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Sommario del 30/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Mai rassegnarsi di fronte al dolore di popoli ostaggio di guerra e miseria: così il Papa a Sant'Egidio
  • Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II Santi il 27 aprile. Commenti di mons. Capovilla e mons. Oder
  • Il Papa istituisce “Consiglio di cardinali”, domani prima riunione. Lombardi: nuova modalità di consultazione
  • Il Papa: pace e gioia, non l'organizzazione, segno della presenza di Dio nella Chiesa
  • Assisi e Papa Francesco. L'Istituto Serafico: qui aspettiamo un grande amico
  • Tweet del Papa: dove vediamo odio portiamo amore per dare un volto più umano alla società
  • Il Papa ai vescovi del Brasile: la Chiesa si occupi dell’Amazzonia e dei suoi abitanti
  • Giornata Onu dell'anziano. Mons. Zimowski: creare comunione fra giovani e anziani
  • La Giornata delle comunicazioni sociali 2014 "a servizio di un'autentica cultura dell'incontro"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L’accordo Onu sulla Siria dà una svolta al Medio Oriente: l’analisi di Antonio Ferrari
  • Ondata di attentati in Iraq: 60 morti. Mons. Warduni: c'è paura per il futuro
  • Austria, elezioni: ascesa del partito di estrema destra. Regge la "grande coalizione"
  • La Nigeria tenuta in scacco dai Boko Haram. La testimonianza di una religiosa
  • Crisi di governo, mons. Bregantini: grande amarezza, la politica ascolti chi soffre
  • Il card. Sepe: chi inquina è contro Dio e non può ricevere i Sacramenti
  • Emilia Romagna. Documento dei vescovi su sètte e satanismo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: ancora sangue a Peshawar. I cristiani pregano per le vittime e la pace nel Paese
  • Indonesia: il premier australiano a Giakarta. Difficile dialogo sui boat-people
  • Guinea Conakry: per le legislative spoglio in corso tra attesa e sospetti
  • Mali: violenze a Kidal e Timbuctu riaccendono l'incertezza
  • Centrafrica: saccheggiata la missione di Nostra Signora di Fatima a Bouar
  • Sbarco d'immigrati nel Ragusano: almeno 13 morti
  • Celam: nuovo portale a servizio dei migranti
  • Colombia: oggi i funerali dei due sacerdoti assassinati
  • Israele: vandalismo al cimitero evangelico. Arrestati quattro studenti di una yeshivah
  • Giornata cultura ebraica: Gattegna: "Apriamo le porte delle sinagoghe"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Mai rassegnarsi di fronte al dolore di popoli ostaggio di guerra e miseria: così il Papa a Sant'Egidio

    ◊   Udienza del Papa oggi ai membri della Comunità di Sant’Egidio e ai rappresentanti delle Chiese, delle comunità ecclesiali e delle grandi religioni presenti a Roma per prendere parte al 27.mo incontro per la pace, organizzato annualmente da Sant’Egidio, e quest'anno dal titolo "Il coraggio della speranza". Papa Francesco li ha ringraziati per aver seguito la strada tracciata nel 1986 da Giovanni Paolo II con l’incontro delle religioni ad Assisi con l'invito a "conservare accesa la lampada della speranza, pregando e lavorando per la pace”. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    In questi mesi sentiamo che il mondo ha bisogno dello “spirito” che ha animato l’incontro di Assisi. Papa Francesco va con il pensiero al 1986, a quando Giovanni Paolo II volle nella cittadina umbra un incontro di preghiera tra i leader religiosi di tutto il mondo in nome della pace: “non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri”. Nel suo discorso Francesco incoraggia i membri della Comunità di Sant’Egidio, che da quel lontano 86 ripropongono ogni anno l’incontro tra le religioni, a proseguire il cammino tracciato dal Beato Wojtyla:

    "No! Non possiamo mai rassegnarci di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello sfruttamento. Non possiamo assistere indifferenti e impotenti al dramma di bambini, famiglie, anziani, colpiti dalla violenza. Non possiamo lasciare che il terrorismo imprigioni il cuore di pochi violenti per seminare dolore e morte a tanti. In modo speciale diciamo con forza, tutti, continuamente, che non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti".

    Francesco ricorda ciò che diceva Benedetto XVI, quando si celebrò due anni fa, il 25.mo di Assisi: che “bisogna cancellare ogni forma di violenza motivata religiosamente, e insieme vigilare affinché il mondo non cada preda di quella violenza che è contenuta in ogni progetto di civiltà che si basa sul ‘no’ a Dio”:

    “Come responsabili delle diverse religioni possiamo fare molto. La pace è responsabilità di tutti. Pregare per la pace, lavorare per la pace! Un leader religioso è sempre uomo o donna di pace, perché il comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo”.

    Cosa fare? Chiede Francesco ai presenti. Prendendo spunto dal titolo del convegno la risposta del Papa è netta: il coraggio del dialogo, che dà speranza, senza il dialogo c’è poca pace, “si stenta a uscire dallo stretto orizzonte dei propri interessi, per aprirsi a un vero e sincero confronto”:

    “Il dialogo può vincere la guerra. Il dialogo fa vivere insieme persone di differenti generazioni, che spesso si ignorano; fa vivere insieme cittadini di diverse provenienze etniche, di diverse convinzioni. Il dialogo è la via della pace. Perché il dialogo favorisce l’intesa, l’armonia, la concordia, la pace. Per questo è vitale che cresca, che si allarghi tra la gente di ogni condizione e convinzione come una rete di pace che protegge il mondo e soprattutto protegge i più deboli”.

    In conclusione, Francesco sollecita tutti i leader religiosi, chiamati ad essere veri “dialoganti”, a costruire la pace come mediatori e non intermediari, perché se questi ultimi cercano un guadagno per sé, i primi sono coloro che si spendono generosamente, fino a consumarsi, per un unico guadagno: la pace:

    “Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l'odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri! Dialogare, incontrarci per instaurare nel mondo la cultura del dialogo, la cultura dell’incontro”.

    Preghiere: è ciò che chiede Francesco, per la pace in Siria, in Medio Oriente, in tanti Paesi del mondo e poi il suo auspicio che il “coraggio di pace doni il coraggio della speranza al mondo, a tutti quelli che soffrono per la guerra, ai giovani che guardano preoccupati il loro futuro”.

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    Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II Santi il 27 aprile. Commenti di mons. Capovilla e mons. Oder

    ◊   Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II saranno canonizzati il prossimo 27 aprile 2014, II domenica di Pasqua, Festa della Divina Misericordia. L’annuncio questa mattina al termine del Concistoro tenuto da Papa Francesco nel Palazzo Apostolico Vaticano. Grande l’entusiasmo in tutto il mondo. Campane a festa a Sotto il Monte, paese natale di papa Roncalli, dove vive colui che fu il suo segretario particolare: mons. Loris Capovilla. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – La mia prima impressione è questa: ho visto l’immagine della bontà. Ho avuto questa convinzione dal primo incontro, quando l’ho visto in fotografia. Quando l’ho visto nel 1950 nella mia Venezia, quando sono andato a Parigi – il 2 febbraio del 1953 – quando mi ha invitato ad essere il suo “contubernale”. Io non mi sono mai chiamato segretario di Papa Giovanni, perché il segretario di Papa Giovanni è il segretario di Stato. Io sono stato un piccolo “servitorello”. Con Papa Giovanni ho pregato, ho sofferto, anche dopo la sua morte ho sofferto molto. Poi il Signore ha disposto, attraverso i suoi servi, che questa figura riapparisse all’orizzonte. Oggi la richiama “al vivo” Papa Francesco. Una delle prime cose che mi ha detto: “Loris, ricordati, se non metti il tuo “io” sotto i piedi, non sarai mai libero e non entrerai mai nel territorio della pace”. E le stesse parole che disse poi nel giorno più solenne della sua vita, con il mondo intero davanti a sé, convocato il Concilio, ha detto quelle parole sublimi: “La mia persona conta niente!”. É stata una grande lezione di umiltà, di dolcezza, di amore e di speranza. Papa Giovanni ci ha insegnato, e adesso lo ripete in quasi tutti gli incontri Papa Francesco: "Ciascuno di noi retti, non retti, credenti, non credenti, ciascuna creatura umana porta in fronte il sigillo di Dio”. Questa è la prima lezione che ho ricevuto e alla quale mi attengo. Professo, fin da questo momento, la mia venerazione a San Giovanni XXIII, a San Giovanni Paolo II, e ringrazio Papa Francesco.

    D. – Lei ricordava la sua familiarità con Giovanni XXIII. Lei è la memoria vivente di Papa Roncalli. Quali aspetti, secondo lei, della santità di Papa Giovanni hanno ancora molto da dire all’uomo e alla donna di oggi?

    R. – Lui non ha scritto un gran libro, non era nelle sue intenzioni fare un manuale di ascetica. Fin da ragazzo, a 14 anni, scriveva le sue piccole memorie per gli esercizi spirituali. E sempre da ragazzo, ha cominciato a proporsi questo: “Io devo essere santo”! La Pacem in Terris non è l’Enciclica di Papa Giovanni, è l’Enciclica di Gesù! E tutto il mondo cristiano ha cooperato a fare questo documento che verrà solennemente ricordato a Roma nei prossimi giorni. Non c’è un’altra strada: la mano tesa, il cuore aperto della civiltà dell’amore. Non dimentichiamo questa bella parola “civiltà dell’amore” che Paolo VI ci ha lasciato come pegno.

    D. – Quale atmosfera si respira in queste ore a Sotto il Monte?

    R. – In questo momento, hanno terminato di suonare a distesa le campane. Guardi, la devozione c’è. E come la grande, piccola Assisi onora il suo Francesco d’Assisi, Sotto il Monte onora il suo Papa Giovanni con la vita semplice, umile, povera, laboriosa, religiosa.

    Grande gioia emozione anche per la notizia della prossima canonizzazione di Giovanni Paolo II. Al microfono di Paolo Ondarza, il postulatore della causa di canonizzazione mons. Slawomir Oder:

    R. – E’ una notizia che sicuramente mi trova felicissimo. Per me, questo significa veramente vedere finalmente, personalmente, la conclusione di una straordinaria avventura, che ho vissuto a livello sia professionale che personale. Penso sarà veramente una grande gioia per tutta la Chiesa. Ho ancora davanti ai miei occhi l’immagine di Piazza San Pietro gremita, il giorno della Beatificazione: era un’immagine della Chiesa veramente in festa.

    D. – La data scelta: 27 aprile 2014, festa della Divina Misericordia, una data particolare, una data molto speciale...

    R. – Io in questa data vedo, in un certo senso, una continuità nel trasmettere il messaggio della Divina Misericordia. Penso che Papa Francesco non a caso abbia voluto scegliere questa data. Tutto il Pontificato di Giovanni Paolo II è un annuncio della Divina Misericordia, con il suo grande desiderio di portare agli onori degli altari Santa Faustina Kowalska e istituire la festa della Divina Misericordia. E vedo Papa Francesco uno straordinario continuatore di questo messaggio.

    D. – Giovanni Paolo II è un uomo dei nostri tempi, dei nostri giorni potremmo dire. Sono tanti i giovani profondamente legati alla sua figura, al suo magistero...

    R. – La certezza della canonizzazione è la certezza che Giovanni Paolo II sia veramente in Paradiso, al cospetto di Dio e possa intercedere per noi. Allora, un Santo dei nostri giorni significa un Santo che conosce la nostra gioia, le nostre preoccupazioni, i nostri problemi, i dolori, un Santo che ha la possibilità di interpretare le nostre istanze più profonde e chiedere la divina grazia per queste necessità. Ma, dall’altra parte, è un esempio di vita, una guida sicura nell’indicare il modo di affrontare le sfide del giorno, per dare la testimonianza della vita cristiana.

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    Il Papa istituisce “Consiglio di cardinali”, domani prima riunione. Lombardi: nuova modalità di consultazione

    ◊   Con un chirografo, Papa Francesco ha istituito oggi il “Consiglio di cardinali”, gruppo composto da otto porporati, i cui nomi sono stati resi noti il 13 aprile scorso, che avranno il compito di coadiuvare il Papa nel governo della Chiesa e nel progetto di riforma della Curia Romana. Domani la prima riunione del Consiglio alla presenza del Pontefice. Le sessioni di lavoro proseguiranno fino a giovedì 3 ottobre. Sull’importanza di questa riunione, padre Federico Lombardi ha tenuto in briefing nella Sala Stampa vaticana. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Padre Federico Lombardi ha iniziato il briefing dando lettura di un Chirografo con il quale Papa Francesco ha specificato il ruolo e le funzioni degli 8 cardinali che, da domani, si riuniranno con il Pontefice fino al 3 ottobre. Innanzitutto il gruppo si chiamerà appunto Consiglio e viene sottolineato che è frutto dei suggerimenti emersi già nelle Congregazioni generali prima dell’ultimo Conclave. Con il documento si stabilisce, dunque, formalmente che il Consiglio dei Cardinali aiuterà il Papa “nel governo della Chiesa” e “nello studio di un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana”. Padre Federico Lombardi ha messo l’accento sul nuovo metodo di governo voluto da Papa Francesco:

    “Un modo con cui forse si può definire questo Consiglio è ‘un ulteriore strumento che arricchisce il governo della Chiesa di una nuova modalità di consultazione’: quindi un arricchimento degli strumenti già a disposizione del Santo Padre per il governo della Chiesa tramite la consultazione, l’aiuto che può avere consultando”.

    E’ sempre il Chirografo a evidenziare che il Consiglio, che può essere cambiato nel numero dei componenti, vuole essere un’ulteriore espressione della comunione episcopale e dell’ausilio al munus petrinum, al governo del Successore di Pietro. Padre Lombardi ha specificato quali sono le due parole chiave per inquadrare questo passaggio del Chirografo:

    “Le parole chiave per pensare a questo metodo di governo che il Papa sta configurando credo che siano la sinodalità, l’idea del camminare insieme: una Chiesa che cammina insieme nelle sue diverse componenti e il Papa è in cammino con questa Chiesa; il discernimento, che è la ricerca della volontà di Dio attraverso una consultazione frequente e paziente”.

    Il direttore della Sala Stampa vaticana ha, dunque, affermato che gli 8 cardinali, giunti a Roma in questi giorni, si sono già riuniti informalmente prima dell’incontro di domani con il Papa. Il Consiglio dei cardinali si è preparato con una raccolta di suggerimenti e proposte nelle loro aree geografiche. Sono inoltre stati inviati al Papa documenti dai diversi dicasteri e dalla Segreteria di Stato. Complessivamente, ha detto padre Lombardi, si tratta di un’ottantina di documenti, dei quali il segretario del Consiglio mons. Semeraro, ha preparato una sintesi. I lavori – ha proseguito padre Lombardi - si terranno nella Biblioteca privata della Terza Loggia, nell’Appartamento papale. I cardinali, che alloggiano nella Casa Santa Marta, si riuniranno la mattina e il pomeriggio e il Papa sarà sempre presente tranne mercoledì mattina per l’impegno dell’udienza generale. Padre Lombardi si è soffermato proprio su come il Papa interverrà alle sessioni di lavoro:

    “Il Papa prevede di fare una introduzione molto breve e di ascoltare. Sostanzialmente la presenza del Papa è una presenza di ascolto di questi consiglieri che avranno – diciamo – molto da portare con le loro considerazioni, dato che il materiale è molto abbondante”.

    Rispondendo alle domande dei giornalisti, padre Lombardi ha tenuto a specificare che con questo Consiglio non si introduce un governo collegiale da parte di Papa Francesco:

    “Il Papa non è condizionato in nessun modo. Per dire che è un governo collegiale bisognerebbe dire che il Papa 'deve' consultarlo, 'deve' riunirlo su determinati argomenti, ‘deve’… Qui, non si tratta di questo: si tratta di un Consiglio a cui può essere richiesto di dare il suo parere”.

    Padre Lombardi ha infine ribadito che si tratta del primo incontro del Papa con i cardinali e che dunque non ci si devono aspettare decisioni eclatanti. Anzi, è stato specificato, non verranno pubblicati documenti di lavoro né è previsto un comunicato finale.

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    Il Papa: pace e gioia, non l'organizzazione, segno della presenza di Dio nella Chiesa

    ◊   Non un'organizzazione e una programmazione perfette, ma “pace e gioia” sono il segno della presenza di Dio nella Chiesa: è quanto ha affermato il Papa nella Messa di stamani a Santa Marta commentando le letture del giorno. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    I discepoli erano entusiasti, facevano programmi, progetti per il futuro sull’organizzazione della Chiesa nascente, discutevano su chi fosse il più grande e impedivano di fare il bene in nome di Gesù a quanti non appartenevano al loro gruppo. Ma Gesù – spiega il Papa – li sorprende, spostando il centro della discussione dall’organizzazione ai bambini: “Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi – dice - questi è grande!”. Così, nella Lettura del profeta Zaccaria si parla dei segni della presenza di Dio: non “una bella organizzazione” né “un governo che vada avanti, tutto pulito e tutto perfetto”, ma gli anziani che siedono nelle piazze e i fanciulli che giocano. Il rischio è quello di scartare sia gli anziani che i bambini. E duro è il monito di Gesù verso chi scandalizza i più piccoli:

    “Il futuro di un popolo è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini. Un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa! I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo! Quanto è comune lasciarli da parte, no? I bambini, tranquillizzarli con una caramella, con un gioco: ‘Fai, fai; Vai, vai’. E i vecchi non lasciarli parlare, fare a meno del loro consiglio: ‘Sono vecchi, poveretti’…”.

    I discepoli – sottolinea il Papa - non capivano:

    “Io capisco, i discepoli volevano l’efficacia, volevano che la Chiesa andasse avanti senza problemi e questo può diventare una tentazione per la Chiesa: la Chiesa del funzionalismo! La Chiesa ben organizzata! Tutto a posto, ma senza memoria e senza promessa! Questa Chiesa, così, non andrà: sarà la Chiesa della lotta per il potere, sarà la Chiesa delle gelosie fra i battezzati e tante altre cose che ci sono quando non c’è memoria e non c’è promessa”.

    Dunque, la “vitalità della Chiesa” non è data da documenti e riunioni “per pianificare e far bene le cose”: queste sono realtà necessarie, ma non sono “il segno della presenza di Dio”:

    “Il segno della presenza di Dio è questo, così disse il Signore: ‘Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e fanciulle che giocheranno sulle sue piazze’. Gioco ci fa pensare a gioia: è la gioia del Signore. E questi anziani, seduti col bastone in mano, tranquilli, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia: questa è l’aria della Chiesa!”.

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    Assisi e Papa Francesco. L'Istituto Serafico: qui aspettiamo un grande amico

    ◊   Ultimi giorni per la preparazione ad Assisi della visita di Papa Francesco il 4 ottobre. Come Karol Woytila nel 1993, anche il Pontefice inizierà la sua visita dall’Istituto Serafico, la grande struttura che ai piedi della città ospita e cura più di 100 pluriminorati gravi di tutta Italia. Sono bambini e giovani che il Papa saluterà nella cappella dell’Istituto, dopo l’atterraggio con l’elicottero nel vicino campo sportivo. Nell’udienza del 12 giugno scorso, è stata la presidente del Serafico, Francesca di Maolo, a consegnare al Pontefice una lettera di invito, “perché” dice, “questo è un luogo speciale”. Gabriella Ceraso l’ha intervistata:

    R. – Perché crediamo che questo istituto oggi possa esprimere concretamente il messaggio di Francesco. I nostri ragazzi rappresentano i semplici, riportano ai valori autentici della vita con la loro lotta, ogni giorno, contro le sfide della disabilità. E San Francesco si aprì all’amore proprio dopo quell’abbraccio ai lebbrosi. E noi pensiamo che questi ragazzi, gravemente sofferenti, effettivamente portino all’apertura piena, all’amore.

    D. – Il Papa non solo ha deciso di venire, ma ha deciso di iniziare la sua visita ad Assisi proprio da voi: quindi le prime parole sono proprio per voi…

    R. – E’ stata una grandissima gioia, perché non pensavamo a tutto questo spazio. I ragazzi vivono questo momento con grande naturalezza, perché per loro – dopo quell’incontro il 12 giugno – è il padre: per loro è l’amico Francesco. Lo hanno invitato nella loro casa e quindi si stanno preparando come chi aspetta l’ospita.

    D. – Qual è la missione di questo istituto? Lei ha parlato di un luogo speciale…

    R. – Da un lato, l’Istituto Serafico è un luogo di sofferenza, ma è un luogo anche di grazia. Significa ogni giorno stare a contatto con la carne di Cristo che soffre.

    D. – Esiste la “cultura dello scarto”, di cui il Papa parla quando parla di chi mette ai margini i malati, gli ultimi, i sofferenti?

    R. – Esiste fortemente! Io conservo la lettera di un genitore dei nostri ragazzi, che dopo la notizia della visita del Santo Padre mi racconta di una grande restituzione ottenuta con questa visita. per lui che è abituato a vivere sempre ai margini con suo figlio. Molti dei genitori mi dicono anche che difficilmente riescono a portarli nei luoghi, nei luoghi pubblici, proprio perché sono visti come soggetti non produttivi. Sono visti come un costo. Le famiglie sono famiglie invisibili. E quindi, il fatto che il Papa ribalti la logica è anche un grande messaggio sociale. Dopo il 4 ottobre, speroche possa cambiare un po’ la logica della società: rimettere al centro proprio la persona, partendo dalla persona ferita, partendo dalla famiglia ferita.

    D. – Lei stessa ha vissuto in prima persona questa sorta di paura di avvicinarsi a un luogo di sofferenza…

    R. – E’ così. Io stessa sono passata tante volte di fronte a questo Istituto, ma cercavo di non pormi delle domande. Poi, invece, varcando la soglia dell’Istituto si subisce una trasformazione. Poter stare a contatto con questi giovani, ci ha riportato ai valori autentici della vita.

    D. – I ragazzi stanno preparando qualcosa per il Papa? Ci sarà uno scambio, uno dono?

    R. – I ragazzi stanno lavorando nei laboratori: c’è chi prepara un disegno, loro lavorano anche la ceramica… Non lo so alla fine quale cosa uscirà fuori, ma sicuramente ci sarà. So che ruoterà intorno al tema dell’abbraccio: per loro l’abbraccio è il contatto umano ed è importantissimo. Parliamo di bambini e ragazzi che sono prigionieri nel buio, sono prigionieri della loro disabilità. Quindi, poter entrare in contatto con l’altro diventa un’espressione di amore, un’espressione di fiducia, di sicurezza. Anche questo diventa un messaggio, un messaggio per tutti. E’ essere, appunto, sempre in relazione, in prossimità con l’altro.

    Ma sentiamo come stanno vivendo l’attesa del Papa i terapisti, gli educatori, e i religiosi che lavorano al Serafico e che ogni giorno con amore si dedicano ai ragazzi malati. Le interviste sono di Gabriella Ceraso:

    D. – Che cosa significa per voi religiose stare qui con questi ragazzi?

    R. – E’ un luogo dove veramente si vive il Vangelo dell’amore, dove noi siamo testimoni di questo. I nostri ragazzi per noi sono dei figli.

    D. – Per voi, penso che la presenza del Papa abbia ancor più significato?

    R. – Sì, per noi è un grande onore che sta a dimostrare quell’amore preferenziale per gli ultimi.

    D. – Cosa il Papa può portare a loro, oltre che con al sua presenza, anche con le sue parole?

    R. – La tenerezza di un padre! Una fonte, oltre che di gioia, di speranza.

    D. - Voi lavorate con i più piccoli della struttura: che cos’è lavorare con loro ogni giorno?

    R. – Pazienza e tanto amore. Arrivare con un spirito di energia, di positività…

    D. – Loro ci saranno alla visita del Papa?

    R. – Sì loro saranno presenti. Non so quanto potranno capire la presenza del Papa, ma sicuramente sentono questa grande energia di tutti noi, di noi educatori…

    D. – Per voi che cosa rappresenta questo momento?

    R. – Un grande messaggio di pace, di serenità sicuramente mi aspetto dal Papa. Forse una finestra che si apre in più in questo istituto per far vedere al mondo, soprattutto in questo periodo, che siamo tutti un po’ individualisti, cosa veramente si fa per gli esseri umani più indifesi.

    D. – Un Papa che esprime le sue emozioni abbracciando e incontrando che cosa può significare?

    R. – Per noi è tantissimo, perché è un po’ quello che facciamo anche noi tutti i giorni. Noi lavoriamo molto sul contatto corporeo soprattutto, visto che lavoriamo anche con i non vedenti… Il linguaggio verbale pieno di sovrastrutture per loro è poco significativo: noi dobbiamo usare un linguaggio semplice come quello che un po’ usa il Papa. E comunque molta empatia.

    D. – Cosa, secondo lei e secondo voi che ci lavorate, può significare la sua presenza proprio qui?

    R. – Per noi è un dono grandissimo, perché comunque è un’attenzione che lui rivolge a questo tipo di ragazzi, di persone, che sono un po’ gli ultimi per la società: che sono sorvegliati, assistiti. Invece lui, in questo caso, dà loro una valenza importante, che loro hanno chiaramente: lui ha colto l’essenza della cosa. Non sono ragazzi da compatire, ma sono ragazzi da scoprire. Quindi è bellissimo il fatto che lui venga qui a conoscerli. Per noi è emozionante. Anche per il nostro lavoro di tutti i giorni è un incentivo grandissimo.

    D. – Come stanno vivendo questi ragazzi l’attesa del Papa?

    R. – Con tante emozione, veramente con tante emozione. Loro sono felicissimi e stanno pensando anche a cosa regalare. Quindi stanno sperimentando con le varie tecniche, con il colore, con l’argilla cose da produrre, regali da produrre proprio per il Santo Padre.

    D. – Fanno domande?

    R. – Sì. Vogliono sapere quando arriverà, come sarà vestito… Ieri Ivan ha addirittura provato a fare un ritratto del Santo Padre.

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    Tweet del Papa: dove vediamo odio portiamo amore per dare un volto più umano alla società

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: "Dove vediamo odio e buio, cerchiamo di portare un po' di amore e di speranza, per dare un volto più umano alla società".

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    Il Papa ai vescovi del Brasile: la Chiesa si occupi dell’Amazzonia e dei suoi abitanti

    ◊   Un incontro “molto piacevole e semplice”: così il segretario generale della Conferenza episcopale del Brasile, mons. Leonardo Steiner, racconta l’udienza con il Papa, sabato scorso in Vaticano, insieme al presidente e vicepresidente dei vescovi brasiliani, il cardinale Damasceno Assis e mons. Belisario da Silva. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Solo due mesi fa, Papa Francesco era in Brasile, per la Gmg di Rio, e in quella occasione sono risuonate nel mondo intero gli appelli rivolti oltre che ai giovani ai vescovi e ai sacerdoti. Ricordiamo l’invito ad uscire con coraggio dalla parrocchie per annunciare Cristo senza presunzioni, partendo dalle periferie e dalle persone lontane e tra le sfide la principale per la Chiesa brasiliana indicare la formazione di ministri capaci di scaldare il cuore della gente, di scendere nella notte senza essere invasi dal buio. E poi ancora l’incoraggiamento ad andare controcorrente rispetto ad un “umanesimo economicista che si è imposto nel mondo” e l’attenzione particolare da porre all’Amazzonia e ai suoi abitanti Su questi temi è tornato Francesco nell’udienza di sabato, con la promessa di voler tornare in Brasile, come racconta mons. Leonardo Steiner al microfono di Christiane Murray:

    R. – Ci ha ricordato due punti del suo discorso che ha fatto ai vescovi presenti alla Giornata mondiale. Il primo sulla formazione, prima per noi stessi vescovi, per i preti ma anche per i laici. Ha insistito su questo punto, invitandoci ad investire tutte le nostre forze. L’altro punto che ci ha ricordato, rafforzato e domandato più di una volta è la questione dell’Amazzonia. La Chiesa – ha detto – deve preoccuparsi dell’Amazzonia come un tutto, per portarvi il Vangelo ma anche preoccupandosi della cultura locale, dei popoli che vivono vicino ai fiumi e dei popoli indigeni, della vera cultura che esiste anche nell’Amazzonia. Ha detto che la Chiesa brasiliana è responsabile per l’Amazzonia: deve preoccuparsi dell’Amazzonia, deve discutere e pensare anche ad un programma per aiutare a formare i presbiteri locali. Dopo abbiamo parlato molto riguardo alla Giornata mondiale: lo abbiamo ringraziato per la sua presenza così bella, allegra, che ci ha portato tantissima gioia, e che ha anche aperto alcuni orizzonti per i nostri giovani e anche per la nostra Chiesa che deve portare il Vangelo, andare alle periferie esistenziali, ma anche alle periferie sociali. Lo abbiamo ringraziato tantissimo. Il cardinale Damasceno Asiss gli ha anche ricordato che gli aveva proposto di tornare in Brasile nel 2017. E lui ha detto: “Io voglio tornare!”. Ma non ha confermato naturalmente, perché abbiamo ancora quasi quattro anni davanti a noi.

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    Giornata Onu dell'anziano. Mons. Zimowski: creare comunione fra giovani e anziani

    ◊   “Realizzare una comunità ecclesiale fraterna dove giovani e anziani si rivolgono insieme a Dio”: è questo un primo grande aiuto per chi è avanti negli anni. Lo sottolinea mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, nel messaggio per la Giornata internazionale dell’anziano indetta dall’Onu, che ricorre domani. Il servizio di Debora Donnini:

    Ci sono oltre 600 milioni di anziani nel mondo e a causa del progressivo invecchiamento della popolazione si stima che entro una decina di anni saranno più di un miliardo. A fronte di questa realtà, nel messaggio per la Giornata dell’anziano mons. Zimowski chiede a tutti di collaborare per una società arricchita dalla partecipazione di chi “potrebbe essere considerato ‘non utile’” e incoraggia gli anziani a non lasciarsi andare e a ricordare che sono una testimonianza. A Rio de Janeiro Papa Francesco aveva evidenziato come ci sia “una specie di eutanasia nascosta, cioè non ci si prende cura degli anziani”, ma anche “un’eutanasia culturale” perché non li si lascia parlare, quando invece gli anziani devono trasmetterci la saggezza.

    Bisogna “evangelizzare la vecchiaia”, sottolinea mons. Zimowski, ricordando che ognuno è amato da Dio e quando la vita diventa fragile, essa non perde il suo valore. “La Chiesa - auspica - sia effettivamente famiglia di tutte le generazioni, in cui ognuno deve sentirsi a casa, dove non regna la logica del profitto e dell’avere, ma quella della gratuità e dell’amore”. Per questo, è fondamentale “la comunione fra le generazioni” e il primo grande aiuto per mons. Zimowski consiste nel “realizzare una comunità ecclesiale fraterna, dove giovani e anziani insieme si rivolgono a Dio”. Si tratta dunque di favorire una cultura dell’unità fra le generazioni. Bisogna poi operare per “una pastorale degli anziani” piuttosto che "per" gli anziani, cioè gli anziani stessi devono continuare l’attività missionaria. Per quanto riguarda l’assistenza sociale e sanitaria, è essenziale che essa sia animata dall’amore. Ma soprattutto l’auspicio del presule è che ci sia particolare attenzione per l’assistenza religiosa degli anziani non autosufficienti, non solo nelle case di riposo ma anche nelle loro abitazioni, visitandoli e valorizzando la loro vita nella preghiera comune.

    Questo dovrebbe essere “un impegno di tutta la comunità cristiana” e per questo il Pontificio Consilio per gli Operatori Sanitari sta organizzando una conferenza internazionale, dal 21 al 23 novembre, in Vaticano, dedicata al tema: “La Chiesa a servizio della persona anziana malata: la cura delle persone affette da patologie neurodegenerative”. Nella prospettiva cristiana la vecchiaia, infatti, non è il venir meno della vita ma il suo compimento: un periodo nel quale si può avere una saggezza profonda, quella stessa che Papa Francesco ha ricordato nel suo primo Angelus quando ha fatto riferimento a quella signora anziana che si confessò da lui e alla fine gli disse che “Se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”.

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    La Giornata delle comunicazioni sociali 2014 "a servizio di un'autentica cultura dell'incontro"

    ◊   Nell’era della multimedialità, la comunicazione ha assunto due precise caratteristiche: è “amplificata” e “continua”. Un dinamismo che favorisce come mai in passato il contatto tra persone e mondi anche lontani fra loro. In questo contesto ci colloca il tema del Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2014, reso noto oggi con il titolo “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”. Si tratta di un Messaggio, si legge in una nota ufficiale, che “vuole esplorare il potenziale della comunicazione, nel mondo sempre collegato e in rete, per far sì che le persone siano sempre più vicine e si costruisca un mondo più giusto”. Nella recente udienza alla plenaria del dicastero vaticano delle Comunicazioni Sociali, Papa Francesco aveva esortato gli esperti del settore a “far riscoprire, anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale, oltre che nell’incontro personale, la bellezza di tutto ciò che è alla base del nostro cammino e della nostra vita, la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo.”

    L’era della globalizzazione, osserva ancora il comunicato, “impone con forza che la comunicazione possa arrivare nei più remoti angoli del mondo reale”, ma altrettanto necessario – si ricorda citando il Papa – giungere “negli ambiti creati dalle nuove tecnologie, nelle reti sociali, per far emergere una presenza … che ascolta, dialoga, incoraggia”. Ciascuno di noi, conclude la nota, “dovrebbe accogliere la sfida di essere autentico, testimoniando i valori in cui crede, la sua identità cristiana, il suo vissuto culturale, espressi con un nuovo linguaggio, per giungere alla condivisione”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per aiutare il Papa nel governo della Chiesa: un chirografo istituisce come Consiglio di cardinali l'organismo costituito il 13 aprile scorso.

    Mai rassegnarsi alla guerra: l'appello di pace del Papa all'indomani della Messa con i catechisti in piazza San Pietro.

    Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II santi il 27 aprile 2014.

    In prima pagina, Marco Bellizi sull'Italia costretta a una nuova crisi politica: i ministri del Popolo della libertà hanno rassegnato le dimissioni.

    La misericordia? Un caso serio: in cultura, Dario Edoardo Viganò sul continuo richiamo del Pontefice.

    Un articolo di Ugo Sartorio dal titolo "Tre Papi ad Assisi": dialogo e povertà a servizio della pace.

    Sulla frontiera: Edith Stein e il Novecento in un articolo di Lucetta Scaraffia.

    Gemme antiche strappate al tempo: Antonio Paolucci sul nuovo allestimento per il Museo Profano in Vaticano, con un articolo di Silvia Guidi dal titolo "A casa dopo oltre duecento anni".

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    Oggi in Primo Piano



    L’accordo Onu sulla Siria dà una svolta al Medio Oriente: l’analisi di Antonio Ferrari

    ◊   In Siria, ancora violenze: dopo l’uccisione di 16 persone ieri a Raqqa, uno dei bastioni anti-regime, oggi si segnalano colpi di mortaio a Damasco. Intanto, il presidente Assad ribadisce, nell’intervista alla Tv italiana, che rispetterà fino in fondo la risoluzione Onu sulle armi chimiche. Ed è partito il primo team di esperti che deve monitorare lo smantellamento. Ora, la sfida sarà far sedere le parti al tavolo del negoziato a Ginevra. Ma per capire l’importanza di quanto sta accadendo in Siria e nell’intero Medio Oriente, Fausta Speranza ha intervistato Antonio Ferrari, inviato del Corriere della Sera:

    R. - L’accordo all’Onu è fondamentale e sta cambiando la storia sotto i nostri piedi. Ecco, la vediamo cambiare e questo è un elemento estremamente positivo. La Siria non sarà più quella di prima. I ribelli - quelli che sono contro il regime - non saranno quelli di prima. Anche Israele dovrà cambiare atteggiamento, perché puntava sull’Iran e in questo momento non si può andare contro l’Iran, perché quest’ultimo si sta aprendo verso gli Stati Uniti che sono il maggiore alleato di Israele. L’Egitto sta cambiando lentamente. Sembra riprendere anche il negoziato israelo-palestinese. Le dinamiche che si sono mosse nell’ultimo mese stanno cominciando a presentarci un mondo che non eravamo abituati a conoscere. Il quadro era disastrato, ci sono state delle possibilità come ad esempio, la discussione degli impianti… e c’è stata la voce del Papa, che credo abbia aiutato ad un riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia che pareva impossibile.

    D. - Ci aiuti a fotografare una situazione di fondo, perché in tutte le evoluzioni e nelle varie situazioni dei vari Paesi torna un elemento: un mondo musulmano che ha due anime, quella sunnita e quella sciita, che purtroppo in questa fase storica, nei vari contesti, si trovano l’una contro l’altra. E poi, c’è la spinta dell’estremismo. Si deve fare i conti con tutto questo, anche al di là delle dinamiche geopolitiche internazionali…

    R. - L’estremismo deve essere isolato in tutti i campi, in tutte le religioni, in tutti i settori. Credo che le due parti - per ora una contro l’altra - alla fine verranno costrette dalla nuova situazione del mondo a cominciare a discutere tra di loro. Quindi, ottimismo sì, proprio perché vediamo questi segnali che non vedevamo da tanto tempo. E anche i ribelli pensavano di avere tutto il mondo dalla loro parte e di ricevere gli strumenti per attaccare e per creare una situazione di maggiore tensione: anche su di loro è arrivato un segnale. Consentitemi di spendere una parola per i cristiani: pensiamo al villaggio di Maalula, anzi “Malala” come pronunciano loro. Un villaggio cristiano dove si parla ancora l’aramaico che è nel nostro cuore. Chi c’è stato non poteva non innamorarsene e l’attacco di Maalula da parte dei ribelli è stato qualcosa di drammatico.

    D. - In questo momento, però, che cosa sappiamo di questi ribelli? C’è stata un’evoluzione in questi due anni di conflitto: chi sono?

    R. - Nessuno lo sa. È una domanda alla quale non so rispondere. Posso dire una cosa: la maggioranza del fronte dell’opposizione oggi è composta da estremisti che più o meno si richiamano ad Al Qaeda o ad un tipo di regionalizzazione, localizzazione di Al Qaeda. Quella spinta moderata che ha dato origine alla prima rivolta siriana, due anni fa, è una spinta che è stata risucchiata, marginalizzata proprio dal prevalere di queste forze estremiste. Quindi, i meccanismi sono sempre gli stessi: bisogna isolare gli estremisti.

    D. - Dunque, adesso si parla di questa Conferenza “Ginevra 2” in novembre. Per la comunità internazionale forse la scommessa più grande, a questo punto, sarà quella di portare questi ribelli al tavolo dei negoziati, anche perché non sapere chi sono è una bella sfida...

    R. - Si, credo che il ruolo di “Ginevra 2” sia quello di ridare fiato ai moderati, a coloro che volevano davvero cambiare, con i quali il governo prima o poi dovrà discutere e discuterà. Io su questo sono abbastanza ottimista, e poi bisogna isolare gli estremisti. Certo andare con Al Qaeda a "Ginevra 2" significherebbe far fallire tutto ancor prima di cominciare, perché gli estremisti non vogliono un accordo.

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    Ondata di attentati in Iraq: 60 morti. Mons. Warduni: c'è paura per il futuro

    ◊   In Iraq, è salito ad almeno 60 morti il bilancio provvisorio delle 12 esplosioni con autobomba, stamani a Baghdad. Oltre 100 i feriti. Gli attacchi, secondo la polizia locale, hanno colpito perlopiù la comunità sciita. Già ieri a Musayyib, 60 km a sud della capitale, un kamikaze si era fatto saltare in aria provocando il crollo del soffitto della moschea sciita dove si stavano celebrando le esequie di un uomo ucciso sabato da miliziani: almeno 40 le vittime. Una ventina invece erano state registrate ad Hilla, città meridionale a maggioranza sciita. E a Erbil, nel Kurdistan, un gruppo armato aveva fatto irruzione nella sede dei servizi di sicurezza locali, provocando altri 6 morti. Una scia di sangue che conta almeno 800 vittime soltanto a settembre e 6 mila morti dall’inizio dell’anno per le tensioni interconfessionali tra la maggioranza sciita al potere e la minoranza sunnita. Un’ondata di violenza che ha raggiunto i livelli del triennio di sangue 2006-2008. Sulla situazione attuale, Giada Aquilino ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei:

    R. – Sta succedendo il caos. Ci preoccupiamo, perché non sappiamo cosa e per quali motivi stia accadendo. Alcuni dicono a causa delle elezioni, che ci saranno fra un anno, altri dicono si tratti di contraddizioni non soltanto religiose, ma di interessi e divisioni fra partiti. Noi non lo sappiamo. Si tratta comunque di cose che non sono per il bene dell’Iraq né degli iracheni e che fanno male a tutti.

    D. – Questa violenza, quindi, non è solo da ricondurre a tensioni interconfessionali?

    R. – E’ anche questo, ma non solo. L’aspetto interconfessionale è molto chiaro, ma ci sono altre cause sia interne sia esterne: contro l’Iraq, contro la sua unità, contro i suoi interessi.

    D. – Come si è arrivati a questo punto?

    R. – Se non c’è un governo forte, che possa mandare avanti le cose, si moltiplicano gli atti terroristici, che fanno paura a tutti. Noi chiediamo solo alla gente di stare tranquilla, di pregare. La gente però se non ha la sicurezza, se non ha la pace come può vivere sempre con questa ansia di non sapere quando possa scoppiare una macchina, un’autobomba o quando ci sia un kamikaze? Che il Signore ci protegga. La maggioranza delle persone però vuole uscire dal Paese, c’è un grande flusso migratorio. Ieri, per esempio, c’è stato uno scoppio nel Nord, il posto più sicuro in Iraq al momento. E quando la gente vede che non c’è più alcun posto sicuro, cosa può fare per proteggere la propria vita, la propria famiglia, il proprio lavoro, il proprio futuro?

    D. - La situazione in Siria si rispecchia anche in Iraq?

    R. – Sì, certamente c’è un’influenza e certamente c’è una guerra interconfessionale. Da noi ci sono entrambe le parti. Siamo al confine. E ci sono sia le armi sia i terroristi. Noi stiamo pregando molto, chiedendo l’aiuto di Dio, perché ci sia la pace e la sicurezza per tutti quanti.

    D. – Qual è la situazione dei cristiani al momento?

    R. – In Iraq, adesso non abbiamo direttamente grandi problemi, ma abbiamo paura per il futuro, perché non si sa quando ci saranno attacchi contro di noi o contro le nostre chiese. Ogni tanto, comunque, si sente una minaccia contro quella chiesa, contro quella persona.

    D. – Com’è impegnata la Chiesa irachena?

    R. – Da una parte, dice alla gente di non andare fuori, di non emigrare; dall’altra, ci sono le difficoltà quotidiane per le quali non si sa come fare. Ci vuole coraggio e eroismo. Preghiamo il Signore e diciamo: “Noi siamo qui, anche fino al martirio; siamo pronti”.

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    Austria, elezioni: ascesa del partito di estrema destra. Regge la "grande coalizione"

    ◊   Il risultato delle elezioni politiche in Austria vede confermata, anche se indebolita, la maggioranza di ''Grosse Koalition'' tra socialisti e conservatori, dove però i socialdemocratici toccano il minimo dal 1945. La vera vincitrice, invece, è la destra radicale del Partito della Libertà di Heinz Christian Strache, che ha conquistato il 21,4% dei voti. Quanto influirà questo risultato sugli equilibri interni dell’Austria? Salvatore Sabatino lo ha chiesto alla giornalista Micaela Taroni, esperta di questioni austriache:

    R. – Sicuramente, la Grande coalizione ha raggiunto un il suo minimo storico, ma comunque ha i voti sufficienti per continuare a governare. Possiamo dire che per un Paese come l’Austria, dove la stabilità politica comunque è importante, è un evento decisivo. Significa che il cancelliere Faymann che da sette anni guida l’Austria può, tutto sommato, rimanere a galla e continuare a guidare questa coalizione di governo, anche se probabilmente potrebbe essere alla ricerca di qualche partner per allargare la coalizione e consolidarla.

    D. – C’è la necessità, sempre da parte della Grande coalizione, di cambiare qualcosa per evitare un’ulteriore emorragia di voti, anche perché sa di avere il fiato sul collo di Strache a questo punto …

    R. – Si, Strache ha fatto una campagna - diciamo così - molto aggressiva dai toni populistici, anche xenofobica, nel senso che ha puntato sulla necessità di sostenere gli austriaci contro l’invasione estera. È anche un partito abbastanza euroscettico che comunque lamenta i grandi finanziamenti che un Paese dai bilanci solidi come l’Austria ha dovuto versare anche per sostenere i piani di salvataggio, come quello per la Grecia ad esempio.

    D. – Sono arrivate anche critiche molto dure all’euro alle politiche di integrazione. Come si pone ora Vienna nei confronti di Bruxelles?

    R. – Indubbiamente, il rafforzamento dell’Fpö di Strache, costringerà il cancelliere Faymann ad una maggiore cautela. Finora, l’Austria era sicuramente uno dei Paesi più fortemente sostenitori, assieme alla Germania, di una politica di rigore e di disciplina. Nello stesso tempo, dovrà comunque cercare di venire incontro a istanze che di alcuni ceti sociali. Nonostante l’Austria sia un’isola felice nell’Europa, ha sentito delle difficoltà. Per esempio, c’è stato un piccolo aumento della disoccupazione. L’Austria sente le conseguenze della crisi nella vicina Italia, che per l’Austria è il secondo partner commerciale dopo la Germania.

    D. – Si può tracciare il profilo dell’elettorato di Strache? Chi lo ha sostenuto in pratica?

    R. – Diciamo che appartengono spesso agli ambienti non legati ai partiti tradizionali che vogliono appunto rompere con questi, e che comunque sentono il richiamo di slogan di estrema destra. Si tratta di ceti sociali più bassi che vedono l’immigrazione come una crescente minaccia.

    D. – E bisogna dire anche che i numeri sono davvero enormi: stiamo parlando del 21,4% dei voti complessivi …

    R. – È un successo indubbiamente non da poco, è il terzo partito. La Fpö ha dimostrato di essere sopravvissuta anche alla morte di Haider nel 2008. Quando il fondatore morì in quel tragico incidente stradale, si pensò che il partito non sarebbe sopravvissuto, invece Strache con la sua personalità carismatica, anche contestata, è riuscito a portare avanti delle istanze che trovano ascolto nell’elettorato. Basti pensare che, comunque, è anche molto critico riguardo l’euro. Sicuramente, Strache si muove con una sicurezza sullo scenario politico austriaco che fa sì che gli attivisti del partito non rimpiangano Haider. In un certo senso, è riuscito a sconfiggere il fantasma di questa personalità politica che negli anni precedenti ha tanto condizionato la politica in Austria.

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    La Nigeria tenuta in scacco dai Boko Haram. La testimonianza di una religiosa

    ◊   In Nigeria, dopo l’attentato nel college dell’agricoltura da parte del gruppo estremista Boko Haram nello stato di Yobe, in cui hanno perso la vita circa 80 studenti, è allarme sicurezza. Le forze governative non sono in grado di prevedere o di bloccare le incursioni di questo gruppo che vuole rovesciare il governo per imporre la legge islamica e che colpisce sia cristiani che musulmani. L’Unione Europea ha condannato questo episodio come “orribile attacco terroristico” tramite la rappresentante per la Politica estera, Catherine Ashton. Elvira Ragosta ha raccolto la testimonianza di una suora che abita nel Nord e sulla cui identità manterremo l’anonimato per proteggerla nel suo lavoro quotidiano a difesa della popolazione:

    R. - C’è una confusione tremenda tra i musulmani, così come tra i cristiani. Sono uno contro l’altro in continuazione. Però, Boko Haram ha armi sofisticate che superano quelle dei soldati e della polizia, sono potenti.

    D. – Come si vive nel Nord della Nigeria? La sicurezza nelle strade è garantita?

    R. – Sulle strade, ogni cento metri ci sono poliziotti, bidoni pieni di cemento e bisogna fare la fila per circolare. Ci sono anche carri armati muniti di cannoni. Di sicurezza ce n’è tanta, ma ora gli estremisti di Boko Haram stanno attaccando anche il corpo della polizia. Sono entrati in una scuola dove c’erano ragazzi che stavano studiando: lì hanno ucciso prima la sicurezza, poi sono entrati nell’edificio. Ormai, si incontrano poche forze di sicurezza, perché Boko Haram sa quanto deve penetrare nell’ambiente che ha deciso di distruggere.

    D. – Questo non è il primo attacco agli studenti. Gli estremisti di Boko Haram – che letteralmente significa “L’istruzione occidentale è peccato” – colpiscono l’insegnamento perché lo ritengono contrario ai dettami dell’islam…

    R. – Sì, perché distruggendo i giovani distruggono l’avvenire: non abbiamo più gioventù, è rimasta solamente la vecchia generazione che presto finirà.

    D. – Le incursioni di Boko Haram nei confronti degli studenti sono ormai note a partire da quattro anni. Questi attacchi nei confronti dei giovani, a volte anche studenti giovanissimi, senza distinzioni tra cristiani e musulmani, sono diventati quasi una regola. Eppure, a maggio l’esercito aveva tentato un’offensiva militare nei confronti di Boko Haram…

    R. – Avevano detto che il leader di Boko Haram era stato ucciso, invece sembra essere vivo. Circolano cose non vere, c’è molta confusione.

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    Crisi di governo, mons. Bregantini: grande amarezza, la politica ascolti chi soffre

    ◊   In Italia le dimissioni dei ministri del Pdl e la crisi di governo infiammano lo spread: la differenza di rendimento tra Btp e Bund tedeschi torna ai massimi da giugno. Mercoledì il premier Enrico Letta chiederà la fiducia alle Camere. Al Paese – ribadisce il presidente Giorgio Napolitano – serve stabilità. Sulla situazione politica nel Paese, Amedeo Lomonaco ha intervistato mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro:

    R. – E’ un momento di grande amarezza e di grande confusione. Il brano del profeta Amos di ieri, nelle letture della Messa, ci ha messo davanti a chi non si prende cura della storia del Paese, non si cura del cammino del popolo. Credo che si debba elevare molto la nostra voce di amarezza, di sconcerto e si debba veramente avere nel cuore un’attenzione al Paese intero, non al singolo o alle singole collettività.

    D. – L’Italia sembra ancora un Paese non maturo per esecutivi di larghe intese...

    R. – Era prevedibile, ma non era questo il problema, perché l’intesa c’era. E anche le dimensioni sostanzialmente comuni si sarebbe riusciti anche a trovarle. Anzi, è ammirabile, secondo me, il cammino di omogeneizzazione compiuto dalla figura del presidente del Consiglio Letta. Temo che il problema non sia perciò l’armonizzare, ma il rinunciare alle proprie personali visioni, di gruppo o di persona, per il bene di tutti.

    D. – Per evitare che si arrivi un’altra volta, dopo il voto, ad un governo di larghe intese, il premier Letta ha detto che “è necessaria una nuova legge elettorale”. Questa è una priorità per il premier...

    R. – Certo, l’abbiamo invocata come cattolici a Reggio Calabria tre anni fa esattamente. Più che indispensabile, è doveroso fare questo passaggio anche se faticoso, ma nella logica di una grande partecipazione di base, in modo tale che ancora una volta sia data voce ai cittadini, sia favorita la partecipazione della gente, la scelta dei candidati, superando quella barriera posta dai partiti. E’ necessario tornare alle proposte che i cattolici hanno fatto a Reggio Calabria nell’ottobre del 2010.

    D. – Il premier Letta ha affermato che la situazione politica italiana gli ricorda il film “Ricomincio da capo”, nel quale il protagonista rivive sempre la stessa giornata. Uno dei nodi critici, negli ultimi 20 anni, è forse proprio la mancanza di dinamicità, cioè lo spartito politico sembra suonare sempre la stessa musica...

    R. – Purtroppo sì, perché a nostro giudizio, come mondo cattolico - anche con tante riflessioni specie nella Settimana Sociale della Chiesa di Torino - è necessario che il mondo politico si confronti con i problemi, i drammi, le angosce e le lacrime, soprattutto dei giovani. Senza questo riferimento alla sofferenza dei giovani, come voce più fragile di tutte, quella più esigente, il mondo politico lavorerà per conto suo o camminerà per conto suo e la gente resterà nel buio. E’ necessario che dalla sofferenza, come ci sta insegnando Papa Francesco, possa venire fuori una proposta, che proprio i problemi siano la fonte di soluzioni di essi. Questo grande ascolto, la pastorale dell’orecchio, come ci ricorda il Papa. Questo è il modo autentico, anche per rinnovare la legge elettorale. Ed è in fondo quello che i cattolici hanno fatto con la Settimana sociale: ascoltarci ed ascoltare.

    D. – La crisi di governo può rigettare ancora una volta l’Italia nelle inquietudini, nelle incertezze del mercato. Il pericolo è che le recenti politiche di austerity, l'aumento dell’Iva, i sacrifici dei cittadini italiani siano in parte compromessi dalla mancanza proprio di stabilità...

    R. – E’ tristemente vero. Come vescovo incaricato della pastorale del lavoro, sento veramente l’angoscia nel cuore. E’ un momento veramente negativo. Abbiamo il dovere di prendere in mano il nostro coraggio e la nostra identità di popolo e salvare, il più possibile, il bene di tutti; fermare questa crisi al buio, che non porterà a nessun giovamento e soprattutto fermerà tutta una serie di provvedimenti almeno abbozzati, che si stavano già delineando. Perciò “no” alla crisi, “sì” alla stabilizzazione, “sì” al coraggio, “sì” al futuro.

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    Il card. Sepe: chi inquina è contro Dio e non può ricevere i Sacramenti

    ◊   “Chi attenta alla vita degli altri inquinando non può fare la comunione”. Il duro monito del card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, è arrivato ieri a margine del vertice, nella città partenopea, sugli sversamenti e sui roghi di rifiuti tossici in Campania. Il porporato, alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha anche denunciato con forza le troppe connivenze che per anni hanno coperto un disegno criminoso e malavitoso che sta provocando migliaia di morti, molti dei quali bambini. Federico Piana lo ha intervistato:

    R. – Chi inquina commette un delitto, innanzitutto nei riguardi di Colui che è il creatore. La Creazione è una creatura di Dio e quindi violentare, stuprare questa creatura di Dio è un delitto proprio contro Dio. È un attentato alla salute degli altri, un attentato al benessere della società, della comunità. È quasi come un condannare a morte tutti quelli che dovrebbero, o potrebbero usufruire dei prodotti di questa terra che invece viene inquinata.

    D. – Sono molte le persone nel napoletano che purtroppo hanno un male derivante da questo sciacallaggio continuo della terra…

    R. – Le statistiche purtroppo danno una conferma agghiacciante: lo sviluppo di tumori, la nascita di bambini con mali incurabili… Tutto questo è contro l’uomo, la sua dignità e la sua libertà. Chi fa queste cose è chiaro che non può sentirsi veramente cristiano. Se non si confessa, se non riconosce il danno causato non può stare in comunione con Dio, non può ricevere i Sacramenti di Dio.

    D. – Secondo lei, come è potuto accadere tutto questo?

    R. – Intanto, bisogna dire che tutto questo è frutto dell’egoismo dell’uomo, della sete di denaro e di possesso. Questi veleni sono stati sversati ma non provenivano tutti dalla Campania, molti anche dal Nord. È più che probabile che dietro ci sia un’azione di malavitosi, di camorristi che hanno visto in questo un guadagno illimitato. Certamente, i tanti che avrebbero dovuto sorvegliare, che avrebbero dovuto capire che si stava commettendo un delitto e che forse sono rimasti in silenzio, hanno chiuso un occhio e non hanno voluto approfondire la questione: tutti loro sono coinvolti in questa azione criminosa e malavitosa.

    D. – Secondo lei, cosa serve a questo punto per uscire da questa situazione?

    R. – La realtà è molto più drammatica di quello che si pensa, o alle volte si possa scrivere. Naturalmente, bisogna fare qualcosa e credo che sia ormai entrato nella coscienza di tutti – a cominciare dalle istituzioni – che non si può rimanere in uno stato così “velenoso” come quello delle nostre inquinate. È necessario innanzitutto un risanamento di queste terre. Bisogna poi cercare di impedire che vengano ancora accesi roghi con i rifiuti, inquinando così ancora di più l’aria. Le fabbriche tentano alle volte di incendiare questi rifiuti, perché per loro è più facile dargli fuoco che mettersi in regola per sversarli dove sarebbe opportuno. Quindi, c’è un coinvolgimento un po' di tutti.

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    Emilia Romagna. Documento dei vescovi su sètte e satanismo

    ◊   “Religiosità alternativa, sètte e spiritualismo. Sfida culturale, educativa, religiosa” è il titolo del documento dei vescovi dell’Emilia Romagna, pubblicato in queste settimane dalla Libreria editrice Vaticana. In mattinata, a Bologna, la presentazione ufficiale del testo. Al microfono di Luca Tentori, il commento di mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara – Comacchio, coordinatore della stesura del testo:

    R. E’ la prima volta che un episcopato regionale prende di petto una sfida, una sfida radicale. Rappresenta un tentativo di comprendere il fenomeno e di ridare sostanza alla coscienza della realtà cristiana. Quindi, io penso che questo documento debba essere conosciuto dai giovani, dagli insegnanti e dai sacerdoti. Noi dobbiamo mettere in atto nell’abito delle comunità cristiane un tipo di aiuto e di appoggio a queste persone. Penso a quanti sono cadute anche marginalmente nelle sètte diaboliche, perché se sono a un certo livello sono ormai irrecuperabili.

    D. – Mons. Negri, perché la necessità di un documento in Emilia Romagna sulle sètte e il satanismo?

    R. – E’ un fenomeno impressionante, ma anche come imponenza statistica. Abbiamo una diffusione di quasi tutte le sètte. Abbiamo fatto un lavoro serio di recensione di quasi tutte le sètte e quelle sataniche sono sicuramente quelle più gravi e le più disastrose. Ci si trova di fronte a un tentativo molto vasto articolato e pervasivo di tradurre in senso gnostico e antropologico l’evento cristiano. Sono tutte ascesi di carattere psicologico, moralistico, fino a un tentativo proprio di corrompere l’annuncio cristiano nel senso diabolico.

    D. – Perché molte persone si rivolgono al mondo delle sètte? Cosa sta alla base di questa scelta? Anche una scarsa conoscenza della fede cattolica professata?

    R. – Direi una ignoranza e una volontà di crearsi una religione "fai-da-te", come tante volte ha detto Benedetto XVI. La religione sembra diventare un oggetto di manipolazione di carattere psicologico, di carattere affettivo e istintivo. Queste sètte raccolgono una sintesi eclettica di fattori diversi che singolarmente presi sembrano corrispondere di più a questa volontà riduttiva dell’Evento a messaggio, atteggiamento etico, a pratica spirituale.

    D. – Che differenza c’è tra il satanismo e le altre sétte?

    R. – Il satanismo è volutamente, esplicitamente il tentativo non di dissacrare la tradizione cristiana, ma di superare la tradizione cristiana in un culto del demonio e di Lucifero nelle varie forme che viene presentata come al religione del nostro tempo. Fino a qualche anno fa, per esempio, i furti satanici venivano sbrigativamente definiti come fenomeni di bullismo. E’ stato mettendo insieme tutti i fattori che sono emerse invece delle preoccupanti connessioni. Per esempio le sètte sataniche della regione fanno capo generalmente a Milano. Alcune di queste grandi centrali milanesi fanno direttamente riferimento a Londra, alla imponenza delle sètte deviate di certo protestantesimo ferocemente anticattolico.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: ancora sangue a Peshawar. I cristiani pregano per le vittime e la pace nel Paese

    ◊   Ancora sangue e violenze a Peshawar, capoluogo della provincia pakistana di Khyber Pakhtunkhwa, teatro nell'ultima settimana di tre attentati suicida di matrice islamista. Ieri mattina un'autobomba piazzata nel mercato cittadino è esplosa all'ora di punta, uccidendo 42 persone e ferendone oltre 100. Al momento dello scoppio, nella vicina chiesa di Tutti i Santi si stava svolgendo una cerimonia in suffragio delle vittime della strage del 22 settembre scorso: i fedeli hanno abbandonato il luogo di culto, nel timore di un nuovo attacco anti-cristiano. Un testimone, Zubair Yousaf, racconta all'agenzia AsiaNews: "Eravamo in chiesa e stavamo pregando, quando due forti esplosioni hanno fatto tremare le mura. Mi sono subito balzate alla mente le immagini terribili di domenica scorsa. Siamo usciti per capire cosa stesse succedendo; era tutto così improvviso, gente che urlava disperata. Ci siamo diretti verso il mercato, cercando di aiutare le persone in difficoltà". L'attentato di ieri è il terzo in una settimana a Peshawar, in una spirale di violenze che autorità e forze di polizia non sembrano in grado di arginare. In pochi giorni sono morte oltre 200 persone, di cui 175 nell'attacco alla chiesa protestante del 22 settembre. Centinaia i feriti, che si sommano ai dispersi di cui non si ha più traccia. A sette giorni dall'attacco alla All Saints Church, infatti, mancano all'appello 18 bambini e 13 ragazzine di età compresa fra i 13 e i 17 anni. Dal 2009 a oggi il bazar di Kisa Khawani, dove ieri mattina è esplosa l'autobomba, ha subito almeno 13 attacchi; le autorità hanno aumentato i livelli di sicurezza nei luoghi sensibili, fra cui chiese, mercati ed edifici governativi. Finora nessun gruppo ha rivendicato l'attacco, anche se il governo punta il dito contro i talebani pakistani e i movimenti islamisti affiliati alla galassia del terrorismo a sfondo confessionale. Il premier Nawaz Sharif ha proposto negoziati con i leader fondamentalisti, ma le precondizioni poste al dialogo - deposizione delle armi e fine della carneficina - sono state respinte al mittente. Per il portavoce del Tehreek-e-Taliban la richiesta di disarmo è segno della "mancanza di serietà" del Primo Ministro. Il ministro degli Interni Nisar Hussain parla di "alcuni elementi" che vogliono "destabilizzare la regione" senza peraltro specificare quali. Intanto il tutto il Paese si susseguono messe e cerimonie dei cristiani per ricordare le vittime della strage a Peshawar. In molti si sono recati in chiesa per pregare e onorare la memoria dei morti e una pronta guarigione per i feriti. George Masih racconta: "Mio padre e mia madre sono tuttora ricoverati in condizioni critiche, mio fratello di otto anni è in un Centro specializzato a Islamabad ed è stato sottoposto a intervento chirurgico. Ancora oggi siamo in preda allo shock". Raggiunto da AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi (sotto la cui giurisdizione rientra la città di Peshawar), sottolinea che "abbiamo celebrato una Messa speciale per le famiglie in lutto. Preghiamo per la pace. Colpire persone innocenti è un atto codardo. Per le persone coinvolte nella strage è cambiato tutto, non potranno più essere le stesse. Il Pakistan è a un crocevia, dobbiamo unirci e condannare senza mezzi termini il terrorismo". (R.P.)

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    Indonesia: il premier australiano a Giakarta. Difficile dialogo sui boat-people

    ◊   Il capo del governo australiano Tony Abbott ha iniziato oggi la sua visita di due giorni in Indonesia, la prima dalla sua entrata in carica il 18 settembre. Al centro dei colloqui con il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono e con quelli che avrà successivamente con altri responsabili di dicastero, c’è la rigida politica di Canberra verso i rifugiati, che ha sollevato dure critiche internazionali e tensioni con il vicino. La vittoria di larga misura di Abbott - riferisce l'agenzia Misna - è stata dovuta anche alla sua promessa di fermare i boat-people che continuano ad affluire verso le coste australiane da Medio Oriente, Afghanistan e alcuni paesi dell’Asia meridionale. In attesa che entrino in vigore norme già previste dal precedente governo, nelle ultime settimane la politica di contenimento della migrazione irregolare è stata affidata a un’operazione condotta dalla marina militare, denominata Sovereign Borders (Frontiere sovrane), che implica come prima misura il respingimento delle imbarcazioni verso l’ultimo Paese di partenza, abitualmente l’Indonesia, quando lo permettono condizioni considerate di sicurezza. In alternativa, il fermo di quanti sono a bordo e il loro invio nei campi di raccolta di Christmas Island e in quelli – che diventeranno uniche e obbligatorie mete dal prossimo anno – sull’isola di Manus (Papua-Nuova Guinea) e sull’isola-stato di Nauru. La visita avviene mentre vengono diffuse le ultime notizie sul più recente naufragio di un’imbarcazione carica di fuggiaschi mediorientali, affondata venerdì al largo di Java con almeno un centinaio di persone a bordo che tentavano di raggiungere l’australiana Christmas Island. Finora sono 29 i morti accertati, per lo più bambini, e 35 i superstiti recuperati dagli indonesiani. La consueta politica australiana di intervento, a volte anche senza accordo con le autorità di Jakarta, per recuperare i naufraghi una volta individuata un’imbarcazione in difficoltà in acque territoriali indonesiane, sembra ora sospesa. La visita di Abbott dovrà chiarire questo come altri aspetti dei non facili rapporti tra i due grandi vicini. (R.P.)

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    Guinea Conakry: per le legislative spoglio in corso tra attesa e sospetti

    ◊   Mentre procede lo spoglio manuale delle schede di voto in ogni seggio, la Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni) ha annunciato che i primi “risultati parziali provvisori” potrebbero essere diffusi tra oggi e domani, mentre per quelli “completi” bisognerà aspettare mercoledì. L’ultima tappa delle attese elezioni legislative, tenute sabato scorso, sarà l’esame degli eventuali ricorsi e la proclamazione dei risultati definitivi da parte della Corte Suprema. Molti osservatori e candidati si sono già complimentati per l’elevata affluenza alle urne: secondo la Ceni il tasso di partecipazione potrebbe raggiungere l’80% dei circa 5,09 milioni di aventi diritto che, in 12.000 seggi, sia all’estero che in Guinea, sono stati chiamati ad eleggere 114 deputati tra 1.800 candidati di una trentina di liste presentate da 33 partiti. Sono positive le prime valutazioni degli osservatori elettorali, tra cui quella di Edem Kodjo, capo della missione della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas), secondo cui le legislative “si sono tenute in condizioni di libertà e di trasparenza accettabili”. Secondo l’ex primo ministro togolese “le insufficienze riscontrate non sono riconducibili a un atto deliberato di natura a mettere in causa l’integrità dello scrutinio”, ma sono imputabili a “problemi logistici” e “alla mancata esperienza degli agenti elettorali”. Di fatto la giornata elettorale di sabato è stata caratterizzata da problemi organizzativi che hanno ostacolato, o in alcuni casi impedito, le operazioni di voto. Tra i problemi più ricorrenti c’è stata la mancata consegna del certificato elettorale e del materiale utile alle votazioni (inchiostro, liste) oppure difficoltà nel localizzare il proprio seggio. Nella fase dello spoglio sono emerse critiche per la lentezza delle operazioni e sospetti di possibili frodi, mossi dall’opposizione. L’ex primo ministro Jean-Marie Doré, capo dell’Unione per il progresso della Guinea (Upg), ha accusato il colonnello Moussa Tiegboro Camara e il prefetto della città di Lola, nella sua regione di origine della Guinea forestale, di aver depositato casse piene di schede elettorali nei seggi di votazione. Il principale oppositore Cellou Dalein Diallo, leader dell’Unione delle forze democratiche di Guinea (Ufdg), ha denunciato alcune irregolarità gravi, tra cui il ritrovamento di 500 certificati elettorali che erano stati buttati. “Tutta la Guinea uscirà per le strade del Paese se dovessimo costatare che i risultati dati non sono in conformità con la realtà” ha detto l’altro oppositore di peso, l’ex primo ministro Sidya Touré, capo dell’Unione delle forze repubblicane (Ufr). Sospetti e dubbi già minimizzati dal partito al potere, il Raggruppamento del popolo di Guinea (Rpg) del presidente Alpha Condé, secondo il quale “non sono i malfunzionamenti riscontrati in una dozzina di seggi su 1200 che potranno rimettere in causa la sincerità del voto”. Temendo violenze e proteste dopo la pubblicazione dei risultati, osservatori elettorali dell’Unione Africana e dell’Unione Europea hanno rinnovato gli appelli alla calma. Dopo le prime presidenziali democratiche dall’indipendenza, tenute nel 2010, le legislative erano attese dal 2011 ma sono state rinviate più volte a causa di problemi organizzativi e del braccio di ferro tra maggioranza e opposizione. Il voto di sabato – le prime legislative da 11 anni – consentirà alla Guinea di archiviare la fase di transizione politica. Da fine 2008, alla morte del generale Lansana Conté, che ha guidato il Paese per 24 anni, e dal successivo colpo di stato militare, a fare le veci del parlamento è il Consiglio nazionale di transizione (Cnt, non eletto). (R.P.)

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    Mali: violenze a Kidal e Timbuctu riaccendono l'incertezza

    ◊   Rimane tesa ed incerta la situazione nei due capoluoghi settentrionali di Kidal e Timbuctù, teatro di violenze negli ultimi giorni. Ancora questa mattina disordini vengono segnalati al centro di Kidal (nord-est), mentre è poco chiara la dinamica degli scambi all’arma da fuoco durati un’ora ieri tra soldati regolari e presumibilmente alcuni combattenti della ribellione tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). Finora alcun bilancio di eventuali vittime è stato diffuso. Secondo l’esercito di Bamako - riferisce l'agenzia Misna - i militari hanno aperto il fuoco dopo essere stati attaccati da non meglio precisati ribelli tuareg a un check-point al centro del capoluogo. Secondo lo Stato maggiore dell’esercito, almeno due soldati sono rimasti feriti. Diametralmente opposta è la versione dei fatti resa nota dall’Mnla, in base alla quale “soldati maliani hanno deliberatamente aperto il fuoco contro un’unità mobile del nostro movimento mentre circolava in città”. Moussa Ag Attaher, un portavoce dell’Mnla, ha denunciato “una flagrante aggressione che ha spinto i nostri uomini a difendersi” e un “atto di provocazione” da parte dell’esercito. Ha alimentato ulteriore incertezza in città anche l’esplosione – per alcuni un attentato – nei pressi di un deposito utilizzato in passato dal Programma Alimentare Mondiale (Pam), senza mietere vittime. Venerdì, sempre a Kidal, due militari maliani della Guardia nazionale sono rimasti feriti da due ordigni lanciati da ignoti mentre assicuravano la sicurezza della sede della Banca maliana di solidarietà. Nelle ultime ore abitanti del capoluogo settentrionale hanno raccontato di “una città al buio”, di “timori di nuovi combattimenti” mentre i combattenti dell’Mnla, accantonati dalla firma dell’accordo di Ouagadougou lo scorso giugno, sarebbero tornati per le vie del centro, dove pattugliano Caschi blu e militari francesi. Sabato verso le ore 13, è stata invece la città santa di Timbuctù ad essere colpita da un attentato suicida contro un locale campo militare. Nell’attacco sono rimasti uccisi due civili e quattro terroristi. L’attacco è stato rivendicato da Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi). Violenze e attentato si sono verificati pochi giorni dopo che i gruppi ribelli dell’Azawad – oltre all’Mnla anche l’Alto Consiglio per l’Unità dell’Azawad (Hcua) e il Movimento Arabo dell’Azawad (Maa) – hanno deciso di ritirarsi dai colloqui avviati con il governo di Bamako. I colloqui in questione vertono sull’attuazione dell’accordo preliminare siglato lo scorso giugno in Burkina Faso ma soprattutto devono definire lo statuto del nord del Mali. Si tratta di un annoso contenzioso che vede scontrarsi due posizioni diametralmente opposte: le ribellioni rivendicano l’autonomia dell’Azawad mentre le autorità non sono disposte a negoziare l’unità nazionale e l’integrità territoriale del Mali. “Il moltiplicarsi degli attentati e delle violenze dimostra che la guerra contro il terrorismo non è ancora terminata e che la situazione della sicurezza rimane fragile in tutta la fascia del Sahel e del Sahara” si legge in una nota a firma del nuovo governo. Nonostante l’elezione democratica del presidente Ibrahim Boubacar Keita, che ha messo fine alla transizione politica, sul piano della sicurezza la situazione nell’ex colonia francese rimane incerta. I fatti degli ultimi giorni si sono verificati mentre Keita, in carica dall’inizio del mese, è in visita ufficiale a Parigi. (R.P.)

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    Centrafrica: saccheggiata la missione di Nostra Signora di Fatima a Bouar

    ◊   Un missionario italiano e un diacono centrafricano sono le ultime vittime dei ribelli Seleka. “Sabato scorso padre Beniamino Gusmeroli, missionario italiano valtellinese, e fr. Martial Mengue, diacono centrafricano, sono stati in balia per tre ore dei ribelli Seleka, che hanno imbavagliato e minacciato di morte il guardiano e sono entrati in casa armati di Kalashnikov” afferma un comunicato inviato all’agenzia Fides dalla Congregazione Sacro Cuore di Gesù di Bétharram alla quale i due religiosi appartengono. Il fatto è accaduto nella missione di Nostra Signora di Fatima a Bouar (nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana). “Questa è la seconda missione della diocesi che di notte viene danneggiata in una settimana” dice padre Gusmeroli, che ha racconta come si sono svolti i fatti: “Si trattava di un gruppetto di 5 uomini armati fino ai denti, stranieri , di provenienza sudanese, capaci solo di dire qualche parola in sango e francese” “Hanno imbavagliato e legato fr. Martial e si sono fatti condurre in camera di padre Beniamino, dove hanno iniziato a razziare tutto quello che trovavano”. “Visto i tentativi di resistenza da parte di padre Beniamino, hanno legato ed imbavagliato anche lui e hanno così potuto mettere tutto a soqquadro e rubare denaro, computer, macchina fotografica, telefoni e tutto quello che interessava loro” prosegue il racconto. “Hanno preso in ostaggio per coprirsi la fuga fr. Martial – rilasciato poi un po’ più tardi – e lo hanno derubato del passaporto, ottenuto dopo mesi di attesa e appena vidimato all’Ambasciata di Yaoude per poter venire in Italia per uno stage”. “Si è consumato così l’ennesimo atto di prepotenza e di saccheggio da parte dei ribelli Seleka, ormai incontrollati ed incontrollabili da parte della autorità. Segno di un degrado della situazione che non vede spiragli di cambiamento se non vi sarà un intervento rapido e deciso da parte della comunità internazionale” conclude il comunicato. (R.P.)

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    Sbarco d'immigrati nel Ragusano: almeno 13 morti

    ◊   Ancora una tragedia del mare legata all'immigrazione: un tragico sbarco di migranti nel Ragusano ha provocato la morte di 13 persone che, a bordo di una imbarcazione, sono annegati nel tentativo di raggiungere a nuoto la spiaggia di Sampieri, a Scicli. I morti sarebbero tutti uomini adulti, mentre sono in corso controlli di sommozzatori per cercare eventuali dispersi. Cinque superstiti sono stati ricoverati nell'ospedale Maggiore di Modica in gravi condizioni. Una donna, che è apparsa in uno stato di salute critico, è stata invece trasferita in elisoccorso in un ospedale di Catania. Intanto, le forze dell'ordine avrebbero individuato, tra la settantina di profughi fermati nelle campagne della zona, due scafisti.Uno dei migranti, un eritreo di 23 anni, ha raccontato all’Agenzia Agi che per il viaggio hanno pagato tra i 300 e i mille euro: “Ci avevano detto di arrivare sulle coste di Sampieri perché così non saremmo stati identificati e saremmo riusciti a sfuggire dalle forze dell'ordine e avremmo potuto continuare il nostro viaggio la cui meta finale non è l'Italia. Siamo arrivati nella prima mattinata – racconta - e il nostro barcone si è arenato e pensavamo che l'acqua non fosse così profonda. Il mare era agitatissimo. Ci siamo buttati in acqua e abbiamo cercato di arrivare alla costa che vedevamo vicino, ma l'acqua era troppo profonda. Purtroppo molti nostri fratelli non ce l'hanno fatta. Noi vorremmo soltanto essere aiutati".

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    Celam: nuovo portale a servizio dei migranti

    ◊   "Unire gli sforzi delle diversi istituzioni che lavorano per e con i migranti per rafforzare i servizi offerti nella missione evangelizzatrice in uno spazio-comunione, per dare anche informazioni utili ai migranti, al fine di rispondere alle diverse preoccupazioni che affrontano, temporaneamente o permanentemente": è quanto si legge nella presentazione del nuovo portale internet del Celam (Consiglio Episcopale Latino Americano) al servizio dei migranti. La nota che informa dell'apertura del portale, inviata all’agenzia Fides, riferisce anche i suoi obiettivi: “Costruire e promuovere il servizio ai migranti in diversi Paesi, proporre un legame che li aiuti ad identificarsi nella società e nella Chiesa che li accoglie, senza abbandonare le radici del loro Paese, la loro cultura, la loro fede, e preservando la loro identità culturale”. L'iniziativa vuole così "collaborare nella formulazione delle politiche pubbliche a livello nazionale, regionale e internazionale per i migranti, per i rifugiati e per gli sfollati". Sul portale si possono vedere le foto dei diversi centri di accoglienza, come per esempio la Casa del migrante “Hogar de la Misericordia” in Messico; una sezione è dedicata alla lotta contro la tratta delle persone; e molto altro materiale è disponibile. L’iniziativa, promossa dal Celam con il sostegno dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America, intende così offrire un servizio di informazione, contatto e comunione, oltre che di formazione ed accompagnamento religioso, sociale e culturale. (R.P.)

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    Colombia: oggi i funerali dei due sacerdoti assassinati

    ◊   L'arcivescovo di Cali, mons. Darío de Jesús Monsalve, ha denunciato con forza la violenza contro i sacerdoti, dopo l’omicidio del parroco e del viceparroco della parrocchia di San Sebastián di Roldanillo, avvenuta nella notte tra venerdì 27 e sabato 28 settembre ed ha definito l'omicidio come un atto sacrilego per il quale è prevista automaticamente la scomunica per gli autori del misfatto. "Siamo costernati, perché questo crimine non è solo una violazione del diritto alla vita ma anche un grave sacrilegio che colpisce tutta la comunità dei credenti e dei cattolici" ha detto l'arcivescovo, chiedendo il sostegno di tutta la comunità cattolica per portare avanti la campagna a favore del disarmo. La nota inviata all’agenzia Fides riferisce anche le dichiarazioni del capo della Polizia di Valle del Cauca, Mariano Botero, secondo cui molto probabilmente gli assassini, almeno due, si sarebbero nascosti nella chiesa parrocchiale prima della chiusura e poi si sarebbero introdotti nella casa canonica, con l'intento di rubare il denaro delle elemosine. I due sacerdoti, che appartenevano alla diocesi di Cartago, sono padre Luis Bernardo Echeverry Chavarriaga, parroco della parrocchia di San Sebastián de Roldanillo, 69 anni, ed il suo vicario, padre Héctor Fabio Cabrera Morales, che aveva solo 27 anni ed era stato ordinato l’anno scorso.I funerali si svolgeranno oggi nella stessa parrocchia di San Sebastián, e saranno presieduti da mons. José Alejandro Castaño Arbelaez, vescovo di Cartago. (R.P.)

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    Israele: vandalismo al cimitero evangelico. Arrestati quattro studenti di una yeshivah

    ◊   Ieri pomeriggio quattro giovani ebrei israeliani di età tra i 17 e i 27 anni sono stati arrestati dopo che avevano gravemente danneggiato almeno quindici tombe del cimitero cristiano evangelico situato sul Monte Sion, nei pressi della Città Vecchia di Gerusalemme. I quattro arrestati sono studenti di una scuola religiosa ebraica (yeshivah) situata a ovest della Città Vecchia. Almeno due di loro – ha riferito il portavoce della polizia israeliana Micky Rosenfeld – risultano essere attivisti delle sigle legate ai coloni ebrei estremisti della Cisgiordania. E' dall'inizio del 2012 che si susseguono profanazioni e atti vandalici contro monasteri, chiese, moschee e cimiteri cristiani e musulmani compiuti da gruppi oltranzisti vicini al movimento dei coloni ebrei. Molti di tali atti intimidatori sono stati finora “firmati” con la formula “il prezzo da pagare”. “Questi atti” dichiara all'agenzia Fides il sacerdote palestinese Raed Abusahliah, direttore generale di Caritas Jerusalem “vanno perseguiti con fermezza, e i loro autori vanno sottoposti a giudizio, evitando di liquidare questi gesti come se fossero solo intemperanze di qualche scriteriato”. Padre Raed riferisce che alcuni frequentatori delle scuole rabbiniche mostrano spesso atteggiamenti offensivi nei confronti di vescovi, suore, sacerdoti e religiosi che passano per la Città Vecchia. (R.P.)

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    Giornata cultura ebraica: Gattegna: "Apriamo le porte delle sinagoghe"

    ◊   È stata inaugurata ieri alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la 14.ma Giornata europea della cultura ebraica, la manifestazione che invita a conoscere la cultura, la storia e le tradizioni degli ebrei. La cerimonia - riferisce l'agenzia Sir - è avvenuta a Napoli, città capofila degli eventi in Italia. “Apriamo oggi le porte delle nostre sinagoghe, dei nostri musei e delle nostre case per accogliere tutti coloro che considerano la presenza ebraica un elemento fondante e integrante dell‘identità nazionale e un ‘sigillo di garanzia‘ per una società che si vuole progredita, democratica e plurale”, ha detto il presidente dell‘Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Nel suo intervento, Gattegna ha sottolineato l’importanza di prevenire e contrastare, “prima ancora che si consolidi, ogni forma di pregiudizio” per contribuire alla costruzione di una società più civile e aperta, nel segno del rispetto e della valorizzazione di ogni diversità”. Al termine dell’incontro, il Presidente dell’Ucei ha donato al Capo dello Stato una serigrafia dell’artista Emanuele Luzzati. Insieme a Napoli, in altre settanta località in Italia e in oltre venti Paesi europei è in corso la giornata di eventi, visite guidate, conferenze, concerti, mostre, spettacoli, degustazioni e percorsi di conoscenza. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 273

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.