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Sommario del 23/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa a Cagliari invita i giovani a fidarsi di Gesù e il mondo della cultura a promuovere il dialogo
  • Mons. Miglio: Papa Francesco ha portato gioia alla gente della Sardegna
  • Bonanni: le parole del Papa sul lavoro siano spunto per un rinnovamento
  • Il Papa prega per il Pakistan. Due kamikaze uccidono oltre 80 persone in una chiesa di Peshawar
  • Tweet del Papa: "La Chiesa non ha altro senso e fine se non quello di testimoniare Gesù"
  • Udienze e nomine episcopali di Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La Merkel vince le elezioni, male i liberali e modesto risultato della Spd
  • Kenya: in corso a Nairobi il blitz dell'esercito per fermare l'attacco degli Shebaab
  • Siria. Assad: “Tentativi Occidente non mi preoccupano”. Al via all'Onu il dibattito sulle armi chimiche
  • Rapporto Ilo: in calo il lavoro minorile, ma restano le forme peggiori
  • Mons. Ambrosio sulla scuola: serve impegno maggiore da parte di tutti
  • Padre Pio. Frate Lotti: scaldava i cuori delle persone come Papa Francesco
  • Il Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma compie 65 anni
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq. Kirkuk: auto-bomba contro la casa di un politico cristiano. Ancora morti a Baghdad
  • Egitto: a Delga dopo gli attacchi islamisti, si torna a celebrare Messa
  • Cina: 25 morti e 226mila sfollati per il passaggio del tifone Usagi
  • Il Secam incontra i presidenti africani per promuovere lo sviluppo del continente
  • Svizzera: il Ticino vota sì al divieto del velo integrale
  • Messico: la Chiesa continua ad accogliere i migranti centroamericani
  • Sri Lanka: il partito tamil vince le elezioni nel Nord, colpito dalla guerra civile
  • Bangladesh: sciopero degli operai tessili che chiedono stipendi più alti
  • Filippine: malattie infettive contagiano i bambini nei Centri di sfollamento a Zamboanga
  • Indonesia: a Java estremisti islamici contro la riapertura di una parrocchia
  • Afghanistan: minori rapiti e sfruttati per la pratica del "Bacha Bazi"
  • Slovacchia: in più di 60mila alla Marcia per la vita a Kosice
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa a Cagliari invita i giovani a fidarsi di Gesù e il mondo della cultura a promuovere il dialogo

    ◊   Gli ultimi due appuntamenti della sua lunga giornata a Cagliari, Papa Francesco li ha dedicati all’incontro con il mondo della cultura nell’Aula Magna della Pontificia facoltà teologica della Sardegna, e poi all’abbraccio con migliaia di giovani riuniti nel Largo Carlo Felice del capoluogo sardo. Il messaggio che lascia è guardare al futuro con coraggio e con la speranza radicata nella fede in Dio e in una cultura che promuove il discernimento, la prossimità e la solidarietà. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Non una lezione, ma riflessioni a voce alta su tre parole chiave: disillusione, rassegnazione e speranza. E’ quanto il Papa ha proposto al mondo della cultura della Sardegna rileggendo “in chiave esistenziale” l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus di ritorno da Gerusalemme. Come loro erano delusi, disorientati e sofferenti per la morte di Gesù, spiega il Pontefice, così l’uomo di oggi è disilluso per una crisi che ne ha scosso le certezze fondamentali, crisi che è fonte di pericolo, precisa, ma anche di opportunità. A questa realtà si può reagire, allora come ora, con la rassegnazione e il pessimismo che però portano ad una “sorta di paralisi dell’intelligenza e della volontà”. Oppure si può fuggire dalla realtà, lavandosene le mani:

    "Un atteggiamento che appare 'pragmatico', ma che di fatto ignora il grido di giustizia, di umanità e di responsabilità sociale e porta all’individualismo, all’ipocrisia, se non ad una sorta di cinismo".

    Da qui la risposta del Papa:

    "Penso non solo che ci sia una strada da percorrere, ma che proprio il momento storico che viviamo ci spinga a cercare e trovare vie di speranza, che aprano orizzonti nuovi alla nostra società. E qui è prezioso il ruolo dell’Università".

    Per il Papa le Università formano innanzitutto al discernimento: a non fuggire cioè ma a leggere la realtà senza paura, sulla base di principi etici e spirituali e di una visione della persona in tutte le sue dimensioni. Questo è il fondamento che alimenta la speranza, come la cultura della prossimità che si elabora all’Università:

    "Questa cultura del dialogo, che non livella indiscriminatamente differenze e pluralismi - uno dei rischi della globalizzazione - e neppure li estremizza facendoli diventare motivo di scontro, ma apre al confronto costruttivo".

    “Il discernimento della realtà, assumendo il momento della crisi e la promozione di una cultura dell’incontro”, conclude il Papa, “orientano verso la solidarietà, elemento fondamentale per rinnovare la nostra società”. Anche ad essa forma l’Università. “Non c’è futuro” - così il Pontefice prima di lasciare la Facoltà teologica – “se non sapremo essere tutti più solidali. Ma le ultime parole sono un invito che nasce spontaneo alla platea …

    "Il coraggio sia il tempo musicale per andare avanti…".

    E speranza è la parola chiave che il Papa ha consegnato anche a migliaia di giovani che lo hanno atteso all Largo Carlo Felice prima di partire per Roma. Il clima di festa, gli ricorda, dice, la Gmg di Rio.

    (Voce di una ragazza)
    "Santo Padre buonasera! Anzi, ciao!"

    I ragazzi gli esprimono le loro paure sul futuro, i dubbi di fede, pur dichiarandogli di essere pronti a fare delle loro vite qualcosa di grande. Ne nasce un colloquio che il Papa arricchisce anche di ricordi personali. “In giovinezza capita”, è la sua riflessione in risposta ad una serie di domande, “di vivere fallimenti e frustrazioni”, “pensateci un momento…. è un‘esperienza che scoraggia”. “Voi mi chiedete cosa fare?” Innanzitutto, questa è la risposta del Pontefice, non lasciarsi vincere dal pessimismo, perchè:

    "…un giovane senza gioia è preoccupante".

    Tantomeno, aggiunge, cercare consolazione dai “mercanti di morte”. Occorre invece uscire con coraggio da se stessi, senza lamentarsi, e fidarsi di Gesù, come fa Pietro sul lago di Galilea quando dice: “Sulla tua parola getterò le reti”.

    "Le difficoltà non devono spaventarvi, ma spingervi ad andare oltre. Sentite rivolte a voi le parole di Gesù: Prendete il largo e calate le reti, giovani di Sardegna! Siate sempre più docili alla Parola del Signore: è Lui, è la sua Parola, è il seguirlo che rende fruttuoso il vostro impegno di testimonianza".

    Seguire Gesù è impegnativo vuol dire non accontentarsi ma puntare in alto con coraggio:

    "Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è buono darci per vinti. La strada è Gesù: farlo salire sulla nostra 'barca' e prendere il largo con Lui! Lui è il Signore! Lui cambia la prospettiva della vita. La fede in Gesù conduce a una speranza che va oltre, a una certezza fondata non soltanto sulle nostre qualità e abilità, ma sulla Parola di Dio, sull’invito che viene da Lui".

    Ma ai giovani della Sardegna, Papa Francesco lascia anche un’ultima sollecitazione: siete chiamati anche voi a diventare pescatori di uomini, quindi:

    "Non esitate a spendere la vostra vita per testimoniare con gioia il Vangelo, specialmente ai vostri coetanei".

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    Mons. Miglio: Papa Francesco ha portato gioia alla gente della Sardegna

    ◊   Disoccupazione, speranze dei giovani e ancora vicinanza ai malati, ai poveri e ai detenuti. La visita di Papa Francesco a Cagliari è stata tutto questo. Una visita illuminata dallo sguardo di Maria, come il Papa ha detto nella Messa di ieri mattina davanti al Santuario di Nostra Signora di Bonaria. Per un bilancio, la nostra inviata in Sardegna, Adriana Masotti, ha intervistato l’arcivescovo di Cagliari, mons. Arrigo Miglio:

    R. – Ho visto grande soddisfazione, soprattutto nelle persone che si trovavano lì. Credo che tutti coloro che sono venuti a Cagliari, almeno per un momento, hanno potuto vedere il Papa da vicino e questo mi pare sia quello che tutti desideravano. Molti hanno cercato il contatto fisico con la mano ed il Papa non si è tirato indietro, ma teneva la sua mano sempre tesa. Ha preso in braccio tantissimi bambini, soprattutto quelli ammalati. Ho visto molta serenità e credo sia quella serenità e quella calma che Papa Francesco un po’ lascia trasparire dalla sua persona, sia quando ha il viso serio, quando prega, sia anche quando si “allarga” il suo sorriso.

    D. – Il momento, forse, più toccante è stato quello iniziale: l’incontro con il mondo del lavoro...

    R. – Ha colto la parola “lotta” e ha detto che chi non lotta è già sconfitto. Questo è stato un momento molto, molto forte. Ha invitato a non arrendersi. È stato molto toccante anche l’incontro nella Basilica di Bonaria con i malati di Sla, che ha abbracciato uno per uno. Poi ha abbracciato Antonio Leone che da 60 anni vive nel lebbrosario qui a Cagliari e che aveva un sogno: quello di essere abbracciato da Papa Francesco come il “lebbroso”. Il Papa è passato due volte da lui ed è stato un momento molto emozionante.

    D. – Si ha l’impressione che il Papa ricerchi continuamente l’autenticità anche nei rapporti. Ha detto: “Non voglio essere un impiegato”...

    R. – Questa è stata una frase che mi ha davvero colpito. Il Papa che dice: “Non voglio essere un impiegato della Chiesa”. Aveva appena posato la sua cartella nera che porta sempre con sé; quindi, l’immagine dell’impiegato è diventata quasi una provocazione. Il Papa direi che "somatizza" questi problemi. La mia impressione oggi è che la mancanza di lavoro, la precarietà non gli passino solo accanto ma in qualche modo se ne faccia carico; lo si vede "somatizzare": non mi vengono altre parole, ma rende l’idea della partecipazione profonda che lui vive per tutti questi problemi. Anche nei colloqui personali ha ripreso questo tema, faceva collegamenti con altre situazioni di sofferenza nel mondo per la mancanza di lavoro, per l'immigrazione anche in America Latina. Per lui è soprattutto questo mondo di poveri che lo interpella.

    D. – E’ stata una visita diciamo rivolta a tutta la Sardegna ma il Papa era a Cagliari. Quindi per la sua diocesi che momento è stato e che cosa pensa possa fruttare questa visita?

    R. – La visita di Papa Francesco ha davvero risvegliato tutte le energie della diocesi. Adesso ci ha lasciato un compito, per le cose che ci ha detto, guai a noi se lasciamo cadere qualcuna delle sue parole. Non ha detto parole a caso, ci ha tracciato linee precise. Dicevo ai ragazzi ieri sera che il Papa è un po’ come un pittore: ha una tela e sta definendo l’identikit di come ci vuole, del tipo di Chiesa che lui desidera.

    D. – Vicino agli ultimi, soprattutto...

    R. - Vicino agli ultimi e vicino a Gesù. Ha parlato molto di Gesù, del rapporto con la persona di Gesù. Ha detto ai giovani che aprirsi a Dio e aprirsi al prossimo sono due cose inseparabili. Quindi, uscire verso Dio ed uscire verso il prossimo, verso i fratelli sono due aperture che si autenticano a vicenda.

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    Bonanni: le parole del Papa sul lavoro siano spunto per un rinnovamento

    ◊   “Senza lavoro non c’è dignità”. Sul forte appello del Papa, ieri a Cagliari, ascoltiamo - al microfono di Alessandro Guarasci - il segretario generale Cisl, Raffaele Bonanni:

    R. - Quello che mi ha colpito moltissimo è il suo dichiarare alla classe dirigente di non essere Ponzio Pilato. "Essere Ponzio Pilato" - per dirla col Papa - significa elencare solo i mali che ci sono, senza aggredire le ragioni, le cause e l’origine, appunto, di tutto ciò che purtroppo commentiamo e che non ci vede reagire fino in fondo. I nuovi occupati noi li avremo in Italia e in Europa, se lo schema economico si cambia davvero.

    D. - Anche in Italia si è fatta troppa finanza e poco politica industriale in questi anni?

    R. - Sì, si è fatta troppa finanza, si è fatto trading a discapito dell’industria, che è l’unico punto di forza per l’economia.

    D. - Bonanni, lei è fiducioso che le parole del Papa, in qualche modo, scuoteranno chi ha la responsabilità anche di creare posti di lavoro?

    R. - Se modificasse l’opinione di una sola persona, già questo sarebbe davvero importante! Io penso che almeno i cattolici impegnati in politica, nell’economia e nel sociale potranno prendere spunto dalle sue affermazioni per rinnovare una propria azione unitaria, combinata e coraggiosa.

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    Il Papa prega per il Pakistan. Due kamikaze uccidono oltre 80 persone in una chiesa di Peshawar

    ◊   Vibrante appello per la pace del Papa, prima di congedarsi dalla Sardegna, quindi l’invito alla preghiera per le vittime dell’attentato in Pakistan, che ieri ha colpito la Chiesa di tutti i Santi di Peshawar. Ascoltiamo le sue parole nel servizio di Massimiliano Menichetti:

    “Oggi in Pakistan, per una scelta sbagliata, di odio, di guerra, è stato fatto un attentato e sono morte 70 persone. Questa strada non va, non serve. Soltanto la strada della pace, che costruisce un mondo migliore. Ma se non lo fate voi, se non lo fate voi, non lo farà un altro, eh? Questo è il problema, e questa è la domanda che io vi lascio: ‘Sono disposto, sono disposta a prendere una strada per costruire un mondo migliore?’. Soltanto quello. E preghiamo il Padre nostro per tutte queste persone che sono morte in questo attentato in Pakistan ...”.

    E ha concluso:

    “Che la Madonna ci aiuti sempre a lavorare per un mondo migliore, a prendere la strada della costruzione, la strada della pace e mai la strada della distruzione e la strada della guerra”.

    Il bilancio del doppio attentato kamikaze, davanti alla chiesa anglicana di Tutti i Santi a Peshawar, si è poi aggiornato a 85 persone uccise, tra loro anche sette bambini, 145 i feriti. L’attacco è scattato alla fine della Messa domenicale. Il governo provinciale ha stabilito tre giorni di lutto. Oggi migliaia di cristiani, musulmani e persone della società civile, in varie città del Pakistan, sono scesi in strada per solidarietà e per chiedere maggiore attenzione e sicurezza da parte del governo.

    Forte condanna per la strage è stata espressa dalle autorità nazionali. Per il premier Nawaz Sharif i terroristi non hanno religione. Attaccare innocenti – si legge in un suo comunicato – è contrario ai precetti dell’Islam e di tutte le religioni. Paul Bhatti, presidente dell'Alleanza pakistana delle minoranze e Consigliere del ministro per l'Armonia, ha parlato di "forze straniere" dietro la strage, e ha chiesto al governo di fornire più protezione alle minoranze religiose. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

    R. – Veramente, questo è l’attacco ai cristiani più doloroso e più brutale della storia del Pakistan. Io sono andato a Peshawar, ho visto i feriti e le vittime dell’attacco: una situazione, lo dico sinceramente, non spiegabile. Ormai, il governo pakistano deve capire che non si può più aspettare: questo è un attacco terroristico e il governo non è capace di proteggere i cittadini. Siamo molto preoccupati, perché se in questa società non c’è garanzia di sopravvivenza, se non c’è sicurezza, se non si è riusciti a proteggere una chiesa, che è una “zona rossa” – perché sono state definite diverse zone e questa era stata considerata una “zona rossa”, dove un fatto simile sarebbe potuto succedere – quindi, se il governo non è riuscito a proteggere questa chiesa che era ad alto rischio, vuol dire che non erano seriamente intenzionati a farlo. Quindi, il governo è incapace di proteggere i suoi cittadini.

    D. – Lei ha detto: “E’ necessario che si proteggano le minoranze religiose”. Concretamente, come si può fare?

    R. – Proteggere è anche consultarsi con i rappresentanti delle minoranze religiose su come si possano prevenire questi attacchi contro le minoranze. E questo non viene fatto molto spesso, da questo governo. Perché sì, si parla di tante cose, ma le minoranze sono sempre escluse.

    D. – Oggi migliaia di persone sono scese in piazza in varie città del Paese per manifestare solidarietà …

    R. – Certo. Ho anche ricevuto diverse telefonate da vari amici musulmani, religiosi … Poi, adesso stiamo facendo una piccola processione-manifestaizone a Islamabad e ho ricevuto diverse telefonate che mi hanno annunciato la partecipazione di alcuni imam di moschee, di militari, pensionati che sono con noi e protestano per questi fatti.

    D. – Lei ha detto: “C’è anche la mano esterna che vuole destabilizzare il Paese”... è così?

    R. – Queste bande terroristiche comunque non sono pakistane, non sono persone che appartengono alla religione, perché nessuna religione insegna l’odio e istiga all’omicidio. Perciò, in qualche modo questa banda è una banda esterna; esterna nel senso che non fa parte della religione, non fa parte del Paese, nemmeno parte dell’umanità. Loro vogliono distruggere il Pakistan, la pace nel Pakistan, l’integrità del Pakistan, e i pakistani devono capire questo!

    D. – Ma per quale fine? Cosa vogliono realizzare?

    R. – Penso che questi siano gruppi estremisti che vogliono imporre la loro filosofia radicale nel Paese e di conseguenza vogliono imporsi loro stessi.

    D. – Attacchi che riguardano, a volte, anche le moschee: è così?

    R. – Sì, esatto. Contro le moschee, ce ne sono stati anche contro tantissime altre minoranze religiose.

    D. – Cosa farete voi, adesso?

    R. – Intanto, noi abbiamo rivolto un appello alla popolazione affinché rimanga calma. Noi preghiamo, protestiamo, esprimiamo i nostri sentimenti di dolore, ma in maniera pacifica, nella preghiera e chiediamo al governo di prendere misure serie per quanto riguarda la protezione delle minoranze religiose, in maniera particolare dei cristiani, che sono spesso oggetto di questo tipo di violenze.

    D. – Che cosa pensa delle parole che il Papa ha pronunciato per la situazione del Pakistan, quando si è raccolto in preghiera per la pace?

    R. – Io penso che questo sia un messaggio di grande supporto e conforto in questa situazione così difficile e dolorosa: il Papa se ne è fatto carico e ha espresso così la sua vicinanza. E questa è stata accolta con grande amore e ci ha confortato tantissimo, per quanto riguarda i cristiani del Pakistan …

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    Tweet del Papa: "La Chiesa non ha altro senso e fine se non quello di testimoniare Gesù"

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet: “La Chiesa – scrive - non ha altro senso e fine se non quello di testimoniare Gesù. Non dimentichiamolo!”.

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    Udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

    ◊   Il Santo Padre Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il sig. Juan Carlos Gamarra Skeels, ambasciatore del Perú presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; Sua Beatitudine il card. George Alencherry, arcivescovo Maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi; il Card. Juan Luis Cipriani Thorne, Arcivescovo di Lima. E ancora:mons. Francesco Guido Ravinale, Vescovo di Asti; il sig. Camilo Rey e mons. Cyprian Kizito Lwanga, arcivescovo di Kampala.

    Negli Usa, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Houma-Thibodaux, presentata da mons. Sam G. Jacobs, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Houma-Thibodaux mons. Shelton J. Fabre, finora vescovo titolare di Pudenziana ed Ausiliare dell’arcidiocesi di New Orleans.

    Il Santo Padre ha nominato nunzio apostolico in Fiji, Samoa e Vanuatu S.E. Mons. Martin Krebs, arcivescovo titolare di Taborenta, nunzio apostolico in Nuova Zelanda, Isole Cook, Kiribati, Palau, Stati Federati di Micronesia e Delegato Apostolico nell’Oceano Pacifico.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Sempre con lui: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa a Cagliari.

    Come valorizzare la presenza degli anziani nella società: intervento della Santa Sede a Ginevra.

    Talebani contro i cristiani in Pakistan: strage per la strade compiuta con un duplice attentato suicida alla chiesa anglicana di Ognissanti a Peshawar.

    Il voto in Germania: la netta vittoria di Angela Merkel che ottiene il terzo mandato per la cancelleria.

    Il virus dell'individualismo: aperti dal cardinale Angelo Bagnasco i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana.

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    Oggi in Primo Piano



    La Merkel vince le elezioni, male i liberali e modesto risultato della Spd

    ◊   In prima pagina su tutti i quotidiani tedeschi torna, oggi, il termine "trionfo" per Angela Merkel, al voto ieri in Germania. Parallelamente si sottolinea la débacle dei liberali, che per la prima volta escono dal Bundestag, e il modesto successo della Spd, che guadagna qualche punto ma fallisce nell'obbiettivo di un governo rosso-verde. C’è poi la conferma che il partito anti-euro, Alternative fuer Duetschland (Afd), non arriva al 5% e non entra al Bundestag. Sul risultato delle elezioni, Fausta Speranza ha intervistato Luigi Geninazzi, inviato del quotidiano "Avvenire":

    R. – E' un trionfo personale della Merkel, ovviamente: era dai tempi di Adenauer, neppure con Kohl la Cdu aveva toccato simili vette. E’ il successo di quella che, affettuosamente o anche ironicamente, i tedeschi chiamano “die Mutti”, la mammina, cioè una persona rassicurante che ha garantito stabilità e sicurezza alla Germania, senza grandi rotture con l’Unione Europea, cercando insomma di tenere insieme spinte contrastanti, ovviamente navigando un po’ a vista … Viene fuori chiaramente da questo voto che i tedeschi amano la Merkel, amano il suo stile, amano la sua politica e quindi si presenta davvero come una grande vittoria.

    D. – Adesso però si tratta di mettere su una coalizione: che dire delle possibili prospettive, alchimie?

    R. – Le alchimie sono più o meno obbligate. Io credo che una “Grosse Koalition”, cioè un’alleanza tra la Cdu-Csu e la Spd, il partito socialdemocratico, sia praticamente obbligata. D’altra parte, dobbiamo tener presente che questa non è una novità: sarebbe la terza volta, in Germania. L’ultima volta è stata proprio con la Merkel, dal 2005 al 2009. E’ chiaro che poi la politica è fatta di tanti giochi, di tanti alambicchi, ci sono un po’ di mugugni perché la Spd non ha perso voti però ne ha conquistati veramente pochini … Però, alla fine, questa è la via obbligata e, come dico, è una via già percorsa. Non dimentichiamo che l’avversario della Merkel a queste elezioni, Peer Steinbrück, è stato ministro delle Finanze in un governo con la Merkel.

    D. – Commentiamo l’uscita di scena del partito anti-euro?

    R. – Per un soffio non sono entrati! Quindi, questo è un campanello d’allarme, perché è un partito di formazione recente. Per la “Alternative für Deutschland”, questo partito anti-euro che diversamente da come molti sbrigativamente lo descrivono come un partito populista, è un partito fatto di professori molto rigorosi che vorrebbero una Germania ancora più rigorosa della Merkel e che, quindi, rompesse con i Paesi turbolenti e indisciplinati dell’Europa del Sud. Adesso si può tirare un respiro di sollievo, certo; però è un campanello d’allarme.

    D. – Parliamo anche del fenomeno “Verdi”: ad un certo punto sembrava veramente esplodere e poi la caduta… cosa è successo ai Verdi in Germania?

    R. – La Merkel è stata abilissima nel "rubare" le parole d’ordine o comunque alcune proposte della Spd, soprattutto dei “Grünen”, dei Verdi, e a farle proprie. Io sono convinto – adesso bisognerà poi vedere l’analisi dei flussi elettorali – che parecchia gente che ha sempre votato “Verde”, poi questa volta ha votato Merkel. Non è strano perché la Merkel, ad esempio, è stata la prima che, dopo il catastrofico incidente nucleare in Giappone, ha detto subito “no” alle centrali nucleari, cambiando idea ma dimostrando quindi di andare incontro alle esigenze dei Verdi. E’ chiaro quindi che davanti ad una situazione in cui la Merkel avrebbe potuto, certo, vincere ma essere messa in difficoltà, molti hanno deciso di darle il voto lasciando un tradizionale partito, come quello dei Verdi.

    D. – Durante la campagna elettorale si è parlato molto della Germania che fatica: rispetto agli altri Paesi certo non si può parlare né di disoccupazione, né di vere e proprie problematiche sociali, però, c’è una Germania che fatica di più. Questo voto dà voce a questa faccia meno felice della Germania?

    R. – Anche in questo caso, la Merkel in campagna elettorale si è concentrata molto su questi temi, molto di più che sui grandi temi dell’Europa e della moneta unica, e ha promesso di cambiare le cose, di aumentare il salario minimo, e cose del genere. Ci sono problemi più a lunga scadenza, ma questi sono problemi che riguardano un po’ tutta l’Europa ed è per esempio il grosso problema della demografia, cioè dell’invecchiamento della popolazione tedesca: i non-originari tedeschi saranno praticamente di più dei nativi.

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    Kenya: in corso a Nairobi il blitz dell'esercito per fermare l'attacco degli Shebaab

    ◊   È salito ad almeno 69 vittime e oltre 150 feriti il bilancio dell’attacco a Nairobi, in Kenya, dei miliziani somali Shebaab al centro commerciale Westgate. Prese in ostaggio decine di persone, molte delle quali già rilasciate. Al momento è in corso il blitz dell'esercito e delle forze speciali kenyane contro i guerriglieri. Udite violente sparatorie e almeno tre esplosioni. Tra le vittime, anche stranieri. Dai leader religiosi kenyani - che partecipano al Consiglio interreligioso, citato dall’Agenzia Fides - è giunta una ferma condanna all’attacco e la certezza che “fallirà ogni tentativo di seminare discordia tra musulmani e cristiani”: secondo alcune fonti infatti gli assalitori avrebbero selezionato le loro vittime in base all’affiliazione religiosa. Per una testimonianza su quanto sta accadendo, Giada Aquilino ha intervistato padre Franco Moretti, missionario comboniano a Nairobi, già direttore della rivista ‘Nigrizia’:

    R. – Gli Shebaab hanno scelto proprio questo centro commerciale perché è frequentato, soprattutto durante i fine settimana da gente ricca, membri delle ambasciate, degli organismi governativi. Qui si trova tutto, dal negozio al bar, al ristorante, al cinema, al teatro, ai giochi per i bambini. Quindi, hanno scelto proprio questo luogo per attirare l’attenzione mondiale.

    D. - Perché gli Shebaab hanno colpito a Nairobi?

    R. - Subito dopo la notizia dell’attacco, Al Qaeda ha rivendicato l’attentato. Già si sospettava che gli autori fossero membri del gruppo islamista fondamentalista somalo Al Shebaab-la gioventù. Negli anni scorsi, questi miliziani erano arrivati a controllare l’intera Somalia; però davano fastidio ad alcuni, come ad esempio al Kenya. Dobbiamo ricordarci che due anni fa l’esercito del Kenya ha invaso la Somalia, scacciando, arrestando e uccidendo i membri di questo gruppo. Quindi, l'attacco al Westgate è, per loro, una ritorsione, una vendetta: lo avevano preannunciato mille altre volte che avrebbero colpito. E non è la prima volta che gli Al Shebaab - sostenuti da Al Qaeda - attaccano il Kenya. Senza tornare indietro all’attentato all’ambasciata americana del ’99, basta ricordare che l’anno scorso una chiesa è stata sabotata e tanti altri luoghi sono stati bersaglio di questi attacchi somali. Oggi i somali in Kenya sono circa un milione, quasi tutti stanziati in una zona di Nairobi che ormai chiamano “la piccola Somalia”: è una zona ricchissima. C’è il sospetto - qualcuno dice ormai la certezza - che in Kenya i somali "risciacquino" i soldi ottenuti con i riscatti attraverso la pirateria. È facile quindi introdurre, mediante questa grande quantità di persone, elementi di gruppi fondamentalisti.

    D. - Ci sono forze esterne che muovono questa o quella parte?

    R. - Non credo. Ovviamente nessuno in Kenya vuole questi atti di terrorismo. I kenyani sono veramente scioccati, non hanno mai pensato ad una cosa del genere e ora vorrebbero che il governo intervenisse in modo decisivo, ripulendo il Paese da questi giovani fondamentalisti. Ma dove li trovi? È un po’ difficile. La gente però non sembra aver dimenticato che l’esercito kenyano sta occupando parte della Somalia: non sto parlando di giustificazioni, ma è per capire perché ci possano essere questi attentati portati avanti dai somali. Perché la Somalia ha il dente avvelenato con il Kenya. Al momento buona parte della Somalia dell’Est è occupata dall’esercito kenyano che entrò nel Paese senza alcun mandato né dell’Onu, né dell’Unione africana. Solamente in seguito è arrivato l'appoggio dell’Unione africana.

    D. - In queste ore la Chiesa come è impegnata?

    R. - Tutto il Kenya è mobilitato. Uno dei quotidiani locali ha lanciato un appello e attraverso il telefonino, con gli sms, è riuscito a raccogliere circa 30 milioni di scellini. Quindi c’è una forte generosità. Migliaia di persone si sono presentate negli ospedali per donare sangue perché in televisione c’erano appelli in tal senso. Ieri ovviamente in tutte le chiese si è pregato per la pace. Il Paese è davvero scosso. I vescovi stanno invitando la gente a pregare per la riconciliazione, ad aiutare, ad assistere le persone che sono rimaste ferite e quelle che hanno avuto un familiare ucciso. Anche il nipote del presidente è stato ucciso. Si sta insomma cercando di aiutare i fedeli a non lasciarsi prendere dal senso di rivalsa o a vendicarsi.

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    Siria. Assad: “Tentativi Occidente non mi preoccupano”. Al via all'Onu il dibattito sulle armi chimiche

    ◊   Il lavoro delle diplomazie non ferma i combattimenti in Siria: le milizie del Libero esercito siriano, braccio armato dell’opposizione, hanno rivendicato la conquista di undici villaggi nei pressi di Aleppo, mentre nel nord del Paese si segnalano nuovi scontri tra le diverse fazioni di ribelli. Intanto Assad torma a mostrare sicurezza davanti le pressioni dei Paesi occidentali. Il servizio di Marco Guerra:

    “Stati Uniti, Francia e Regno Unito cercano soltanto di passare per vincitori in una guerra contro il loro nemico immaginario, la Siria”. In un’intervista alla televisione cinese, il presidente siriano Assad ostenta sicurezza, sostenendo di “non essere preoccupato” per i tentativi dei Paesi occidentali di far approvare l’uso della forza in sede Onu. Assad evoca anche il rischio che gruppi terroristici, guidati dall’esterno, potrebbero attaccare ispettori Onu durante le visite agli arsenali di Damasco, per poi far ricadere la colpa sul governo. E sempre al fianco del regime resta la Russia che, attraverso il ministro degli Esteri Lavrov, ha ribadito: “l'uso della forza sarà a favore dei ribelli islamici, che andranno al potere”. Parole che arrivano mentre si apre una settimana cruciale alle Nazioni Unite, dove la crisi siriana sarà al centro del dibattito tra 200 delegati riuniti a New York. Intanto sul terreno proseguono i combattimenti, il Libero esercito siriano annuncia la conquista di 11 villaggi nella zona rurale di Aleppo. Scontri sempre più cruenti anche tra le diverse fazioni dei ribelli: diversi miliziani stranieri e Abu Abdullah al-Libi, capo militare dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante, organizzazione affiliata ad al-Qaeda, sono stati uccisi vicino al confine con la Turchia. Lo stesso movimento jihadista accusa il Libero esercito siriano, che a sua volta nega ogni coinvolgimento.

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    Rapporto Ilo: in calo il lavoro minorile, ma restano le forme peggiori

    ◊   Buone notizie sul fronte del lavoro minorile in calo nel mondo, specie in Asia, America latina e Africa Sub-sahariana, dove è più diffuso. I piccoli lavoratori sono scesi dal 2000 ad oggi da 246 milioni a 168 milioni, vale a dire di un terzo, cosi come documenta un Rapporto presentato stamane a Ginevra dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Roberta Gisotti ha intervistato Lorenzo Guarcello, esperto di lavoro minorile presso la sede Ilo a Roma:

    R. – Devo dire che, negli ultimi anni, si è avuta una netta riduzione del fenomeno. Le agenzie internazionali, insieme alle agenzie locali e ai governi, stanno lavorando bene in questa direzione. Ancora oggi però troviamo 168 milioni di ragazzi - tra i 5 ed i 17 anni di età - che sono coinvolti nel lavoro minorile. Quindi, anche se abbiamo avuto negli ultimi 12 anni una buona riduzione, il problema ancora persiste ed è rilevante.

    D. – Per questo il direttore generale dell’Ilo Guy
    Ryder ha detto che: “La direzione è giusta ma ci stiamo muovendo troppo lentamente”. C’è infatti un obiettivo che difficilmente sarà raggiunto: quello di eliminare le forme peggiori di lavoro entro il 2016...

    R. – Se guardiamo agli ultimi trend - soprattutto l’ultimo tra il 2008 ed il 2012 - abbiamo 78 milioni in meno di bambini coinvolti, anche partendo dal 2000. Purtroppo, se consideriamo l’attuale tasso di diminuzione del lavoro minorile non raggiungeremo per niente gli obiettivi nel 2016 e difficilmente nel 2020. Quindi, bisogna sicuramente lavorare di più, accelerare le azioni e coinvolgere sempre di più i governi nella lotta contro il lavoro minorile.

    D. – Ci sono due convenzioni dell’Ilo, quella sull’età minima e quella sulle peggiori forme di lavoro minorile. Quanti Paesi le hanno ratificate e soprattutto le rispettano?

    R. – Per quanto riguarda le convenzioni, la numero 182 - sulle peggiori forme di lavoro minorile - è stata ratificata da quasi tutti gli Stati membri dell’Ilo, ne mancano soltanto 8. Per quanto riguarda la convenzione numero 138 - sull’età minima di ammissione al lavoro che varia tra i 13 e i 15 anni - è stata ratificata da ben 166 Stati membri. Sono state ratificate ma adesso un problema ulteriore è quello di implementazione. Anche se quello che vediamo è molto incoraggiante - i governi reagiscono sempre meglio – però a questo punto quello che serve è più un approccio di politica integrato: che non guardi soltanto al problema del lavoro minorile in sé ma che agisca anche con politiche di protezione sociale; che guardi al mercato del lavoro migliorando l’accesso al lavoro per i giovani e per gli adulti. Servono anche politiche di advocacy: far capire alle famiglie quanto sia importante affrontare il problema del lavoro minorile per migliorare il futuro dei propri figli e di tutti i giovani. In tal senso ci si sta muovendo bene, quindi ci aspettiamo nei prossimi anni di avere anche risultati migliori.


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    Mons. Ambrosio sulla scuola: serve impegno maggiore da parte di tutti

    ◊   Al Quirinale cerimonia per l'inaugurazione dell'anno scolastico a cui parteciperanno circa tre mila studenti. Recentemente il governo ha stanziato 400 milioni di euro, ma non di rado gli istituti scolastici italiani sono fatiscenti e la continuità didattica non è sempre assicurata. Alessandro Guarasci ha sentito al riguardo mons. Gianni Ambrosio, presidente della Commissione Episcopale per la Scuola e l'Università:

    R. - Osservando un po' anche il panorama europeo, occorre dire che sia per l’aspetto quantitativo, come anche per quello qualitativo, noi siamo un po' alla rincorsa di quei traguardi che altrove sono già stati raggiunti. Ci vorrebbe davvero un impegno più grande da parte di tutti!

    D. - Questo vuol dire maggiori investimenti nella formazione dei docenti e maggiori investimenti nel ricorso alle nuove tecnologie …

    R. – C’è una sorta di sottoconsiderazione o di non adeguata considerazione di questa missione che i docenti svolgono ad ogni livello, dalle classi più piccole fino all’università. Dobbiamo riprendere, lì, una maggior valorizzazione anche delle notevoli capacità che molti docenti hanno, perché fanno questo lavoro - ministero, servizio - importante con grande passione.

    D. - Lei si attende da qui a fine anno un maggior riconoscimento del rapporto dato dalle scuole paritarie al sistema educativo?

    R. - Certamente, anche perché sarebbe di estrema convenienza per il sistema scolastico nella sua interezza, nella sua globalità. Le scuole paritarie fanno parte dell’unico sistema scolastico. Allora dovrebbero essere maggiormente valorizzate, apprezzate, aiutate in ogni senso. Questo sarebbe innanzi tutto a beneficio dei ragazzi e degli studenti, ma poi a beneficio dell’intera società.

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    Padre Pio. Frate Lotti: scaldava i cuori delle persone come Papa Francesco

    ◊   La Chiesa ricorda oggi San Pio da Pietrelcina, il cui corpo è visibile in modo permanente dal primo giugno di quest’anno. A 45 anni dalla sua morte, Padre Pio continua ad essere amato e venerato da migliaia di fedeli e a San Giovanni Rotondo sono molte le celebrazioni per questa ricorrenza. Tra queste, nel pomeriggio, l’Eucaristia presieduta da mons. Michele Castoro, arcivescovo di Manfredonia–Vieste–San Giovanni Rotondo e seguita da una processione con la nuova statua di Padre Pio benedetta da Papa Francesco. Sull’attualità della figura di san Pio, Debora Donnini ha intervistato frate Luciano Lotti, direttore della rivista "Studi su Padre Pio":

    R. – Noi abbiamo la fortuna di avere, in questo tempo, questo Papa meraviglioso che ci spinge ad uscire fuori, ad evangelizzare e io penso che proprio Padre Pio possa dare un senso all’evangelizzazione: un’evangelizzazione che parte dall’Eucaristia. Un po’ come tutte le sue amicizie, quando qualcuno voleva partire, lui diceva: “Aspetta, parti domani”, cioè, per lui era importante che si partecipasse all’Eucaristia e poi si andasse, proprio come una missione per andare nella vita di tutti i giorni.

    D. – Papa Francesco esorta spesso ad andare verso le periferie esistenziali; Padre Pio non si è mosso molto da San Giovanni Rotondo, eppure ha compiuto un’opera di evangelizzazione molto importante, anche tramite la bilocazione, ma non solo. Lei vede una sintonia tra i due in questo senso?

    R. – Sì. Innanzitutto, dobbiamo pensare questo: Padre Pio è andato nelle periferie del cuore, cioè anche con la sua intransigenza, con la sua fedeltà a Dio, che imponeva agli altri, è andato verso quelle periferie del cuore che sono ancora chiuse ad una risposta piena. Le chiamiamo “periferie” perché i veri problemi forse li mettiamo a lato. Allora, Padre Pio voleva andare proprio in fondo al problema e cercare di risolverlo con l’incontro con Dio. E’ molto molto interessante però che sebbene Padre Pio non si sia mosso – anche se giustamente ha girato il mondo con le bilocazioni in un modo eccezionale - lui è riuscito a presentare Dio dovunque attraverso un metodo che oggi è modernissimo: attraverso l’immagine, la comunicazione.

    D. – Secondo lei, quale è appunto l’immagine autentica di Cristo che Padre Pio maggiormente ha mostrato con la sua vita?

    R. – Prima di tutto, l’immagine del Cristo che si affianca ai sofferenti: pensate a quell’espressione del suo Epistolario nella quale dice: “Vorrei spogliarmi di tutto per andare verso i bisognosi”. Padre Pio usava dire: “Non ci si interroga mai sulla carità. Bisogna farla, e basta”.

    D. – Un’altra espressione che Papa Francesco usa spesso e a cui invita la Chiesa, è a riscaldare i cuori delle persone parlando appunto di un’umanità ferita. Questo anche ha una sintonia con Padre Pio: lui riscaldava il cuore anche attraverso la Confessione …

    R. – In questi giorni abbiamo portato qui a San Giovanni Rotondo la statua di Padre Pio che Papa Francesco ha benedetto il 18 settembre, ed è una statua che ha come caratteristica quel sorriso accogliente di Padre Pio. Spesso si parla di un Padre Pio intransigente in confessione: senz’altro lui voleva fedeltà, ma soprattutto era una persona che con il suo sorriso, a volte proprio anche con il suo abbraccio, faceva sentire come Dio stava vicino al peccatore che voleva convertirsi. Padre Pio scaldava i cuori soprattutto con questo atteggiamento bello, sereno, di avvicinare le persone a Dio. Lui, di per sé, era una persona molto semplice, quindi avvicinava le persone a volte con una battuta. Il modo di Padre Pio di scaldare i cuori era proprio come quello di questo Papa: abbracciare, stare vicino, con grande semplicità.

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    Il Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma compie 65 anni

    ◊   Compie 65 anni la Casa Salesiana di San Giovanni Bosco di Roma, conosciuta come Borgo Ragazzi Don Bosco. I festeggiamenti sono previsti a dicembre, mentre il 16 ottobre ci sarà un’udienza con il Papa. Tante le attività portate avanti ogni anno, dall’oratorio alla casa famiglia. Il direttore, don Stefano Aspettati, ha spiegato ad Elisa Sartarelli com’è cominciata quest’avventura che ha avuto inizio nel secolo scorso:

    R. - 65 anni fa è iniziata l’avventura del Borgo Ragazzi Don Bosco, nel 1948, quando quelli che erano considerati gli sciuscià, cioè i ragazzi di strada che affollavano Roma nel Dopoguerra, considerati una piaga della società, venivano accolti dai salesiani in questo luogo, una ex caserma sulla Via Prenestina. Quei ragazzi da subito non furono più chiamati “sciuscià” dai Salesiani, ma "ragazzi di don Bosco"; da qui è nato il nome dell’opera. Alcuni furono accolti semplicemente per giocare, per essere tolti dalla strada; molti altri a mangiare, a vestirsi e altri ancora accolti in maniera fissa, residenziale. Quindi i primi 800–1000 ragazzi che arrivarono si sono moltiplicati nel corso degli anni fino ad oggi.

    D. - Quali sono le attività portate avanti oggi?

    R. - Il Borgo Ragazzi Don Bosco durante i 65 anni di attività ha chiaramente mutato un po’ la sua fisionomia a livello di attività ma sicuramente non ha mutato il cuore, specialmente quella connotazione tipicamente salesiana a favore dei giovani più poveri. Attualmente, fanno parte del Borgo Don Bosco l’oratorio – la tipica attività slesiana, con attività che vanno dall’esperienza del gioco libero nel cortile, allo sport organizzato, al teatro, alla musica, alla formazione umana e cristiana dei gruppi giovanili –, il centro di formazione professionale, che avvia i giovani al mondo del lavoro - oggi conta circa 150 allievi –, un centro di accoglienza per i minori – che segue ogni anno circa 150 giovani tra italiani e stranieri – che sono rimasti fuori dai percorsi formativi istituzionali per varie vicende, anche penali. C’è anche una casa famiglia per i minori e un movimento di famiglie disponibili per l’affido e la solidarietà familiare. In tutto, il giro supera i mille ragazzi.

    D. - I 65 anni del Borgo Ragazzi cadevano a luglio, ma i festeggiamenti sono previsti per dicembre ...

    R. - Sì, abbiamo in programma innanzitutto la partecipazione con tutti i nostri ragazzi mercoledì 16 ottobre a un’udienza con il Santo Padre, poi il 4 dicembre faremo un convegno al Campidoglio e subito dopo, il 6 dicembre, abbiamo organizzato una cena di raccolta fondi presso una sala dei Musei Vaticani; e infine un concerto a conclusione dei festeggiamenti, il primo febbraio. Noi cerchiamo di fare quello che ci ha insegnato Don Bosco e che i tanti salesiani che si sono susseguiti qui al Borgo hanno fatto, cioè dare di più a chi ha di meno. Quindi cerchiamo di prenderci cura dei giovani a partire dai loro bisogni primari che a volte sono l’istruzione o l’inserimento nel mondo del lavoro, per arrivare a quei bisogni più alti e più profondi, come interrogarsi sulla propria vita e anche sull’esperienza di Dio.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq. Kirkuk: auto-bomba contro la casa di un politico cristiano. Ancora morti a Baghdad

    ◊   E' di 50 feriti il bilancio dell'attentato perpetrato ieri mattina a Kirkuk contro l'abitazione di un noto uomo politico cristiano. Secondo quanto riportato da fonti locali all'agenzia Fides, un'auto-bomba guidata da un kamikaze è stata fatta esplodere nel quartiere di Rahim Awa davanti alla residenza del cristiano assiro Imad Youkhana, esponente del Movimento democratico assiro e membro del parlamento iracheno. L'uomo politico bersaglio dell'azione terroristica è rimasto incolume, ma l'esplosione ha provocato almeno cinquanta feriti, compresa la moglie e alcuni congiunti di Youkhana. All'inizio del 2006 il 70enne Yaqo Youkhana, padre di Imad, era stato ucciso dai soldati Usa che stavano disperdendo con le armi una manifestazione di protesta popolare contro i prezzi troppo alti del carburante. A Baghdad, all’indomani della strage durante un funerale nel quartiere sciita di Sadr City, in cui hanno perso la vita oltre 70 persone, oggi è avvenuto un altro attacco nel corso una celebrazione funebre, questa volta a Baghdad, che ha causato 16 morti e 25 feriti. L’escalation dello scontro settario tra sunniti e sciiti, alimentato dal limitrofo conflitto in Siria, ha lasciato sul terreno oltre 4.300 vittime dall’inizio del 2013. Nel mirino dei terroristi sono sempre più i luoghi di culto sunniti e sciiti nelle regioni meridionali, a maggioranza sciita, per lungo tempo rimaste relativamente ai margini delle violenze. (R.P.)

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    Egitto: a Delga dopo gli attacchi islamisti, si torna a celebrare Messa

    ◊   I cristiani copti della provincia di Minya si "riprendono" gli edifici di culto, dopo un mese di attacchi islamisti e l'imposizione della tassa per gli "infedeli". Ieri pomeriggio, migliaia di persone hanno partecipato alla prima Messa celebrata nella chiesa della Vergine Maria situata nei resti del monastero di Anba Abraam a Delga (Minya, Alto Egitto). La funzione domenicale è la prima dal 14 agosto, giorno dell'attacco islamista contro i copti. Il complesso monastico risale al IV secolo ed è stato devastato dai Fratelli Musulmani. A presiedere l'officio vi erano padre Abram Taneissa e padre Silwanis Lutfi, i due sacerdoti copti ortodossi che in più di un'occasione hanno affrontato gli estremisti pregando nelle navate distrutte e portando aiuto alle famiglie cacciate dalle loro case. Fonti locali raccolte dall'agenzia AsiaNews raccontano che la Messa di ieri ha raccolto anche centinaia di famiglie fuggite da Delga a causa delle persecuzioni. Esse sono ritornate non solo per pregare nelle proprie chiese, ma anche per ricostruire le proprie abitazioni, sfidando il coprifuoco militare e le minacce degli estremisti. Riconquistato lo scorso 18 settembre dall'esercito, il villaggio roccaforte dei miliziani islamisti è divenuto famoso in Egitto per le violente persecuzioni contro la comunità cristiana locale, che per settimane ha subito ogni tipo di sopruso: dalla distruzione di ben 62 fra edifici religiosi e abitazioni, rapimenti, uccisioni sommarie, fino all'imposizione della jiza, la tassa dovuta agli infedeli alla comunità musulmana per aver salva la vita. (R.P.)

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    Cina: 25 morti e 226mila sfollati per il passaggio del tifone Usagi

    ◊   È di almeno 25 morti, il bilancio ancora provvisorio delle vittime del tifone Usagi, che si è abbattuto sulla provincia di Canton, nella Cina sudorientale. Secondo le autorità, più di 226 mila cittadini della provincia sono stati evacuati e 7mila case sono state distrutte. Grandi disagi nel trasposto pubblico: tutti i treni veloci da Guangzhou e Pechino sono stati sospesi, così come centinaia di voli da Guangzhou, Shenzhen e Hong Kong. Chiuse scuole e uffici. In un primo tempo, Usagi era stato classificato come un Super Tifone, con venti superiori ai 200 km, ma ha rallentato nel corso della giornata di ieri. La sua corsa terminerà oggi nei pressi di Taiwan.

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    Il Secam incontra i presidenti africani per promuovere lo sviluppo del continente

    ◊   Porre il bene comune, la sostenibilità ed i valori umani al centro dell’agenda politica internazionale, a partire dal 2015: con questo obiettivo, il Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar) ha organizzato un evento speciale sugli obiettivi per lo sviluppo del Millennio che si tiene a New York, nell’ambito della 68.ma Assemblea generale dell’Onu. I lavori si aprono oggi, e proseguiranno fino al 25, con l’auspicio di guardare alle reali possibilità dell’Africa anche dopo il 2015, anno prefissato come termine di raggiungimento per gli Obiettivi del Millennio. “La visione del Secam per il dopo 2015 – informa una nota – è quella di un’epoca in cui fede, etica e dignità della persona, soprattutto dei poveri e degli emarginati, siano al centro della scena per un vero programma di sviluppo dell’Africa”. Di qui, l’appello a “rinunciare a politiche e programmi basati su punti di vista globalizzanti, per passare invece a processi che pongano la pianificazione e la messa in atto dei processi stessi nelle mani delle popolazioni più coinvolte”. I capi di Stato invitati all’incontro sono, tra gli altri, quelli della Liberia, Ellen-Sirleaf Johnson; del Sudafica, Jacob Zuma; del Ghana, John Mahama; dell’Etiopia, Hailemariam Desalegu, e dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma. Inoltre, i vescovi africani hanno in programma incontri con alcuni responsabili dell’Unione Europea. La delegazione del Secam sarà guidata dal vicepresidente dell’organismo episcopale, mons. Gabriel Justice Anokye, che sarà accompagnato dal segretario generale, mons. Joseph Komakoma. Da segnalare, infine, che oltre al Simposio dei vescovi africani, agli incontri prenderanno parte la Caritas Internationalis, guidata dal card. Oscar Rodriguez Maradiaga, il Cafod, ovvero l’agenzia cattolica britannica per lo sviluppo, e la Cisde, l’alleanza internazionale che include 17 organizzazioni cattoliche. (A cura di Isabella Piro)

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    Svizzera: il Ticino vota sì al divieto del velo integrale

    ◊   Gli elettori del Canton Ticino hanno approvato con una schiacciante maggioranza del 65% il cosiddetto referendum “anti-burqa”, per iscrivere nella costituzione cantonale il divieto di dissimulare o nascondere il proprio viso nei luoghi pubblici. E in una giornata di votazioni in tutto il Paese, tutti e 26 i cantoni svizzeri hanno invece bocciato un'iniziativa degli anti-militaristi per l'abolizione dell'obbligo di leva. Il voto sul burqa ricorda un altro referendum del 2009, a livello nazionale, quando gli Svizzeri approvarono il divieto di costruire minareti.

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    Messico: la Chiesa continua ad accogliere i migranti centroamericani

    ◊   “La Casa del Migrante del Sagrado Corazon, che si trova a Apizaco (Tlaxcala) non chiuderà”: lo ha annunciato il vescovo della diocesi di Tlaxcala, mons. Francisco Moreno Barron, intervenuto per smentire la notizia apparsa poco tempo fa sui media circa la chiusura della Casa d'accoglienza. A tale proposito, il responsabile della Pastorale sociale della diocesi di Tlaxcala, padre Marco Antonio Padilla Aguilar, ha detto che “c’è la necessità di ristrutturare e rinnovare l'attuale sede perché ne ha realmente bisogno”. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides da una fonte locale, la media giornaliera di migranti centroamericani che arriva a questo Centro è tra gli 80 e i 100, quindi sono necessarie delle risorse minime per prestare loro la dovuta attenzione nel periodo di transito, che in media va da uno a due giorni. “I migranti centroamericani non sono criminali, malgrado la gente li voglia presentare così, ma cercano solo un posto dove passare la notte, ed è nostra responsabilità accoglierli" ha detto padre Padilla. Il sacerdote ha sottolineato che ci sono problemi economici per continuare questo lavoro di servizio verso i migranti, "ma siamo alla ricerca di sostegno e bussiamo a tutte le porte, perché è necessario sensibilizzare la popolazione di Tlaxcala; solo così saremo in grado di andare avanti, organizzando eventi per la raccolta di fondi, ma il primo passo è comunque la consapevolezza". (R.P.)

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    Sri Lanka: il partito tamil vince le elezioni nel Nord, colpito dalla guerra civile

    ◊   La Tamil National Alliance (Tna), principale partito tamil dello Sri Lanka, ha vinto le elezioni provinciali nel Nord del Paese: le prime dopo quasi 30 anni di guerra civile. La popolazione è andata al voto il 21 settembre scorso. La Tna ha conquistato tutti e cinque i distretti della Northern Province - Jaffna, Kilinichchi, Mannar, Mullaitivu, Vavuniya - aggiudicandosi 30 seggi su 38. A elezione avvenuta C.V. Wigneswaran, candidato del partito tamil, si è detto "pronto a lavorare con il governo di Mahinda Rjapaksa per affrontare le questioni tamil", aggiungendo che "ora i politici del Sud devono accettare di lavorare con i tamil". Pochi giorni prima dell'apertura delle urne venivano distribuiti finti giornali tamil, per confondere la popolazione e spingerla a non votare la Tna. Ore prima del voto uomini vestiti di nero con i volti coperti da caschi hanno aggredito le persone anziane rubando loro le schede elettorali. Wigneswaran è un ex giudice della Corte suprema. Nei mesi scorsi vi sono stati vari tentativi di boicottare il voto. Il più contestato - anche dalla Chiesa - risale ai primi di luglio, quando un partito ultranazionalista singalese (Jathika Hela Urumaya) ha chiesto l'abrogazione del 13° emendamento della Costituzione. Promulgato nel 1987 in piena guerra civile, esso ha creato i Consigli provinciali e reso il tamil lingua ufficiale dello Sri Lanka, al pari del singalese. Di fatto è stato il primo riconoscimento politico e sociale alla comunità tamil. In particolare nel nord, dove rappresenta la maggioranza e vi sono stati i momenti più sanguinosi del conflitto. (R.P.)

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    Bangladesh: sciopero degli operai tessili che chiedono stipendi più alti

    ◊   Non si ferma lo sciopero di decine di migliaia di operai dell'industria tessile, che da tre giorni bloccano le strade e le fabbriche del Bangladesh per chiedere un aumento sul salario minimo mensile. La protesta sta causando disagi alla viabilità in tutto il Paese, oltre che alla produzione del settore, ma i lavoratori dichiarano che "solo facendo sentire la nostra voce potremo cambiare qualcosa". Nella sola capitale Dhaka, oltre 50mila operai sono scesi in piazza. Nello specifico, i lavoratori vogliono che il loro stipendio minimo mensile salga a 8mila taka (76 euro). "Con i 3mila taka [28 euro] che prendo ora - spiega ad AsiaNews Salma Begum, una giovane operaia - non posso mantenere la mia famiglia, né comprare le medicine per mia madre, che è ammalata". Dopo la Cina, il Bangladesh è il secondo esportatore di vestiti al mondo e l'industria tessile rappresenta oltre il 10% del Pil nazionale. Il Paese conta circa 4.500 fabbriche, che danno lavoro a oltre 2 milioni di persone, il 70% delle quali sono donne. Tuttavia, gli operai del settore vengono spesso trattati alla stregua di schiavi e costretti a lavorare in condizioni di scarsa sicurezza: migliaia di persone stipate su un unico piano, per almeno 12 ore al giorno. A volte i datori di lavoro possono decidere di sospendere il giorno libero settimanale, se si sono avute troppe ferie. Azioni di protesta come quella di questi giorni si sono intensificate negli ultimi mesi, dopo le due tragedie della Tazreen Fashion e del Rana Plaza. Avvenuti a breve distanza l'uno dall'altro, i due crolli hanno causato la morte di migliaia di persone. (R.P.)

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    Filippine: malattie infettive contagiano i bambini nei Centri di sfollamento a Zamboanga

    ◊   Mentre continuano gli scontri tra le forze governative e una fazione del Moro National Liberation Front (Mnlf), le autorità sanitarie locali hanno registrato casi di contagio di malattie infettive nei bambini che vivono nei centri per gli sfollati a Zamboanga. Oltre ad alcuni casi di morbillo, riscontrati presso il Joaquin F. Enriquez Jr. Memorial Sports Complex - riferisce l'agenzia Fides - i medici hanno registrato infezioni delle alte vie respiratorie, diarrea e malattie della pelle. Queste malattie sono da attribuirsi alla scarsa igiene e ad una precaria sanificazione ambientale. Attualmente il Complesso ospita 11.979 famiglie, circa 71.265 persone. Secondo le stime del National Disaster Risk Reduction and Management Council, almeno 20.643 famiglie, circa 111.162, persone si trovano in 57 Centri di evacuazione. Le autorità sanitarie stanno cercando di prevenire i contagi migliorandone le condizioni igieniche. Inoltre, il Ministero della Sanità locale, insieme ad altri medici volontari, hanno aperto cliniche per il monitoraggio della salute degli sfollati, somministrano vaccini ai bambini e, nel frattempo, l’Associazione Nazionale dei Dermatologi invierà un gruppo di medici per valutare le malattie della pelle che stanno contagiando gli sfollati.

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    Indonesia: a Java estremisti islamici contro la riapertura di una parrocchia

    ◊   Dopo nove anni di attese e battaglie pacifiche per poter usare il luogo di culto, la notizia del via libera delle autorità alla riapertura della chiesa di Santa Bernadette a Ciledug, nella reggenza di Tangerang (provincia di Banten) ha rallegrato la comunità cattolica locale. Tuttavia, la gioia è durata poche ore perché è subito montata una campagna di protesta da parte di gruppi estremisti islamici, che chiedono di rimettere i sigilli al luogo di culto nonostante il rilascio del permesso di costruzione (Imb). Secondo alcune testimonianze, molti dei manifestanti che ieri si sono riuniti ieri nei pressi dell'edificio - per impedire le celebrazioni della domenica - non sarebbero cittadini della zona, ma membri del cosiddetto Forum islamico "venute da fuori" per "alimentare la protesta". Fonti dell'agenzia AsiaNews, anonime per motivi di sicurezza, raccontano che nei giorni scorsi l'amministrazione locale di Tangerang, nella persona del sindaco uscente Wahid Halid, ha rilasciato l'Imb, necessario per la riapertura del luogo di culto cristiano chiuso nel 2004. Era stato lo stesso primo cittadino a mettere i sigilli, per placare le proteste delle frange fondamentaliste della zona contro la presenza di un luogo di culto cristiano. L'iter per la costruzione di una chiesa in Indonesia - cattolica o protestante - è complicato e possono trascorrere da cinque a dieci anni prima di ottenere tutte le autorizzazioni. Il procedimento è regolato dall'Izin Mendirikan Bangunan (Imb), delibera scritta che permette l'apertura di un cantiere ed è rilasciato dalle autorità locali. La vicenda si complica se si tratta di un luogo di culto cristiano: serve infatti il nulla osta di un certo numero di residenti nell'area in cui viene costruito l'edificio e del gruppo per il dialogo interreligioso del posto. E spesso subentrano "non meglio precisate motivazioni" che spingono i funzionari a bloccare i progetti, dietro pressioni di movimenti radicali islamici. "Sì, la notizia [della riapertura] è vera" ha dichiarato la fonte di AsiaNews della parrocchia di Santa Bernadette. Il permesso "è arrivato la scorsa settimana" con la firma del sindaco Halid, che a breve lascerà l'incarico al suo attuale vice. Tuttavia, appena la notizia del rilascio del permesso ha iniziato a circolare sono riprese le proteste che hanno toccato l'apice ieri, in occasione della festa domenicale. Appartenenti a sedicenti gruppi islamisti, di chiara matrice estremista, hanno protestato con slogan, cartelli e cori, lanciando minacce nel caso in cui dovesse continuare il progetto di costruzione della chiesa. "Abbiamo dovuto cancellare la seconda Messa di giornata" afferma un sacerdote, fra lo sgomento e l'ira di molti fedeli di una comunità che ormai ha raggiunto le 11mila persone e che da troppo tempo è costretta a celebrare le funzioni in Centri "non permanenti", fra cui sistemazioni di fortuna o parrocchie vicine. L'Indonesia è la nazione musulmana più popolosa al mondo e, pur garantendo fra i principi costituzionali la libertà religiosa, è sempre più spesso teatro di attacchi e violenze contro le minoranze, siano essi cristiani, musulmani ahmadi o di altre fedi. Nella provincia di Aceh - unica nell'Arcipelago - vige la legge islamica (sharia), e in molte altre aree si fa sempre più radicale ed estrema la visione e l'influenza della religione musulmana nella vita dei cittadini. Inoltre, alcune norme come il permesso di costruzione - il famigerato Imb - vengono sfruttate per impedire l'edificazione o mettere i sigilli a luoghi di culto cristiani, come avviene da tempo nella reggenza di Bogor, nel West Java, contro i fedeli della Yasmin Church. (R.P.)

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    Afghanistan: minori rapiti e sfruttati per la pratica del "Bacha Bazi"

    ◊   Lo sfruttamento sessuale dei bambini, in particolare, la pratica del "Bacha Bazi" (letteralmente ragazzi giocattolo), in cui i ragazzi sono “comprati” per farli danzare e fare sesso, rimane uno degli abusi di cui si parla meno in Afghanistan. Si tratta di un’antica tradizione, con profonde radici culturali, bandita dai talebani quando erano al potere ma che ora sta riaffiorando. In un comunicato diffuso dal responsabile dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission (Aihrc), prima il bacha bazi esisteva solo in alcune zone mentre adesso si trova dappertutto. In particolare, nella provincia di Takhar e nel resto del nord del Paese. L’influenza dei signori della guerra, dei ricchi mercanti e dei gruppi armati illegali rafforza la domanda, e la povertà e il gran numero di bambini sfollati determina l’offerta di ragazzi sfruttabili. Essi vengono rilasciati verso i 18 anni di età, quando oramai il loro futuro è compromesso. Di solito vengono rapiti o comunque “catturati” quando sono ancora piccoli e tenuti come “proprietà” da padroni che negano di abusarne sessualmente, mentre invece al termine della performance di bacha bazi vengono stuprati da gruppi di uomini. Ci sono due tipi di ragazzi: quelli che sanno ballare bene e sono utilizzati anche per intrattenimento, e quelli che non sanno ballare e vengono abusati sessualmente. Gli attivisti riferiscono di continui casi di sfruttamento, e per le strade di Kabul, o via YouTube, è facile vedere Dvd di giovani ragazzi travestiti da donna che ballano ai matrimoni o che sono coinvolti in altri eventi. I leader religiosi del Paese si stanno impegnando per combattere questo fenomeno. Dovrebbero essere messe in atto leggi, puniti i carnefici e avviate campagne di informazione sui diritti dei bambini. Le vittime generalmente sono restie a denunciare gli abusi per paura di ritorsioni o di essere emarginati o uccisi. Nelle aree del distretto di Nangarhar non esistono programmi di informazione o educazione sulla materia e questo costituisce una delle ragioni principali per le quali tanta gente rimane coinvolta. La pratica del bacha è molto diffusa nelle zone rurali tra funzionari potenti e comandanti delle milizie molto ricchi e in grado di sfuggire al sistema giudiziario. Tuttavia è diffusa anche nelle città tra l’elite che offre denaro, bei vestiti, macchine e tutto ciò che possa rendere i ragazzi ‘soddisfatti’. (R.P.)

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    Slovacchia: in più di 60mila alla Marcia per la vita a Kosice

    ◊   “Non si è mai vista una manifestazione così grande in Slovacchia dal novembre del 1989 quando le persone sono scese in piazza per chiedere la democrazia e la caduta del comunismo”. Così i mass media hanno descritto la Marcia nazionale per la vita che si è svolta ieri pomeriggio a Kosice su iniziativa della Conferenza episcopale slovacca. Più di 60mila persone provenienti da ogni angolo del Paese hanno preso parte all’evento per difendere la loro convinzione che “la vita di ogni essere umano è preziosa e deve essere protetta senza riserve dal momento del concepimento fino alla morte naturale, che la famiglia basata sul matrimonio di un uomo e di una donna deve essere oggetto di speciale protezione e sostegno e che la cura dei bambini e la loro educazione sono responsabilità dei loro genitori”. Il Memorandum, presentato per l’occasione, invita all’azione concreta per sostenere e proteggere la dignità di ogni uomo, anche di chi non è ancora nato. “Ci appelliamo in particolare ai rappresentanti pubblici, specialmente ai nostri parlamentari, al governo e alle istituzioni statali, affinché creino dei sistemi di sostegno e di consultazione e le condizioni sociali, economiche e giuridiche che permettano alle famiglie di accogliere e crescere i figli, sostenendo altresì le istituzioni preposte all’aiuto delle famiglie in difficoltà e alle donne in gravidanza per evitare che ricorrano all’aborto”, si legge nel documento, che ribadisce alle autorità che la Marcia nazionale per la vita non è un “evento isolato” ma rappresenta “la ferma decisione di continuare a portare avanti le azioni enumerate nel Manifesto”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 266


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