tema scelto per il 2014 riguarda le malattie trasmesse da vettori, cioè quelle patologie trasmesse all’uomo da piccoli organismi come zanzare, zecche, cimici, pulci. “Piccoli morsi, grandi minacce per la salute”, è lo slogan che accompagna la Giornata. Veronica Giacometti ha intervistato il dott. Roberto Romi, del Reparto delle malattie infettive trasmesse dai vettori dell’Istituto Superiore di Sanità.

    R. – Le malattie trasmesse da vettori fino ad oggi sono state considerate di secondo piano. Adesso, stanno assumendo invece un aspetto particolarmente importante. Va ricordata la malaria, ancora presente abbandonamente in buona parte dei Paesi in via di sviluppo. Le malattie trasmesse da vettori stanno assumendo un’importanza elevata in questi ultimi anni a causa delle mutazioni climatiche, anche perché non sono mai state completamente debellate. Sostanzialmente, queste malattie non possono essere combattute solo con la buona volontà o con l’informazione dei cittadini: vanno combattute con piani organici, ben finanziati e predeterminati. Siamo ancora lontani dal debellarle. Per di più, queste malattie stanno uscendo dalle loro aree di endemia naturali e si stanno trasferendo anche in Europa, in Paesi dove non si erano mai manifestate prima.

    D. – Secondo le stime dell’Oms, le malattie trasmesse dai vettori sono il 17% di tutte le malattie infettive e causano più di un milione di decessi, soprattutto nelle zone tropicali. Qual è la prevenzione?

    R. – La prevenzione deve essere legata a piani organici e consiste nell’evitare la proliferazione dei vettori e nella protezione degli elementi a rischio, che sono quelli con una minore immunità protettiva, come le donne incinta e i bambini.

    D. – Nessuno nel XXI secolo dovrebbe più morire per il morso di una zanzara o una mosca. Qual è l’impegno che possiamo prendere tutti?

    R. – Al nostro livello di cittadini possiamo ad esempio nel nostro Paese seguire le istruzioni date dagli enti locali. Possiamo seguire con attenzione quanto ci viene detto dalla autorità sanitaria, evitando la formazione di focolai.

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    Divorzio Breve. Don Gentili (Cei): una legge contro la famiglia e la società

    ◊   Approda domani in Commissione giustizia alla Camera una proposta bipartisan che punta a ridurre a un anno i tempi della separazione dai tre attuali, propedeutici all’ottenimento del divorzio. I firmatari del ddl, che a maggio potrebbe arrivare all’esame di Montecitorio, parlano di una legge al passo coi tempi finalizzata a sciogliere le conflittualità tra i coniugi e a decongestionare il sistema giustizia. Contro il divorzio breve si era espresso nei giorni scorsi il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco. Al microfono di Paolo Ondarza l’opinione di don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Nazionale Cei per la Famiglia:

    R. – Certamente. questa non è una società a misura di famiglia, o che sostiene la famiglia, e certe forme legali di questo tipo andrebbero ancora di più a minare l’istituto del matrimonio, cioè a rendere più difficile la sfida del “per sempre”, che continua però ad affascinare tanti giovani, tanti conviventi, tanti che vivono la forma delle unioni di fatto e che però chiedono molto spesso alla Chiesa di offrire l’orizzonte del “per sempre”. Per cui, una Chiesa attenta all’uomo, alle periferie esistenziali, è una Chiesa che accoglie la custodia della famiglia e certamente non può essere sulla stessa linea di queste leggi, che invece vanno ancora di più a indebolire ciò che è la ricchezza e la bellezza dell’unione sponsale.
    D. – I parlamentari che sostengono questo disegno di legge ne parlano come di un provvedimento al passo con i tempi e dicono che l’obiettivo è quello di sciogliere la conflittualità tra i coniugi che intendono separarsi, spesso provocata dalla lunghezza dei processi, e inoltre decongestionare il sistema della giustizia...
    R. – La questione vera è che una coppia che va in crisi molto spesso si trova in un grande isolamento, e molte crisi sarebbero sanabili se ci fosse anche un vero approccio sinfonico, cioè di più competenze che si mettono insieme. Penso ai consultori – sia quelli laici che quelli di ispirazione cristiana – ma anche alle comunità ecclesiali e alle istituzioni. Quanto si fa per difendere la famiglia, quanto investimento abbiamo fatto in Italia per questo? Quanto siamo diventati un po’ il fanalino di coda in Europa, dinanzi a nazioni che anche più laiche della nostra hanno invece un sostegno forte alla natalità, nell’aiuto concreto alle famiglie. La famiglia fa una gran fatica a stare insieme. Certo, in questo modo forse si rende più facile la separazione, ma certamente non si rende più facile la vita sociale, di cui la famiglia è la cellula fondamentale.
    D. – Recentemente, il cardinale Bagnasco ha detto che i tempi più lunghi tra la separazione e il divorzio non sono una forma di coercizione della libertà degli individui, ma sono da parte della società e dello Stato una possibilità perché le persone coinvolte possano far decantare le emotività. Quindi, affrontare una decisione grave richiede tempi più lunghi...
    R. – Assolutamente, perché richiede che a influire non siano più soltanto i tempi delle emozioni, che a volte nascono, passano, ma i tempi di un ripensamento, di una riflessione profonda, del non agire sulla rabbia immediata. Noi abbiamo visto tante famiglie rinascere, anche dopo tempi lunghi di separazione, a volte dopo sei-sette anni di separazione. E’ un po’ come tagliare e recidere quel legame e non aprirsi alla speranza. E Papa Francesco ci dice “non lasciatevi rubare la speranza”, la speranza che quel matrimonio possa risorgere con tutti i dovuti apporti, con tutti i dovuti sostegni di cui tutti noi siamo corresponsabili. Quindi la questione non è dire “no” al divorzio, la questione è dire veramente un vero “sì” alla vita sponsale.

    D. – Qual è il suo auspicio?

    R. – Ci auguriamo che i nostri parlamentari, le Commissioni di giustizia, sia della Camera che del Senato - non so quanto rimarrà - siano molto più favorevoli a leggi a favore della famiglia che contro la famiglia.

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    Roma. Contro la tratta riparte la "Carovana antimafie"

    ◊   La tratta di esseri umani è ormai un “core business” della criminalità organizzata e per sensibilizzare contro questo aberrante fenomeno la “Carovana antimafie” riprende da oggi il suo cammino. Promossa da Arci, Libera, Avviso Pubblico – con Cgil, Cisl, Uil e “Ligue de L’enseignement” – la Carovana riparte da Roma alla volta della Sicilia dove il 15 giugno concluderà il suo itinerario, nella terra da dove 20 anni fa partiva per la prima volta. In autunno, poi di nuovo in marcia verso Serbia, Romania, Francia e, nel 2015, Malta. Sul tema dei nuovi schiavi, Federico Piana ha intervistato Alessandro Cobianchi, coordinatore della Carovana Antimafie:

    R. – Le mafie, da questo punto di vista, sono globalizzate e la tratta degli esseri umani è uno dei loro business principali. Da questo punto di vista, naturalmente, intendiamo rilanciare la nostra attività di denuncia, perché poi c’è comunque una complicità: ricordiamo sempre che se ci sono delle donne che vengono messe sulla strada e delle donne trafficate è anche vero che poi ci sono dei clienti. Quindi, continuiamo il nostro discorso sul fare società. Non basta soltanto denunciare e vedere quello che accade dall’altra parte, ma allo stesso tempo cercare anche di scavare dentro di noi.

    D. – "Carovana della pace" partirà proprio questa sera da Roma…

    R. – Questa sera con un momento augurale, diciamo: una cena della legalità, che facciamo presso il Circolo Arci Fanfulla al Pigneto. Nell’occasione, proietteremo il video di Carovana dello scorso anno. Poi, domani a Pescara e a seguire Vasto, Campobasso, fino al 15 giugno, quando chiuderemo in Sicilia, ricordando anche che la Carovana è nata proprio vent’anni fa, proprio in Sicilia, proprio partendo da Capaci, all’indomani delle stragi del ’92 e del ’93.

    D. – Nasce da quel momento e si fa – diciamo così – un moto civile, che continua fino ai giorni nostri…

    R. – Sì. In questi vent’anni è cambiato tantissimo, naturalmente. Si è trasformata anche la società ed è diventata sicuramente più partecipante e sicuramente più responsabile. Vent’anni anni fa, tutto questo non c’era e lo dobbiamo anche al sacrificio di tante persone. E questo è stato importante. Ma quello che noi vogliamo sottolineare è che oggi ci sono tantissime iniziative legate ai temi della legalità e della lotta alle mafie e vogliamo, in qualche modo, anche evitare di cadere nella retorica dell’iniziativa fine a se stessa. Noi lo diciamo con uno slogan: “Meno alberghi e più piazze”. Perché il desiderio è quello di trasformare e di aver poi nuove letture rispetto a quelle che sono poi le trasformazioni delle mafie. Le mafie in questi vent’anni sono cambiate moltissimo e noi non dobbiamo correre il rischio, come vent’anni fa, di farci trovare impreparati.

    D. – Hanno cambiato pelle e sono diventate più "managerializzate", si potrebbe dire cosi?

    R. – Assolutamente. Pensiamo alla notizia proprio di oggi: a questo sequestro milionario dell’ingegnere del Comune di Casal di Principe. Non stiamo parlando più di una mafia o di una camorra che hanno un aspetto truce. Molte volte si nascondo proprio dietro un vero e proprio "colletto grigio".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Corea del Sud: presentato il logo della visita del Papa

    ◊   Sono arrivati oggi in Vaticano i rappresentanti del Comitato promotore della visita del Papa in Corea del Sud per mettere a punto la macchina organizzativa in vista del viaggio del Pontefice ad agosto. Padre Chung Ui-chul e Padre Hur Young- Yup, responsabili rispettivamente delle Celebrazioni liturgiche e delle Pubbliche relazioni, si confronteranno con i vertici degli organismi omologhi vaticani per gli ultimi dettagli. Nel frattempo è stato presentato il logo ufficiale dell’evento: due fiamme, una di colore blu e l’altra rossa che si intersecano, alla base delle quali ci sono due onde che rappresentano una barca. Il logo si ispira ovviamente al motto della visita papale, “Alzati, rivestiti di luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is, 60,1). I colori scelti indicano le due Coree e l’intreccio tra le fiamme vuole sottolineare l’auspicio di una immediata riunificazione dei due Paesi. Le onde blu che formano la barca sono a forma di lame di coltello, segno del sacrifico dei martiri della Chiesa coreana. Il blu sta a significare la misericordia di Dio, grande come l’Oceano. In vista dell’arrivo di Papa Francesco, il Comitato ha fatto sapere che si stanno organizzando ovunque momenti di preghiera e manifestazioni. Il viaggio apostolico si terrà in occasione della 6.a Giornata della Gioventù Asiatica, che si svolgerà nella diocesi di Daejeon. (A cura di Davide Dionisi)

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    Siria: ancora morte ad Homs, Damasco e nei campi profughi giordani

    ◊   Dal fallimento dei dialoghi di pace di Ginevra, in Siria si continua a morire su tutti i fronti: a Homs, nella zona in mano ai ribelli; a Damasco e nelle periferie di Ghouta; nei campi profughi della Giordania.

    Almeno 29 ribelli - riporta l'agenzia AsiaNews - sono stati uccisi ieri nell'esplosione di un'auto-bomba nella parte della città di Homs sotto il controllo dei ribelli e assediata da più di un anno e mezzo. Il bilancio dei morti è forse più alto perché decine di persone rimangono scomparse. Secondo l'agenzia governativa Sana, l'auto è scoppiata mentre un gruppo di ribelli la stava preparando per qualche attentato.

    A Damasco, vicino a piazza degli Ommayadi, due persone sono morte per l'esplosione di due mortai, uno dei quali ha danneggiato anche l'edificio dell'Opera di Damasco. Sulla piazza si affacciano diversi edifici governativi e militari. Il palazzo dell'Opera era stato inaugurato nel 2004 da Bashar Assad. Altre 18 persone sono state ferite nel quartiere degli Abbassidi e di Duelia e un obice è scoppiato vicino all'ambasciata russa.

    Tutti questi attentati avvengono mentre l'esercito siriano continua un attacco contro le postazioni ribelli a Ghouta, alla periferia della capitale. Secondo l'Osservatorio per i diritti umani, basato a Londra, almeno 39 insorti sono stati uccisi in questi giorni. La zona di Ghouta è posta sotto assedio da almeno sei mesi. Ieri si sono registrati scontri fra truppe del regime e ribelli nelle zone di Mleiha, Babulin, e Wadi Deif.

    Violenti scontri sono avvenuti ieri fra polizia giordana e rifugiati siriani nel campo profughi di Zaatari, nel nord della Giordania. Gli scontri si sono creati dopo che le forze dell'ordine hanno arrestato un gruppo di rifugiati che avevano lasciato il campo in modo illegale. I rifugiati hanno appiccato il fuoco a tende e capanne, tentando di assaltare il posto di polizia. Almeno 22 poliziotti sono stati feriti, fra i profughi, tre sono feriti e una donna è morta, anche se la polizia giordana nega che vi siano morti.

    Il campo di Zaatari ospita più di 100mila siriani. Aperto circa due anni fa, esso è stato teatro di diverse sommosse, quasi tutte dovute alle condizioni precarie in cui vivono i rifugiati. La Giordania ospita in tutto più di 580mila profughi siriani. (R.P.)

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    Camerun: ricerche in corso per i religiosi rapiti nell'estremo nord

    ◊   “Tutte le uscite dal Paese sono state bloccate poco dopo il rapimento. Le Forze di sicurezza stanno rastrellando la zona con tutti i mezzi a disposizione”: sono le ultime dichiarazioni rilasciate dal governatore della regione dell’Estremo Nord, Awa Fonka Augustine, a tre giorni dal rapimento di due preti italiani e di una suora canadese nella diocesi di Maroua-Mokolo. Da sabato - riferisce l'agenzia Misna - il ministro della Difesa Edgar Aain Mebe Ngo’o è sul terreno per coordinare le ricerche.

    In base alla ricostruzione dei fatti confermata da fonti ufficiali camerunensi ed italiane, i padri Antonio Giovanni e Giovanni Marta – originari della diocesi di Vicenza – assieme a suor Gilberte Bissiere sono stati portati via dalla parrocchia di Tchéré, 20 km circa da Maroua, da non meglio identificati uomini armati che nel cuore della notte hanno fatto irruzione nell’abitazione dei religiosi, saccheggiandola.

    Finora il rapimento non è stato rivendicato ma alcuni osservatori indicano come responsabile il gruppo estremista Boko Haram, giunto dalla confinante Nigeria. Non è chiaro, per ora, se i rapiti si trovino ancora sul territorio camerunense o siano già state portate via dall’altra parte della frontiera.

    “Speriamo di poter avere presto buone notizie, anche se sappiamo che questa zona non è certo la più pacifica del mondo”: dice alla Misna padre Leopoldo Rossi, sacerdote Fidei Donum vicentino contattato a Maroua dopo il sequestro dei missionari in servizio in questa diocesi del Camerun. “Il sequestro – dice padre Leopoldo – ci ha colti di sorpresa perché nonostante questo sia un posto difficile nei giorni precedenti non c’erano stati motivi di preoccupazione particolare”.

    L’assenza di informazioni e la richiesta di non lasciarsi andare a speculazioni inutili e anche dannose sono il filo rosso delle dichiarazioni rilasciate dal vescovo di Vicenza, mons. Beniamino Pizziol. “Della sorte dei missionari rapiti – ha sottolineato il presule – non sappiamo davvero nulla di certo; non si può dire se stiamo bene, se siano salvi o nelle mani di chi”.

    L’invito, fatto proprio anche dal ministero degli Esteri italiano, è alla massima discrezione e riserbo. “Ogni illazione – dice mons. Pizziol – potrebbe risultare dannosa rispetto alla speranza da tutti condivisa di arrivare a una soluzione positiva; ogni comunicazione ufficiale e diretta è interrotta e alcune ipotesi circa il gruppo che potrebbe aver sequestrato i religiosi o il ritrovamento di un deposito di armi al momento non trovano conferme”. (R.P.)

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    Costa Rica: Luis Guillermo Solis eletto presidente. La Chiesa invita all'unità del Paese

    ◊   Con il 77,9% delle preferenze Luis Guilllermo Solís ha vinto il ballottaggio delle presidenziali tenuto ieri. In base ai risultati diffusi dal ‘Tribunal Supremo de Elecciones’ l’altro contendente, che si è ritirato alla vigilia del voto, Johnny Araya, del Partito Liberación Nacional (Pln, al governo), ha invece ottenuto il 22,1% dei consensi.

    “Cammineremo sulla strada della lotta alla corruzione, dell’equità e dell’onestà. Il popolo del Costa Rica ha deciso di cambiare”: sono state le prime parole pronunciate dal neo Presidente eletto, l’ex diplomatico del Partido Acción Ciudadana (Pac), che ha chiesto “il sostegno di tutte e tutti per attuare il cambiamento richiesto”.

    Alta l’astensione alle urne, attorno al 43% degli aventi diritto. Gli osservatori politici hanno evidenziato la “debolezza” del mandato del neo-Presidente, sia dal punto di vista del sostegno popolare che in parlamento. Il Pac ha solo 13 seggi sui 57 di cui è costituito il Congresso. La cerimonia di insediamento alla presidenza del Paese è stata programmata per il prossimo 8 maggio.

    Dal canto suo - riporta l'agenzia Fides - l'arcivescovo di San José, mons. José Rafael Quirós nell’esortazione pronunciata durante l'omelia della Messa che ha celebrato ieri nella cattedrale metropolitana, mentre era in corso il ballottaggio e alla quale di solito partecipano i candidati presidenziali, ha affermato che "il compito che attende i futuri governanti, è grande, ma se siete guidati dalla volontà di Dio, riuscirete in tutto con un esito positivo . Noi tutti speriamo di vedere il Paese andare avanti, e questo è certamente un compito di tutti – ha detto mons. Quirós - ma non possiamo dimenticare che il corpo segue la testa". In conclusione ha aggiunto il presule: "Si tratta di stringere i vincoli di fraternità, in modo che da stasera stessa, ci abbracciamo come un solo popolo, una comunità e camminiamo uniti verso gli obiettivi della pace, della solidarietà, della giustizia e della santità". (R.P.)

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    Pakistan. Paul Bhatti: “Risposte concrete contro le ingiuste condanne a morte per blasfemia"

    ◊   "Siamo dispiaciuti per quello che sta succedendo in Pakistan. La All Pakistan Minorities Alliance (Apma) respinge con forza queste condanne. Ora servono risposte concrete: per prima cosa, bravi avvocati che siano all'altezza della difesa [degli imputati]". È quanto sottolinea all’agenzia AsiaNews Paul Bhatti, ex ministro federale per l'Armonia nazionale e leader Apma, commentando le recenti condanne a morte contro i cristiani per 'presunti' reati di blasfemia. L'ultima vicenda è emersa nel fine settimana e riguarda una coppia originaria del Punjab, finita nel braccio della morte per aver inviato - secondo l'accusa - un sms contenente insulti verso il profeta Maometto. Già nei giorni scorsi la Chiesa cattolica pakistana, insieme ad attivisti cristiani e musulmani, aveva celebrato a più riprese momenti di digiuno e preghiera per Sawan Masih ed Asia Bibi, due vittime della "legge nera", condannate a morte e in attesa del processo di appello.

    Interpellato da AsiaNews Paul Bhatti - fratello dell'ex ministro federale per le Minoranze Shahbaz, massacrato dagli estremisti islamici nel marzo 2011 per essersi opposto agli abusi perpetrati in nome delle leggi sulla blasfemia - spiega che "è necessario individuare un bravo legale, se possibile musulmano, per provare l'innocenza degli accusati". Il leader Apma, che ha raccolto l'eredità di Shahbaz, aggiunge inoltre che è necessario "parlare con personalità islamiche influenti" per smontare i capi di imputazione e far emergere la verità. "Ad oggi - continua - secondo l'inchiesta della polizia risultano colpevoli e i giudici, dietro pressioni dei fondamentalisti decidono per la condanna a morte".

    Bhatti manifesta ottimismo perché "abbiamo ancora varie possibilità di appello, fino ad arrivare alla Corte suprema". Egli, come in passato, non rinuncia però ad accusare le Ong e altri gruppi che "vivono di queste vicende e fanno più male che bene, presentando avvocati giovani e spesso mal retribuiti, che in tribunale si rivelano poco influenti". Per l'ex ministro è una "triste realtà, perché questi casi di blasfemia possono essere risolti in modo positivo", come avvenuto per la giovane Rimsha Masih per la quale lo stesso Bhatti si era speso in prima persona. "Di recente ho contattato vari imam e un ministro federale per gli Affari religiosi - conclude - siamo all'inizio ma con un sostegno concreto e buona volontà ce la faremo".

    Il vescovo di Islamabad/Rawalpindi si scaglia contro le nuove condanne per blasfemia. "Fa male vedere che a una sola settimana di distanza da una incriminazione ai danni di una persona - sottolinea ad AsiaNews mons. Rufin Anthony - un'altra coppia sia condannata a morte. Il vescovo annuncia un nuovo giorno di digiuno e preghiera per mercoledì 9 aprile "per tutti quelli rinchiusi nel braccio della morte". Un appello cui si unisce la Masihi Foundation and Life for All Pakistan, che annuncia una "manifestazione di protesta pacifica" per la giornata. (R.P.)

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    Brasile: consegnato al Papa un documento sulla sofferenza dei popoli indigeni dell’Amazzonia

    ◊   Il presidente del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), il vescovo della Prelatura di Xingu (nella zona di Para, Brasile), mons. Erwin Kräutler, ha consegnato nelle mani di Papa Francesco un documento sulle violazioni dei diritti degli indigeni in Brasile. L’incontro è avvenuto venerdì scorso in Vaticano. Era presente anche il consigliere teologico del Cimi, Paulo Suess.

    Secondo la nota del Cimi inviata all’agenzia Fides, sono stati presentati al Papa i casi di violenza di cui sono oggetto i popoli indigeni. "Gruppi politici ed economici legati all'industria agroalimentare, mineraria e delle costruzioni, con il sostegno e la partecipazione del governo brasiliano, tentano di revocare i diritti territoriali dei popoli indigeni" spiega un passaggio del documento consegnato al Santo Padre.

    Il Cimi ha riferito a Fides che solo nel territorio abitato dai popoli indigeni Guarani e Kaiowá, nel Mato Grosso do Sul (Brasile), circa 45.000 indigeni sono stati costretti a vivere in un’area ristretta, inadeguata alle loro esigenze, dove ogni giorno si verificano casi di morti, suicidi e violenze contro di loro. Mons. Kräutler ricorda che attualmente in Brasile ci sono 519 aziende la cui attività ha un impatto ambientale negativo su territori che appartengono a 204 popoli indigeni, secondo un rapporto realizzato dalla Cimi. (R.P.)

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    Isole Salomone: allagate e danneggiate missioni e scuole cattoliche, ancora panico fra la gente

    ◊   E’ di 19 morti e 40 dispersi il bilancio, provvisorio, delle inondazioni che hanno colpito le Isole Salomone e in particolare la capitale Honiara. Uno dei peggiori disastri naturali che abbia mai colpito l'arcipelago di 550 mila abitanti nel Pacifico meridionale. Circa 49 mila persone sono rimaste senza casa, oltre 5.500 persone sono rifugiate in tre dei centri di evacuazione più affollati, dove i gruppi di assistenza temono il diffondersi della febbre dengue, trasmessa dalle zanzare. Finora sono stati registrati gravi danni alla rete idrica e alle infrastrutture, comprese elettricità e fognature. L’arcivescovo di Honiara, mons. Adrian Smith, in una nota pervenuta all’agenzia Fides, ringrazia quanti stanno dimostrando attenzione verso la popolazione di Honiara.

    “Le informazioni che abbiamo sono molto parziali a causa delle difficoltà con i collegamenti telefonici. Da quello che so – riferisce Mons. Smith - verso ovest, in direzione di Visale, oltre 20 km da Honiara, sono crollati diversi ponti, ad est la situazione è la stessa. A Honiara, il Care Centre, San Isidro, per giovani con disabilità di parola e di udito, fortunatamente non è stato danneggiato. Ho telefonato alla Casa Regionale dei Maristi, a Tangai, dove si trova fr. Joris il quale mi ha riferito che il suo camion è rimasto sospeso tra due ponti. Sono state evacuate, anche se non del tutto, la St. Joseph’s Catholic Secondary School e la St. Martin’s, Rural Training Centre. Alcuni studenti sono stati trasferiti nei Centri parrocchiali”.

    Il vescovo di Gizo, mons. Luciano Capelli, conferma che a Gizo e Malaita la situazione è meno tragica, anche se la gente vive nel panico. “Rimaneteci accanto, e se possibile dateci una mano” si legge nell’appello di mons. Capelli giunto a Fides. “Le acque si stanno ritirando ma il Paese deve ancora fare i conti con i danni reali subiti” sottolinea padre Ambrose Pereira, direttore del Don Bosco Technical Institute, Henderson. “Tra sfollati, infrastrutture precarie e approvvigionamenti alimentari insufficienti, ci aspettano settimane e mesi difficili. L’Istituto ha posticipato l’apertura per le difficoltà degli spostamenti degli studenti, e i Salesiani stanno cercando di organizzare un posto di ospitalità interno per quelli che devono percorrere lunghe distanze, dove però mancano le strutture adeguate, sanitarie e logistiche”. (R.P.)

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    Lago Ciad: per salvarlo chiesti fondi e cordinamento

    ◊   Per salvare il Lago Ciad serve subito un intervento coordinato dei Paesi della regione, delle istituzioni multilaterali e della comunità internazionale in genere: è il messaggio giunto da Rimini, al termine di una conferenza organizzata dalla Fondazione per la collaborazione dei popoli presieduta da Romano Prodi.

    Un incontro - riferisce l'agenzia Misna - che ha permesso di rivolgere appelli, ma anche di prendere nota di impegni concreti a sostegno di un piano quinquennale di salvaguardia e “rivitalizzazione” approvato nel 2012 a N’Djamena. Un piano messo a punto dalla Commissione per il bacino del Lago Ciad, organismo al quale aderiscono i quattro Paesi rivieraschi (Nigeria, Niger, Camerun e Ciad) con l’aggiunta di Repubblica Centrafricana e Libia. “Siamo qui per raccogliere 900 milioni di euro necessari per la realizzazione del piano” ha detto durante i lavori Mahamadou Issoufou, capo di Stato del Niger e presidente della Commissione. Oltre 80 milioni di euro verranno dalla Banca africana di sviluppo, capofila dei cosiddetti “donatori diretti”, affiancata dalla Banca mondiale e dall’Unesco. Contributi sono stati promessi anche da singoli Stati, come Germania, Francia o Sudan.

    Impegni importanti eppure non ancora sufficienti se si considera che dai Paesi della regione, tra i più poveri al mondo, non arriverà più del 10% degli stanziamenti necessari. Lo ha sottolineato la presidente della Commissione dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma, secondo la quale il Lago è “un patrimonio comune” e la sua tutela “un dovere di tutti”. E lo ha evidenziato Prodi, ex inviato speciale del segretario generale dell’Onu per il Sahel incaricato ora di monitorare l’attuazione del piano quinquennale per il Lago Ciad. “Dobbiamo coinvolgere – ha detto – anche l’Unione Europea e la Banca europea per gli investimenti, che con le sue enormi capacità può investire in Africa”.

    A Rimini è stato sottolineato che la raccolta fondi è solo uno dei nodi da sciogliere. E che l’altro è il coordinamento. In una dichiarazione approvata al termine della conferenza si evidenzia che spetta alla Commissione per il bacino del Lago Ciad armonizzare i progetti nei diversi ambiti, dall’agricoltura alla pastorizia, dalla pesca alla sicurezza. Un compito difficile e fondamentale, vista la posta in palio. “La drastica riduzione dell’estensione del Lago e la perdita di mezzi di sostentamento per oltre 30 milioni di abitanti che vivono di agricoltura e di pesca – si legge nella dichiarazione – aggravano la povertà, l’instabilità e l’insicurezza che già prevalgono nell’area”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 97

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