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Sommario del 22/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa del Papa a Cagliari: impariamo da Maria che Dio non ci abbandona mai, difendiamoci da chi promette illusioni
  • Il Papa: senza lavoro non c’è dignità, l'idolo del denaro non comandi l'economia
  • Lavoratori e disoccupati della Sardegna: commossi dalle parole di Papa Francesco
  • Il discorso del Papa sul lavoro non letto e consegnato a mons. Miglio
  • Il Papa: non strumentalizzare i poveri, la carità non è assistenzialismo
  • La speranza dei giovani sardi nell’attesa dell’incontro con il Papa
  • Il card. Tagle: Papa Francesco ha colpito il cuore e l’immaginazione dei fedeli dell’Asia
  • Oggi in Primo Piano

  • Pakistan: oltre 60 morti nell’attacco a una chiesa. Il nunzio: “La Chiesa in Pakistan è sofferente"
  • Attentato suicida a Baghdad provoca decine di morti. Mons. Sleiman: la gente è stanca e rassegnata
  • Sierra Leone: l'impegno dei saveriani per madri e bambini a Freetown
  • Ancora attriti tra Nord e Sud Sudan, nonostante i negoziati
  • I cattolici e l'ideologia del gender al centro di un convegno a Verona
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Attacco terroristico a Nairobi: almeno 59 morti. Nel centro commerciale ancora trenta ostaggi
  • Siria: l'opposizione apre alla Conferenza di Ginevra
  • Germania al voto: Angela Merkel verso un terzo mandato
  • Cina: condanna all'ergastolo per Bo Xilai, che annuncia ricorso
  • Anno della Fede: il 16-17 novembre Giornata conclusiva per le Chiese di Terra Santa
  • Unitalsi: pellegrinaggi a Lourdes per i 110 anni dalla fondazione
  • Argentina: 100mila giovani partecipano al pellegrinaggio alla Basilica della Madonna di Itatí
  • Brasile: violenza, omicidi e suicidi, la popolazione indigena spera nell’aiuto della Chiesa
  • Ad Assisi, concerto di Krzysztof Penderecki in memoria di Giovanni Paolo II
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa del Papa a Cagliari: impariamo da Maria che Dio non ci abbandona mai, difendiamoci da chi promette illusioni

    ◊   La visita di Papa Francesco a Cagliari è cominciata, stamani, con l’appuntamento forse più atteso dai sardi, quello con il mondo del lavoro, con le sue difficoltà e le sue speranze. Ma l’incontro centrale con almeno centomila fedeli venuti da tutta l’isola si è svolto al Santuario di Nostra Signora di Bonaria, la patrona della Sardegna, raccolti per la celebrazione eucaristica. Il Papa è arrivato con la jeep bianca scortato lungo tutto il percorso da una folla entusiasta. Sul sagrato la gratitudine delle autorità civili locali, del presidente della Regione, Ugo Cappellacci e del sindaco, Massimo Zedda. All’interno della Basilica il saluto a un centinaio di malati. Quindi la Messa: “Maria - ha detto il Papa, nell'omelia - ci insegna che Dio non ci abbandona, può fare cose grandi anche con la nostra debolezza”. Da Cagliari, il servizio della nostra inviata Adriana Masotti:

    Le decine e decine di migliaia di fedeli che riempiono il Piazzale antistante il Santuario di Nostra Signora di Bonaria accolgono con calore Papa Francesco. L’altare è allestito sul sagrato e da lì lo sguardo arriva fino al mare. Ma Francesco nella sua omelia fa riferimento ad un altro sguardo, quello di Maria. Le sue prime parole sono in sardo: “Sa paghe ‘e Nostru Segnore siat sempre chin bois”, la pace del nostro Signore sia sempre con voi. Tre sono i motivi che l’hanno portato qui, spiega Papa Francesco, il primo è “condividere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni della vostra isola e per confermarvi nella fede”. Di fronte alle difficoltà che non mancano alla terra sarda raccomanda:

    “E’ necessaria la collaborazione leale di tutti, con l’impegno dei responsabili delle istituzioni, anche la Chiesa, per assicurare alle persone e alle famiglie i diritti fondamentali, e far crescere una società più fraterna e solidale”.

    “Mettermi con voi ai piedi della Madonna che ci dona il suo Figlio”, ha detto, è la seconda ragione della mia presenza. Oggi noi tutti, dice il Papa, “vogliamo ringraziare Maria che ci è sempre vicina”. Nella prima Lettura proposta della Liturgia, Maria appare in preghiera nel Cenacolo:

    “Maria prega, prega insieme alla comunità dei discepoli, e ci insegna ad avere piena fiducia in Dio, nella sua misericordia. Questa è la potenza della preghiera! Non stanchiamoci di bussare alla porta di Dio!".

    Maria ci insegna, continua, che Dio non ci abbandona, può fare cose grandi "anche con la nostra debolezza”. Infine il terzo pensiero: “Oggi sono venuto in mezzo a voi, afferma il Papa, anzi siamo venuti tutti insieme per incontrare lo sguardo di Maria”:

    “Abbiamo bisogno del suo sguardo di tenerezza, del suo sguardo materno che ci conosce meglio che chiunque altro, del suo sguardo pieno di compassione e di cura. Maria, oggi vogliamo dirti: Madre, donaci il tuo sguardo! Il tuo sguardo ci porta a Dio, il tuo sguardo è un dono del Padre buono, che ci attende ad ogni svolta del nostro cammino, è un dono di Gesù Cristo in croce, che carica su di sé le nostre sofferenze, le nostre fatiche, il nostro peccato”.

    Maria ci invita ad essere fratelli, dice poi Papa Francesco, perché nel nostro cammino non siamo soli, siamo un popolo. “Guardiamoci in modo più fraterno!”. Impariamo da Lei a guardare coloro che hanno più bisogno e che istintivamente consideriamo di meno. E, continua: “Non permettiamo che qualcosa o qualcuno si frapponga tra noi e lo sguardo della Madonna”:

    “Il nostro cuore di figli sappia difenderlo da tanti parolai che promettono illusioni; da coloro che hanno uno sguardo avido di vita facile, di promesse che non si possono compiere. Non ci rubino lo sguardo di Maria, che è pieno di tenerezza, che ci dà forza, che ci rende solidali tra noi”.

    Al termine della Messa, davanti alla statua della Madonna, posta accanto all’altare, il Papa pronuncia l’atto di consacrazione di ciascuno alla Nostra Signora di Bonaria a cui affida tutti:

    “Ti prego per ogni famiglia di questa città e di questa regione (…) per i giovani, gli anziani e per gli ammalati; per quelli che sono soli e per quelli che sono in carcere; per quelli che hanno fame e per coloro che non hanno lavoro; per quelli che hanno perso la speranza e per coloro che non hanno fede. Ti supplico anche per i governanti e per gli educatori”.

    E ha concluso, “Madre dolcissima, mostraci Gesù e insegnaci a fare sempre e solo quello che Lui ci dirà”. Prima della recita dell’Angelus, Papa Francesco ringrazia quanti, a vario titolo, hanno collaborato per organizzare la sua visita. Il suo pensiero va a tutti i numerosi santuari mariani della Sardegna:

    “La vostra terra ha un legame forte con Maria, un legame che esprimete nella vostra devozione e nella vostra cultura. Siate sempre veri figli di Maria e della Chiesa, e dimostratelo con la vostra vita”.

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    Il Papa: senza lavoro non c’è dignità, l'idolo del denaro non comandi l'economia

    ◊   Nella Sardegna, ferita dalla piaga della disoccupazione, Papa Francesco ha voluto dedicare il suo primo incontro a Cagliari, proprio al mondo del lavoro. Subito dopo l’arrivo all’aeroporto, il Papa si è recato a Piazza Yenne dove, parlando a braccio ad almeno 20 mila persone, ha ribadito che senza lavoro non c’è dignità. Con parole accorate, il Papa ha infine levato una preghiera al Signore affinché insegni a lottare per il lavoro. Il discorso del Papa è stato preceduto da tre toccanti testimonianze. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Giovani disoccupati, persone in cassa-integrazione e ancora imprenditori che fanno fatica ad andare avanti. La visita di Papa Francesco a Cagliari è iniziata da qui: dall’incontro con quanti, nel mondo del lavoro, vivono situazioni di sofferenza. Un incontro spesso interrotto dagli applausi e dal grido “lavoro”, nella piazza, e iniziato con le commoventi testimonianze di un’imprenditrice, di un agricoltore e in particolare di un giovane operaio disoccupato che, come un figlio ad un padre, ha confidato i suoi sentimenti:

    “Le conseguenze più dure della carenza di lavoro sono a carico delle famiglie. Spesso la disgregazione tra i coniugi e le difficoltà di relazione con i figli sono conseguenza della grave crisi occupazionale nella quale siamo tristemente coinvolti. Papa Francesco, papà di noi tutti! Non lasciare che il gregge a te affidato venga disperso e sbranato da questo lupo cattivo che è la mancanza di speranza, che divora le nostre stesse vite. Non lasciarci soli!".

    Visibilmente toccato da queste testimonianze, Papa Francesco ha deciso di non leggere il testo che aveva preparato, poi consegnato all’arcivescovo di Cagliari, ma di pronunciare un accorato discorso a braccio sulla dignità del lavoro e la centralità dell’uomo nell’economia. Il Papa è tornato con la memoria alle sue origini, a quando suo padre si era trasferito in Argentina ed aveva vissuto la sofferenza della disoccupazione a causa della grave crisi degli anni ’30:

    “Hanno perso tutto! Non c’era lavoro! E io ho sentito, nella mia infanzia, parlare di questo tempo, a casa… Io non l'ho visto, non ero ancora nato, ma ho sentito dentro casa questa sofferenza, parlare di questa sofferenza. Conosco bene questo! Ma devo dirvi: Coraggio!”.

    Ma, ha aggiunto, sono anche “cosciente che devo fare tutto”, “perché questa parola coraggio non sia una bella parola di passaggio!”:

    “Non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un impiegato della Chiesa che viene e vi dice: Coraggio! No! Questo non lo voglio! Io vorrei che questo coraggio venga da dentro e mi spinga a fare di tutto come Pastore, come uomo”.

    Dobbiamo, ha detto, affrontare “con solidarietà e intelligenza” questa sfida storica. Poi ha osservato che le prime due visite in Italia, Lampedusa e ora Sardegna, sono state ad un’isola. “Nella prima - ha affermato - ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca, rischiando la vita, dignità, pane, salute: il mondo dei rifugiati”. E, ha aggiunto, “ho visto la risposta” di Lampedusa che, “essendo isola, non ha voluto isolarsi” e riceve la gente e fa il suo. Questo, ha detto, “ci dà un esempio di accoglienza: sofferenza e risposta positiva”. Anche a Cagliari, ha proseguito, “trovo sofferenza”:

    “Una sofferenza che uno di voi ha detto che ‘ti indebolisce e finisce per rubarti la speranza’. Una sofferenza, la mancanza di lavoro, che ti porta - scusatemi sono un po’ forte, ma dico la verità - a sentirti senza dignità! Dove non c’è lavoro, manca la dignità! E questo non è un problema della Sardegna soltanto - ma c'è forte qui! - non è un problema soltanto dell’Italia o di alcuni Paesi di Europa, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia; un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro”.

    Dio, ha ribadito, “ha voluto che al centro del mondo, non sia un idolo”, ma l’uomo e la donna, “che portino avanti, col proprio lavoro, il mondo”. Adesso invece, è stata la sua denuncia, “in questo sistema, senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatro” di questo dio-denaro:

    “Comandano i soldi! Comanda il denaro! Comandano tutte queste cose che servono a lui, a questo idolo. E cosa succede? Per difendere questo idolo si ammucchiano tutti al centro e cadono gli estremi, cadono gli anziani, perché in questo mondo non c’è posto per loro! (…) E cadono i giovani che non trovano il lavoro, la dignità. Ma pensa, in un mondo dove i giovani - generazioni, due, di giovani - non hanno lavoro. Non ha futuro questo mondo. Perché? Perché loro non hanno dignità!

    “E’ difficile avere dignità senza lavorare”, ha riaffermato, è “questa è la vostra sofferenza qui, questa è la preghiera che voi di là gridavate”:

    “Lavoro”, “Lavoro”, “Lavoro”. E’ una preghiera, una preghiera necessaria. Lavoro vuol dire dignità, lavoro vuol dire portare il pane a casa, lavoro vuol dire amare! Per difendere questo sistema economico idolatrico si istaura la “cultura dello scarto”: si scartano i nonni e si scartano i giovani. E noi dobbiamo dire “no” a questa “cultura dello scarto”.

    Noi, ha proseguito, “vogliamo un sistema giusto! Un sistema che ci faccia andare avanti tutti” e “non vogliamo questo sistema economico globalizzato, che ci fa tanto male!”. Al centro sia “l’uomo e la donna, come Dio vuole, e non il denaro!” Papa Francesco ha riconosciuto che “è facile dire non perdere la speranza” eppure è necessario ribadire di non lasciarsi “rubare la speranza”. Questa, ha proseguito, “è come le braci sotto la cenere; aiutiamoci, allora, “con la solidarietà, soffiando sulle ceneri, perché il fuoco venga un’altra volta”. La speranza, ha soggiunto, non è ottimismo, “la speranza non è di uno: la speranza la facciamo tutti!” e va sostenuta “fra tutti, tutti voi e tutti noi che siamo lontani”. La speranza, ha aggiunto, “è una cosa vostra e nostra. E’ cosa di tutti! Per questo vi dico: 'Non lasciatevi rubare la speranza!'”.

    “Ma siamo furbi, perché il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi di noi. Il Signore ci invita ad avere la furbizia del serpente con la bontà della colomba. Abbiamo questa furbizia e diciamo le cose col proprio nome. In questo momento, nel nostro sistema economico, nel nostro sistema proposto globalizzato di vita, al centro c’è un idolo e questo non si può fare! Lottiamo tutti insieme perché al centro, almeno della nostra vita, sia l’uomo e la donna, la famiglia, tutti noi, perché la speranza possa andare avanti… “Non lasciatevi rubare la speranza!”.

    Il Papa ha, infine, rivolto una commovente preghiera al Signore affinché doni lavoro e dignità alla gente della Sardegna, alle famiglie di Cagliari e di tutta l’isola:

    “Signore, ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore, non ci lasciare soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi, che dimentichiamo un po’ l’egoismo e sentiamo nel cuore il “noi”, noi popolo, che vuole andare avanti. Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi”.

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    Lavoratori e disoccupati della Sardegna: commossi dalle parole di Papa Francesco

    ◊   Il discorso che Papa Francesco ha pronunciato al mondo del lavoro a Cagliari ha commosso profondamente quanti erano ad ascoltarlo in piazza Yenne. La nostra inviata a Cagliari, Antonella Palermo, ha raccolto alcune testimonianze:

    R. - Mi ha fatto un bellissimo effetto! Spero che rimangano non soltanto parole perché la Sardegna ha bisogno di fatti e, come ha detto il Papa, non solo coraggio ma fatti per tutti i lavoratori, per tutti noi!

    D. - Il Papa ha detto: “Comandano i soldi, in questo sistema economico che ha un solo idolo: il denaro!” …

    R. - Sì, il denaro! Purtroppo bisogna utilizzare proprio i termini giusti. Si sta uccidendo per pezzi di carta stampati e nulla di più! Ci stanno portando alla rovina. Potremmo avere molto di più se riuscissimo a tornare alle origini, per capire che ci dobbiamo prendere per mano e lasciare perdere la voglia di ricchezza.

    D. - Poi altra parola chiave “dignità”. Il lavoro che restituisce dignità all’uomo e alla donna …

    R. - Il Papa ha fatto una preghiera, ha chiesto a Nostro Signore di darci una mano. È molto importante che una mano ce la dia Lui e che l’altra ce la diamo tra di noi. Ormai, senza lavoro, qui abbiamo smarrito la dignità!

    D. - La preghiera conclusiva che effetto le ha fatto?

    R. – Mi ha fatto una bella impressione! Questo nostro Papa Francesco ci ha veramente rincuorato e ha fatto una preghiera con tutti i lavoratori. È stata veramente una grande cosa. Ho un fratello disoccupato che ormai ha 43 anni, conosco bene la realtà della disoccupazione in Sardegna.

    R. - Faccio parte del gruppo degli artigiani e commercianti. La cosa che mi ha maggiormente toccato è quando ha paragonato l’esperienza argentina con quello che questa terra sta passando. Ho sentito una vicinanza da dentro. Sono commosso a tal punto che mi stupisco di me stesso… che non sono molto credente. Sinceramente l’ho sentito molto vicino. Quando si è “scagliato” contro la finanza e contro il denaro in me è scattato l’amore verso quest’uomo. Sono contento! Sono felice per quello che ha detto.

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    Il discorso del Papa sul lavoro non letto e consegnato a mons. Miglio

    ◊   Pur non avendo pronunciato il discorso preparato per l'incontro con il mondo del lavoro a Cagliari, Papa Francesco ha voluto che il documento fosse comunque pubblicato. Nel servizio di Alessandro Gisotti, una sintesi dell’intervento, tutto incentrato - come il discorso a braccio - sulla dignità del lavoro:

    Avere coraggio per “affrontare con solidarietà e intelligenza” la sfida del lavoro. E’ quanto sottolinea Papa Francesco nel discorso non pronunciato, ma dato per letto, al mondo del lavoro della Sardegna. Prima di tutto, è la riflessione del Papa, bisogna “rimettere al centro la persona e il lavoro”. “La crisi economica - osserva - ha una dimensione europea e globale”. Ma la crisi, avverte il Pontefice, “non è solo economica, è anche etica, spirituale e umana”. Alla radice, infatti, “c’è un tradimento del bene comune, sia da parte di singoli che di gruppi di potere”. E aggiunge che “è necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al centro la persona e il bene comune”. Il Papa ribadisce che “fattore molto importante per la dignità della persona è proprio il lavoro; perché ci sia un’autentica promozione della persona va garantito il lavoro”. Questo, prosegue, “è un compito che appartiene alla società intera” e per questo “va riconosciuto un grande merito a quegli imprenditori che, nonostante tutto, non hanno smesso” di impegnarsi e “di rischiare per garantire occupazione”. La cultura del lavoro, ribadisce, “implica educazione al lavoro fin da giovani”, “dignità per ogni attività lavorativa”, “eliminazione di ogni lavoro nero”.

    “In questa fase – è l’incoraggiamento del Papa – tutta la società, in tutte le sue componenti, faccia ogni sforzo possibile perché il lavoro, che è sorgente di dignità, sia preoccupazione centrale!” E osserva che “la condizione insulare” della Sardegna “rende ancora più urgente questo impegno da parte di tutti, soprattutto delle istanze politiche ed economiche”. Il Papa si sofferma dunque sul “Vangelo della speranza”, sottolineando che la Sardegna è una terra benedetta da Dio con tante risorse, “ma come nel resto dell’Italia serve nuovo slancio per ripartire”. I cristiani, è stata la sua esortazione, “possono e debbono fare la loro parte, portando il loro contributo: la visione evangelica della vita”. Dedica dunque parole di sostegno ai vescovi della Sardegna, particolarmente sensibili alla realtà del lavoro e li invita a orientare tutti verso un “cammino di speranza”. La “risposta giusta”, afferma il Papa, è “guardare in faccia la realtà, conoscerla bene, capirla, e cercare insieme delle strade, con il metodo della collaborazione e del dialogo, vivendo la vicinanza per portare speranza. Mai offuscare la speranza!” Una speranza, afferma ancora, che non va confusa con l’ottimismo che è “semplicemente un atteggiamento psicologico”. La speranza, riafferma, “è creativa, è capace di creare futuro”. Quindi, rivolge un pressante appello perché sia a tutti garantito “un lavoro dignitoso”.

    “Una società aperta alla speranza – sottolinea il Papa – non si chiude in se stessa, nella difesa degli interessi di pochi, ma guarda avanti nella prospettiva del bene comune”. E questo, soggiunge, “richiede da parte di tutti un forte senso di responsabilità”. “Non c’è speranza sociale senza un lavoro dignitoso per tutti – rimarca - per questo occorre ‘perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento per tutti’ (Benedetto XVI. Caritas in veritate, 32)”. Il Papa non manca, infine, di sottolineare che, proprio quando c’è crisi, si fa più forte il bisogno di lavoro dignitoso, perché – rileva con amarezza – “aumenta il lavoro disumano, il lavoro-schiavo, il lavoro senza giusta sicurezza, oppure senza rispetto del creato, o senza rispetto del riposo, della festa e della famiglia, il lavoro di domenica quando non è necessario”. Il lavoro, soggiunge, “deve essere coniugato con la custodia del creato”. E anzi, “l’impegno ecologico stesso” deve essere “occasione di nuova occupazione nei settori ad esso collegati”. “Auspico – conclude il Papa – che, nella logica della gratuità e della solidarietà, si possa uscire insieme da questa fase negativa, affinché sia assicurato un lavoro sicuro, dignitoso e stabile”.

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    Il Papa: non strumentalizzare i poveri, la carità non è assistenzialismo

    ◊   Io mi sento a casa qui e spero che anche voi vi sentiate a casa, come si dice in America Latina, “questa casa è la vostra casa”: è così che Papa Francesco si rivolge ai poveri, ai detenuti e ai rappresentanti del mondo dell’associazionismo e del volontariato che nel primo pomeriggio lo accolgono in Cattedrale a Cagliari. Il servizio della nostra inviata, Adriana Masotti:

    “Qui sentiamo in modo forte e concreto che siamo tutti fratelli", afferma il Papa all’inizio del suo discorso, "nessuno qui è migliore dell'altro"."L’unico Padre è il Padre nostro celeste, e l’unico Maestro è Gesù Cristo ... e guardando Gesù si vede che Lui ha scelto la via dell’umiltà e del servizio, la via della carità”.

    “La carità non è un semplice assistenzialismo e nemmeno un assistenzialismo per tranquillizzare le coscienze. No, quello non è amore: quello è negozio, eh?, quello è affare. L’amore è gratuito. La carità, l’amore è una scelta di vita, è un modo di essere, di vivere; è la via dell’umiltà e della solidarietà. Non c’è un’altra via, per questo amore”.

    Ma non basta guardare a Gesù, dice Papa Francesco, bisogna seguirlo. E qui una raccomandazione forte: “Non possiamo seguire Gesù sulla via della carità se non ci vogliamo bene prima di tutto tra noi. E’ necessario fare le opere di misericordia con misericordia! Le opere di carità con carità”:

    “La società italiana oggi ha molto bisogno di speranza, e la Sardegna in modo particolare. Chi ha responsabilità politiche e civili ha il proprio compito, che come cittadini bisogna sostenere in modo attivo. (…) Ma come Chiesa abbiamo tutti una responsabilità forte che è quella di seminare la speranza con opere di solidarietà, sempre cercando di collaborare nel modo migliore con le pubbliche istituzioni, nel rispetto delle rispettive competenze”.

    Seguendo Cristo sulla via della carità, è possibile seminare speranza:

    “Sapete? A volte si trova anche l’arroganza nel servizio ai poveri! Sono sicuro che voi l’avete vista: quell’arroganza nel servizio a quelli che hanno bisogno del nostro servizio. Alcuni si fanno belli, si riempiono la bocca con i poveri; alcuni strumentalizzano i poveri per interessi personali o del proprio gruppo. Lo so, questo è umano, ma non va bene! Non è di Gesù, questo. E dico di più: questo è peccato! E’ peccato grave, perché è usare i bisognosi, quelli che hanno bisogno, che sono la carne di Gesù, per la mia vanità. Uso Gesù per la mia vanità: e questo è peccato grave! Sarebbe meglio che queste persone rimanessero a casa!”.

    Alla fine, in un clima di grande gioia, il saluto del Papa personale, affettuoso, con ciascuno dei presenti che parlano con lui e gli consegnano lettere e piccoli doni e ancora un momento di preghiera comune recitata a voce alta da Francesco che conclude con la benedizione. Ma c’è un fuori programma: prima di lasciare la Cattedrale il Papa riceve il saluto e l'abbraccio caloroso delle religiose di tante congregazioni. In particolare alle suore di clausura Francesco dice:

    “Voi siete il sostegno della Chiesa, il sostegno spirituale della Chiesa. Andate avanti con questa certezza. Il Signore vi ha chiamate per sostenere la Chiesa, con la preghiera, con la grande preghiera".

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    La speranza dei giovani sardi nell’attesa dell’incontro con il Papa

    ◊   A concludere l’intensa giornata di Papa Francesco a Cagliari sarà, stasera, l’incontro con i giovani di tutta la diocesi. Da tempo si sono attivati per la preparazione a questo momento speciale a cominciare dalla partecipazione, con circa 40 ragazzi e ragazze, alla Gmg di Rio de Janeiro. A poche ore dal loro appuntamento con Papa Francesco in Largo Carlo Felice, la testimonianza di Giorgia Atzei, universitaria di Cagliari. L’intervista è di Adriana Masotti:

    R. - Tra tante realtà giovanili siamo tutti impegnati in varie cose; c’è per esempio chi canta con il coro diocesano giovanile, creato proprio dai giovani di tutta la diocesi. Fanno parte di tante parrocchie e di tanti movimenti che hanno provato tutto questo tempo, stanno continuando a provare ed animeranno proprio il momento dei giovani con il Papa. Per loro è un’esperienza di comunione molto forte ed è anche una novità. Abbiamo fatto alcuni workshop insieme a Jane Ross, che è venuto qui in Sardegna e sarà presente durante l’incontro dei giovani con il Papa. È stato moto interessante; abbiamo fatto workshop di canto, di ballo e di comunicazione ed è stato importante vedere negli sguardi e nei sorrisi come tutti abbiamo un’aspettativa grande per questo incontro con il Papa. Ci siamo preparati nelle piccole cose, per accoglierlo nella maniera migliore e dirgli che è “benvenuto” e siamo veramente felici della sua venuta qui in Sardegna: terra che sta soffrendo ma anche piena di speranza. Noi giovani siamo questa speranza, vogliamo essere questa speranza.

    D. – Una delle difficoltà dei giovani sardi è in particolare quella della mancanza di lavoro…

    R. – Sì, purtroppo c’è pochissimo lavoro, quasi niente ed anche i laureati fanno fatica a trovare lavoro. Però io ho fiducia nella nostra terra e ho fiducia anche nelle risorse umane che ci sono qua. Secondo me è solo un momento, un momento molto forte e difficile perché in certi casi non si arriva davvero a fine mese; però è un momento importante perché ci fa prendere consapevolezza di quello che siamo, del valore che ciascuno di noi ha e del valore che ha la nostra terra. Io sono speranzosa e come me tantissimi altri giovani lo sono.

    D. – Per il Papa avete preparato delle domande. Cosa vi aspettate che vi dica e che vi dia?

    R. – Sì, vorremo fargli delle domande e so che qualcuno le farà. Io so che ci risponderà come avrebbe risposto Gesù in questo momento.

    D. – Voi cosa volete dare al Papa?

    R. – Vogliamo dirgli che ci siamo, vogliamo dirgli che può contare su di noi, che la Chiesa c’è. Anche se in certi momenti barcolliamo - perché ci sono tanti dolori anche all’interno della Chiesa – la Chiesa però c’è ed in questo momento siamo noi ed il Papa deve sapere di poter contare su di noi. Ci fidiamo di lui e Lui può fidarsi di noi.

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    Il card. Tagle: Papa Francesco ha colpito il cuore e l’immaginazione dei fedeli dell’Asia

    ◊   “L’Asia è il volto futuro della Chiesa”: è il tema di una conferenza tenuta, venerdì, dal cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, alla sede di Civiltà Cattolica. Nella conferenza - moderata da padre Antonio Spadaro - l’arcivescovo di Manila ha sottolineato che in Asia la Chiesa è la voce delle “storie soppresse”, voce dei poveri, delle minoranze e dei migranti. Ed ha aggiunto che nel continente asiatico, la Chiesa deve passare dalla missio ad gentes alla missio inter gentes. Prima del suo intervento, il cardinale Luis Antonio Tagle si è soffermato con Alessandro Gisotti sull’evangelizzazione in Asia e sul contributo che sta dando Papa Francesco a questa sfida e missione:

    R. - La missione in Asia deve essere fatta nella modalità del dialogo. E sono tre i grandi modi di dialogo: dialogo con i poveri; dialogo con le culture tradizionali ed emergenti in Asia e dialogo con le religioni tradizionali. Siamo lieti di avere un Papa che vuole perseguire questa via di dialogo. Non è facile, però, come minoranza dialogare con le grandi religioni in Asia! Non è facile, però è possibile! Siamo lieti, in Asia, che l’arcivescovo Parolin sia il nuovo Segretario di Stato, perché lui ha aiutato molto la Chiesa in Asia e in particolare nel rapporto col Vietnam. Lui ha cominciato anche le negoziazioni con la Cina.

    D. - Cosa sta portando Papa Francesco ai fedeli dell’Asia, alla sua gente a Manila?

    R. - La gente filippina ha accolto questo nuovo Papa, Papa Francesco, con amore, con simpatia e con entusiasmo, perché ha mostrato un volto della Chiesa che è molto vicino anche all’esperienza della cultura asiatica. Come il Papa, noi diamo un valore molto alto al rapporto personale: ogni persona è importante! Quando il Papa incontra una persona, tutto il mondo è concentrato in questa persona. Per gli asiatici questa è una manifestazione di spiritualità, della vicinanza del Signore. E così Papa Francesco ha colpito l’immaginazione e il cuore dei fedeli.

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    Oggi in Primo Piano



    Pakistan: oltre 60 morti nell’attacco a una chiesa. Il nunzio: “La Chiesa in Pakistan è sofferente"

    ◊   Grave attacco contro una chiesa a Peshawar, in Pakistan. Due kamikaze si sono fatti esplodere tra i fedeli che assistevano alla messa domenicale: i morti sono almeno 61, e oltre 120 i feriti. Immediata la condanna delle autorità locali. “I terroristi non hanno religione; uccidere persone innocenti è contrario agli insegnamenti dell'Islam e di qualsiasi religione”, ha dichiarato il primo ministro Nawaz Sharif. Paul Bhatti, presidente dell'alleanza pakistana delle minoranze, ha definito l'attacco "un tentativo di destabilizzare il Paese", parlando di "forze straniere" che sarebbero dietro la strage, e ha chiesto al governo di fornire più protezione alle minoranze religiose. Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente il nunzio apostolico in Pakistan, mons. Edgar Peña Parra:

    R. - Abbiamo appreso la triste notizia di quest’attacco ad una chiesa, la chiesa di Tutti i Santi a Peshawar. E logicamente, di fronte a questi atti, siamo veramente addolorati per il fatto che ancora una volta si verificano questi attacchi contro la nostra comunità cristiana. La chiesa non è una chiesa cattolica da quanto sò fino ad ora, ma è molto vicina alla nostra chiesa cattolica. Ma quello non indica nulla, perché sono cristiani e parte della nostra minoranza. Quindi ancora una volta verifichiamo che questa nostra Chiesa cristiana è sofferente in Pakistan.

    D. - C’è un appello che vuole rivolgere a chi ci ascolta, attraverso la Radio Vaticana?
    R. - Sì, mi unisco al Santo Padre che, ancora una volta, ha fatto un richiamo a pregare per la pace nel mondo. Io chiederei anche di avere uno sguardo anche verso la nostra Chiesa in Pakistan che - come tante altre - soffre ogni giorno questi problemi, questa discriminazione, questi attacchi. Credo che, come il Santo Padre ha insistito, la pace nel mondo sia oggi più che necessaria. Vediamo quello che è accaduto qui, l’attacco che è successo ieri anche in Kenya, vediamo la situazione in Siria. Insomma penso che oggi più che mai abbiamo bisogno di pregare per la pace nel mondo.

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    Attentato suicida a Baghdad provoca decine di morti. Mons. Sleiman: la gente è stanca e rassegnata

    ◊   Sono almeno 96 i morti in Iraq dopo una serie di attentati, il più grave dei quali ha provocato 65 morti e 120 feriti durante un funerale nel quartiere sciita di Sadr City a Baghdad: lo hanno riferito fonti ospedaliere, e la cifra è stata poi confermata anche dalla polizia irachena. Della terribile situazione nel Paese del Golfo, Salvatore Sabatino ha parlato con mons. Jean-Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini:

    R. - L’Iraq non è mai uscito da una situazione che è sempre tragica! Forse l’informazione non se ne interessa sempre per ragioni varie, ma io paragono l’Iraq a un “malato grave”: è stato ricoverato in terapia intensiva, poi lo hanno fatto uscire, ma è sempre ricoverato! Quindi, i grandi problemi dell’Iraq non sono mai stati non solo irrisolti, ma neanche confrontati.

    D. - L’acuirsi delle violenze, in questo periodo, è ovviamente strettamente legato a quanto sta accadendo in Siria?

    R. - Certo! Non si può separare l’Iraq da quanto succede in Siria, i fattori esterni sono molto influenti.

    D. - Abbiamo assistito negli ultimi giorni ad un’ondata di violenza senza precedenti, come vive la gente la quotidianità: con paura o prevale comunque un sentimento di speranza per un futuro migliore?

    R. - Io credo in Dio e spero in Dio, ma questa speranza non la vedo sulla faccia degli uomini, almeno in questi tempi. Certamente, la gente ha paura e molti sono anche rassegnati non potendo fare altrimenti. Quindi, c’è molta rassegnazione, ma la rassegnazione non vuol dire certo avere speranza.

    D. – Recentemente, Papa Francesco ha pregato anche per l’Iraq, per la pacificazione di questo Paese. Come avete accolto le sue attenzioni e il suo messaggio?

    R. - Certamente ha pregato soprattutto per la Siria, ma anche per tutte quelle situazioni in cui la pace è in pericolo nel mondo. Se c’è un desiderio è proprio quello della pace! Quindi quello che ha fatto il Papa è espressione di tutto quello che sentiamo, viviamo, vogliamo. E’ stato molto interessante come comunione.

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    Sierra Leone: l'impegno dei saveriani per madri e bambini a Freetown

    ◊   Un seme germogliato tra mille difficoltà: è stata questa, in Sierra Leone, l’esperienza del Family Homes Movement, fondato dal missionario saveriano padre Giuseppe Berton, scomparso di recente. Ma grazie a una rete di amici e di volontari la sua missione al servizio dei più deboli – cominciata durante la guerra civile e proseguita con la pace - non è andata perduta. Ce ne parla Davide Maggiore:

    “L’angelo dei bambini soldato”: così era soprannominato padre Berton, perché, durante il conflitto che insanguinò la Sierra Leone tra il 1991 e il 2002, volle dedicarsi innanzitutto al loro recupero, da cui una vera pacificazione non poteva prescindere. Ma una volta concluse le ostilità, furono altre le emergenze da affrontare, legate ai traumi che la guerra aveva lasciato su tutta la popolazione. Sono nate quindi altre iniziative, come spiega il dottor Roberto Ravera, psicologo, già collaboratore del missionario, che oggi contribuisce a portarle avanti:

    “I bambini soldato comunque crescevano e ne abbiamo aiutati molti ad inserirsi socialmente. Ma il problema fondamentale è che poi sono emerse tutte le altre piaghe che aveva questo Paese: e quasi tutte colpiscono prevalentemente i bambini, l’infanzia e le madri. Quindi padre Berton si era posto anche il problema di come fare un intervento da un punto di vista medico-sanitario nell’ambito della salute mentale, cioè della psicologia”.

    Tra le giovani vittime del clima di violenza ci sono anche i ragazzi di strada arrestati per i più vari motivi. Il dottor Ravera descrive le loro condizioni in prigione:

    “Ricordo di quando, alcuni anni fa, sono entrato per la prima volta nel carcere minorile di Freetown. Qui ho trovato una situazione veramente incredibile: più di 70 bambini dai 10 ai 13 anni ammassati in questo grande stanzone sporco, senza bagno, con due secchi e chiusi là dentro tutto il giorno. Si picchiavano e avevano organizzato tutto un sistema di gang, di bande all’interno del carcere”.

    Intervenire in questo contesto ha significato impegnarsi in molti campi diversi. Ancora il dottor Ravera:

    “Ha comportato entrare massicciamente lì dentro, fornendo assistenti sociali e educatori. Abbiamo fatto attività ricreative, di assistenza medica, la scuola … Noi abbiamo anche due comunità. Quindi in sostanza possiamo accogliere i ragazzi del carcere e quando sono pronti, farli uscire da lì e venire in un luogo sicuramente più umano”.

    Le stesse problematiche psicologiche non possono essere affrontate da sole: è per questo che il Family Homes Movement, in Sierra Leone, sostiene anche progetti in campo sanitario. Attraverso sei ambulatori che forniscono assistenza sanitaria gratuita nelle aree più disagiate di Freetown, e puntando sul coinvolgimento di personale locale si riesce ad entrare in contatto con le situazioni più urgenti. E nell’affrontarle – conclude il dottor Ravera - è fondamentale il richiamo all’esperienza di padre Berton:

    “Insieme a padre Berton abbiamo sempre discusso dei grandi problemi che ci sono in Sierra Leone: l’urbanizzazione - quindi la rottura di tutti gli schemi legati alla tradizione, al villaggio - e l’ingiustizia sociale. La ricchezza comincia a muoversi, ma va a ‘cadere’ quasi sempre su pochi. E padre Berton ha sempre sostenuto che ogni progetto dovesse in qualche modo andare a lavorare sulla possibilità di educare gli uomini alle necessità dei più deboli e dei più fragili. In Sierra Leone i più fragili sono sempre i bambini e le loro madri”.

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    Ancora attriti tra Nord e Sud Sudan, nonostante i negoziati

    ◊   Continuano gli attriti tra Nord e Sud Sudan, mentre sono in corso i negoziati di pace tra i due Paesi, che si sono divisi nel 2011 dopo gli accordi che hanno portato all’indipendenza della parte meridionale. Le zone di confine tra i due Stati restano teatro di scontri tra Khartoum e Juba, così come la gestione delle risorse petrolifere. Elvira Ragosta ne ha parlato con Gian Paolo Calchi Novati, ordinario di Storia e Istituzioni Africane all’università di Pavia:

    R. - Il Sud Sudan - è stato detto - è fallito prima ancora di nascere! E il prezzo lo si sta pagando adesso. Persino il confine non è stato deciso, il che significa che oggi c’è un confine in contestazione, dove ci sono anche sacche di resistenza - per così dire - speculari: nel Nord combattenti che tengono per il Sud e nel Sud possibili secessionisti che vorrebbero rientrare nel nord. E poi c’è il problema del petrolio.

    D. - Dall’inizio di settembre il Sud Sudan avrebbe guadagnato quasi 970 milioni di dollari dalla vendita del petrolio, senza però versare la percentuale dovuta al Sudan. Risorse e infrastrutture sembrano essere fonti vitali sia per Khartoum che per Giuba…

    R. - Il Sudan, come Stato, interviene nella questione petrolifera soprattutto perché passa per il suo territorio il petrolio che viene esportato. Naturalmente, il Sudan ha cominciato a chiedere delle royalties che sono state giudicate troppo alte dal governo di Giuba e forse il governo del Sud Sudan non ottempera neanche a questa condizione. Mi sembra molto pericoloso per il Sud Sudan, perché questo potrebbe veramente diventare un casus belli.

    D. - Il presidente sudanese ha recentemente chiesto il visto di ingresso per gli Stati Uniti per partecipare ai lavori dell’Assemblea generale dell’Onu. Ma al-Bashir non può lasciare il Sudan, perché su di lui pende un mandato di cattura internazionale per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità nel Darfur. Secondo lei, si è trattato di una provocazione?

    R. - No! Al-Bashir ha già partecipato a molte conferenze internazionali e ha avuto anche la possibilità di essere ricevuto da Paesi o che non riconoscono lo Statuto della Corte Penale Internazionale oppure che non ritengono giustificate le accuse della Corte stessa. In teoria ci sono delle condizioni speciali che potrebbero essere fatte valere per consentire l’accesso al Palazzo di Vetro di al-Bashir. Fra l’altro gli Stati Uniti, a rigore, non hanno firmato il Trattato della Corte Penale e quindi non sarebbero - dal punto di vista strettamente giuridico - tenuti all’arresto di al-Bashir. Al-Bashir può anche voler riprendere un ruolo e utilizzare l’Onu per lanciare qualche messaggio o per dimostrare di essere attivo nella politica internazionale e vuole - forse - confermare la sua prassi che lo ha portato in parecchie assise internazionali, anche fuori dell’Africa.

    D. - Queste tensioni tra i due Sudan rappresentano un fallimento del processo che - dal 2005 al 2011 - ha portato all’indipendenza del Sud Sudan, anche con l’appoggio statunitense. Secondo lei, sono anche il fallimento della diplomazia africana?

    R. - L’Africa non ha brindato alla separazione, sapendo che potrebbe diventare un precedente molto pericoloso, specialmente in questa fascia sahelliana, dove tutti gli Stati, più o meno, vedono una condivisione o un condominio fra un Nord arabo-islamico e un Sud nero. In questo caso, i secessionisti sono state le province nere del Sud in parte cristianizzate; altrove potrebbero essere, invece, il Nord - come è avvenuto o stava per avvenire in Mali - a nutrire intenzioni secessionistiche. Direi che più che il fallimento della diplomazia africana, che è tendenzialmente contro la secessione e la frammentazione degli Stati, è il concetto di Stato periferico che viene accettato, se non promosso, dal sistema globale nei suoi centri decisionali, che non sono in Africa come è ben noto. Non si fa tanta attenzione al fatto che questo Stato futuro sia - diciamo una parola un po’ difficile - esistibile: avrà mai la possibilità di essere veramente sovrano? Quello che conta è che svolga delle funzioni di good governance al suo interno e probabilmente funzioni securitarie a favore degli interessi altrui.

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    I cattolici e l'ideologia del gender al centro di un convegno a Verona

    ◊   Uno stravolgimento del diritto naturale che si configura come una nuova forma di ideologia: è la teoria del gender alla quale, ieri, a Verona l’associazione Famiglia Domani e il Movimento Europeo Difesa della Vita hanno dedicato un convegno sul tema “Per l’uomo o contro l’uomo?”. Alla base di tale teoria, sostenuta da leggi e grandi risorse economiche, c’è un concetto di identità da costruirsi senza riferimenti al sesso come dato antropologico, ma al gender, il genere, ovvero la sessualità come scelta o comportamento. Perché approfondire questi temi? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Virginia Coda Nunziante, portavoce di Famiglia Domani:

    R. – Per spiegare all’opinione pubblica cosa sta succedendo e come cambierà la vita di tutti se queste teorie verranno applicate nei prossimi mesi.

    D. – Secondo la teoria del gender, non vale più il diritto naturale ma conta ciò che il singolo individuo sente di essere …

    R. – E’ la persona in quanto tale che può scegliere se essere uomo o donna, se non essere nessuno dei due: infatti, in molti Paesi – anche in Australia, per esempio nei certificati di identità – è stata già eliminata la distinzione tra uomo e donna, ma c’è anche una casella in più: quindi uno può dichiararsi anche di un altro sesso che non esiste in natura …

    D. – Sta parlando dei generi: gay, lesbica, trans, queer?

    R. – Esattamente. E poi se ne aggiungono sempre di più, per cui al di là di un’evidenza naturale, biologica si cerca – appunto – di scardinare tutto ciò con queste nuove teorie in cui è l’uomo che, con la sua propria determinazione, vuole cambiare una realtà oggettiva. Se in questo momento si prescinde, appunto, da qualsiasi diritto naturale, per cui ci si basa solo sul diritto positivo, certamente noi cattolici potremmo essere condannati semplicemente perché ribadiamo che il matrimonio tra un uomo e una donna è secondo natura; solo per dire questo potremmo essere condannati perché potremmo ledere il diritto delle coppie omosessuali.

    D. – Voi mettete in guardia dall’ideologia del gender e dall’omosessualismo …

    R. – C’è una grande differenza tra quello che è l’omosessualità e l’omosessualismo, che è la lobby gay di cui si parla. Perché in realtà gli omosessualisti sono attivisti che vogliono portare avanti una rivoluzione nella società, mentre invece l’omosessualità è sempre esistita e nessuno condanna la persona omosessuale in quanto tale. Quello che si condanna è il voler assolutizzare nuove ideologie che sovvertirebbero l’ordine naturale.

    D. – E’ di questi giorni l’acceso dibattito in merito alla legge contro l’omofobia …

    R. – La nostra posizione è che sarebbe terribilmente grave che venisse chiusa la bocca a tutti coloro che non condividono e che vogliono parlare di queste tematiche. I primi che non potranno più dire nulla sono i sacerdoti, per cui noi dobbiamo reagire: dobbiamo avere il diritto di poter esprimere le nostre opinioni, né con la forza né con la violenza, perché nella democrazia c’è un principio per cui tutti hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni.

    D. – Oggi la teoria del gender si sta facendo strada in molti Paesi …

    R. – Come in Francia, dove i ragazzi vengono imprigionati perché manifestano contro il matrimonio omosessuale o contro la teoria del gender; sindaci vengono processati perché non vogliono celebrare le nozze omosessuali, e l’Onu, l’Unione Europea incidono sui Paesi affinché vengano recepite queste loro disposizioni. Che non sono – chiaramente – obbligatorie, però i nostri governanti fanno riferimento a queste disposizioni delle organizzazioni internazionali per evidenziare che dobbiamo anche noi adeguarci, altrimenti l’Italia non sarà al passo con i tempi...

    D. – Come possono porsi i cattolici di fronte alla teoria del gender?

    R. – Devono rendersi conto della pericolosità di questa ideologia e quindi reagire; cioè, non possiamo accettare soluzioni di compromesso come male minore: se noi non reagiamo, siamo conniventi, per cui ci renderemmo – noi – responsabili di uno stravolgimento della nostra società, principalmente per le nuove generazioni.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Attacco terroristico a Nairobi: almeno 59 morti. Nel centro commerciale ancora trenta ostaggi

    ◊   E' salito ad almeno 59 morti e 175 feriti, di diverse nazionalità, il bilancio delle vittime dell'attacco al Centro commerciale Westgate di Nairobi, preso d'assalto ieri da un commando armato. Tra le vittime occidentali vi sono due francesi e due canadesi, tra cui un diplomatico. L’azione terroristica è stata rivendicata dai fondamentalisti somali al Shabaab, legati ad Al Qaeda. La rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera, Catherine Ashton, si è detta "inorridita" per l'accaduto, aggiungendo che l'Ue "offre pieno e completo sostegno alle autorità kenyane" ed è pronta a fare "tutto il possibile per prevenire simili eventi in futuro". Un aiuto per portare "i colpevoli di questa orrenda violenza di fronte alla giustizia" è stato promesso anche dal segretario di Stato americano, John Kerry. Nel centro commerciale si troverebbero ancora almeno dieci uomini armati, con una tentina di ostaggi. Le autorità starebbero elaborando una "strategia negoziale" per liberarli, con il contributo di "esperti" provenienti da Israele: lo rendono noto fonti della stessa sicurezza israeliana, in risposta alle notizie di un'irruzione in corso, che si erano diffuse in precedenza.

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    Siria: l'opposizione apre alla Conferenza di Ginevra

    ◊   La coalizione siriana d’opposizione è disponibile a partecipare alla conferenza di Ginevra, proposta da Stati Uniti e Russia, ad alcune condizioni. Lo afferma, in una lettera indirizzata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Ahmad Jarba, che presiede il gruppo. “Tutte le parti – scrive Jarba – devono concordare sul fatto che lo scopo della Conferenza sia di arrivare ad un governo di transizione con pieni poteri”. L’opposizione insiste, inoltre, sul fatto che Bashar al-Assad non abbia alcun ruolo nell’amministrazione ad interim, una condizione che il Presidente in carica aveva già rifiutato in passato. Jarba, infine, chiede al Consiglio di Sicurezza di non escludere l’uso della forza nel caso il regime rifiuti di consegnare tutte le armi chimiche in suo possesso, e invita le Nazioni Unite a prendere tutte le “misure necessarie” per garantire un effettivo ‘cessate il fuoco’ nel Paese in guerra. Un invito a risolvere la crisi siriana senza un intervento militare è arrivato, intanto dal Presidente iraniano Hassan Rohani, secondo cui “non dobbiamo spegnere la guerra con la guerra, ma con la politica e il dialogo”. Tuttavia, Rohani ha rivolto un monito ai Paesi occidentali: “Non cercate – ha detto – una nuova guerra nella regione, perché ve ne pentireste”. (D.M.)

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    Germania al voto: Angela Merkel verso un terzo mandato

    ◊   Urne aperte in Germania per le elezioni politiche: la cancelliera Angela Merkel è data favorita dai sondaggi, secondo cui dovrebbe agevolmente conquistare un terzo mandato alla testa del governo. Il suo partito, la Cdu, insieme all’omologo bavarese Csu, è dato al 39% dei consensi, con circa 13 punti di vantaggio sui socialdemocratici della Spd. Non è affatto certa, però la formazione di un governo di centro-destra, visto che i liberali potrebbero non superare la soglia di sbarramento necessaria ad entrare nel Parlamento federale. Da parte sua il candidato socialdemocratico Peer Steinbrueck – che puntava ad una coabitazione di governo con il partito dei Verdi – ha già escluso di estendere una possibile alleanza all’altro partito di sinistra, Die Linke: per formare il governo potrebbe essere necessaria dunque una ‘grande coalizione’ tra il partito di Angela Merkel e la stessa Spd. Il voto tedesco viene guardato con attenzione anche dall’Europa, perché i risultati potrebbero avere un peso sulle politiche economiche dell’Intera Ue. Nel suo ultimo comizio, Angela Merkel ha ribadito che la forza della Germania dipende da quella dell’Ue, ma ha nuovamente escluso il via libera ai cosiddetti eurobond: “la condivisione dei debiti è la strada sbagliata”, ha detto. Fuori dai confini tedeschi, infine, si guarda anche alla performance del nuovo partito Afd, diventato noto per le sue posizioni anti-euro. (D.M.)

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    Cina: condanna all'ergastolo per Bo Xilai, che annuncia ricorso

    ◊   In Cina è stato condannato all’ergastolo Bo Xilai, importante ex dirigente del Partito comunista: la Corte di Jinan lo ha dichiarato colpevole di corruzione. Per altri due reati, appropriazione indebita e abuso di potere, sono stati aggiunti alla pena 22 anni in totale. Secondo la stampa, Bo farà ricorso in appello contro il verdetto, che lo priva anche delle proprietà – molte delle quali verranno destinate ai governi locali – e dei diritti politici. Si interrompe dunque la carriera politica di quello che alcuni analisti consideravano tra i potenziali leader cinesi: figlio di un ex alto funzionario che collaborò con Mao Zedong e Deng Xiaoping, Bo si era messo in luce guidando il partito nella città di Chongqing, dove portò avanti progetti di industrializzazione e campagne sulla sicurezza. Ma proprio un poliziotto suo collaboratore, Wang Lijun, all’inizio del 2012 presentò le accuse contro di lui e contro la moglie Gu Kailai, condannata un anno fa alla pena di morte, poi sospesa e commutata in ergastolo per l’omicidio dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood. (D.M.)

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    Anno della Fede: il 16-17 novembre Giornata conclusiva per le Chiese di Terra Santa

    ◊   Una Giornata internazionale della fede per celebrare la conclusione dell’Anno della fede: è quanto propongono le Chiese cattoliche di Terra Santa - latina, melkita, maronita, siroantiochena, armena - che per l’evento hanno scelto la sede di Nazareth e la data del 16 e 17 novembre. Il comitato dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa - riporta l'agenzia Sir - curerà la liturgia mariana nella basilica dell’Annunciazione il 16 novembre e la messa del 17 presso il "Monte del precipizio" dove celebrò anche Benedetto XVI il 14 maggio del 2009, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Ed è stato proprio il pellegrinaggio uno dei momenti privilegiati dell’Anno della Fede, aperto a Roma l’11 ottobre 2012. “Incontrando i pellegrini ai luoghi santi, gli Ordinari Cattolici di Terra Santa - si legge in una loro nota - sono testimoni di come il vedere Gesù di Nazareth, il toccare i luoghi dove Lui è passato, possano trasformare una persona. I pellegrini in Terra Santa, con la loro presenza, raccontano come la fede ricevuta ha portato e porta frutto”. Dalle Chiese cattoliche di Terra Santa giunge anche l’invito a parrocchie, diocesi e associazioni a partecipare. Proprio per favorire la più ampia presenza di fedeli il Ministero del Turismo israeliano sarà in contatto con le agenzie di pellegrinaggi, diocesane e private, per la parte logistica ed organizzativa. (R.P.)

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    Unitalsi: pellegrinaggi a Lourdes per i 110 anni dalla fondazione

    ◊   Si svolgerà da domani al 28 settembre il tradizionale pellegrinaggio nazionale a Lourdes dell’Unitalsi, che quest’anno festeggia i 110 anni dell’Associazione. I pellegrini, circa 10mila quelli previsti, raggiungeranno la cittadina mariana da ogni regione d’Italia, con 15 treni, 10 aerei e 2 bus. “Il Pellegrinaggio a Lourdes - si legge in una nota ripresa dall'agenzia Sir - è ormai una tradizione che risale al 1903, data del primo pellegrinaggio da Roma a Lourdes effettuato da Giovan Battista Tomassi, fondatore dell’allora Untal, per arrivare alla prima partenza di un treno bianco Unitalsi verso Lourdes avvenuta nel 1936. Nell’anno del 110.mo anno di fondazione dell’Unitalsi, il Pellegrinaggio Nazionale riveste un’importanza particolare” “Per l’Associazione è un’occasione di gioia, di riflessione, di preghiera e di speranza per il proprio futuro. Lourdes, che consideriamo la nostra casa da 110 anni, ha vissuto quest’anno momenti molto difficili, ricordo ancora le due esondazioni che hanno colpito questa parte della Francia e Lourdes in particolare - ha dichiarato Salvatore Pagliuca, presidente nazionale dell’Unitalsi - ma quella è stata anche l’occasione per riscoprire la bellezza del messaggio mariano che questo luogo custodisce, il suo naturale richiamo che apre la propria porta alla fede di milioni di pellegrini, di ammalati e di fedeli”. “Sarà un pellegrinaggio di festa per l’anniversario - conclude Pagliuca - ma improntato alla sobrietà che i tempi richiedono, una sobrietà che tiene conto di ciò che è essenziale, e cioè di veramente importante, e nulla è più importante della nostra fede in Gesù che è sostenuta dal nostro affidamento a Maria”. Durante la settimana di pellegrinaggio i partecipanti all’evento potranno vivere intensi momenti di spiritualità come la Via Crucis, la celebrazione eucaristica, la Messa Internazionale nella Basilica sotterranea San Pio X, presieduta dal cardinale Salvatore De Giorgi, la processione eucaristica, le adorazioni notturne alla Grotta delle Apparizioni, i Passi di Bernadette e il tradizionale ”flambeaux”. Nell’ambito del pellegrinaggio a Lourdes si svolgeranno anche il convegno medico e gli incontri culturali, in cui saranno presentati gli ultimi lavori letterari di Filippo Anastasi, Rita Coruzzi e Giusy Versace. (R.P.)

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    Argentina: 100mila giovani partecipano al pellegrinaggio alla Basilica della Madonna di Itatí

    ◊   “Dalla mano di Maria, siamo testimoni della fede” è il motto del XXXIV Pellegrinaggio giovanile delle diocesi del nordest argentino alla Basilica della Madonna di Itatí, che tra ieri e oggi, vedrà circa 100 mila presenze. Provenienti dalle diocesi di Corrientes, Resistencia, Formosa, Goya, Oberá, Posadas, Puerto Iguazú, Reconquista, San Roque de Presidencia, Roque Sáenz Peña y San Tomé, i giovani pronunceranno il tradizionale manifesto nel quale esprimono le loro preoccupazioni, i loro bisogni, le loro speranze e i loro impegni con Dio e con il prossimo, per poi partecipare nella celebrazione eucaristica domenica mattina, presieduta quest’anno dal nunzio apostolico in Argentina, Emil Paul Tscherrig, e concelebrata dai vescovi della regione. Il tema scelto per il pellegrinaggio di quest’anno è in sintonia con la celebrazione dell’Anno della Fede e con quello che ha significato la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio, ha spiegato all’agenzia Aica il presbitero Diego Gonzàlez, organizzatore dell’evento. “Non importa in quanti parteciperanno a questo itinerario di fede, neppure chi arriva per primo o per ultimo, perché quel che conta è che siano preparati e concentrati nel sacrificio e il dono di sé che implica essere pellegrino”- ha aggiunto padre Gonzàlez. Tuttavia si attende una moltitudine di ragazzi in cammino verso il Santuario della Madonna di Itatì e che saranno guidati da un’operazione di sicurezza condotta dalla Polizia municipale di Corrientes, il Ministero di Sanità Pubblica, la Gendarmeria nazionale e la Polizia federale. Itatí è uno dei centri di peregrinazione mariana più importanti di Argentina. Migliaia di fedeli, dai più disparati luoghi del Paese e con diversi mezzi di trasporto, giungono il santuario per venerare l'antichissima statua della Vergine Maria scolpita nel legno dalle popolazioni native. Questa piccola immagine è considerata miracolosa e per questo motivo la "Virgencita di Itatí" è una tra le più venerate immagini sacre nell’Argentina ma anche nei Paesi confinanti come Paraguay e Uruguay. (A cura di AlinaTufani)

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    Brasile: violenza, omicidi e suicidi, la popolazione indigena spera nell’aiuto della Chiesa

    ◊   Mons. Erwin Kräutler, vescovo della Prelatura di Xingu, nel Pará, e presidente del Cimi, e mons. Enemesio Lazzaris, vescovo della diocesi di Balsas, a Maranhão, e presidente della Commissione Pastorale della Terra (Cpt), hanno denunciato le speculazioni agrarie che danneggiano i diritti degli indigeni. Diverse comunità indigene - riporta l'agenzia Fides - sono state infatti espulse con la forza dalle terre dove vivevano per essere occupate da imprese agricole. Un rapporto del Cimi (Consiglio indigena missionario) afferma che, dal 2003 al 2012, vi sono stati 317 omicidi di indigeni nello Stato, su un totale di 563 in tutto il Paese nello stesso periodo. Tra il 2000 e il 2012, la segregazione sui bordi della strada o in minuscole riserve hanno spinto al suicidio 611 indigeni, in gran parte giovani di età compresa tra i 14 ei 25 anni, secondo i dati del Dsei (Distretto di Sanità Indigena). Queste sono solo alcune delle drammatiche situazioni denunciate dai vescovi. La Apib (Asociacion de los Pueblos Indígenas de Brasil) ha indetto, tra il 30 settembre e il 5 ottobre, una mobilizzazione nazionale per i diritti degli indigeni e il loro riconoscimento nella Costituzione. (R.P.)

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    Ad Assisi, concerto di Krzysztof Penderecki in memoria di Giovanni Paolo II

    ◊   La commozione è scattata quando i sentimenti hanno incrociato la storia, quella di un’amicizia che ancora dura nel cuore e quella che alla fine del Novecento ha cambiato il volto dell’Europa dell’Est. Mentre ieri pomeriggio un bellissimo sole di tardo settembre calava tra le arcate del Chiostro del Sacro Convento di Assisi – teatro fin lì di uno splendido concerto di Krzysztof Penderecki, 80 anni a novembre e una delle grandi bacchette viventi – il compositore polacco si è voltato verso le 200 persone che lo stavano applaudendo e ha annunciato che, come bis, avrebbe eseguito la sua “Ciaccona”, una partitura composta in memoria di Giovanni Paolo II. Ed è qui che per i molti presenti che conoscono la storia dell’artista si è mosso qualcosa dentro. Perché Karol Wojtyla e Krzysztof Penderecki si sono conosciuti negli anni Cinquanta a Cracovia, sono diventati presto amici e le loro strade, diverse e ciascuna a suo modo straordinaria, hanno corso in parallelo lungo l’epoca dell’opposizione al regime comunista di Varsavia, che il Papa conduceva in nome del Vangelo e il compositore polacco – già famoso all’estero negli Anni Sessanta e dunque “tollerato” dalla dittatura socialista – combatteva in punta di note. Note magistrali e monumentali, per la maggior parte ispirate da una fede profonda. Basta scorrere qualche titolo: lo “Stabat Mater” (composto a meno di trent’anni), “La Passione secondo San Luca”, e in tempi più recenti “Le sette porte di Gerusalemme”, insieme a molte e molte pagine di musica sacra. Non c’è solo questa nell’ampia produzione di Penderecki, ma sempre si percepisce nelle sue invenzioni melodiche quella tensione etica che, specie negli anni dell’oppressione comunista, lo rese interprete dell’anima spirituale del popolo polacco e della sua sete di libertà. Penderecki è tornato a suonare ieri ad Assisi su invito della Sagra Musicale Umbra, che già nel 1980 lo chiamò a eseguire il suo “Te Deum”, ancora inascoltato in Italia. Anche in quella occasione, il compositore polacco dedicò la sua creazione all’amico Papa da nemmeno due anni. E in modo analogo è terminato il concerto di ieri, a pochi giorni dall’arrivo nella città di Francesco di un altro Papa venuto da lontano. (A cura di Alessandro De Carolis)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 265

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.