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Sommario del 21/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: anche nella comunicazione, serve una Chiesa che sappia accendere il cuore
  • Lo sguardo di Gesù cambia la vita: così il Papa a Santa Marta
  • Nomine e conferme nella Curia Romana
  • 60 anni fa, la vocazione al sacerdozio di J. Mario Bergoglio. Papa Francesco chiede di pregare per lui
  • Tweet del Papa: superiamo la paura di sporcarci le mani per aiutare i più bisognosi
  • La visita del Papa a Cagliari. Mons. Miglio: un viaggio che ci fa sentire amati
  • L'incontro del Papa con i detenuti a Cagliari. Il cappellano: un gesto che dà speranza
  • Il Papa riceve il card. Ouellet
  • Beatificazione di Tommaso da Olera, umile cappuccino che parlava di Dio a poveri e regnanti
  • Negoziati Santa Sede-Israele. Padre Neuhaus: progressi lenti, ma c'è speranza
  • Messa per i 1700 anni dell'Editto di Milano: la riflessione dei cardinali Scola e Puljić
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Giornata internazionale della pace, occasione di impegno e preghiera per la Siria
  • Situazione drammatica per i profughi siriani in Libano. In loro aiuto il sostegno medico dello Smom
  • La Germania alle urne, test cruciale per la Merkel
  • Coree: stop agli incontri tra famiglie separate dalla fine della guerra del '53
  • La relatrice dell’Onu sulla tratta di esseri umani: si affrontino le cause profonde di questa piaga
  • Canton Ticino, referendum contro il burqa. Il vescovo di Lugano: iniziativa da bocciare
  • "Uno di Noi", questa domenica il "Click day" per difendere la vita dal concepimento
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: trovate due granate nella cattedrale di Bossangoa
  • Vescovi latini del Medio Oriente: il conflitto in Siria non si risolve fornendo più armi
  • Siria: è falso il massacro di 130 cristiani ad Aleppo
  • Filippine: il card. Tagle invoca la via del dialogo per la crisi a Zamboanga
  • Pakistan: a Lahore, cristiani e musulmani in piazza contro le violenze sessuali sui minori
  • Scozia: a Edimburgo iniziato il ministero arcivescovile di mons. Cushley
  • Colombia: i colloqui di pace a Cuba conclusi con un nulla di fatto
  • Brasile: nuova condanna per l'assassinio di suor Dorothy Stang
  • Nicaragua: i vescovi sulla sentenza dell'Aja sulle acque delle isole contese con la Colombia
  • Burkina Faso: “La Chiesa cattolica non siederà al Senato” affermano i vescovi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: anche nella comunicazione, serve una Chiesa che sappia accendere il cuore

    ◊   Nel mondo della comunicazione, la Chiesa è chiamata a portare calore e accendere il cuore. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza di stamani ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Il Papa ha sottolineato che è importante portare l’identità cristiana anche nel Continente digitale. Serve, ha detto, una Chiesa che sappia "mettersi in cammino con tutti". L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dall’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del dicastero delle Comunicazioni Sociali. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Portare Cristo nel mondo della comunicazione, accompagnando il cammino di ogni uomo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha ricordato come, quest’anno, ricorra il 50.mo del Decreto Conciliare Inter Mirifica, un documento che mostra quanto la Chiesa sia attenta “alla comunicazione e ai suoi strumenti” anche “in una dimensione evangelizzatrice”. Il panorama comunicativo, ha riconosciuto il Papa, si è sempre più evoluto diventando per molti “un ambiente di vita” ed è allora fondamentale capire quale ruolo possa avere la Chiesa con le sue realtà comunicative:

    “In ogni situazione, al di là delle tecnologie, credo che l’obiettivo sia quello di sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze. Sono uomini e donne a volte un po’ delusi da un cristianesimo che a loro sembra sterile, in difficoltà proprio nel comunicare in modo incisivo il senso profondo che dona la fede”.

    In effetti, ha constatato il Papa, “proprio oggi, nell’era della globalizzazione”, assistiamo “ad una crescita del disorientamento, della solitudine” e “vediamo diffondersi lo smarrimento circa il senso della vita, l’incapacità di fare riferimento ad una casa, la fatica di intessere legami profondi”:

    “E’ importante, allora, saper dialogare, entrando, con discernimento, anche negli ambiti creati dalle nuove tecnologie, nelle reti sociali, per far emergere una presenza, una presenza che ascolta, dialoga, incoraggia. Non abbiate timore di essere questa presenza, portando la vostra identità cristiana nel farvi cittadini di questo ambiente. Una Chiesa che accompagna il cammino, sa mettersi in cammino con tutti!”.

    C’è un’antica regola dei pellegrini, ha soggiunto, ripresa da Sant’Ignazio. “Quello che accompagna un pellegrino e che va col pellegrino – ha detto il Papa - deve andare al passo del pellegrino, non più avanti e non ritardare". E questo, ha spiegato, "è quello che voglio dire: una Chiesa che accompagna il cammino e che sappia mettersi in cammino”. La sfida che dobbiamo affrontare, ha poi aggiunto, “non è principalmente tecnologica”. Dobbiamo invece chiederci se “anche in questo campo”, siamo capaci “di portare all’incontro con Cristo” e siamo “capaci di comunicare il volto di una Chiesa che sia la casa per tutti”. Anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale, ha aggiunto, dobbiamo far riscoprire “la bellezza di tutto ciò che è alla base del nostro cammino e della nostra vita, la bellezza della fede, dell’incontro con Cristo”:

    “Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore. La nostra presenza, le nostre iniziative sanno rispondere a questa esigenza o rimaniamo tecnici? ? Abbiamo un tesoro prezioso da trasmettere, un tesoro che porta luce e speranza. Ce n’è tanto bisogno!”.

    Tutto ciò, ha proseguito, “esige un’attenta e qualificata formazione, di sacerdoti, di religiosi, di religiose, di laici, anche in questo settore”. Ed ha avvertito che “il grande continente digitale non è semplicemente tecnologia, ma è formato da uomini e donne reali che portano con sé ciò che hanno dentro”:

    “C’è bisogno di saper indicare e portare Cristo, condividendo queste gioie e speranze, come Maria che ha portato Cristo al cuore dell’uomo; c’è bisogno di saper entrare nella nebbia dell’indifferenza senza perdersi; c’è bisogno di scendere anche nella notte più buia senza essere invasi dal buio e smarrirsi; di ascoltare le illusioni di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza cadere nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità. Questo è il cammino. Questa è la sfida".

    La presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, ha ribadito, è importante “per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo”, nella consapevolezza che “il problema di fondo non è l’acquisizione di sofisticate tecnologie”. L’incontro con Cristo, ha riaffermato, “è un incontro personale”:

    "Non si può manipolare. In questo tempo noi abbiamo una grande tentazione nella Chiesa, che è l’acoso [molestia] spirituale: manipolare le coscienze; un lavaggio di cervello teologale, che alla fine ti porta a un incontro con Cristo puramente nominalistico, non con la Persona di Cristo Vivo. Nell’incontro di una persona con Cristo, c’entra Cristo e la persona! Non quello che vuole l’ingegnere spirituale che vuol manipolare. Questa è la sfida".

    “Sia sempre ben chiaro in noi - ha concluso - che il Dio in cui crediamo, un Dio appassionato per l’uomo, vuole manifestarsi attraverso i nostri mezzi, anche se sono poveri, perché è Lui che opera, è Lui che trasforma, è Lui che salva la vita dell’uomo”.

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    Lo sguardo di Gesù cambia la vita: così il Papa a Santa Marta

    ◊   Lasciamoci guardare da Gesù, il suo sguardo cambia la vita: è quanto ha detto Papa Francesco stamane, durante la Messa a Santa Marta, commentando il Vangelo che racconta la conversione di San Matteo, di cui oggi la Chiesa celebra la Festa. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Gesù guarda negli occhi Matteo, un esattore delle imposte, un pubblico peccatore. Il denaro è la sua vita, il suo idolo. Ma ora – afferma il Papa – sente “nel suo cuore lo sguardo di Gesù che lo guardava”:

    “E quello sguardo lo ha coinvolto totalmente, gli ha cambiato la vita. Noi diciamo: lo ha convertito. Gli ha cambiato la vita. ‘Appena sentito nel suo cuore quello sguardo, egli si alzò e lo seguì’. E questo è vero: lo sguardo di Gesù ci alza sempre. Uno sguardo che ci porta su, mai ti lascia lì, eh?, mai. Mai ti abbassa, mai ti umilia. Ti invita ad alzarti. Uno sguardo che ti porta a crescere, ad andare avanti, che ti incoraggia, perché ti vuole bene. Ti fa sentire che Lui ti vuole bene. E questo dà quel coraggio per seguirlo: ‘Ed egli si alzò e Lo seguì’”.

    Lo sguardo di Gesù – sottolinea il Papa – non è qualcosa di “magico: Gesù non era uno specialista in ipnosi”. “Gesù guardava ognuno, e ognuno si sentiva guardato da Lui, come se Gesù dicesse il nome … E questo sguardo cambiava la vita, a tutti”. Così ha cambiato Pietro, che dopo averlo rinnegato incontra il suo sguardo e piange amaramente. C’è poi l’ultimo “sguardo di Gesù sulla Croce: guardò la mamma, guardò il discepolo e ci ha detto, con quello sguardo, ci ha detto che la sua mamma era la nostra e che la Chiesa è madre. Con uno sguardo”. Poi ha guardato il Buon Ladrone e ancora una volta Pietro, “impaurito, dopo la Resurrezione, con quelle tre domande: ‘Mi ami?’. Uno sguardo che lo faceva vergognare. Ci farà bene pensare, pregare su questo sguardo di Gesù – sottolinea il Papa - e anche lasciarci guardare da Lui”. Gesù, ora, si reca nella casa di Matteo e mentre siede a tavola arrivano molti peccatori: “si era sparsa la voce. E tutta la società – ma non la società pulita – si è sentita invitata a quel pranzo”, come accade nella parabola del re che ordina ai servi di andare ai crocicchi delle strade per invitare al banchetto nuziale del figlio quanti incontreranno, buoni e cattivi:

    “E i peccatori, pubblicani e peccatori, sentivano … ma, Gesù li aveva guardati e quello sguardo di Gesù su di loro io credo che sia stato come un soffio sulle braci, e loro hanno sentito che c’era fuoco dentro, ancora, e che Gesù li faceva salire, riportava loro la dignità. Lo sguardo di Gesù sempre ci fa degni, ci dà dignità. E’ uno sguardo generoso. ‘Ma guarda che Maestro: pranza con la sporcizia della città!’: ma sotto a quella sporcizia c’erano le braci del desiderio di Dio, le braci dell’immagine di Dio che volevano che qualcuno li aiutasse a farsi fuoco. E questo lo faceva lo sguardo di Gesù”.

    “Tutti noi, nella vita – ha concluso il Papa - abbiamo sentito questo sguardo, e non una volta: tante volte! Forse la persona di un sacerdote che ci insegnava la dottrina o ci perdonava i peccati … forse nell’aiuto di persone amiche”:

    “Ma, tutti noi ci troveremo davanti a quello sguardo, quello sguardo meraviglioso. E andiamo avanti nella vita, nella certezza che Lui ci guarda. Ma anche Lui ci attende per guardarci definitivamente. E quell’ultimo sguardo di Gesù sulla nostra vita sarà per sempre, sarà eterno. Io chiedo a tutti questi Santi che sono stati guardati da Gesù, che ci preparino a lasciarci guardare nella vita, e che ci preparino anche a quell’ultimo – e primo! – sguardo di Gesù”.

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    Nomine e conferme nella Curia Romana

    ◊   Il Papa ha adottato i seguenti provvedimenti nella Curia Romana: ha accolto la rinunzia presentata, per raggiunti limiti di età, dal cardinale Manuel Monteiro de Castro all'incarico di penitenziere maggiore ed ha chiamato a succedergli nel medesimo incarico il cardinale Mauro Piacenza, finora frefetto della Congregazione per il Clero.

    Nella Congregazione per la Dottrina della Fede ha confermato prefetto mons. Gerhard Ludwig Müller, arcivescovo vescovo emerito di Regensburg, e segretario mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, arcivescovo titolare di Tibica; ha nominato segretario aggiunto mons. Joseph Augustine Di Noia, arcivescovo titolare di Oregon City, finora vice presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei»; ha inoltre confermato i membri ed i consultori, ed ha nominato consultore mons. Giuseppe Sciacca, vescovo titolare di Fondi, segretario aggiunto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

    Nella Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli ha confermato prefetto il cardinale Fernando Filoni, segretario mons. Savio Hon Tai Fai, arcivescovo titolare di Sila, e segretario aggiunto mons. Protase Rugambwa, arcivescovo vescovo emerito di Kigoma; ha inoltre confermato i membri ed i consultori.

    Nella Congregazione per il Clero ha nominato prefetto mons. Beniamino Stella, arcivescovo titolare di Midila, finora presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, ha confermato segretario mons. Celso Morga Iruzubieta, arcivescovo titolare di Alba marittima; ha nominato segretario per i Seminari mons. Jorge Carlos Patrón Wong, finora vescovo di Papantla, elevandolo in pari tempo alla dignità di arcivescovo.

    Nell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha nominato delegato della Sezione Ordinaria mons. Mauro Rivella, del Clero dell'Arcidiocesi di Torino.

    Il Papa ha poi nominato nunzio apostolico in Germania mons. Nikola Eterovic, arcivescovo titolare di Cibale, finora segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ed ha chiamato a succedergli nel medesimo incarico mons. Lorenzo Baldisseri, arcivescovo titolare di Diocleziana, finora segretario della Congregazione per i Vescovi.

    Ha poi nominato nunzio apostolico in Sierra Leone monsignor Miroslaw Adamczyk, arcivescovo titolare di Otricoli, nunzio apostolico in Liberia e in Gambia.

    Infine, ha nominato nunzio apostolico e presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica mons. Giampiero Gloder, consigliere di nunziatura, capo ufficio con incarichi speciali nella Segreteria di Stato, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Telde, con dignità di arcivescovo.

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    60 anni fa, la vocazione al sacerdozio di J. Mario Bergoglio. Papa Francesco chiede di pregare per lui

    ◊   Oggi ricorre il 60.mo anniversario della vocazione sacerdotale di Papa Francesco. Era il 21 settembre del ‘53. Aveva quasi 17 anni. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Un giorno fondamentale nella vita di Jorge Mario Bergoglio. Lo stesso Papa Francesco ha raccontato più volte quel momento cruciale. In Piazza San Pietro, durante la Veglia di Pentecoste con i movimenti, il 18 maggio scorso, ne ha parlato così:

    “Era il ‘Giorno dello studente’, per noi il giorno della Primavera – da voi è il giorno dell’Autunno. Prima di andare alla festa, sono passato nella parrocchia dove andavo, ho trovato un prete, che non conoscevo, e ho sentito la necessità di confessarmi. Questa è stata per me un’esperienza di incontro: ho trovato che qualcuno mi aspettava. Ma non so cosa sia successo, non ricordo, non so proprio perché fosse quel prete là, che non conoscevo, perché avessi sentito questa voglia di confessarmi, ma la verità è che qualcuno m’aspettava. Mi stava aspettando da tempo. Dopo la Confessione ho sentito che qualcosa era cambiato. Io non ero lo stesso. Avevo sentito proprio come una voce, una chiamata: ero convinto che dovessi diventare sacerdote. Questa esperienza nella fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo una parola che spiega bene questo: ‘Il Signore sempre ci primerea’, è primo, ci sta aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta aspettando. Tu vai peccatore, ma Lui ti sta aspettando per perdonarti”.

    Il 21 settembre la Chiesa celebra la Festa di San Matteo. E il motto del Papa, “Miserando atque eligendo”, cioè, guardandolo con misericordia e scegliendolo, è tratto da un’omelia di San Beda il Venerabile, sacerdote dell’ottavo secolo, quando parla di Gesù che chiama Matteo il pubblicano e lo guarda con sentimento di amore e lo sceglie come suo discepolo. Nell’intervista a Civiltà Cattolica, il Papa lo spiega così:

    Io “sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”, “sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto 'Miserando atque eligendo' l’ho sentito sempre come molto vero per me".

    E aggiunge:

    “Il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando”.

    Papa Francesco parla del quadro della vocazione di San Matteo di Caravaggio nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma, che spesso andava a contemplare:

    “Quel dito di Gesù così… verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo”. “È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: ‘no, non me! No, questi soldi sono miei!’. Ecco, questo sono io: ‘un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi’. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice”.

    Infine, incontrando lunedì scorso i sacerdoti romani nella Basilica di San Giovanni in Laterano, ha ricordato questo anniversario:

    “Vi prego di pregare per me, quel giorno, che dalle nostre parti è il giorno della primavera. Qui incomincia l’autunno [ride]”.

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    Tweet del Papa: superiamo la paura di sporcarci le mani per aiutare i più bisognosi

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet: “La vera carità - scrive - richiede un po' di coraggio: superiamo la paura di sporcarci le mani per aiutare i più bisognosi”. Sull’account @Pontifex in nove lingue, i follower sono quasi 9 milioni e 400 mila. In spagnolo sono oltre 3.780.00, in inglese per la prima volta hanno superato i 3 milioni, in italiano 1.119.300, in portoghese 772.300, in francese 194.200, in latino 167.800, in tedesco 143.800, in polacco 127.700, in arabo 90.900.

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    La visita del Papa a Cagliari. Mons. Miglio: un viaggio che ci fa sentire amati

    ◊   Trecentocinquanta mila pellegrini in arrivo da tutta l'Isola per abbracciare il Santo Padre e per inneggiare alla fede e alla speranza: così oggi, la stampa locale alla vigilia della visita pastorale di Papa Francesco a Cagliari, la seconda in Italia, dopo quella a Lampedusa. La sua sarà una presenza di 10 ore circa, con un programma intenso di incontri e, in mattinata, la celebrazione eucaristica al Santuario di Nostra Signora di Bonaria. Il servizio della nostra inviata a Cagliari, Adriana Masotti:

    Ci speravano, ma sono rimasti sorpresi i sardi quando il 15 maggio scorso, in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha annunciato che in settembre sarebbe andato a far visita alla loro Isola. “Desidero visitare il Santuario a Cagliari, spiegava, perché fra la città di Buenos Aires e Cagliari c’è una fratellanza per una storia antica”. Una storia di marinai arrivati dalla Sardegna che avevano voluto chiamare la città argentina con il nome della loro protettrice, la Madonna di Bonaria. Grandi da quel momento la gioia e la gratitudine di tutti sottolineata dai vescovi sardi in una lettera: “Oggi la nostra terra ha particolarmente bisogno di speranza e Papa Francesco viene a ripeterci 'non lasciatevi rubare la speranza'. E ne abbiamo bisogno", continuavano, "perché la grave crisi occupazionale, l’emorragia di giovani, alcuni gesti estremi e i ritardi della politica, concorrono a rubarci la speranza". Dunque questa domenica il Papa è qui per incontrare le varie realtà della Sardegna: prima di tutto quella del lavoro. Tre rappresentanti racconteranno al Papa le loro difficoltà, ma anche le potenzialità del territorio e un esperienza di impresa positiva. Poi la Messa al Santuario di Bonaria, visitato già da altri tre Pontefici, l’ultimo, Benedetto XVI nel 2008. Una copia della statua della Madonna, approdata sulla spiaggia nel 1370, sarà accanto all’altare allestito ai piedi della Basilica e da cui si scorge l’azzurro del mare. Nel pomeriggio, insieme ai sempre più numerosi poveri aiutati dalla Caritas diocesana, in Cattedrale ci saranno anche alcuni detenuti che faticano nel loro cammino di recupero anche per i limiti imposti da un carcere sovraffollato. Successivamente l’incontro con il mondo della cultura e a Largo Carlo Felice, attrezzato con diversi maxi schermi, quello conclusivo con i giovani. “Incontro, speranza, tenerezza, amore” le parole più ricorrenti su manifesti e striscioni. “A Cagliari, sarà una festa di fede e di speranza in cui riscoprire i valori di cui la società ha fame”, scrive l’“Unione sarda”, facendosi voce di tutte le attese della gente della Sardegna.


    Papa Francesco inizierà la sua visita dal Santuario di Nostra Signora di Bonaria. Al microfono di Adriana Masotti, l’arcivescovo di Cagliari, mons. Arrigo Miglio, spiega perché il pontefice abbia voluto cominciare proprio da qui:

    R. – Ma … il motivo mi pare molto chiaro: cioè, il legame storico tra il Santuario di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari e il nome della città di Buenos Aires. Quando abbiamo invitato il Santo Padre, avevamo inviato anche una documentazione su questo legame, e quando però il Santo Padre ha dato l’annuncio in Piazza San Pietro, il 15 maggio scorso, ci siamo resi conto che era molto più informato di noi, perché ha descritto minuziosamente come sono andate le cose e come il nome “Buenos Aires” sia rimasto proprio grazie ai marinai partiti da Cagliari con una nave spagnola. Arrivati nel territorio dell’attuale Buenos Aires, mentre i comandanti della nave avevano dato il nome alla città della Santissima Trinità, i marinai hanno chiesto di aggiungere “Porto di Nostra Signora di Bonaria” (di Buenos Aires) “e – concludeva il Papa – era un nome troppo lungo: sono rimaste le ultime due parole: Buenos Aires”. La Madonna di Bonaria, dal XIV è la patrona di tutti i marinai che passano nel Mediterraneo e quindi adesso anche oltreoceano.

    D. – Papa Francesco insiste sul dovere dei cristiani di andare alle periferie del mondo e dell’esistenza, e lui per primo lo sta facendo. La Sardegna, Cagliari, possono essere considerate una sorta di periferia guardando all’Italia? Voi vi sentite così?

    R. – Noi siamo periferia a vario titolo. Siamo al centro del Mediterraneo, però questo vuol dire che siamo circondati dal mare. Il problema dei trasporti è grande: in fondo, siamo l’isola più disagiata da questo punto di vista. La Sardegna è stata da sempre e ha ripreso, purtroppo, adesso ad essere terra di emigrazione: una vera e propria emorragia di giovani. Per questo, tutta la Sardegna ha accolto subito la delicatezza di Papa Francesco che sì, viene per la Madonna di Bonaria, ma incomincia la sua conoscenza delle regioni italiane proprio da una periferia a vario titolo.

    D. – In programma, nella visita, c’è l’incontro con chi è nella sofferenza, come i detenuti, i poveri assistiti dalla Caritas, ma anche con il mondo del lavoro: incontrerà operai, sindacati, imprenditori. Che cosa dirà Cagliari al Papa su questo fronte, o che cosa il mondo del lavoro si auspica di sentire?

    R. – Bè, è chiaro che il mondo del lavoro vuole dire al Papa la propria sofferenza, la sofferenza di chi è disoccupato, la sofferenza della precarietà; sicuramente diranno al Papa anche la sofferenza perché qualcuno non ce l’ha fatta: mi raccontavano in una di queste imprese ferme, dove gli operai sono in attesa, anche lì ci sono stati casi di suicidio, come è avvenuto nel mondo del commercio, come è avvenuto nel mondo delle piccole imprese. Ma io ho raccomandato che si dicano al Papa anche le cose positive che ci sono: ci sono piccoli imprenditori che ce l’hanno messa proprio tutta e cercano di andare avanti …

    D. – Che cosa si sta facendo in diocesi per prepararsi spiritualmente alla visita del Papa?

    R. – Intanto, preghiamo. Già da un paio di mesi stiamo ripetendo ad ogni celebrazione una preghiera alla Madonna di Bonaria. I giovani hanno impostato come preparazione a questa visita anche l’evento della Gmg a Rio: un gruppo di 40 giovani è stato a Rio de Janeiro, gli altri hanno seguito qui, dalle loro parrocchie … E soprattutto, per tutta la Sardegna abbiamo indetto una novena di preparazione, proprio perché la parte organizzativa esteriore non prevalga. Poi, cerchiamo anche di tenere un tono il più possibile sobrio ed essenziale.

    D. – Però, state pensando anche di fare un dono al Papa …

    R. – Un dono al Papa che non andrà al Papa: andrà a Buenos Aires. Ci hanno segnalato che c’è un’opera che era stata iniziata dal cardinale Bergoglio, e noi daremo il nostro povero contributo per il completamento di quest’opera. Se tutti i sardi donassero un euro a testa, noi possiamo già dare un bell’aiuto alla Caritas di Buenos Aires. Questo è il nostro dono al Papa. Abbiamo pensato di non fare doni inutili o superflui: ci pareva che questo potesse essere a lui gradito e soprattutto sarà un nuovo legame tra Bonaria e Buenos Aires.

    D. – Se vuole concludere con un suo auspicio, una sua speranza per questa visita, per la sua diocesi …

    R. – La visita di Papa Francesco ci fa sentire amati. Il sentirsi amati è la condizione essenziale per imparare ad amare ancora di più. E allora, il mio auspicio è che tutta la Sardegna abbia sempre presente le sue grandi ricchezze – spirituali, umane – e possa diventare nel cammino della Chiesa italiana, un segno: un segno di amore e di solidarietà proprio sull’esempio di Papa Francesco.

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    L'incontro del Papa con i detenuti a Cagliari. Il cappellano: un gesto che dà speranza

    ◊   Nella Cattedrale di Cagliari il Papa incontrerà una rappresentanza dei poveri assistiti dalla Caritas diocesana e un gruppo di detenuti del locale carcere di Buoncammino. Quest’ultimi saranno accompagnati dal direttore dell’Istituto, dagli educatori e dal cappellano, padre Massimiliano Sira, con alcuni volontari suoi collaboratori. Adriana Masotti ha chiesto a padre Massimiliano chi saranno i detenuti presenti all’incontro e come stanno vivendo l’attesa di questo evento:

    R. - I detenuti sono circa 18, qualche straniero e qualche italiano. Sono detenuti che già usufruiscono di permessi premi o comunque di benefici e che stanno ricominciando a recuperare la loro vita.

    D. - Come hanno reagito all’idea di incontrare il Papa?

    R. - L’attesa è grande! Ci siamo preparati, ne abbiamo parlato tante volte. Poi chiaramente c’è il dispiacere di non poter partecipare tutti insieme, però ho cercato di coinvolgere tutti quanti in questa esperienza. I detenuti hanno anche la possibilità di essere collegati con la tv locale, quindi avendo la tv in cella potranno usufruire di questa possibilità e potranno ascoltare il messaggio che spero possa essere esteso anche a chi non sarà presente in quel momento.

    D. - A parte il fatto che solo alcuni potranno vedere personalmente il Santo Padre, comunque l’idea che abbia deciso di dedicare anche a loro la sua attenzione in questa breve visita è importante ...

    R. - Sì, è importante. Loro sono rimasti molto colpiti da quella prima scelta che il Papa fece durante il Giovedì santo, quando ha deciso di fare una visita al carcere minorile. Questo gesto e questa attenzione li hanno molto colpiti e da lì è nata quest’attesa.

    D. - Lei faceva riferimento alla visita a Casal del Marmo ...

    R. - Sì, sono rimasti molto colpiti da quella realtà, da quella visita, da quel gesto. Speriamo che questo sia un incontro che possa aiutare questi giovani, questi uomini ad avere un po’ di speranza. Io spero che Papa Francesco possa portare loro il significato di una vita che può ricominciare, di una speranza che loro comunque sanno scorgere e scorgono in tante cose che lui dice e nella sua presenza. Poi chiaramente c’è chi accoglie e chi no, però credo che sarà veramente un bel regalo per loro, anche per guardare avanti.

    D. - Qual è la vita all’interno del carcere di Cagliari? So che ci sono dei problemi, come ad esempio, il sovraffollamento ...

    R. - Sì, si tratta comunque di una struttura vecchia, non è grande. Purtroppo le celle non sono grandi. Si sta accelerando molto verso il passaggio al nuovo carcere proprio per questo motivo, perché ci sono celle che contengono anche sette detenuti, quindi lo spazio non è molto vivibile. E’ stato pensato per 370 e ce ne sono oltre 500! Dato il grande numero di detenuti, ci sono poche possibilità di lavoro, di formazione ... Molti passano tantissime ore in cella senza poter fare più di tanto. Quindi la loro vita di recupero non è molto dignitosa.

    D. - Accanto a lei c’è anche la presenza di volontari? C’è solidarietà da parte della società esterna al carcere?

    R. - In questi anni ce la siamo un po’ conquistata. Ad esempio c’è la presenza molto forte di suor Angela che dà un grande aiuto; c’è un gruppo di giovani che da poco più di un anno hanno iniziato ad aiutarmi nel servizio della catechesi, dell’animazione e nell’incontro con i detenuti, sono giovani del Movimento dei Focolarini. Poi ci sono diverse associazioni di volontariato, la Caritas con alcuni centri di ascolto permanenti tra le sezioni, che cerca di venire incontro al disagio, al problema che c’è stato legato ai suicidi ... Noi cerchiamo sempre di sensibilizzare la comunità. Ci sono risposte, a volte buone a volte di indifferenza, ma in generale, direi, sono state sempre abbastanza positive.

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    Il Papa riceve il card. Ouellet

    ◊   Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

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    Beatificazione di Tommaso da Olera, umile cappuccino che parlava di Dio a poveri e regnanti

    ◊   Beatificazione oggi, nel Duomo di Bergamo, di Tommaso da Olera, umile frate cappuccino nato nel 1563 in un piccolo paese della Val Seriana: un precursore della devozione del Sacro Cuore di Gesù, uno tra gli scrittori più significativi del Seicento, un mistico che passava intere notti a contemplare il Crocifisso. A proclamarlo Beato, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    “L’amor di Dio – ha scritto il nuovo Beato - sta ne’ cuori umili”. La vita di Tommaso da Olera si rispecchia profondamente in queste parole. Da adolescente condivide con i genitori stenti e lavoro, prima come pastore e poi come contadino. La vocazione lo porta, all’età di 17 anni, ad entrare nell’ordine dei Frati cappuccini nel convento di Verona. Dopo la formazione, è un predicatore instancabile del Vangelo e, soprattutto, un umile questuante. Ogni giorno chiede a tutti, senza distinzione, offerte e pane per i frati e per i poveri. Assicura ad ognuno consolazioni e preghiere. Tommaso avvicina tutti e parla di Dio ai grandi del mondo, tra cui sovrani e imperatori, e alla gente umile. Nel 1618 è trasferito a Padova, dove svolge la mansione di portinaio del convento. L’anno successivo è chiamato ad Innsbruck dall’arciduca del Tirolo, Lepoldo V, e riprende il compito della questua, esercitandolo fedelmente fino alla fine della vita. Tommaso muore nella sua umile cella il 3 maggio del 1631. La sua vita – sottolinea il cardinale Angelo Amato - è un modello per tutti:

    “Il Beato Tommaso è un esempio di vita cristiana per tutti. Era questo l'auspicio del venerabile Paolo VI, il quale nel 1963, scriveva: 'Possa il ricordo di quest'umile figlio della forte terra bergamasca spingere i sacerdoti e i fedeli a sempre maggiore donazione di sé nell'adesione consapevole allaverità rivelata, nell'impegno di testimonianza cristiana in tutti i settori della vita, e nell'esercizio instancabile e ardito delle virtù specialmente della carità'”.

    Il nuovo Beato è un modello di vita cristiana. Paolo VI lo indica come “fulgido esempio di fedeltà, zelo e dedizione”. Giovanni XXIII lo definisce “un Santo autentico e un maestro di spirito”. Giovanni Paolo II lo ricorda come “il fratello del Tirolo”, che ha confermato alla fede contadini e principi del XVII secolo. Nel 2012, Benedetto XVI firma il decreto che riconosce il miracolo della guarigione straordinaria, nel 1906, di un giovane agonizzante. Papa Francesco, nella Lettera apostolica di Beatificazione, afferma che il Beato Tommaso, contemplando il Cristo Crocifisso, fu “testimone e annunciatore ardente della Sapienza divina”. Le parole e il messaggio del nuovo Beato infiammano ancor oggi i cuori di chi legge i suoi numerosi scritti, incentrati soprattutto su temi legati alla vita ascetica e mistica.

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    Negoziati Santa Sede-Israele. Padre Neuhaus: progressi lenti, ma c'è speranza

    ◊   20 anni fa prendevano il via i lavori della Commissione per i Rapporti tra Santa Sede e Israele, dopo il riconoscimento formale nel 1993 da parte della Santa Sede dello Stato di Israele che apriva la strada alle piene relazioni diplomatiche. In questo periodo tanta strada è stata fatta e ancora si lavora per arrivare a un accordo su diverse questioni. Fausta Speranza ha incontrato padre David Neuhaus, che a Gerusalemme è vicario del patriarcato latino per i cristiani di espressione ebraica:

    R. - Le cose sono progredite molto lentamente e noi speriamo con tutto il cuore di essere arrivati alla fine di questo lunghissimo processo. Ci sono tantissime istituzioni della Chiesa in Israele e questo ha dato vita ad una situazione molto complicata. C’è poi un’altra questione molto complessa, quella dei rapporti tra Israele ed il popolo palestinese, questioni tra l’altro di frontiere. Speriamo vivamente di giungere presto alla fine: gli accordi finali saranno firmati dalla Chiesa e dallo Stato di Israele. Speriamo che questo vada a beneficio della Chiesa: abbiamo ancora tanti interrogativi in merito all’applicazione di questo accordo e all’influenza che questo potrà avere sulla vita della Chiesa.

    D. – Ci fa un esempio concreto di queste attese nella vita quotidiana della Chiesa?

    R. – La Chiesa cattolica in Terra Santa dipende molto dai religiosi e dalle religiose che vengono da fuori. Come sarà regolato l’accesso allo Stato di Israele per coloro che vengono da fuori, specialmente per coloro che provengono – secondo gli israeliani – da Paesi nemici come la Siria e l’Iraq? Quali diritti sociali e civili saranno riconosciuti alle persone la cui presenza in Terra Santa è richiesta per lunghissimi periodi? Poi c’è la questione dello status delle proprietà della Chiesa, terreni, edifici. E c’è da capire quali tasse pagare. In passato abbiamo avuto determinate facilitazioni per il riconoscimento che la Chiesa è lì da sempre e serve tutti …

    D. – Parliamo della presenza dei cattolici di lingua ebraica: anche loro diminuiscono un po’ come i cristiani in altre zone del Medio Oriente?

    R. – No. Se ci si riferisce ai cristiani di lingua araba c’è una certa diminuzione a livello statistico: in Israele, per esempio, la popolazione dei cristiani di lingua araba cresce ma meno rispetto alla popolazione ebraica e musulmana. Diminuiscono quindi dal punto di vista statistico. Ma i cattolici che vivono nella società ebraica, e quindi in un ambiente dove si parla la lingua ebraica, crescono moltissimo. Per la stessa ragione per cui aumentano i cristiani nel Golfo arabo: sono migranti che vengono in Israele per lavoro o chiedendo asilo politico. Ci sono quindi nuove generazioni di cattolici di lingua ebraica che non sono israeliani, che non sono di origine ebraica, che non hanno nessun ebreo nella loro famiglia, ma parlano ebraico perché nascono e crescono in questa società. Sono nati quindi da famiglie immigrate per questioni di lavoro, che nella maggioranza assoluta provengono dall’Asia, o da famiglie che chiedono asilo in Israele, e la maggior parte di queste vengono dall’Africa.

    D. – Che dire del riferimento di Papa Francesco agli ebrei contenuto nella lettera che ha scritto a Scalfari?

    R. – Parla della fedeltà a Dio e di come gli ebrei siano stati capaci di conservare questa fede, malgrado tutto ciò che è successo loro. Questo è un bel segno di fedeltà, di questa alleanza che non è mai stata abrogata da Dio. Per noi, è molto importante ripetere questi messaggi, per cambiare un po’ la percezione della Chiesa tra gli ebrei. Per noi è molto chiaro lo sviluppo bellissimo ed importantissimo che c’è stato con il Concilio. Cerchiamo di far conoscere ai nostri fratelli e sorelle ebrei questo sviluppo nella Chiesa cattolica; però, dobbiamo anche ammettere che la Chiesa cattolica non è un’istituzione così importante per la vita quotidiana degli ebrei in Israele: loro rimangono lontani dalla Chiesa e molto spesso ignorano i cambiamenti nella vita della Chiesa. Per questo noi cerchiamo con grande impegno di raccontare per esempio quello che ha detto Papa Francesco. Ci sono cambiamenti positivi ed è importante che in Israele ne sentano parlare. I viaggi dei Papi sono sempre un’occasione particolare. Speriamo quindi che Papa Francesco venga presto in Terra Santa.

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    Messa per i 1700 anni dell'Editto di Milano: la riflessione dei cardinali Scola e Puljić

    ◊   Si è conclusa con un vibrante appello alla riconciliazione e alla pace la solenne Messa celebrata questa mattina allo stadio Cairs di Nis, in Serbia, e presieduta dall’inviato del Papa, il cardinale Angelo Scola arcivescovo di Milano. La celebrazione segna il culmine dei festeggiamenti in Serbia per ricordare il XVII centenario dell’Editto di Costantino. Oltre 30 i vescovi e più di tremila i fedeli provenienti da tutti i territori della ex Yugoslavia. All’evento hanno preso parte delegazioni della Chiesa ortodossa, dell'Islam e dell’ebraismo, oltre alle massime autorità civili, tra cui anche il presidente della repubblica Serba, Tomislav Nikolic, che proprio ieri a Belgrado ha ricevuto il cardinale Angelo Scola. Stefano Leszczynski, inviato in Serbia per la nostra emittente, ha intervistato l’inviato speciale di Papa Francesco:

    R. – Voglio soprattutto mettere in evidenza il dato per me più imponente di questa celebrazione: la riconciliazione. Il fatto che siano presenti cardinali e soprattutto vescovi di tutti i Paesi dell’Ex Jugoslavia, e con loro soprattutto i giovani, è un segno formidabile che questi popoli hanno ormai preso la strada della pace e vogliono mantenerla. Certo le tensioni sono tante, le contraddizioni sono molte perché queste sono terre storicamente molto complesse, provate, di frontiera, che hanno dovuto lungo i secoli guardare contemporaneamente all’Occidente e all’Oriente. Ma io credo che questo gesto meriterebbe una riflessione profonda da parte di tutte le Chiese di Europa, e non solo, e da parte di tutti i soggetti che abitano la società civile di oggi.

    D. - Lei ha avuto l’opportunità di incontrare a Belgrado il patriarca Irinej, ovviamente nel segno dell’ecumenismo. Quest’ultimo ha addirittura sottolineato come questa unità dei cristiani, di fatto, esiste e sia ineluttabile ...

    R. - È vero ed ho trovato nel patriarca una disposizione formidabile che abbiamo concentrato in questa affermazione: c’è bisogno di un’energia nuova nell’ecumenismo. Questo bisogno è evidente nella nostra società che viene chiamata post secolare perché ormai è come se al termine del processo della modernità, tutta la società, soprattutto quella europea, fosse scheggiata; ci sono tante schegge di verità, ma manca un punto sintetico, che va nuovamente costruito. Come dico, ci vuole un nuovo umanesimo. Per far sì che questo nuovo umanesimo sia la cifra in cui le differenze possono vivere dentro l’unità bisogna che i cristiani siano uniti. Per questo, anche nel campo ecumenico, nel rispetto delle nostre storie, dobbiamo sottolineare soprattutto con i fratelli ortodossi la grande unità che già ci lega e avere pazienza ma decisione nella riflessione e soprattutto nell’azione concreta sui punti che ancora non ci vedono uniti.

    D. - Con le autorità civili ha toccato diverse volte il tema della libertà di religione, che poi è uno dei temi centrali, “il tema” dell’Editto di Milano. Questo, come è stato recepito dalle autorità statali? Hanno compreso come questo significhi un rafforzamento del futuro della democrazia, essenziale per il percorso verso l’Europa?

    R. - Ho avuto modo di incontrare abbastanza a lungo sia il presidente che il sindaco di Nis e con loro, varie autorità. Ovviamente trattandosi della celebrazione del cosiddetto Editto di Milano il tema della libertà religiosa è stato al centro. Noi sappiamo benissimo che i contesti storici sono mutati molto. Diciamo sempre che l’Editto di Milano è stato un inizio di libertà che poi, per certi versi, è stato un inizio mancato. Le contraddizioni di tutti questi secoli sono sotto i nostri occhi, ma oggi questo tema in una società plurale si impone con forza e ci sono ancora molti aspetti che hanno bisogno di essere capiti ed approfonditi. Ad esempio, quale deve essere il ruolo corretto dello Stato nei confronti delle religioni? Le religioni non devono chiedere nessun privilegio – è chiaro – però devono potersi esprimere pubblicamente, perché una fede vive sempre dentro un popolo e tende sempre a diventare religione. Quindi abbiamo sottolineato questo aspetto: il posto delle religioni nelle società plurali, ovviamente anche delle “mondovisioni”, di coloro che dicono di essere agnostici, di essere atei, di non poter credere. Allora, penso che la libertà religiosa sia il fulcro di una società veramente e sostanzialmente democratica, in cui i diritti pattuiti siano realmente praticati; una società nella quale ogni soggetto personale e comunitario possa esprimersi con libertà, possa narrarsi, raccontarsi, ascoltare gli altri, narrare l’altro, ascoltare l’altro, perché si tenda tutti ad un riconoscimento reciproco. Credo che il contributo delle religioni - se gli uomini delle religioni non sono molto vigili e non lasciano che l’ideologia parassiti la religione - sarà sostanziale anche nel nostro tempo. Però, bisogna rimettere il tema della libertà religiosa al centro, confrontarlo con un’autentica laicità e lavorare molto, perché i tempi sono mutati e non si può trasferire meccanicamente l’Editto di Milano nella società di oggi.


    Ma quale il messaggio che viene da questo evento? Stefano Leszczynski lo ha chiesto al cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Sarajevo, presente alle celebrazioni per i 1700 anni dell’Editto di Milano:

    R. – Oggi celebriamo i 1.700 anni della libertà religiosa. Ma io penso che questa celebrazione debba dare un messaggio: questa libertà religiosa non è ancora realizzata in tutti i Paesi. Bisogna ancora creare uguaglianza, rispetto, una via di dialogo e di convivenza. Si vede che ancora manca, in particolare in tanti Paesi, perché non esiste una libertà uguale per tutti. Per questo, è molto importante dare un grande messaggio al mondo intero, in particolare all’Europa.

    D. – I giovani, in questo ambito, possono svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione del futuro: che collaborazione è possibile tra i giovani cristiani dei Balcani?

    R. – Sì, questi giovani sono aperti. Dipende però anche dagli anziani. Tanti giovani sono molto disponibili alla creazione di un clima migliore: per questo è molto importante dare appoggio a questi giovani, affinché partendo dalla fede possano creare un clima migliore in questo continente, ma anche in questo Paese – la Serbia – e anche in questa Regione, in questa parte dell’Europa.

    D. – Ci sono tante difficoltà nella società che devono essere superate, a partire dai problemi economici, dalla disoccupazione, ma anche dalla crisi della famiglia. Come si può descrivere la situazione, oggi, nei Balcani?

    R. – Questa crisi inizia come crisi morale, ma è anche una crisi economica, anche crisi della famiglia, anche crisi delle vocazioni: ci sono tante crisi! Io penso che questa crisi venga da una crisi della fede. Quando manca la fede, come la vita, vengono tutte le crisi. Io penso che sia necessario costruire una fede forte, una fede che crei un clima in cui siamo tutti uguali, su questo cammino morale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per accompagnare l'uomo nell'era digitale: il Papa al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

    Parole per la speranza: in prima pagina, l'arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio sulla visita pastorale, domani, del Pontefice.

    Rischio di ingovernabilità per la Germania: nell'informazione internazionale, Francesco Citterich sul voto di domani per il rinnovo del Bundestag.

    Alberto Fabio Ambrosio sulla scuola di prediche all'Aquinas Institute di Saint Louis.

    Vincenzo Fiocchi Nicolai spiega - al congresso internazionale di archeologia sacra - come nel IV secolo cambiò il paesaggio.

    Un realista utopista: Massimo Borghesi racconta l'America latina di Alberto Methol Ferré.

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    Oggi in Primo Piano



    Giornata internazionale della pace, occasione di impegno e preghiera per la Siria

    ◊   Momento cruciale nella crisi siriana. Il presidente Bashar al Assad, così come deciso una settimana fa a Ginevra dal segretario di Stato americano, John Kerry, e dal ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, ha consegnato una prima relazione sull’arsenale dei gas letali alle autorità internazionali. Secondo il vicepremier siriano, Qadri Jamil, si starebbe pensando intanto a un cessate il fuoco, in vista di una possibile Conferenza di pace ‘Ginevra 2’. Sul terreno, però, è ancora violenza: almeno quindici persone sono state uccise nelle ultime ore nel corso di un attacco dell'esercito e delle milizie pro-regime contro il villaggio sunnita di Sheikh Hadid, nella Siria centrale. In questo quadro, si fa ancora più alto il grido alla riconciliazione lanciato dalla comunità internazionale nell’odierna Giornata internazionale della pace, più volte sollecitato da Papa Francesco. Il servizio di Giada Aquilino:

    “Impegniamoci tutti a incoraggiare gli sforzi per una soluzione diplomatica e politica dei focolai di guerra che ancora preoccupano”. Con queste parole, mercoledì scorso al termine dell’udienza generale, Papa Francesco ha esortato i “cattolici di tutto il mondo ad unirsi agli altri cristiani per continuare ad implorare da Dio il dono della pace nei luoghi più tormentati del nostro pianeta”. In particolare, il pensiero del Santo Padre è andato “alla cara popolazione siriana, la cui tragedia - ha detto - può essere risolta solo col dialogo e la trattativa”. Dopo la Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria e nel mondo, voluta dal Pontefice lo scorso 7 settembre, l’occasione si ripropone con l’odierna Giornata internazionale della pace, indetta dall’Onu, sul tema “L’educazione per la pace”. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec), che raccoglie oltre 300 confessioni cristiane, nella ricorrenza ha invitato i propri membri a pregare per la riconciliazione. Philippa Hitchen ha intervistato Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese:

    “I think it is now time to continue the strong involvement ….
    Adesso bisogna continuare a portare avanti l’importante impegno delle ultime settimane per scongiurare un intervento militare e chiedere che venga organizzata una ‘Ginevra 2’, che abbia l’autorità e la possibilità di negoziare una vera soluzione. Abbiamo constatato che le Chiese hanno un ruolo veramente importante nella formazione dell’opinione pubblica in molti Paesi, ma anche nell’offrire suggerimenti ai governi, affinché trovino una strada verso la pace”.

    Mentre la comunità internazionale discute sulla possibilità di convocare a Ginevra una seconda Conferenza sulla crisi siriana, l’impegno del Consiglio Ecumenico delle Chiese per una sensibilizzazione alla pace è già cominciato. Nei giorni scorsi alla sede di Ginevra del Cec si è tenuto un incontro tra leader religiosi di Siria, Russia, Usa ed Europa, Lakhdar Brahimi, inviato speciale dell’Onu e della Lega Araba per la Siria, e l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Decisi i prossimi passi:

    “We will organize…
    Organizzeremo una conferenza parallela nel nostro Centro ecumenico a Ginevra, alla quale inviteremo a partecipare i leader delle Chiese e i leader di altre religioni per discutere quale possa essere il nostro contributo, per manifestare la nostra volontà, per dare coraggio e per pregare per una soluzione alla crisi. Abbiamo constatato anche che, quando si convoca una Conferenza di pace, serve sia un grande supporto sia una grande creatività. Credo che i capi delle Chiese e gli altri leader possano portare il loro contributo per cercare di stabilire la pace dopo un accordo, per arrivare alla riconciliazione e costruire un futuro insieme”.

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    Situazione drammatica per i profughi siriani in Libano. In loro aiuto il sostegno medico dello Smom

    ◊   Ufficialmente si parla di circa 700mila rifugiati siriani in Libano, ma sarebbero molti di più, forse persino un milione e mezzo: la cifra esatta non si conosce perché in parecchi scelgono di non registrarsi alle Nazioni Unite. Molti di loro trovano riparo sanitario nei centri medici di Al Qbayyat e Khaldieh, nel nord del Libano, a poche decine di chilometri dal confine siriano, gestiti dal Sovrano Ordine Militare di Malta. Lì ora l’emergenza è per i bambini. A Khaldieh c’è Marianna Balfour, dell’Ufficio comunicazioni dell’ordine di Malta. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata:

    R. – Ad oggi, il 50% dei rifugiati siriani in Libano si trova proprio nella zona del centro medico di assistenza di Khaldieh, nel Nord del Paese, più o meno in corrispondenza della città siriana di Homs. Il tipo di sostegno e di assistenza che viene offerto è di ogni genere medico, quindi dalla cardiologia, alla piccola emergenza – quindi una sorta di pronto soccorso - poi c’è l’endocrinologia. Un dato molto interessante è che molte donne siriane che arrivano passando il confine hanno bambini molto piccoli o addirittura sono incinta, e quindi hanno bisogno di cure particolari e vogliono essere visitate da ginecologhe donne: questo centro mette a disposizione molte dottoresse che possono appunto intervenire ed aiutare. Il problema umanitario riguarda soprattutto i bambini, ci sono nuove epidemie, malattie che forse erano addirittura scomparse e che stanno ritornando, come per esempio l’epatite A, o una malattia particolare che è causata da una zanzara: la leishmaniosi, una malattia per la quale esiste solamente un farmaco che funziona, ma che è molto lento. Ecco, quindi l’emergenza è veramente notevole. E’ evidente che c’è bisogno di moltissimo aiuto, di donazioni, di un intervento veramente su larga scala.

    D. – Dal punto di vista, invece, della condizione psicologica? Sono soprattutto bambini i fuggiti dalle violenze, magari alcuni di loro avranno anche visto uccidere i loro cari …

    R. – Ho ascoltato racconti che fanno rabbrividire, di bambini che si sono trovati all’interno della loro casa quando è stata distrutta, bambini che sono stati tirati fuori dalle macerie. Loro si porteranno dietro questa esperienza che li ha fortemente segnati. In questo centro di Khaldieh, che dal punto di vista medico e sociale è considerato il centro numero uno di tutto il Libano, ovviamente viene offerta anche un’assistenza sia sociale sia psicologica. Poi devo dire che ho visto anche molti bambini sorridenti, felici di vedere persone che andavano lì, volevano essere fotografati. Insomma, i bambini hanno questa energia incredibile per cui anche in queste situazioni riescono comunque sempre a tirare fuori il meglio della situazione. Loro mi hanno accolta con grandissimi sorrisi, nonostante quello che stanno vivendo.

    D. – Gli adulti cosa dicono di ciò che sta accadendo nel loro Paese?

    R. – Loro sperano di ritornare. Molti di loro non hanno lasciato una situazione di grande agio, però sono molto legati alla loro terra. Sono arrabbiati per essere stati costretti a lasciarla. In alcuni di loro ho notato una grande rabbia, un grande risentimento, e anche un certo senso di pericolo, perché comunque è una situazione che, a lungo andare, porterà anche cifre di rifugiati che sono effettivamente ingestibili. Queste persone vivono in accampamenti di fortuna, chiamarle tendopoli è troppo! Molti di loro non hanno nemmeno una tenda sulla testa, vivono all’aperto, dormono sulla terra con delle coperte, con dei materassi: queste sono le loro condizioni di vita.

    D. – Come il Libano sta affrontando questa situazione?

    R. – Il Libano è un Paese che ha un’economia al collasso. Ma non solo, c’è tutto il problema legato anche all’istruzione. Mi sembra che gli ultimi dati dell’Onu ci dicano che ci si aspetta che circa 200 mila bambini siriani non potranno accedere alle scuole libanesi perché queste non riescono più ad accogliere altri bambini. Questo li renderà sempre più vulnerabili allo sfruttamento minorile e a vari tipi di fenomeni. La situazione, quindi, guardando un po’ in avanti, è piuttosto allarmante.

    D. – L’Ordine di Malta si trova a lavorare a stretto contatto anche con il mondo musulmano, con le organizzazioni musulmane. In questa situazione di così forte emergenza, come procede questa collaborazione?

    R. – Il Sovrano Ordine di Malta ha una tradizione molto lunga proprio nella collaborazione con le organizzazioni locali, anche musulmane. Lo staff dell’Ordine di Malta non è presente in territorio siriano però, per esempio, attraverso la collaborazione con l’“International Blue Crescent” distribuisce cibo, kit di emergenza, prodotti sanitari alle popolazioni siriane ad Aleppo e Damasco. L’associazione libanese dell’Ordine di Malta opera nel distretto di Tiro, la città rappresentativa dell’imam Moussa al-Sadr che è stato un riferimento non solamente per la comunità sciita, ma anche per la comunità cristiana.

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    La Germania alle urne, test cruciale per la Merkel

    ◊   Elezioni federali in Germania, questa domenica. Gli ultimi sondaggi assegnano la maggioranza al cancelliere tedesco, Angela Merkel, sostenuta dalla coalizione, formata da cristiano-democratici e liberali, ma solo di pochi decimi percentuali. Poco sotto l’opposizione di social-democratici, verdi e Die Linke. Un voto importante, al quale anche tutta l’Europa guarda con attenzione. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Federiga Bindi, docente di diritto internazionale e comunitario:

    R. - La Germania sta dettando tempi e modi della ripresa economica, ma finché non ci saranno le elezioni e non ci sarà conferma di chi vince – se sarà possibile fare una coalizione di maggioranza o meno – non si saprà chi la Merkel vorrà come suo rappresentante nelle istituzioni europee. Adesso lei è sotto il giudizio del suo Paese, quindi deve fare politiche – specie in materia monetaria ed economica – che piacciono al suo elettorato. Dopodiché si spera che pensi al futuro del continente e al bene comune, perché questo rigore in cui stiamo vivendo chiaramente ci sta ammazzando tutti.

    D. – Come i tedeschi stanno guardando alle politiche della Merkel?

    R. – Mi pare di capire che i tedeschi sostengano la Merkel. Fondamentalmente loro non si fidano del Sud d’Europa, quindi la seguono nel momento in cui dice: “Vogliamo una politica di rigore che sia quella che decidiamo noi”. Bisogna vedere se, una volta che la Merkel si sia assicurata la sua audience domestica e abbia vinto le elezioni, si renda poi conto che a lungo andare la politica di rigore - restringendo le transazioni, restringendo l’area di benessere europeo – alla fine si ritorce anche sulla Germania stessa.

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    Coree: stop agli incontri tra famiglie separate dalla fine della guerra del '53

    ◊   Nuova battuta d’arresto per i ricongiungimenti tra le famiglie delle due Corre rimaste separate dalla fine della guerra nel 1953. Il governo di Pyongyang ha sospeso gli incontri tra piccoli gruppi di parenti in programma in Corea del Nord tra il 25 e 30 settembre prossimi. Lo ha fatto sapere un comunicato diffuso dall’agenzia Yonhap. In merito alla decisione Eugenio Bonanata ha intervistato Rossella Ideo, esperta ed analista geopolitica dell’Asia orientale:

    R. – La riunione delle famiglie divise è un atto simbolico perché dalla Guerra di Corea, finita nel 1953, sono state divise dieci milioni di famiglie dalla linea del 38.mo parallelo decisa nel Dopoguerra come una “divisione tecnica”. Quindi il “disgelo”, la parola d’ordine della Corea del Sud con le presidenze di Kim Dae-jung e di Roh Moo-hyun dal 1998 al 2007, è veramente lontana! Qui ci troviamo di fronte ancora a due Stati nemici che si fronteggiano a muso duro, in un certo senso. Quindi questa tragedia del Paese diviso continua a protrarsi perché nel '53 è stato firmato un armistizio, ma la pace non è mai stata firmata tra i due Stati coreani.

    D. - Pyongyang invoca la normalizzazione dei rapporti con Seoul, una questione che è legata anche ai colloqui sul nucleare ...

    R. - Certamente. La Corea del Nord ritiene di doversi difendere dall’assedio - per dirlo con le loro parole – degli Stati Uniti e l’unico modo, l’unica carta che ha in mano da giocare - dato che la sua economia è sempre e continua ad essere disastrata - è quello di puntare sul nucleare. La Corea del Nord si senta accerchiata e continua ad essere uno Stato guarnigione. Pensate che ogni adulto deve prestare dieci anni di servizio militare e che la Corea del Nord ha un numero sproporzionato di militari rispetto alla sua popolazione, oltre 1,2 milioni. Quindi è uno Stato guarnigione che sa che la sua sopravvivenza è legata al ricatto nucleare.

    D. - Qual è la posizione, attualmente, a netto di tutto, della Corea del Nord nello scacchiere internazionale?

    R. - La Corea del Nord è un Paese isolato colpito da un numero enorme di sanzioni; forse è uno degli Stati più sanzionati al mondo. Recentemente sono state inflitte, da parte degli Stati Uniti, delle sanzioni finanziare che poi sono state addirittura adottate anche dalla Cina, per cui le transazioni finanziarie sono diventate praticamente impossibili per la Corea del Nord. La cosa importante da sottolineare è che la guerra fredda non è solo tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, ma coinvolge le grandi potenze che giocano sullo scacchiere internazionale. A monte c’è – diciamolo pure - l’accerchiamento della Cina: gli Stati Uniti hanno basi militari che accerchiano la Cina, e la Corea del Nord è l’unico piccolo spazio libero ormai; se questa cadesse, effettivamente la Cina sarebbe accerchiata. Questo lo sanno benissimo i due protagonisti. Quindi il vero problema - in un certo senso - è quello che divide gli Stati Uniti e la Cina da molti decenni.

    D. - Altra questione che preoccupa la Comunità internazionale – in particolare l’Onu - è il rispetto dei diritti umani in Corea del Nord ...

    R. - I nemici vengono rinchiusi nei gulag. Sono migliaia i nordcoreani che sono andati al Sud, e quindi abbiamo un riscontro di quello che sono questi campi di concentramento. Anche questo, come dire, non giustifica nella maniera più assoluta la Corea del Nord, ma fa parte di questo clima di guerra fredda. Se non si arriverà a firmare una pace, che comprenda due Paesi e due sistemi, non si riuscirà a risolvere nulla.

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    La relatrice dell’Onu sulla tratta di esseri umani: si affrontino le cause profonde di questa piaga

    ◊   “Per combattere la tratta degli esseri umani, bisogna affrontarne le cause profonde”. Lo ha detto ieri, al termine della sua visita in Italia, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tratta, la signora Joy Ngozi Ezeilo. Al microfono di Davide Maggiore, Ezeilo si è soffermata sulla necessità di affrontare questo problema andando oltre le singole nazioni:

    R. – I often say that trafficking knows no borders and that no government can combat …
    Dico spesso che il traffico di esseri umani non conosce frontiere, e anche che nessun governo può combatterlo da solo; la lotta al traffico di esseri umani richiede un’azione collettiva, richiede collaborazione tra pubblico e privato, richiede collaborazione tra i Paesi … Questo è il motivo per cui è cruciale la collaborazione tra i Paesi di origine, quelli di transito e quelli di destinazione. Infatti, se pure si riesce a lavorare all’interno per tenere fuori dal Paese trafficanti, contrabbandieri e salvaguardare le persone vittime di questo traffico, ma poi questo problema invece si manifesta in un altro Paese, questo significa che è necessario intervenire anche nei Paesi d’origine: bisogna riuscire a comprendere il fenomeno, le sue radici, quali sono i fattori che lo generano, ragionare sul modo in cui, collaborando con i governi dei Paesi d’origine, si possa riuscire a fermare all’origine il flusso di persone introdotte illegalmente, in particolare con la prevenzione e con programmi di informazione: la gente non è consapevole dei rischi che corre quando prende la rotta per l’Italia o per qualsiasi altro Paese di destinazione! Le persone sono ingannate e costrette …

    D. – Per quanto riguarda l’Italia, lei sottolinea che pur esistendo una solida struttura legale, è necessario che l’opinione pubblica sia maggiormente sensibilizzata …

    R. – Sometime, we don’t look at victims affected as human beings who are being …
    A volte, non guardiamo alle vittime come ad esseri umani che sono stati sfruttati e umiliati, costretti perfino a fare cose che non avrebbero voluto fare. Quindi, come Paese di destinazione è necessario avere una maggiore comprensione e compassione: solo in questo modo possiamo indurre queste persone a denunciare il loro stato di schiavitù, senza stigmatizzarle; così potremo incoraggiarle a denunciare la loro condizione. In generale, non nello specifico l’Italia, ma in molti Paesi, non si costruisce sufficiente consapevolezza di questo fenomeno.

    D. – Quale ruolo possono avere i media nel costruire questa presa di coscienza?

    R. – Yes, the media have to be involved, because sometimes media reportages …
    Direi che i media dovrebbero essere coinvolti diversamente: infatti, a volte i servizi dei media stigmatizzano le persone, mentre noi dobbiamo evitare queste situazioni ed è necessario che si comprenda che queste persone non stanno facendo quello di cui sono accusati perché lo vogliano fare, ma perché si trovano in una condizione disperata e perché sono costrette: mai per loro libera volontà. Noi dobbiamo comprendere, e informare su questo fenomeno e costruire la consapevolezza nelle persone, compreso il fatto che tutto questo non ci sarebbe se non ci fosse la domanda di persone introdotte illegalmente in un Paese: una volta che c’è la domanda, ci sarà l’offerta. La gente deve sapere come viene coinvolta in una situazione simile, per spezzare il circolo vizioso.

    D. – Il Papa ha parlato molte volte contro il traffico di esseri umani. In quale modo la Chiesa può contribuire a contrastare questo traffico?

    R. – It is a very welcomed development that the Pope has taken up this issue …
    Rappresenta per noi uno sviluppo gradito, il fatto che il Papa abbia ripreso questo argomento: abbiamo sentito quanto appassionatamente Papa Francesco si esprima in merito a questioni sociali e conosciamo il ruolo della Chiesa cattolica in materia. Penso che la Chiesa cattolica stia facendo un gran lavoro, in particolare nel fornire questi servizi: molte congregazioni religiose, la Caritas hanno fatto un grande lavoro. Credo che sotto la guida del Papa saranno ulteriormente potenziate, si sentiranno ancora incoraggiate ad agire con più coraggio … E poi, le organizzazioni religiose richiamano l’attenzione su questo problema a livello mondiale. Noi speriamo che, sulla base di questi impegni, la gente cambi, che cambino le mentalità; speriamo che con l’aiuto di queste voci importanti che si levano riusciamo a porre fine a questa schiavitù moderna del traffico delle persone umane.

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    Canton Ticino, referendum contro il burqa. Il vescovo di Lugano: iniziativa da bocciare

    ◊   In Svizzera, i cittadini ticinesi sono chiamati questa domenica alle urne per un referendum promosso per inserire nella Costituzione una norma sul divieto di nascondere il volto nei luoghi pubblici e in quelli aperti al pubblico: quindi un divieto di indossare in questi luoghi indumenti come il burqa. Daniel Ienciu ha chiesto a mons. Pier Giacomo Grampa, vescovo di Lugano, un commento su questa iniziativa:

    R. – Questa iniziativa è frutto di frange minime di popolazione che vivono di paura, di ansia, che si contrappongono alla presenza musulmana nel Paese ingigantendo problemi che non ci sono … Hanno preso di mira proprio il burqa: se ne vedranno tre-quattro all’anno portato da turisti e neanche da islamici che risiedono tra noi … L’ideale sarebbe di votare ‘no’, per cui io ho deciso di sostenere il controprogetto del Parlamento che prevede di rinforzare una legge per la sicurezza pubblica, all’interno della quale fare rientrare anche un’attenzione contro il velamento del volto in luoghi pubblici. La mediazione del controprogetto parlamentare mi pare in concreto la soluzione più saggia da perseguire.

    D. – Se il Gran Consiglio dovesse accogliere l’iniziativa, i ticinesi sarebbero i primi in Svizzera a votare sulla proibizione del velo integrale. Cosa ne pensa?

    R. – Noi continueremo, almeno da parte nostra, ad avere questo atteggiamento di serenità, di obiettività, di positività, di confronto e di proposte positive, non negative e proibitive come questa dell’iniziativa popolare costituzionale. Sarebbe grave se passasse questa. Speriamo passi il controprogetto legislativo …

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    "Uno di Noi", questa domenica il "Click day" per difendere la vita dal concepimento

    ◊   Questa domenica gli internauti di tutta Europa sono invitati a sottoscrivere on-line la petizione per la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento. È il cosiddetto “Click day” per l’adesione alla campagna europea "Uno di Noi", che sarà rilanciata da cinquanta siti associativi che ospitano il banner dell’iniziativa. Marco Guerra ha intervistato la portavoce del comitato italiano Maria Grazia Colombo:

    R. – Il Click Day, voluto dalle associazioni e movimenti che fanno parte del Comitato “Uno di Noi”, vuole riuscire ad aumentare il numero delle firme per la petizione europea per il diritto alla vita. Noi abbiamo già raggiunto il milione, ma non è un traguardo. Questa raccolta e questa modalità sul web verrà utilizzata non solo in Italia, ma in tutti i Paesi dell’Europa, sempre domenica 22, per cui la stessa giornata, per far pesare ancora di più sul tavolo europeo questa iniziativa.

    D. - Pensate che sarà possibile aprire un confronto con i vertici dell’Ue?

    R. - Il discorso del riconoscimento dell’embrione avrà un peso maggiore, che tiene conto del numero delle firme, ma anche della geografia delle firme. Alla fine di ottobre finiremo questa raccolta e poi inizierà l’“avventura” nei riguardi del Parlamento europeo e delle autorità europee. Ci sono già dei passaggi previsti per l’iniziativa, uno dei quali sarà il controllo di queste firme, che verrà fatto a campione. E’ per questo che vogliamo arrivare almeno al milione e 200 mila firme, per essere tranquilli. E poi ci saranno tutte le procedure alle quali noi assisteremo, per poi arrivare ad un contradditorio e a un pronunciamento del Parlamento europeo.

    D. - Parlando ai medici cattolici, venerdì, il Papa ha detto che “ogni bambino condannato all’aborto ha il volto del Signore”…

    R. - E’ piaciuto molto questo discorso del Papa che ha richiamato questa certezza di un rifiuto: vedere la questione dell’aborto come un rifiuto. Vedere il volto del Signore è una cosa grandissima, ma uno potrebbe come intenderla come solo per noi cattolici. Ma il rifiuto umano della persona tocca la coscienza di tutti! Direi che la grandezza di questa iniziativa, che noi crediamo andrà senz’altro a buon fine, è aver fatto incontrare tante persone, tanti laici, che si sono guardati e, di fronte alla questione della vita, qualche domanda se la son posta!

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella 25.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù racconta la parabola dell’amministratore che, agendo con scaltrezza, si procura amici con la “disonesta ricchezza” e per questo viene lodato dal padrone. Il Signore conclude:

    “I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Il Vangelo di oggi, pur nella sua complessità, viene a noi con un messaggio decisivo: i figli di questo mondo sanno muoversi con la ricchezza in modo molto più scaltro dei figli della luce. La parabola dell’amministratore disonesto, che sa rinunciare alla sua parte di interessi per garantirsi il futuro, è lodato per aver agito scaltramente. I figli di questo mondo prestano culto a quel niente che è la ricchezza, la servono, e in questa idolatria sanno muoversi con audacia, con una capacità di rischio altissima. È tale il valore che ha per essi il denaro che sono pronti a tutto, anche a rischiare la vita. E qui viene il contrasto con i figli della luce che invece non sanno agire con discernimento, né nei confronti della ricchezza – usandola per fare elemosina ed essere accolti nelle dimore eterne –, e ancor meno nei confronti della vera ricchezza che il Battesimo ha dato loro: la dignità di figli di Dio, il dono dello Spirito Santo. Questa parola è per noi oggi: nei confronti del denaro, poco o molto che sia, dov’è il nostro cuore? L’attaccamento al denaro è idolatria, cioè separazione da Dio. Per questo la parola finale di Gesù è tagliente e non ammette riduzioni: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (il dio “mammona”). Forse non crediamo davvero al dono che abbiamo. Forse siamo sempre pronti a fare compromessi, con i piedi in due staffe, a seconda di quello che ci fa comodo: come il popolo di Israele nella sfida che Elia ha con i profeti di Baal sul Monte Carmelo andiamo barcollando tra Dio e Baal (cf 1 Re 18,21). Dio non è contro i beni, che Lui stesso ha creato, ma non vuole che ne siamo schiavi. È una parola di liberazione, non di oppressione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: trovate due granate nella cattedrale di Bossangoa

    ◊   Due granate inesplose sono state scoperte nella cattedrale di Bossangoa, la città centrafricana a 300 km a nord-ovest da Bangui, al centro di combattimenti tra i membri della coalizione Seleka e una serie di gruppi armati, tra i quali vi sarebbero uomini rimasti fedeli all’ex Presidente François Bozizé, che è originario della zona. Gli scontri hanno provocato un centinaio di morti e costretto alla fuga migliaia di civili. Secondo il vicario generale della diocesi, don Frédéric Tonfio, gli sfollati giunti in città sono circa 35.000. Il cancelliere diocesano di Bossangoa, ha detto all’agenzia Fides che queste persone sono state accolte in diversi edifici “tra i quali il seminario e la scuola cattolica”. Il religioso ha aggiunto che il 19 settembre “il segretario generale, l’Iman della città, il rappresentante locale di Seleka e il comandante della Fomac (Forza africana in Centrafrica) si sono incontrati per discutere le modalità di far tornare gli sfollati a casa”. Don Tonfio ha detto che la granate reperite nella cattedrale sono state affidate ai militari della Fomac. La tensione rimane comunque alta anche perché gli scontri, attribuiti da Seleka agli uomini rimasti fedeli a Bozizé, secondo fonti indipendenti, sono da attribuire in gran parte piuttosto a gruppi di autodifesa organizzati dalla popolazione locale stanca dei soprusi commessi dai ribelli. (R.P.)

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    Vescovi latini del Medio Oriente: il conflitto in Siria non si risolve fornendo più armi

    ◊   “L’attuale conflitto non verrà risolto con un escalation di violenza e nemmeno fornendo più armi alle due parti in conflitto, bensì attraverso il dialogo e il negoziato sotto tutela internazionale”. A ribadirlo sono i vescovi latini delle Regioni arabe (Celra) che ieri a Roma hanno chiuso la loro 50.ma Assemblea dedicata, tra l’altro, alla crisi siriana. Nel comunicato finale, pervenuto all'agenzia Sir, i vescovi esprimono “gratitudine a Papa Francesco per il suo toccante appello ad una Giornata di digiuno e di preghiera universale per la pace in Siria” e “solidarietà al popolo siriano - senza tener conto dell’appartenenza religiosa o politica - che sta soffrendo terribilmente a motivo di una guerra assurda, che ha già causato più di 100.000 vittime e milioni di feriti, sfollati e rifugiati”. Da qui la convinzione che “l’attuale conflitto non verrà risolto con un escalation di violenza e nemmeno fornendo più armi alle due parti in conflitto, bensì attraverso il dialogo e il negoziato sotto tutela internazionale”. Una situazione che, per i vescovi della Celra, richiede “una decisione rapida per porre fine ad un conflitto che dura da più di due anni e mezzo”. Nel loro comunicato i presuli ringraziano benefattori e volontari che si stanno prodigando per i profughi siriani in Giordania, Libano e Iraq e rinnovano l’appello “agli uomini di buona volontà di continuare a pregare per il Medio Oriente e di fare ogni sforzo per trovare una soluzione fattibile al conflitto siriano”. (R.P.)

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    Siria: è falso il massacro di 130 cristiani ad Aleppo

    ◊   E’ del tutto falsa la notizia di un massacro di 130 cristiani ad Aleppo, che sarebbe stato compiuto da gruppi dell’opposizione siriana, come riportato nei giorni scorsi da mass media libanesi e alcuni siti web. Lo confermano all'agenzia Fides autorevoli e diverse fonti nella città siriana. I cristiani di Aleppo vivono difficoltà, la drammatica situazione di conflitto, la paura o alcuni episodi di violenza, ma un massacro di quelle dimensioni è “del tutto infondato”: lo dicono fonti della Chiesa e lo confermano anche le forze di sicurezza siriane. Un sacerdote interpellato da Fides nota: “Tali notizie servono a diffondere terrore, soprattutto hanno l’obiettivo di innescare una guerra settaria. Vorrebbero anche indurre i cristiani ad armarsi, facendo sì che il conflitto assuma un volto sempre più confessionale e una piega pericolosa, vicina a quella della guerra del Libano. Inoltre sembrano preparare il terreno a una parcellizzazione dello stesso territorio siriano su base settaria. Questo va contro la storia, la cultura e il reale volto della società siriana, da sempre caratterizzata da pluralismo e multiformità, nella convivenza”. Le fonti di Fides ricordano che “nella cosiddetta Valle dei cristiani, alcuni villaggi, lasciati in balia di attacchi di banditi armati, in aree fuori dai combattimenti, hanno accettato un sorta di militarizzazione, formando gruppi di autodifesa. Ma questo è contro l’orientamento generale della Chiesa in Siria: vescovi e patriarchi hanno sempre ribadito e oggi chiedono ai fedeli di non prendere le armi, di non cedere alla logica del conflitto e dello scontro, ma di essere sempre operatori di pace e apostoli di non violenza, anche a costo della vita. (R.P.)

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    Filippine: il card. Tagle invoca la via del dialogo per la crisi a Zamboanga

    ◊   "Auspichiamo uno sforzo di dialogo e una soluzione negoziata nella crisi di Zamboanga. Come Chiesa uniamo le nostre voci ai vescovi di Mindanao, nel chiedere e costruire la pace nelle Filippine sud". Lo ha detto alla agenzia Fides il card. Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila, al margine di un incontro organizzato a Roma dalla rivista “Civiltà Cattolica”. Il cardinale, esprimendo i migliori auspici alla manifestazione e veglia di pace per Zamboanga che vede oggi sfilare a Manila governo, chiesa e società civile, si è rammaricato per non potere partecipare, essendo ancora in Italia. Il card. Tagle ha ribadito a Fides: "La situazione di Mindanao è complessa e delicata. Il governo ha siglato un accordo con il gruppo ribelle Milf (Moro Islamic Liberation Front), ma un altro gruppo, il Mnlf (Moro National Liberation Front), è insorto e ha ripreso le armi. Non possiamo comunque accettare la distruzione di proprietà, lo sfollamento e la sofferenza di civili, e ogni forma di violenza. La via per risolvere qualsiasi controversia è il dialogo. La Chiesa continuerà ad operare per la pace, desiderio del popolo Filippino." (R.P.)

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    Pakistan: a Lahore, cristiani e musulmani in piazza contro le violenze sessuali sui minori

    ◊   In piazza contro le violenze sui minori, in particolare gli abusi sessuali che - con sempre maggiore frequenza - si verificano per il Paese, tanto nelle aree rurali e povere quanto nei principali centri urbani. Nel pomeriggio di oggi, cristiani e musulmani hanno aderito alla manifestazione indetta dalla Cecil&Iris Chaudhry Foundation, una Ong indipendente, ispirata alla memoria del leader cattolico pakistano Cecil Chaudhry, attiva nella difesa dei diritti delle minoranze e dei più deboli. Fra i molti casi emersi nelle cronache recenti - riferisce l'agenzia AsiaNews - gli attivisti della fondazione chiedono giustizia per una bambina di soli cinque anni, stuprata in modo brutale nei giorni scorsi e abbandonata in condizioni (tuttora) critiche all'ospedale di Lahore, nel Punjab. Il 12 settembre scorso una bambina è stata rinvenuta in condizioni critiche nei pressi dell'ospedale cittadino, dopo essere stata rapita il giorno precedente e sottoposta a molteplici abusi a sfondo sessuale. La piccola abitava in un quartiere popolare della città e, secondo quanto confermato dai medici, "è stata violentata più volte" ed è ricoverata in terapia intensiva. La vicenda ha scosso le coscienze di gran parte della società civile pakistana; sui forum e nei social si moltiplicano commenti e frasi di accusa, con riferimenti - anche pesanti - ai recenti casi avvenuti nella vicina India, con la condanna a morte deglil stupratori di New Delhi. Il dramma delle violenze sessuali sui minori rischia di frenare ulteriormente lo sviluppo di una nazione ancora oggi arretrata e piagata da terrorismo ed estremismo a sfondo islamista. Già nei giorni scorsi si sono ripetute manifestazioni e appelli al premier Nawaz Sharif e al suo esecutivo, perché faccia giustizia e punisca il branco che ha abusato della bambina a Lahore. Nell'appello che ha lanciato la protesta di piazza prevista per oggi, l'ong Cecil&Iris Chaudhry Foundation punta il dito contro la polizia, che brancola ancora nel buio e non ha rinvenuto elementi utili per la cattura dei colpevoli. Peraltro in questi giorni sono emersi diversi casi di violenze su minori, fra cui uno stupro di gruppo su un bambino di quattro anni a Faisalabad - perpetrato dal preside di una scuola, all'interno dell'edificio, assieme ad altri tre complici - e alla violenza sessuale (anche qui di gruppo) ripetuta per quattro giorni ai danni di una ragazzina di 14 anni, sempre a Faisalabad. Gli attivisti chiedono giustizia per lei e tutte le altre vittime di casi di violenza sessuale minorile, oltre all'applicazione concreta della Convenzione sui diritti dei minori (Crc), firmata da Islamabad nel 1990 ma rimasta sinora disattesa e mai applicata nelle aule di tribunale. La Cecil&Iris Chaudhry Foundation si ispira e rende omaggio alla memoria di Cecil Chaudhry, eroe dell'aviazione pakistana, cattolico e attivista per i diritti umani impegnato nell'educazione dei bambini poveri e disabili. Grande amico e collaboratore di Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze assassinato il 2 marzo 2011, l'ex militare è deceduto il 13 aprile dello scorso anno a Lahore, dopo una lunga battaglia contro il cancro. Chaudhry è stato anche un attivo sostenitore della Commissione nazionale di giustizia e pace e per 14 anni ha condotto la campagna che nel 2002 ha portato al ripristino del suffragio universale. (R.P.)

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    Scozia: a Edimburgo iniziato il ministero arcivescovile di mons. Cushley

    ◊   “Lo guardò con misericordia e lo scelse”: è stato proprio il motto di Papa Francesco che mons. Leo Cushley ha letto e meditato questa mattina per prepararsi all’inizio del suo ministero quale arcivescovo di Edimburgo. L’ha raccontato lui stesso a conclusione della cerimonia, nella cattedrale di st. Mary’s, spiegando che Francesco gli aveva chiesto, due settimane fa, durante un colloquio personale di mezz’ora, di leggere le letture del giorno sulla conversione di Matteo prima di affrontare il suo nuovo incarico. “Il Papa mi ha spiegato che essere misericordioso non significa essere debole, ma che vuol dire essere gentili e fermi nello stesso tempo”, ha detto Cushley durante la celebrazione. A consacrarlo, alla presenza del primo ministro scozzese Alex Salmond, sono stati il card. James Harvey, già suo superiore nella Segreteria di Stato, il nunzio apostolico per la Gran Bretagna arcivescovo Antonio Mennini e l’arcivescovo di Glasgow Philip Tartaglia. Scozzese di nascita, mons. Cushley ha lasciato il suo incarico di responsabile della sezione inglese della Segreteria di Stato per guidare questa chiesa fortemente ferita dagli scandali che quest’anno avevano investito il predecessore, card. Keith O’Brien. In un’intervista rilasciata all'agenzia Sir qualche giorno fa, mons. Cushley aveva parlato della voglia della arcidiocesi di Edimburgo di “ricominciare”, puntando al futuro e ai giovani. E proprio a loro si è rivolto, alla fine della cerimonia, dicendo che il Papa gli ha raccomandato “di avere una cura speciale per tutti voi e di assicurarmi che riceviate la preparazione migliore per la vostra vita di adulti nelle nostre scuole cattoliche”. “Seduti tra di voi ci sono i futuri sacerdoti di questa arcidiocesi”, ha detto ancora Cushley: “Voi sarete qui al mio posto un giorno e guiderete questa chiesa. È la vostra sfida più grande. Non abbiate paura di diventare preti”. Alla gente di Edimburgo il neo arcivescovo ha chiesto aiuto e preghiere perché “possiamo ridedicarci alle nostre promesse sacerdotali”, dicendo che “questa è certamente la strada più sicura per tutti noi verso il rinnovamento della vita della chiesa che tutti desideriamo”. Alla celebrazione erano presenti il moderatore della presbiteriana “chiesa di Scozia”, Lorna Hood, il vescovo della Chiesa episcopale scozzese John Armes, l’ambasciatore britannico presso la Santa Sede Nigel Baker, il suo predecessore Francis Campbell, quello nigeriano Francis Okeke insieme ai vescovi cattolici scozzesi. (R.P.)

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    Colombia: i colloqui di pace a Cuba conclusi con un nulla di fatto

    ◊   Governo e guerriglia hanno chiuso all’Avana l’ennesima tornata di colloqui senza raggiungere un’intesa sul secondo tema dell’agenda del processo di pace, la partecipazione alla vita politica nazionale, dandosi appuntamento per una nuova tappa del dialogo il 3 ottobre, tra le critiche reciproche. In una nota congiunta diffusa dalla capitale cubana e ripresa dall'agenzia Misna, le parti affermano di stare “proseguendo nella costruzione di accordi” dopo aver studiato nelle ultime settimane “distinti meccanismi di partecipazione cittadina e dialogo sociale”. Precisano inoltre che continua “la discussione dei diversi pareri sul modo migliore di rafforzare le organizzazioni e i movimenti sociali e le garanzie necessarie per il loro effettivo funzionamento nel quadro della democrazia”. Sta di fatto che di concreto è emerso poco, fatta eccezione per l’esortazione del capo negoziatore del governo Humberto de la Calle che si è rivolto alla guerriglia chiedendo “meno retorica e più efficacia per costruire accordi… perché la pazienza dei colombiani non è infinita”. A 11 mesi dall’appuntamento di Oslo, dove fu aperto formalmente lo storico processo di pace volto a porre fine a mezzo secolo di guerra, il governo ha allo stesso tempo espresso il suo ottimismo “per il successo del negoziato”. Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno a loro volta contestato il governo, in particolare per aver presentato in modo “unilaterale” al Congresso un’iniziativa di referendum popolare come meccanismo per convalidare gli accordi che si raggiungeranno nel corso delle trattative. A margine del processo di pace, esecutivo e guerriglia hanno invitato organizzazioni sociali e cittadini a partecipare ai due forum sulle droghe che si terranno fra il 24 e il 26 settembre e fra l’1 e il 3 ottobre. (R.P.)

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    Brasile: nuova condanna per l'assassinio di suor Dorothy Stang

    ◊   Il ‘fazendeiro’ (latifondista) Vitalmiro Bastos de Moura, detto Bida, è stato condannato a 30 anni per aver ordinato l’assassinio di suor Dorothy Stang, 73 anni, la missionaria statunitense naturalizzata brasiliana uccisa a sangue freddo con sei colpi di pistola il 12 febbraio 2005 ad Anapu, nello Stato amazzonico del Pará. Si tratta del quarto processo per Bida per la stessa vicenda: nei tre precedenti, era stato assolto una volta e condannato due. A conclusione dell’ultimo processo, nel 2010 - riferisce l'agenzia Misna - gli erano stati inflitti sempre 30 anni di prigione ma il Supremo tribunale federale (Stf) aveva infine annullato il dibattimento ritenendo che la difesa fosse stata penalizzata. Anche ieri di fronte al giudice Raimundo Flexa di Belém, capitale del Pará, la difesa di Bida ha tentato di convincere la giuria della sua innocenza presentando la deposizione di un ex poliziotto e un documento inedito secondo il quale fu un agente delle forze dell’ordine a fornire l’arma del delitto. Bida – ricordano fonti di stampa brasiliane – rivendicava la proprietà di un lotto ad Anapu che suor Dorothy sperava di poter ottenere per creare un insediamento per contadini poveri ‘senza terra’. I ‘Progetti di sviluppo sostenibile’ (Pds) di suor Dorothy, missionaria delle Sorelle di Nostra Signora di Namur, minacciavano gli interessi dei ‘fazendeiros’ in una regione storicamente segnata dai conflitti per il possesso della terra e a oggi ‘maglia nera’ per violazioni dei diritti umani nei confronti dei piccoli contadini e dei popoli indigeni nonché per il fenomeno del ‘grilagem’, l’appropriazione illegale di terra. Per questo, in base a quanto ricostruito dagli inquirenti, Bida, in complicità con un altro latifondista, Regivaldo Pereira Galvão (detto Taradão), pagò l’equivalente di 50.000 reais per l’assassinio della missionaria all’esecutore materiale Rayfran das Neves, reo confesso, e al suo complice Clodoaldo Batista; Amayr Feijoli da Cunha, detto Tato, fece da intermediario. Dei cinque, Rayfran è stato condannato a 27 anni e da luglio è agli arresti domiciliari; Taradão è stato assolto nell’agosto dello scorso anno, Tato è in cella anch’egli con una condanna, Clodoaldo, condannato a 17 anni, è latitante da tre. “Il sangue versato ha dato vita a una lotta che non è mai finita. Seppelliamo i martiri ma il grido per una società giusta e per la difesa dell’ambiente è diventato assordante” ebbe occasione di dire mons. Erwin Krautler, vescovo dello Xingu, nella cui diocesi suor Dorothy svolgeva il suo servizio missionario. (R.P.)

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    Nicaragua: i vescovi sulla sentenza dell'Aja sulle acque delle isole contese con la Colombia

    ◊   I vescovi della Conferenza episcopale del Nicaragua sono riuniti dal 18 settembre per la loro Assemblea ordinaria, che si svolge ogni due mesi, nella città di Jinotega: dallo scorso anno infatti, hanno deciso di riunirsi ogni volta in una località diversa per incontrare così la popolazione di tutte le diocesi del Paese. “Questa volta i nostri vescovi fanno visita alla città di Jinotega, città delle nebbie – afferma la nota inviata all’agenzia Fides all’inizio della riunione -. In questo incontro esamineranno temi della Pastorale di questa zona ecclesiastica e avranno l'occasione per discutere su alcuni argomenti della realtà nazionale. Nella riunione, come hanno riferito i vescovi mons. Sócrates René Sándigo (presidente della Conferenza episcopale) e mons. Silvio José Báez Ortega, vescovo ausiliare di Managua, si discuterà anche in merito alla sentenza del Tribunale dell'Aja e alla reazione del Presidente della Colombia". La motivazione di quest’ultimo argomento è stata dettata dalle dichiarazioni di mons. Eulises González Sánchez, vicario apostolico di San Andrés e Providencia, isole che si trovano nelle acque del Pacifico vicino al Nicaragua ma che sono sotto la giurisdizione colombiana. Il Tribunale Internazionale dell'Aja ha infatti emesso una sentenza a favore del Nicaragua riguardo alla proprietà delle “acque che vanno oltre il meridiano 82” e che la Colombia aveva preso sotto la propria giurisdizione. Benché molte autorità colombiane, civili e militari, del posto si sono espresse in modo positivo riguardo alla sentenza, il Presidente della Colombia ha detto pubblicamente che si tratta di una sentenza “che non può essere accettata dalla Colombia”. Mons. González Sánchez, in una nota rilanciata dalla Conferenza episcopale della Colombia, ha invece invitato il suo popolo a riconoscere la sentenza del tribunale dell'Aja a favore del Nicaragua, e ad essere ottimisti, a vedere nel mare l'immensità di Dio e a cercare buone relazioni con il Nicaragua di fronte “a quel mare che ora è del Nicaragua”. (R.P.)

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    Burkina Faso: “La Chiesa cattolica non siederà al Senato” affermano i vescovi

    ◊   La Chiesa cattolica non siederà al Senato, afferma un comunicato della Conferenza episcopale del Burkina Faso, respingendo la norma introdotta nella legge approvata a maggio che ha istituto la Camera Alta, che prevede di assegnare un certo numero di seggi a rappresentanti nominati dai capi religiosi. “Fedele a sua natura e alla sua missione - scrivono i vescovi - la Chiesa non parteciperà agli organi deliberativi, esecutivi, legislativi o giudiziari, come il Senato dove dovrebbe avere un rappresentante”. “La nostra partecipazione a un tale processo ci porterebbe ad allinearci su questa o quella posizione togliendoci così ogni possibilità di esercitare il nostro ruolo primario di autorità morale per illuminare, promuovere la coesione sociale e, se necessario, mediare, al servizio della maggioranza e dell’opposizione” spiega il comunicato ripreso dall'agenzia Fides. La creazione del Senato ha creato forti polemiche e proteste nel Paese perché si teme che diventi lo strumento usato dal Presidente Blaise Compaoré per cambiare la Costituzione al fine di permettergli di candidarsi per un ulteriore mandato nelle elezioni del 2015. A luglio i vescovi avevano espresso la loro contrarietà all’introduzione del Senato, lanciando l’allarme sui rischi che corre la pace sociale nel Paese. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 264

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.