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Sommario del 17/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la Chiesa è una mamma coraggiosa che porta i suoi figli all’incontro con Gesù
  • Pubblicato il programma della visita del Papa ad Assisi: giornata intensa, all'insegna della carità e della spiritualità francescana
  • Tweet del Papa: sono chiuso nelle mie cose, o mi accorgo di chi ha bisogno di aiuto?
  • Incontro del Papa con il clero romano. Don Tammi: capisce la nostra situazione, lo sentiamo uno di noi
  • Raccoglie consensi l'esortazione di Papa Francesco che chiama i cattolici all'impegno per il bene comune
  • Il Papa accetta la rinuncia di mons. Zollitsch alla guida dell’arcidiocesi di Friburgo. Resta presidente dei vescovi tedeschi
  • Mons. Mamberti all’Aiea: è tempo di disarmo nucleare, preoccupazione per la situazione in Medio Oriente
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il patriarca Twal: in Siria appoggiamo la soluzione politica
  • Siria: l'Onu conferma l'uso di gas nervino. I dubbi su Damasco
  • Repubblica democratica del Congo: nuovi colloqui per dare pace e stabilità al Paese
  • L’impegno della Chiesa per la piena riconciliazione in Irlanda del Nord
  • Strage a Washington: si riapre il dibattito sulla vendita delle armi
  • Mons. Morosini: impegnarsi con i giovani per vincere la criminalità nella Locride
  • Costa Concordia: rotazione conclusa. Il parroco del Giglio: evento seguito con grande partecipazione
  • Al Policlinico Sant'Orsola di Bologna, la "Banca del Latte" per i neonati
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • America latina: le morti dei bambini poveri 5 volte superiore rispetto al resto del mondo
  • Filippine: crisi di Zamboanga vicina alla soluzione, l’esercito avanza contro gli islamisti
  • Unicef: in Siria 4mila scuole danneggiate. Campagna per un milione di studenti
  • Mali: al via i colloqui tra i gruppi armati del nord del paese, nuova apertura alla pace
  • Congo: a suor Angélique Namaika il premio Nansen per i rifugiati
  • Camerun: i vescovi invitano i politici ad assumersi le proprie responsabilità
  • India: sciopero delle scuole cristiane contro il vandalismo verso un istituto
  • Nepal: leader di tutte le religioni contro i matrimoni tra bambini
  • Iraq. Elezioni nel Kurdistan iracheno: appello del patriarca Sako ai politici cristiani
  • Colombia. Vescovo di Sincelajo: formare i cittadini per vivere nella pace
  • Sabra e Shatila: ancora un anniversario senza giustizia
  • Consiglieri giuridici dei vescovi europei: confronto su diritti umani e libertà religiosa
  • Spagna: le diocesi basche difendono l'insegnamento della religione nelle scuole
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la Chiesa è una mamma coraggiosa che porta i suoi figli all’incontro con Gesù

    ◊   La Chiesa ha il coraggio di una donna che difende i suoi figli per portarli all’incontro col suo Sposo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha preso spunto dall’incontro tra Gesù e la vedova di Naim per parlare della dimensione della “vedovanza” della Chiesa che, ha detto, cammina nella storia cercando l’incontro con il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Gesù ha la “capacità di patire con noi, di essere vicino alle nostre sofferenze e farle sue”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dall’incontro tra Gesù e la vedova di Naim, di cui parla il Vangelo odierno. Gesù, ha sottolineato, “fu preso da grande compassione” per questa donna vedova che ora aveva perso anche il figlio. Gesù, ha proseguito, “sapeva cosa significasse una donna vedova in quel tempo” e osserva che “il Signore ha uno speciale amore per le vedove, le cura”. Leggendo questo passo del Vangelo, ha poi affermato, penso anche che "questa vedova" sia "un’icona della Chiesa, perché anche la Chiesa è in un certo senso vedova”:

    “Il suo Sposo se ne è andato e Lei cammina nella storia, sperando di trovarlo, di incontrarsi con Lui. E Lei sarà la sposa definitiva. Ma in questo frattempo Lei - la Chiesa - è sola! Non è il Signore visibile. Ha una certa dimensione di vedovanza… E mi fa pensare alla vedovanza della Chiesa. Questa Chiesa coraggiosa, che difende i figli, come quella vedova che andava dal giudice corrotto per difendere, difendere e alla fine ha vinto. La nostra madre Chiesa è coraggiosa! Ha quel coraggio di una donna che sa che i suoi figli sono suoi e deve difenderli e portarli all’incontro col suo Sposo”.

    Il Papa si è soffermato su alcune figure di vedove nella Bibbia, in particolare sulla coraggiosa vedova maccabea con sette figli che vengono martirizzati per non rinnegare Dio. La Bibbia, ha sottolineato, dice di questa donna che parlava ai figli “in dialetto, nella prima lingua”. E, ha osservato, anche la nostra Chiesa madre ci parla in dialetto, in “quella lingua della vera ortodossia che tutti noi capiamo, quella lingua del catechismo” che “ci dà proprio la forza di andare avanti nella lotta contro il male”:

    “Questa dimensione di vedovanza della Chiesa, che cammina nella storia, sperando di incontrare, di trovare il suo Sposo… La nostra madre Chiesa è così! E’ una Chiesa che, quando è fedele, sa piangere. Quando la Chiesa non piange, qualcosa non va bene. Piange per i suoi figli e prega! Una Chiesa che va avanti e fa crescere i suoi figli, dà loro forza e li accompagna fino all’ultimo congedo per lasciarli nelle mani del suo Sposo e che alla fine anche Lei incontrerà. Questa è la nostra madre Chiesa! Io la vedo in questa vedova, che piange. E cosa dice il Signore alla Chiesa? ‘Non piangere. Io sono con te, io ti accompagno, io ti aspetto là, nelle nozze, le ultime nozze, quelle dell’agnello. Fermati, questo tuo figlio che era morto, adesso vive!’”.

    E questo, ha proseguito, “è il dialogo del Signore con la Chiesa”. Lei “difende i figli, ma quando vede che i figli sono morti, piange e il Signore Le dice: ‘Io sono con te e tuo figlio è con me’”. Come ha detto al ragazzo a Naim di alzarsi dal suo letto di morte, ha aggiunto il Papa, tante volte Gesù dice anche a noi di alzarci “quando siamo morti per il peccato e andiamo a chiedere perdono”. E cosa fa dunque Gesù “quando ci perdona, quando ci ridà la vita?”: ci restituisce a nostra madre:

    “La nostra riconciliazione col Signore non finisce nel dialogo 'Io, tu e il prete che mi dà il perdono'; finisce quando Lui ci restituisce alla nostra madre. Lì finisce la riconciliazione, perché non c’è cammino di vita, non c’è perdono, non c’è riconciliazione fuori della madre Chiesa. E così, vedendo questa vedova, mi vengono tutte queste cose, un po’ senza ordine… Ma vedo in questa vedova l’icona della vedovanza della Chiesa che è in cammino per trovare il suo Sposo. Mi viene la voglia di chiedere al Signore la grazia di essere sempre fiduciosi di questa ‘mamma’ che ci difende, ci insegna, ci fa crescere e ci parla il dialetto”.

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    Pubblicato il programma della visita del Papa ad Assisi: giornata intensa, all'insegna della carità e della spiritualità francescana

    ◊   Il Papa pellegrino in Umbria sulle orme di San Francesco. E’ stato pubblicato oggi dalla Sala Stampa vaticana il programma della visita di Papa Francesco ad Assisi, il prossimo 4 ottobre, festa del Santo patrono d’Italia. Il servizio è di Gabriella Ceraso:

    Sarà una giornata intensa, quella del Papa ad Assisi. Francesco arriverà in elicottero alle 7.45 nel campo sportivo dell’Istituto Serafico, che accoglie giovani disabili e ammalati gravi da tutta Italia: a loro sarà rivolto il primo discorso in programma. Poi la visita privata alla Chiesa di San Damiano, luogo della conversione di Francesco, nel quale il Santo ascoltò la voce del Crocifisso. Da qui per il Pontefice un appuntamento senza precedenti: la visita, nella sede arcivescovile di Assisi, della stanza della "spoliazione" che ricorda il gesto clamoroso del giovane Francesco innanzi a suo padre. Qui il Papa incontrerà e rivolgerà un discorso ad alcuni poveri assistiti dalla Caritas, prima di entrare - per una sosta privata - nella Chiesa di Santa Maria Maggiore annessa al vescovado. Quindi alle ore 11 la Messa nella piazza della Basilica di San Francesco, dopo la venerazione delle spoglie del Santo qui custodite. Al termine, l’accensione della lampada votiva con l’olio quest’anno offerto dalla Regione Umbria. Quindi, il pranzo che il Pontefice scelto di fare con i poveri assisiti dal Centro Caritas nei pressi della Stazione di Santa Maria degli Angeli. Il pomeriggio inizierà intorno alle 14.30, con la visita privata del Pontefice all’Eremo delle Carceri, luogo in cui Francesco si ritirava per pregare. Da lì la discesa alla cattedrale di San Rufino per il discorso alle rappresentanze di tutta la diocesi. A seguire, una visita privata alla Basilica di Santa Chiara per venerare il corpo della Santa, pregare davanti al crocifisso di San Damiano e incontrare le clarisse. In serata dopo una preghiera silenziosa alla Porziuncola, cuore della spiritualità francescana, ci sarà l’incontro con i giovani: il Papa risponderà a 4 loro domande nella piazza antistante la Basilica di Santa Maria degli Angeli. Da lì, prima di ripartire, la sosta al suggestivo Santuario di Rivotorto per la visita al "tugurio" di San Francesco. Il rientro in Vaticano è previsto alle ore 20.

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    Tweet del Papa: sono chiuso nelle mie cose, o mi accorgo di chi ha bisogno di aiuto?

    ◊   "Ci sono tanti bisognosi nel mondo d'oggi. Sono chiuso nelle mie cose, o mi accorgo di chi ha bisogno di aiuto?". E' il tweet lanciato stamani da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex, seguito da oltre 9 milioni di follower.

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    Incontro del Papa con il clero romano. Don Tammi: capisce la nostra situazione, lo sentiamo uno di noi

    ◊   Preti misericordiosi e innamorati di Gesù, capaci di annunciare il Vangelo con coraggiosa creatività. All’indomani dell’incontro del Papa con il clero romano a San Giovanni in Laterano è ancora tanta la gioia nei sacerdoti che vi hanno partecipato. Tra loro anche don Paolo Tammi, parroco di San Pio X e insegnante di religione che, al microfono di Fabio Colagrande, condivide le sue impressioni sull’avvenimento di ieri:

    R. - La sensazione immediata che si ha appena si incontra il Papa - in particolare l’incontro che abbiamo avuto ieri noi preti - è che il Papa, dal modo di parlare, è innanzitutto una persona che conosce molto bene e molto profondamente le situazioni umane, in particolare la situazione umana dei sacerdoti. È poi una persona che con parole semplici e umili, sa restituire consigli, incoraggiamenti; sa parlare – oso dirlo senza presunzione – come parlerei io, come parlano tanti parroci!

    D. – Un tema che il Papa aveva già toccato è quello di scongiurare il rischio di diventare preti “di ufficio” e la sottolineatura invece dell’importanza dell’accompagnare i fedeli...

    R. – E’ molto evidente e molto chiaro che la figura del prete che il Papa predilige è quello che sta in mezzo alla gente. Il Papa desidera questo ed è anche uno che viene da questo. Il sacerdote deve essere profondamente accogliente e sull’accoglienza si misura tantissimo anche il suo “successo” pastorale.

    D. – Poi il Papa ha toccato il tema dei divorziati e risposati, dei conviventi, delle situazioni matrimoniali difficili...

    R. – Per tutte queste categorie ha chiesto misericordia. Per quanto riguarda il caso dei divorziati risposati, il Papa è stato molto realista ed anche qui si vede il suo afflato pastorale. Ha detto “Io non so”, ed un Papa che dice di non sapere è un Papa che riesce ad essere subito simpatico, non ti dà una verità già pronta e per questo dice “non so come risolvere il problema, però lo risolveremo insieme”. Ci ha anche anticipato che nel prossimo Sinodo lui affronterà questo problema. Ha ricordato anche che Papa Benedetto era molto preoccupato su questo tema, di cui vedremo la risoluzione o comunque un tentativo di risoluzione.

    D. – In fine un concetto forte toccato dal Papa parlando con voi parroci romani: "la santità è più forte degli scandali". Ha raccontato proprio di una delle sue "famose telefonate", domenica scorsa, con una donna che fa le pulizie all’aeroporto di Buenos Aires. Lei ha fatto arrivare un biglietto al Papa raccontando il suo dramma familiare: un figlio tossicodipendente e lei sta lavorando proprio per cercare di salvarlo...

    R. – E’ stato un fatto commovente perché si è riferito a quella santità nascosta, non ancora canonizzata. Questa signora sapeva che un argentino stava andando dal Papa; lo ha incontrato all’aeroporto di Buenos Aires, ha raccolto un piccolo tovagliolo e ha scritto sopra il desiderio, chiamiamola “richiesta” al Papa di pregare per il figlio tossicodipendente. Il Papa l’ha chiamata e ha parlato sia con il figlio che con la madre. Quando ad un certo punto ha detto: “Non è questa santità?”, c’è stato un momento di commozione generale in tutti. Ecco perché ho scritto (sul mio blog ndr): “questo Papa è uno di noi”, perché parla come noi.

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    Raccoglie consensi l'esortazione di Papa Francesco che chiama i cattolici all'impegno per il bene comune

    ◊   Hanno suscitato grande interesse le parole che ieri Papa Francesco ha pronunciato riguardo al rapporto tra i cittadini, in particolare i cattolici, e il mondo della politica. “Un buon cattolico, ha detto il Papa, si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare”. Il Papa ha ribadito che la politica è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune e ha raccomandato a chi governa l’umiltà e l’amore per il proprio popolo. Per un commento all’intervento di Papa Francesco, Adriana Masotti ha sentito Davide Caocci del Comitato scientifico della scuola di formazione socio-politica: “Date a Cesare quel che è di Cesare” dell’arcidiocesi di Milano:

    R. - Io ritengo che il Papa abbia sottolineato quello che noi, cattolici impegnati, consideriamo da tempo: vale a dire che la politica - quindi il vivere la polis, il vivere la nostra città - è nostro dovere. Pensiamo a don Milani, con il suo “I care”: e cioè "mi importa”, che il Papa rafforza con questo suo linguaggio schietto e diretto dicendo che il cattolico “s’immischia”, quindi si butta dentro proprio anima e corpo, che è la stessa cosa che poi diceva Gesù. Se noi pensiamo anche solo al Vangelo di Marco, quando dice: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servo di tutti”, il servo è colui che veramente si sporca le mani, ma non per fare delle nefandezze, ma si sporca le mani perché lavora per gli altri. Quindi è questo il senso dell’impegnarsi in politica, secondo me. Ringrazio Papa Francesco per quello che ha ripetuto a tutti.

    D. - Due sono i modi che il Papa indica per interessarsi al bene comune e quindi alla politica. Uno è più diretto: fare politica, entrare in Parlamento…

    R. - Sì, quello di metterci la propria faccia e il Papa è riuscito anche a riassumerlo con “l’amore per il popolo”: quando l'ho sentito mi ha proprio toccato, perché pensare ad un governante, quindi ad una persona impegnata in politica, che ama il proprio popolo, secondo me è veramente bello. Per fare politica bisogna amare gli altri, amare il fratello. E questo, secondo me, è veramente uno dei tratti salienti che il politico, il cattolico impegnato in politica, dovrebbe assumere come suo stile di vita.

    D. - L’altro modo di impegnarsi, che il Papa indica, è quello di non criticare soltanto, ma di sostenere chi deve governare, con idee, suggerimenti e con la preghiera.

    R. - Anche questo è fondamentale: non far mancare l’appoggio a quegli uomini e a quelle donne che si prendono carico della cosa pubblica, perché il politico spesso è solo, spesso si sente abbandonato. Quindi è dovere di ogni buon cittadino anche seguire la cosa pubblica, seguendo i propri eletti.

    D. - E’ un modo di vedere il rapporto tra cittadini e politici molto diverso da quello che generalmente si vive, sia da una parte che dall’altra…

    R. - Sì, è veramente una rivoluzione. Lo abbiamo visto anche negli ultimi episodi della nostra vita politica con il disamore che ha preso l’elettorato italiano alle ultime consultazioni elettorali. La gente si sta allontanando dalla politica e dalla partecipazione… Questo, invece, dovrebbe essere un richiamo a tutti proprio perché la cosa pubblica, il bene comune è di tutti e tutti siamo chiamati ad interessarci e tutti siamo chiamati a fare il nostro piccolo dovere, in un senso o nell’altro.

    D. - Una parola sull’esperienza che vivete attraverso la vostra scuola…

    R. - La nostra scuola devo dire che è un ottimo banco di prova, nel senso che ci dà modo di sperimentare il lavoro per il bene comune in cose piccole, già solo nell’organizzazione della scuola, nell’incontrare politici di tutti i livelli e con essi confrontarci e elaborare anche un pensiero nuovo. In questi anni, dalle nostre fila sono usciti giovani che hanno voluto impegnarsi, che hanno voluto provare a dare del loro meglio per il bene comune, candidandosi anche a livello locale e a livello nazionale. E questo, per noi, è già una piccola soddisfazione.

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    Il Papa accetta la rinuncia di mons. Zollitsch alla guida dell’arcidiocesi di Friburgo. Resta presidente dei vescovi tedeschi

    ◊   In Germania, il Papa ha accettato la rinuncia di mons. Robert Zollitsch all’ufficio di arcivescovo dell’arcidiocesi di Friburgo, per sopraggiunti limiti d’età. Dal canto suo, la Conferenza episcopale tedesca ha reso noto, sempre oggi, che il Santo Padre ha nominato l’arcivescovo Zollitsch amministratore apostolico di Friburgo. L’incarico di amministratore apostolico resterà valido fino all’individuazione di un successore che possa amministrare l’arcidiocesi stessa. Allo stesso tempo, Papa Francesco ha stabilito - diversamente da quanto previsto nell’articolo 29 par. 3 dello Statuto della Conferenza episcopale tedesca - che l’arcivescovo Zollitsch mantenga il proprio incarico di presidente della Conferenza episcopale fino alla conclusione naturale del mandato nel marzo 2014. Il vescovo Norbert Trelle, vice presidente della Conferenza episcopale, ha espresso la propria soddisfazione e personale gratitudine per la decisione di Papa Francesco di mantenere alla presidenza l’arcivescovo Zollitsch, che potrà così portare a conclusione i progetti e gli impegni intrapresi per il bene della diocesi, e allo stesso tempo potrà operare con il giusto sostegno. (S.L.)

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    Mons. Mamberti all’Aiea: è tempo di disarmo nucleare, preoccupazione per la situazione in Medio Oriente

    ◊   Porre fine alla proliferazione nucleare: è l’appello lanciato alla Conferenza generale dell’Aiea, a Vienna, da mons. Dominique Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati. Ricordando il 50.mo della Pacem in Terris di Giovanni XXIII, il presule ha sottolineato che è tempo di “dirottare il materiale nucleare dagli scopi militari alle attività pacifiche”. Mons. Mamberti ha espresso inoltre preoccupazione per la situazione in Medio Oriente ed ha incoraggiato i negoziati sul programma nucleare dell’Iran. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    E’ tempo di “porre fine alla produzione di armi nucleari” e “dirottare il materiale nucleare dagli scopi militari alle attività pacifiche”. E’ quanto sottolineato dall’arcivescovo Dominique Mamberti alla 57.ma Conferenza generale dell’Aiea, alla quale ha portato i saluti di Papa Francesco. Il presule ha affermato che “la sicurezza globale non deve affidarsi alle armi nucleari” ed ha ribadito che “abbiamo bisogno di un’adesione universale e incondizionata e dell’attuazione del Trattato di non proliferazione”. Per mons. Mamberti, la comunità internazionale deve “dare nuovo vigore al processo di disarmo nucleare, compreso un progresso autentico nello smantellamento delle armi nucleari”. Ed ha ribadito che disarmo e non proliferazione “sono fondamentali anche dal punto di vista umanitario”.

    Mons. Mamberti ha quindi espresso “la profonda preoccupazione della Santa Sede per i recenti tragici sviluppi in Medio Oriente”. Al tempo stesso, ha detto, “ribadisce il suo forte sostegno agli sforzi per istituire una zona mediorientale libera da armi nucleari” e “da tutte le armi di distruzione di massa”. Le “zone libere da armi nucleari – ha constatato – sono l’esempio migliore di fiducia e di sicurezza e l’affermazione che la pace e la sicurezza sono possibili senza il possesso di armi nucleari”. Mons. Mamberti si è, infine, soffermato sugli “sviluppi” nei “negoziati sul programma nucleare dell’Iran”. La Santa Sede, ha detto, “è fermamente convinta che le difficoltà attuali possono e devono essere superate attraverso i canali diplomatici, facendo uso di tutti i mezzi a disposizione della diplomazia”, superando gli ostacoli che “impediscono la fiducia reciproca”. Nel suo discorso, l’arcivescovo Mamberti non ha poi mancato di soffermarsi sull’energia nucleare che, ha detto, deve essere “usata in modo non soltanto pacifico, ma anche sicuro”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Messaggio cosmico in bottiglia: in prima pagina, José G. Funes sulla Vojager nello spazio interstellare.

    Come una mamma che difende i suoi figli: Messa del Papa a Santa Marta.

    I media vaticani al tempo di Papa Francesco: intervista di Gianluca Biccini all'arcivescovo presidente Claudio Maria Celli, alla vigilia della plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

    Per porre fine alla proliferazione nucleare: nell'informazione internazionale, l'intervento dell'arcivescovo Dominique Mamberti alla Conferenza generale dell'Aiea.

    Foglie e radici: in cultura, Antonio Guido Filipazzi su famiglia, sacerdozio e patria nella vita di Celso Costantini.

    La perfezione sta in un movimento continuo: Mosè e le virtù del cristiano secondo Gregorio di Nissa in un articolo di Andrej Desnickij.

    Narcolessia?: Silvia Guidi su Dante e la fantamedicina.

    Da Tokyo un articolo di Cristian Martini Grimaldi dal titolo "Quelle nozze che non sono solo moda": si diffonde in Giappone il fenomeno dei matrimoni in stile occidentale.

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    Oggi in Primo Piano



    Il patriarca Twal: in Siria appoggiamo la soluzione politica

    ◊   Al via oggi a Roma la riunione ordinaria dei rappresentanti della Conferenza dei vescovi latini delle regioni arabe, l’organismo che riunisce i vescovi cattolici di rito latino presenti negli Stati arabi del Medio Oriente, in Egitto e in Somalia. Al centro dell’incontro le ultime iniziative previste per l'Anno della Fede e per il 50.mo anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II; durante la riunione, però, una particolare attenzione è stata posta sulla guerra in Siria. Proprio sul conflitto che rischia di infiammare l’intera regione mediorientale, e sulle speranze di una soluzione politica al conflitto, Salvatore Sabatino ha intervistato il patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Fouad Twal:

    R. - Non c’è una guerra del Medio Oriente che non tocca i Paesi vicini: il primo effetto è l’invasione dei rifugiati, sia in Giordania, sia nel Libano; prima dei rifugiati siriani abbiamo avuto i rifugiati provenienti dall’Iraq, mezzo milione… E’ un dramma continuo! Grazie a Dio siamo felici di vedere la nostra Caritas che fa un lavoro meraviglioso, dando una testimonianza meravigliosa. Abbiamo la Caritas Giordania con più di mille ragazzi e ragazze cristiani, impegnati nella Chiesa, che fanno questo lavoro gratis. Ci tocca come Chiesa e non possiamo rimanere indifferenti di fronte al dramma della Siria o dell’Egitto. In Medio Oriente - in Giordania, in Palestina e a Gerusalemme - abbiamo risposto in modo generoso all’appello del Santo Padre per la preghiera e per il digiuno per la pace. Per me il miracolo è accaduto prima della preghiera e dopo la preghiera: prima della preghiera si trattava di una questione di vita o di morte, di un’altra guerra, piccola e mirata, ma sempre un’altra guerra; e ora, dopo la preghiera, stanno cercando una soluzione diplomatica e politica.

    D. - Lei si era espresso in maniera molto negativa nei confronti di questo possibile intervento militare internazionale…

    R. - Totalmente! Siamo contrari a questa guerra! Io mi chiedo se i nostri politici hanno un’anima e se sentono la voce di questi 100 mila morti, bambini e adulti? Non dicono niente! Volevano fare un’altra guerra per avere ancora più morti, più drammaticità… Non siamo d’accordo! Siamo per una maggiore pace, siamo per una soluzione normale. Sappiamo che tutti i Paesi hanno bisogno di riforme, anche la Siria. Qual è il Paese che non ha bisogno di riforme? Ma passare dalle riforme alla guerra, questo è impensabile.

    D. - Pare che ci si stia avviando sulla strada, appunto, della soluzione politica con questo accordo tra Stati Uniti e Russia. Come valutare questo atto politico?

    R. - Noi siamo a favore di questo atto, però continuiamo con il nostro “esercito”, quello dei fedeli che pregano; continuiamo con la nostra forza, che è più forte della loro, che è la preghiera… E vinceremo!

    D. - I cristiani hanno avuto sempre un ruolo molto importante in Medio Oriente e, pur essendo in minoranza, hanno mantenuto un po’ gli equilibri stabili. Sembra che questo equilibrio si stia rompendo in Siria: abbiamo visto l’attacco al villaggio di Maloula, che è un simbolo dei cristiani siriani. Vede e percepisce che le cose stanno cambiando?

    R. - No! Il fatto che noi cristiani siamo una minoranza, significa che siamo più vulnerabili rispetto ad altri. E’ per questo che chiediamo la solidarietà della Chiesa universale, che non dimentichi le chiese cristiane del Medio Oriente.

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    Siria: l'Onu conferma l'uso di gas nervino. I dubbi su Damasco

    ◊   Nella guerra in Siria è stato usato gas nervino. Lo ha confermato ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, rendendo note in conferenza stampa i risultati della commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria. Il rapporto dell’organismo, anche se non esplicitamente, punta il dito contro il regime di Assad. E, mentre si sta mettendo a punto una risoluzione delle Nazioni Unite, il regime di Damasco accusa l'occidente di voler imporre la sua volontà, sostenendo che è al fianco dei jihadisti in Siria. Salvatore Sabatino ha intervistato Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici dell’Università di Trieste:

    R. - Dalla relazione del segretario generale delle Nazioni Unite emergono, comunque, alcuni fattori che sembrano indicare che le armi sono state lanciate dalle forze di Assad. Le Nazioni Unite indicano nella quantità di 350 litri di gas nervino sarin, una quantità che poteva essere solo in possesso dell’esercito di Assad. Non solo, ma anche l’uso dei razzi terra-terra, la provenienza degli stessi e anche il fatto che si fosse tentato poi di ripulire anche il luogo dove era avvenuto il bombardamento, tutto lascerebbe indicare che questo attacco sembra non essere stato il solo, ma il sicuramente il peggiore, sia stato portato avanti da Assad.

    D. - La Russia, però, continua a dire che questa posizione non è condivisibile. Quindi diciamo che al Consiglio di sicurezza continuano a proporsi le stesse divisioni e le stesse posizioni?

    R. - Sicuramente quelle divisioni restano, ma la linea rossa comunque da parte dell’esercito di Assad è stata superata e ora naturalmente si è arrivati ad una decisione che mi pare molto giusta: quella cioè di far consegnare l’arsenale delle armi chimiche.

    D. - E’ tramontata definitivamente, dunque, l’ipotesi di un attacco internazionale?

    R. - No! Secondo me questa ipotesi resta assolutamente un’ipotesi che potrebbe essere effettuata nel momento in cui si cominciassero a vedere delle dilazioni, delle prese di tempo o comunque si scoprisse che del gas è stato dislocato altrove, nascosto o consegnato ad altri Paesi, per esempio in Libano, agli Hezbollah. Quindi, a quel punto, anche se Obama è sicuramente riluttante nei confronti dell’attacco militare, probabilmente questo sarebbe il sistema punitivo nei confronti del regime di Assad.

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    Repubblica democratica del Congo: nuovi colloqui per dare pace e stabilità al Paese

    ◊   La Repubblica democratica del Congo resta in primo piano sulla scena internazionale per i tentativi in atto di riportarvi pace e stabilità. Prosegue intanto la concertazione nazionale avviata a Kinshasa dal presidente Joseph Kabila per tentare di mettere fine alla crisi politica e sociale del Paese, percorso da ostilità tra esercito e forze ribelli. Roberta Gisotti ha intervistato Giusy Baioni, giornalista esperta della regione africana e membro dell’Associazione "Beati costruttori di pace":

    D. – Chi sta partecipando a questa concertazione? Vi sono elementi di novità nelle trattative che fanno ben sperare, o si tratta di colloqui per valutare, più che altro, la distanza tra le parti?

    R. – Ci sono elementi di novità, perché in queste concertazioni che si sono aperte il 7 settembre partecipano le parti politiche in gioco – quindi il partito del presidente Kabila – e tutti i partiti di opposizione, e anche la società civile. Quindi, si cerca di avviare un dialogo il più possibile inclusivo, tant’è che proprio l’altro ieri addirittura anche gruppi armati dell’est hanno chiesto di poter partecipare. Sono gruppi armati minori che si sono radunati insieme e hanno chiesto di essere ammessi a queste concertazioni, cosa che invece di per sé non è contemplata perché i gruppi armati non fanno parte di questo tentativo di dialogo. Quello che ha incuriosito e che ha molto sorpreso è che sono state nominati l’altro giorno tre personaggi come esperti: Tshisekedi, Bemba e Kamerhe. Tshisekedi è il perdente alle ultime elezioni che continua a proclamarsi vincitore a distanza di due anni, rispetto al presidente in carica, Kabila; poi, Jean-Pierre Bemba, attualmente detenuto all’Aja - quindi si capiscono anche le contraddizioni - e Vital Kamerhe, che invece è stato presidente del parlamento ed è un forte oppositore di Kabila. Comunque, il fatto che questi tre personaggi così diversi siano stati nominati come esperti, farebbe ben sperare.

    D. – La crisi politica e sociale del Paese africano è strettamente legata alle ostilità tra esercito governativo e forze ribelli. Come sta andando, invece, il percorso parallelo per riportare la pace che – sappiamo – è stato avviato con il supporto dei Paesi dei Grandi Laghi?

    R. – Dunque, questo dialogo parallelo che si sta svolgendo a Kampala, in Uganda, attualmente è a porte chiuse, quindi non si sa quasi nulla: al momento, non stanno trapelando notizie. In parallelo, però, il presidente Kabila avviando proprio le concertazioni nazionali, ha dichiarato che uno degli scopi principali di questi colloqui è arrivare ad una pace duratura all’est e che se il movimento ribelle M23 non deporrà le armi e non si impegnerà a Kampala a giungere ad una pacificazione, dal canto suo l’esercito congolese continuerà a fare - tra virgolette - il "suo dovere”.

    D. – Quindi, la partita è tutta da giocare, ancora?

    R. – Esatto. Sì, è ancora tutta aperta. Staremo a vedere. Si sono dati 14 giorni di tempo, a Kampala, e vedremo che cosa ne uscirà, da questi ennesimi colloqui!

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    L’impegno della Chiesa per la piena riconciliazione in Irlanda del Nord

    ◊   Alla vigilia di una nuova serie di negoziati in Irlanda del Nord, cattolici, metodisti e presbiteriani di Dublino hanno lanciato una campagna per sostenere ogni sforzo teso alla riconciliazione nel Paese. Dopo la sanguinosa guerra civile tra unionisti e repubblicani degli anni Settanta e Ottanta, nel 1988 si è arrivati agli accordi di Belfast del 10 aprile, giorno del Venerdì Santo. In seguito il processo di pace ha conosciuto una battuta di arresto e solo con l'intervento del mediatore americano, George Mitchell, e grazie ai progressi compiuti dalla Commissione internazionale per il disarmo si è raggiunta la conclusione della crisi e l'insediamento, il primo dicembre 1999, del primo governo autonomo dal 1972. Ma non mancano tensioni. Fausta Speranza ne ha parlato con Padre Timothy Bartlett, sacerdote della Diocesi di Down and Connor che segue da vicino le iniziative e prende parte ai negoziati:

    R. – Northern Ireland has progressed very rapidly over recent years: …
    L’Irlanda del Nord ha fatto grandi progressi e velocemente, negli ultimi anni, tant’è che la pace è veramente tangibile in molte cose. Ci sono però difficoltà che permangono, in tre ambiti che destano particolare preoccupazione. Il primo è: come elaboriamo il conflitto del passato e con la memoria di quel conflitto? Ci sono persone che vogliono commemorare coloro che sono stati coinvolti nelle violenze, mentre altri vogliono ricordare la loro identità britannica e altri ancora vogliono commemorare la loro identità irlandese … Come affrontare questi aspetti che dal conflitto del passato arrivano nel nostro futuro? Il secondo problema riguarda quello che noi chiamiamo le “parading seasons”, cioè i periodi in cui, nei mesi estivi, l’Ordine degli Orangisti e altri gruppi della tradizione protestante, unionista, lealista, compiono lunghe marce attraverso cittadine e città. Queste marce sono state sempre motivo di grandi tensioni in determinate zone. Durante l’estate ci sono migliaia di queste marce: la maggior parte si svolge in maniera pacifica, ma alcune attraversano zone di conflitto e anche quest’anno hanno provocato violenze. Infine, c’è tutto l’aspetto dei simboli e delle bandiera: sui nostri edifici pubblici sventolerà la bandiera britannica o no? Tutti questi aspetti sono motivo di grandi tensioni; ma è importante ricordare che non c’è più la violenza e la tensione del passato: queste sono soltanto le reminiscenze del conflitto, che noi ora dobbiamo esaminare e risolvere.

    D. – Ci dice qualcosa in merito alle iniziative di questi giorni?

    R. – Well, several things are happening to try to address the conflict around these …
    Sono in corso diversi eventi per affrontare questi tre punti: il passato, le marce e la bandiera. Le maggiori Chiese cristiane si sono unite, ai diversi livelli, per riflettere su come il Vangelo – in particolare il Vangelo del perdono, della tolleranza, della riconciliazione, della pace, della giustizia – possa aiutarci a risolvere in maniera soddisfacente le difficoltà che sono rimaste e che provocano tensioni tra le due maggiori comunità nell’Irlanda del Nord. Una delle iniziative, ad esempio, è che le Chiese hanno pubblicato un comunicato congiunto nel quale chiedono preghiere per il successo delle iniziative, che saranno sostenute dal governo americano nella persona di Richard Haas, membro dell’amministrazione statunitense. Questo comunicato congiunto è visibile in internet, e in esso chiediamo alle persone di aggiungere il loro nome a sostegno a tale comunicato per la pace, la riconciliazione e il processo di pace; e questo comunicato ha già ricevuto migliaia di adesioni.

    D. – Lei è direttamente coinvolto nei negoziati. Qual è la sua speranza?

    R. – Well, dr. Richard Haass will meet the main political parties of Northern Ireland …
    Il dr. Haass incontrerà oggi i principali partiti politici dell’Irlanda del Nord e nei prossimi giorni incontrerà altri gruppi, compresa una delegazione della Chiesa cattolica che comprende il vescovo di Down and Connor, che comprende Belfast, mons. Noel Treanor, insieme a diversi nostri rappresentanti delle commissioni e consigli per la giustizia sociale e per gli affari sociali della Chiesa cattolica. Nel corso di questi colloqui, il nostro contributo saranno proposte di soluzione per il futuro, compresi i modi possibili per riavvicinare le comunità pur mantenendo le loro diversità, per aiutare le persone a comprendere la loro Storia e anche per parlare sinceramente del loro modo di vedere “l’altro”, in questa atmosfera di tensione, e cercare di volgere la paura in speranza. E questa è la mia speranza.

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    Strage a Washington: si riapre il dibattito sulla vendita delle armi

    ◊   Negli Stati Uniti ancora una strage dovuta al possesso di armi da parte di privati cittadini. Un killer ieri è entrato sparando nel Navy Yard, un quartier generale della Marina americana a Washington, uccidendo 12 persone e ferendone una decina. Al vaglio delle indagini i motivi che hanno spinto l’uomo, a sua volta ucciso dalla polizia, a commettere il folle gesto. Si tratta di un contrattista afroamericano del Texas, che aveva lavorato nella Marina Militare dal 2007 al 2011, di cui era rimasto consulente informatico. Il massacro riapre drammaticamente il dibattito sul controllo delle armi negli Stati Uniti, che già il presidente Obama aveva cercato di limitare con una legge rimasta bloccata in Parlamento. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Fernando Fasce, docente di Storia americana all’Università di Genova:

    R. - Questa è una delle principali contraddizioni di un grande Paese come gli Stati Uniti: una liberaldemocrazia con grande tradizione, che si porta dietro però questa macchia molto pesante, che è la diffusione delle armi, che è la convinzione diffusa - da alcuni settori economici, politici e culturali del Paese - che continua ad esserci sull’assoluto diritto e, per certi versi, bisogno di portare delle armi. Il che vuol dire, poi, spesso drammaticamente, usarle.

    D. - Più motivazioni economiche o politiche dietro questa situazione?

    R. - Io direi che ci sono equamente distribuiti interessi economici, la produzione di armi; ci sono interessi politici, ci sono segmenti della destra che alimentano l’attenzione e l’interesse delle armi; e poi ci sono interessi culturali, in qualche modo legati a quelli politici: strati cioè della popolazione che sono fortemente legati al principio della caccia, al principio del fatto di avere diritto ad usare le proprie armi come autodifesa del cittadino. Quindi è un intreccio di questi tre elementi.

    D. - Secondo lei, il presidente Obama riuscirà a ritornare sull’argomento e in qualche modo a modificare la norma che prevede, appunto, il libero utilizzo delle armi?

    R. - E’ difficile a dirsi, perché - come sappiamo - il presidente Obama è in tutt’altre faccende affaccendato, prima di tutto in questioni internazionali. Quindi non sarà facile. Credo però che sia un passaggio assolutamente necessario, perché anche il fatto che questa vicenda sia scoppiata in una base della Marina dice che c’è un ethos, che c’è un modo di intendere le cose - che sta fra il civile e il militare - che va riformato gli Stati Uniti e probabilmente non solo là.

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    Mons. Morosini: impegnarsi con i giovani per vincere la criminalità nella Locride

    ◊   “Lascio la Locride in una situazione peggiore di come l'ho trovata sia dal punto di vista economico che sociale”. Lo ha scritto mons. Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, in una lettera indirizzata al presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, qualche giorno prima di trasferirsi dalla diocesi di Locri-Gerace. Nella missiva al Capo dello Stato, il presule denuncia con forza la mancanza di una politica di liberazione e di riscatto e chiede allo Stato di intervenire immediatamente con una vera azione di promozione a favore della collettività. Federico Piana lo ha intervistato:

    R. – La lettera è stata indirizzata a lui, perciò gli sarà arrivata. Ho voluto riprendere un discorso che avevo iniziato con il capo dello Stato prima di iniziare il mio ministero pastorale a Locri, denunciando che la situazione della Locride non era affatto migliorata, ma era peggiorata. A Locri, si porta avanti solo una politica – giustamente – repressiva nei confronti della criminalità organizzata, ma manca una politica di promozione per la realtà che si vive.

    D. – Una politica di promozione come mai è stata fatta, nonostante tante volte la politica abbia detto: “Bisogna intervenire, bisogna fare qualche cosa contro la ‘ndrangheta, contro i fenomeni mafiosi”?

    R. – Contro la ‘ndrangheta si lotta nel reprimere il male. Ma la vera guerra alla mafia, alla ‘ndrangheta si fa promuovendo il bene dei giovani, dando il lavoro, perché è lì che la criminalità si nutre: nella disoccupazione, nell’abbandono dei giovani a se stessi.

    D. – Tutto questo secondo lei perché è avvenuto? Per incompetenza della politica, perché la politica è stata connivente, perché c’è disinteresse generale …

    R. – E’ un mistero: io non lo so. La resa alla difficoltà, lo scoraggiamento viene proprio da questo, perché i mali si denunciano continuamente! Io scrissi anche a Mario Monti, quando era presidente del Consiglio: si scrive e si parla, ma poi nessuno prende in mano la situazione e dice: “Bene, interveniamo veramente, come si deve!”.

    D. – Lei ha fatto riferimento anche all’antimafia, un’antimafia che spesso diventa antimafia militante e può essere anche nociva, da un certo punto di vista …

    R. – Ma, io non voglio dire nociva: fermarsi solo a quell’antimafia di denuncia, di esteriorità … ho parlato al capo dello Stato della retorica dei beni sequestrati: se ci si ferma lì, a dire “i beni sequestrati”, ma poi al giovane non diamo la possibilità di lavorare, è vero che abbiamo sequestrato un bene al mafioso; però il giovane sempre disoccupato resta! E se la mafia può, gli dà la possibilità di vivere, e così facilmente cade nella sua rete.

    D. – In tutto questo, la Chiesa cosa ha fatto e cosa può fare per riuscire a risolvere questa situazione?

    R. – Il mio sforzo in cinque anni è stato quello di formare le coscienze e cercare di gridare ad alta voce che la commistione tra malaffare e fede non può esistere; e poi, si sono continuati a fare questi appelli, come io ho fatto al capo dello Stato. Al di là di questo, non so proprio cosa la Chiesa possa fare …

    D. – Adesso lei è arcivescovo di Reggio Calabria–Bova: anche lì, la situazione non è delle migliori …

    R. – Eh no, eh no: è una situazione difficile anche qui. Ci auguriamo di poterla affrontare, con l’aiuto di Dio.

    D. – In che modo pensa di affrontarla?

    R. – Cercherò di muovermi come mi sono mosso a Locri. Poi, caso per caso, si dovrà vedere. Io non conosco ancora profondamente la realtà della città e la realtà della diocesi: non posso anticipare un impegno che dovrà venire, ancora.

    D. – Lei spera che il capo dello Stato le scriva, risponda a questa lettera?

    R. – Me lo auguro!

    D. - Perché sembra – mi corregga se sbaglio – che la situazione della Calabria sia un po’ dimenticata …

    R. – Eh, purtroppo, l’abbandono è all’interno della Calabria e all’interno della Locride. La Locride vive un abbandono ancora più grave di quello che vive già la Calabria.

    D. – E’ come se ci fosse un disinteresse anche da parte dei media, dei giornali, di noi giornalisti …

    R. – I giornalisti piombano quando ci sono i fatti eclatanti. Ma quando bisogna denunciare certe altre cose, allora non lo fanno.

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    Costa Concordia: rotazione conclusa. Il parroco del Giglio: evento seguito con grande partecipazione

    ◊   All’Isola del Giglio si sono concluse con successo all’alba le operazioni di rotazione della Costa Concordia: la nave ora è in asse, dopo 19 ore di lavoro incessante. Soddisfazione da tutto lo staff, coordinato dal capo della protezione civile Franco Gabrielli, che alla stampa tra l’altro ha detto: “Tutto è andato secondo le previsioni. Cogliamo oggi il frutto di una perfetta collaborazione tra pubblico e privato”. Dello stesso parere don Lorenzo Pasquinotti, parroco della chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano a Giglio Porto, che ha seguito la comunità per tutti questi mesi. Gabriella Ceraso ha raccolto la sua testimonianza:

    R. – Sono assolutamente d’accordo, perché questo è stato il punto di forza, cioè che non è stata la solita gestione da "carrozzone" di Stato e para-Stato; è stata una cosa che ha funzionato bene, ha coinvolto la cittadinanza, la popolazione si è sentita responsabile, informata e quindi ha seguito, è stata contenta e il risultato è questo. Quindi, il progetto di recupero non è stata "una cosa degli altri", che noi abbiamo seguito e che avremmo dovuto essere là a controllare, ma è diventata – proporzionalmente, naturalmente – una cosa anche nostra: era il nostro progetto. Ecco la gente l’ha vissuto così!

    D. – Gabrielli ha anche detto: “I lavori saranno finiti quando la nave non ci sarà più, al Giglio. Molto resta da fare, ci sono ancora tanti pericoli.”…

    R. – Guardi, non è caduta prima, quando era poggiata su quello spuntone, adesso che poggia su un supporto stabile, perché dovrebbe succedere? No, no … io mi sento di essere abbastanza tranquillo …

    D. – Lei ha seguito la comunità anche anzi soprattutto con la preghiera, sin dall’inizio …

    R. - … era l’unica cosa che potessi fare! Il fatto è che domenica era la festa del Patrono dell’Isola, per cui c’è stato un coinvolgimento del Patrono per il buon andamento, per la riuscita di questa operazione. Poi ci sono state le preghiere spontanee: anche ieri sera, quando c’è stata la Messa feriale. Siccome l’operazione non era finita, ancora abbiamo pregato; abbiamo ricordato i morti …

    D. – A livello di comunità, la gente del Giglio – che è stata lodata pubblicamente anche da Gabrielli per la partecipazione e anche per la collaborazione – ha offerto aiuto anche materiale: di questo ha avuto riscontro anche lei?

    R. – ... sì nel senso che c'è stata molta disponibilità. Se questi parenti, questi naufraghi tornavano sull’isola per rivedere, rivivere, venivano certo accolti; si sono creati dei rapporti, anche …

    D. – Certo. Tra le altre cose che sono state dette, c’è stata la grande attenzione per l’ambiente, che in un posto come il Giglio – come ovunque – è molto importante …

    R. – Ma in particolare, noi siamo Parco nazionale del Tirreno, quindi c’è un’attenzione particolare. Non è solamente la "macchietta" degli idrocarburi che si vede perché galleggia sull’acqua; c’è proprio tutta un’attenzione alla flora, alla fauna …

    D. – Molti hanno criticato, hanno notato che siccome è stato un evento veramente unico, è stato vissuto a mo’ di reality per la presenza di tante televisioni dal mondo …

    R. – Bè, è giusto, così! Cioè, funziona così: il mondo della comunicazione è questo!

    D. – Può essere anche un modo per mettere in evidenza una sorta di monito, per dire: “Questo è accaduto …”

    R. – Certo, certo: tenendo alta l’attenzione si tiene alta anche la tensione. Speriamo che rimanga come monito, che un piccolo errore, una piccola leggerezza può provocare una catastrofe incontrollabile con effetti drammatici …

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    Al Policlinico Sant'Orsola di Bologna, la "Banca del Latte" per i neonati

    ◊   "Allattami" è la Banca del Latte Umano Donato di Bologna, un progetto nato un anno fa al Policlinico Sant'Orsola. L’obiettivo è raccogliere i 600 litri di latte l’anno per gli oltre 100 bambini che nascono ogni anno a Bologna con un peso inferiore al chilo e mezzo. Elisa Sartarelli ha chiesto al dott. Luigi Corvaglia, responsabile del Reparto di Terapia Intensiva Neonatale, di parlare dell’iniziativa:

    R. – “Allattami” ha iniziato la sua attività il 2 ottobre 2012 e da allora, ha coinvolto la terapia intensiva neonatale del Policlinico Sant’Orsola – dove è nata – poi l’Ospedale Maggiore e da circa un mese anche la terapia intensiva neonatale dell’Ospedale di Ferrara.

    D. - Quali sono i benefici del latte umano?

    R. - Il latte umano è fondamentale per lo sviluppo del sistema gastrointestinale dei neonati prematuri e rafforzare le loro difese immunitarie. Inoltre, un dato relativamente recente ci dice che l’utilizzo – possibilmente prolungato – del latte umano migliora le perfomance neuro cognitive di questi neonati anche a lunga distanza dall’esposizione al latte umano stesso.

    D. - Quali caratteristiche deve avere una mamma donatrice di latte?

    R. - Le caratteristiche principali, fondamentali sono rappresentate dal fatto che la mamma, solitamente nei primi mesi di allattamento, si rende conto di avere una quantità di latte sufficiente non soltanto per il proprio neonato, ma addirittura in sovrabbondanza. Questa è ovviamente una caratteristica importante, fondamentale. Ma accanto a questo è importante che le mamme abbiano delle caratteristiche anamnestiche, cioè una storia che le renda "arruolabili", quindi che non abbiano nella loro storia e nella loro attualità, comportamenti a rischio o che possano determinare un incremento del rischio di infezioni. Inoltre viene effettuata una valutazione tramite un questionario che serve esattamente a capire se queste siano delle donne adatte ad entrare nel processo di programma di donazione, e preliminarmente effettuiamo degli esami del sangue per escludere che ci siano delle condizioni infettive. Il processo successivo riguarda – naturalmente - l’analisi diretta sul latte, che ci consente di fornire un prodotto che abbia il massimo standard di sicurezza. In un processo così complesso, in cui c’è una componente industriale e anche di tipo sanitario, l’elemento centrale in realtà restano le nostre mamme donatrici che mettono in gioco, a disposizione di altri neonati una parte del latte che sarebbe destinato ai loro neonati. Queste sono il motore, il cuore pulsante di ogni banca del latte e vanno ringraziate in ogni momento.

    D. - Ai loro bambini ovviamente non vien tolto nulla …

    R. - Nel modo più assoluto! I loro bambini continuano a ricevere la quantità di latte che a loro è indispensabile e necessaria. Le mamme molto spesso descrivono con tale gratificazione il riuscire ad entrare in un programma di questo genere, di cui conoscono esattamente gli obbiettivi. Probabilmente questo processo può avere un effetto positivo anche sulla quantità e sulla qualità del latte prodotto per i propri neonati.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    America latina: le morti dei bambini poveri 5 volte superiore rispetto al resto del mondo

    ◊   Nonostante il calo del tasso di mortalità materno infantile, in America latina continuano a sussistere gravi disuguaglianze per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari di donne e bambini a causa della povertà. Secondo quanto riferito dalla Banca Mondiale, delegazioni di 30 Paesi, agenzie internazionali e la società civile, si sono recentemente incontrate a Panama per rinnovare il loro impegno a favore della salute materno-infantile e, tra gli argomenti principali, hanno affrontato quello di come evitare che i bambini latinoamericani muoiono precocemente. L’accordo proposto dall’Unicef è stato firmato da 165 Paesi, 32 dei quali si trovano in America Latina. ‘Una promessa rinnovata’, questa l’iniziativa promossa lo scorso mese di giugno, ha come obiettivo l’eliminazione delle morti infantili evitabili oltre che la garanzia di fare nascere i piccoli in buona salute, ridurre la mortalità a livello mondiale da 57 ogni 1000 nati vivi nel 2010 a 20 ogni 1000 entro il 2035. In America Latina e nei Caraibi il livello socioeconomico dei genitori continua ad avere un grande impatto sul futuro dei figli. Nonostante il calo di quasi la metà delle morti registrate negli ultimi anni, i piccoli di famiglie con scarso reddito finanziario hanno 5 probabilità in più di morire prima che abbiano compiuto il quinto anno di età. La maggior parte di queste morti sarebbero evitabili. In Argentina, dal 2004, oltre due milioni di mamme e bambini stanno beneficiando del Plan Nacer, programma sanitario che offre servizi medici basilari a mamme incinte e bambini privi di copertura sanitaria. In Perù, il programma Qali Warma è concentrato sull’alimentazione e, insieme al Banco Mondiale e al Programma Mondiale Alimentare delle Nazioni Unite, offrono pasti nutrienti ai bambini delle scuole primarie a partire dai 3 anni di età. Qali Warma cerca di migliorare l’ambiente educativo dove far crescere e sviluppare i piccoli. Tra gli altri obiettivi dell’incontro di Panama c’è il miglioramento dell’assistenza sanitaria materna. I primi 1000 giorni di vita di un essere umano sono tra i più importanti e le buone condizioni di salute materna sono fondamentali per eradicare le morti infantili evitabili. Negli ultimi 20 anni, il tasso di mortalità in America latina è diminuito del 40%. Tuttavia, nonostante questo, varia enormemente a seconda del gruppo etnico di appartenennza e delle condizioni sociali o economiche della donna. Le morti correlate con le gravidanze tra le donne indigene della regione sono 3 volte di più. In Nicaragua, ad esempio, questo fenomeno è stato affrontato mettendo cliniche materne per donne incinte nelle aree più remote del Paese. (R.P.)

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    Filippine: crisi di Zamboanga vicina alla soluzione, l’esercito avanza contro gli islamisti

    ◊   L’operazione in risposta alla rivolta della popolazione islamica di Zamboanga, nelle Filippine, sarebbe vicina alla conclusione, lo annunciano fonti militari che dichiarano che, oltre il 70% delle aree in cui erano scoppiati gli scontri, sono di nuovo sotto il controllo dell’esercito filippino e non si registrano più violenze. Questa mattina, riporta l’agenzia Misna, è stata anche annunciata la liberazione di circa 80 ostaggi che i ribelli avevano rapito per rallentare l’avanzata dell’esercito governativo e trattare una via d’uscita dalla regione, che però non è stata concessa. Tra gli ostaggi rilasciati, conferma l’amministratore apostolico mons. Crisologo Manongas, ci sono anche il padre e il nipote del sacerdote liberato dai ribelli nei giorni scorsi. La crisi ha portato, fino ad ora, a circa un centinaio di morti, la maggior parte dei quali tra i guerriglieri, decine di feriti e migliaia di sfollati. La situazione, sebbene vicina ad una stabilizzazione, resta incerta e sviluppi imprevedibili sono ancora tra le possibilità messe in conto dai militari che stanno operando per evitare al massimo le perdite tra i civili, mentre due bombe sono state fatte esplodere dai ribelli in due cinema nella città di Davao. Intanto si cominciano già a valutare i danni dell'operazione militare che oltre alle vittime, spiega a Fides il padre missionario Angel Calvo, riguardano soprattutto la distruzione dell'intenso lavoro diplomatico portato avanti da Ong e missionari che da anni portano avanti un lento processo per il dialogo e la pacificazione tra le comunità cristiane e musulmane. Secondo padre Calvo il governo "non ha esplorato tutte le possibili vie diplomatiche" e l'intervento militare a Zamboanga è stato deciso in maniera "frettolosa". (D.P.)

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    Unicef: in Siria 4mila scuole danneggiate. Campagna per un milione di studenti

    ◊   In Siria sono quasi 4mila le scuole, 1 su 5, danneggiate, distrutte o usate come riparo per le famiglie sfollate. È quanto afferma l’Unicef che in occasione della riapertura dell’anno scolastico in Siria, il 15 settembre, sostiene la campagna “Back to Learning” per raggiungere un milione di bambini in età scolare colpiti dal conflitto. Nell‘ultimo anno scolastico, dichiara l’Unicef, quasi due milioni di bambini siriani tra i 6-15 anni hanno abbandonato la scuola a causa degli spostamenti e delle violenze. "La campagna punta ad aumentare l‘iscrizione dei bambini sfollati che non hanno potuto studiare, alcuni per il terzo anno consecutivo” afferma Youssouf Abdel - Jelil, Rappresentante Unicef in Siria. L'Unicef - riferisce l'agenzia Sir - sta distribuendo zaini scolastici con penne e quaderni per un milione di bambini in tutti e 14 i governatorati della Siria. Vengono forniti anche 5mila kit per l’insegnamento e per l’apprendimento, 3mila kit ricreativi e 800 kit di istruzione per la prima infanzia. Da quest‘anno, poi, l’Unicef avvierà un programma per raggiungere circa 400mila bambini colpiti dal conflitto che non possono frequentare la scuola. Questi saranno sostenuti attraverso un programma di auto-apprendimento a domicilio. Il programma si concentra su arabo, inglese, matematica e scienze. Fornisce libri di testo e formazione per insegnanti e genitori. (R.P.)

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    Mali: al via i colloqui tra i gruppi armati del nord del paese, nuova apertura alla pace

    ◊   I rappresentanti dei principali gruppi armati della regione dell’Azawad, al centro di scontri dal gennaio 2012 ad oggi, si sono incontrati tra loro, nella città di Bamako, per costituire un movimento unitario che possa dialogare in maniera efficace con il governo e portare alla pacificazione della regione. Al centro dei dibattiti, riporta l’agenzia Misna, la sicurezza, il buon governo, il decentramento regionale e lo sviluppo della regione. All’incontro erano presenti anche esponenti del governo e, dopo momenti di iniziale diffidenza, si è respirato un clima sereno e di collaborazione, per trovare temi da presentare al “dialogo nazionale” e alle “consultazioni sul Nord”, due appuntamenti promessi dall’attuale presidente malese Ibrahim Boubacar Keïta per risolvere diplomaticamente i conflitti nella regione. La situazione nella regione è però tutt’altro che risolta: continuano a combattere le tribù tuareg del sud della Mauritania che, riporta ancora l'agenzia Misna, hanno minacciato di “annientare l’esercito malese”. Nell’area è intervenuto il contingente francese nell’operazione, a cui partecipa anche l’Onu, denominata “Drago” che ha lo scopo di trovare i depositi di armi e i bunker dei miliziani locali. (D.P.)

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    Congo: a suor Angélique Namaika il premio Nansen per i rifugiati

    ◊   L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’Acnur, ha conferito a suor Angélique Namaika il premio Nansen per i rifugiati, riconoscendo il grande lavoro svolto dalla religiosa nella Repubblica Democratica del Congo a favore delle donne vittime delle violenze dei ribelli dell’Lra. Il responsabile dell’Acnur António Guterres, riporta l’agenzia Fides, ha definito la suora “Una vera eroina, dimostra che una persona da sola può cambiare le vite di famiglie lacerate dalla guerra”. Secondo il rapporto dell’Acnur oltre 320.000 persone sono state costrette a lasciare la zona orientale della Repubblica Democratica del Congo e “Il Centro per il reintegro e lo sviluppo di Dungu, animato da suor Angelica ha cambiato la vita di più di 2000 donne e ragazze che erano state costrette alla fuga e brutalizzate principalmente dall’LRA”. Suor Angélique ha dichiarato che grazie al premio “altre persone sfollate a Dungu potranno ricevere l’aiuto del quale necessitano. Non smetterò mai di fare tutto il possibile per ridare loro la speranza e offrire la possibilità di tornare a vivere”. La suora riceverà il premio il 30 settembre a Ginevra mentre il 2 ottobre sarà ricevuta da Papa Francesco.

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    Camerun: i vescovi invitano i politici ad assumersi le proprie responsabilità

    ◊   Sollecitano il senso “dell’etica e della responsabilità” dei politici e invitano gli elettori ad assumersi le loro responsabilità i vescovi del Camerun nella lettera pastorale diffusa in apertura della campagna elettorale. Il 30 settembre circa 5,5 milioni di aventi diritto saranno chiamati alle urne - riporta l'agenzia Misna - in 22.000 seggi per eleggere 180 deputati all’Assemblea nazionale e 10.500 consiglieri municipali in 360 comuni del paese. Nel testo a firma della Conferenza episcopale nazionale del Camerun (Cenc), i vescovi auspicano “elezioni giuste e trasparenti” che vedano rispettata “la scelta dei votanti”, mentre dall’organismo elettorale Elections Cameroon (Elecam) si aspettano “imparzialità affinché i risultati che usciranno dalle urne rispecchino la volontà del popolo sovrano”. Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici ai partiti – in tutto 1,7 miliardi di franchi cfa (circa 2,6 milioni di euro) – la Cenc lancia un appello a favore “dell’equità e della giustizia”, in un Paese dove la stragrande maggioranza della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Alla campagna elettorale, ufficialmente inaugurata ieri per concludersi il 29 settembre, partecipano 29 formazioni politiche in lizza per le legislative e 35 che concorrono per le comunali. Il partito del longevo presidente Paul Biya, al potere da 30 anni, il Raggruppamento democratico del popolo camerunese (Rdpc), è l’unico ad avere candidati in ogni circoscrizione elettorale. Da anni l’Rdpc mantiene saldamente il controllo delle principali istituzioni: nella legislatura uscente ha 153 seggi su 180 in parlamento e governa in 300 comuni su 360. All’opposizione le principali forze politiche sono l’Unione delle popolazioni africane (Upa), il Movimento cittadino (Moci) e il Movimento africano per la nuova indipendenza e la democrazia (Manidem). Per partecipare i candidati hanno pagato una cauzione di un milione di franchi cfa per le legislative e di 100.000 franchi cfa per le municipali. Il doppio appuntamento elettorale è stato convocato a sorpresa con un decreto firmato lo scorso luglio dal presidente Biya, dopo aver prorogato di tre mesi il mandato di deputati e sindaci. In realtà il voto di fine settembre era atteso da tempo: i mandati di parlamentari ed eletti locali sono scaduti un anno fa. Da settimane esponenti politici ma anche media ed osservatori denunciano un processo non consensuale e temono brogli a favore del partito presidenziale. Nei mesi scorsi il dibattito politico in Camerun si è focalizzato sull’elezione di un Senato, il primo nella storia del Paese, nel quale siedono maggioritari i senatori dell’Rdpc. Il presidente del Senato è Marcel Niat Njifenji, ingegnere originario della Regione occidentale e membro del partito di Biya, oggi seconda carica dello Stato e possibile delfino dell’ottantenne Presidente. (R.P.)

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    India: sciopero delle scuole cristiane contro il vandalismo verso un istituto

    ◊   Le scuole cristiane nello stato di Bengala occidentale, dove si trova Calcutta, resteranno chiuse il 19 settembre per protestare contro gli atti di vandalismo che hanno colpito una scuola cristiana nei pressi di Calcutta. Come riferito all'agenzia Fides dalla Chiesa locale, la decisione è stata presa in una riunione di emergenza dell'Associazione delle Scuole Cristiane, che raccoglie vari organismi ecclesiali, di diverse confessioni, che gestiscono istituzioni educative nello Stato. La “serrata” dichiarata dai cristiani – spiega una nota inviata a Fides – intende sensibilizzare e sollecitare le autorità civili a garantire alle scuole cristiane la normale attività didattica-educativa, di cui beneficiano allievi di diverse religioni e classi sociali. Il 12 settembre una folla ha attaccato la scuola superiore “Christ Church”, istituto femminile sorto 130 anni fa in un sobborgo di Calcutta, incolpando la preside per la morte di una ragazza, vittima di bullismo da parte di alcune studentesse anziane. La folla ha danneggiato la scuola, saccheggiando le aule, distruggendo computer e materiali didattici e costringendo la preside Helen Sarkar a scusarsi pubblicamente e presentare le sue dimissioni. Su pressioni degli estremisti, la polizia l’ha arrestata. La “Chiesa dell'India del Nord” (Cni), comunità cristiana Anglicana che gestisce la scuola, ha deciso di chiudere l’istituto a tempo indeterminato. Intanto genitori e studenti riuniti davanti ai cancelli chiusi per esprimere solidarietà verso lo staff della scuola e per protestare contro il vandalismo. L’Acs ha anche deciso di presentare la questione al governatore dello stato di Bengala occidentale, M.K. Narayanan, deplorando il modo in cui la polizia e le autorità civili hanno gestito il caso. (R.P.)

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    Nepal: leader di tutte le religioni contro i matrimoni tra bambini

    ◊   Leader religiosi indù, buddisti, cristiani e musulmani del Nepal lottano insieme per fermare i matrimoni tra bambini. Sfruttando la loro posizione "privilegiata" nella società - riferisce l'agenzia AsiaNews - alcune personalità hanno deciso di lanciare una campagna di sensibilizzazione per fermare tale pratica, ancora oggi molto diffusa nel Paese. I leader religiosi registreranno alcuni messaggi audio e video in cui denunceranno i matrimoni tra bambini. Questi spot verranno trasmetti su scala nazionale in radio e in televisione. Tale pratica trova ancora oggi molto spazio perché fatta dipendere da motivi culturali e religiosi. In Nepal la fede più diffusa è l'induismo, che per tradizione ammette i matrimoni tra minorenni. Per questo motivo, i sostenitori di questa campagna hanno apprezzato la partecipazione di leader indù. "La religione - spiega ad AsiaNews Ram Chandra Bhandari, personalità induista - vuole sempre il meglio per la società. Quando si mescola con la cultura, le tradizioni e la civiltà può creare un mix pericoloso e diffondere distorsioni come il matrimonio tra bambini, ma l'induismo non può giustificarle". (R.P.)

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    Iraq. Elezioni nel Kurdistan iracheno: appello del patriarca Sako ai politici cristiani

    ◊   Nell'imminenza delle elezioni legislative per la regione del Kurdistan iracheno – fissate per sabato 21 settembre – il patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I Sako ha rivolto un appello ai candidati di fede cristiana a impegnarsi per “migliorare le nostre città e i nostri villaggi in termini di alloggi, servizi e infrastrutture, creando posti di lavoro in modo che i cristiani non emigrino”. Nel messaggio, pervenuto all'agenzia Fides, il patriarca invita tutti a lavorare per una affermazione piena dei diritti legati alla cittadinanza. In vista delle elezioni politiche nazionali, in programma nel 2014, il patriarca Sako suggerisce anche di creare un “Consiglio politico cristiano” che coordini con una carta d'intenti e proposte le iniziative dei battezzati coinvolti nell'attività politica a livello individuale o attraverso formazioni politiche espresse dalle diverse comunità ecclesiali. Il contributo dei cristiani alla coesione nazionale messa in crisi dai conflitti settari – spiega il patriarca Sako – sarebbe certo favorito da un aumento del numero dei deputati cristiani eletti nei diversi Partiti, oltre la quota di seggi riservati per legge a politici appartenenti alle diverse minoranze religiose. Sono 2.803.000 gli iracheni chiamati alle urne per eleggere 111 rappresentanti nella quarta legislatura regionale del Kurdistan iracheno. Il risultato del voto non appare scontato. La spaccatura tra i due partiti principali, il Partito Democratico Curdo (Kdp) e l’Unione Patriottica del Kurdistan (Puk) potrebbe favorire i partiti islamici finora all'opposizione. (R.P.)

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    Colombia. Vescovo di Sincelajo: formare i cittadini per vivere nella pace

    ◊   Il vescovo della diocesi colombiana di Sincelejo, mons. Nel Beltran Santamaria, ha parlato, in occasione del Mese per la Pace, di una partecipazione responsabile del popolo per la lotta per la pace e per una gestione della pace. Il presule, riporta l’agenzia Fides, ha dichiarato: “Se in Colombia si vuole la pace, si deve formare un cittadino consapevole di avere diritto alla pace. Ma è necessaria anche una popolazione che abbia il diritto di protestare, senza violenza, e che abbia anche il diritto di chiedere risposte”, riferendosi alle proteste dei contadini che hanno paralizzato il Paese nelle ultime settimane e alle violenze dei gruppi armati ribelli. Il vescovo, ha poi continuato dicendo: "La popolazione non deve comportarsi come i vulcani che esplodono, ma portare avanti proteste permanenti. Non serve poi protestare contro coloro che abbiamo scelto, se li abbiamo scelti in modo sbagliato, dobbiamo pensare a come far sentire ai governanti ciò che pensiamo e le divergenze che abbiamo, in modo democratico". Le celebrazioni per il Mese della Pace sono iniziate i primi giorni di settembre con varie iniziative che hanno coinvolto l'intero Paese e finiranno il 25 settembre. (D.P.)

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    Sabra e Shatila: ancora un anniversario senza giustizia

    ◊   “A 31 anni da questo terribile episodio, ancora non è fatta giustizia per le vittime e i loro cari”: con queste parole Saeb Erekat, capo negoziatore e esponente di spicco dell’Olp ricorda l’anniversario dei massacri di Sabra e Shatila, circa 3000 tra uomini, donne e bambini uccisi durante 40 ore di violenza sciagurata nei campi profughi palestinesi alla periferia sud di Beirut nel settembre 1982. “Purtroppo, questo non è stato il primo o l’ultimo massacro nella storia del popolo palestinese. È nostra responsabilità e nostro diritto prendere tutte le misure per proteggere la nostra gente, scoraggiare tali crimini, e cercare responsabilità per i colpevoli sulla base della giustizia penale internazionale, che è dovere primario di ogni governo” ha detto Erekat, aggiungendo che “la soluzione al problema dei profughi è una pietra angolare di qualsiasi accordo nei negoziati di pace”. Il massacro - riferisce l'agenzia Misna - ebbe inizio alle 5 di pomeriggio del 16 settembre del 1982. Israele aveva invaso per la seconda volta in quattro anni il Libano in preda alla guerra civile dal 1975, nell’ambito dell’operazione Pace in Galilea. A quei tempi, la capitale libanese ospitava la sede dell’Olp guidata da Yasser Arafat. Il 14 settembre Bashir Gemayel, leader dei falangisti eletto Presidente della Repubblica libanese, fu ucciso in un attentato attribuito in seguito ai servizi segreti siriani. Il 16 settembre i miliziani falangisti penetrarono nei campi di Sabra e Shatila coadiuvati, come poi accerteranno diverse inchieste, dai militari israeliani dislocati a Beirut Ovest. L’operazione terminò soltanto due giorni dopo, il 18 settembre sera, provocando – secondo la Croce Rossa – circa 3000 vittime civili. Ariel Sharon, allora ministro della difesa di Israele, fu rimosso dall’incarico, ma nominato ministro senza portafoglio. Nel 2001 fu eletto primo ministro di Israele. Il cristiano maronita Elie Hobeika, all’epoca comandante delle milizie falangiste, è morto nel gennaio del 2002 in un misterioso attentato. Poco dopo avrebbe dovuto recarsi all’Aja dove avrebbe annunciato scottanti rivelazioni sul coinvolgimento di Sharon nella strage. Il falangista Samir Geagea è ancora oggi una delle figure di primo piano della politica libanese. I responsabili non furono mai giudicati da un tribunale internazionale. (R.P.)

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    Consiglieri giuridici dei vescovi europei: confronto su diritti umani e libertà religiosa

    ◊   A Strasburgo, dove ha sede il Consiglio d’Europa che si occupa, assieme alla Corte, della difesa dei diritti dell’uomo, “si è voluto approfondire, con gli esperti di giurisprudenza delle Conferenze episcopali, quali sono i fondamenti dei diritti dell’uomo”. “Ricordando che essi sono fondati sulla dignità della persona, si comprende anche la responsabilità di ognuno nel difendere i diritti e la dignità di tutti e di ciascuno”. È quanto emerge dal primo incontro dei consiglieri giuridici delle Conferenze episcopali, promosso dal Ccee e svoltosi nella città alsaziana dal 12 al 14 settembre. “Il lavoro del Consiglio d’Europa, in particolare nel campo giuridico, è stato - secondo una nota Ccee - al centro dell’incontro dei consiglieri giuridici”, i quali si erano dati appuntamento “per approfondire la loro conoscenza delle istituzioni europee, discutere e condividere insieme ad alcuni funzionari di Strasburgo la comune preoccupazione per il vero bene, spirituale, politico e sociale delle persone del continente”. Oltre trenta i delegati presenti, rappresentanti 22 Conferenze episcopali. La tre-giorni è stata realizzata anche grazie alla collaborazione della Missione permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, così da “permettere una maggiore conoscenza di questa istituzione e di altre, quale la Corte dei diritti dell’uomo, ad essa connessa”. A Strasburgo si è dunque registrato uno scambio di conoscenze e di esperienze che ha visto fra l’altro il contributo di rappresentanti della Comece, delle Missioni permanenti della Santa Sede presso il CdE e le Nazioni Unite, nonché del referente nazionale della Santa Sede per i crimini di guerra dettati dall’odio presso l’Osce. I partecipanti hanno incontrato l’arcivescovo locale, mons. Jean-Pierre Grallet, il responsabile della Direzione generale CdE per i diritti umani, Jan Kleijssen, giuristi delle ambasciate di alcuni Paesi membri CdE. Non di meno, nell’anno in cui si sono svolte in varie parti d’Europa celebrazioni per ricordare i 1700 anni dell’Editto di Milano, “un posto speciale nella riflessione di Strasburgo è stato dato anche al tema della libertà religiosa nelle sue varie sfaccettature: obiezione di coscienza, libertà di espressione, libertà all’educazione confessionale”. I partecipanti “hanno invitato il Consiglio d’Europa a farsi sempre più promotore della tutela della libertà religiosa”. Dal canto suo, la Chiesa ha ricordato di “essere sempre interessata a dialogare e collaborare quando si tratta della difesa dei diritti umani portando il suo contributo specifico, anche se alle volte deve andare contro corrente". (R.P.)

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    Spagna: le diocesi basche difendono l'insegnamento della religione nelle scuole

    ◊   “Non si può usare l’educazione religiosa come ostaggio al servizio delle strategie politiche, ed è inaccettabile che ogni volta che un partito politico arrivi al potere si cambi il piano educativo secondo la propria ideologia e senza un doveroso consenso sociale”. Questa dichiarazione è tratta dalla Lettera in difesa dell’insegnamento della religione firmata congiuntamente dai Delegati all’Insegnamento delle diocesi di San Sebantiàn, di Bilbao e di Vitoria come risposta all’articolo “Religione tra i banchi”, scritto dall’ex consigliere di educazione del governo basco, Isabel Celaá, contro le lezioni di religione nelle scuole pubbliche. Il documento respinge il parere dell’ex consigliera secondo la quale “i contenuti del programma di educazione religiosa non sono accademici, bensì una mera catechesi”. In tal senso, i delegati diocesani di educazione esprimono la loro perplessità perche è stato proprio il Consiglio di Educazione sotto il suo governo ad approvare e pubblicare il programma. “E’ palese che la materia di religione rifletta sul fatto religioso cristiano da una prospettiva confessionale, ma questo non vuole dire che sia una catechesi”, si legge nel testo, dove si spiega che “mentre la catechesi ha come finalità l’incontro con Dio nella fede, la lezione di religione approfondisce nella conoscenza e nei contenuti del fatto religioso e la sua influenza sociale”. Questa è la ragione per cui la materia di religione cattolica può essere frequentata da non credenti o membri di altre religioni come “di fatto, accade in non pochi casi”. Nonostante, nel documento si ammette che effettivamente le iscrizioni al corso di religione sono scese drasticamente dopo la decisione del Consiglio di Educazione del governo basco di collocare le lezioni fuori dall’orario scolastico ordinario. Anche se nel luglio del 2012 il Tribunale Supremo ha emesso una sentenza a favore dei richiami della Chiesa, “l’errore” ha “ferito a morte” la materia di religione che ha visto una caduta del numero di alunni, da un 24% a un 3%, negli ultimi cinque anni. I delegati diocesani di educazione rammentano che la Costituzione protegge l’educazione religiosa e morale d’accordo con le proprie convinzioni senza che lo “Stato laico vada oltre i limiti del suo doveroso servizio alla società civile facendo passare tutti sotto la stessa lente ideologica, monocolore - non esenta d’ideologizzazione -, quando la società è plurale”. In conclusione, i delegati diocesani per l'educazione di San Sebastian, Bilbao e Vitoria rimpiangono che proprio la materia che si vuole escludere dal sistema educativo sia quella “che contribuisce in maniera efficacie a una formazione che aiuta le persone a crescere, a comprendere la realtà e integrarsi nella società al servizio del bene comune". (A cura di Alina Tufani)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 260

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