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Sommario del 24/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: il Sacramento non è un rito magico, è l’incontro con Gesù che ci aspetta
  • Papa Francesco: migranti e rifugiati non sono pedine nello scacchiere dell'umanità
  • Messaggio Migranti. Il card. Vegliò: promuoviamo la cultura dell'incontro. Il Papa preoccupato per la Siria
  • Curia Romana: cardinali Rylko e Turkson confermati fino alla fine dei loro quinquenni
  • Nomine di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: chiediamo a Dio la tenerezza di vedere i poveri con amore e senza calcoli
  • "La fede, la scienza, il male". La lettera di Benedetto XVI al matematico Odifreddi
  • Cortile dei Gentili con i giornalisti. Il card. Ravasi: verità e parola al centro dell'incontro
  • Visita del cardinale Tauran in Kazakhstan
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Iran: attesa per il discorso di Rohani all'Onu. Nessun incontro con Obama
  • Egitto: bandite tutte le attività pubbliche dei Fratelli Musulmani
  • Siria. Attentato a Damasco: almeno 7 morti
  • Onu: ancora 10 anni per affrontare la crisi climatica mondiale
  • Il card. Bagnasco: ogni atto irresponsabile passerà al giudizio della storia
  • Seminario al Salesianum sulla “Filialità", tema d’attualità nel dibattito sull’identità uomo-donna, padre-madre
  • Celebrazioni per il 1700.mo anniversario dell'Editto di Costantino: interviste con mons. Hocevar e Marko Nikolic
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: preghiere e proteste dei cristiani dopo la strage alla chiesa anglicana di Peshawar
  • Kenya: le Chiese condannano l'assalto al Westgate di Nairobi e invitano alla preghiera
  • Siria: appello di aiuto per le suore e gli orfani di Maaloula. Sarebbero vivi i due vescovi rapiti
  • Congo: appello per un accordo di pace e sviluppo in Nord Kivu
  • Cambogia: il parlamento approva il nuovo mandato a Hun Sen. L'opposizione diserta
  • Coree: la disperazione degli anziani del Sud dopo il no alle riunificazioni familiari
  • Thailandia. Allagate un quarto delle province del Paese: allerta inondazioni
  • Cina: sei sacerdoti ordinati nella festa di S. Matteo ad Han Dan
  • Turchia: 22 le scuole delle minoranze religiose. Nell'Impero Ottomano erano più di 6mila
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: il Sacramento non è un rito magico, è l’incontro con Gesù che ci aspetta

    ◊   Gesù ci aspetta sempre, questa è l’umiltà di Dio. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa, che ha preso spunto dal Salmo “Andremo con gioia alla Casa del Signore”, ha sottolineato che il Sacramento non è un rito magico, ma l’incontro con Gesù che ci accompagna nella vita. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Andremo con gioia alla Casa del Signore”. Papa Francesco ha preso spunto dal Salmo di oggi, recitato dopo la Prima Lettura, per soffermarsi sulla presenza del Signore nella nostra vita. Una presenza che accompagna. Nella storia del Popolo di Dio, ha osservato il Papa, ci sono “momenti belli che danno gioia” e anche momenti brutti “di dolore, di martirio, di peccato”:

    “E sia nei momenti brutti, sia nel momenti belli una cosa sempre è la stessa: il Signore è là, mai abbandona il Suo popolo! Perché il Signore, quel giorno del peccato, del primo peccato, ha preso una decisione, ha fatto una scelta: fare Storia con il Suo popolo. E Dio, che non ha Storia, perché è eterno, ha voluto fare Storia, camminare vicino al Suo popolo. Ma di più: farsi uno di noi e come uno di noi, camminare con noi, in Gesù. E questo ci parla, ci dice dell’umiltà di Dio”.

    Ecco allora che la grandezza di Dio, ha soggiunto, è proprio la sua umiltà: “Ha voluto camminare con il suo Popolo”. E quando il suo Popolo “si allontanava da Lui con il peccato, con l’idolatria”, “Lui era lì” ad aspettare. E anche Gesù, ha detto, viene con “questo atteggiamento di umiltà”. Vuole “camminare con il Popolo di Dio, camminare con i peccatori; anche camminare con i superbi”. Il Signore, ha affermato, ha fatto tanto “per aiutare questi cuori superbi dei farisei”:

    “Umiltà. Dio sempre aspetta. Dio è accanto a noi, Dio cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre. Gesù sempre ci aspetta. Questa è l’umiltà di Dio. E la Chiesa canta con gioia questa umiltà di Dio che ci accompagna, come lo abbiamo fatto con il Salmo. ‘Andremo con gioia alla casa del Signore’: andiamo con gioia perché Lui ci accompagna, Lui è con noi. E il Signore Gesù, anche nella nostra vita personale ci accompagna: con i Sacramenti. Il Sacramento non è un rito magico: è un incontro con Gesù Cristo, ci incontriamo il Signore. E’ Lui che è accanto a noi e ci accompagna”.

    Gesù si fa “compagno di cammino”. “Anche lo Spirito Santo – ha soggiunto – ci accompagna e ci insegna tutto quello che noi non sappiamo, nel cuore” e “ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha insegnato”. E così “ci fa sentire la bellezza della buona strada”. “Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo – ha ribadito Papa Francesco – sono compagni di cammino, fanno Storia con noi”. E questo, ha proseguito, la Chiesa lo celebra “con tanta gioia, anche nella Eucaristia” con la “quarta preghiera eucaristica” dove “si canta quell’amore tanto grande di Dio che ha voluto essere umile, che ha voluto essere compagno di cammino di tutti noi, che ha voluto anche Lui farsi Storia con noi”.

    “E se Lui è entrato nella Storia di noi, entriamo anche noi un po’ nella Storia di Lui, o almeno chiediamoGli la grazia di lasciarci scrivere la Storia da Lui: che Lui ci scriva la nostra Storia. E’ sicura”.

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    Papa Francesco: migranti e rifugiati non sono pedine nello scacchiere dell'umanità

    ◊   Migranti e rifugiati non sono pedine nello scacchiere dell’umanità. Così Papa Francesco nel messaggio diffuso oggi in vista della 100.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebra il prossimo 19 gennaio sul tema “Migranti e rifugiati: verso un futuro migliore”. Il Pontefice denuncia lo sfruttamento e la tratta, esorta tutti i Paesi ad affrontare in sinergia le difficoltà connesse alle migrazioni ed infine invita ad una conversione di atteggiamenti: da pregiudizi e paure alla cultura dell’incontro. Paolo Ondarza:

    Nell’epoca della globalizzazione Papa Francesco chiede di affrontare e gestire in modo nuovo, equo ed efficace la realtà delle migrazioni, a partire da una cooperazione internazionale e uno spirito di profonda solidarietà e compassione. La speranza di un mondo migliore accomuna tutta l’umanità - rileva – “è quindi necessario operare perché vi siano condizioni di vita più dignitose per tutti”. “Il mondo – aggiunge Papa Francesco – può migliorare solo se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le dimensioni, inclusa quella spirituale; se si è capaci di passare da una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza”.

    “Migranti e rifugiati”, infatti “non sono pedine nello scacchiere dell’umanità”, scrive il Papa, “si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni”. “Alla solidarietà e all’accoglienza” spesso – prosegue - si contrappongono il rifiuto, la discriminazione, i traffici dello sfruttamento, del dolore e della morte. “A destare preoccupazione sono soprattutto le situazioni in cui la migrazione non è solo forzata, ma addirittura realizzata attraverso varie modalità di tratta delle persone e di riduzione in schiavitù”.

    “Il lavoro schiavo oggi è moneta corrente”. La Chiesa - aggiunge il Papa - non può tacere le situazioni di miseria da cui fuggono milioni persone le quali, “mentre sperano di trovare compimento alle loro attese, incontrano, spesso sventure più gravi che feriscono la loro dignità umana”. Papa Francesco cita Benedetto XVI invocando una stretta collaborazione, "senza sollevare barriere insormontabili", tra Paesi di provenienza e Paesi di approdo, accompagnata da normative internazionali. “Nessun paese può affrontare da solo - scrive - le difficoltà di un fenomeno” che ormai interessa tutti i Continenti".

    Quindi il Pontefice chiede di favorire la creazione di “migliori condizioni economiche in patria, in modo che l’emigrazione non sia l’unica opzione per chi cerca pace, giustizia, sicurezza e pieno rispetto della dignità umana”; “creare opportunità di lavoro nelle economie locali – spiega – eviterà la separazione delle famiglie, garantendo serenità e stabilità”.

    Infine il Papa chiede di abbandonare pregiudizi e paure nel considerare le migrazioni e per questo fa appello ai mezzi di comunicazione sociale: grande infatti la loro responsabilità nello “smascherare falsi stereotipi e offrire corrette informazioni circa la denuncia dell’errore di alcuni, ma anche la descrizione dell’onestà, la rettitudine, la grandezza d’animo dei più”. “Nel volto di ogni persona – conclude il Santo Padre – è impresso il volto di Dio. "Non i criteri di efficienza, produttività, ceto sociale, appartenenza etnica o religiosa fondano la dignità della persona, ma l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio. Ecco che il migrante non è solo un problema da affrontare, ma un fratello da accogliere, “un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un paese più solidale, secondo il Vangelo”. "Le migrazioni – scrive Papa Francesco possono far nascere possibilità di nuova evangelizzazione”.

    Come per la Santa Famiglia di Nazaret fuggita in Egitto – è l’auspicio del Pontefice – anche nel cuore del migrante e del rifugiato sia salda la certezza che Dio non abbandona mai.

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    Messaggio Migranti. Il card. Vegliò: promuoviamo la cultura dell'incontro. Il Papa preoccupato per la Siria

    ◊   Il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2014, sul tema “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”, è stato presentato stamani in Sala Stampa della Santa Sede dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, da mons. Joseph Kalathiparambil e padre Gabriele Bentoglio, rispettivamente segretario e sottosegretario del medesimo dicastero vaticano. Un tema, quello delle migrazioni, “che sta nel cuore” del Pontefice, è particolarmente “caro al Papa”, ha ricordato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, citando le recenti visite del Pontefice a Lampedusa e al Centro Astalli di Roma. Il servizio di Giada Aquilino:

    Il primo Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato giunge in un particolare momento storico in cui il fenomeno della mobilità umana colpisce “per la moltitudine delle persone che coinvolge”. A inquadrare la situazione attuale è stato il cardinale Antonio Maria Vegliò, in base alle più recenti statistiche delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni: 232 milioni di persone vivono oggi fuori della loro nazione di origine. Inoltre, 740 milioni sono i migranti interni, cioè coloro che si spostano nel territorio del proprio Paese. In totale si stima che circa un miliardo di esseri umani viva l'esperienza migratoria. I flussi partono soprattutto da Messico, Bangladesh, Cina, India, Pakistan. Ma nel 2011 anche quasi 30 milioni di africani sono emigrati a livello internazionale. E gli Stati Uniti risultano il primo Paese con il maggior numero di arrivi, quasi 46 milioni.

    “Nonostante le difficoltà e le situazioni drammatiche”, ad esempio come la tratta di esseri umani e la schiavitù, la migrazione va vista come “un invito ad immaginare un futuro differente”, in una prospettiva di sviluppo dell’umanità intera, basato su una cultura dell’accoglienza, dell’incontro, della cooperazione internazionale. A tal proposito il cardinale Antonio Maria Vegliò ha sollecitato “la creazione di un sistema normativo” ad hoc nel pieno rispetto della dignità umana di ogni migrante:

    “Parliamo del traffico degli esseri umani, dello sfruttamento, della criminalità come se una persona, per il fatto di essere migrante, fosse un criminale che ci disturba nella nostra identità culturale o cristiana. Questa è ‘cultura della morte’. Come ha detto il Papa, utilizzando una bella frase che ha poi ripetuto ai medici cattolici e in Sardegna, questa è ‘la cultura dello scarto’. Ecco: alla cultura dello scarto, che poi sarebbe quella dello scontro, noi vorremmo inserire la cultura dell’incontro e dell’accettazione”.

    Ripercorrendo il Messaggio del Papa, il cardinale Vegliò ha poi sollecitato i mass media a “smascherare falsi miti sulla migrazione, mostrandola nel modo più autentico possibile”. Altro capitolo, quello della Siria. Al momento, più di due milioni di rifugiati vivono nei Paesi che confinano con essa. E 50 mila siriani hanno trovato asilo in Europa, ha aggiunto mons. Joseph Kalathiparambil. Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha poi portato una testimonianza particolare:

    “Il Papa, la prima volta che mi ha visto, mi ha detto: 'Lei è dei migranti? Che facciamo della Siria?' Lui è molto preoccupato”.

    Il dicastero vaticano, sempre attento alle emergenze nel mondo, sta seguendo anche questa ultima crisi internazionale, ha assicurato padre Gabriele Bentoglio:

    “Non potendo essere presenti in tutte le situazioni, in questo caso quella della Siria, è ovvio che la Caritas, ma soprattutto le nostre Commissioni per la mobilità umana - che sono in collegamento con le Caritas, ma sono organismi diversi a livello locale, diocesano, parrocchiale - sono la nostra longa manus per un’attività concreta sul campo. Questo non toglie che le visite dei superiori o l’interessamento da parte degli officiali del Consiglio siano anche piuttosto mirate e precise”.

    Lasciando la Siria o qualsiasi altro Paese in crisi “ogni rifugiato o sfollato cerca un posto sicuro, un luogo in cui sentirsi protetto da persecuzione, oppressione o violenza”, ha ricordato mons. Joseph Kalathiparambil, parlando del “reinsediamento” dei migranti, in particolare nelle zone urbane. Sollecitato dai giornalisti sulla riforma dell’immigrazione negli Usa, sul dibattito in Canton Ticino attorno al divieto di indossare il burqa, e sui Centri di identificazione ed espulsione, il cardinale Vegliò si è soffermato sul caso italiano:

    “Pensare ai centri di identificazione e di espulsione come quelli di cui si parla in Italia non è un esempio, non è un ideale. Si potrebbero gestire in maniera differente. Posso capire i problemi che ci sono, molti di questi neanche li conosciamo, ma - certo - molti centri non funzionano e dovrebbero funzionare meglio”.

    A proposito del cambiamento di strutture in Italia negli ultimi vent’anni per far fronte ai più consistenti flussi migratori, padre Bentoglio ha sollecitato “una maggiore attenzione alle dinamiche della solidarietà, al superamento di quella cultura dell’indifferenza alla quale Papa Francesco ha richiamato il mondo intero”:

    “Partendo dall’esempio italiano, dove bisogna apprezzare lo sforzo di questi anni nel cercare strutture adeguate, va tenuto in considerazione però che ci sono dei limiti e dei difetti - che in parte sono sotto gli occhi di tutti - anche in questi Centri, dove pur non facendo un discorso generale - perché ogni Centro avrebbe sottolineature da fare - alcuni funzionano abbastanza bene, altri un po’ meno. Ma oltre all’apprezzamento della fatica di trovare nuove strutture, credo che sia da sottolineare l’impegno della classe politica italiana e di altre parti del mondo a trovare un orientamento che garantisca la dignità e la tutela della persona umana e la promozione della centralità, che poi è il punto fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa, di ogni persona. Questi sono i punti di vista da non perdere mai all’orizzonte”.

    Anche per questo la Chiesa promuove la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, la cui istituzione - ha concluso padre Bentoglio - nel 2014 compie cent’anni.

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    Curia Romana: cardinali Rylko e Turkson confermati fino alla fine dei loro quinquenni

    ◊   Papa Francesco ha adottato oggi nuovi provvedimenti nella Curia Romana: nel Pontificio Consiglio per i Laici ha confermato presidente il cardinale Stanisław Ryłko e segretario mons. Josef Clemens, vescovo titolare di Segerme, fino alla conclusione dei rispettivi quinquenni in corso; ha inoltre confermato, fino al 31 dicembre 2013, i membri e i consultori dello stesso Pontificio Consiglio.

    Nel Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha confermato presidente il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson e segretario mons. Mario Toso, vescovo titolare di Bisarcio, i membri e i consultori, fino alla conclusione dei rispettivi quinquenni in corso.

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    Nomine di Papa Francesco

    ◊   Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Trapani mons. Pietro Maria Fragnelli, trasferendolo dalla sede vescovile di Castellaneta. Mons. Fragnelli è nato a Crispiano (Taranto), il 9 marzo 1952. Ha svolto gli studi liceali presso il Seminario di Taranto e il Seminario Regionale di Molfetta. Alunno del Seminario Romano Maggiore, ha conseguito il Baccellierato in Filosofia e in Teologia all'Università Lateranense. Ha ricevuto l’Ordinazione Sacerdotale il 26 giugno 1977. Successivamente, ha conseguito la Licenza in Scienze Bibliche all'Istituto Biblico di Roma e si è laureato in Filosofia all'Università "La Sapienza" di Roma. È autore di un commento sul Siracide, e di numerosi articoli pubblicati sul Settimanale diocesano "Nuovo Dialogo" di Taranto. Ha svolto i seguenti incarichi e ministeri: vicario parrocchiale nella Parrocchia S. Antonio a Taranto, assistente diocesano della FUCI e docente di Religione al Liceo Classico di Taranto (1979-1983); direttore del Settimanale diocesano "Nuovo Dialogo" (1982-1987); parroco della parrocchia Santa Croce di Taranto (1983-1986); docente di Esegesi Biblica nel Seminario Regionale di Molfetta (1983-1986); officiale della Segreteria di Stato (1987-1996); padre spirituale del Seminario Romano Maggiore (1991-1996); rettore del medesimo Seminario (1996-2003). Nominato vescovo di Castellaneta il 14 febbraio 2003, il presule ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 marzo successivo.

    Il Santo Padre ha nominato vescovo di Santa Rosa (Argentina) mons. Raúl Martín, finora vescovo titolare di Troina ed ausiliare di Buenos Aires». Mons. Raúl Martín è nato il 9 ottobre 1957 a Buenos Aires, nel cui Seminario Metropolitano ha fatto gli studi ecclesiastici. Ha quindi ottenuto il Diploma in Teologia presso l’Università Cattolica Argentina. Ordinato sacerdote il 17 novembre 1990, sempre a Buenos Aires è stato vice-parroco di N.S. de la Anunciación (1991-1994), di San Ramón Nonato (1994-1997), di N.S. del Perpetuo Socorro (1997-2000), e vice-incaricato dell’arcidiocesi per la pastorale della Infanzia. E’ stato inoltre assistente ecclesiastico del Seminario per i Catechisti María Sede de la Sabiduría, membro del Consiglio Presbiterale e parroco di San Antonio de Padua (2001-2006). Dal 2006 è stato anche professore di Teologia nell’Università Cattolica Argentina. Nominato vescovo titolare di Troina ed ausiliare di Buenos Aires il 1° marzo 2006, ricevette la consacrazione il 20 maggio successivo. In seno alla Conferenza Episcopale Argentina è membro delle Commissioni per l’Apostolato Laicale e per la Pastorale Familiare.

    Infine, il Papa ha nominato arcivescovo coadiutore di Newark (U.S.A.) mons. Bernard A. Hebda, finora vescovo di Gaylord. Mons. Bernard A. Hebda è nato a Pittsburgh (Pennsylvania) il 3 settembre 1959. Laureatosi all’“Harvard University” nel 1980 in Scienze Politiche, ha ottenuto il Juris Doctor dalla “Columbia Law School” presso la “Parker School of Foreign and Comparative Law” nel 1983. Ha compiuto gli studi filosofici presso il “Saint Paul Seminary” a Pittsburgh (1984-1985). Inviato a Roma al Pontificio Collegio Americano del Nord, frequentò la Pontificia Università Gregoriana dove ottenne il Baccalaureato in Teologia (1985-1988) e, poi, la Licenza in Diritto Canonico (1988-1990). Ordinato sacerdote il 1° luglio 1989 per la diocesi di Pittsburgh, ha ricoperto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale nella “Purification of the Blessed Virgin Mary Parish” ad Ellwood City (1989); Segretario personale dell’allora vescovo di Pittsburgh, mons. Donald W. Wuerl e maestro delle Cerimonie (1990-1992); parroco in solidum nella “Prince of Peace Parish” a Pittsburgh (South Side) (1992-1995); giudice del Tribunale diocesano (1992-1996); direttore del Newman Center della “Slippery Rock State University” (1995-1996). Assunto al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi il 10 settembre 1996, dal 2003 al 2009 ne è stato sotto-segretario. Nominato vescovo di Gaylord il 7 ottobre 2009, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 1° dicembre successivo. In seno alla Conferenza Episcopale, è membro del “Commitee on the Protection of Children and Young People” e del “Committee on Canonical Affairs and Church Governance”. Presso la Santa Sede è Consultore del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. È anche membro dell’Executive Board della “Caritas Internationalis”. Oltre l’inglese, parla l’italiano e conosce il latino, il francese e lo spagnolo.

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    Tweet del Papa: chiediamo a Dio la tenerezza di vedere i poveri con amore e senza calcoli

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Chiediamo al Signore – scrive - di avere la tenerezza che ci fa vedere i poveri con comprensione e amore, senza calcoli e senza timori”.

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    "La fede, la scienza, il male". La lettera di Benedetto XVI al matematico Odifreddi

    ◊   “La fede, la scienza, il male”. Gli argomenti di una lunga lettera del Papa emerito Benedetto XVI - pubblicata oggi parzialmente sul quotidiano La Repubblica - inviata allo scrittore e matematico Piergiorgio Odifreddi, con accanto un suo commento. Ce ne parla Roberta Gisotti:

    Tutto è iniziato dal libro di Odifreddi “Caro Papa ti scrivo” edito da Mondadori nel 2011, ispirato dalla lettura del saggio di Joseph Ratzinger “Introduzione al Cristianesimo”. La risposta di Benedetto XVI è arrivata per posta a casa del matematico il 3 settembre scorso. In una busta sigillata, 11 pagine protocollo, datate 30 agosto dal Papa emerito, che ringrazia per il confronto “leale” e premette di avere un giudizio piuttosto contrastante sul libro di Odifreddi, letto – scrive - in alcune parti con godimento e profitto”, ma pure meravigliato in altre parti “di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione”. E’ d’accordo Benedetto XVI con Odifreddi che la matematica sia la sola ‘scienza’ nel senso più stretto della parola, ma chiede al matematico di riconoscere che la teologia ha prodotto risultati notevoli “nell’ambito storico e in quello del pensiero filosofico”, sottolineando che funzione importante della teologia “è quella di mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione”, tenuto conto che “esistono patologie della religione e - non meno pericolose – patologie della ragione”. Puntualizza poi il Papa emerito che “se non è lecito tacere sul male della Chiesa non si deve però tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli.” Ed “ è vero anche che oggi la fede spinge molte persone all’amore disinteressato, al servizio per gli altri, alla sincerità e alla giustizia”. Ma lo scontro intellettuale tra Ratzinger e Odifreddi si consuma su altro. “Cio che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del suo rango scientifico”, scrive il Papa emerito al matematico. C’è poi il tema dell’abuso di minorenni da parte di sacerdoti, di cui “posso prenderne atto solo con profonda costernazione”, afferma Ratzinger, rivendicando: “mai ha cercato di mascherare queste cose”. E “che il potere del male penetri fino al tal punto nel mondo interiore della fede”, non dovrebbe in ogni caso portare “a presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo”, sebbene non sia “motivo di conforto” sapere che “la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili.” Riconosce infine Benedetto XVI che la sua critica al libro di Odifreddi “in parte è dura”, “ma del dialogo fa parte la franchezza”, perché conclude “solo così può crescere la conoscenza”.

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    Cortile dei Gentili con i giornalisti. Il card. Ravasi: verità e parola al centro dell'incontro

    ◊   Nuovo appuntamento romano per il ‘Cortile dei gentili’, la struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti gestita dal Pontificio Consiglio della Cultura. Domani al Tempio di Adriano, in Piazza di Pietra, va in scena ‘Il Cortile dei giornalisti’ con l’intento di stabilire una prima riflessione tra operatori dell’informazione credenti e non credenti su varie tematiche. Protagonisti saranno, questa volta, alcuni dei più importanti direttori della carta stampata. Ad aprire l’incontro un dialogo tra il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, e il presidente del dicastero della cultura, cardinale Gianfranco Ravasi che - al microfono di Fabio Colagrande – riassume le principali tematiche di questo nuovo ‘Cortile’ e riflette sull’attuale rapporto fede e giornalismo:

    R. – La riflessione più suggestiva credo si possa condurre prima di tutto sulla categoria “verità”, che è una delle categorie fondamentali, anche, nell’interno della comunicazione stessa. Un altro capitolo è il capitolo della “persona”, perché naturalmente viene coinvolta nella comunicazione la persona, qualche volta anche in maniera aggressiva, e quindi sarà da riflettere anche su una sorta di deontologia della comunicazione. Un terzo motivo di riflessione riguarda proprio la “dimensione religiosa”: il fenomeno religioso è diventato ormai sempre più incisivo, sempre più interessante in questi ultimi tempi, soprattutto da quando è emersa sulla scena la figura di Papa Francesco. E da ultimo, io direi anche: ritornare ancora a riflettere sul valore della “parola”. E questo è uno degli ambiti in cui credenti e non credenti si ritrovano, perché da un lato la religione ebraico-cristiana, soprattutto la cristiana, ha in principio la “parola”: la grande analogia, la grande via per parlare di Dio è quella della parola. E nel mondo dei laici, la parola è pur sempre il grande tramite della comunicazione culturale.

    D. – A conferma di quanto lei dice, proprio alla vigilia di questo Cortile dei giornalisti, un quotidiano italiano, che recentemente aveva pubblicato una lettera di Papa Francesco, pubblica un articolo del Papa emerito che, con una lettera, risponde a Piergiorgio Odifreddi. Come interpretare questa scelta di Benedetto XVI, e come leggere le sue parole rivolte a questo matematico?

    R. – Abbiamo assistito certamente, in questi ultimi giorni, ad un evento abbastanza straordinario, qualcosa che non era nella prassi comune. Infatti, due Pontefici – il Pontefice emerito e l’attuale – sono intervenuti direttamente nell’arena della comunicazione di massa, soprattutto di quella giornalistica. Per quanto riguarda Odifreddi, in maniera particolare, vorrei sottolineare il fatto che non si tratta semplicemente di un dialogo di tipo giornalistico, ma si tratta di una riflessione sistematica che il Papa ha fatto su un testo che era anche provocatorio, che era un testo molto discutibile in alcuni suoi ambiti, e con molta accuratezza cerca di individuarne i nodi fondamentali. Questo, a mio avviso, diventa anche una lezione, non soltanto per noi che operiamo nel mondo della cultura, ma anche per la pastorale in senso lato. Sarà necessario non temere di entrare nella piazza, di entrare nel groviglio della comunicazione attuale da parte del Pastore o da parte, comunque, del credente, portando le ragioni della sua speranza, le ragioni della sua fede. Sottolineo proprio la dimensione “ragioni”, cioè le sue motivazioni, perché abbiano ad essere ascoltate.

    D. – Come giudicare dunque la scelta del Papa emerito che scrive a Odifreddi “Le sue opinioni su Gesù non sono degne del suo rango scientifico”, ma anche parole di apprezzamento per l’atteggiamento di dialogo del matematico?

    R. – Io penso che proprio il Cortile dei Gentili che noi abbiamo costituito e che celebreremo in forme diverse, si può dire, ormai in tutto il mondo, abbia proprio questa duplice caratteristica costante, che è bene espressa proprio da questo testo di Benedetto XVI. Non dimentichiamo mai che il Cortile dei Gentili è nato direttamente su una sua sollecitazione in un discorso tenuto alla Curia Romana. Ebbene, da un lato il confronto deve avere la qualità di un confronto nobile, alto. Per questo credo che nell’interno del libro discutibile di Odifreddi sia stato importante identificare anche quei nodi che avevano una loro dignità, anche dal punto di vista religioso. Quindi, un confronto che sia un confronto condotto con la qualità delle argomentazioni, con la nobiltà – anche – dell’intelligenza che si interroga. Dall’altra parte, però, è fuor di dubbio che il confronto, ad un certo momento, debba essere, se è dialogo, anche riconoscimento delle diversità che esistono, e quindi deve avere anche, in certi momenti, una sorta di incandescenza che non è quella del sarcasmo, come purtroppo alcune volte era accaduto con Odifreddi, ma con un rigore, con una fermezza per cui i due presentano la loro identità e, se l’identità di uno merita un giudizio negativo, esso dev’essere espresso in una forma diretta, immediata e efficace.

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    Visita del cardinale Tauran in Kazakhstan

    ◊   Celebrare il decimo anniversario del Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali: con questo obiettivo, dal 20 settembre, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, è in Kazakhstan, dietro invito di Kairat Mami, presidente del Senato del Paese e capo del Segretariato del Congresso stesso. Nel corso della visita, è previsto anche un incontro del porporato con la Chiesa locale. Promosso sin dal 2003 dal presidente kazako Nazarbayev, il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali rappresenta un’importante istituzione di dialogo interreligioso. La sua prima edizione si tenne ad Astana e l’allora pontefice Giovanni Paolo II inviò un messaggio in cui auspicava che l’iniziativa aiutasse a promuovere il rispetto della dignità umana e la tutela della libertà religiosa. Il Congresso si svolgerà, poi, ogni tre anni e vedrà sempre la partecipazione dei una delegazione vaticana. Paese a maggioranza musulmana, in cui i cattolici sono meno del 2% della popolazione, il Kazakhstan ha allacciato rapporti diplomatici con la Santa Sede il 17 ottobre 1992. Sei anni dopo, il 24 settembre 1998, veniva siglato un accordo tra le due parti che garantiva i diritti ed i doveri dei cattolici nel Paese ed i diritti e gli obblighi dello Stato nei loro confronti. Tra gli eventi più significativi degli ultimi anni, c’è sicuramente il viaggio in Kazakhstan compiuto da Giovanni Paolo II nel settembre del 2001, con il motto “Amatevi l’un l’altro”; l’udienza di Benedetto XVI al capo di Stato Nazarbayev nel settembre 2009; la visita nel Paese compiuta dal segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, nel dicembre 2010, e la visita del card. Angelo Sodano, Decano del Collegio cardinalizio, a settembre 2012, in occasione della dedicazione della Cattedrale di Karaganda, intitolata alla Madonna di Fatima. Infine, lo scorso febbraio, una delegazione kazaka, guidata dal presidente del Senato, Mami, è giunta in Vaticano, dove ha partecipato all’udienza generale del Papa ed ha preso parte ad un incontro presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Per l’occasione, è stata presentata anche una mostra fotografica per commemorare e documentare l’attività decennale del Congresso, con le sue quattro Assemblee internazionali svoltesi finora. Proprio per l’appoggio dato dalla Santa Sede a queste iniziative di dialogo e di pace, sono stati insigniti di onorificenze della Repubblica del Kazakhstan i cardinali Tauran e Lajolo, e mons. Khaled Akasheh, officiale del dicastero vaticano per il Dialogo interreligioso. (A cura di Isabella Piro)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato.

    Per non dimenticare le lacrime di Maaloula: Manuel Nin sul piccolo villaggio siriano che custodisce il sepolcro di santa Tecla, e dove sono in corso combattimenti.

    La faccia triste del lavoro: nel servizio internazionale, l'Ilo denuncia la condizione di 168 milioni di bambini lavoratori, sfruttati in tutto il mondo.

    Ancora campione: in cultura, Adam Smulevich su Gino Bartali dichiarato Giusto fra le Nazioni dallo Yad Vashem.

    Dialogo a distanza: la lettera di Benedetto XVI al matematico Piergiorgio Odifreddi.

    Equilibrata e coraggiosa sinfonia del pensiero: Nicola Ciola ricorda Marcello Bordoni, prete e teologo romano.

    È come uccidere l’intera umanità: nel servizio religioso, gli ulema pakistani condannano la strage alla chiesa anglicana di Peshawar.

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    Oggi in Primo Piano



    Iran: attesa per il discorso di Rohani all'Onu. Nessun incontro con Obama

    ◊   Grande attesa per il discorso che il presidente iraniano Rohani pronuncerà, oggi, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York. Rohani afferma di voler ricucire i rapporti con l'Occidente e il suo intervento avrà – secondo indiscrezioni - toni moderati, ben diversi dalle invettive del suo predecessore Ahmadinejad, che minacciava di "cancellare Israele dalle mappe". Eppure, proprio la delegazione israeliana ha annunciato che lascerà la sala nel momento in cui prenderà la parola. Come definire questo nuovo corso della Repubblica Islamica? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Farian Sabahi, cultore della materia in Storia dei Paesi islamici presso l’Università di Torino:

    R. - E’ un nuovo corso, dove ayatollah e pasdaran fanno di necessità virtù: quindi la parola d’ordine è pragmatismo, opportunismo, interesse nazionale. Diciamo che le sanzioni internazionali hanno causato un isolamento dell’Iran e hanno dato un colpo durissimo all’economia e alla finanza della Repubblica Islamica. Oggi, per l’Iran, si tratta di rompere questo isolamento, di risollevare l’economia e soprattutto di salvare la faccia. Quindi, l’importante è che l’Occidente dia un qualche ruolo all’Iran in Medio Oriente e ci sia rispetto di fatto.

    D. - Negli anni scorsi, molti rappresentanti occidentali uscivano dall’aula quando Ahmadinejād parlava all’Onu: questa volta potrebbe essere solo Israele a disertare il suo intervento. Eppure, proprio con Israele, Rohani ha mostrato - almeno nell’intenzione - un atteggiamento piuttosto costruttivo…

    R. - Sì un atteggiamento costruttivo, anche perché ad accompagnare Rohani a New York non è soltanto il ministro degli Esteri Zarif, ma anche un deputato ebreo: questo per dimostrare che l’Iran rispetta le minoranze religiose, in particolare la minoranza ebraica, ma nell’intervista su Nbc, Rohani ha detto di non essere uno storico, ma un politico: quindi non ha risposto in modo esauriente alla domanda sull’Olocausto. Certo è che Ahmadinejad parlava non tanto all’Occidente, ma agli arabi e per questo aveva detto tante cose con un tono pro-palestinese e poi era di fatto "sfuggito di mano" a Khamenei. Quindi, l’esigenza di rompere l’isolamento internazionale c’era da tempo ai vertici della Repubblica Islamica, il problema è che né il leader supremo, né Washington erano disposti a dare questa soddisfazione, a concedere questo risultato al presidente uscente Ahmadinejad. C’è voluto un uomo nuovo, in questo senso.

    D. - Che tipo di ruolo può svolgere l’Iran nella crisi siriana, anche in vista della mediazione proposta dallo stesso Rohani?

    R. - Se l’amministrazione Obama è disponibile nei confronti dell’Iran è perché Rohani non è Ahmadinejad: Rohani è più forte di Ahmadinejad, perché è stato eletto senza brogli e senza quella repressione durissima che avevamo visto nel 2009; e, poi, perché è appoggiato da Khamenei - ricordiamo che è il leader supremo a fare politica estera e politica nucleare in Iran - ma anche perché Washington ha di fatto bisogno di Teheran per pacificare la Siria e poi anche per pacificare il Libano, l’Iraq e il Bahrain. Quindi il ruolo dell’Iran sarà fondamentale a Damasco. Resta, però, da vedere come si muoveranno Israele e i Paesi del Golfo. I Paesi del Golfo sono monarchie sunnite che si sono riunite nel Consiglio di cooperazione del Golfo e non vedono certo di buon occhio l’emergere di un accordo tra Teheran e Washington: Teheran è un Paese, un colosso sciita che fa tanto paura ai Paesi del Golfo, che sono più piccoli e sono sunniti.

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    Egitto: bandite tutte le attività pubbliche dei Fratelli Musulmani

    ◊   Tensione in Egitto. Il tribunale del Cairo ha deciso di bandire tutte le attività pubbliche dei Fratelli Musulmani e delle organizzazioni associate. Prevista la confisca dei beni e la chiusura di tutte le sedi. Il portavoce della Fratellanza ha definito la decisione dei magistrati ''corrotta'' e ''politicamente immotivata'' e ha fatto sapere che il movimento islamico presenterà ricorso contro la sentenza. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Claudio Lo Jacono direttore della rivista "Oriente moderno":

    R. – Non è la prima volta che in Egitto i Fratelli Musulmani sono messi al bando. C’è stato come un alternarsi, nel corso di questi ultimi 60 anni: da che i militari, nel 1952, hanno preso il potere trasformando l’Egitto in una repubblica. C’è sempre stata un’alternanza di tolleranza ed autorizzazione ad agire come forza politica e momenti di chiusura, dovuti molto spesso alle attività extraparlamentari dei Fratelli Musulmani. Anche oggi è così: proseguono a contrapporsi con la giustificazione che è stato messo in prigione un presidente legittimamente eletto. Contestazioni però anche con mezzi violenti che la popolazione e l’esercito non possono assolutamente tollerare.

    D. – Questa decisione del tribunale del Cairo di bandire tutte le attività pubbliche dei Fratelli Musulmani, che ricadute potrà avere?

    R. – Saranno sicuramente ricadute negative: i Fratelli Musulmani godono di un ampio sostegno non solo popolare ma anche negli strati della borghesia egiziana. Non c’è dubbio che questa situazione sia molto, molto grave. La via costituzionale a un nuovo riassetto sembra difficilissima da perseguire, e in questo senso si sono espressi negativamente sia gli Stati Uniti sia l’Europa.

    D. – Secondo lei, c’è rischio di nuove violenze?

    R. – Sì. Credo che ci sia questo rischio, perché numericamente non sono pochi i Fratelli Musulmani. Certamente voglio sperare che la massima parte di loro possa accettare un dialogo; ma ci sono in questa organizzazione frange minoritarie che hanno originato movimenti violenti, in alcuni casi addirittura terroristici.

    D. – La comunità internazionale dovrebbe intervenire in qualche modo?

    R. – Dovrebbe intervenire, ma sull’Egitto possono avere presa soltanto gli Stati Uniti che controllano il debito militare del Paese. Gli Usa possono garantire sovvenzionamenti importanti per opere di ricostruzione economica, purché la situazione sia calma.

    D. – I militari continuano ad avere il pugno di ferro: l’ex presidente Morsi parla di arresto illegittimo. Qual è l’orizzonte?

    R. – Si deve arrivare a votare una nuova Costituzione, dalla quale vengono allontanati tutti glli elementi di islamizzazione forzati dal presidente Morsi, in modo che si possa riavviare un lento recupero della normalità, anche se gli strascichi saranno pesanti a lungo termine.

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    Siria. Attentato a Damasco: almeno 7 morti

    ◊   E' di almeno sette morti e 15 feriti il bilancio dell'esplosione di un'autobomba a Tadamon, un quartiere meridionale di Damasco. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani. I responsabili dell'attacco, secondo l'emittente televisiva di Stato, sono le forze ribelli dell'opposizione al regime di Assad. Da mesi il quartiere di Tadamon è un campo di battaglia per il conflitto tra i ribelli e le forze governativo, e l'esplosione è avvenuta in uno dei pochi punti ancora controllati dall'esercito siriano. Intanto, è stato confermato il sequestro dell’inviato di El Periodico, Marc Margineda. Tutto questo mentre all’Assemblea generale dell'Onu i leader stanno discutendo sulla possibile risoluzione sulla Siria. Mosca ipotizza un accordo entro questa settimana. Il nodo è il riferimento all’uso della forza. Fausta Speranza ne ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – Visto che l’uso della forza è stato in forse, o meglio, c’è stato un effetto elastico tra "attacchiamo-non attacchiamo", soprattutto quando si tratta dell’Onu bisogna stare attenti a giustificare l’adozione degli articoli preposti all’uso della forza. La Russia si sta impegnando sempre di più in questa operazione internazionale e fa le debite pressioni anche sul regime di Assad perché gli impegni presi vengano rispettati. Se questo è lo scenario, continuare ad insistere sull’uso della forza mi sembra quantomeno inopportuno. Credo che i siti, in un modo o nell’altro, fossero conosciuti: quindi, si sapeva che la Siria aveva le armi chimiche, probabilmente una parte dei siti era conosciuta … Ora, credo che Assad abbia preso un impegno forte con il suo protettore del Nord, cioè la Russia, e quindi qualsiasi atteggiamento, qualsiasi azione debba intraprendere o si consulta con Mosca, o deve stare molto attento a come si comporta: Assad ha troppi occhi puntati addosso! Quelli degli Stati Uniti, quelli francesi, che sono anche quelli dell’Iran, alleato storico e che è interessato ad entrare nel processo di pace … A Sud c’è Israele … Quindi, deve fare particolare attenzione, in questo momento, a cosa farà e a qualsiasi tipo di atteggiamento deciderà di intraprendere.

    D. – Bisogna dire però che mentre i “grandi” discutono, l’Unicef lancia un appello per qualcosa di molto concreto: cioè, servirebbero corridoi umanitari per salvare civili e bambini …

    R. – E’ un problema che è sorto fin dall’inizio della guerra civile. Basti pensare ai campi profughi installati rapidamente nel momento in cui si è creata la questione dei profughi. Se il problema dei bambini o delle donne, o dei profughi in generale, era serio già all’inizio, figuriamoci adesso, dopo due anni di guerra civile!

    D. – Si parla dei profughi fuori degli altri Paesi, invece sembra molto più difficile avere il controllo della situazione nel Paese. Si continua a morire – decine di morti nelle ultime 24 ore – e una situazione sostanzialmente di mancanza di controllo del territorio: è così?

    R. – E’ così: sembrava da un po’ di tempo che il potere centrale stesse cominciando a ricontrollare il territorio; questo, naturalmente, ha portato a contrattacchi da parte dei ribelli e questo porta ad una totale instabilità sul terreno, e la totale instabilità e l’insicurezza sul terreno portano ad un incremento di gente che fugge. Quindi, è ancora più complicato poter gestire la questione. Da un punto di vista strettamente militare, in questo momento non si sa di preciso come stanno andando le cose. Se l’esercito siriano sembrava aver ripreso il controllo in varie roccaforti, in vari capisaldi dei ribelli, adesso, anche per non esasperare la situazione militare, il regime di Assad mostra serie difficoltà sul campo.

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    Onu: ancora 10 anni per affrontare la crisi climatica mondiale

    ◊   Dalla bozza del nuovo rapporto dell’Osservatorio Onu per i cambiamenti climatici, l'Ipcc, emerge un tempo limite di 10 anni prima che l’inquinamento causato dall’uomo abbia effetti irreversibili sul pianeta. Nel documento si legge che l’uomo è il responsabile di primo piano dei cambiamenti climatici e le prospettive per il futuro sono drammatiche. Per interpretare questi dati, Davide Pagnanelli ha intervistato Giampiero Maracchi, bioclimatologo del Cnr:

    R. - Quello che è successo negli ultimi 20 anni è già molto rilevante. Per quanto riguarda il futuro la scienza climatica oggi usa modelli che sono sempre più affidabili ma che non permettono di fare previsioni certe su quello che sta succedendo. Io quindi prenderei con molta cautela questo rapporto dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), nel senso di non andare verso il catastrofismo. È indubbio che bisogna agire, è indubbio che fino ad ora i cambiamenti climatici - se si guarda ai dati anche delle grandi compagnie di assicurazioni - hanno creato moltissimi danni: nel nostro Paese paghiamo tutti gli anni mediamente dai due ai tre miliardi di euro per gli eventi negativi di tipo climatico e meteorologico. Quindi, non si deve abbassare la guardia anzi bisogna agire perché finora è stato fatto molto poco, dal ’97 in poi.

    D. – Quali sono le responsabilità dell’uomo nei cambiamenti climatici?

    R. – In questi ultimi 100 anni è stata bruciata senz’altro una quantità non indifferente di combustibili fossili, i quali hanno modificato il contenuto dei gas dell’atmosfera; Co2 ma così anche altri fenomeni – come il metano e ossidi di azoto – perciò è facile calcolare cosa significano per il bilancio termico terrestre. Il contributo dell’uomo è quindi importante.

    D. – Quali saranno gli effetti di un aumento significativo della temperatura globale?

    R. – Ci sono già alcuni effetti. Abbiamo quattro fenomeni importanti: le piogge intense che sono aumentate di nove volte rispetto agli anni ‘60-’90; siccità in tutto il mondo con eventi gravi in tutte le regioni; ondate di freddo ed ondate di calore estivo, perché anche questi ultimi sono fenomeni da non sottovalutare. Quindi, abbiamo questi quattro tipi di eventi che comportano tutti, da un punto di vista economico, enormi rischi ed enormi spese.

    D. – Quali sono le vie di miglioramento percorribili?

    R. – Un modello diverso di economia rispetto a quello che abbiamo avuto fino a questo secolo. Quindi, un’economia più sostenibile anche se mi rendo conto che, con la crisi globale, non sia proprio un momento dei più facili. Questo vuol dire quindi cambiare complessivamente tutti i meccanismi ma la strada è questa, un modello sostenibile vuol dire: materie prime provenienti prevalentemente dall’agricoltura con processi di carattere naturale in particolare la fotosintesi, risparmio energetico, energie pulite e non combustibili fossili.

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    Il card. Bagnasco: ogni atto irresponsabile passerà al giudizio della storia

    ◊   Per favorire l’occupazione serve un'"intensa e stabile concentrazione di energie, di collaborazioni". Lo ha detto ieri il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione del Consiglio Episcopale Permanente. Per il porporato “ogni atto irresponsabile – da qualunque parte provenga – passerà al giudizio della storia”. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il lavoro è la principale emergenza dell’Italia. Il cardinale Bagnasco chiede che si facciano passi concreti su questo fronte perché se è vero che “grande impegno viene profuso dai responsabili della cosa pubblica”, i “proclamati segnali di ripresa non sembrano dare, finora, frutti concreti sul piano dell’occupazione che è il primo, urgentissimo obiettivo”. Serve dunque la massima concentrazione da parte di tutti i soggetti in campo:

    "Ogni atto irresponsabile – da qualunque parte provenga – passerà al giudizio della storia. Concentrazione che porti risultati sensibili per chi vive l’ansia del lavoro. Insieme si può! E si deve!".

    Il cardinale Bagnasco ricorda le parole del Papa da Cagliari proprio sul lavoro. E poi torna a sottolineare che il vero motore del Paese è la famiglia, “fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, grembo della vita, cellula sorgiva di relazioni, primordiale scuola di umanità”. E “nessuno dovrebbe discriminare, nè tanto meno incriminare in alcun modo, chi sostenga ad esempio che la famiglia e' solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio”. La famiglia ha bisogno di essere considerata di più, anche con l’introduzione del “fattore familiare”:

    "La gente guarda attonita, teme che i suoi sacrifici vengano buttati via e ogni giorno spera ancora che appaia qualche spiraglio realistico che faccia intravvedere il nuovo giorno; ma questo deve essere visto da tutti, non annunciato da pochi".

    Un ricordo poi della GMG di Rio. Il Santo Padre - dice il card. Bagnasco - ha anche insistito perché si ristabilisca il dialogo tra i giovani e gli anziani, che sono i due estremi della società e che rischiano di essere scartati.

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    Seminario al Salesianum sulla “Filialità", tema d’attualità nel dibattito sull’identità uomo-donna, padre-madre

    ◊   “Un percorso audace, che richiede discernimento e sapienza, quello che iniziamo”: cosi, la preside della Pontifica Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Pina Del Core, in apertura ieri pomeriggio, presso il “Salesianum” di Roma, del Seminario internazionale sul tema “Filialità”. L’incontro, organizzato in collaborazione con l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, proseguirà fino a sabato prossimo con la partecipazione di 200 delegate, educatrici in vari Paesi del mondo. Roberta Gisotti ha intervistato la prof.ssa Pina Del Core:

    R. - Abbiamo scelto questo tema perché è sì una categoria che interpella l’identità mariana del nostro Istituto, ma che interpella comunque l’identità umana e cristiana di ogni persona. In un tempo in cui stiamo vivendo una grave crisi di identità, che sta colpendo soprattutto i giovani, noi affrontiamo una questione complessa ma vitale: come l’identità e la filialità siano collegate insieme, proprio perché sono due compiti umani tra i più rilevanti. Questi due compiti umani si intrecciano con un altro compito e un’altra tematica complessa: la maternità e la paternità. Noi sappiamo che oggi queste categorie sono messe in discussione dalla nostra cultura. Ora, riflettere su questi aspetti - a mio parere - non è soltanto un vantaggio per l’identità di un Istituto educativo, soprattutto perché noi siamo consapevoli - anche a livello scientifico - che l’identità e la filialità sono la fonte più stabile di sicurezza e di armonia, di serenità nel vivere. Se non facciamo questa esperienza di filialità non possiamo neppure sviluppare una maternità e una paternità non solo consapevole, ma bella, ricca, piena. Infatti, nel ciclo vitale di ogni persona noi sappiamo che maternità e filialità si alternano. Cosa viene prima? Viene prima la maternità e poi la filialità, o il contrario? Viene prima l’io o il noi? Viene prima l’identità o l’appartenenza?

    D. - Un Seminario internazionale e interdisciplinare che - possiamo dire - è anche un risposta all’attacco pervasivo in atto nelle società occidentali appunto dell’identità stessa dell’uomo e della donna, della concezione di genitorialità, di famiglia. Effettivamente, c’è molto sconcerto nell’opinione pubblica di fronte ad un attacco che passa sopra le nostre teste …

    R. - È importante mettere alla base una riflessione di tipo antropologico e di tipo psicologico, perché dobbiamo vedere come nel ciclo vitale della persona si sviluppa questa categoria. Poi c’è certamente un approccio biblico teologico che ci fa vedere come in fondo Gesù è figlio di Maria, e Maria è la madre. Il Seminario poi punterà soprattutto ad individuare dei percorsi educativi.

    D. - Quindi un seminario che non finisce nei giorni di lavoro qui a Roma, ma che dovrà dare frutti futuri …

    R. - Avrà i suoi risvolti in tutto il mondo. Infatti i partecipanti a questo congresso vengono da tutti e cinque i continenti, laddove noi operiamo come salesiane e come Figlie di Maria Ausiliatrice. Senz’altro, attraverso le esperienze – anche laboratoriali – si dovranno valutare come nei diversi contesti si possono tradurre dei percorsi educativi inculturati nell’oggi. Ci auguriamo che il Seminario possa dare un contributo valido, al di là di quella che è la nostra missione educativa, anche al mondo della cultura.

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    Celebrazioni per il 1700.mo anniversario dell'Editto di Costantino: interviste con mons. Hocevar e Marko Nikolic

    ◊   Il dialogo tra le Chiese di Oriente ed Occidente rappresenta una condizione indispensabile per il processo di riconciliazione tra i popoli della ex Yugoslavia e dei Balcani. Ne è convinto mons. Stanislav Hocevar, arcivescovo metropolita di Belgrado. A conclusione delle celebrazioni avvenute a Nis, nella Serbia meridionale, in occasione del XVII centenario dell’Editto di Costantino, mons. Hocevar interviene sui prossimi sviluppi ecumenici in Serbia all’indomani della visita nel Paese dell’inviato speciale del Papa, cardinale Angelo Scola. L’intervista è di Stefano Leszczynski:

    R. - È stato molto importante attualizzare l’Editto di Milano ed attualizzarlo per le nostre circostanze in cui risulta molto importante specialmente la promozione della riconciliazione ed un nuovo desiderio per l’unità dei cristiani. Ecco perché abbiamo organizzato la celebrazione conclusiva in questo senso: i giovani dovrebbero essere portatori di questa nuova visione.

    D. – Secondo lei l’Europa, quindi l’avvicinamento all’Europa, quanto potrebbe rafforzare l’unione tra i cristiani dei Paesi balcanici?

    R. – Quanto più l’Europa sarà unita, quanto più sarà matura la politica dell’Europa e specialmente quanto più sarà forte e profondo il cristianesimo in Europa tanto più si promuoverà anche l’unità tra i cristiani. Non possiamo dimenticare che solo quando collaborano ambedue queste dimensioni – quella politica sociale e quella religiosa e morale – tanto più anche l’unità dei cristiani sarà rafforzata. L’unità dei cristiani è la “grazia” più alta, più preziosa, e per poter arrivare a questa piena unità deve maturare la “totalità della vita”: non possiamo essere uniti soltanto ad un livello ma lo dobbiamo essere integralmente. Ecco perché è molto importante che l’Europa cresca e che abbia una nuova apertura verso l’Oriente; e che l’Oriente cresca nella sua identità.

    Il tema dell’ecumenismo e dell’unità tra le Chiese sorelle di Oriente e Occidente è fortemente presente anche nella comunità serbo-ortodossa come strada maestra per rilanciare i valori cristiani nelle società balcaniche e in un’ottica europea. Come spiega al microfono di Stefano Leszczynski il dottor Marko Nikolic, ricercatore presso l’Istituto di Politica ed economia internazionale di Belgrado ed autore di un libro sull’ecumenismo in Serbia:

    R. – E’ molto importante il concetto del fenomeno dell’ecumenismo, sia a livello teorico che a livello pratico, per la società serba; perché questo concetto supporta il fenomeno del dialogo inteso come valore. L’ecumenismo è molto importante anche per il processo di integrazione della Serbia nella Comunità europea, nell’Unione Europea.

    D. – L’ecumenismo, e quindi l’unità dei cristiani, sono precondizioni secondo lei per arrivare ad un dialogo interreligioso; o è necessario portarle avanti contemporaneamente a questa iniziativa?

    R. – Dipende di quale livello parliamo: prima di tutto secondo me è più importante migliorare il dialogo intercristiano e poi “imparare” anche il dialogo interreligioso.

    D. – Perché viene ritenuto così importante l’ambito ecumenico per il rafforzamento della democrazia e per un maggiore sviluppo anche delle istituzioni secolari del Paese?

    R. – Perché i valori cristiani sono i fondamenti di ogni dialogo. Per questo è molto importante promuovere tali valori cristiani anche nelle società - nell’area economica e politica – affinché ci siano le condizioni per un processo integrativo, ma anche al fine dell’evangelizzazione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: preghiere e proteste dei cristiani dopo la strage alla chiesa anglicana di Peshawar

    ◊   Veglie di preghiera nelle chiese, protesta per le strade, chiusura delle scuole e dei negozi in segno di lutto. Così i cristiani pakistani hanno espresso amarezza e shock dopo l’esplosione di due bombe nella chiesa anglicana di Tutti i Santi, domenica scorsa a Peshawar. Secondo dati giunti a Fides, il bilancio aggiornato o è 82 morti, fra i quali 34 donne e 7 bambini, e 145 feriti. Come appreso dall'agenzia Fides, ieri nelle maggiori città pakistane come Islamabad, Lahore, Karachi e Peshawar, cortei pubblici di fedeli hanno chiesto alle autorità maggiore protezione, ricordando di essere “pienamente cittadini del Pakistan”. A Karachi, con grande disappunto di leader religiosi, sono scoppiati dei tafferugli fra cristiani e musulmani al di fuori di una moschea e un uomo è morto. Come riferito a Fides, i vescovi hanno invitato i fedeli “ad avere pazienza, a mantenere la calma e non trasformare, per nessun motivo, il disappunto in violenza”. A Islamabad, ieri mattina oltre 600 manifestanti hanno bloccato una strada principale per diverse ore, mentre circa 2.000 persone si sono radunate con slogan di protesta fuori dal Parlamento. A Peshawar, luogo della strage, circa 200 manifestanti sono scesi in strada, bloccando l’arteria principale della città, la Grand Trunk Road, mentre un gruppo di 100 fedeli ha installato un presidio davanti alla Chiesa di Tutti i Santi, chiedendo “giustizia e protezione”. Le vittime dell'attacco sono state sepolti in vari cimiteri della città, mentre il governo della provincia di Khyber Pakhtunkhwa (di cui Peshawar è la capitale) ha annunciato tre giorni di lutto in tutto il territorio provinciale. Tutte le istituzioni educative e le attività commerciali dei cristiani sono rimaste chiuse in segno di lutto e raduni e veglie di preghiera si sono svolte anche a Nowshera e Bannu, altre città della provincia. A Hyderabad, nella provincia del Sindh (Pakistan meridionale) una veglia ecumenica di preghiera è stata presieduta nella cattedrale di San Tommaso dai vescovi Kaleem John (anglicano) e Maxi Rodrigues (cattolico): erano presenti anche molti fedeli musulmani, che hanno espresso simpatia e solidarietà ai cristiani. Mons. Sebastian Shah, arcivescovo di Lahore, e mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, hanno visitato i feriti ricoverati negli ospedali e pregato per le vittime. I prelati - riferisce l'agenzia Fides - invitano i manifestanti a dimostrare in modo pacifico ed evitare danni ai beni pubblici. Mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale, parla di "problema politico" e spiega che tocca all'esecutivo, non ai leader religiosi, decidere se è il caso di intavolare dialoghi con i talebani o procedere con un'offensiva militare. (R.P.)

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    Kenya: le Chiese condannano l'assalto al Westgate di Nairobi e invitano alla preghiera

    ◊   Una condanna unanime della strage compiuta sabato scorso a Nairobi, all’interno del Centro commerciale del Westgate, da terroristi islamici somali del gruppo Shabaab, e che ha provocato la morte di oltre 60 persone. A lanciarla, sono la Conferenza episcopale del Kenya (Kccb), il Consiglio nazionale delle Chiese del Paese (Ncck) e la Provincia dei gesuiti dell’Africa orientale. “Condividiamo la sofferenza dei nostri fratelli e sorelle che hanno perso i loro cari nell’attacco”, scrivono i vescovi cattolici, parlando di “terribile tragedia” e sollecitando il governo affinché “giustizia sia fatta”. Quindi, i presuli chiedono alla popolazione locale di manifestare “spirito di unità”, restando vicina “ai fratelli e sorelle bisognosi di aiuto in questo momento difficile”, in un’ottica di “solidarietà”. Allo stesso tempo, la Chiesa cattolica di Nairobi esprime apprezzamento “per il supporto offerto dalle nazioni straniere in un fase così complessa per il Paese”. Infine, la Kccb prega il Signore affinché “converta i cuori di chi ha commesso il male”. Sulla stessa linea anche i Gesuiti della Provincia orientale dell’Africa, che parlano di “odioso attacco” e chiedono al governo di porre fine alla “sempre più ampia” minaccia terroristica. Pregando per le vittime e per i loro familiari, i gesuiti del continente ribadiscono che “in Kenya come nel resto del mondo, atti terroristici simili minano i valori fondamentali delle vita che la Chiesa cerca di promuovere”. Di qui, la sottolineatura forte sulla necessità di rilanciare l’impegno per “la pace e la giustizia” e di pregare per il Kenya. Dal suo canto, anche il rev. Peter Karanja, segretario generale del Ncck, esprime le sue condoglianze per le vittime degli scontri e prega per “il conforto e la consolazione” dei sopravvissuti. Parole che trovano eco nella dichiarazione diffusa dall’Associazione internazionale per la libertà religiosa (Iarf) – organizzazione caritativa interreligiosa – in cui si afferma che “tale attacco odioso non dovrà dividere il Kenya in fazioni religiose”. “Questo attentato, assolutamente inaccettabile – scrive ancora la Iarf – è stato perpetrato da persone che non hanno rispetto per la vita umana e che pretendono di professare la fede”. Per questo, viene lanciato un appello a tutti i leader religiosi affinché “preghino insieme per la pace”. (A cura di Isabella Piro)

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    Siria: appello di aiuto per le suore e gli orfani di Maaloula. Sarebbero vivi i due vescovi rapiti

    ◊   Un messaggio disperato di aiuto dal cuore ferito della citta cristiana di Maaloula: il monastero di Santa Tecla dove sono rimaste bloccate le suore e i bambini dell’orfanatrofio, una quarantina circa di persone. Sono senza elettricità, acqua e cibo e lanciano un Sos alla Croce Rossa siriana e internazionale - riferisce l'agenzia Sir - perché invii convogli speciali di approvvigionamento che possano garantire loro la sopravvivenza, soprattutto ora che colpi di arma da fuoco hanno danneggiato il generatore elettrico impedendo così anche l’arrivo dell’acqua nel monastero. A lanciare per loro l’appello è il patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente. Il monastero si trova nella città di Maaloula. Dal 5 settembre, è una città fantasma, al centro di continui scontri a fuoco. Nessuno è rimasto. L‘unica presenza sono appunto le suore greco-ortodosse del monastero di S. Tecla che hanno scelto di restare per pregare e difendere il luogo sacro. “Lanciamo - scrive il patriarcato - un appello solenne e urgente alla Croce Rossa siriana e alla Croce Rossa Internazionale e a tutte le organizzazioni governative e non governative che si occupano di aspetti umanitari perché possano garantire i rifornimenti necessari agli abitanti del monastero”. “Questo permetterà loro di rimanere nel monastero e nella città come testimoni della loro appartenenza a questa terra che amiamo”. Intanto è giunta notizia che sarebbero ancora vivi i due vescovi rapiti ad Aleppo lo scorso 23 aprile: a riferirlo è la televisione libanese al Mayadeen, che ha citato il capo del comitato per la riconciliazione nazionale di Aleppo. “I due prelati ortodossi sono vivi e si trovano in territorio siriano. In questo momento sono in corso sforzi in corso per la loro liberazione’” ha detto lo sceicco Saleh al-Naimi. I due religiosi – il vescovo di Aleppo Gregorio Ibrahim, della Chiesa siro-ortodossa, e Paul Yazigi, di quella greco-ortodossa di Antiochia – sono stati rapiti mentre si trovavano nei pressi di Aleppo. Nessun gruppo armato ha da allora rivendicato il loro sequestro. (R.P.)

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    Congo: appello per un accordo di pace e sviluppo in Nord Kivu

    ◊   La piena attuazione dell’accordo di pace firmato lo scorso febbraio ad Addis Abeba, una rapida conclusione dei negoziati in corso a Kampala e un impegno rinnovato dei partner internazionali a favore dello sviluppo nell’est del Congo: è questo l’auspicio per il Nord Kivu giunto da New York dove ieri, a margine della 68a Assemblea generale che si apre oggi, si è tenuto un mini vertice sulla crisi annosa nell’est del Paese dei Grandi Laghi. I partecipanti alla riunione hanno da subito condannato “con fermezza la ripresa delle ostilità da parte del Movimento del 23 marzo (M23)”, che nelle scorse settimane ha colpito i Caschi blu della locale missione Monusco, e “i colpi d’obice caduti in territorio ruandese”. Il segretario generale Onu Ban Ki-moon ha chiesto alle parti coinvolte di “porre fine alle tensioni nella regione dei Grandi Laghi per rendere possibile la piena applicazione dell’accordo di Addis Abeba”. Il rispetto dell’intesa in questione, siglata da 11 Paesi africani con il sostegno delle Nazioni Unite, viene considerato cruciale per ristabilire la sicurezza nella ricca provincia mineraria teatro di un ventennale conflitto. “Rimane ancora molto da fare, in particolare per quanto riguarda l’interferenza negli affari interni dei Paesi vicini” ha detto l’inviata speciale dell’Onu nei Grandi Laghi, Mary Robinson, con un riferimento indiretto al coinvolgimento diretto del Rwanda e dell’Uganda nella ribellione dell’M23, attiva dal 2012 nell’est del Congo. A New York sono state definite nuove linee guida per monitorare il processo di attuazione dell’accordo politico, al quale hanno aderito anche il Kenya e il Sudan, facendo passare il numero dei firmatari a 13. Onu, Unione Africana e i governi di Congo, Angola, Burundi, Rwanda, Sudafrica, Sud Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia hanno anche auspicato una conclusione rapida dei colloqui aperti a Kampala lo scorso 10 settembre tra il governo di Kinshasa e l’M23, finora inconcludenti. Rivolgendosi ai donatori della comunità internazionale hanno chiesto di sostenere progetti di sviluppo destinati a donne e giovani “per creare sul terreno i frutti immediati della pace”. Si sarebbero intrattenuti “in modo amicale” i Presidenti rivali, il congolese Joseph Kabila e il ruandese Paul Kagame. Alla situazione della Repubblica Democratica del Congo l’Onu dedicherà un’altra riunione nei prossimi giorni a margine dell’Assemblea generale, per una prima valutazione dell’operato della brigata di intervento speciale attiva in Nord Kivu da poche settimane. (R.P.)

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    Cambogia: il parlamento approva il nuovo mandato a Hun Sen. L'opposizione diserta

    ◊   Il Parlamento cambogiano ha approvato un nuovo mandato quinquennale del Primo Ministro Hun Sen, leader del partito di governo Cambodian People's Party (Cpp) e guida del Paese da quasi 30 anni. L'Assemblea riunita a Phnom Penh - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha dato il via libera alla formazione del nuovo esecutivo, nonostante il boicottaggio dell'opposizione che protesta contro i presunti brogli che avrebbero caratterizzato le ultime elezioni politiche del luglio scorso. Hun Sen è al potere dal 1985. Di contro, il partito di opposizione Cambodia National Rescue Party (Cnrp) presieduto da Sam Rainsy, non partecipa ai lavori dell'Aula e continua a chiedere una "indagine indipendente" sul voto. La nuova nomina di Hun Sen alla guida dell'esecutivo giunge dopo settimane di proteste e stallo politico e parlamentare; nel suo discorso all'Assemblea, il leader ha parlato di "giorno storico per la Cambogia" e ha voluto sottolineare ancora una volta che le elezioni sono state "libere, oneste, giuste e trasparenti". Nell'incontro coi giornalisti, il capo storico del Cpp ha inoltre aggiunto che "le porte al negoziato per l'opposizione non sono chiuse", ma come pre-requisito vi è "l'accettazione del risultato elettorale e il giuramento" in Parlamento. Al voto di luglio il partito di governo ha conquistato 68 seggi su 123, mentre i restanti 55 sono appannaggio dell'opposizione. Il governo ha sinora respinto le richieste di una inchiesta indipendente; per questo il Cnrp annuncia "manifestazioni di massa a Phnom Penh e in tutto il Paese" per i prossimi giorni, per protestare contro il giuramento del 61enne premier Hun Sen. Dimostrazioni che si erano ripetute già a inizio mese e che hanno fatto registrare un morto negli scontri fra oppositori e forze della sicurezza. (R.P.)

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    Coree: la disperazione degli anziani del Sud dopo il no alle riunificazioni familiari

    ◊   La decisione di cancellare le riunificazioni fra le famiglie divise dalla Guerra di Corea, presa all'improvviso lo scorso 21 settembre dal regime di Pyongyang "ha distrutto dal punto di vista emotivo le persone coinvolte. Le abbiamo dovute chiamare tutte per annullare gli appuntamenti, e il loro dolore non può essere neanche descritto. È stato terribile". Lo dice Heo Jeong-gu, funzionario della Croce Rossa sudcoreana che guida l'ufficio dei candidati alle riunificazioni. Sono circa 73mila - riferisce l'agenzia AsiaNews - i sudcoreani che vogliono riabbracciare le proprie famiglie rimaste al Nord. Dei sopravvissuti alla guerra, il 9,3 % ha più di 90 anni; il 40,5 % più di 80 anni e il 30,6 % più di 70 anni. Di questi, circa 200 erano state già selezionate: le riunificazioni dovevano svolgersi fra il 19 settembre (il Chuseok, la "Festa del Ringraziamento" coreana) e il 21. Lee Seon-jong, 81 anni, era stato intervistato poco prima della marcia indietro di Pyongyang: "Sono così eccitato che non riesco a dormire. Ho due sorelle in Corea del Nord, e non sapete quanto mi mancano. Si tratta della mia ultima possibilità di rivederle". Subito dopo la cancellazione dell'evento ha avuto uno choc e la moglie, Ko Jae-hee, è stata costretta a ricoverarlo in ospedale: "Non mangia e non parla. Le sue condizioni peggiorano in continuazione". Cheung Hi-kyung, 80 anni, ha saputo dalla Croce Rossa che la madre e i fratelli erano morti: "Quando mi hanno scelto mi hanno però detto che mio nipote è ancora vivo. Ha 65 anni ed era felice di incontrarmi: le mie aspettative erano altissime, perché è l'unico mio familiare ancora in vita. Ora mi sento svuotato: la decisione di Pyongyang è incredibilmente crudele e dolorosa". (R.P.)

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    Thailandia. Allagate un quarto delle province del Paese: allerta inondazioni

    ◊   Dal mese di luglio scorso, oltre 600 mila tailandesi sono stati colpiti da gravi inondazioni e più di un quarto delle province sono rimaste allagate. Le autorità locali hanno lanciato l’allerta per le frane e avviato misure di sicurezza per l’evacuazione della popolazione. La stagione di monsoni più forti del normale ha colpito finora 21 province. Alcune zone della provincia di Ayutthaya, al nord della capitale, Bangkok, sono state sommerse fino a un metro di acqua. Nel villaggio di Ayutthaya, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, durante le forti alluvioni del 2011 sono stati distrutti e danneggiati molti templi antichi. Quest’anno hanno subito allagamenti diversi stabilimenti industriali ad Ayutthaya e in altre province nella pianura a nord di Bangkok. Allagate anche almeno 10 province nelle pianure centrali del Paese, principali aree di produzione di riso della Thailandia, ma ancora non si sa l’entità dei danni subiti. Le alluvioni si sono abbattute proprio nel periodo dei raccolti arrecando gravi danni alla produzione. In vista di ulteriori piogge, le autorità municipali come misure preventive hanno provveduto alla disposizione di sacchi di sabbia intorno ai negozi e alle abitazioni oltre ad aver fatto installare supplementari pompe d’acqua in molte zone. Nella provincia di Prachin Buri, 135 chilometri ad est di Bangkok, sono stati evacuati oltre 700 detenuti di una prigione, a causa dell’allagamento delle celle, e trasferiti in altri istituti vicini. Agli abitanti delle zone più basse è stato suggerito di spostarsi verso gli altipiani. (R.P.)

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    Cina: sei sacerdoti ordinati nella festa di S. Matteo ad Han Dan

    ◊   Essere disponibili al sacrificio e alla dedizione fino al martirio per difendere la Chiesa: con questi auspici la comunità della diocesi di Han Dan (Yong Nian) ha accolto 6 nuovi sacerdoti che sono stati ordinati il 21 settembre, festa dell’apostolo S. Matteo. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, la provincia dove si trova la diocesi di Han Dan, mons. Yang Xiang Tai, l’anziano vescovo diocesano, ha presieduto il rito dell’ordinazione presbiterale, mentre mons. Sun Ji Gen, vescovo coadiutore, ha celebrato l’Eucaristia concelebrata da 85 sacerdoti. Durante l’omelia don Zheng Rui Ping ha sottolineato che l’ordinazione presbiterale assumeva un significato particolare, visto che la Chiesa sta vivendo l’Anno della Fede. Tre dei nuovi sacerdoti provengono dallo stesso villaggio cattolico, ed è la prima volta che si verifica questa circostanza nella storia della diocesi. Inoltre uno di loro è figlio unico. Don Zheng Rui Ping ha spiegato anche il significato dei particolari ricami che sono stati realizzati sui camici dei sacerdoti novelli: per ricordare che i sacerdoti devono essere sempre pronti anche a versare il loro sangue per la Chiesa di Cristo. Secondo i dati del 2012, la diocesi di Han Dan (Yong Nian) conta 150 mila fedeli, 79 sacerdoti (oggi 85 con i 6 novelli presbiteri), oltre 200 religiose della congregazione della Consolazione dello Spirito Santo, centinaia di chiese, un seminario e diverse cliniche gestite dalle suore. (R.P.)

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    Turchia: 22 le scuole delle minoranze religiose. Nell'Impero Ottomano erano più di 6mila

    ◊   Le scuole appartenenti alle comunità minoritarie in territorio turco sono oggi soltanto 22, mentre negli ultimi anni dell'Impero Ottomano erano più di seimila. Lo scarto numerico eclatante è documentato in un recente dossier pubblicato dalla Fondazione per la Storia sociale e economica della Turchia (Tarih Vakfi) sui problemi vissuti nel passato e nel presente dalle istituzioni educative delle minoranze etniche e religiose radicate in Turchia. Secondo i dati raccolti nel dossier, pervenuti all'agenzia Fides, nella Turchia del 1894 le scuole appartenenti alle comunità minoritarie erano 6.437. Il loro numero scese drasticamente a 138 nei primi anni seguiti alla fondazione della Repubblica turca, quando la politica nazionalista del Comitato Unione e Progresso, mirante a costruire e imporre il modello unico del « cittadino turco », iniziò a ispirare la politica di espulsione dei gruppi minoritari. La mentalità nazionalista vedeva anche le scuole delle minoranze come fattori di ostacolo a tale processo di omologazione. Nell'attuale Turchia restano solo 22 scuole minoritarie. Di queste, 16 appartengono alla comunità armena, 5 alla comunità greca e una alla comunità ebraica. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 267

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