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Sommario del 28/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Corpo dei gendarmi: difendete il Vaticano dalla zizzania delle chiacchiere
  • Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: così il Papa a Santa Marta
  • Il Papa ai catechisti: "Siate testimoni del Vangelo, creativi, non codardi o statue da museo"
  • Festival Francescano. Il Papa: il poverello di Assisi, icona vivente di Cristo
  • Il card. Filoni inviato speciale del Papa ai prossimi Congressi missionari nelle Americhe
  • Tweet del Papa: i momenti difficili nel matrimonio possono rendere l'amore ancora più forte
  • Beatificazione di don Bulešić, martire sotto il regime di Tito. il card. Amato: un invito a restare saldi nella fede
  • San Gabriele. Mons. Celli alla Radio Vaticana: condividere la storia dell’uomo per portare l'amore di Dio
  • L'eredità di Papa Luciani a 35 anni dalla scomparsa: intervista con mons. Andrich
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: sì a Conferenza di pace, dopo risoluzione per lo smantellamento delle armi chimiche
  • Il "disgelo" tra Teheran e Washington. L'opinione di Negri: speranze per la regione
  • Guinea Conakry: al voto dopo 2 anni di rinvii. L'opposizione sospetta brogli
  • Napolitano: lavorare insieme con fiducia. Fmi: da crisi italiana rischi per il mondo intero
  • Il ministro Bray: turismo sessuale, vergogna da debellare. Allarme per i Mondiali in Brasile
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: aumentano gli attacchi contro i cristiani. Paura a Sednaya
  • Libano. I patriarchi cattolici d'Oriente: la primavera araba si è trasformata in ferro e fuoco
  • Pakistan. La terra trema ancora: nuova scossa nel Beluchistan
  • Grecia. In manette per omicidio esponenti di partito di estrema destra: rischio di crisi politica
  • Arabia Saudita. Il Gran muftì: “Via le chiese dalla penisola arabica”
  • Colombia: uccisi due sacerdoti nella loro parrocchia
  • Centrafrica al collasso: se ne parla anche all’Assemblea dell’Onu
  • Mali: i ribelli tuareg del nord sospendono i negoziati con il governo
  • Usa: riserve dei vescovi sui nuovi regolamenti sanitari che limitano la libertà di coscienza
  • Vietnam: a Saigon in migliaia rendono omaggio alla memoria del card. Van Thuan
  • India. Palazzo crollato a Mumbai, bilancio vittime sale a 33
  • Striscia di Gaza: rientro in classe senza problemi per le scuole cristiane
  • Terra Santa: 400 pellegrini tedeschi dell'Ordine del Santo Sepolcro in visita a Gerusalemme
  • Germania. Conclusa la Plenaria dei vescovi su temi etici e ruolo della donna nella Chiesa
  • Francia: i vescovi festeggiano i 40 anni di dialogo islamo-cristiano
  • Bangladesh: in campo i paramilitari per gli operai tessili in sciopero
  • Ennesimo naufragio tra Australia e Indonesia: 25 superstiti
  • Immigrazione: 400 migranti sbarcati nelle ultime ore in Sicilia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Corpo dei gendarmi: difendete il Vaticano dalla zizzania delle chiacchiere

    ◊   La “chiacchiere” sono una “lingua vietata” in Vaticano, perché è una lingua che genera il male. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina al cospetto del Corpo della Gendarmeria Vaticana, nei pressi della Grotta di Lourdes dei Giardini Vaticani. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Nella rocca del Vaticano, il male ha un passaggio attraverso il quale s’insinua per spargere il suo veleno: è la “chiacchiera”, quella che porta l’uno a parlare male dell’altro e distrugge l'unità. E dal contagio di questa “zizzania” nessuno è immune. Davanti agli uomini della Gendarmeria Vaticana che lo guardano schierati, Papa Francesco si sottrae da una riflessione giusta ma forse scontata sul ruolo del gendarme difensore della sicurezza del Vaticano, per mettere nel mirino un altro avversario molto più subdolo della delinquenza comune e contro il quale è fondamentale ingaggiare la “lotta”:

    “Qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Ma, padre, noi come c’entriamo qui col diavolo? Noi dobbiamo difendere la sicurezza di questo Stato, di questa città: che non ci siano i ladri, che non ci siano i delinquenti, che non vengano i nemici a prendere la città’. Ma, anche quello è vero, ma Napoleone non tornerà più, eh? Se ne è andato. E non è facile che venga un esercito qui a prendere la città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno”.

    Per questo, prosegue Papa Francesco, “vi chiedo non solo di difendere le porte, le finestre del Vaticano” – peraltro un lavoro necessario e importante – ma di difendere “come il vostro patrono San Michele” le porte del cuore di chi lavora in Vaticano, dove la tentazione “entra” esattamente come altrove:

    “Ma c’è una tentazione... Ma, io vorrei dirla – la dico così per tutti, anche per me, per tutti – però è una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. E il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale, no? E’ una guerra che non si fa con le armi, che noi conosciamo: si fa con la lingua”.

    Una lingua armata appunto dalle “chiacchiere”, sorta di veleno dal quale Papa Francesco mette costantemente in guardia. E questo è ciò “che chiedo a voi”, incalza quindi il Papa all’indirizzo dei gendarmi, “di difenderci mutuamente dalle chiacchiere”:

    Chiediamo a San Michele che ci aiuti in questa guerra: mai parlare male uno dell’altro, mai aprire le orecchie alle chiacchiere. E se io sento che qualcuno chiacchiera, fermarlo! ‘Qui non si può: gira la porta di Sant’Anna, va fuori e chiacchiera là! Qui non si può!’ ... è quello, eh? Il buon seme sì: parlare bene uno dell’altro sì, ma la zizzania no!”.

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    Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: così il Papa a Santa Marta

    ◊   Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: questa la preghiera del Papa durante la Messa di stamane a Santa Marta. L’omelia ha preso lo spunto dal Vangelo del giorno in cui Gesù annuncia ai discepoli la sua passione. Il servizio di Sergio Centofanti:

    “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”: queste parole di Gesù –afferma il Papa – gelano i discepoli che pensavano a un cammino trionfante. Parole che “restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso” e “avevano timore di interrogarlo su questo argomento”: per loro era “meglio non parlare”, era “meglio non capire che capire la verità” che Gesù diceva:

    “Avevano paura della Croce, avevano paura della Croce. Lo stesso Pietro, dopo quella confessione solenne nella regione della Cesarea di Filippo, quando Gesù un’altra volta dice questo, rimprovera il Signore: ‘No, mai, Signore! Questo no!’. Aveva paura della Croce. Ma non solo i discepoli, non solo Pietro, lo stesso Gesù aveva paura della Croce! Lui non poteva ingannarsi, Lui sapeva. Tanta era la paura di Gesù che quella sera del giovedì ha sudato il sangue; tanta era la paura di Gesù che quasi ha detto lo stesso di Pietro, quasi… ‘Padre, toglimi questo calice. Si faccia la tua volontà!’. Questa era la differenza!”.

    La Croce ci fa paura anche nell’opera di evangelizzazione, ma – osserva il Papa – c’è la “regola” che “il discepolo non è più grande del Maestro. C’è la regola che non c’è redenzione senza l’effusione del sangue”, non c’è opera apostolica feconda senza la Croce:

    “Forse noi pensiamo, ognuno di noi può pensare: ‘E a me, a me cosa accadrà? Come sarà la mia Croce?’. Non sappiamo. Non sappiamo, ma ci sarà! Dobbiamo chiedere la grazia di non fuggire dalla Croce quando verrà: con paura, eh! Quello è vero! Quello ci fa paura. Ma la sequela di Gesù finisce là. Mi vengono in mente le ultime parole che Gesù ha detto a Pietro, in quella incoronazione pontificia nel Tiberiade: ‘Mi ami? Pasci! Mi ami? Pasci!’… Ma le ultime parole erano quelle: ‘Ti porteranno dove tu non vuoi andare!’. La promessa della Croce”.

    Il Papa conclude la sua omelia con una preghiera a Maria:

    “Vicinissima a Gesù, nella Croce, era sua madre, la sua mamma. Forse oggi, il giorno che noi la preghiamo, sarà buono chiederle la grazia non di togliere il timore – quello deve venire, il timore della Croce… - ma la grazia di non spaventarci e fuggire dalla Croce. Lei era lì e sa come si deve stare vicino alla Croce”.

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    Il Papa ai catechisti: "Siate testimoni del Vangelo, creativi, non codardi o statue da museo"

    ◊   Ripartire da Cristo, avere familiarità con Lui, imitarlo nell’uscire da sé, non avere paura di andare con Lui nelle periferie. E’ quanto Papa Francesco raccomanda ai circa duemila catechisti ricevuti nell'Aula Paolo VI e partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi organizzato in Vaticano. L’evento è promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione in occasione dell’Anno della Fede. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e amare sempre più il Signore – spiega Papa Francesco, autodefinendosi un “catechista”- è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa: ma occorre “essere”, non “fare” i catechisti o “lavorare da catechisti”. Il Santo Padre cita Benedetto XVI: “la Chiesa non cresce per proselitismo, ciò che attrae è la testimonianza”, quindi ricorda le parole di Francesco d’Assisi: “predicate il Vangelo e se fosse necessario con le parole, ma prima con la testimonianza”. “La gente – aggiunge – legge il Vangelo nella vostra vita”. Per ripartire da Cristo bisogna avere familiarità con Lui, lasciarsi guardare da Lui, un cammino che dura tutta la vita:

    "Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore! Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? 'Ma come si fa?'. Guardi il Tabernacolo e lasciati guardare… E’ semplice! 'E’ un po’ noioso, mi addormento…'. Addormentati! Addormentati! Lui ti guarderà lo stesso. Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante che il titolo di catechista: è parte dell’essere catechista".

    Il Papa poi si rivolge a quei catechisti, padri o madri, i cui impegni di famiglia poco si conciliano con una vita contemplativa:

    "Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per 'stare con il Signore'; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita".

    Chi mette Cristo al centro della propria vita – spiega Papa Francesco – si decentra e si apre agli altri in un dinamismo d’amore, il cui movimento è simile al battito cardiaco:

    "Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di 'sistole-diastole': unione con Gesù - incontro con l’altro. 'Sistole-diastole'. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non vive".

    Il Kerigma, ovvero l’annuncio della morte e resurrezione di Cristo, è un dono che genera missione, che spinge oltre se stessi:

    "Il catechista è cosciente che ha ricevuto un dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello… E non se ne prende per sé la percentuale, eh? Tutto quello che riceve, lo dà! Questo non è un affare! Non è un affare! E’ puro dono: dono ricevuto e dono trasmesso".

    Il Papa esorta a non aver paura di andare con Gesù alle periferie: cita l’esempio di Giona raccontato nell’Antico Testamento, spaventato dall’invito di Dio di andare a predicare nella città di Ninive, così al di fuori delle sue sicurezze, dei suoi schemi, alle periferie del suo mondo. Per essere fedeli – esorta il Papa – occorre “saper cambiare”:

    "Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo finisce per essere una statua da museo; se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile?"... (risposta dei catechisti: "No!")

    Tanta creatività e nessuna paura di uscire fuori dai propri schemi: questo caratterizza un catechista. Quando restiamo chiusi nei nostri schemi, nei nostri gruppi, nelle nostre parrocchie, nei nostri movimenti – spiega il Papa - ci succede quello che accade ad una persona chiusa nella propria stanza, ci ammaliamo:

    "Preferisco mille volte un catechista che abbia il coraggio di correre il rischio di uscire piuttosto che un catechista che studi, sappia tutto, ma sia chiuso sempre e ammalato. E alle volte è malato nella testa….".

    La certezza che deve accompagnare ogni catechista – aggiunge Papa Francesco – è che Gesù cammina con noi, ci precede. “Quando pensiamo di andare lontano, in un’estrema periferia, Gesù è là:

    "Ma voi sapete una delle periferie che mi fa male tanto, che sento dolore? E’ quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. Questa è una periferia, eh! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti aspetta per aiutare quel bambino a farsi il Segno della Croce".

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    Festival Francescano. Il Papa: il poverello di Assisi, icona vivente di Cristo

    ◊   In occasione del quinto Festival Francescano che si è aperto a Rimini, in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il Papa esprime "vicinanza per l’iniziativa che intende portare il carisma francescano nelle piazze e fra la gente". Il Santo Padre chiede di pregare per lui e per il suo ministero e auspica "una sempre più piena adesione alla spiritualità del poverello di Assisi, icona vivente di Cristo Signore, e generosa testimonianza evangelica continuamente sostenuta da sincero amore fraterno".

    Quest’anno, il Festival (27-29 settembre) è dedicato al tema del cammino, occasione per ricordare il passaggio di San Francesco nella Romagna, proprio 800 anni fa, ma anche per parlare del viaggio come metafora della condizione esistenziale di ogni uomo e di ogni donna.

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    Il card. Filoni inviato speciale del Papa ai prossimi Congressi missionari nelle Americhe

    ◊   Papa Francesco ha nominato il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, suo inviato speciale alla celebrazione del IV Congresso Americano Missionario (CAM 4) e del IX Congresso Missionario Latinoamericano (COMLA 9), in programma a Maracaibo (Venezuela) dal 26 novembre al primo dicembre 2013.

    In Vietnam, il Papa ha nominato arcivescovo coadiutore di Hôchiminhville mons. Paul Bùi Văn Doc, finora vescovo della Diocesi di My Tho. Lo stesso presule è stato nominato amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della Diocesi di My Tho (Vietnam).

    Nelle Filippine, il Pontefice ha nominato vescovo di Dumaguete mons. Julito B. Cortes, trasferendolo dalla Sede titolare di Severiana. Mons. Cortes è nato a Parañaque, il 4 luglio 1956. Ha compiuto gli studi filosofici presso il San Carlos Seminary College di Cebu e quelli teologici presso il Central seminary dell'Università Pontificia di San Tommaso a Manila, ove ottenne la Licenza in Sacra Teologia (1985) Ha poi conseguito un Master of Arts in Education presso la medesima Università ed infine il Dottorato in Teologia all'Angelicum di Roma (1989). E' stato ordinato sacerdote il 24 ottobre 1980, per la Diocesi di Dumaguete. Ha ricoperto poi i seguenti incarichi: Insegnante e poi Preside nel St. Joseph Seminary (1981-1985); Vice Cancelliere della diocesi di Dumaguete (1983-85). Tornato in Patria dopo gli studi a Roma, è stato nominato Rettore del St. Joseph Seminary (1989-1996) e Vicario generale della diocesi di Dumaguete (1989-2001). Fu anche eletto Amministratore Diocesano nel periodo di sede vacante in seguito al trasferimento di S.E. Mons. Angel N. Lagdameo. Il 24 ottobre 2001 è stato nominato Vescovo titolare di Severiana ed Ausiliare di Cebu, fu consacrato l'8 gennaio 2002.

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    Tweet del Papa: i momenti difficili nel matrimonio possono rendere l'amore ancora più forte

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet: “Tutti i matrimoni – scrive - affrontano momenti difficili, ma queste esperienze della croce possono rendere il cammino dell'amore ancora più forte”.

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    Beatificazione di don Bulešić, martire sotto il regime di Tito. il card. Amato: un invito a restare saldi nella fede

    ◊   Celebrata oggi a Pola, in Croazia, la Messa per la Beatificazione di Miroslav Bulešić, sacerdote diocesano, martire, ucciso nell’Istria settentrionale nel 1947 mentre amministrava il sacramento della Cresima. A presiedere il rito, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Giada Aquilino:

    Erano gli anni ’40, gli anni del regime di Tito, gli anni della persecuzione comunista della Chiesa in Croazia: oltre 400 sacerdoti trucidati o morti per torture e stenti nelle carceri. Uccisi anche teologi e seminaristi, suore e laici. Don Miroslav, nato nel 1920 nei pressi di Sanvincenti, fu ordinato sacerdote nel 1943. Fu anche professore e vicepreside al seminario di Pisino. A soli 4 anni dall’ordinazione, fu ucciso a Lanischie: era il giorno delle Cresime in parrocchia, ma c’erano concrete avvisaglie di contestazioni. Il Sacramento fu amministrato lo stesso, con un po’ d’anticipo sull’orario programmato, ma un manipolo di miliziani armati mise a ferro e fuoco l’edificio, come spiega il cardinale Angelo Amato:

    “Nell'inferno di questo caos i facinorosi si sfogarono contro don Miro, bastonandolo selvaggiamente e spintonandolo con violenza contro il muro. Il giovane sacerdote insanguinato e sfigurato ripeté più volte l'invocazione: ‘Gesù, accogli la mia anima’”.

    Dal cimitero locale, il corpo venne più tardi traslato a Sanvincenti. Oggi la sua ultima dimora è la chiesa dell’Annunciazione di Maria. E’ stato Papa Benedetto XVI - che nel 2011 aveva visitato la Croazia e a Zagabria si era soffermato in preghiera sulla tomba di un altro figlio di quella terra, il Beato Alojzije Stepinac - a riconoscere l’anno successivo il martirio di don Miroslav Bulešić. Sul significato della cerimonia di Pola, ancora il cardinale Amato:

    “La beatificazione odierna del nostro sacerdote e martire vuole essere un invito a tutti a rimanere saldi nella fede. È, inoltre, un monito a non ripetere mai più il gesto tragico di Caino, ma a vivere nella pace, nella fraternità e nella carità, secondo la parola di Gesù che dice: ‘Questo vi comando amatevi gli uni gli altri’.

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    San Gabriele. Mons. Celli alla Radio Vaticana: condividere la storia dell’uomo per portare l'amore di Dio

    ◊   Essere messaggeri di Dio, vicini all’uomo di oggi, portando Dio. E’ questa in sintesi l’esortazione espressa da mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, nell’omelia per la Festa del Patrono della Radio Vaticana, San Gabriele Arcangelo, che ricorre domani. La Messa è stata celebrata nella Cappella dell’Annunciazione a Palazzo Pio e seguita dalla cerimonia di conferimento delle onorificenze che quest’anno sono state date a 4 donne, dipendenti della nostra emittente. Il servizio di Debora Donnini:

    E’ l’Angelo, servitore e messaggero, che vede sempre il Padre faccia a faccia, la figura che mons. Claudio Maria Celli invita a guardare. C’è bisogno di una ricca professionalità, ricorda, ma per coloro che lavorano nella comunicazione, alla Radio Vaticana, si tratta “non solamente di una professione”, ma di vocazione. “Siamo chiamati ad essere servitori e messaggeri di Dio” ma per questo è necessario “un cammino personale molto più profondo”:

    “Non posso essere solamente un ‘tecnico della comunicazione’. In un certo senso, ciò che nasce dal mio cuore e si traduce con quella presenza sulle onde radiofoniche esige che, da parte mia, ci sia sempre di più questo contemplare il volto del Padre. Il che vuol dire quasi che il nostro lavoro, il nostro cammino professionale esige una contemplazione più profonda, più ricca del mistero di Dio nella nostra vita”.

    Il riferimento centrale dell’omelia di mons. Celli è all’ecclesiologia che Papa Francesco invita a riscoprire, ad esempio nell’intervista alla Civiltà Cattolica o in Brasile specialmente nel discorso ai vescovi: una Chiesa che è quasi un ospedale, una Chiesa che “condivide”, “cammina accanto”. E l’esortazione di mons. Celli è a fare risaltare questo dalle “nostre trasmissioni”: “come Radio del Papa”, dice, “ci troviamo ad esprimere – e dovremo esprimere sempre di più – questa vicinanza all’uomo di oggi”, che come non mai “sperimenta una solitudine profonda”:

    “Ecco, io credo che il nostro servizio debba essere proprio in questa linea di vicinanza all’uomo, di camminare accanto all’uomo, di condividere la sua storia, di condividere le sue ansie, i suoi momenti di dubbio, i suoi momenti di oscurità, essere accanto, condividendo, ma cercando di portare questa dimensione, questa prospettiva di un amore che ama, di un amore profondo, di un Dio che ama profondamente e appassionatamente l’uomo”.

    L’ispiratrice deve essere Maria, Lei che “ci sostiene”, “consola” e, conclude mons. Celli, insegna ad accogliere la Parola e portarla al mondo di oggi.

    Al termine della Messa, nella Sala Marconi della nostra emittente, sono state consegnate le onorificenze. A riceverle quest’anno sono state due donne appartenenti alla Direzione Tecnica, Laurenzia Savi e Carla Caprini, e due donne del Settore Programmi che comprende 39 redazioni linguistiche, Juliet Genevieve Christopher della redazione indiana e Cecilia Avolio de Malak della redazione di lingua spagnola. Durante la cerimonia, il direttore dei Programmi, padre Andrzej Koprowski ha sottolineato come la Radio Vaticana sia una vera radio multimediale che lavora per adattare il messaggio del Papa, il contenuto del linguaggio cristiano, alla cultura dei diversi continenti. “Da più di 80 anni al servizio del ministero petrino, la Radio Vaticana - afferma padre Koprowski - è diventata un ambiente attento al suo ruolo di ‘ponte’ tra la Santa Sede, la dimensione universale della Chiesa e le società e le Chiese particolari, con la loro specifica cultura nei diversi continenti”. Infine il direttore generale, padre Federico Lombardi, ha voluto salutare padre Lech Rynkiewicz, responsabile dell’Ufficio Promozione, che oggi conclude il suo servizio presso la Radio Vaticana. Padre Lombardi lo ha ringraziato ricordando i vari incarichi svolti negli anni, fin dal 1980, e come sia uno dei due padri gesuiti più anziani per servizio alla Radio. In conclusione è stato presentato il nuovo quadro della Sala Marconi, che raffigura i Papi che si sono succeduti dalla nascita della Radio Vaticana, nel 1931, fino a Papa Francesco, che figura in primo piano. L'artista, Daniela Longo, è autrice di diverse medaglie e francobolli vaticani. Il dipinto sostituisce il precedente del nostro compianto collega Irio Fantini, che sarà spostato in un'altra parte della Radio.

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    L'eredità di Papa Luciani a 35 anni dalla scomparsa: intervista con mons. Andrich

    ◊   Era il 28 settembre 1978 quando moriva improvvisamente Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani. Era stato eletto Papa solo 33 giorni prima, il 26 agosto. Il suo pontificato è tra i più brevi della storia, ma a 35 anni di distanza resta grande la sua eredità spirituale. Isabella Piro ne ha parlato con mons. Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno-Feltre, diocesi d’origine di Papa Luciani:

    R. – E’ sempre stato un uomo di pace e di serenità, che tendeva a unire le persone, a valorizzare soprattutto quella spiritualità del senso del popolo di Dio, della fedeltà delle persone anche umili. Come vescovo di Belluno-Feltre posso testimoniare che è stato un Papa che ha anche lasciato nelle persone più semplici una nostalgia che vede ora adempirsi con l’attuale Papa Francesco. Lo trovano somigliante: Papa Luciani è stato quasi un antesignano di molti gesti e parole, e soprattutto dell’attenzione e della vicinanza con le persone.

    D. – Furono solo quattro le udienze generali che riuscì a tenere Giovanni Paolo I eppure è ricordato come il “Papa catechista”: perché?

    R. – Perché prima di tutto nella scelta degli argomenti, che erano poi i suoi argomenti preferiti, ha trattato la fede, la speranza, la carità, in una forma dialogante, facendo anche intervenire e dialogare i fedeli. Sapeva effettivamente far intervenire l’intimo della persona per capire quello che lui diceva, quasi per partecipare al dialogo che stabiliva con i suoi ascoltatori. Già da giovane prete ha saputo insegnare come nella catechesi e nell’evangelizzazione, anche a tu per tu, occorre partire dalla vita, occorre riflettere per dare questo rapporto tra il seme della Parola e il terreno che noi stiamo vivendo nelle situazioni più diverse, durante la nostra esistenza.

    D. – Papa Luciani fu antesignano anche nel percepire l’importanza della comunicazione…

    R. – Sì, certamente. Ricordo molto bene quando, da Papa, disse ai giornalisti: “Se San Paolo fosse ancora qui, più che il giornalista farebbe il responsabile di una grande agenzia giornalistica”. Sentiva la necessità che le notizie centrassero veramente i problemi più urgenti per l’umanità di oggi.

    D. – Se noi volessimo ricordare tre parole per Papa Luciani, lei quale userebbe?

    R. – Essere persone umili, accoglienti, vere, con la capacità di dire quello che si è nell’intimo del cuore come l’elemento più centrale della propria coscienza, della propria consapevolezza cristiana.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La vocazione dell’essere catechisti: il Pontefice incoraggia a non aver paura di se stessi per andare incontro agli altri.

    Quelle chiacchiere che dividono: il Papa per la festa di san Michele, patrono del Corpo della Gendarmeria.

    Il timore della Croce: messa del Papa a Santa Marta.

    Dio appare agli incroci: in cultura, stralci del prologo del libro di Gian Guido Vecchi “Francesco. La rivoluzione della tenerezza. In viaggio col Papa che sta cambiando la Chiesa”.

    Paolo VI, il concilio e la collegialità: Philippe Levillain su quel filo che legava Roncalli a Montini.

    Monoteismi e scelte di vita: Anna Foa a proposito di uno studio di Gérard Delille su famiglia, economia e politica.

    Spregiudicatissimo colore: Giulia Galeotti su otto artiste ebree del Novecento.

    Il marmo di Tuckahoe torna sulla Fifth Avenue: Michela Beatrice Ferri sui restauri della cattedrale di St Patrick a Manhattan.

    Già dal V secolo san Michele proteggeva Roma: una millenaria storia di devozione.

    Obama chiama Rohani: in rilievo, nell’informazione internazionale, l’ulteriore accelerazione al dialogo tra Stati Uniti e Iran.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: sì a Conferenza di pace, dopo risoluzione per lo smantellamento delle armi chimiche

    ◊   Il governo siriano è "pienamente impegnato" a partecipare alla Conferenza internazionale di pace Ginevra 2, che potrebbe tenersi a metà novembre. E’ quanto ribadisce il rappresentante di Damasco all'Onu, Bashar al Jafaari. Anche il segretario dell’Onu raccomanda di lavorare per la pace, dopo che nella notte il Consiglio di sicurezza ha dato il via alla risoluzione per lo smantellamento dell'arsenale chimico siriano. Il servizio di Fausta Speranza:

    Controllo serrato sulle armi chimiche, ma in caso di inadempienza da parte del regime di Damasco, misure di forza solo attraverso un nuovo pronunciamento del Consiglio di Sicurezza. Ban Ki-moon parla di “accordo storico”, ma subito preme perché si lavori alla Conferenza di pace che – dice – potrebbe essere fissata entro metà novembre. D’altra parte, la Risoluzione è uno stop significativo alle armi chimiche, ma non può significare via libera alle armi convenzionali. E tuttavia in Siria si continua a morire: almeno otto i civili uccisi stamani in varie regioni, ieri 131. Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali:

    R. – La comunità internazionale dovrà vigilare necessariamente in maniera decisa sul rispetto di questo accordo, ma forse il primo passo da fare immediatamente è un chiaro cessate-il-fuoco tra le parti in conflitto. Non l’ha nominato nessuno, ma sembra che anche l’organizzazione più importante tra i ribelli abbia accennato alla possibilità di un cessate-il-fuoco anche per trovare un possibile accordo sulle armi chimiche. Inoltre, credo che un cessate-il-fuoco in questo momento farebbe comodo anche al presidente Assad.

    D. – Damasco si è subito detto disponibile alla Conferenza di pace. C’è poi la responsabilità dell’opposizione…

    R. – A questo punto, bisognerà individuare i partecipanti tra i ribelli perché questo è uno dei problemi seri, ovvero la frammentazione all’interno dell’opposizione ad Assad: non c’è soltanto un gruppo, ma ce ne sono vari e questo potrebbe rendere un po’ complicata l’organizzazione di Ginevra 2...

    R. – Sì. Credo che il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, sia stato abbastanza chiaro su questa cosa: è vero che c’è un governo che firma un accordo - sulle armi chimiche intendo – ma attenzione perché quelle armi chimiche non devono essere adoperate naturalmente neanche dai ribelli. Ora, il passo successivo, così come sottolineato dal segretario generale, dovrebbe essere Ginevra 2 e, quindi, andare verso la metà di novembre ad una conferenza sulla Siria. La responsabilità non sarà soltanto del regime di Assad, ma a questo punto bisognerà individuare i partecipanti tra i ribelli perché questo è uno dei problemi seri, ovvero la frammentazione all’interno dell’opposizione ad Assad: non c’è soltanto un gruppo ma ce ne sono vari e questo potrebbe rendere un po’ complicata l’organizzazione di Ginevra 2.

    D. – Vogliamo commentare anche questa circostanza: mentre si raggiungeva l’accordo per questa risoluzione all’Onu, c’è stato questo passo estremamente significativo della telefonata tra Rohani ed Obama. Quindi un nuovo corso nei rapporti tra Iran e Stati Uniti. Le due cose non sono scisse…

    R. – No, assolutamente, anzi io le vedo abbastanza legate. La presenza ed il forte attivismo del nuovo presidente iraniano a New York sono state secondo me significative e determinanti. Non dimentichiamo che, per esempio nel caso della Siria, non c’è soltanto un protettore del regime di Assad, la Russia, ma ce n’è uno forse per alcuni aspetti ancora più importante che è quello iraniano. Guarda caso, io ritengo che, dietro le quinte, la diplomazia iraniana – su spinta del nuovo presidente – abbia lavorato perché si raggiungesse un chiaro accordo unanime sulla limitazione e distruzione delle armi chimiche. Ci sono tanti segnali che vengono ultimamente da Teheran che lasciano ben sperare. Io fondamentalmente nella politica internazionale non è che sia sempre così ottimista, però Rohani che parla finalmente della Shoa; che riconosce la Shoa come il grande crimine contro gli ebrei; che manda gli auguri per il Rosh haShana, ovvero il capodanno degli ebrei, ed in più la sua presenza fortemente mediatica a New York… Questo mi lascia qualche speranza.

    Resta l’appello del ministro degli Esteri russo: “Le parti prendano parte alla conferenza Ginevra 2 senza precondizioni”.

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    Il "disgelo" tra Teheran e Washington. L'opinione di Negri: speranze per la regione

    ◊   In Iran, la notizia del "disgelo" tra i due Paesi è stata accolta molto favorevolmente, non solo dalla stampa riformista. Un sms circolato a Teheran in queste ore, parla di Rohani come di un “coraggioso presidente”, esortando gli abitanti della capitale a recarsi all’aeroporto per accogliere il leader di rientro da New York. Sulla valenza della ripresa dei contatti con gli Stati Uniti, Eugenio Bonanata ha intervistato Alberto Negri, inviato speciale de Il Sole 24 Ore:

    R. - Ora bisogna ragionare e chiedersi quanto ci vuole e cosa ci vuole per fare la pace tra Iran e Stati Uniti. Occorre una buona dose di realpolitik e di reciproca fiducia dopo decenni di insanabili diffidenze perché la rottura è durata tantissimo tempo e, come tutti sanno, una ripresa dei negoziati sul nucleare sarà decisiva. Obama si è detto disposto ad alleggerire le sanzioni nel caso gli iraniani diano finalmente via libera all’ispezione dell’Onu, chiudano una delle loro installazioni - quella più segreta, che si trova a Fordow vicino a Qom - e poi, in qualche modo, rinuncino in maniere chiara ad eventuali intenzioni e finalità militari del loro programma nucleare civile.

    D. - Tutto questo però è ancora da vedere …

    R. - Il negoziato riprende tra il 15 e il 16 di ottobre a Ginevra. In parte, la strada era già stata spianata l’altro giorno con l’incontro che c’è stato tra il cosiddetto 5+1 e l’Iran, durante il quale il segretario di Stato americano Kerry era seduto affianco al ministro iraniano, Javad Zarif. Già in questa riunione si è capito che si potrà entrare presto nel concreto. Gli iraniani hanno detto - e lo ha confermato lo stesso presidente Rohani in varie interviste in questi giorni - che l’obbiettivo è concludere un negoziato entro un anno. E forse ancora prima. Perché ancora prima? Perché le sanzioni - sappiamo - stanno condizionando e soffocando l’economia iraniana. Vi do alcune cifre: l’Iran fino all’anno scorso esportava due milioni e mezzo di barili di petrolio, oggi le sanzioni petrolifere li hanno ridotti della metà: un milione di barili. E poi la disoccupazione è alta e l’inflazione sale. In queste condizioni, anche gli iraniani hanno bisogno di un’intesa con gli Stati Uniti.

    D. - C’è da essere ottimisti sull’esito dei negoziati?

    R. - C’è da essere realisti. La rottura diplomatica tra Teheran e gli Stati Uniti è durata 34 anni, dalla rivoluzione del ’79. Non si può pensare che tutti gli ostacoli e le reciproche diffidenze vengano superate con una telefonata o in una notte di trattative. Ci vorrà del tempo. Però, è chiaro che questa può essere una svolta storica non solo per il Medio Oriente, ma anche oltre tutta questa regione. È anche una speranza per il futuro. Insomma: si fanno i conti con la storia, ma si cerca anche di dare una speranza alle future generazioni.

    D. - Quali conseguenze può avere nell’area mediorientale questo disgelo avviato?

    R. - Anzitutto, bisogna concentrarsi sugli alleati degli americani? Gli Stati Uniti per avviare questo disgelo devono superare la forte ostilità di Israele ad aprire dei negoziati con un Paese come l’Iran, che loro ritengono un nemico acerrimo. Non solo, ma ci sono delle differenze soprattutto da parte degli arabi sunniti, in particolare delle monarchie petrolifere del Golfo, che hanno sempre guardato con sospetto e con diffidenza gli sciiti iraniani. Insomma, non si tratta soltanto di trattare sul nucleare o sulle sanzioni, ma si tratta anche si rimuovere quel macigno di diffidenza culturale e politica che per più di 30 anni ha avvolto questa regione.

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    Guinea Conakry: al voto dopo 2 anni di rinvii. L'opposizione sospetta brogli

    ◊   Finalmente oggi la Guinea Conakry al voto per le elezioni legislative che avrebbero già dovuto tenersi due anni fa e più volte sospese in seguito alle forti tensioni innescate dalle fazioni che si oppongono al presidente Condè. E anche questa volta il clima non è del tutto sereno per i cinque milioni di cittadini chiamati al voto: 114 i deputati del Parlamento da eleggere. Ce ne parla Giulio Albanese:

    Le elezioni, originariamente previste per il 2011, sono state rinviate più volte. La tensione è comunque alta in quanto a detta dell’opposizione, l’Assemblea del popolo guineano (Rpg), il partito del presidente e la commissione elettorale, avrebbero cercato di manipolare l’esito del voto. Infatti, i distretti elettorali sarebbero stati ridisegnati per innalzare il numero dei votanti nelle aree in cui il presidente ha più sostenitori. Sta di fatto che la lontananza dei seggi scoraggerebbe molti elettori a recarsi alle urne e i registri elettorali sarebbero zeppi di inesattezze e refusi. Queste proteste hanno portato alla formazione delle Forze speciali di sicurezza delle elezioni legislative , che avranno il compito di garantire e monitorare le operazioni di voto. Sono presenti anche osservatori esterni inviati dall’Unione Europea, dalle Nazioni Unite, dall’Unione Africana e da altri organismi internazionali. Sta di fatto che lo svolgimento delle elezioni è vitale per il future del Paese, ricco di bauxite, oro, diamanti e quant’altro, ma in cui la povertà affligge la maggioranza della popolazione.

    Sulla situazione Davide Maggiore ha sentito Tommaso Caprioglio, vice-capo della missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea a Conakry:

    R. - Il 19 e il 20 settembre ha avuto luogo un comitato straordinario al quale hanno preso parte gli attori politici e gli interlocutori a livello internazionale quali l’Unione Europea, l’Ambasciata di Francia e quella degli Stati Uniti. Sono arrivati ad un accordo con il quale si è determinato che c’erano delle anomalie tecniche che necessitavano ancora di un periodo ulteriore per fare in modo di risolvere queste problematiche. Per questo è stato deciso attraverso un accordo consensuale tra tutte le parti di rinviare le elezioni di quattro giorni. Quindi, le elezioni avranno luogo sabato 28.

    D. - Tra i rappresentanti delle parti politiche dunque c’è accordo ma sono arrivate anche notizie di una situazione più turbolenta invece sulle strade per via di manifestazioni. In quale clima Conakry vive questo voto più volte rinviato?

    R. - Subito dopo l’accordo ci sono state, nella periferia di Conakry, alcune manifestazioni spontanee - quindi non organizzate - che hanno provocato degli incidenti piuttosto seri, che ora fortunatamente, sono sotto controllo. Al momento, ci è giunta la notizia di una persona deceduta e sappiamo che ci sono stati diversi feriti. Quindi in questo momento è chiaro che c’è grande attesa. A Conakry la situazione è tranquilla, però ovviamente siamo tutti vigilanti, perché sappiamo che essendo in un contesto abbastanza teso, come missione di osservazione elettorale, abbiamo un dispositivo di 84 osservatori pronti. Qui, nella missione ovviamente non c’è stato alcun tipo di ripercussione.

    D. - Abbiamo accennato alle turbolenze che ci sono state, quindi ovviamente si guarda con molta attenzione a tutto il processo democratico della Guinea. In questo senso, come si è svolta la campagna elettorale?

    R. - Sicuramente c’è un lato positivo. La campagna elettorale è stata una campagna inclusiva nella quale tutti i leader politici hanno potuto svolgere la propria attività di campagna senza problemi rilevanti. Diciamo che non ha entusiasmato le folle; è stata una campagna piuttosto timida, soprattutto all’inizio. Poi si è animata nelle ultime ore e ha visto la sua fine giovedì 26 a mezzanotte.

    D. - Nel comunicato della scorsa settimana, come missione elettorale dell’Unione Europea, avete fatto un appello a tutte le parti politiche e agli elettori guineani mettendo in rilievo alcuni punti …

    R. - Il nostro è stato un appello rivolto, in particolar modo, alla Commissione elettorale nazionale indipendente che ha la responsabilità dell’organizzazione dello scrutinio, in quanto la missione pensa che la fase delicata della distribuzione delle carte elettorali sia qualcosa sulla quale la stessa commissione abbia il dovere di comunicare le cifre di diffusione delle stesse carte. Questo perché la propria carta elettorale è un documento obbligatorio per votare. Quest’operazione di distribuzione è cominciata con un certo ritardo, in condizioni a volte anche caotiche, determinando la necessità di fare un comunicato nel quale abbiamo chiamato ad una maggiore trasparenza.

    D. - Ecco, in questo senso c’è stato in questi giorni qualche cambiamento?

    R. - La commissione ha migliorato la sua comunicazione nei giorni scorsi, però la missione, ancora oggi, ha bisogno di più informazioni per verificare quante carte elettorali siano state distribuite e quante ancora rimangono nelle oltre duemila commissioni responsabili dell’operazione.

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    Napolitano: lavorare insieme con fiducia. Fmi: da crisi italiana rischi per il mondo intero

    ◊   Sempre alta la tensione politica in Italia dopo lo stop ai lavori del governo in attesa di una nuova fiducia parlamentare e dopo le minacce di dimissioni in massa del Pdl. Il presidente Napolitano torna a chiedere un clima sereno e un lavoro comune che dia fiducia al Paese. Nessuno stop alle attività parlamentari né una crisi di governo chiede anche Confindustria, per sostenere famiglie e aziende che, dice, sono allo stremo. In realtà secondo il Fondo monetario internazionale a rischiare, da un collasso politico in Italia, sarebbero Ue e mondo intero. E’ così e in che misura? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Carlo Altomonte docente di Economia Politica all’Università Bocconi di Milano:

    R. – Il rischio non è banale nel senso che, nel momento in cui noi lasciamo il Paese senza governo - e non avremmo la legge di stabilità approvata – uno, non approfittiamo della poca crescita che sta arrivando comunque e, due, non penso ci sia nessun modo di tenere gli stessi conti pubblici sotto controllo, proprio perché non avendo fatto riforme strutturali, di fatto continuiamo a tenere una specie di tappo su dell’acqua -che è la spesa pubblica- che preme.

    D. – Nel caso in cui ci fosse una crisi di governo, chiunque verrà dopo si troverà a dover, non solo riprendere il filo del discorso, ma anche riparare a quanto perso. Questo può pesare pesantemente sugli italiani? Parlo di stipendi, pensioni...

    R. – Sì, ovvio. Siccome adesso abbiamo preso una decisione strutturale e abbiamo capito che l’euro non salta e che siamo dentro l’euro e così via, chiunque venga dopo, troverà la sedia occupata dai signori di Bruxelles, che gli diranno cosa fare. Quindi non solo sono a rischio i conti pubblici ma stiamo anche buttando a mare la nostra sovranità.

    D. – Motivo in più per un rischio d’implosione proprio dell’area euro dopo la Grecia o no?

    R. – Ormai non arriviamo a quello: ci bloccano molto prima. Quindi tutta questa crisi farà solo del male a noi stessi. Se noi andiamo avanti su questa strada, fra un mese lo spread sarà talmente alto che dovremo chiedere l’aiuto della Bce. Chiedendo l’aiuto della Bce ci imporranno delle condizionalità, come hanno fatto in Grecia e come hanno fatto in Spagna. Ma togliamoci dalla testa che ci consentano di creare disastri negli agli altri Paesi dell’area euro. Non più: ormai la Germania ha deciso che questo matrimonio tiene. Se questo matrimonio tiene, tiene alle sue condizioni.

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    Il ministro Bray: turismo sessuale, vergogna da debellare. Allarme per i Mondiali in Brasile

    ◊   Sensibilizzare turisti, tifosi, atleti, dirigenti e giornalisti, che si recheranno in Brasile per i Mondiali di Calcio del 2014, sulla piaga della prostituzione minorile. Rafforzare, in occasione di questo grande evento che sarà accompagnato da un rilevante afflusso di turisti, l’impegno contro lo sfruttamento sessuale. Sono queste le finalità della Campagna lanciata ieri a Roma, da Ecpat, organizzazione che difende i diritti dei bambini dai pericoli del turismo sessuale. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Una porta, metafora di sogni sportivi infranti o realizzati, riflette sul campo la sagoma di una prigione. E’ l’immagine proposta da Ecpat per lanciare, nella Giornata Internazionale del Turismo, la Campagna “Non voltarti dall’altra parte” e per ricordare che i reati legati alla prostituzione minorile prevedono la reclusione. In Brasile, dove si disputerà nel 2014 il campionato del mondo di calcio, il 30% della popolazione e quasi la metà dei bambini vivono sotto la soglia della povertà. In questo allarmante scenario, è drammaticamente diffuso il turpe fenomeno dello sfruttamento sessuale. Si stima, in particolare, che i bambini vittime della prostituzione siano oltre 500 mila. Alla conferenza stampa per presentare la Campagna di Ecpat è intervenuto anche il ministro italiano dei Beni e delle attività culturali e dei Turismo, Massimo Bray:

    R. - Quella del turismo sessuale è una vergogna del nostro tempo, che dobbiamo affrontare per individuare tutti gli strumenti al fine di debellarla. Credo ci sia molta energia nella società, nei cittadini che incontro: un’energia positiva che ci chiede questo cambiamento; ci chiede di prestare attenzione a quella che deve essere una crescita rispettosa del valore di ogni individuo. I bambini sono gli esseri più indifesi a volte, ma sono anche i futuri cittadini e dobbiamo rispetto ai loro sogni e alle loro speranze. Questo è un impegno importante.

    D. - I mondiali di calcio possono purtroppo trasformarsi per alcuni di loro in un incubo…

    R. - Il governo solleciterà tutte le nostre strutture che, in qualche modo, si impegneranno per evitare questo pericolo. Il modo in cui accogliamo e allo stesso tempo favoriamo il turismo fuori dall’Italia devono essere il punto di partenza per una sensibilizzazione generale affinché questo fenomeno si fermi e per evitare che alcune grandi manifestazioni sportive, o di interesse culturale, si possano trasformare in occasioni di perdita di quei valori di dignità umana come spesso è accaduto.

    Il previsto incremento dello sfruttamento sessuale in occasione dei Mondiali di Calcio fa crescere la posta in palio della sensibilizzazione. Secondo recenti stime, gli italiani sono ai primi posti in Brasile, insieme con portoghesi e tedeschi, nella vergognosa classifica dei turisti sessuali con minori.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella 26.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo del ricco epulone che non si accorge che un povero, di nome Lazzaro, sta morendo di fame alla sua porta. Una volta morti entrambi, Abramo dirà al ricco:

    «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Nel suo viaggio verso Gerusalemme, per vivere il mistero della sua passione e glorificazione, Gesù si rivolge alternativamente ai suoi discepoli e alla folla o ai suoi avversari. Nella parabola sull’uso delle ricchezze, di domenica scorsa, Gesù parlava ai suoi discepoli e i farisei, “attaccati al denaro, ascoltavano queste cose e si beffavano di lui” (Lc 16,14). Ora, a questi farisei, che presumono di mettere insieme ricchezza e compimento della Legge, il Signore racconta una parabola. Un ricco banchetta ogni giorno lautamente e alla porta giace Lazzaro, coperto di piaghe, a cui solo i cani prestano attenzione. Poi viene la morte per ambedue e il “capovolgimento divino”: il povero si ritrova nel “seno di Abramo”, che indica la gioia di cui godono i santi, e il ricco negli inferi. Ora è questi a chiedere pietà. Il “povero ricco” invoca, insieme a qualche goccia d’acqua, che venga mandato Lazzaro – è sempre il ricco che pretende di usare il povero – ai suoi fratelli perché non finiscano anch’essi nello stesso inferno. La risposta è che la conversione non viene da “miracoli”, ma dall’ascolto – che si fa obbedienza – alla parola del Signore, alla parola dei profeti. È una parola molto forte anche per noi: dovremmo avere questa scena davanti ai nostri occhi ogni volta che i vari Lazzaro di oggi – poveri, emarginati, stranieri… – stendono la loro mano, la loro ciotola, verso di noi. Per non dire… di quanti cani sono oggi trattati meglio di tanti poveri. Pensiamo forse che Dio non veda questo? O abbiamo anche noi un “cuore da fariseo” che si beffa del Signore?

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: aumentano gli attacchi contro i cristiani. Paura a Sednaya

    ◊   Aumenta di giorno in giorno la preoccupazione dei cristiani siriani: dopo Maalula, villaggio a nord di Damasco invaso da gruppi jihadisti, è a rischio Sednaya, altro villaggio cristiano a Nord di Damasco, “cuore pulsante del cristianesimo siriano”, sede di numerosi monasteri e chiese di diverse confessioni e storico luogo di pellegrinaggi. Proseguono, inoltre, attacchi mirati contro le chiese: ieri ne sono state colpite due, a Yabroud e Hassakè. “Mai nella storia della Siria avevamo registrato tali attacchi sacrileghi e settari. I siriani non lo farebbero mai, sono attacchi di gruppi stranieri e questo è un pericolo per noi cristiani. Continuiamo a pregare per la pace, seguendo la strada tracciata da Papa Francesco”, commenta addolorato all’agenzia Fides il patriarca greco cattolico Gregorio III Laham. Secondo il racconto del patriarca, ieri alle porte del villaggio di Sednaya vi è stato uno scontro armato fra gruppi armati non identificati, che tentavano di infiltrarsi in città, e la gente del luogo. Un giovane greco-cattolico è rimasto ucciso. La popolazione di Sednaya e terrorizzata, ricordando quanto accaduto a Maalula. Intanto ieri quattro missili hanno colpito la Chiesa cattolica di san Giorgio a Yabroud, causando gravi danni alla cupola e al centro catechistico-pastorale. L’arcivescovo melkita Jean-Abdo Arbach, che sovrintende alla chiesa, è andato sul luogo per verificare i danni e confortare i fedeli impauriti. Nella notte, secondo quanto riferito a Fides da fonti locali, è stata bruciata una chiesa ortodossa ad Hassake, mentre due giorni fa gruppi islamisti hanno dissacrato due chiese a Raqqa, rimuovendo croci e immagini sacre. I cristiani di Raqqa, spiega a Fides il prete siro-ortodosso padre Boulos George, sono stati costretti a fuggire, soprattutto ad Hassake e Qamishli, e sono vittime di una “discriminazione religiosa”. Nell’area di Raqqa – dove è stato rapito il gesuita padre Paolo Dall’Oglio – si registrano feroci scontri fra gruppi islamici che si combattono fra loro. Lo “Stato islamico di Iraq e Siria” combatte contro “Jubhat al Nosra” e contro unità dell’Esercito Libero Siriano (Fsa). “E’ un conflitto per potere e denaro”, nota il sacerdote. Parlando a Fides, un veterano del Fsa nota: “Per noi diventa impossibile proteggerei i più fragili, come le minoranze religiose. In alcuni luoghi vorremo essere aiutati anche dall'esercito regolare, perchè abbiamo visto uccisioni barbariche”. Secondo fonti di Fides, “scopo di tali azioni contro le minoranze è mostrare che per loro è impossibile vivere qui e frantumare la Siria su base confessionale”. (R.P.)

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    Libano. I patriarchi cattolici d'Oriente: la primavera araba si è trasformata in ferro e fuoco

    ◊   Nella giornata di ieri, il Consiglio dei patriarchi cattolici d'Oriente si è riunito nella sede del patriarcato maronita a Bkerké (Libano) per una riflessione condivisa davanti alle convulsioni che sconvolgono la regione mediorientale, mettendo a rischio il futuro di comunità cristiane di tradizione apostolica radicate in quell'area. Alla riunione, ospitata dal patriarca maronita e card. Bechara Boutros Rai, hanno preso parte tra gli altri il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, il patriarca greci-melkita Grégoire III Laham, il patriarca siro-cattolico Ignatius Yusuf III Yunan e il patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX. Nell'intervento d'apertura, il patriarca Rai ha fatto riferimento al Sinodo ordinario sul Medio Oriente svoltosi in Vaticano nell'ottobre 2010, ricordando che proprio la fine di quel Sinodo “coincideva con l'inizio della Primavera araba. Disgraziatamente” ha commentato il patriarca maronita “quella Primavera si è trasformata in inverno, in ferro e fuoco, in stragi e distruzioni, proprio quando i popoli aspiravano a una nuova vita e a delle riforme, nell'universo della globalizzazione”. Oggi più che mai – ha continuato il cardinale libanese - “questa regione ha bisogno del Vangelo di Gesù, quello della pace, della verità, della fraternità e della giustizia, perché se il mondo perde il Vangelo, conoscerà una situazione di distruzione, come quella che noi viviamo oggi”. Il patriarca Rai ha anche riferito che i patriarchi cattolici d'Oriente si ritroveranno a Roma con Papa Francesco per un incontro “che avrà luogo a novembre e al quale si uniranno anche rappresentanti delle Chiese ortodosse”. L'incontro è previsto dopo l'Assemblea plenaria della Congregazione per le Chiese orientali. Nelle riunioni con il Papa e i suoi collaboratori, i patriarchi cattolici del Medio Oriente, insieme agli arcivescovi maggiori che guidano le altre compagini ecclesiali cattoliche di rito orientale, richiameranno l'attenzione su questioni pastorali e canoniche come l'elezione dei vescovi nelle Chiese cattoliche orientali. Il summit fornirà anche occasione per riflettere insieme sul futuro dei cristiani in Medio Oriente, nel tentativo di delineare criteri di discernimento pastorale condivisi davanti ai conflitti che dilaniano la regione, a partire dalla tragedia siriana. (R.P.)

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    Pakistan. La terra trema ancora: nuova scossa nel Beluchistan

    ◊   Dopo il terribile sisma di martedì scorso, la terra torna a tremare oggi in Pakistan: una nuova scossa che secondo l’ufficio meteorologico locale sarebbe stata di magnitudo 7.2 sulla scala Richter (6.8 secondo l’Istituto di geofisica americano) ha colpito il Beluchistan, più o meno nella stessa area della volta scorsa. Secondo gli esperti, però, si è trattato di un nuovo evento sismico e non di una scossa di assestamento. È ancora presto per parlare di morti e feriti - riferisce l'agenzia AsiaNews - ma diverse abitazioni sono crollate in particolare nel villaggio di Nokju nel distretto di Awaran, dove si teme ci siano persone sotto le macerie, ma c’è stata molta paura anche a Jaffarabad, Sibi, Naseerabad e nel capoluogo di Quetta, dove il Parlamento provinciale ha interrotto una seduta, ma la nuova scossa è stata avvertita anche nella vicina provincia del Sindh. Il Pakistan era già stato piegato, lo scorso 24 settembre, da un violento terremoto di magnitudo 7.7 che ha causato, secondo un bilancio ancora provvisorio, almeno 515 morti, 400 feriti e 300mila senzatetto, sempre nel distretto di Awaran, lungo la strada che collega Quetta a Karachi: si tratta di un’area tra le più complesse del pianeta dal punto di vista geologico, ma afflitta anche da altri gravi disastri naturali e dalla guerriglia separatista. In prima linea nel soccorso delle persone colpite, Caritas Pakistan, che collabora con le autorità locali e riferisce del proprio operato a Caritas Internationalis: una squadra si è recata nel distretto di Khuzdar, epicentro del sisma di martedì, per verificare di persona la situazione, ma gli aiuti vanno a rilento e i rifornimenti sono limitati: migliaia di persone – secondo le testimonianze raccolte da AsiaNews – restano ancora in attesa all’aria aperta. (R.B.)

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    Grecia. In manette per omicidio esponenti di partito di estrema destra: rischio di crisi politica

    ◊   La Grecia decapita il partito nazionalista di estrema destra “Chrysi avgy” (che tradotto significa “Alba dorata”): in un’operazione effettuata questa mattina all’alba ad Atene, infatti, sono stati arrestati il leader 56enne Nikos Michaloliakos, che solo ieri aveva minacciato di ritirare i “suoi” 18 deputati dal Parlamento paventando l’ipotesi di un ritorno alle urne in una situazione già molto complicata per il Paese, il portavoce Ilias Kasidiaris e altre 17 persone, tra cui due poliziotti. Altri 36 mandati di cattura, inoltre, sono stati emessi dalla Corte Suprema, alcuni dei quali indirizzanti a parlamentari, membri della formazione politica e delle forze dell’ordine. I provvedimenti sono stati emessi nell’ambito delle indagini per l’omicidio del rapper antifascista Pablos Fyssas, ucciso il 17 settembre scorso per mano di un militante neonazista che avrebbe confessato di far parte dell’organizzazione. Gli arrestati sono stati condotti nel quartier generale della polizia ateniese, con le accuse di organizzazione criminale – che secondo la legge, se supportata da prove, consente di emettere mandati di arresto contro deputati senza la previa autorizzazione del Parlamento – omicidio, aggressione, lesioni gravi, ricatto e riciclaggio di denaro, che si basano su intercettazioni telefoniche in cui sarebbero emersi collegamenti tra Alba dorata e l’assassinio di Fyssas. All’esterno del quartier generale si sono subito riuniti un centinaio di militanti del partito per protestare contro quanto accaduto, mentre la polizia, per evitare scontri, ha proibito la manifestazione, prevista per oggi, dei sindacati delle forze speciali dell’esercito. “La Grecia non corre rischi di instabilità politica in seguito agli arresti di membri di Alba dorata”, si è affrettato a precisare il ministro delle Finanze Stournaras, mentre il premier Samaras – dopo un incontro avuto oggi con i tre rappresentanti della troika europea con cui ha verificato l’andamento del piano di risanamento dell’economia ellenica – ha ricevuto i ministro della Giustizia, Athanassiou, e dell’Ordine pubblico, Dendias, e tra poco partirà per gli Stati Uniti dove sarà ricevuto dal direttore del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagard. Scongiurata anche l’ipotesi di elezioni anticipate: “Il caso è ora nelle mani della magistratura”, ha detto il premier rassicurando sui temi della giustizia e della stabilità nazionale, ribadendo di aver informato la troika dei fatti. (A cura di Roberta Barbi)

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    Arabia Saudita. Il Gran muftì: “Via le chiese dalla penisola arabica”

    ◊   Lo sceicco Abdul Aziz bin Abdullah, Gran mufti dell’Arabia Saudita – Paese alleato con l’Occidente sulla scena politica mondiale – ha dichiarato che “è necessario distruggere tutte le chiese della regione”. Come riferito all'agenzia Fides, parlando a una delegazione del Kuwait giunta in Arabia, Abdul Aziz bin Abdullah ha sottolineato che l’eliminazione delle chiese sarebbe in sintonia con la secolare regola che prevede l’islam come unica religione praticabile nella penisola arabica. Il Gran mufti dell’Arabia Saudita è il più alto leader religioso nel regno musulmano sunnita. E’ anche il capo del “Consiglio supremo degli ulema” (studiosi islamici ) e del Comitato permanente l’emissione di fatwa (decreti religiosi). La dichiarazione del muftì giunge dopo che un parlamentare kuwaitiano, Osama Al-Munawer, ha annunciato il mese scorso sul social network “Twitter” di voler presentare un progetto di legge per vietare la costruzione di nuove chiese e luoghi di culto non islamici in Kuwait. Di recente, in occasione della consacrazione di una chiesa cattolica negli Emirati Arabi, i cristiani locali avevano auspicato “l’avvio di negoziati per costruire una chiesa in Arabia Saudita”, dato che nel regno Saudita vivono, secondo le stime, fra 3 e 4 milioni di cristiani, tutti lavoratori immigrati che desiderano avere una chiesa. A giugno del 2013 il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, ha consacrato la nuova chiesa di Sant’Antonio negli Emirati Arabi Uniti, nei pressi di Dubai, e una nuova Chiesa dedicata a San Paolo è in costruzione ad Abu Dhabi. All’inizio del 2013 il re del Bahrein ha donato alla comunità cristiana un terreno per la costruzione di una nuova chiesa, la cattedrale Nostra Signora di Arabia. (R.P.)

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    Colombia: uccisi due sacerdoti nella loro parrocchia

    ◊   Don Héctor Fabio Cabrera e don Bernardo Echeverri, della parrocchia di San Sebastián del municipio di Roldanillo, nel dipartimento della Valle del Cauca, arcidiocesi di Cali, sono stati uccisi nella loro abitazione. Secondo fonti locali dell’agenzia Fides, il crimine sarebbe stato compiuto intorno alla mezzanotte o nelle prime ore seguenti di questa mattina, 28 settembre. Intorno a quell’ora alcuni abitanti della zona hanno visto due uomini uscire dalla parrocchia e allontanarsi in motocicletta. Insospettiti per l’ora tarda, hanno avvisato la polizia, che ha trovato il corpo senza vita del parroco e del suo collaboratore nelle rispettive stanze, con ferite di arma bianca. (R.P.)

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    Centrafrica al collasso: se ne parla anche all’Assemblea dell’Onu

    ◊   È tutt’altro che normalizzata la situazione nella Repubblica Centrafricana, dove è stata sciolta ufficialmente la coalizione di ribelli Seleka. La situazione è particolarmente critica a Paoua, nella regione settentrionale dell’Ouham Pende, dove la Croce Rossa locale è testimone di violenze e saccheggi da parte di ex combattenti, ma anche di ex esponenti dell’Esercito popolare per la restaurazione della democrazia, che sono tornati a imbracciare le armi. L’emittente locale Radio Ndeke Luka, citata dall'agenzia Misna, riferisce anche di una recente visita in loco da parte del vicepresidente del Consiglio nazionale di transizione, Léa Koya Soum Ndoumta, che ha invitato la popolazione “a restare unita per impedire gli scontri religiosi e a non ricorrere all’uso della forza per difendersi”. Un altro focolaio di violenze è Bossangoa, nel nordovest, in balia di diversi gruppi armati che seminano il panico nella popolazione. Qui, nella cattedrale, sono state rinvenute due granate inesplose, mentre in città sono arrivati 35mila sfollati che sono stati accolti in varie strutture facenti capo alla Chiesa cattolica. In questi giorni, infine, a New York, a margine della 68.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, sono riuniti anche i leader di diversi Paesi africani che parlando del Centrafrica hanno definito la situazione “disperata, una crisi dimenticata che vede il Paese collassare”. La Francia ha annunciato 10 milioni di euro per aiuti umanitari e l’impegno a far approvare in sede Onu una risoluzione in favore del sostegno alla missione nel Paese (Misca), mentre entro sei mesi una seconda risoluzione potrebbe disporre il dispiegamento delle forze di pace. (R.B.)

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    Mali: i ribelli tuareg del nord sospendono i negoziati con il governo

    ◊   Sarebbe già effettiva dal 18 settembre scorso, ma è stata annunciata solo ieri, la decisione di sospendere la partecipazione al comitato competente incaricato della negoziazione tra il governo e i ribelli, da parte dei gruppi tuareg del Mali. L’annuncio è stato dato attraverso un comunicato congiunto a firma del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, dell’Alto Consiglio per l’Unità dell’Azawad e del Movimento arabo dell’Azawad, che criticano fortemente l’esecutivo per la mancata attuazione degli accordi di Ouagadougou siglati nel giugno scorso. Tuttavia, riferisce Misna, i leader dei movimenti non chiudono del tutto la porta alle trattative, precisando di essersi fatti promotori di “una lettera per convocare urgentemente una riunione sul tema con tutte le parti coinvolte”. I tre gruppi ribelli, protagonisti dal gennaio 2012 di una crisi armata nel nord del Paese, chiedono inoltre a Bamako la liberazione dei loro esponenti detenuti in carcere e l’esame dello statuto del nord del Mali, che il neopresidente Keita ha più volte respinto, sottolineando che “non negozierà mai l’integrità territoriale del Mali né l’unità nazionale”. Il presidente, dal canto suo, ha proposto la creazione di una forza multinazionale con gli altri Paesi della regione per intervenire massicciamente contro la “minaccia islamista nell’area”, ma sono proprio le diverse rivalità regionali presenti ad aggravare il problema e a causare la mancanza di cooperazione che consente agli insorti e ai terroristi di avere campo libero. L’accordo di Ouagadougou ha messo fine a 18 mesi di crisi armata e ha consentito l’organizzazione di elezioni presidenziali, ma sul terreno la situazione resta instabile a causa della presenza di uomini armati e di banditi di strada, specialmente nell’area tra Gao e Kidal. (R.B.)

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    Usa: riserve dei vescovi sui nuovi regolamenti sanitari che limitano la libertà di coscienza

    ◊   I vescovi degli Stati Uniti continuano a mantenere alta la pressione sulle autorità affinché siano preservati il diritto alla vita e alla libertà di coscienza. In una recente lettera alla Commissione amministrativa della Conferenza episcopale (Usccb), il presidente dei vescovi, il card. Timothy Michael Dolan, riafferma infatti la necessità di garantire agli operatori delle istituzioni e organizzazioni cattoliche la piena libertà di azione secondo i propri principi morali e religiosi nell’applicazione dei regolamenti sanitari (le “Hhs rules”) che l’Amministrazione Obama ha introdotto nell’ambito della riforma sanitaria , l“Affordable Care Act”. Come è noto, a suscitare le obiezioni dell’episcopato, ma anche di altri gruppi religiosi, sono alcune disposizioni in materia di aborto e contraccettivi che impongono limitazioni all’obiezione di coscienza di coloro che si oppongono all’aborto e alla contraccezione. In pratica, nonostante alcune parziali modifiche introdotte nel 2012, migliaia di ospedali, cliniche, università o opere caritative, si trovano tuttora costrette alla difficile scelta tra il rispetto delle linee guida, violando dunque i loro principi, e la chiusura. Nella lettera, citata dall’Osservatore Romano, il cardinale Dolan ribadisce ancora una volta “la determinazione a continuare a difendere il nostro diritto a vivere secondo la nostra fede e il nostro dovere di servire i poveri, guarire i malati, mantenendo i nostri apostolati in maniera forte e fedele, assicurando il nostro popolo”. I regolamenti sanitari, ricorda il presidente della Usccb, “richiedono a tutti i datori di lavoro di agevolare l’accesso alla sterilizzazione e alla contraccezione, così come ai farmaci e dispositivi che possono causare l’aborto, violando così principi religiosi profondamente radicati”. Nonostante “le gravi preoccupazioni espresse dai credenti di molte fedi, , aggiunge la nota, l’Amministrazione federale ha portato solo piccole modifiche e i regolamenti soffrono ancora degli stessi problemi”. La lettera cita in particolare la questione della definizione troppo restrittiva di “datore di lavoro religioso” che di fatto escluderebbe dall’osservanza dei regolamenti soltanto le strutture che si avvalgono esclusivamente di dipendenti affiliati al proprio credo o che offrono servizi rivolti principalmente a servire persone affiliate alla propria religione.(A cura di Lisa Zengarini)

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    Vietnam: a Saigon in migliaia rendono omaggio alla memoria del card. Van Thuan

    ◊   In attesa che il cammino di beatificazione giunga a conclusione, i cattolici vietnamiti continuano a rendere omaggio alla memoria del card. Francis Xavier Nguyễn Văn Thuận. Il 16 settembre scorso - riferisce l'agenzia AsiaNews - nella cattedrale di Saigon almeno 3mila fedeli hanno partecipato alla messa di suffragio per gli 11 anni dalla morte della figura più carismatica nella storia recente della Chiesa vietnamita. Prima della Messa, i partecipanti hanno potuto osservare una serie di immagini della vita del porporato - morto a Roma, dopo lunga malattia, il 16 settembre 2002 - proiettate sui muri della chiesa. Anche il card. Agostino Vallini, vicario generale della diocesi di Roma, ha reso omaggio "al card Văn Thuận, che ha praticato le virtù cattoliche in modo eroico". Durante la funzione commemorativa, padre Agostino Nguyễn Văn Dụ ha raccontato alcuni aneddoti inerenti la vita del cardinale, in particolare durante gli anni trascorsi a Roma e caratterizzati dal progredire della malattia. Il sacerdote ha inoltre ricordato la definizione data da Benedetto XVI del porporato vietnamita, definito "una persona foriera di speranza. Da vivo ha saputo infondere fiducia a tutti e proprio grazie a questa innata speranza, ha saputo superare le difficoltà... in particolare durante gli anni di isolamento" nelle carceri comuniste del Paese. Il card. François-Xavier Nguyen Van Thuân è nato il 17 aprile 1928, nella parte centrale del Vietnam, in una famiglia che aveva tra i suoi antenati i primi martiri vietnamiti del 1698. L'11 giugno 1953 venne ordinato sacerdote e a Roma si è laureato in Diritto canonico alla Pontificia università urbaniana. Ritornato in Vietnam fu professore e poi rettore del seminario di Huê. Il 24 aprile 1975, Paolo VI lo nominò coadiutore della arcidiocesi di Saigon. Pochi mesi dopo, il 15 agosto 1975, venne arrestato e imprigionato. Fu rilasciato il 21 novembre 1988 dopo aver trascorso oltre 13 anni in carcere. E il suo essere "fonte di speranza" emerge sin dal motto episcopale scelto - "Gaudium et Spes" - a conferma che il tempo trascorso nelle prigioni del regime non lo ha privato della gioia della fede e della speranza in Cristo. Un esempio valido ancora oggi, per tutti i cattolici vietnamiti che vivono in condizioni di difficoltà e persecuzioni da parte delle autorità. Quanti gli sono stati vicino testimoniano il suo profondo "ottimismo" che derivava dalla fiducia nella Provvidenza di Dio, che non lo ha mai abbandonato nemmeno nei Centri detentivi comunisti di Vinh Quang e Vinh Phu. I cattolici vietnamiti hanno colto appieno la lezione del porporato, che parla di "speranza" quale risultato di "fede e carità" in previsione della "vita eterna". Anche Giovanni Paolo II ha reso omaggio alla figura del cardinale vietnamita, che "negli abissi delle sofferenze", non ha mai smesso di "amare gli altri". E che ha saputo morire in pace, senza provare "risentimento" per alcuno a testimonianza che egli gode "della vita eterna, dove il sole non tramonta mai". Un esempio fra i tanti che rendono onore alla grandezza dell'uomo, prima ancora del sacerdote, è contenuto in questo aneddoto che risale ai tempi della prigionia. Dopo sei anni di isolamento, il card Van Thuân riceve una lettera da una delle guardie della prigione; il soldato gli confessa di aver mantenuto la "promessa" di recarsi "ogni mattina" presso l'altare della Madonna di La Vang - sede di un famoso santuario mariano - e recitare "una preghiera per il mio caro fratello Thuân". (R.P.)

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    India. Palazzo crollato a Mumbai, bilancio vittime sale a 33

    ◊   È salito a 33 vittime, tra cui 15 donne, il bilancio, purtroppo ancora provvisorio, del disastro avvenuto l’altro giorno nella parte orientale di Mumbai, in India, dove è crollato un palazzo di cinque piani in cui vivevano 22 famiglie. Secondo i soccorritori, ci sono almeno 32 feriti e 23 persone intrappolate sotto le macerie, mentre 33 sono quelle che sono già state tratte in salvo: l’ultimo, oggi, un uomo sulla quarantina. Secondo i calcoli effettuati dalle autorità, infine, al momento del crollo nell’edificio erano presenti 89 persone. (R.B.)

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    Striscia di Gaza: rientro in classe senza problemi per le scuole cristiane

    ◊   La riapertura dell'anno scolastico non ha riservato sorprese alle cinque scuole cristiane (tra cui tre cattoliche) operanti tra la popolazione della Striscia d Gaza. “I bambini, i ragazzi e i professori sono rientrati in classe senza cambiare le prassi in vigore negli anni precedenti. Tutto si è svolto in maniera ordinata “ conferma all'agenzia Fides suor Nazareth, religiosa del ramo femminile dell'Istituto del Verbo Incarnato a cui è affidata la cura pastorale della parrocchia cattolica della Sacra Famiglia. La scorsa primavera si era diffuso l'allarme per la sorte delle cinque scuole che rischiavano di essere pesantemente penalizzate da alcuni provvedimenti del governo islamista di Hamas. Una legge emanata a aprile dal locale Ministero per l'istruzione – e destinata a entrare in vigore a settembre – stabiliva che le classi di tutte le scuole di ogni ordine e grado avrebbero dovuto obbligatoriamente essere divise in base al sesso, mentre agli insegnanti – uomini e donne - non sarebbe stato più consentito di impartire lezioni a allievi dell'altro sesso con età superiore ai 9 anni. L'eventuale applicazione di tali disposizioni avrebbe messo le scuole cristiane davanti alla prospettiva della chiusura forzata: “non abbiamo lo spazio e non abbiamo denaro per separare le nostre scuole” aveva dichiarato a quel tempo padre Faysal Hijazin, responsabile delle scuole del Patriarcato latino di Gerusalemme. Al momento, tale pericolo appare almeno temporaneamente scongiurato. Fonti del Patriarcato Latino di Gerusalemme fanno sapere che nel mese di ottobre lo stesso padre Hijazin e l'amministratore generale del Patriarcato latino, padre Humam Khzouz, si receranno a a Gaza per incontrare il ministro dell'educazione. Le scuole cristiane di Gaza sono frequentate da una popolazione di 3500 allievi e sono le uniche – insieme a quelle gestite dall'Onu – ad avere classi miste. (R.P.)

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    Terra Santa: 400 pellegrini tedeschi dell'Ordine del Santo Sepolcro in visita a Gerusalemme

    ◊   Ha finanziato la costruzione di 44 scuole patriarcali in Terra Santa e in Giordania, sostiene 68 parrocchie e appoggia diversi progetti : è l’impegno della Luogotenenza tedesca dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro che da anni è vicino al patriarcato latino di Gerusalemme con varie iniziative solidali. A ricordare l’impegno di dame e cavalieri, si legge sul portale www.lpj.org è stato ieri il patriarca Fouad Twal che ha accolto un gruppo di 400 pellegrini della Germania e che oggi investirà 25 nuovi membri della luogotenenza. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro ha come obiettivo un maggiore coinvolgimento dei suoi membri nella pastorale e nella vita delle loro Chiese locali e la sensibilizzazione verso il Patriarcato latino e le sue necessità. Recarsi in Terra Santa per cavalieri e dame è un obbligo morale, e quando vi giungono in pellegrinaggio ricevono dal patriarca latino di Gerusalemme la conchiglia del pellegrino. Oggi a riceverla saranno 92 membri dell’ordine. La Luogotenenza di Germania, che esiste da 80 anni e che è nota per la sua generosità, conta 1.400 membri (il 17% costituito da donne, il 12% da sacerdoti). Il patriarca Twal ha particolarmente lodato l’impegno della Luogotenenza tedesca per il Patriarcato, soprattutto a sostegno del Seminario di Beit Jala, delle necessità socio-sanitarie – particolarmente a Gaza – e a favore dell’istruzione. Un sostegno realizzato anche attraverso campi estivi, attività scoutistiche, catechismo. La Luogotenenza tedesca dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro ha contribuito anche ai lavori di restauro e alla costruzione della chiesa di Madaba (Giordania), della nuova ala della scuola di Rameh, dell’Università di Betlemme, della chiesa e della casa per i giovani a Rafidia, della scuola e dell’area per i giochi a Bir Zeit. Senza dimenticare gli accordi di gemellaggio delle parrocchie in Germania con le parrocchie di Beit Jala, Beit Sahour, Ramallah, Aboud, Bir Zeit e Zababdeh. (T.C.)

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    Germania. Conclusa la Plenaria dei vescovi su temi etici e ruolo della donna nella Chiesa

    ◊   Si è appena conclusa l’Assemblea plenaria dei vescovi tedeschi, riuniti a Fulda, e nella conferenza stampa conclusiva, il presidente uscente della Conferenza episcopale di Germania e amministratore apostolico di Friburgo, mons. Robert Zollitsch, che di recente ha presentato le sue dimissioni al Papa per limiti d’età, ha fatto il punto sui temi affrontati. Secondo quanto riferisce l'agenzia Sir, il presule ha esortato i vescovi a una partecipazione più attiva al processo decisionale e a migliorare i rapporti con la Santa Sede, mentre dal punto di vista dei temi etici e morali sono state analizzate questioni come i divorziati e il celibato dei sacerdoti, per i quali si è rimandato ai prossimi dibattiti episcopali. Di particolare rilevanza l’intervento del vescovo di Osnabrück, mons. Franz-Josef Hermann Bode, che ha presentato il documento dal titolo “Maschio e femmina li creò”, in cui parlando del futuro della diaconia e della posizione di rilievo delle donne all’interno della gerarchia ecclesiastica, ha auspicato una “maggiore partecipazione” di queste ai ruoli di leadership che non siano legati alla consacrazione. (R.B.)

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    Francia: i vescovi festeggiano i 40 anni di dialogo islamo-cristiano

    ◊   Un incontro tra cattolici e musulmani di Francia per fare il punto sul dialogo interreligioso nel Paese: questa l’iniziativa organizzata per festeggiare i 40 anni dello Sri, il Servizio della Conferenza episcopale locale per le relazioni con l’Islam. All’appuntamento, in programma oggi, parteciperà anche il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, cardinale Jean-Louis Tauran, che terrà un intervento dal titolo “Impegni e prospettive del dialogo islamo-cristiano oggi”. A riferirlo è l’agenzia Sir, che rivela anche la presenza di un altro illustre ospite: Tareq Oubrou, rettore della Grande Moschea di Bordeaux. “La sfida spirituale per il dialogo – commenta il direttore dello Sri, padre Christophe Roucou – è oggi quella d’iscrivere la speranza nella storia delle società e dei popoli: qui, ma anche in ciascuna sponda del Mediterraneo”. Sulla storia e l’evoluzione del servizio creato dai vescovi francesi, che in 40 anni si è adoperato molto per il dialogo tra le due comunità, arrivando oggi a offrire un Centro di documentazione sul tema con oltre 1600 opere, si è soffermato il vescovo di Evry-Corbeil-Essonnes, mons. Michel Dubost: “La Chiesa deve andare in frontiera e costruire ponti senza diluire né edulcorare la sua testimonianza: lo Sri mostra questo cammino”. (R.B.)

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    Bangladesh: in campo i paramilitari per gli operai tessili in sciopero

    ◊   Il governo di Dhaka ha deciso di dispiegare i paramilitari delle Guardie di frontiera per controllare le aree industriali della capitale dove continuano le proteste dei lavoratori del settore dell’abbigliamento e degli accessori che chiedono un consistente aumento del salario minimo. La decisione - riporta l'agenzia Misna - è stata presa a una settimana dall’avvio delle manifestazioni postate fino nel cuore della capitale con scontri, danneggiamenti e una settantina di feriti tra dimostranti e poliziotti. La militarizzazione del sobborgo di Gazipur, dove sono collocate centinaia di manifatture che in parte producono anche per le grandi atene di distribuzione e vendita internazionali, potrebbe estendersi alle altre due grandi aree industriali di Narayanganj e Savar, che con Gazipur sono il cuore di un’industria fondamentale perché fornisce al paese l’80% del valore delle sue esportazioni (complessivamente 20 miliardi di dollari) e perché impiega fino a quattro milioni di addetti, in maggioranza donne, in 5000 imprese. Durante questa settimana, le tensioni e il timore di ritorsioni hanno bloccato la maggior parte delle manifatture, ma la situazione rischia di protrarsi e di aggravarsi. La protesta, avviata sabato scorso, con una grande manifestazione organizzata da una federazione di sindacati del settore che ha portato in piazza 50.000 lavoratori, ha al centro la richiesta di una aumento del salario mensile dagli attuali 3.000 a 8.000 taka (circa 70 euro) al mese, ma gli imprenditori, che hanno concesso l’ultimo aumento nel luglio 2010, hanno risposto con un’offerta non negoziabile di 3.600 taka. Rivendicazioni e proteste sono andate crescendo di numero e intensità dopo il crollo, il 24 aprile scorso, nel distretto industriale di Savar, di un edificio occupato soprattutto da manifatture dell’abbigliamento e degli accessori, che ha seppellito 1.132 persone, in maggioranza lavoratori costretti a entrare nell’edificio nonostante l’evidente pericolosità della struttura. (R.P.)

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    Ennesimo naufragio tra Australia e Indonesia: 25 superstiti

    ◊   Ennesima tragedia del mare, nei giorni scorsi, in Australia: un barcone salpato dall’isola indonesiana di Java e diretto verso le coste australiane, è affondato con 120 persone a bordo – tra cui molti bambini – delle quali solo 25 adulti sono finora stati tratti in salvo. La vicenda, riferisce l’agenzia Misna, rischia di inasprire ulteriormente il dibattito intorno ai nuovi provvedimenti che Canberra avrebbe deciso di attuare contro i boat-people, prevedendo il respingimento dei profughi in tutti casi ove sia possibile, e l’invio di questi nei campi di raccolta nell’isola di Manus, a Papua-Nuova Guinea, e nell’isola-Stato di Nauru: solo coloro che si vedranno riconosciuto il titolo di rifugiato potranno, quindi, d’ora in poi, essere accolti su territorio australiano. A tal proposito, il neopremier Tony Abbott ha previsto per la prossima settimana un viaggio in Indonesia – il primo all’estero dall’inizio del suo mandato, il 18 settembre scorso - per discutere la propria intenzione di fermare ogni imbarcazione all’uscita dalle acque territoriali indonesiane per rispedirla verso la costa: decisione malvista dall’Indonesia, che secondo le autorità locali “metterebbe a serio rischio la stretta collaborazione e la fiducia tra i due Paesi”. (R.B.)

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    Immigrazione: 400 migranti sbarcati nelle ultime ore in Sicilia

    ◊   Sono ben 400 i migranti sbarcati nelle ultime ore in Sicilia: dopo che una motovedetta della Guardia Costiera aveva recuperato, ieri, 67 migranti di cui 18 minorenni provenienti da Gambia, Mali, Senegal, Somalia e Guinea, a Portopalo di Capo Passero, nel Siracusano; nello stesso porto questa mattina all’alba sono state scortate altre 117 persone sempre di origine sub-sahariana. La Marina Militare, invece, sta effettuando un’operazione nel Canale di Sicilia dove, nella notte, è stato avvistato un barcone al largo di Lampedusa con almeno 250 persone a bordo, tra cui molte donne e bambini, che saranno trasportati entro questa sera a Porto Empedocle. Dal tardo pomeriggio di ieri fino a stamattina, infine, sono proseguite le operazioni di salvataggio di circa 500 migranti su un peschereccio alla deriva davanti alla costa di Crotone: a bordo gli uomini della Guardia di Finanza hanno trovato 32 tra indiani, bengalesi, pakistani e afghani. Infine, stanotte, 118 nordafricani sono stati sorpresi dai carabinieri quando avevano appena attraccato al molo Madonnina di Lampedusa e sono stati portati al Centro d’accoglienza di Imbriacola, dove al momento si trovano un migliaio di persone a fronte di 350 posti disponibili. (R.B.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 271

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.