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Sommario del 18/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Nuovo appello del Papa: la tragedia in Siria può essere risolta solo col dialogo e nel rispetto della giustizia
  • Il Papa all'udienza generale: la Chiesa è una mamma misericordiosa che non chiude mai le porte
  • Udienze e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: braccio di ferro all'Onu sull'uso della forza. Ispettori torneranno a Damasco
  • Mons. Lahham: in Giordania oltre un milione di profughi siriani, ma c'è solidarietà
  • Il Premio Nobel Arias Sanchez: coraggiose le parole del Papa sulla Siria
  • Usa-Iran: Obama approva l'apertura al dialogo di Teheran
  • Scioperi in Grecia contro la decisione di mettere in mobilità 25mila statali
  • Comune Bologna censura parole “madre“ e “padre“. Belletti: attacco a famiglia e identità persone
  • Il card. Scola: "Non c'è niente o nessuno che possa o debba essere estraneo ai cristiani"
  • I "saggi" presentano tre ipotesi di riforme costituzionali per l'Italia: intervista con Piero Craveri
  • Il ministro Giovannini presenta piano contro la povertà: aiuti, ma non reddito di cittadinanza
  • Presentata la nuova stagione della Filarmonica Romana: grande varietà che interessa e diverte
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica. Un missionario: ribelli continuano a vessare la popolazione
  • Vietnam: il vescovo di Vinh, preoccupato dagli attacchi del regime, chiede sostegno internazionale
  • Filippine: a Zamboanga sacche di resistenza. Guerriglia nega la resa
  • Imponente veglia di pace per Zamboanga, promossa da governo, Chiesa e società civile
  • Egitto: gli Usa chiedono al generale al-Sissi di proteggere i copti
  • Elezioni nel Kurdistan iracheno: candidati cristiani in ordine sparso
  • Tanzania: ancora gravi le condizioni del sacerdote aggredito con l’acido
  • Uganda: nuovo intervento per la lotta all’Aids nella regione della Karamoja
  • Haiti: nuove violenze contro le vittime del terremoto
  • Argentina: denunciati casi di minori lavoratori e indigeni sfruttati in condizioni disumane
  • Al via la 10.ma Conferenza internazionale su cattolicesimo e cure materne
  • Paesi scandinavi: progetto dei vescovi per un "accademia cattolica"
  • Regno Unito: i vescovi rinnovano il sostegno alla Campagna “Uno di noi”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Nuovo appello del Papa: la tragedia in Siria può essere risolta solo col dialogo e nel rispetto della giustizia

    ◊   Papa Francesco non cessa di alzare la sua voce per la pace nel mondo: oggi all’udienza generale in Piazza San Pietro, davanti a circa 80mila persone, ha lanciato un nuovo accorato appello. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il prossimo 21 settembre, come ogni anno – ha ricordato il Papa - le Nazioni Unite celebreranno la «Giornata Internazionale della Pace», ed il Consiglio Ecumenico delle Chiese si appella ai suoi membri affinché in tale giorno preghino per la pace. Di qui la sua esortazione:

    “Invito i cattolici di tutto il mondo ad unirsi agli altri cristiani per continuare ad implorare da Dio il dono della pace nei luoghi più tormentati del nostro pianeta. Possa la pace, dono di Gesù, abitare sempre nei nostri cuori e sostenere i propositi e le azioni dei responsabili delle Nazioni e di tutti gli uomini di buona volontà”.

    Il Papa chiede a tutti un preciso impegno: “incoraggiare gli sforzi per una soluzione diplomatica e politica dei focolai di guerra che ancora preoccupano”:

    “Il mio pensiero va specialmente alla cara popolazione siriana, la cui tragedia umana può essere risolta solo con il dialogo e la trattativa, nel rispetto della giustizia e della dignità di ogni persona, specialmente i più deboli e indifesi”.

    Della difficile situazione in Medio Oriente il Papa ha accennato anche nel suo saluto ai fedeli di lingua araba, rivolgendosi in particolare ai vescovi della Chiesa latina di Terra Santa, Siria, Giordania, Iraq, Libano, Somalia e Paesi del Golfo, presenti oggi in Piazza San Pietro:

    “Come la madre sa chiedere e bussare ad ogni porta per i propri figli, senza calcoli, con amore, così anche la Chiesa: mediante la preghiera, essa pone nelle mani del Signore tutte le situazioni dei suoi figli. Confidiamo sempre nella forza della sua preghiera, perché il Signore non rimane insensibile alle invocazioni della Sua Chiesa! A tutti voi imparto la Benedizione Apostolica!”.

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    Il Papa all'udienza generale: la Chiesa è una mamma misericordiosa che non chiude mai le porte

    ◊   Come mercoledì scorso, anche nella catechesi dell’udienza generale di oggi il Papa è tornato sull’immagine della Chiesa come madre “che sa essere sempre paziente, misericordiosa, comprensiva, e che sa metterci nelle mani di Dio”. Il servizio di Giada Aquilino:

    La Chiesa, “buona mamma” che insegna ai propri figli “la strada giusta” nella vita, li accompagna anche quando sbagliano, cerca “di raddrizzare” il loro cammino, li mette “nelle mani del Signore, con la preghiera”. E tutto ciò le viene dal cuore. È una riflessione sulla “nostra madre Chiesa” - e sul volto che essa “dovrebbe avere” - quella che il Papa ha proseguito oggi in Piazza San Pietro:

    “La Chiesa è così, è una mamma misericordiosa, che capisce, che cerca sempre di aiutare, di incoraggiare anche di fronte ai suoi figli che hanno sbagliato e che sbagliano, non chiude mai le porte della Casa; non giudica, ma offre il perdono di Dio, offre il suo amore che invita a riprendere il cammino anche a quei suoi figli che sono caduti in un baratro profondo, la mamma non ha paura di entrare nella loro notte per dare speranza; la Chiesa non ha paura di entrare nella nostra notte, quando siamo nel buio dell’anima, della coscienza, per darci speranza! Perché la Chiesa è madre!".

    D’altra parte può succedere che un figlio, diventando adulto, camminando “con le proprie gambe”, sbandi “un poco nella vita” o prenda “strade che portano verso un burrone", quindi esca “di strada”. “La mamma - ha detto Papa Francesco - sempre, in ogni situazione, ha la pazienza di continuare ad accompagnare i figli. Ciò che la spinge – ha proseguito - è la forza dell’amore; una mamma sa seguire con discrezione, con tenerezza il cammino dei figli e anche quando sbagliano trova sempre il modo per comprendere, per essere vicina, per aiutare”.

    “Noi - nella mia terra - diciamo che una mamma sa ‘dar la cara’. Cosa vuol dire, quello? Vuol dire che una mamma sa ‘metterci la faccia’ per i propri figli, cioè è spinta a difenderli, sempre. Penso alle mamme che soffrono per i figli in carcere o in situazioni difficili: non si domandano se siano colpevoli o no, continuano ad amarli e spesso subiscono umiliazioni, ma non hanno paura, non smettono di donarsi. Le mamme sanno metterci la faccia, per i figli”.

    Perché li hanno accompagnati dal primo momento, insegnando loro a “camminare nella vita”, facendolo “con tenerezza, con affetto, con amore, sempre”. Sanno cosa sia “importante perché un figlio cammini bene nella vita”. E, ha aggiunto il Santo Padre, non l’hanno certo imparato dai libri: “L’università delle mamme - ha ricordato - è il proprio cuore: lì imparano come portare avanti i figli. E questo è bello!”.

    E così è la Chiesa, che - ha proseguito - “orienta la nostra vita, ci dà degli insegnamenti per camminare bene”. Pensando ai dieci Comandamenti, Papa Francesco ha spiegato come ci indichino “una strada da percorrere per maturare, per avere dei punti fermi nel nostro modo di comportarci”. Essi non sono “un insieme di no” ma sono “frutto della tenerezza, dell’amore stesso di Dio che ce li ha donati”. L’invito è quindi a leggerli - “forse li avete un po’ dimenticati”, ha detto il Pontefice - e a pensarli “in positivo”, perché riguardano il nostro modo di comportarci verso Dio, verso noi stessi e verso gli altri:

    “Ci invitano a non farci idoli materiali che poi ci rendono schiavi, a ricordarci di Dio, ad avere rispetto per i genitori, ad essere onesti, a rispettare l’altro… Provate a vederli così e a considerarli come se fossero le parole, gli insegnamenti che dà la mamma per andare bene nella vita. Una mamma non insegna mai ciò che è male, vuole solo il bene dei figli, e così fa la Chiesa”.

    E come una mamma, senza calcolare, sa anche “chiedere, bussare ad ogni porta per i propri figli,”, “anche e soprattutto alla porta del cuore di Dio”, pregando per loro, “specialmente per quelli più deboli, per quelli che hanno più bisogno, per quelli che nella vita hanno preso vie pericolose o sbagliate”, allo stesso modo fa la Chiesa, che “mette nelle mani del Signore, con la preghiera, tutte le situazioni dei suoi figli”. Il Papa - facendo cenno alla propria recente visita nella chiesa di sant’Agostino a Roma e ricordando le preghiere di santa Monica per la conversione del figlio - ha invitato a confidare “nella forza della preghiera” della Chiesa: “il Signore non rimane insensibile”, ha assicurato, “sa sempre stupirci quando non ce l’aspettiamo”:

    “Penso a voi, care mamme: quanto pregate per i vostri figli, senza stancarvi! Continuate a pregare, ad affidare i vostri figli a Dio; Lui ha un cuore grande! Bussate alla porta del cuore di Dio con la preghiera per i figli”.

    Al termine della catechesi, il Pontefice ha voluto tra l’altro salutare la Delegazione interministeriale governativa per gli Affari Religiosi della Repubblica Socialista del Vietnam, oggi presente in Piazza San Pietro.

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    Udienze e nomine

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: S.E. Mons. Konrad Krajewski, Arcivescovo tit. di Benevento, Elemosiniere di Sua Santità, con i Familiari.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Porto Alegre (Brasile), presentata da S.E. Mons. Dadeus Grings, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Porto Alegre S.E. Mons. Jaime Spengler, O.F.M., finora Vescovo titolare di Patara ed Ausiliare della medesima arcidiocesi. S.E. Mons. Jaime Spengler, O.F.M., è nato il 6 settembre 1960, a Blumenau, nello Stato di Santa Catarina, nell’omonima diocesi. Ha fatto il postulandato francescano a Guaratinguetá (1981) e il noviziato a Rodeio (1982); ha emesso la professione perpetua nel 1985 ed è stato ordinato sacerdote il 17 novembre 1990. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso l’Istituto Filosofico São Boaventura a Campo Largo e quelli di Teologia, prima presso l’Istituto Teologico Francescano a Petrópolis (1986-1987) e poi presso l’Istituto Teologico di Gerusalemme (1987-1990), nel quale ha ottenuto la licenza in Sacra Scrittura. Successivamente ha ottenuto a Roma, presso il Pontificio Ateneo Antonianum, la Laurea in Filosofia (1995-1998). Ha svolto i seguenti incarichi: Professore nel Noviziato Francescano a Rodeio, Maestro dei Postulanti (1990); Professore nel Postulandato e Vicario parrocchiale a Guaratinguetá (1991-1994); Professore e Vice-Rettore dell’Istituto di Filosofia São Boaventura a Campo Largo (2000-2003); Assistente Religioso della Federação Brasileira das Irmãs Concepcionistas (2001-2002); Superiore locale e Vicario Parrocchiale della Parrocchia Senhor Bom Jesus, nell’arcidiocesi di Curitiba (2004-2006), Professore di Filosofia alla Facoltà São Boaventura a Curitiba (2000-2003); Vice-presidente dell’Associazione Francescana di Ensino Senhor Bom Jesus a Campo Largo e Guardiano del Convento Locale. Il 10 novembre 2010 è stato nominato Vescovo titolare di Patara ed Ausiliare di Porto Alegre. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 5 febbraio 2011. Attualmente svolge la funzione di Vicario Episcopale per la Regione Gravataí dell’arcidiocesi di Porto Alegre, Membro della Commissione per i Ministeri Ordinati e la Vita Consacrata della CNBB, Vescovo Responsabile della sottocommissione per la Vita Consacrata della CNBB, Presidente della Commissione Regionale dei Presbiteri del Regionale Sul 3 della CNBB.

    Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Acerra (Italia), presentata da S.E. Mons. Salvatore Giovanni Rinaldi, in conformità al can. 401 §1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Acerra (Italia) S.E. Mons. Antonio Di Donna, trasferendolo dalla sede vescovile titolare di Castello di Numidia e dall’ufficio di Vescovo Ausiliare di Napoli (Italia). S.E. Mons. Antonio Di Donna è nato ad Ercolano (Napoli) il 1° settembre 1952. Ha studiato al Seminario di Napoli fino al presbiterato. Si è licenziato in Teologia Pastorale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale ed ha conseguito il Dottorato in Teologia all’Università Pontificia Salesiana. È stato ordinato sacerdote il 14 aprile 1976 per l’arcidiocesi di Napoli. Ha svolto i seguenti uffici e ministeri: Collaboratore del Parroco del SS. Rosario in Ercolano (1976-1978); Docente di Teologia Pastorale nella Sezione San Tommaso della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e Docente negli Istituti di Scienze Religiose di Napoli, Avellino, Capua, Alife-Caiazzo (1978-2007); Responsabile della formazione nel Seminario Maggiore ed Incaricato della Formazione Permanente dei preti giovani e del presbiterio diocesano (1983-2007); Parroco di S. Maria della Natività e S. Ciro in Portici (1993-2007); Vicario Episcopale per la Pastorale Diocesana (1998-2007). Ha inoltre ricoperto il ruolo di Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano e di Decano della Forania di Ercolano. Eletto alla Chiesa titolare di Castello di Numidia e nominato Ausiliare di Napoli il 4 ottobre 2007, ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’11 novembre successivo.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Diego (U.S.A.), presentata da S.E. Mons. Robert Henry Brom, in conformità al canone 401 §1 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede S.E. Mons. Cirilo B. Flores, finora Vescovo Coadiutore della medesima diocesi.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, in apertura, "Soluzioni diplomatiche per i conflitti"; Papa Francesco ribadisce che solo col dialogo e la trattativa si può risolvere la tragedia umana della popolazione siriana. Sotto, ancora un articolo sulla Siria: "Muro contro muro al Consiglio di sicurezza. Profonde divergenze sulla risoluzione per le armi chimiche”.

    Nelle pagine dedicate alla cultura, "Modelli per la Gloria. Quasi completato in Vaticano il restauro delle statue di Bernini usate per realizzare l’altare della Cattedra", firmato dal direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, e "La Musa in equilibrio tra scienza e arte. Archimede e le radici del pensiero scientifico moderno" di Isabella Farinelli.

    A pagina 5, "Inganno del verosimile" sulla fotografia secondo Sandro Becchetti, scomparso nel giugno scorso, e "Dittatura lessicale", sulla messa al bando, da parte del Comune di Bologna delle parole "padre" e "madre" negli atti pubblici, annunciata in un articolo del «Corriere della Sera». Sempre a pagina 5, "Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori anch’io canto"; Claudio Toscani parla del romanzo «Viaggiatori di nuvole» di Giuseppe Lupo.

    A pagina 8, "All’università delle mamme", la catechesi pronunciata durante l’udienza generale di mercoledì 18 settembre, in cui il Papa è tornato a parlare della maternità della Chiesa; a fondo pagina, il nuovo appello per la pace in Siria e nel mondo, lanciato al termine della catechesi, prima del saluto ai fedeli italiani presenti in piazza San Pietro.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: braccio di ferro all'Onu sull'uso della forza. Ispettori torneranno a Damasco

    ◊   All’Onu continua la spaccatura sull’uso della forza nella crisi siriana, mentre Damasco avrebbe consegnato a Mosca le prove dell’utilizzo di armi chimiche da parte dei ribelli. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    E’ una battaglia diplomatica quella che si sta combattendo in queste ore al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’obiettivo è quello di arrivare ad una risoluzione che recepisca l'accordo sul disarmo chimico raggiunto da Stati Uniti e Russia a Ginevra. A sfidarsi, a suon di articoli, prove, accuse, sono ancora una volta Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia da una parte e Russia dall’altra. I primi, sostenuti dal segretario generale Ban Ki-moon, insistono sulla necessità di inserire nel testo il “capitolo 7” della Carta delle Nazioni Unite, quello che prevede come ultima ratio l'uso della forza in caso di inadempienza. Sull’altro fronte Mosca, che si dice completamente contraria a questa ipotesi, e che anzi rilancia, portando le prove dell’utilizzo di armi chimiche da parte dei ribelli. Per di più, sempre su richiesta russa, gli ispettori torneranno forse già la settimana prossima in Siria, dove si continua a combattere la guerra, quella vera. A Damasco stamattina cinque persone sono morte e decine sono state ferite per alcuni colpi di mortaio lanciati dai ribelli - secondo fonti ufficiali - e caduti su quartieri centrali. Sempre altissima la tensione pure al confine con la Turchia, dove ieri l’ennesimo attentato con autobomba ha provocato almeno 13 morti.

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    Mons. Lahham: in Giordania oltre un milione di profughi siriani, ma c'è solidarietà

    ◊   Il conflitto in Siria mette in fuga quotidianamente migliaia di civili, che si riversano nei Paesi confinanti. Secondo gli ultimi dati Onu sono almeno 7 milioni le persone che hanno urgentemente bisogno di aiuti. Uno dei Paesi più coinvolti dall’ondata di profughi è la Giordania, dove è stata superata la cifra di un milione di rifugiati provenienti dalle zone di guerra. Sulla situazione nel Paese, Salvatore Sabatino ha intervistato mons. Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme:

    R. - La situazione è complicata: abbiamo quasi un milione di rifugiati siriani ripartiti nei vari campi profughi; poi c’è una buona parte che è andata a vivere nelle città, un gruppo di siriani benestanti che hanno scelto di vivere ad Amman o nelle altre città. Il problema è di tipo sociale, economico, morale e anche qualche volta politico. Il fatto è che i profughi siriani che arrivano da noi provengono dal Sud della Siria, cioè da Daraa, la parte povera della Siria. Quindi si tratta di persone molto povere, che sono venute senza niente. C’è un altro fattore importante: la Giordania ha sì, aperto le braccia, perché siamo vicini, siamo fratelli, però la Giordania essendo un piccolo Paese, piuttosto povero non ha le strutture e le infrastrutture necessarie per ricevere un milione di profughi. Non dimentichiamo che la Giordania è il quarto Paese più povero di acqua al mondo.

    D. - Però, nonostante le problematiche legate proprio alla povertà della Giordania, c’è stato un grandissimo senso di solidarietà nei confronti dei siriani ...

    R. - Sì, questo è dovuto a due elementi. L’arabo riceve sempre, apre la sua casa, anche se non ha niente. Poi c’è anche un sentimento religioso, perché il popolo giordano è per il 97 percento musulmano e i siriani sono quasi tutti musulmani. Ci saranno forse 200-300 cristiani su un milione. Dunque, c’è anche un senso di solidarietà islamica; si divide quello che si ha, però fino ad un certo punto, perché poi a lungo andare la vita, la convivenza diventano pesanti. La Giordania ha ricevuto i profughi palestinesi nel ’48 e si trovano ancora lì. Nessuno vuole che questa situazione si ripeta anche per i siriani. Speriamo di no.

    D. - Si parla molto spesso di rischio di regionalizzazione della guerra siriana. Si respira comunque questo pericolo in Giordania? C’è una preoccupazione reale tra la gente?

    R. - C’era una preoccupazione quando la minaccia militare era vicina. Penso che la giornata di preghiera e di digiuno di Papa Francesco, seguita in tutto il mondo, abbia fatto un vero miracolo. Fino al giorno prima parlavano di un attacco imminente e mirato; il giorno dopo cercavano una soluzione politica. Adesso si respira meglio, alla luce delle riunioni tra i due ministri degli Esteri - russo e americano - sulle armi chimiche. Questo ci dà almeno sei o sette mesi di pace relativa, o almeno di minaccia rimandata. Speriamo che arrivino ad una soluzione politica, perché alla fine sono due anni e mezzo che combattono e non si sa chi dice la verità e chi dice la menzogna. Non si conosce la realtà! Homs è da due anni luogo di battaglia; ad Aleppo accade la stessa cosa. Penso, spero e prego veramente perché una soluzione pacifica sia la conclusione di questo conflitto.

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    Il Premio Nobel Arias Sanchez: coraggiose le parole del Papa sulla Siria

    ◊   "L'invasione della Siria è una sconfitta anticipata, non in termini militari bensì umani”. Sono le forti parole dell’ex presidente del Costa Rica e premio Nobel per la pace, Oscar Arias Sanchez, che, ospite della Comunità di Sant’Egidio a Roma, ha parlato della guerra siriana e del Trattato internazionale sul commercio delle armi, ma che, soprattutto, ha reso omaggio alle dichiarazioni del Papa. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Le parole di Papa Francesco contro l’attacco militare hanno il valore della fede, della riflessione, ma anche il potere della denuncia. Oscar Arias Sanchez, ex presidente del Costa Rica e Premio Nobel per la pace nel 1987, a Roma ospite della comunità di Sant’Egidio, definisce coraggiosa la decisione di Francesco che parla contro un’invasione militare della Siria:

    "Yo me siento muy orgulloso como latino americano …
    Come latino-americano sono orgoglioso che il Santo Padre Francesco parli con tanta forza e veemenza in favore della pace, del dialogo e del negoziato per risolvere il conflitto siriano. E’ la giusta via, e che lo dica il Vaticano ha ovviamente una forza ancor più grande. Deve essere seguito, con molta attenzione, e da molti governi, e credo che si possa essere ottimisti sul fatto che la voce della Santa Sede possa essere ascoltata all’Onu, al Consiglio di Sicurezza, così come all’Assemblea Generale".

    Oscar Arias ripete che l’uso della forza militare deve essere l’ultima delle possibilità e poi critica apertamente l’amministrazione di Barak Obama:

    "Los Estados Unidos …
    Ciò che penso è che gli Stati Uniti non abbiano dato spazio al dialogo e al negoziato, è una Paese con una mentalità “militarista”, con un forte potere militare, ricorrono alla forza militare con troppa frequenza senza prima cercare di risolvere diplomaticamente i conflitti. Per questo ho criticato il Premio Nobel per la pace, il presidente Obama, che si è compromesso nel momento in cui ha dichiarato che una volta violata la linea rossa, ossia l’uso di armi chimiche da parte di Damasco, gli Usa sarebbero ricorsi alla forza militare".

    L'uso di armi chimiche non può restare impunito, prosegue Sanchez, ma ciò non esonera gli Stati Uniti dal loro obbligo di seguire le norme internazionali su un eventuale attacco militare:

    "Felizmente se logro…
    Fortunatamente si è riusciti a frenare l’intervento armato da parte degli Usa contro la Siria. L’accordo, sabato scorso, tra Kerry e Lavrov, è per mettere l’arsenale chimico siriano sotto il controllo Onu, io però deploro che non si sia andati oltre. Mi auguro che con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza si possa arrivare a un cessate il fuoco e a condurre il Paese a elezioni libere per mettere fine alla guerra civile".

    Un'arma chimica è un abominio, genera la morte di migliaia di innocenti, addirittura in poche ore, ma – prosegue Arias – il suo potere di uccidere è inferiore a quello dei 640 milioni di armi leggere e di piccolo calibro presenti nel mondo, molte delle quali finite nelle mani sbagliate. Di qui il riferimento all’importanza del Trattato sul Commercio delle Armi, approvato nell’aprile scorso all’Onu e ratificato in Italia, dalla Camera, una settimana fa:

    "El Tratado para que entra en …
    Il Trattato, perché entri in vigore, deve essere ratificato da 50 Parlamenti, e mi rallegro per l’approvazione in Italia alla Camera; il mio Paese lo ha già fatto. Come sappiamo, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono responsabili dell’80% della vendita di armi nel mondo, di qui mi sembra che l’approvazione di questo documento abbia una doppia importanza. Da una parte, si restringe la vendita legale e il flusso illegale di armi alle forze ribelli nel mondo, a banditi, a terroristi, dall’altra parte aiuta a non impoverire ulteriormente un popolo il cui governo, anziché investire in istruzione, salute, infrastrutture, investe in armi e soldati. Dunque, credo che l’approvazione del Trattato possa avere solo risvolti positivi per l’umanità".

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    Usa-Iran: Obama approva l'apertura al dialogo di Teheran

    ◊   Si attenuano i toni dell’Iran in politica estera. Proprio mentre all’Aiea, l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica, è in agenda il discusso programma nucleare di Teheran, la guida spirituale Alì Khamenei parla di “necessaria flessibilità nei rapporti con gli altri Paesi”. Intanto, a pochi giorni dal viaggio a New York del neopresidente Rohani, che parteciperà all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente americano Obama dà credito all’apertura iraniana al dialogo. Per un commento su questa nuova situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato Alberto Negri, inviato del Sole 24 Ore:

    R. - Se c’è stata una novità, è stato proprio questo scambio di lettere, nei giorni scorsi, sulla crisi iraniana tra Obama e il nuovo presidente iraniano Rohani, seguite poi da queste dichiarazioni del capo della Casa Bianca, che parlano di un Iran disponibile al dialogo. Come si suol dire, “se son rose fioriranno”, perché - attenzione! - il contrasto tra Stati Uniti e Iran esiste in realtà dal 1979 e precisamente da quel 4 novembre, quando furono presi 52 ostaggi nell’ambasciata americana e furono rilasciati soltanto nel gennaio del 1981. Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono rotte, quindi, da quasi 35 anni e questo rappresenta una delle costanti e dei fattori più condizionanti della politica estera americana in Medio Oriente e di tutti gli equilibri strategici nella regione. Se si verificasse un’apertura di dialogo concreta tra Washington e Teheran, sarebbe certamente una svolta storica!

    D. - Quali le conseguenze positive per gli Stati Uniti e soprattutto per l’Iran?

    R. – Innanzitutto, qui c’è un problema in primo piano, che è il dossier nucleare iraniano sul programma di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran. Due sono le strade, e il caso siriano rientra in questo quadro. Gli Stati Uniti, pressati dal loro maggiore alleato nella regione e cioè Israele, vogliono che l’Iran rinunci ad ogni programma di tipo nucleare, se non civile, e sia sotto il monitoraggio costante degli ispettori delle Nazioni Unite. Questa è in realtà la questione, perché sappiamo bene che Israele chiede continuamente a Washington che venga anche tenuta sempre presente l’opzione militare. Quindi, un’apertura di questo genere dovrebbe, in qualche modo, essere propedeutica a spianare la strada a un’intesa internazionale sul nucleare iraniano. Poi, naturalmente, ci sono da menzionare anche gli equilibri nel Golfo Persico, che sono un’altra delle costanti della politica estera americana. Washington, oltre a Israele, ha come alleato principale l’Arabia Saudita, cioè la petrol-monarchia sunnita più importante, che è anche quella che appoggia, per esempio, i ribelli in Siria. Quindi un’apertura nei confronti dell’Iran potrebbe anche probabilmente favorire un tentativo di accordo politico nella regione, sia per la Siria, sia per il Golfo, con quello che è l’obiettivo fondamentale dell’Iran da sempre, e che vorrebbe ottenere da Washington, cioè il riconoscimento di essere una sorta di superpotenza regionale.

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    Scioperi in Grecia contro la decisione di mettere in mobilità 25mila statali

    ◊   Tensione in Grecia per il terzo giorno consecutivo di scioperi da parte degli aderenti al sindacato Adedy, uno dei maggiori del Paese, e che raggruppa i dipendenti pubblici. Una mobilitazione per opporsi alla decisione del governo di Atene di mettere in mobilità 25mila impiegati statali entro la fine del 2013. Braccia incrociate oggi anche per i lavoratori del settore privato mentre prosegue l’agitazione di insegnanti, medici ospedalieri, avvocati. Problemi anche per i trasporti per lo stop di alcune ore dei lavoratori del settore. Ad infiammare la piazza anche la recente uccisione di un artista da parte di un militante di Alba Dorata, il partito di estrema destra. Solo ieri il premier Samaras aveva ribadito che il declino della Grecia sta per finire. In proposito Benedetta Capelli ha intervistato Carlo Altomonte, docente di Economia politica europea presso l’Università Bocconi di Milano:

    R. - Dobbiamo distinguere tra le aspettative di chi guarda al ciclo economico quindi i dati dalla crescita, ovvero quello che entra nelle tasche dei cittadini, e l’impatto occupazionale. Queste tre cose sono in realtà distinte e diversificate in termini di orizzonte temporale: se oggi ho delle buone aspettative future - come le ho per la Grecia, perché so che nel 2014 uscirà dalla recessione, e per la prima volta, dopo quasi 10 anni avrà un avanzo primario di bilancio - questa cosa per me è una notizia positiva. Questo cambiamento però non lo vedo ancora proiettato nelle tasche dei cittadini, perché capiterà, o inizierà a capitare tra sei mesi; ancora meno lo vedrò sul fronte occupazionale, perché una ripresa dell’economia avrà in realtà un impatto sull’occupazione almeno tra altri sei mesi. Quindi capisco le tensioni sociali che si sono accumulate dopo quattro anni di recessione con una perdita complessiva di output di quasi il 23 percento. Tuttavia non posso non vedere un orizzonte positivo.

    D. – La tensione sociale potrà influire, in qualche modo, sulle decisioni future del governo di Atene, oppure il percorso è talmente stringente e ormai segnato?

    R. - Potrebbe influire in negativo, nel senso che il governo di Atene per il momento ha gestito la crisi molto bene, ha dato i segnali che i partner europei volevano vedere e, da questo punto di vista, c’è stata anche un’apertura importante. Sappiamo però che il governo di Atene ha bisogno di altri 10 -12 miliardi di euro di ulteriori aiuti rispetto agli altri pacchetti che le sono già stati dati pari a quasi 250 miliardi di euro. Nessun Paese europeo, inclusa la Germania sotto le elezioni, si è però sognato di dire alla Grecia che questi aiuti non le arriveranno. Ovviamente bisognerà discutere sulle modalità e capire dove andare a prendere questi soldi, ma insomma l’apertura politica al governo di Atene è stata data in maniera molto forte dai partner europei. Quindi, si è riconosciuto il buon lavoro fatto, i costi sociali che questo ha comportato, e quindi ci sono aperture in questo senso. Non vorrei però che l’instabilità sociale in qualche modo destabilizzasse l’orizzonte politico e quindi obbligasse il governo a un cambio di agenda o addirittura ad un’instabilità politica, cosa che complicherebbe molto la situazione in Grecia. Insomma, i cittadini vedrebbero quasi sfumare, dopo quattro anni, tutti gli sforzi fatti. Spero che abbiano ancora sei mesi di pazienza per iniziare a vedere i risultati dei loro sacrifici.

    D. – A proposito delle aziende internazionali che stanno andando via dalla Grecia, l’ultima è la Coca Cola, perché allora non credere alle promesse fatte soprattutto se l’orizzonte temporale è di sei mesi?

    R. - Bisogna capire che tipo di Grecia riemergerà dallo scenario post-crisi e quali sono i driver della crescita futura. Probabilmente non avremo più una Grecia in cui il mercato interno, i consumi saranno sostenuti e non ci sarà nemmeno una crescita forte per i prossimi anni. Probabilmente avremo una Grecia in cui il settore turistico sarà un driver importante per lo sviluppo. Inoltre avremo anche una migliore efficienza dei servizi interni con tutte le riforme strutturali che sono state fatte e quindi una migliore produttività del settore servizi. Tutto questo evidentemente non depone bene per un’azienda manifatturiera come la Coca Cola che in realtà vuole semplicemente produrre a basso costo alcune cose e venderle sul mercato in crescita.

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    Comune Bologna censura parole “madre“ e “padre“. Belletti: attacco a famiglia e identità persone

    ◊   Polemiche accese per il provvedimento annunciato dall’assessore alla Scuola di Bologna, Marilena Pilati del Pd di voler sostituire nella dicitura per l’iscrizione ai servizi educativi le parole “madre” e “padre” con quelle di “genitore richiedente” o “altro genitore”, dopo la proposta avanzata dall’esponente del partito Sel, Cathy La Torre, di introdurre le espressione “genitore 1” e “genitore 2”. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni familiari:

    D. – Prof. Belletti, c’è incredulità e inquietudine da parte di molti, di fronte a questo annuncio. Che cosa sta accadendo? Perché si vuole occultare il valore della paternità e maternità?

    R. – Ma, guardi, quando i pubblici poteri vogliono cambiare il valore delle parole, vuol dire che la democrazia è a rischio. Quando la parola “padre” e “madre” viene giudicata incomprensibile e la si vuole sostituire con “genitore A” e “genitore B” – è successo anche Venezia, non soltanto a Bologna – dobbiamo davvero preoccuparci. La soluzione “genitore richiedente” e “altro genitore” è meno drammatica, ma rimane comunque il grave segnale culturale. E’ in atto un attacco alla famiglia, all’identità stessa delle persone che deve far preoccupare. Tra l’altro, una montagna di tempo buttato via di fronte a problemi ben più ampi!

    D. – Qualcuno ha commentato che dietro a questo provvedimento ci sia il desiderio di ‘contentare’ gli omosessuali, visto che l’Arcigay ha invitato gli altri Comuni a seguire l’esempio di Bologna. Ma è questa la strada per lottare contro le discriminazioni verso gli omosessuali?

    R. – Il tema della tolleranza, dell’accoglienza, del rispetto verso le persone omosessuali è una battaglia di civiltà sacrosanta, ma questo è l’obiettivo apparente. Di fatto, qui si mette in discussione l’idea stessa di famiglia naturale, l’idea stessa di identità sessuale come dato biologico, come dato fondativo dell’umano; e invece, l’esperienza di tutte le società, in tutta la storia, anche dal punto di vista laico, è che l’umano si costruisce proprio dalla differenza sessuale e dal riconoscimento del maschile e del femminile come diversi. E questo ha costruito tantissimo in letteratura, cultura, politica, diritto. Oggi, questa ideologia del gender sta veramente scardinando – con battaglie di élite – i fondamenti del sociale. Anche il dibattito alla Camera sulla legge sull’omofobia è un ulteriore esempio in cui l’obiettivo buono del proteggere dalle discriminazioni diventa un attacco diretto alla famiglia naturale, alla stessa nostra Costituzione. Quindi, la situazione culturale del Paese sta diventando grave, su questo tema. Tra l’altro, sono tutti interventi a costo zero, che non impegnano, che non rispondono ai bisogni reali delle famiglie italiane ma che fanno vincere un’ideologia.

    D. – Ecco: lei ha usato l’espressione “sono battaglie di élite”: infatti, non c’è nessuna prova certificata che questa sia la volontà popolare …

    R. – No! Tra l’altro, secondo me, è un’operazione che danneggia anche i reali diritti delle persone omosessuali, perché è rivendicare un riconoscimento formale con strumenti sbagliati. Qui si tratta, invece, di recuperare il dato di naturalità e anche il senso comune del nostro Paese. Io credo che sia molto ideologico dire che non si possa usare la parola “padre” e “madre”, che appartiene all’esperienza elementare di ciascuno di noi.

    D. – Ma, a questo punto, però, i cittadini dovrebbero far sentire maggiormente la loro voce …

    R. – Io credo che siamo chiamati, a questo punto, a farci sentire e a contestare, probabilmente anche eventualmente l’impostazione di questi moduli, se e quando potranno essere adottati, e soprattutto a farci sentire ed abbiamo tante possibilità: mandare delle mail, fare telefonate di protesta, scrivere lettere ai giornali … Forse è tempo che il popolo delle famiglie si faccia sentire nuovamente a chi fa comunicazione, a chi fa politica, agli amministratori … Il rischio è che gli amministratori, chiusi nelle loro stanze, non vedano più dove sta il Paese reale.

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    Il card. Scola: "Non c'è niente o nessuno che possa o debba essere estraneo ai cristiani"

    ◊   Il cardinale Angelo Scola prosegue in questi giorni gli incontri di presentazione al clero - in programma in tutte le zone pastorali dell’arcidiocesi di Milano - della sua Lettera pastorale "Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all'umano". “Non c’é niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo” - scrive Scola nel testo - tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e a tutti siamo invitati". Sulla genesi di questo documento, che trae ispirazione anche dal magistero di Papa Francesco, Fabio Colagrande ha intervistato lo stesso arcivescovo di Milano:

    R. – Dall’ottobre dell’anno scorso, il Consiglio episcopale milanese aveva avuto questa idea, perché ci siamo resi conto di avere delle parrocchie, dei gruppi, dei movimenti molto vitali che però, facendo molte iniziative, spesso si auto-occupano e invitano troppo poco i nostri fratelli “uomini” e quindi non sono capaci talora di riprendere l’espressione di Gesù: “Venite e vedete”, e questo implica un andare loro incontro. E certamente, però, Papa Francesco ha rimarcato in maniera straordinaria questa necessità. Quindi noi siamo molto contenti di poter fare eco nella nostra diocesi a tutti i gesti che lui sta proponendo in questo senso.

    D. – Lei invita la Chiesa ambrosiana a mettersi al lavoro per edificare un nuovo umanesimo: che cosa intende?

    R. – Il primo passo è spiegare in che senso parliamo del “campo che è il mondo”. Il campo, oggi, è l’articolazione di tutti i luoghi e degli aspetti in cui l’uomo vive, che sono ultimamente riconducibili alle tre dimensioni comuni a ogni esperienza umana, che sono quelle degli affetti, del lavoro e del riposo. Da questo punto di vista, non c’è nessuno lontano, e il Figlio di Dio si è incarnato proprio per essere la via, cioè per accompagnare gli uomini e le donne nel quotidiano, e la Chiesa cerca di dire, di proporre come si possano vivere bene, autenticamente questi aspetti quotidiani. Ovviamente, tutto questo ha poi anche una ricaduta sull’edificazione della città degli uomini e della vita civile. Il tema del nuovo umanesimo è legato ad una necessità che è imposta da questa epoca di passaggio. L’epoca moderna si è conclusa e ci troviamo di fronte a tante schegge che la modernità ci ha lasciato in eredità ma non abbiamo più un principio sintetico con cui rigenerare una unità a livello della persona e a livello della società. Allora, a noi sembra che tutti insieme – i cristiani, gli uomini delle religioni, i non credenti, gli uomini di buona volontà – debbano lavorare per trovare le vie di questo nuovo umanesimo, valorizzando tutto quello che la società plurale mette in campo. E i cristiani vogliono dare, in questo, il loro contributo: non una pretesa di egemonia, ma la proposta di come vedono la giustizia, la vita buona, di come vedono il buon governo e vogliono trovare soprattutto, a partire dall’Europa che ne ha un grande bisogno, una proposta di umanesimo nuovo.

    D. – Lei fa un invito anche molto forte ai credenti, a non assumere più un atteggiamento difensivo, dietro a dei bastioni, o a non creare più recinti separati: cosa intende?

    R. – Intendo dire che il grande lavoro che la Chiesa ha fatto dopo la Seconda Guerra mondiale, soprattutto dopo il Concilio, di abbattere i bastioni, di non considerare le comunità cristiane di varia natura come delle cittadelle, è in parte stato realizzato; ma abbiamo ancora dei bastioni di natura mentale. Per esempio, una certa concezione dei lontani: non c’è nessun lontano dall’esperienza elementare della vita degli uomini. Ogni giorno gli uomini hanno a che fare con gli affetti, con il lavoro, con il riposo. E quindi, abbiamo subito un terreno per comunicare con loro, per parlare con loro. Così come la sensibilità: pensiamo a quanto ha fatto il Magistero in questo campo, circa l’idea di giustizia sociale, l’idea di una democrazia sostanziale, l’idea della realizzazione di una solidarietà autentica, l’idea di partire dagli ultimi … Ecco. Tutto questo va giocato di più dentro la realtà di tutti i giorni.

    D. – “Non c’è niente – lei scrive – che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo”: ovviamente, parliamo anche dell’impegno in campo politico …

    R. – La politica non può essere realpolitik: c’è una base di realismo che bisogna sempre avere, però senza una forte visione ideale – e qui ritorna il tema del nuovo umanesimo – è impossibile proporre una politica che abbia respiro; e se una politica non ha respiro, non convince il popolo. E quando ci sono le prove, come in quest’epoca gravissima di travaglio e di contraddizione, la delusione del popolo – oltre ad essere un elemento di ingiustizia e di tristezza – può assumere anche toni pericolosi.

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    I "saggi" presentano tre ipotesi di riforme costituzionali per l'Italia: intervista con Piero Craveri

    ◊   E’ a disposizione del governo e del Parlamento italiani, da ieri, la relazione sulle possibili riforme costituzionali. Si tratta del testo preparato dalla Commissione di "saggi" nominata appositamente nel giugno scorso dal presidente Napolitano, e guidata dal ministro per le Riforme istituzionali, Quagliariello. Tre in sintesi le possibili formule che verranno valutate: semipresidenzialismo, parlamentarismo o una sorta di via intermedia. Ma soprattutto vengono fissati dei principi: riduzione del numero di parlamentari, rafforzamento del ruolo di Camera e Senato, superando il bicameralismo perfetto. E poi c’è un invito preciso: i cittadini devono tornare a scegliere chi li rappresenta. Fausta Speranza ne ha parlato con lo storico Piero Craveri, esperto di diritto e istituzioni politiche:

    R. – Soprattutto, viene regolato il rapporto tra Parlamento e Governo. E viene rafforzato anche il governo nella figura del primo ministro: questo è il punto capitale, perché il vulnus che noi abbiamo nella Costituzione è questa sostanziale debolezza del capo del Governo. Questa cosa rafforza, in realtà, la dialettica tra Parlamento e Governo.

    D. – Parliamo di Parlamento...

    R. – Bè, la riduzione dei parlamentari rientra nella logica delle polemiche che abbiamo avuto, soprattutto nel corso di questi ultimi mesi dell’ultimo anno. E’ una razionalizzazione che va incontro a una domanda pubblica, comunque dà un risultato funzionale. Per quel che riguarda la seconda Camera, il problema fondamentale che ci si trascina da moltissimo tempo è quello di uscire dal bicameralismo perfetto, il quale determina – e ha sempre determinato – un iter del processo legislativo estremamente lungo e faticoso. E quindi qui – perché questo è il punto di confluenza dei vari progetti – si prevede che la fiducia al governo viene data soltanto in una delle Camere, che la seconda Camera ha una composizione del tutto diversa e non è più espressa con suffragio universale. E poi è ipotizzato che non rappresenta più il corpo elettorale nella sua totalità, ma è mediata attraverso gli enti locali, ma su questo si deve precisare se diventa la Camera delle Regioni e degli enti locali, con probabilmente eletti di secondo grado. Il potere del Senato si riduce; si accresceranno probabilmente i poteri di controllo sull’attività di governo; il potere che gli si dà sul procedimento legislativo è quello di richiamare a sé alcune deliberazioni, alcune leggi che vengono votate dalla Camera: di richiamarle a sé ed eventualmente di proporre una modifica sulla quale, poi, il giudizio finale è quello della Camera. Quindi, si esce dal bicameralismo perfetto e entriamo invece in un mix di rapporti che è molto simile a quello – sebbene regolato in modo diverso – che si ha da una parte in Germania e, in misura diversa, in Francia.

    D. – Parliamo della raccomandazione sui cittadini: tornino a scegliere chi li rappresenta. E’ chiaro il messaggio …

    R. – E’ la parte relativa alla legge elettorale. Certamente, i quattro possibili modelli di legge elettorale restituiscono ai cittadini la scelta dei rappresentanti, che è un dato fondamentale. Del resto, su questo c’è anche una pronuncia della Corte Costituzionale: abolito il preferenziale, non essendo l’attuale legge, il Porcellum, una legge uninominale, praticamente non c’è scelta del rappresentante. Il rappresentante è scelto sulla base dell’ordine che stabiliscono i vari partiti nel formulare le liste e questo è contrario al principio costituzionale elementare. Credo che l’incostituzionalità di questo punto sia stata sottolineata anche dalla Corte Costituzionale. Quindi si restituisce questo potere all’elettore.

    D. – A questo punto, il lavoro dei saggi è fatto, è a disposizione di Parlamento e Governo. Quali tempi ipotizzare per avere riforme concrete?

    R. – Siccome in quel modello ci sono dei passaggi fondamentali che riguardano il rafforzamento dell’esecutivo, o comunque la regolazione del rapporto tra Governo e Parlamento - cosa che manca nella nostra Costituzione - l’iter che secondo l’articolo 138 deve fare eventualmente questo progetto di riforma costituzionale richiede almeno un anno e mezzo. Ma tutto questo dipende dalla durata del Governo. Devo dire che il punto di partenza è stato rapido, perché la relazione dei Saggi è stata anticipata di un mese, adesso va alla Camera e la Camera, che a questo punto ha già un indirizzo, deve fare delle scelte e trarne dei progetti di legge. Tutto dipende dal tempo in cui la Camera formula il progetto di legge su cui lavorare. Io mi auguro che si faccia nei tempi, perché questa riforma è assolutamente necessaria.

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    Il ministro Giovannini presenta piano contro la povertà: aiuti, ma non reddito di cittadinanza

    ◊   Creare un istituto nazionale di contrasto alla povertà: è questo l’obiettivo indicato nella relazione curata da un gruppo di studio promosso dal Ministero del Lavoro e presentata stamani al Senato. Sempre oggi, il ministro Enrico Giovannini ha reso noto che dai 794 milioni di incentivi, stanziati ieri dal governo, “potrebbero arrivare fino a 100 mila nuove assunzioni a tempo indeterminato di giovani under 30”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    In un Paese come l’Italia, dove sono 5 milioni le persone in povertà assoluta, mancano ancora efficaci misure di contrasto all’indigenza. Ricordando questa lacuna, il Ministero del Lavoro suggerisce un piano denominato "Sia" (Sostegno per l'inclusione attiva), che prevede un aiuto economico, ma non un reddito di cittadinanza. Il ministro Enrico Giovannini:

    “Il reddito di cittadinanza è un qualcosa che va a tutti, indipendentemente dalla loro condizione di reddito, indipendentemente dalla loro condizione patrimoniale. Questo non solo è inattuabile sul piano finanziario, ma non necessariamente sarebbe una scelta equa. Quello che invece si può e si deve fare è assicurare a chi è in difficoltà i mezzi non solo economici, ma anche – come abbiamo detto – di inclusione attiva, il che vuol dire chiedergli di mandare i figli a scuola, far fare loro le visite mediche e così via. E quindi, non è soltanto un tema di reddito, ma è veramente un tema di inclusione sociale che la crisi ha naturalmente messo a rischio”.

    Il ministro Giovannini ha poi esortato i mezzi di informazione a non focalizzare l’attenzione sulla questione del reperimento delle risorse necessarie per rendere finalmente efficaci le misure di contrasto alla povertà:

    “Una preghiera ai media: se il messaggio è che ‘servono 7 miliardi e non ci sono’, questo è il modo per mettere una pietra tombale su una discussione seria su questo argomento. La relazione non ci dice questo. Non è che viviamo nel Paese delle meraviglie: ci rendiamo perfettamente conto che serve un percorso. Ma attenzione: se passa l’idea che l’unico vincolo è quello finanziario, di nuovo non discutiamo seriamente del problema! Bisogna lavorare intensamente per costruire una rete istituzionale, organizzativa ed anche di informazione che non trasformi questa operazione in un boomerang, così che qualcuno possa dire: ‘Io l’avevo detto che non eravamo pronti, che la presa in carico è una fantasia, eccetera, eccetera”.

    La condivisione delle informazioni, a livello di istituzioni, è una condizione necessaria – ha aggiunto il ministro Giovannini – nella lotta contro la povertà:

    “Il sistema informativo delle politiche sociali è una condizione necessaria, perché non è che poi i Comuni, magari, ricevono i finanziamenti e non condividono le informazioni su quello che fanno di altro su quell’individuo – o le Regioni, o qualcun altro. Altrimenti rischiamo veramente di esporci alle critiche di chi dice: ‘State regalando i soldi’. Un sistema monitorabile, valutabile richiede la condivisione delle informazioni. Chi non condivide le informazioni, è fuori dal sistema!”.

    Nel documento presentato oggi si ricorda che l’Italia, attualmente, spende per la lotta contro la povertà in modo poco efficace e, soprattutto, in misura sensibilmente inferiore alla media dei Paesi dell’Unione Europea. Il vicedirettore di Caritas italiana, Francesco Marsico:

    “E’ evidente che, rispetto al modello europeo, la situazione italiana è abbondantemente al di sotto degli standard dell’Unione Europea. Questa situazione si è aggravata rispetto ad una crisi economica che ha fatto aumentare gli indicatori di povertà in maniera drammatica. Da parte di Caritas italiana, c’è una grande attenzione ad un’ipotesi legislativa di riforma che vada a colmare un buco normativo che riguarda, nei Paesi dell’Unione Europea, soltanto Grecia e Italia. E’ evidente che auspichiamo che vi sia già un’assunzione di responsabilità rispetto al tema della legge di stabilità 2014, perché evidentemente c’è un’urgenza che non si può in nessun modo non sottolineare”.

    Il piano di contrasto alla povertà prevede un patto reciproco: l’amministrazione deve offrire adeguati servizi di sostegno, gli individui beneficiari devono intraprendere percorsi virtuosi, come la partecipazione a corsi formativi e di riqualificazione. Ancora Francesco Marsico:

    “E’ un patto di cittadinanza ma io aggiungo: servizi pubblici locali, ma anche il mondo della sussidiarietà territoriale che deve essere accanto ai soggetti in difficoltà, alle famiglie, alle persone, per costruire insieme una rete di sostegno, di sollievo, di fuoriuscita dalla condizione di povertà. Quindi, è un patto sussidiario che vede la persona al centro, vede i soggetti istituzionali ma vede anche il terzo settore e i soggetti della società civile”.

    Il sostegno al reddito di chi si trova in povertà – si precisa nel documento - deve essere garantito a tutti con le medesime modalità, indipendentemente dalla dislocazione nel territorio nazionale:

    “Il problema delle differenze territoriali, soprattutto al Sud, è drammatica, e quindi chiaramente tanto più in questo contesto c’è la necessità che i servizi territoriali vengano aiutati da quel terzo settore della società civile che esiste nei diversi territori per dare le risposte possibili ed oggi. Questo, non immaginando grandi riforme che poi, soprattutto se passano solo attraverso la pubblica amministrazione, rischiano di avere tempi lunghissimi rispetto alle condizioni di bisogno delle persone. Condizioni di bisogno che sono, ovviamente, urgenti e immediate”.

    Il programma di contrasto alla povertà è indirizzato a chi risiede stabilmente sul territorio nazionale, inclusi gli immigrati legalmente residenti.

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    Presentata la nuova stagione della Filarmonica Romana: grande varietà che interessa e diverte

    ◊   Con una programmazione per un pubblico di tutte le età, radicata fortemente nel territorio ma anche di respiro internazionale, l’Accademia Filarmonica Romana ha presentato oggi la sua nuova stagione, al via il 31ottobre, la prima del direttore Cesare Mazzonis. Una trentina gli appuntamenti previsti di musica, danza, teatro e alcune novità affidate a grandi solisti, senza dimenticare un’attenzione speciale ai giovani. Il servizio è di Gabriella Ceraso:

    Sarà una specialista di Bach per eccellenza, come Angela Hewitt, pianista e direttrice, alla guida dell’ensemble da camera dell’Orchestra sinfonica della Rai, ad inaugurare la 193.ma stagione dell’Accademia Filarmonica Romana alla quale il neo direttore, Cesare Mazzonis, ha voluto dare una fisionomia tutta sua, in attesa di restituire all’Accademia una precisa identità nel panorama dell’offerta musicale romana:

    “Questo primo anno ha – penso, spero – una linea di attrazione: molte cose diverse, diverse tra di loro, che possono dare varietà, richiamare pubblico ed essere di qualità”.

    Ci sarà da sorridere ma non solo. Ancora Cesare Mazzonis:

    “Pensi che, per esempio, il gruppo dell’Akatosh è un gruppo divertentissimo di zigani. Non credo che abbia mai suonato a Roma. Il Paganini anche è una cosa curiosa. Il 'Roman de fauvel', recitato da Paolo Rossi, sarà qualcosa di molto divertente. Le sorelle Labeque, che chiudono la stagione: certamente sarà anche quello un concerto divertente. A cui poi fanno da contraltare concerti più seriosi”.

    In stagione sono previsti i “grandi”, molto noti, negli otto concerti di musica da Camera dal mondo antico ad oggi, e nel teatro musicale. Parliamo di Yuri Bashmet, Ian Bostridge, Viktor Tretyakov, Maurizio Baglini, Alexei Volodin, senza dimenticare la danza d’effetto dell’Aterballetto, dei Comics e soprattutto dei magici Momix, che a novembre presentano per la prima volta nella capitale il nuovo spettacolo “Alchemy”:

    “‘Alchemy’ mi pare un bel titolo, perché c’è un’alchimia, un qualcosa di una ricerca visiva nelle cose di Momix, sempre, che però ti richiama ad altre cose, e questo mi pare molto curioso e interessante …”.

    Nella forte varietà pensata dal direttore Mazzonis per il cartellone di quest’anno, ci sono pagine di intensa drammaticità, tra le quali spicca il 30 gennaio, al Teatro Argentina, nel giorno della Memoria dell’Olocausto, l’appuntamento con Remo Girone voce di pagine intense che sono quelle di Paul Celan, di Primo Levi, brani dalla Bibbia, “un tuffo in una memoria che è un patrimonio da tutelare”, dice Remo Girone:

    “Io abito a Roma, al rione Monti. Ci sono case dalle quali hanno portato via otto persone, anche una bambina. Poi sono morti ad Auschwitz, alcuni alle Fosse Ardeatine. E’ una cosa importante, parlare di questo. Il passato serve a costruire il futuro, la memoria è molto importante”.

    L’Accademia non dimentica infine i giovani, anzi: per loro, per il quarto anno consecutivo, propone il progetto “Operadomani”, dedicato all’Aida di Giuseppe Verdi, attraverso tre percorsi didattici. “I giovani vanno sollecitati, oggi più che mai”. Ancora Cesare Mazzonis:

    “I giovani sono bombardati da cose pessime; sono bombardati da una vita nella quale non si vedono prospettive, e non si vedono nemmeno modelli che interessino. Oltre tutto, ci sono i media che ci sguazzano, in questa situazione. Quindi, ci vuole un contraltare, a tutto ciò, a tutta la cultura umana che si ripropone di secolo in secolo. Io penso che si possa essere anche una difesa a tante cose”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica. Un missionario: ribelli continuano a vessare la popolazione

    ◊   “Che vuoi fare, sono cose che succedono!”. Padre Aurelio Gazzera, missionario prende con filosofia, in un colloquio con l’agenzia Fides, la brutta avventura capitagli il 16 settembre quando è andato a negoziare con i ribelli di Seleka la liberazione di alcuni ragazzi catturati e barbaramente torturati (al punto che entrambi hanno perso un occhio ed hanno le braccia paralizzate). “Arrivato alla base di Seleka- racconta il missionario- c'era un solo uomo armato. Le carceri erano piene . Ho cominciato a chiedere quando finiranno di torturare le persone e tenerle in prigione. Altri ribelli sono arrivati , e ho chiesto dove era il capo . Mi hanno detto che era nella casa dall'altra parte della strada , dove “il colonnello” della Seleka risiede. “Il "Colonnello” è arrivato” continua padre Aurelio. “Ho detto che sono venuto per protestare contro gli abusi , e ho spiegato che cosa è successo . Mi ha risposto che è il loro lavoro. Ho replicato che non è il loro lavoro arrestare le persone, e in particolare di picchiarle. Ho chiesto quindi il rilascio di almeno un detenuto, che era grave, ma ha rifiutato. È a questo punto che un altro “colonnello”- (un certo Goni ) è arrivato, urlando che lui mi avrebbe ucciso. Non avevo il diritto di venire a intercedere per le persone arrestate . Ha minacciato con una pistola , e poi mi ha dato uno schiaffo” conclude p. Aurelio. “Il mio rammarico è che non sono riuscita a ottenere la liberazione di almeno una persona” dice. Il Presidente Michel Djotodia, installato al potere dai ribelli, ha annunciato la dissoluzione di Seleka, ma secondo padre Aurelio “Si tratta di un’operazione di facciata. La dissoluzione di Seleka sul terreno noi non l’abbiamo affatto percepita. I ribelli sono qua e sono intenzionati a rimanere, cercando di estorcere il più possibile da una popolazione poverissima”. “Anche il disarmo dei membri di Seleka nella capitale Bangui, ha portato al recupero di circa 150 armi, quando si sa che i ribelli sono almeno 25.000” sottolinea padre Aurelio. La Repubblica Centrafrica rimane quindi in un situazione precaria nonostante il dispiegamento dei soldati della forza di pace dei Paesi limitrofi. A Bossangoa, nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana, Seleka e uomini fedeli al deposto Presidente François Bozizé si sono scontrati nei giorni scorsi. “È difficile sapere la situazione nei dintorni di Bossangoa, perché le linee telefoniche saltano di continuano e la gente che fugge dalla zona non sempre sa bene quello che succede” conclude il missionario. (R.P.)

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    Vietnam: il vescovo di Vinh, preoccupato dagli attacchi del regime, chiede sostegno internazionale

    ◊   "Siamo molti preoccupati per la situazione della diocesi di Vinh. Non possiamo dire per quanto ancora gli attacchi, le menzogne, le calunnie andranno avanti. È una situazione pericolosa e preoccupante per i cristiani". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Paul Nguyen Thai Hop, vescovo di Vinh, diocesi nel nord del Paese al centro nelle ultime settimane di una violenta aggressione - non solo verbale - da parte dei media e delle autorità vietnamite. I vertici cattolici non nascondono il rischio di nuove rappresaglie; i fedeli si stringono attorno al prelato e partecipano in massa alle funzioni religiose, sottolineando il valore di unità che caratterizza e contraddistingue la Chiesa locale. "Noi vogliamo la pace, la libertà e la dignità dei diritti dell'uomo" spiega mons. Paul ad AsiaNews, ma "sfortunatamente tutto questo non dipende dalla nostra volontà". Il 16 settembre scorso vescovi, sacerdoti e migliaia di fedeli vietnamiti fra bandiere vaticane e preghiere hanno celebrato una messa "per la pace e la giustizia", in risposta alle calunnie di tv e giornali governativi che promuovono da giorni una campagna diffamatoria verso la diocesi di Vinh. La funzione si è tenuta al santuario di Sant'Antonio, centro di pellegrinaggi della diocesi di Vinh poco lontano dal luogo in cui è avvenuta la violenta repressione della polizia il 4 settembre scorso. Al centro della controversia fra Stato e cattolici, la vicenda legata alla parrocchia di My Yen che chiede la liberazione di due fedeli in carcere dal giugno scorso senza un capo di accusa. Il sostegno dei vertici cattolici ha scatenato la reazione delle autorità locali e centrali, che hanno minacciato di intervenire con durezza per sedare le proteste o le manifestazioni di dissenso. "Pare che la salute dei due fedeli arrestati sia buona" conferma mons. Paul ad AsiaNews, ma "in un regime totalitario non si può sapere nulla sulla loro liberazione". Solo il governo, aggiunge il prelato, "sa quando saranno rilasciati, ma non dobbiamo smettere di chiedere la loro liberazione". La diocesi di Vinh, continua il vescovo, è "una diocesi povera a livello economico ma ricca in tradizione cristiana e cultura. Per vivere abbiamo bisogno di pace e di libertà - aggiunge - soprattutto per poter dar fondo al compito di evangelizzare". Per questo "abbiamo bisogno del sostegno e della solidarietà internazionale, perché il governo metta fine alla repressione, all'attacco, alla menzogna e alla calunnia". Dobbiamo pretendere dalle autorità, conclude mons. Paul, "il rispetto dei diritti umani e di tutte le convenzioni internazionali che ha sottoscritto. E chiediamo inoltre la liberazione dei due parrocchiani e risarcimenti alle vittime delle violenze a My Yen". (R.P.)

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    Filippine: a Zamboanga sacche di resistenza. Guerriglia nega la resa

    ◊   Nella decima giornata di conflitto a Zamboanga, i militari stanno togliendo ai ribelli le poche postazioni rimaste in alcuni dei sobborghi costieri dove ancora oppongono una qualche resistenza. Ammessa la fuga tra gli ostaggi liberati in gran numero ieri di molti ribelli del Fronte nazionale di liberazione Moro (Mnlf), che hanno abbandonato divise e armi. Come quelle ritrovate nella palazzina semidistrutta nel quartiere di Santa Catalina occupata ieri dalle truppe e che si ritiene sia stata il quartier generale del comandante Habier Malik, alla guida dell’assalto degli indipendentisti, forse ucciso nei giorni scorsi. Mentre si sentono ancor spari isolati, aerei ed elicotteri hanno abbandonato il cielo della città, segno che la situazione è in via di miglioramento. Liberato nella serata di ieri, a poche ore dal rapimento, il capo della polizia cittadina, portato su un’isola vicina da un gruppo di ribelli con cui stava trattando la resa e successivamente rilasciato e mostrato insieme ai ribelli che si consegnavano ai marine governativi. Resta un alto bilancio di vittime, almeno un centinaio, in maggioranza ribelli, una decina di militari e diversi civili; un’ampia devastazione nelle aree interessate dai combattimenti e 70.000 sfollati, povera gente che ha perduto l’abitazione e in molti casi anche la propria fonte di sostentamento. Molte delle attività commerciali e imprenditoriali restano chiuse, in parte per paura di nuove tensioni, in parte per la devastazione di molte aree. Incerta la situazione sul terreno, mentre il portavoce dell’esercito ritiene che non oltre il 20% delle aree inizialmente occupate siano ancora in mano agli insorti e dopo la resa di altri 23 indipendentisti ieri sera. Una resa negata dell’Mnlf, che ritiene le informazioni in proposito, come altre diffuse nei giorni precedenti, “propaganda sui combattimenti e sulle rese” e i 23 che si sono consegnati ai militari “seguaci del governatore della Regione autonoma di Mindanao musulmana provenienti da Basilan e travestiti da combattenti”, ha fatto sapere il movimento attraverso Twitter. (R.P.)

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    Imponente veglia di pace per Zamboanga, promossa da governo, Chiesa e società civile

    ◊   Una imponente manifestazione e una veglia di pace per Zamboanga e per le Filippine Sud vedrà uniti, il 21 settembre, per le strade della capitale Manila, il governo filippino, la Chiesa cattolica e numerose organizzazioni della società civile. Come appreso dall’agenzia Fides, le Filippine dedicheranno, dunque, la celebrazione della “Giornata internazionale per la pace”, proclamata dall’Onu per il 21 settembre, a Zamboanga, negli ultimi giorni teatro di violenti scontri fra i ribelli del “Moro National Liberation Front” e le truppe governative. La Veglia, organizzata dall’ Ufficio governativo che segue il processo di pace nelle Filippine Sud (“Office of the Presidential Adviser on the Peace Process”, Opapp), guidato dalla cattolica Teresita Deles, si è subito estesa alla Chiesa cattolica, alle associazioni e ai movimenti che chiedono e operano per la pace nel Sud dell’arcipelago. “Accendi una candela per la pace a Zamboanga”, recita la nota di convocazione dell’evento, giunta a Fides, che cita anche il passo biblico “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil, 4,13), per rimarcare che “la pace è possibile” ed è un desiderio diffuso. La manifestazione si concluderà con un messaggio di pace e un concerto per la pace. Valeria Martano, responsabile per l’Asia della Comunità di Sant’Egidio – che sarà presente alla Veglia grazie ai membri della comunità di Manila – rimarca a Fides che “oggi nelle Filippine, nonostante le difficoltà e le resistenze, c'è volontà di pace da ambo le parti, governo e gruppi ribelli. Anche nella società filippina una cultura di convivenza sta prendendo piede. Si tratta di impostare un processo di pace inclusivo, che tenga conto di tutte le componenti e le realtà sul terreno”. La Comunità di Sant’Egidio è entrata ufficialmente a far parte del “Gruppo internazionale di contatto”, composto da oggi da quattro Ong, che facilita le sessioni di negoziato fra governo filippino e ribelli. Nelle sessioni ufficiali di negoziato (una è in corso in questi giorni a Kuala Lumpur), oltre ai mediatori istituzionali (governo malaysiano e organizzazione per la Conferenza Islamica) vi sono anche le Ong “Henry Dunant Centre for Humanitarian Dialogue, con sede in Svizzera; “Conciliation Resources”, con sede a Londra; la “Muhammadhya”, storica formazione musulmana indonesiana. (R.P.)

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    Egitto: gli Usa chiedono al generale al-Sissi di proteggere i copti

    ◊   Il Segretario Usa alla difesa Chuck Hagel, in una conversazione telefonica avuta ieri con il generale Abdel Fattah al-Sissi, ha richiamato l'uomo forte dell'esercito egiziano a porre ogni sforzo per garantire la sicurezza delle comunità cristiane copte presenti in Egitto, bersagliate nelle ultime settimane dalle violenze delle bande islamiste seguite alla deposizione del Presidente Mohamed Morsi. Lo ha affermato il portavoce del Pentagono George Little in un comunicato, riferendo che il generale al-Sissi è stato anche invitato a prendere misure per “dimostrare l'impegno del governo di transizione” a favore del processo di normalizzazione democratica. All'inizio di settembre padre Hani Bakhoum, segretario del Patriarcato di Alessandria dei copti cattolici, aveva dichiarato all'agenzia Fides che “anche nel momento drammatico vissuto dall'Egitto, vanno respinte le strumentalizzazioni di chi invita gli attori della comunità internazionale a intervenire con la scusa di proteggere i cristiani, colpiti dal fanatismo settario". (R.P.)

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    Elezioni nel Kurdistan iracheno: candidati cristiani in ordine sparso

    ◊   Alle imminenti elezioni per il Parlamento regionale del Kurdistan iracheno – in programma per sabato 21 settembre – i candidati cristiani partecipano con una pluralità di liste concorrenti. Sono riusciti solo in parte i tentativi di aggregare gli aspiranti parlamentari cristiani in Partiti unitari. Secondo informazioni raccolte dall'agenzia Fides, il cartello politico in cui sono confluite gran parte delle formazioni politiche ispirate da cristiani – compreso il Partito Nazionale Assiro e il Consiglio Nazionale Caldeo - è l'Assemblea delle organizzazioni caldee, assire e siriache, sotto la presidenza del cristiano assiro Emmanuel Koshaba. Ad esso si aggiunge il Partito Rafdein - legato al Movimento democratico assiro e presieduto da Yunadam Kanna – e il Partito Figlio dei due fiumi, sotto la presidenza di Kalita Shaba. Altri canditati cristiani – soprattutto armeni – sono presenti individualmente in altre liste. La fioritura di partiti di impronta cristiana, pur esprimendo un vivace interesse per la sfera pubblica, appare segnata anche dal rischio della frammentazione su base etnica che da sempre caratterizza la partecipazione delle minoranze cristiane alla vita politica nell'Iraq post-Saddam. Sono 2.803.000 gli iracheni chiamati alle urne per eleggere 111 rappresentanti nella quarta legislatura regionale del Kurdistan iracheno. Il “sistema delle quote”, a tutela delle minoranze etniche e religiose, riserva almeno 6 seggi ai cristiani (5 per caldei, assiri e siriaci e uno per gli armeni) e altri 6 ai turkmeni. Tra le questioni che stanno più a cuore ai rappresentanti cristiani nel Parlamento regionale del Kurdistan iracheno c'è da sempre lo sviluppo dei servizi sociali per le città e i villaggi della Piana di Ninive e il mantenimento degli equilibri demografici in quell'area, caratterizzata da una forte presenza cristiana. (R.P.)

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    Tanzania: ancora gravi le condizioni del sacerdote aggredito con l’acido

    ◊   “Le condizioni di padre Anselmo purtroppo rimangono molti gravi, perché l’acido continua a penetrare sotto gli strati superficiali della pelle” dice all’agenzia Fides mons. Augustine Shao, vescovo di Zanzibar, che visita regolarmente all’ospedale padre Anselmo Mwanga’mba, il sacerdote cattolico assalito il 13 settembre da ignoti con un getto di acido nell’isola di Zanzibar. “Stiamo studiando la possibilità di trasferirlo all’estero, forse in India, in un Centro specializzato nel curare questo genere di casi” dice mons. Shao. Padre Anselmo è solo l’ultima vittima di una serie di attacchi con acido avvenuti nell’isola negli ultimi mesi. Le altre vittime comprendono due ragazze inglesi di 18 anni giunte a Zanzibar come volontarie e Fadhil Suleiman Soraga, Segretario del Mufti Capo di Zanzibar. “La questione di questi attacchi violenti è complessa” dice il vescovo. “A Zanzibar da almeno un anno registriamo gravi episodi violenti. Ricordo ad esempio che un altro sacerdote, padre Ambrose Mkenda è stato gravemente ferito a Natale dello scorso anno ed è ancora in convalescenza, mentre a febbraio è stato ucciso padre Evarist Mushi ”. “Una delle cause delle violenze è la tensione politica relativa alla nuova Costituzione e l’emergere della richiesta da parte di alcune forze politiche dell’indipendenza di Zanzibar dal resto del Paese. Vi sono inoltre contrasti sulla revisione delle liste dei votanti per le elezioni del 2015”. (Si ricordi che dopo l’indipendenza ottenuta nel 1963, l’anno successivo Zanzibar si è unito al Tanganika dando vita all’odierna Tanzania). “Sul versante economico e sociale, tra gli abitanti dell’isola prevale il sentimento di essere scavalcati dai lavoratori provenienti da altre aree della Tanzania e da Paesi stranieri, come il Kenya, che toglierebbero ai locali posti di lavoro e opportunità economiche” continua mons. Shao. “Infine c’è la propaganda islamica estremista da parte di predicatori formatisi all’estero, che diffondono l’odio contro i cristiani. Diversi giovani isolani sono stati inviati a formarsi all’estero e importano queste idee a Zanzibar, mentre predicazioni violente sono propagate attraverso i media locali” afferma il vescovo. “Insomma le cause di questi atti violenti sono molteplici e combinate tra loro. È una situazione complessa ma la domanda alla quale non posso rispondere è perché i cristiani e i cattolici in particolare sono presi così di mira. Oltre ai sacerdoti aggrediti abbiamo avuto 4 chiese vandalizzate e distrutte, la maggior parte delle quali cattoliche” conclude mons. Shao. (R.P.)

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    Uganda: nuovo intervento per la lotta all’Aids nella regione della Karamoja

    ◊   A Morilinga, nel distretto di Moroto, regione della Karamoja, agenzie internazionali, ong e associazioni locali si sono riunite per condividere strategie e impegni per l’eliminazione del virus Hiv da madre a figlio (Emtct). Il nuovo intervento strategico, denominato OptionB+, è stato recentemente adottato dal Ministero della Salute ugandese. Si tratta di un protocollo terapeutico semplificato per ridurre la trasmissione verticale dell’Hiv, oltre che la mortalità tra le donne sieropositive e tra i neonati esposti al contagio. In un comunicato inviato all’agenzia Fides, l’organizzazione Medici con l’Africa Cuamm dichiara che la campagna è stata lanciata in alcune zone del Paese individuate come prioritarie sulla base della prevalenza dell’Hiv. Tra queste, la regione della Karamoja dove il Cuamm è partner principale di Unicef nell’implementazione del progetto che è stato presentato ufficialmente. L’intervento riguarda tutti e 7 i distretti della regione con l’obiettivo principale di rafforzare il sistema sanitario primario per l’offerta dei servizi di prevenzione della trasmissione madre-figlio, nonché adeguati servizi sanitari materni e neonatali. Le attività previste vanno dalla formazione dello staff locale sul trattamento antiretrovirale al rafforzamento del monitoraggio in tempo reale dei parti delle donne sieropositive per i neonati che necessitano di profilassi. Il Cuamm interverrà inoltre nella fornitura di ulteriori attrezzature dove necessario, e nell’implementazione di cliniche mobili per assistere le donne che vivono a più di cinque chilometri di distanza dai Centri sanitari. Le comunità hanno coinvolto nel progetto autorità locali e leader religiosi, agenti sanitari e si sono impegnate per la formazione di gruppi di supporto. “Lavorare in quest’area è molto difficile,” si legge nel comunicato. “La popolazione è composta per lo più da pastori seminomadi. Ogni mese in Karamoja 100 donne sieropositive partoriscono senza avere accesso ai servizi di prevenzione per la trasmissione verticale e ogni mese 24 neonati esposti al contagio diventano sieropositivi. Metà di loro muoiono entro i 12 mesi se non sono curati con gli antiretrovirali”. (R.P.)

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    Haiti: nuove violenze contro le vittime del terremoto

    ◊   Due violente irruzioni in altrettanti accampamenti di senza tetto, vittime del devastante terremoto 2010, sono state perpetrate negli ultimi giorni da civili armati, alcuni dei quali a volto coperto, scortati da agenti di polizia: lo denuncia il ‘Gruppo di sostegno ai rimpatriati e rifugiati’ (Garr), organizzazione non governativa haitiana, in un comunicato pervenuto all'agenzia Misna in cui sottolinea che dall’inizio dell’anno sono stati almeno 15 i campi in cui sono state condotte espulsioni forzate “contro famiglie di sfollati che vivono ancora in condizioni inumane” a causa del sisma che provocò almeno 300.000 morti e un milione e mezzo di disastrati nel Paese più povero dell’America Latina. A distanza di oltre tre anni e mezzo sono ancora decine di migliaia gli haitiani costretti a vivere nei campi, dove sono esposti anche alla violenza orchestrata dai proprietari dei terreni, in attesa di vedersi assegnato un nuovo alloggio, possibilmente dignitoso. Le ultime due irruzioni sono avvenute all’inizio di settembre nel campo di Christopher, nella zona di Christ-Roi, a Port-au-Prince. I civili armati accompagnati dalla polizia “hanno distrutto un centinaio di tende insieme a mobilio – camere, tavoli da pranzo – hanno percosso gli abitanti rubando denaro, telefoni cellulari e oggetti trovati fra le tende” denuncia il Garr. L’altra irruzione è occorsa nel sito di Lanmè Frape, a Cabaret, a nord della capitale: “Secondo le vittime, un gruppo di civili incappucciati accompagnati da agenti della stazione di polizia di Cabaret sono arrivati in tre veicoli di cui uno trasportava uomini dell’Unità dipartimentale di polizia (Udmo), e hanno distrutto 393 case”. Il Garr “considera inaccettabile l’indifferenza dell’amministrazione Martelly/Lamothe di fronte a simili azioni, poiché sono i responsabili, in base alla Costituzione, di garantire la protezione, la sicurezza e l’integrità fisica dei cittadini, ovunque essi siano”. Condanna con forza anche l’operato della polizia “per espellere dai rifugi migliaia di persone che hanno perso tutto nel terremoto del 12 gennaio 2010”. “Viviamo sempre più come se nulla fosse accaduto e rapidamente ci dimentichiamo della sorte di migliaia di persone che non hanno un posto per vivere” aggiunge il Garr chiedendo a tutti di superare l’indifferenza “e prendere posizione contro questi atti di vandalismo che attentano contro la dignità delle famiglie sfollate che sono così vittime due volte”. (R.P.)

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    Argentina: denunciati casi di minori lavoratori e indigeni sfruttati in condizioni disumane

    ◊   Il Ministero del Lavoro della città di Salta, situata nel nord ovest dell’Argentina, ha registrato casi di lavoro minorile e di aborigeni privi di documentazioni, impegnati in una fabbrica della località General Ballivián, a nord della provincia, in attività molto rischiose e in condizioni disumane. Secondo fonti del Governo locale riprese dall'agenzia Fides, gli ispettori della Polizia del Lavoro hanno trovato, nel dipartimento di San Martín, a Ballivián, bambini impegnati nelle radure di una fattoria, e in alcune aree un gruppo di aborigeni sfruttati in condizioni disumane e senza nessun tipo di registrazione, privi anche di documenti di identità. Nel Paese, il lavoro minorile è considerato reato e andrebbe perseguito penalmente. Immediati provvedimenti sono stati presi sospendendo le attività lavorative in 3 mila ettari della fattoria e il caso è stato rinviato. Per quanto riguarda gli aborigeni sfruttati, i trasgressori sono stati denunciati e hanno dieci giorni per regolarizzare la situazione prima di un processo penale. (R.P.)

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    Al via la 10.ma Conferenza internazionale su cattolicesimo e cure materne

    ◊   Competenza, convinzione, senso della comunità e compassione: sono le quattro caratteristiche che deve avere un ostetrico cattolico. A ribadirlo è la Federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici che promuove, da oggi al 22 settembre, a Roma, la decima conferenza internazionale su cattolicesimo e cure materne. In programma presso l’Istituto Maria Bambina, l’evento è patrocinato dalla Pontificia Accademia per la vita e si incentrerà sul tema “La nuova evangelizzazione, le pratiche ostetriche e la cura delle madri”, con l’obiettivo di celebrare i 50 anni del Concilio Vaticano II e i 25 anni della Mulieris Dignitatem, l’enciclica siglata da Giovanni Paolo II nel 1988. I partecipanti al convegno, circa un centinaio, provengono da tutti e cinque i continenti e saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco venerdì prossimo. “Per apprezzare l’importanza della maternità nel mondo contemporaneo – si legge nel comunicato di presentazione del congresso – è necessario innanzitutto che gli ostetrici cattolici siano competenti non solo dal punto di vista medico, ma anche sociale e legale per poter aiutare le future madri”. I medici cattolici, continua poi la nota, “devono essere convinti del fatto che gli insegnamenti della Chiesa in materia etica non solo sono veri, ma vanno anche a beneficio dei pazienti”, il che implica “il coinvolgimento diretto dei dottori all’interno delle comunità”, poiché “la maternità è fondamentale per ogni società e per ogni comunità che la costituisce”. Infine, viene ribadito il richiamo alla compassione, non solo per le madri e le famiglie, ma anche per tutti coloro che soffrono, siano essi credenti o non credenti. Articolato in diverse sessioni di lavoro, il convegno si soffermerà su alcune sfide cruciali che i medici cattolici si trovano ad affrontare oggi, come la regolamentazione delle nascite, l’aborto, l’eugenetica, la violenza sulle donne, le unioni tra persone dello stesso sesso e la fecondazione assistita. (A cura di Isabella Piro)

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    Paesi scandinavi: progetto dei vescovi per un "accademia cattolica"

    ◊   Si sono conclusi oggi a Tromsø, Norvegia, i lavori dell’assemblea plenaria della Conferenza episcopale scandinava, iniziati il 13 settembre. I vescovi, che hanno pregato per le persone che soffrono in Siria, hanno “deciso di introdurre una giornata annuale di preghiera per i cristiani perseguitati in tutto il mondo, che sarà celebrata il 26 dicembre, festa del primo martire cristiano”: così si legge nel comunicato finale ripreso dall'agenzia Sir. Tra i temi affrontati emerge il progetto di un’accademia cattolica per i Paesi nordici in cui potrebbero confluire “gli accademici convertiti al cattolicesimo e i cattolici che si sono specializzati negli studi teologici” e che oggi insegnano nelle università statali, in particolare Uppsala e Oslo. Il progetto ora spera nel riconoscimento della Congregazione per l’educazione. I vescovi hanno accolto Georg Austen, segretario generale della “Bonifatius-Werk”, un’istituzione dei cattolici tedeschi che in questi anni ha offerto “un generoso appoggio morale, pratico ed economico” alle diocesi del nord Europa. Tra i progetti su cui si sta lavorando figura l’intensificazione di scambi di giovani cattolici tedeschi e scandinavi. A Tromsø i vescovi hanno incontrato il nunzio Henryk Józef Nowacki, il rappresentante del re di Norvegia Svein Ludvigsen, e il vescovo luterano Per Oskar Kjølaas. (R.P.)

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    Regno Unito: i vescovi rinnovano il sostegno alla Campagna “Uno di noi”

    ◊   “Uno di noi – clicca e firma” è la campagna on-line lanciata dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles per domenica prossima, 22 settembre. L’evento vuole incoraggiare i fedeli ad aderire all’iniziativa europea pro-life “Uno di noi”, partita dal Movimento per la Vita italiano, e che vede coinvolti tutti e 27 i Paesi dell’Ue. Obiettivo della mobilitazione è impedire che i fondi europei possano essere utilizzati per politiche che non sono rispettose del diritto alla vita, cioè politiche abortive o ricerche che distruggano l’embrione. “Ringraziamo tutti coloro che hanno già fatto sentire la loro voce, aderendo alla Campagna – scrive in una nota mons. Peter Smith, vicepresidente dei vescovi inglesi – E ricordiamo che un importante traguardo è stato raggiunto la settimana scorsa, perché le firme raccolte sono diventate un milione”. Ciò significa, continua la nota, che “i promotori di ‘Uno di noi’ potranno ora avere un’audizione pubblica al Parlamento europeo per sottolineare la necessità di una la legge che tuteli l’embrione umano”. “Firmare on line, sull’apposito sito web www.oneofus.eu, richiede solo due minuti” ribadisce mons. Smith, ricordando infine che da parte del Regno Unito sono attese almeno 54mila adesioni. La campagna si concluderà, a livello europeo, il prossimo novembre. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 261

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.