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Sommario del 25/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: la Chiesa è una dovunque nel mondo, no ai tentativi di “privatizzarla”
  • Pregare incessantemente per la pace in Siria, Libano e Medio Oriente: così il Papa a Santa Marta
  • Udienze e nomine episcopali di Papa Francesco
  • Congresso internazionale di archeologia cristiana a Roma: 300 studiosi interpellati sulla ‘svolta’ di Costantino
  • Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti: gli interventi di Ravasi e Scalfari
  • Malattie rare. Mons. Zimowski: accesso alle cure, non prevalga il profitto
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Gli ispettori Onu tornano in Siria. Iran e Usa più vicini
  • Terremoto in Baluchistan: oltre 300 morti. Caritas Pakistan già operativa sul terreno
  • Due milioni i bambini a rischio fame in Siria. "Save the Children" chiede l'intervento dell'Onu
  • L'Italia ratifica il Trattato sugli armamenti. Soddisfazione della società civile
  • Crisi umanitaria in Darfur: condizioni dei profughi al limite della sopravvivenza
  • Cerimonia a Lourdes per la 69.ma guarigione miracolosa: con noi Danila Castelli
  • Al Teatro Morlacchi di Perugia, ultimo atto della 68.ma edizione della Sagra musicale umbra
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Kenya: concluso l'assedio al Centro commerciale. Il card. Njue in visita ai feriti
  • Pakistan. Mons. Coutts: “Il governo affronti seriamente la questione della violenza settaria”
  • Siria. L'arcivescovo greco-cattolico di Aleppo: ecco le cifre del disastro siriano
  • Centrafrica. Caos e crisi umanitaria: appelli all'Onu
  • Centrafrica. Il vescovo di Bangassou: “Il Centrafrica è alla deriva. L’Onu intervenga”
  • Laos: cristiani espulsi da un distretto a causa della loro fede
  • Perù: duemila vittime salvate dalla tratta di esseri umani, il 42% minori
  • Terra Santa: a 72 giovani famiglie nuovi appartamenti voluti dal Patriarcato latino di Gerusalemme
  • Cammino neocatecumenale: 357 nuovi seminaristi nei 100 seminari diocesani missionari
  • Festival francescano: dal 27 al 29 settembre a Rimini sul tema "Il Cammino"
  • La morte a Vienna del gesuita Johannes Schasching
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: la Chiesa è una dovunque nel mondo, no ai tentativi di “privatizzarla”

    ◊   Dovunque andiamo nel mondo c’è una Chiesa sola per tutti. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, gremita di fedeli come di consueto ogni mercoledì mattina. Il Papa ha messo in guardia dal rischio di “privatizzare” la Chiesa per il proprio gruppo. “La Chiesa – ha detto salutando i pellegrini di lingua araba – non significa uniformità, ma la comunione nell’amore e nella testimonianza a Cristo”. Quindi, ha ribadito che le chiacchiere fanno tanto male alla Chiesa e la feriscono. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Bandiere di ogni nazione, persone dai tratti somatici più diversi, lingue di Paesi lontani che riecheggiano nella grande Piazza San Pietro. E’ l’immagine consueta del mercoledì all’udienza generale, ma questa volta assume un significato particolare perché Papa Francesco, rivolgendosi alle migliaia di pellegrini giunti a Roma per ascoltarlo, parla proprio di questo: una Chiesa sparsa in tutto il mondo, con 3 mila diocesi, che però è una, sempre la stessa per tutti. Come può avvenire questo, si chiede il Papa? E subito sottolinea che questa unità si trova “nella fede, nella speranza, nella carità”, nei Sacramenti che “come pilastri” sorreggono “l’unico grande edificio della Chiesa”:

    “Dovunque andiamo, anche nella più piccola parrocchia, nell’angolo più sperduto di questa terra, c’è l’unica Chiesa; noi siamo a casa, siamo in famiglia, siamo tra fratelli e sorelle. E questo è un grande dono di Dio! La Chiesa è una sola per tutti. Non c’è una Chiesa per gli Europei, una per gli Africani, una per gli Americani, una per gli Asiatici, una per chi vive in Oceania, no è la stessa ovunque”.

    E', ha detto, come in una famiglia: “si può essere lontani, sparsi per il mondo, ma i legami profondi che uniscono tutti i membri della famiglia rimangono saldi qualunque sia la distanza”. E cita l’esempio della Gmg di Rio, i giovani di tutto il mondo sulla spiaggia di Copacabana, dove “c’era una profonda unità, si formava un’unica Chiesa, si era uniti e lo si sentiva”:

    “Chiediamoci tutti: io come cattolico sento questa unità? Io come cattolico vivo questa unità della Chiesa? Oppure non mi interessa, perché sono chiuso nel mio piccolo gruppo o in me stesso? Sono di quelli che 'privatizzano' la Chiesa per il proprio gruppo, la propria Nazione, i propri amici? E’ triste trovare una Chiesa privatizzata per questo egoismo e questa mancanza di fede, eh? E’ triste!”.

    “Quando sento che tanti cristiani nel mondo soffrono – ha chiesto ancora – sono indifferente o è come se soffrisse uno di famiglia?”. E ancora: sono toccato nel cuore quando sento che “tanti cristiani sono perseguitati e anche danno la vita per la loro fede?".

    “Vi faccio una domanda, ma non rispondete a voce alta, soltanto nel cuore. Quanti di voi pregate per i cristiani che sono perseguitati? Quanti? Ognuno si risponda nel cuore. ‘Io prego per quel fratello, per quella sorella, che è in difficoltà, per confessare e difendere la sua fede?’ E’ importante guardare fuori dal proprio recinto, sentirsi Chiesa, unica famiglia di Dio!”.

    Ha cosi rivolto il pensiero alle ferite che noi stessi arrechiamo a questa unità. “A volte – ha riconosciuto – sorgono incomprensioni, conflitti, tensioni, divisioni che la feriscono e allora la Chiesa non ha il volto che vorremmo”. E, ha proseguito, “se guardiamo alle divisioni che ancora ci sono tra i cristiani” sentiamo “la fatica di rendere pienamente visibile questa unità”:

    “Dio ci dona l’unità, ma noi spesso facciamo fatica a viverla. Occorre cercare, costruire la comunione, educarci alla comunione, a superare incomprensioni e divisioni, incominciando dalla famiglia, dalle realtà ecclesiali, nel dialogo ecumenico pure. Il nostro mondo ha bisogno di unità. E’ un’epoca in cui noi tutti abbiamo bisogno di unità, abbiamo bisogno di riconciliazione, di comunione e la Chiesa è Casa di comunione”.

    Il Papa ha, così, indicato quali sono le strade della Chiesa per “conservare l’unità”: “umiltà, dolcezza e magnanimità”:

    “La ricchezza di ciò che ci unisce! Eh, quella è una vera ricchezza: ciò che ci unisce, non ciò che ci divide. Quella è la ricchezza della Chiesa. Ognuno si chieda oggi: io faccio crescere l’unità in famiglia, in parrocchia, in comunità, o sono un chiacchierone, una chiacchierona, sono motivo di divisione, di disagio?”.

    Alla Chiesa, ha aggiunto, fanno male le chiacchiere. Fanno male “alla Chiesa, alle parrocchie, alle comunità”:

    “Le chiacchiere feriscono. Un cristiano, prima di chiacchierare deve mordersi la lingua! Sì o no? Eh, mordersi la lingua! Quello ci farà bene, perché la lingua si gonfia e non può parlare e non può chiacchierare. Ho l’umiltà di ricucire con pazienza, con sacrificio, le ferite alla comunione?”.

    Il Papa ha quindi concluso la sua catechesi sottolineando che è lo Spirito Santo il motore dell’unità della Chiesa”. Lo Spirito Santo, ha aggiunto, “è armonia, sempre fa l’armonia nella Chiesa: è un’unità armonica in tanta diversità di culture, di lingue e di pensiero”:

    “E’ lo Spirito Santo il motore. Per questo è importante la preghiera, che è l’anima del nostro impegno di uomini e donne di comunione, di unità. La preghiera allo Spirito Santo, perché venga e faccia l’unità nella Chiesa”.

    Tanti, come sempre, i gruppi da tutto il mondo presenti in Piazza San Pietro. Tra questi anche una delegazione di dieci imam francesi che hanno salutato brevemente il Papa alla fine dell'udienza generale.

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    Pregare incessantemente per la pace in Siria, Libano e Medio Oriente: così il Papa a Santa Marta

    ◊   La vergogna dinanzi a Dio, la preghiera per implorare la misericordia divina e la piena fiducia nel Signore. Sono questi i cardini della riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, durante la Messa nella cappella di Santa Marta concelebrata con i cardinali Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, insieme a un gruppo di vescovi maroniti venuti dal Libano, dalla Siria, dalla Terra Santa e da diversi altri Paesi di ogni continente.

    Nel commentare le letture della liturgia (Esdra 9,5-9; Luca 9, 1-6), il Santo Padre ha detto che, in particolare, il brano tratto dal libro di Esdra gli ha fatto pensare ai vescovi maroniti e, come di consueto, ha riassunto il suo pensiero intorno a tre concetti. Innanzitutto, l’atteggiamento di vergogna e confusione di Esdra davanti a Dio, fino al punto da non poter alzare gli occhi verso di lui. Vergogna e confusione di tutti noi per i peccati commessi, che ci hanno portato alla schiavitù poiché abbiamo servito idoli che non sono Dio.

    La preghiera è il secondo concetto. Seguendo l’esempio di Esdra, che in ginocchio alza le mani verso Dio implorando misericordia, così dobbiamo fare noi per i nostri innumerevoli peccati. Una preghiera che, ha detto il Papa, bisogna elevare anche per la pace in Libano, in Siria e in tutto il Medio Oriente. È la preghiera sempre e comunque, ha precisato, la strada che dobbiamo percorrere per affrontare i momenti difficili, come le prove più drammatiche e il buio che talora ci avvolge in situazioni imprevedibili. Per trovare la via di uscita da tutto ciò, ha sottolineato il Pontefice, bisogna incessantemente pregare.

    Infine, fiducia assoluta in Dio che mai ci abbandona. È il terzo concetto proposto dal Santo Padre. Siamo certi, ha detto, che il Signore è con noi e, pertanto, il nostro camminare deve farsi perseverante grazie alla speranza che infonde fortezza. La parola dei pastori diventerà rassicurante per i fedeli: il Signore non ci abbandonerà mai.

    Dopo la comunione, il cardinale Bechara Raï ha rivolto al Santo Padre un ringraziamento e un saluto molto cordiali a nome dei vescovi partecipanti, di tutti i maroniti e dell’intero Libano, confermando la loro fedeltà a Pietro e al suo successore «che ci sostiene nel nostro cammino spesso spinoso». In particolare ha ringraziato il Papa per il forte impulso che ha dato alla ricerca della pace: «La sua preghiera e esortazione per la pace in Siria e nel Medio Oriente ha seminato speranza e conforto».

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    Udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza, al termine dell’Udienza Generale, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI una delegazione della Sophia University di Tokyo. Oggi pomeriggio, il Papa ha ricevuto il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano.

    In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Lorena, presentata da S.E. Mons. Benedito Beni dos Santos, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Lorena il rev.do Padre João Inácio Müller, O.F.M., finora Ministro Provinciale dei Frati Minori della Provincia "São Francisco de Assis" con sede a Porto Alegre.
    Sempre in Brasile, il Papa ha trasferito all’incarico di Vescovo Ausiliare di São Salvador da Bahia, assegnandogli la sede titolare di Albule, S.E. Mons. Marco Eugênio Galrão Leite de Almeida, finora vescovo di Estância.

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    Congresso internazionale di archeologia cristiana a Roma: 300 studiosi interpellati sulla ‘svolta’ di Costantino

    ◊   Tra i fedeli oggi in Piazza San Pietro ai quali Francesco ha rivolto un saluto particolare all’udienza generale, i partecipanti al XVI Congresso internazionale su Costantino, organizzato a Roma dal Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, i cui lavori, aperti domenica scorsa, proseguiranno fino al 28 settembre presso l’Istituto Patristico Augustinianum. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “A 17 secoli dallo storico atto di Costantino, la Parola di Dio ci ricorda che il Signore della storia ha un disegno che non muta: formare un popolo che costruisca la civiltà dell’amore, una famiglia di tutte le nazioni che ha come fine il suo regno, come condizione la libertà dei suoi figli, come statuto il precetto dell’amore”. Così il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone nella Messa celebrata ieri pomeriggio nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, nell’ambito del Congresso che celebra i 1700 anni dell’Editto di Milano del 313, che garantì la libertà religiosa per i cristiani e per i fedeli di altre religioni. Più di 300 gli studiosi di oltre 30 Paesi coinvolti in questo evento inserito nell’Anno della fede e nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II. Un incontro che affronta - sottolinea il Papa in un messaggio ai congressisti - “una grande tematica di rilevanza storica e culturale in particolare per il fondamentale valore della libertà religiosa”, qui studiata nei suoi riflessi archeologici e artistici come spiega il prof. Olof Brandt, segretario del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, al microfono di Emanuela Campanile:

    R. - In questo congresso studiamo non tanto quello che raccontano i testi e gli antichi storici, ma quello che raccontano i monumenti, le strutture materiali. È l’epoca in cui si cominciano a costruire per la prima volta delle vere chiese monumentali, cioè basiliche - così come le conosciamo oggi - e si sviluppano i cimiteri, l’arte, le iscrizioni … C’è tutto un riflesso di questa grande svolta, quando il cristianesimo per la prima volta ha potuto respirare a pieni polmoni e contribuire a creare quella tradizione di civiltà cristiana, che poi è diventata una delle radici importanti della civiltà europea e poi universale.

    D. - Quindi con Costantino - siamo nel 313 dopo Cristo - possiamo seguire l’evoluzione dell’architettura cristiana, che poi determina anche la cultura in cui siamo immersi …

    R. - In qualche modo sì, perché quando noi entriamo in una chiesa, magari di recente costruzione, ci chiediamo: sembra una chiesa o no? Quando si fa un’osservazione di questo genere, molto dipende se assomiglia a quello che hanno fatto gli architetti imperiali di Costantino nel quarto secolo, perché lì hanno creato in qualche modo il modello di quello che poi nella tradizione viene visto come l’edificio di una chiesa. Alla fine questo intervento dell’imperatore ha veramente contribuito notoriamente non a cambiare la fede, però, in qualche modo, a determinare molte delle sue espressioni pratiche, culturali e artistiche.

    D. - Che tipo di aspettative attendete da questo incontro?

    R. - L’aspettativa è quella di fare il punto della situazione su una materia che è in continuo sviluppo, perché con i nuovi metodi e le nuove datazioni la nostra immagine del passato cambia. Quindi, vedere radunati tutti insieme oltre 300 studiosi da tutto il mondo che cercano di condividere la stessa visione dell’ultimissima versione della storia che ci presenta il materiale archeologico, è un’occasione abbastanza unica. Possiamo dire che il passato diventa sempre più di attualità.

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    Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti: gli interventi di Ravasi e Scalfari

    ◊   Si è svolto oggi a Roma il Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti. Al centro dell’incontro il dialogo tra il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi, e il fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari. Il Cortile dei Gentili – lo ricordiamo – è la struttura creata da Benedetto XVI per promuovere il dialogo tra credenti e non credenti. C’era per noi Fabio Colagrande:

    “Non siamo qui per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni diverse debbano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata”. Così, Eugenio Scalfari, chiude la sua conversazione con il cardinale Ravasi, con il quale confessa di avere da tempo un territorio spirituale e mentale comune. Il fondatore di Repubblica l’aveva aperta ribadendo di essere ‘innamorato’ di Gesù, proprio da quando, in gioventù, scelse di abbandonare la fede. Ricorda di aver praticato, forzatamente, gli Esercizi Spirituali nella Casa del Sacro Cuore a Roma, dove trovò rifugio come renitente alla leva fascista. “Debbo molto a quei gesuiti che mi insegnarono a ragionare” – confessa - “ma sono innamorato dei francescani”. L’intellettuale non credente spiega così il suo interesse per il dialogo con i cattolici e individua nella morte di Cristo in croce il culmine dell’incarnazione e del messaggio cristiano. E’ proprio in quella scelta di anteporre l’amore per gli altri all’egoismo Scalfari trova un messaggio importante per una società dove “il tasso di narcisismo è diventato patologico”. Ravasi loda Scalfari per l’intuizione e ribatte descrivendo il grido di Cristo sulla croce – “Dio mio perché mi hai abbandonato?” – come “l’ateismo salvifico di Cristo” – a cui – specifica però, la teologia giustappone la Resurrezione in quanto Cristo resta il Figlio anche se non sente il Padre e così “depone nella mortalità il seme dell’infinito”.

    Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura riprende anche il tema del ruolo della Chiesa nella rivoluzione della comunicazione dell’era digitale. Ricorda che Gesù nei Vangeli ci offre un metodo quando utilizza il linguaggio breve dei ‘tweet’ in modo sistematico, la sceneggiatura televisiva attraverso le ‘parabole’ e basa sulla corporeità il suo annuncio. “Se un pastore oggi non si interessa di comunicazione – aggiunge – è al di fuori del suo ministero”. Ma nell’ambiente della nuova comunicazione digitale – spiega Ravasi - il linguaggio della Chiesa deve avere una “nuova grammatica”, più diretta, abbandonando le “subordinate”. E a fare da apripista – di questa rinnovata, efficace presenza della Chiesa nell’agorà - sembrano proprio le lettere di Papa Francesco e del Papa emerito al quotidiano La Repubblica e l’intervista di Francesco alla Civiltà Cattolica. Gli fa eco in chiusura Scalfari che, d’accordo sulla nascita di un nuovo linguaggio, affida proprio alla religione il compito di trasmettere alla nuova civiltà, in corso di formazione, il retaggio dei valori incancellabili del passato.

    Nei due dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali, dai laici De Bortoli, Corriere della Sera, e Calabresi, La Stampa, ai colleghi cattolici Tarquinio, Avvenire, e Vian, Osservatore Romano, si confrontano su tematiche di etica della comunicazione come verità, obbiettività e responsabilità. Ma si parla anche del rinnovato interesse dei mass-media per la Chiesa, grazie al Pontificato di Papa Francesco. Misericordia e umiltà – viene sottolineato - sono le cifre di un linguaggio che conquista credenti e non credenti. Respingere il sensazionalismo, ridare centralità alla persona, favorire il dialogo e non lo scontro, onestà nei confronti dei lettori e della redazione, sembrano invece le regole d’oro per i direttori della carta stampata. “Il nostro compito come ‘cercatori di verità’ - ricorda Mauro, direttore de La Repubblica – è stare nel cortile, nelle piazze, tenendoci distanti dal potere”. Senza tralasciare un tema caro a Benedetto XVI, ricordato dal direttore del Sole 24ore, Napoletano, la “ragione allarga il suo orizzonte con la fede”.

    Ma ascoltiamo quanto lo stesso Eugenio Scalfari, dopo il recente scambio epistolare con il Papa, ha detto di questi primi mesi di Pontificato e della possibilità effettiva di un dialogo tra credenti e non credenti. L’intervista è di Fabio Colagrande:

    R. – Il Papa parla continuamente e con tutti, nelle piazze e addirittura con singole persone. Questo l’ho saputo, lo so. Lo seguo e sono molto interessato a sapere non solo quello che dice, ma come vive la persona del Papa. La persona è una presenza rivoluzionaria. Infatti, non a caso, è un gesuita che prende il nome di Francesco, che finora nessun Papa aveva preso. Io temo che non ci sarà un Francesco II.

    D. – Lei crede che il dialogo che questa mattina ha avuto con il cardinal Ravasi sia in qualche modo esemplare di un possibile incontro fecondo fra chi crede e chi non crede?

    R. – Con un uomo come lui è molto piacevole dibattere, perché lui è uno di quelli che, come diceva il cardinal Martini, perde la fede ogni giorno, perché deve riconquistarla il giorno dopo. Voglio dire: la fede va vissuta quotidianamente ed è sempre a rischio; merita una ricerca continua, un ascolto continuo delle voci che ci circondano.

    D. – Infine, come non credente, quale ruolo sociale riconosce alla religione in questo momento?

    R. – Non in questo momento. La religione è uno dei sentimenti basilari; è uno dei modi con cui le persone che credono danno un senso alla vita.

    D. – E in questo senso ne viene un ruolo sociale?

    R. – Può incoraggiare le opere meritevoli del premio del Paradiso.

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    Malattie rare. Mons. Zimowski: accesso alle cure, non prevalga il profitto

    ◊   Si è svolto oggi a Roma il Convegno “Siamo Rari….ma tanti. Malattie rare: fondamenti scientifici ed aspetti legislativi”, organizzato dall’Associazione Culturale “Giuseppe Dossetti: i Valori - sviluppo e Tutela dei Diritti”. Tra gli obiettivi dell’evento, quello di presentare alla Camera una proposta a favore delle persone affette da malattie rare e denunciare le carenze legislative e le disuguaglianze nell’accesso alle strutture sanitarie dedicate a queste patologie. Al Convegno è intervenuto anche mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari. Il servizio di Davide Pagnanelli:

    “Nessuno si senta escluso dalla cura dovuta alla sua persona e alla sua salute” ha esordito mons. Zimowski nel suo intervento al Convegno presso la Camera, in cui è stata richiamata l’attenzione sull’uguaglianza nell’accesso ai servizi sanitari, che non deve essere condizionata dalle disponibilità dei singoli o dei Paesi. “Alle industrie farmaceutiche chiedo di non far valere il profitto economico sulla considerazione dei valori umani”, ha continuato mons. Zimowski citando il beato Giovanni Paolo II che esortava, già nel 1999, “i Paesi più avanzati perché mettano a disposizione dei Paesi meno sviluppati esperienza, tecnologia e una parte delle loro ricchezze”. Nonostante le conquiste della medicina moderna, che ha reso disponibili cure per diverse malattie rare, il problema di queste patologie è la loro marginalità economica che blocca la ricerca e l’accesso alle cure, rendendo proibitivi i costi delle terapie. Per rispondere a questo problema, conclude mons. Zimowski, “la Santa Sede è da molti anni in prima linea nel richiedere che le logiche del profitto non mettano mai in pericolo la vita”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Come una casa per tutti: all'udienza generale Papa Francesco parla della Chiesa unica famiglia di Dio.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, le promesse di dialogo tra Washington e Teheran.

    Tra breviario e posti di blocco: Nello Scavo su come Jorge Mario Bergoglio si adoperò per salvare un centinaio di persone durante la dittatura in Argentina.

    Quel tratto di strada da fare insieme: giornalisti al Cortile dei Gentili.

    Tutti l'ommini so fijji d'Adamo: Marcello Teodonio sul cristianesimo di Giuseppe Gioacchino Belli (morto 150 ani fa).

    La parabola di Britten: da Perugia Marcello Filotei su "Curlew River" alla sessantottesima Sagra Musicale Umbra incentrata sul tema della "Trasfigurazione".

    Un articolo di Antonio Paolucci dal titolo "Se non l'antico splendore, almeno l'intelligenza": il recupero degli affreschi della Cappella di Teodolinda nel duomo di Monza.

    Maqroll e la strategia dell'esilio: Claudio Toscani ricorda Alvaro Mutis.

    Custodisci la vita perché ne vale la pena: la Chiesa in Irlanda si confronta su matrimonio, bambini non nati e persone con difficoltà esistenziali.

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    Oggi in Primo Piano



    Gli ispettori Onu tornano in Siria. Iran e Usa più vicini

    ◊   Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite incaricato di indagare sull'uso di armi chimiche in Siria è entrato, stamane, di nuovo nel Paese per completare il suo lavoro, dopo aver presentato il rapporto all'Onu sull’uso di gas sarin il 21 agosto, alla periferia di Damasco. Intanto, si registra la cauta apertura, in sede Onu, degli Stati Uniti nei confronti della Siria e sul ruolo di mediazione dell’Iran. Chiesta comunque una risoluzione forte contro Damasco. Scetticismo è stato espresso dal presidente israeliano Netanyhau in relazione alla collaborazione rimarcata dall’omologo iraniano Rohani, che ha anche riconosciuto l’Olocausto come “un grande crimine compiuto dai nazisti sugli ebrei”. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Nima Baheli, giornalista ed esperto dell’area:

    R. - Per la Repubblica islamica, la Siria è stata un’alleata di ferro in questi ultimi 30 anni. Bisogna ricordare come all’epoca della sanguinosa guerra Iran-Iraq, l’unico Paese arabo che fu dall’inizio alla fine alleato dell’Iran fu proprio la Siria. Questa alleanza fra Repubblica islamica iraniana e il regime baathista siriano è di lunga data e ci sono varie convergenze tra le due nazioni. Da un punto di vista di politica estera nella Repubblica islamica, le questioni siriane sono considerate quasi come se fossero questioni di politica interna. È noto ad esempio il fatto che Teheran spenda ogni mese circa mezzo miliardo di dollari in aiuti al governo di Damasco; aiuti sia di tipo finanziario, energetico, sia militare: perché molti addestratori iraniani addestrano le forze armate siriane. Quindi questo legame è molto forte.

    D. - Gli osservatori dell’Onu sono di nuovo in Siria per continuare il proprio lavoro per quanto riguarda l’utilizzo di armi chimiche …

    R. - Quella delle armi chimiche è una questione che fondamentalmente sta a cuore - secondo me - a molte nazioni dell’area, perché, per certi versi, finché queste armi sono in mano al governo c’è un certo livello di sicurezza; non vengono utilizzate contro nazioni esterne. Al contrario le preoccupazioni aumentano se queste armi dovessero essere nelle mani degli oppositori. Perché la grande galassia dei ribelli o dei resistenti - a seconda di come vengono chiamati - nell’ultimo anno si sta sempre più estremizzando, quindi il controllo e la messa in sicurezza delle armi chimiche diviene questione prioritaria.

    D. - Oggi, che volto ha l’opposizione in Siria?

    R. - Si sta sempre più estremizzando lasciando le fazioni laiche sempre più in minoranza. C’è stato un interessante studio della "Ihs Janes" - un centro di studi finalizzato alla difesa, pubblicato alla metà di settembre - che vede questa galassia dei combattenti siriani ammontare a circa centomila combattenti, suddivisi in mille bande. Ha delineato come di questi centomila, circa diecimila siano jihadisti collegati ad Al Qaeda - tra questi ci sono molti combattenti stranieri -, altri 30 -35 mila siano collegati, in qualche maniera, con i jihadisti, ma tendenzialmente focalizzati alla guerra civile siriana, altri 30 mila siano "islamisti più secolari" - ma sempre comunque islamisti -; quindi rimarrebbero - e questo sarebbe il cruccio che ha delineato questo studio - soltanto 30 mila unità - un terzo di tutta l’opposizione - che potrebbero essere vicine alle posizioni occidentali. L’altro lato, maggiormente evidenziato da questo studio, è che sempre le più due fazioni Jubat al Nusra e il partito dello Stato islamico dell’Iraq del Levante, stiano assumendo sempre più potere, scontrandosi però internamente con le altre forze dell’opposizione siriana.

    D. - Lo spettro comunque di un intervento militare sembra scongiurato. Assad potrebbe anche lasciare il Paese? Se sì, quando e come?

    R. - Come ha dichiarato l’Iran e come ha dichiarato lo stesso Assad, fino al 2014, ovvero fino alle elezioni del 2014, lui rimarrà. E per le elezioni del 2014 bisognerà vedere quali saranno gli equilibri in campo e quali saranno le decisioni che a livello alto - ovvero tra stati Uniti, Russia e Iran - verranno prese.

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    Terremoto in Baluchistan: oltre 300 morti. Caritas Pakistan già operativa sul terreno

    ◊   È salito ad almeno 328 morti il bilancio del devastante terremoto che ha colpito ieri il Baluchistan, nel Pakistan sud occidentale. Diverse centinaia i feriti. L’epicentro del sisma è il distretto di Awaran, un’area di 300.000 abitanti dispersi su un territorio di oltre 21.000 chilometri quadrati. Si tratta di una zona al confine con l'Iran, dove la forza distruttrice del sisma ha abbattuto molte case costruite col fango. Per l’impatto, dalle acque del Mar Arabico sarebbe emerso un isolotto a circa mezzo miglio dal porto di Gwadar. Sulla situazione dell’area terremotata, Giada Aquilino ha intervistato Amjad Gulzar, direttore di Caritas Pakistan, direttamente impegnato nei soccorsi:

    R. – The earthquake...
    Il terremoto è stato di magnitudo 7.8 sulla scala Richter. Grazie al governo e ad alcune risorse che abbiamo in quella particolare zona, in Baluchistan, l’area terremotata è stata inquadrata nella zona di Awaran. Anche altri distretti sono stati colpiti. C’è il pericolo di altre scosse di assestamento e ci si aspetta che il numero dei morti aumenti. Per le persone colpite, il governo e l’esercito pakistano stanno fornendo nell’immediato rifugi di emergenza e cibo. Molte persone sono ancora a cielo aperto, hanno perso le loro case e tutto quello che possedevano. I soccorritori medici hanno già cominciato ad occuparsi di quella particolare area. Pure l’amministrazione del distretto è attiva. Anche alcune infrastrutture pubbliche del governo sono state danneggiate e quindi per il supporto e l’assistenza molti altri dipartimenti governativi si stanno muovendo. Caritas Pakistan è preoccupata e ha fornito i primi aggiornamenti alla Caritas Internationalis e il suo team si è già mosso verso l’area colpita per avere informazioni e capire la situazione. Caritas Pakistan, inoltre, sta lavorando anche con le autorità locali per contribuire a livello di aiuti umanitari.

    D. – Quanto incide un terremoto così forte su una zona come quella del Baluchistan?

    R. – Baluchistan compared to other provinces...
    Il Baluschistan in confronto ad altre province del Pakistan è una zona marginalizzata e le persone perlopiù non sono benestanti. Si tratta di gente vulnerabile che, quindi, sarà ancora più vulnerabile dopo questa crisi. Quindi Caritas Pakistan sta lavorando in coordinamento con il distretto, con i volontari, con il governo a livello provinciale, per trovare possibili mezzi per poter assistere i sinistrati, fornendo assistenza medica, soccorso, cibo e occupandosi dei bisogni dei bambini, fornendo loro anche kit di pronto soccorso e riparo.

    D. – Qual è l’appello di Caritas Pakistan e qual è l’aiuto che la Chiesa può dare in queste ore?

    R. – Caritas Pakistan is looking forward and towards...
    Caritas Pakistan si rivolge al mondo perché si mobiliti per affrontare questa situazione di crisi, per assistere le vittime e per fornire loro soccorso immediato attraverso cibo, ripari di emergenza e assistenza medica. E in questa mobilitazione l’aiuto della Chiesa è essenziale per assistere le vittime.

    Dell’emergenza in Pakistan ci parla anche Fabrizio Cavalletti, dell’ufficio Asia di Caritas Italiana, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Il Pakistan è considerato un Paese a basso sviluppo umano: nell’ultima classifica che ogni anno stila l’Undp è al 145 posto su 186. E’ un Paese in cui la popolazione vive una situazione di povertà: anche l’area del Baluchistan è in questa situazione. Quindi la calamità naturale evidentemente colpisce una popolazione che vive già in una situazione di difficoltà e vulnerabilità. Al di là dell’intensità del terremoto, che è stata molto grande e che quindi anche altrove sarebbe stato distruttivo, questa è la ragione per cui ci sono danni molto ingenti.

    D. – L’appello della Caritas qual è per il Baluchistan?

    R. – L’appello della Caritas è quello di cercare di intervenire il prima possibile. In questo momento chi vuole esprimere una solidarietà e una generosità può farlo inviando delle offerte che possono poi essere utilizzate sostenendo degli interventi mirati che, appunto, la Caritas – in collaborazione le altre organizzazioni – sta predisponendo per soccorrere la popolazione. E’ possibile utilizzare il conto corrente di Caritas Italiana, che è visibile sul sito www.caritasitaliana.it.

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    Due milioni i bambini a rischio fame in Siria. "Save the Children" chiede l'intervento dell'Onu

    ◊   In Siria, sono almeno due milioni i bambini che combattono la guerra contro la fame. Lo denuncia Save the Children, che ha presentato un rapporto ieri, in occasione dell’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, alla quale l’organizzazione chiede di intervenire immediatamente. Nel documento, che riporta diverse testimonianze, si racconta dei 7 milioni di abitanti caduti in povertà dall’inizio del conflitto, di come nelle aree rurali di Damasco un bambino su venti sia malnutrito, mentre il 14% sia affetto da malnutrizione grave. Le famiglie, spiega ancora Save the Children, non sono più in grado di produrre o comprare cibo. Francesca Sabatinelli ha intervistato il portavoce in Italia, Filippo Ungaro:

    R. - Questa guerra va avanti da più di tre anni e la situazione umanitaria è insostenibile. Sostanzialmente all’interno del Paese i rifornimenti di cibo, di acqua potabile e di medicine si stanno rapidamente esaurendo. Ci sono circa tre milioni di bambini in tutto il territorio siriano che hanno bisogno di aiuti e di qualsiasi tipo di assistenza. Questo della fame è un aspetto nuovo che sta colpendo in maniera forte tutta la popolazione civile e in particolare - appunto - i più vulnerabili. Questo oltretutto succede sì nelle aree rurali, ma anche nelle principali città della Siria.

    D. - Voi avete fatto un elenco. Damasco, Homs, Aleppo sono città dove le famiglie, le persone, non riescono più ad approvvigionarsi …

    R. - I costi dei beni alimentari sono diventati insostenibili. Dall’inizio della guerra sono aumentati del duemila per cento! Sono persone letteralmente incastrate, assediate in queste città, non possono uscire di casa, hanno il timore di essere colpiti dai cecchini che circondano la città o di finire sopra una bomba. Le poche risorse che ci sono, come le risorse d’acqua, ad esempio, quasi sicuramente sono ormai inquinate. Quindi la situazione è veramente drammatica.

    D. – Nella vostra denuncia si parla addirittura del rischio che un’intera generazione scompaia…

    R. - Assolutamente sì. Ecco alcuni numeri: due milioni di bambini costretti ad abbandonare la loro casa, un milione di bambini rifugiato nei Paesi limitrofi alla Siria. Almeno settemila bambini uccisi, tre milioni che hanno bisogno di assistenza, due milioni soffrono la fame, almeno la metà delle strutture ospedaliere sono state danneggiate, poco meno di quattro mila scuole sono state distrutte o danneggiate. Qui c’è il serissimo rischio che un’intera futura generazione scompaia letteralmente.

    D. - Come si può intervenire per salvare queste persone?

    R. - È vero che l’intervento armato degli Stati Uniti e degli altri Stati occidentali è stato per il momento scongiurato, ma è anche vero che questa guerra c’è, c’è oggi, e c’è da quasi tre anni. Sono stati quindi tre anni di sofferenze intollerabili per la popolazione civile e in particolare per i bambini. Noi chiediamo alle Nazioni Unite e ai leader mondiali che anche loro si indignino, affinché facciano qualcosa di serio e di sensato per mettere fine a queste vergognose atrocità e che cerchino una soluzione diplomatica del conflitto in maniera molto forte, molto seria e che nell’’immediato si garantisca l’accesso umanitario nel migliore dei modi per soccorrere o quanto meno aiutare queste vittime della guerra. Ovviamente stiamo facendo tutto il massimo, stiamo fornendo beni di prima necessità, cibo, medicine, ma ovviamente non riusciamo a raggiungere certe zone per motivi di conflitti vari, di insicurezza, di guerra.

    D. - I vostri partner locali cercano di interagire con le parti in conflitto o trovano l’incomunicabilità totale?

    R. - Lavoriamo sia nelle zone occupate dall’esercito governativo che in quelle che sono invece dominate dalle forze ribelli. Ovviamente per portare il soccorso c’è bisogno - in qualche modo - di trovare una qualche forma di comunicazione che, se a volte c’è, ovviamente non è sempre facile. Spesso è difficoltosa, spesso non si riesce ad intervenire come vorremmo. Proprio per questo motivo chiediamo all’Assemblea delle Nazioni Unite e ai leader mondiali delle Comunità internazionale di garantire un immediato accesso umanitario a tutte le parti, a tutto il Paese.

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    L'Italia ratifica il Trattato sugli armamenti. Soddisfazione della società civile

    ◊   Un grande risultato: è quello raggiunto oggi al Senato che ha votato la ratifica unanime del Trattato Internazionale sul Commercio di armi. Il testo, che era già stato approvato alla Camera, ora è legge. L’Italia divene così il quinto Paese al mondo a ratificare il Trattato, dopo Islanda, Antigua, Guyana e Nigeria. Ne mancano ancora 45 per l’entrata in vigore dell’Arms trade treaty (Att). Un tema forte quello del commercio delle armi, sul quale più volte è intervenuto Papa Francesco. Tra le norme più importanti di questo Trattato, quella che proibisce di vendere armi a Stati o organizzazioni che potrebbero avere scopi terroristici, violazione di diritti umani o minare la pace. Forte la soddisfazione delle realtà associative che hanno promosso questo percorso anche in Italia, in particolare Rete Disarmo, Amnesty International e Oxfam Italia. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Vignarca di Rete Disarmo:

    R. - Uno degli elementi più importanti di questo passaggio, che si è consumato positivamente oggi al Senato, è proprio la rapidità. Il testo del Trattato internazionale sugli armamenti è stato votato alle Nazioni Unite ad aprile di quest’anno. È stato aperto alla firma, quindi alla sottoscrizione delle intenzioni di ratifica dei Paesi di tutto il mondo il tre di giugno e l’Italia ha firmato proprio nel primo giorno utile. Oggi – che non siamo nemmeno ad ottobre – il nostro Paese ha già ratificato questo testo in entrambi i rami del parlamento. Credo che sia una delle più veloci ratifiche mai avvenute nel nostro Paese e questo ci fa ovviamente molto piacere. È significativo che ci sia l’adesione dell’Italia: è il primo grande Paese a ratificare questo Trattato, lo fa proprio nei giorni in cui le Nazioni Unite sono riunite a New York nell’Assemblea Generale e quindi può dare una spinta anche ad altri Paesi per seguirne le orme.

    D. – L’Italia è il quinto Paese al mondo a ratificare il Trattato sugli armamenti; però per entrare in vigore c’è bisogno della ratifica di 50 Stati. Per quanto si possa essere soddisfatti del risultato italiano, il cammino è ancora molto lungo…

    R. – Sì, però è proprio da queste prime adesioni di peso che anche la campagna a livello internazionale vuole costruire quella che si chiama la “race to 50th”, cioè la corsa verso le prime 50 adesioni e ratifiche. L’importanza dell’Italia sta nella sua dimensione europea: da sola l’Unione Europea, se tutti i membri ratificassero, potrebbe comportare più della metà degli Stati necessari. Quindi, il fatto che l’Italia faccia da traino è importante. La notizia di oggi è anche un’altra: gli Stati Uniti - principale produttore di armamenti del mondo - proprio oggi alle Nazioni Unite, a New York, firmeranno il Trattato avvicinandosi in questo modo anche loro - un passettino alla volta sempre più concreto - verso la ratifica.

    D. – Il traguardo che è stato raggiunto al Senato però non sposta il fatto che diverse volte Rete Disarmo ha formulato analisi che avevano riscontrato limiti in questo testo. Quali?

    R. – Noi festeggiamo appunto un passo in più, soprattutto un passo che ha una portata storica: è la prima volta che a livello internazionale si iniziano a concretizzare regolamentazioni sui trasferimenti di armi. Finora non c’era alcuna legge, è il “far west”, è la “giungla”, per cui anche un primo passo è comunque positivo ed importante. Detto questo, non possiamo far finta che questo primo passo non abbia problemi, primo fra tutti che non tutte le tipologie di armamento e non tutte le componenti di armamento sono coperte dal trattato, e poi soprattutto il fatto che le munizioni - la vera benzina sul fuoco dei conflitti – saranno escluse dal Trattato. Quindi, è proprio prendendo consapevolezza anche dei limiti dello strumento - che comunque celebriamo - che noi potremmo andare a migliorarlo. Va detto che il Vaticano da sempre, nel suo status di membro osservatore delle Nazioni Unite, ha spinto ed appoggiato il percorso che la società civile internazionale ha costruito verso il Trattato. Anzi noi speriamo prossimamente di riuscire anche ad incontrare Papa Francesco, proprio per dargli una copia del Trattato e per chiedergli una “spinta”, una benedizione, per un rilancio di questa iniziativa, perché c’è proprio bisogno che il Trattato venga ratificato in molti Paesi e sicuramente la parola del Papa può essere fondamentale anche in questo senso.

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    Crisi umanitaria in Darfur: condizioni dei profughi al limite della sopravvivenza

    ◊   Resta grave la crisi umanitaria del Darfur in Sudan. Dal 2003, quando è iniziata la guerra civile, le Nazioni Unite hanno contato 400mila morti. Sarebbero invece 300mila gli sfollati dall’inizio del 2013. La maggior parte dei profughi prova a fuggire in Ciad ma resta coinvolta nelle violenze dei miliziani. Sulle difficoltà che soffre la popolazione civile, Elvira Ragosta ha intervistato Antonella Napoli, giornalista e presidente di Italians for Darfur:

    R. - Le condizioni sono proprio al limite della sopravvivenza, anche a fronte del fatto che molte organizzazioni non governative sono state espulse dal Darfur. Le condizioni igienico-sanitarie sono precarie, quindi la maggior parte dei casi di morte sono dovuti a problemi di infezioni intestinali, di dissenteria; c’è poi la malaria che miete molto vittime e anche diversi casi di febbre gialla. Nell’area del nord del Darfur c’è poi un’altra emergenza che è quella del diabete.

    D. - Chi sono i responsabili di queste violenze?

    R. - Sono vari gruppi armati, non sempre ben identificabili. La gran parte sono fuoriusciti dalle milizie arabe dei Janjaweed, che la Corte Penale Internazionale ha considerato il braccio armato di Bashir, il presidente del Sudan, che avrebbe usato questi “diavoli a cavallo” - letteralmente i Janjaweed - per sterminare le popolazioni del Darfur. Però ci sono anche scontri all’interno stesso delle fazioni filoarabe per la gestione di risorse e territori, perché vogliono avere il predominio sulle aree di pascoli o agricole.

    D. - La popolazione civile prova a scappare nel vicino Ciad, ma la maggior parte muore durante il viaggio: perché?

    R. - Perché il territorio è molto ampio; c’è da attraversare un deserto e poi, appunto, ci sono queste incursioni contro qualsiasi gruppo che sia in possesso anche soltanto di risorse alimentari o di mezzi, per poter fare razzia. Quindi il viaggio, quasi sempre, si interrompe prima di arrivare ai luoghi di salvezza, di speranza… Per questi sfollati arrivare in un campo è l’unico modo per sopravvivere!

    D. - Sulla popolazione civile, che non è coinvolta negli scontri tra fazioni del Darfur, cosa possiamo dire?

    R. - La popolazione del Darfur fondamentalmente vorrebbe ottenere due cose: la giustizia, perché nonostante vi siano dei mandati di arresto per alcuni esponenti del governo di Bashir e Bashir stesso, questa giustizia sembra molto lontana; e poi quella di una soluzione della crisi, che purtroppo langue da oltre 10 anni e nonostante vi sia un intervento molto forte da parte delle Nazioni Unite. Essendo il territorio molto vasto e le emergenze continue, non si riesce a far fronte a tutte le necessità del gran numero di sfollati che purtroppo aumenta di giorno in giorno.

    D. - Secondo lei, come si uscirebbe nell’immediato da questa crisi del Darfur?

    R. - Se non c’è una soluzione geopolitica, quindi la demarcazione di territorio e la definizione di ruoli amministrativo-politici, cercare di soddisfare quello che il Darfur fondamentalmente cosa chiede: e cioè che la popolazione locale possa gestire le proprie risorse, che non sia sempre e solo il governo centrale ad avere l’ultima parola su quelle che sono le risorse presenti sul territorio. Spesso i governi locali sono fantocci nella mani di Khartoum e questa cosa comporta una continua ribellione da parte delle realtà locali.

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    Cerimonia a Lourdes per la 69.ma guarigione miracolosa: con noi Danila Castelli

    ◊   Con una cerimonia particolarmente sentita, ieri a Lourdes c’è stata la proclamazione ufficiale della 69.ma guarigione riconosciuta dalla Chiesa nel Santuario mariano in Francia come “prodigiosa, miracolosa”. Si tratta della storia di Danila Castelli, che oggi ha 67 anni. Quando ne aveva 34, dopo un viaggio a Lourdes, ha scoperto di aver superato improvvisamente la grave sindrome della quale soffriva e ciò – come è stato accertato dalla Commissione Medica Internazionale di Lourdes – “senza alcun rapporto con gli interventi e le terapie subite”. Fausta Speranza ha chiesto a Danila Castelli di raccontarci qualcosa della sua esperienza:

    R. – Adesso che è ufficiale, non so dire bene… La gioia è sempre quella lì, piena, ma con una differenza: il fatto che mi senta ancora più di prima dentro la Chiesa. E questo per me è sempre stato fondamentale! L’ubbidienza… Io credo nella Chiesa, ci ho sempre creduto sin da ragazzina; la credo come Madre. Il fatto che adesso sia protetta in qualche modo dalla Chiesa, mi dà una gioia in più, molto in più… Sono più tranquilla, più serena. Adesso posso gridare a tutti che Dio è grande! Anche prima lo facevo, però adesso mi sento di farlo meglio… Il mio vescovo mi ha detto: “Vai e annuncia!”. Mi ha dato questa missione. Questa è una cosa particolare… Non pensavo, ma mi sento la gioia centuplicata!

    D. – La missione di raccontare una storia in cui spesso lei sottolinea “la guarigione è stata non tanto del fisico, non solo del fisico, quanto dell’animo”. Guarigione dal dolore, dalla disperazione?

    R. – Ho preso sempre tutto come una grande normalità: nel senso che il Signore mi portava di qui, di lì, di là, ma mi sembrava una cosa normale… Sia la sofferenza che la gioia, non lo so… E’ una cosa difficile da dire, perché è un qualcosa che uno ha dentro. Ho avuto i miei momenti umanamente – perché siamo umani! – di umana angoscia, più che disperazione, perché la sofferenza è stata veramente tanta, a tutti i livelli… Non ha risparmiato niente! Però io, ai tempi della sofferenza, avevo scritto delle pagine - per cui “Verba volant, scripta manent” - in cui io dicevo tutta la mia gioia di essere comunque con Cristo. E oggi vado a rileggermele per dire: “Ma, guarda che grandi cose il Signore fa! Riesce a farci gustare la gioia, quando umanamente la gioia non è possibile!”. Questo è il grande miracolo della vita con Dio e – secondo me – è il grande miracolo di Lourdes! Quando venivo le prime volte, il mio prete mi diceva: “Guarda che a Lourdes il dolore canta”: ma è vero! Però canta solo se tu abbracci la Croce; l’abbracci con tutte le tue povertà. Io dico sempre che se noi mettiamo sulle nostre croci orrende della malattia – tutte le malattie, fisiche, spirituali non sono volute da Dio.. – però se noi prendiamo Gesù e ce lo mettiamo sulla Croce con noi – io lo dico sempre - la Croce fiorisce! Adesso, l’ultimo pensiero è di pochi giorni fa: non solo fiorisce, perché anche quando i fiori cominciano a diventare vecchi, allora arriva il frutto”. Questo mi sento di dover comunicare. Quando non siamo capaci da soli, la Madonna ci dà una mano, no?

    D. – Di fronte al dolore di altre persone che si incontrano e che magari non hanno la stessa pienezza e capacità di affrontare così la Croce, che cosa pensa? Qual è la sua preghiera a Cristo per chi non ce la fa?

    R. – La prima cosa che faccio quando incontro una persona così, la amo! La metto dentro la mia vita, diventa parte di me: anche se lei non lo sa… Devo averne tanti dentro… Prego – la seconda – e se posso suggerisco. Io suggerisco sempre di tenersi una bella croce vicina e quando non ne puoi veramente più, la contempli: non la guardi, ma la contempli! In un primo tempo dicevo: “Però io sì, gli altri no…”. Per un po’ lo si dice e lo si pensa. Ultimamente non lo penso più! Ultimamente penso che come Dio era presente nel capello del mio capo che soffriva, è presente in quello degli altri. Per cui non posso condividere la guarigione, posso condividere l’amore, la preghiera: la preghiera perché avvenga il miracolo vero per tutti, che è quello di aprire gli occhi, perché se tu apri gli occhi di miracoli ne vedi all’infinito. E allora prego. Altro non posso fare per chi incontro: pregare e offrire! Anche perché la mia vita dopo non è stato così umanamente semplice: la sofferenza è ritornata, come torna a tutti… E’ normale! Quindi quando arrivo che non ce la faccio più, offro e so che da qualche parte comunque arriverà!

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    Al Teatro Morlacchi di Perugia, ultimo atto della 68.ma edizione della Sagra musicale umbra

    ◊   Si chiude questa sera al Teatro Morlacchi di Perugia la 68.ma edizione della Sagra musicale umbra. Sul tema conduttore della Trasfigurazione, inteso nella sua dimensione più spirituale si è snodato un percorso di concerti che ha reso omaggio in particolare a Wagner e a Britten e ha ospitato un grande protagonista anche della musica sacra del nostro tempo, Krzysztof Penderecki, nel meraviglioso Chiostro del Convento di Assisi. Il bilancio e gli interpreti nel servizio di Gabriella Ceraso:

    Quattordici serate in cornici dense di storia e di spiritualità: sono stati gli ingredienti di successo anche quest’anno per la Sagra musicale. Il tema era arduo, la Trasfigurazione, un episodio evangelico ma anche un processo di sublimazione affidato alle note. Ma il pubblico ha gradito, commenta il direttore artistico Alberto Batisti:

    "Il pubblico ha reagito come in un autentico pellegrinaggio vero un percorso di elevazione; attraverso la musica di purificazione, un respiro di assoluto…"

    Tra i protagonisti assoluti Wagner: se preziosa è stata la proposta delle sue trascrizioni per pianoforte; emozionanti sono risultati l’addio di Wotan e soprattutto la Trasfigurazione di Isotta:

    "Isotta non muore, ma si trasfigura. Quindi, abbiamo voluto ristabilire l’originale transito di Isotta verso un’altra dimensione che è appunto quella dell’assoluto: l’assoluto dell’amore nell’unione eterna con il suo Tristano. È stato un momento emozionante; in quel momento ho anche voluto far accendere piano piano tutte le luci della sala".

    Ma il vero fulcro di questa edizione è stata la musica di Benjamin Britten. Memorabile la realizzazione della sua Parabola da Chiesa, Curlew river, regia di Andrea Rosa e direzione di Jonathan Webb, che così parla del valore profondamente cristiano di un’opera in cui la fede placa e colma il dolore di una madre che ha perso il figlio:

    "Per me ci sono alcuni pezzi di una profondità ed una verità enormi; sentimenti che un po’ mancano nella nostra vita quotidiana. È allora importantissimo per noi musicisti - avendo questo repertorio “magico” – di offrire a tutti questa esperienza.

    Di questa 68.ma Sagra però il pubblico non potrà dimenticare l’esecuzione, al Chiostro del Convento di San Francesco di Assisi, dell’opera del maestro del sacro contemporaneo, Krzysztof Penderecki che a Karol Wojtyla - suo amico ed ispiratore - ha dedicato anche il bis del suo concerto:

    R. – From the middle of the Fifties I was writing such a music…
    E’ dalla metà degli anni Cinquanta che scrivo questa musica, quando – a quell’epoca – nessuno in Polonia componeva musica sacra. Questa è la mia lingua.

    Quando gli chiediamo quale significato abbia per lui suonare in prossimità della tomba di San Francesco, ricorda l’elezione al Pontificato di Papa Wojtyla: “Sono stato qui quel giorno e ho scritto per lui un Te Deum; la prima esecuzione mondiale è stata proprio in questa Chiesa. E io la ricordo molto bene. Ovviamente, per tutti questo luogo è carico di Mistero".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Kenya: concluso l'assedio al Centro commerciale. Il card. Njue in visita ai feriti

    ◊   “La vita è sacra e nessuno ha il diritto di prenderla. Dobbiamo rispettare la sacralità della vita qualsiasi religione apparteniamo” ha affermato il card. John Njue, arcivescovo di Nairobi, visitando le persone rimaste feriti nell’assedio al Centro commerciale Westgate, ricoverate in due ospedali della capitale keniana. Anche il Consiglio Supremo dei Musulmani del Kenya (Supkem) ha condannato il grave atto di terrorismo, secondo quanto riporta l’agenzia Cisa di Nairobi. “Condanniamo nei più forti termini l’attacco contro keniani pacifici e ospiti internazionali che vivono e lavorano in Kenya” ha detto Adan Wachu, segretario generale del Supkem. “Disapproviamo l’uccisione indiscriminata di uomini, donne e bambini innocenti. È contro tutti gli insegnamenti e precetti islamici”. Dopo 4 giorni è finita la presa di ostaggi da parte di un gruppo di Shabaab somali nel centro commerciale; le forze speciali keniane sono infatti riuscite a riprendere il controllo della struttura. Il bilancio ancora provvisorio dell’assalto è di 67 morti, dei quali 61 sono civili, ma diversi corpi giacciono ancora nell’edificio parzialmente distrutto, mentre le squadre di artificieri stanno procedendo alla bonifica di eventuali ordigni esplosivi disseminati dagli Shabaab. Secondo il quotidiano “The Nation” di Nairobi, le operazioni di liberazione degli ostaggi sono state particolarmente complesse, perché i terroristi avevano preso il controllo del sistema di telecamere interno del Mall, attraverso il quale potevano controllare la presenza delle forze speciali. Solo dopo che i servizi di sicurezza sono riusciti a “piratare” per via informatica il sistema di telecamere interno, il commando dell’esercito è riuscito a penetrare nell’edificio, dovendo però affrontare un cecchino che dal terzo piano lo ha tenuto bloccato per ore. Grazie ad una manovra diversiva il tiratore, che sembra fosse il capo dei terroristi, è stato poi colpito a morte da un cecchino dell’esercito, permettendo ai militari di avanzare nella struttura. (R.P.)

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    Pakistan. Mons. Coutts: “Il governo affronti seriamente la questione della violenza settaria”

    ◊   “Il governo dovrebbe affrontare seriamente la crescente violenza religiosa e settaria che ha raggiunto proporzioni allarmanti, come dimostra l’incidente nella Chiesa di Peshawar”: lo afferma, in una nota invita all'agenzia Fides, mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan. Mons. Joseph Coutts dichiara: “Uccidere innocenti in un momento di preghiera è un vergognoso atto di codardia. Al governo chiediamo di prendere misure immediate per arrestare i responsabili di questo attacco e per proteggere i luoghi di culto di tutte le minoranze religiose nel Paese”. Sul possibile dialogo con i talebani, l’arcivescovo afferma: “Su questo punto, da buon cittadini, ci atterremo a quanto il governo deciderà, con lo scopo di mantenere la pace nel Paese . Come appreso da Fides, a Karachi, città nella provincia del Sindh (Pakistan meridionale), si registra una situazione sociale molto tesa. Nei giorni scorsi, dopo le diffuse proteste dei cristiani, sono scoppiati disordini davanti a una moschea e un uomo musulmano è rimasto ucciso. In un incontro congiunto organizzato ieri nella Chiesa della Trinità a Karachi, mons. Joseph Coutts, e il vescovo anglicano Sadiq Daniel, esprimendo dolore “per uno degli attacchi più gravi e mortali nella storia della chiesa pakistana”, hanno invitato i fedeli “alla calma e a non cedere alla tentazione di reazioni violente”. “La comunità cristiana in Pakistan – ha rimarcato il vescovo Sadiq Daniel – è una comunità pacifica che offre un'eccellente contributo nel campo dell'istruzione e della sanità, per lo sviluppo del Pakistan”. Il vescovo, ricordando che i talebani sono un pericolo per tutta la nazione, non solo per i cristiani, ha ringraziato per la solidarietà espressa dai leader religiosi di altre comunità, come musulmani, indù e sikh, nonché i leader di partiti politici dei partiti “Jamat Islami”, “Pakistan Peoples Party” e “Muthaida Quami Movement”. (R.P.)

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    Siria. L'arcivescovo greco-cattolico di Aleppo: ecco le cifre del disastro siriano

    ◊   Le cifre della catastrofe siriana non si fermano al devastante conteggio dei morti e dei feriti. In una nota inviata all'agenzia Fides, l'arcivescovo Jean-Clément Jeanbart, metropolita di Aleppo dei greco-cattolici, raccoglie altri dati quantitativi che contribuiscono a far comprendere le dimensioni del disastro. “In questi ultimi mesi, solo a a Aleppo” racconta l'arcivescovo “1.400 fabbriche e officine sono state saccheggiate, demolite o bruciate, mentre in tutto il Paese più di 2mila scuole sono state devastate o messe fuori uso, 37 ospedali insieme a un migliaio di piccole cliniche e dispensari sono stati vandalizzati. La gran parte dei silos di grano sono stati svuotati, le centrali elettriche sabotate, le linee ferroviarie smantellate e le strade bloccate e rese pericolose e impraticabili a causa della bande armate che terrorizzano i viaggiatori che osano spostarsi e si azzardano a uscire fuori città. Davanti a queste avversità e alle sventura in cui siamo precipitati” aggiunge mons. Jeanbart “non ci resta che affidarci alla Misericordia divina, la sola capace di liberarci e ristabilire la pace nel Paese. Che la Santa Croce del Signore illumini quelli che hanno il potere. Noi non possiamo che ringraziare Papa Francesco per i suoi appelli ripetuti e insistenti alla preghiera per la pace in Siria. (R.P.)

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    Centrafrica. Caos e crisi umanitaria: appelli all'Onu

    ◊   Finora la crisi in Centrafrica “ha soltanto suscitato contributi disperatamente sufficienti”: è l’allarme lanciato alla 68a Assemblea generale dell’Onu dal segretario generale Ban Ki-moon. Nel suo discorso di apertura ha messo in guardia la comunità internazionale sul fatto che “l’ordine pubblico si è sgretolato” e che “milioni di persone sono prive da ogni assistenza e rischiano di essere vittime di esazioni” in un “Paese nel caos”. L’appello di Ban è giunto a poche ore da una riunione ministeriale in agenda per oggi a New York sulla crisi in Centrafrica, teatro dallo scorso dicembre di un’insurrezione di gruppi ribelli che lo scorso 24 marzo hanno preso il potere con un colpo di Stato, destituendo l’ex presidente François Bozizé. Da allora l’ex capo della coalizione Seleka, Michel Djotodia, presidente autoproclamato, e il governo di transizione non riescono a ristabilire l’ordine sull’immenso territorio. Nel suo discorso all’Onu, anche il presidente francese François Hollande ha dichiarato che “dopo il Mali, è il Centrafrica che ci deve allarmare”, esortando la comunità internazionale a fornire un sostegno logistico e finanziario per “potenziare la forza panafricana già dispiegata”. Per Hollande urge “ristabilire l’ordine in un Paese in pieno caos” e dove “le popolazioni civili sono le prime vittime delle esazioni che stanno sempre più assumendo una valenza confessionale”. La Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca) presente nell’ex colonia francese può soltanto contare su 1.400 soldati e poliziotti messi a disposizione da Camerun, Ciad, Congo e Gabon; un numero ancora insufficiente per sostenere Bangui nella lotta all’insicurezza alimentata dalla Seleka e dai sostenitori armati di Bozizé. Finora solo il 37% dei 195 milioni di dollari richiesti dall’Onu per far fronte alla crisi è stato sbloccato. L’Unione Europea ha aumentato il suo aiuto umanitario a 20 milioni di euro e si è impegnata a sostenere finanziariamente la Misca. Ma è ancora troppo poco: secondo l’Onu 1,6 milioni di centrafricani, circa un terzo della popolazione, ha bisogno di un aiuto umanitario urgente mentre più di 270.000 persone sono sfollati interni o rifugiati nei Paesi confinanti. Alla riunione odierna, co-presieduta da Francia, Onu e Unione Europea, parteciperanno rappresentanti dell’Unione Africana, degli Stati Uniti e dei Paesi dell’Africa centrale. (R.P.)

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    Centrafrica. Il vescovo di Bangassou: “Il Centrafrica è alla deriva. L’Onu intervenga”

    ◊   “Il Centrafrica è oggi un Paese alla deriva, con tutta la popolazione intrappolata come in un campo di concentramento, in ostaggio del governo Seleka anche lui a sua volta alla deriva” scrive mons. Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou, sul sito PeriodistaDigital alla vigilia della discussione sulla situazione nel Paese africano che si terrà nell’ambito dell’Assemblea Generale dell’Onu in corso a New York. Mons. Aguirre ricorda che la coalizione Seleka che “ha invaso il Centrafrica dalla fine del 2012 ad oggi” si è progressivamente lacerata attraverso le sue cinque principali componenti militari, dal momento che una sola di esse ha preso il potere e le altre (per un totale di circa 15.000 ribelli ) si sono trasformate in formazioni banditesche alla ricerca sfrenata di una preda da saccheggiare. Il vescovo tra le altre cose - riferisce l'agtenzia Fides - ricorda la drammatica situazione dell’istruzione nonostante la riapertura delle scuole cattoliche che “hanno voluto dare un'aria di normalizzazione alla vita sociale del Paese, ancora in mano gli eccessi di Seleka”. “Il governo centrale aveva accettato, al fine di dare segni di normalità alla comunità internazionale, di far svolgere gli esami di ammissione all'università ” ricorda mons. Aguirre. “I 59.000 studenti delle scuole cattoliche si sono presentati agli esami ma si sono resi conto che i test erano pieni di irregolarità . Molti dei nostri studenti non erano negli elenchi predisposti dal governo”. Ancora più grave quello che è avvenuto nella capitale Bangui, dove, come racconta il vescovo, “i giovani appartenenti a Seleka sono entrati nella sala dell’esame armati e in uniforme militare, per prendere il foglio del test e andarsene (sicuramente perché qualcuno più competente potesse compilarlo). Più tardi sono tornati con la 'faccia tosta', con la pistola ben visibile nella cintura, per consegnare il test”. (R.P.)

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    Laos: cristiani espulsi da un distretto a causa della loro fede

    ◊   Le autorità civili del distretto di Atsaphangthong, nella provincia di Savannakhet, hanno stabilito che i cittadini laotiani cristiani, presenti nei diversi villaggi del distretto, devono rinunciare alla loro fede, pena l'espulsione dal territorio distrettuale. Come appreso dall'agenzia Fides, il provvedimento è stato emanato visto il numero crescente di conversioni al cristianesimo in diversi villaggi. La decisione è stata resa nota il 21 settembre, nel corso di una riunione ufficiale di membri delle autorità civili con la popolazione del villaggio di Huay. All’incontro partecipavano abitanti di tutte le religioni. Diramata la notizia, i cristiani hanno respinto la decisione, sostenendo che il loro diritto alla libertà religiosa è garantito dalla Costituzione laotiana e dicendosi pronti a subire l’espulsione, pur di non abiurare alla fede cristiana. In una nota inviata a Fides, l’Ong “Human Rights Watch per Lao Religious Freedom” (Hrwlrf”) denuncia la mancata osservanza di questa norma costituzionale, spesso disattesa da funzionari civili locali, in numerosi distretti delle varie province. L’Ong invita il governo del Laos a far rispettare la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, ratificata dal Laos nel 2009. Il diritto di adottare una fede scelta liberamente, così come il diritto di manifestare pubblicamente il proprio culto, è confermato dall'articolo 16 della Convenzione. Il testo condanna qualsiasi forma di coercizione della libertà personale, inclusa la libertà di fede. Hrwlrf esorta il governo del Laos a rispettare il diritto del popolo laotiano alla piena libertà religiosa, controllando le mosse e gli abusi dei funzionari civili locali e tutelando i cittadini laotiani di fede cristiana. (R.P.)

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    Perù: duemila vittime salvate dalla tratta di esseri umani, il 42% minori

    ◊   Oltre 2mila vittime (il 42% delle quali sono minori) della tratta di esseri umani sono state salvate dalla polizia dal giugno 2011 ad oggi, secondo i dati diffusi dalla Segreteria Generale del Ministero degli Interni del Perù, nel corso di una conferenza stampa nell’ambito delle celebrazioni della Giornata internazionale contro la tratta degli esseri umani. Secondo una nota inviata all'agenzia Fides, l’alto numero di minori vittime della tratta degli esseri umani ha suscitato profonda emozione nel Paese. La Chiesa Cattolica ha portato avanti per diversi mesi la Campagna di Solidarietà "Compartir" ("Condividere") 2013, nell’ambito della quale è stata lanciata l’iniziativa "Salvare vite", che cerca di sensibilizzare i bambini e gli adolescenti su come evitare di finire vittima di questo crimine. Proprio ieri Papa Francesco ha pubblicato il Messaggio per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, nel quale si legge: "Alla solidarietà e all’accoglienza, ai gesti fraterni e di comprensione, si contrappongono il rifiuto, la discriminazione, i traffici dello sfruttamento, del dolore e della morte. A destare preoccupazione sono soprattutto le situazioni in cui la migrazione non è solo forzata, ma addirittura realizzata attraverso varie modalità di tratta delle persone e di riduzione in schiavitù. Il "lavoro schiavo" oggi è moneta corrente!". (R.P.)

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    Terra Santa: a 72 giovani famiglie nuovi appartamenti voluti dal Patriarcato latino di Gerusalemme

    ◊   A Beit Safafa, in Terra Santa, 72 giovani famiglie vivono in nuovi appartamenti voluti dal Patriarcato Latino di Gerusalemme. Sabato scorso, per festeggiare la fine dei lavori nel nuovo complesso residenziale, mons. William Shomali, vicario patriarcale a Gerusalemme, ha presiduto una Messa nella cappella dell’Istituto Ecumenico Tantur, ad 1 km da Beit Safafa. Il presul, riferisce il portale www.lpj.org, ha esortato a rendere grazie a Dio per le sue buone opere ed ha insistito a lungo sull’importanza di dire semplicemente “grazie” a Colui che dona la vita, che mostra la sua misericordia e che permette la realizzazione di numerosi progetti. La costruzione degli appartamenti non è stata semplice e rapida poichè sono state necessarie trattative lunghe e a volte difficili. Per p. Feras Hijazine, parroco di Gerusalemme, l’occasione della celebrazione liturgica è stata anche un momento di incontro per i membri della nuova comunità formatasi, chiamata a ritrovarsi, a pregare e a testimoniare la fede in parrocchia e altrove. Nella sua omelia mons. Shomali ha sottolineato che non sempre i cristiani ringraziano Dio ed ha aggiunto che la Chiesa invita a farlo il più spesso possibile, particolarmente con la messa o nella preghiera. (T.C.)

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    Cammino neocatecumenale: 357 nuovi seminaristi nei 100 seminari diocesani missionari

    ◊   Il Cammino neocatecumenale ha appena terminato una Convivenza di seminaristi in Italia alla quale hanno partecipato 357 nuovi seminaristi di tutto il mondo e nella quale sono nati sette nuovi seminari diocesani missionari Redemptoris Mater. In tutto, sono 100 i seminari del Cammino neocatecumenale presenti nei cinque continenti. I nuovi sette sono a Filadelfia (Usa), Vancouver (Canada), Belém (Brasile), Carúpano (Venezuela), Kampala (Uganda), Úzhgorod (Ucraina) e Campobasso (Italia). I 357 giovani sono stati distribuiti nei 100 seminari nei quali, a partire da ora, cominceranno a formarsi e studiare per il ministero al servizio della Nuova evangelizzazione. All’incontro hanno partecipato il card. Christoph Schönborn e vari vescovi, tra i quali l'arcivescovo di Philadelfia, mons. Charles Chaput; il vescovo di Carúpano mons. Jaime Villaroel e il vescovo greco-cattolico di Úzhgorod, mons. Milan Shashik. I seminari diocesani e missionari Redemptoris Mater sono eretti dai vescovi diocesani, in accordo con l‘equipe internazionale responsabile del Cammino, e si reggono secondo le norme vigenti per la formazione e l‘incardinazione dei clerici diocesani e secondo statuti propri, in conformità alla Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis. In questi, "i candidati al sacerdozio, trovano nella partecipazione al Cammino neocatecumenale, un elemento specifico e basico dell'iter formativo e, allo stesso tempo, vengono preparati alla genuina scelta presbiterale di servizio all'intero Popolo di Dio, nella comunione fraterna del presbiterio”. (R.P.)

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    Festival francescano: dal 27 al 29 settembre a Rimini sul tema "Il Cammino"

    ◊   Più di 100 iniziative per adulti e bambini, tra momenti di preghiera e spiritualità, conferenze, spettacoli, mostre e workshop. Da venerdì 27 a domenica 29 torna a Rimini, per il secondo anno consecutivo, il Festival francescano, che per la sua quinta edizione si focalizzerà sul tema del viaggio e del cammino, reale e spirituale, personale e collettivo. Lo farà sulle orme del sentiero già tracciato dal Santo d’Assisi, che varcò questo angolo di Romagna ottocento anni fa. Un evento che ebbe particolare importanza sia per la storia francescana (nel borgo di san Leo, nelle colline riminesi, il Santo accolse in dono il Monte della Verna dove poi ricevette le stimmate), sia per il territorio romagnolo che da allora porta indelebili i segni di questa spiritualità. “Affronteremo questo tema nelle sue connotazioni più vicine al francescanesimo: l’ospitalità, l’itineranza e il pellegrinaggio”, spiega fra Alessandro Caspoli, presidente del Festival. “Con l’aiuto di molti interpreti della realtà contemporanea - prosegue - c’interrogheremo sul cammino che sta intraprendendo la nostra società, daremo uno sguardo al resto del mondo attraverso le religioni e le migrazioni”. Ad accompagnare questo percorso saranno diversi narratori (il sociologo algerino Kahled Fouad Allam), teologi (il padre domenicano Claudio Monge, responsabile del centro di documentazione cristiana e interreligiosa di Istanbul), storici (Franco Cardini) e artisti (Francesco De Gregori). Sull’esempio di san Francesco, che “interpretò l‘esortazione biblica di essere come stranieri e pellegrini in bisogno di comunione e di relazionalità”, di essere “per gli altri” e “con gli altri”, il Festival prima di tutto scenderà per le strade e cercherà la gente. “È questa la nostra missione”, sottolinea ancora fra Caspoli, citando l’invito di Papa Francesco a evitare il rischio di una Chiesa autoreferenziale. Tante le attività per le scuole del circondario (4.300 studenti coinvolti), diversi i momenti dedicati alla spiritualità, tra cui la visita alle reliquie di sant’Antonio di Padova, un itinerario nei luoghi francescani riminesi (con arrivo al Ponte dei Miracoli accompagnti dal vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi) e una mostra sul beato Amato Ronconi di Saludecio a Castel Sismondo. (R.P.)

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    La morte a Vienna del gesuita Johannes Schasching

    ◊   Si è spento a Vienna il teologo gesuita padreJohannes Schasching. Nato il 10 marzo 1917 da una umile famiglia di Sankt Roman nell’Alta Austria, ha frequentato il Collegium Aloisianum a Linz e nel 1937 è entrato a far parte della Compagnia di Gesù. Dopo aver concluso gli studi di filosofia (1943) e di teologia a Vienna e a Innsbruck (1943-1947), nel 1946 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Dal 1966 al 1991 ha insegnato scienze sociali alla Pontificia Università Gregoriana. Durante questi anni, dal 1966 al 1969 è stato rettore del Collegium Germanicum, dal 1969 al 1979 consigliere del Superiore generale padre Pedro Arrupe e assistente per le province del centro Europa dell’ordine dei gesuiti, e dal 1981 al 1987 decano della facoltà di scienze sociali della Gregoriana. È stato inoltre nominato consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e membro della Pontificia Accademia delle Scienze sociali. Dopo il pensionamento nel 1991, fino al 2005 ha lavorato presso l’Accademia sociale cattolica d’Austria. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 268

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.