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Sommario del 16/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco al clero romano: alla Chiesa serve conversione pastorale e coraggiosa creatività
  • I sacerdoti romani: toccati nel cuore dalle parole del Papa
  • Amore per il popolo e umiltà, virtù necessarie per chi governa: così il Papa a Santa Marta
  • Udienze e nomine
  • Il card. Sandri porta l'incoraggiamento del Papa ai cattolici del Kazakhstan
  • Corea del Sud. Messaggio del Papa per il 25.mo di ordinazione di venti sacerdoti
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Oggi all'Onu il rapporto sulle armi chimiche siriane
  • Iraq, il patriarca Sako: la violenza nel Paese legata alla crisi in Siria
  • Trionfo dei cristiano sociali in Baviera. Esulta Merkel in vista delle elezioni di domenica
  • Caritas Sardegna presenta i dati sulla povertà: numeri raddoppiati in due anni
  • Ad Assisi il 19 settembre il meeting sull’ecologia “Nostra Madre Terra”
  • Celebrazioni a Niš per il 1700.mo anniversario dell'Editto di Milano: intervista con l'ambasciatore serbo Mirko Jelic
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Medio Oriente: riunione dei vescovi latini del mondo arabo
  • Siria: i profughi di Maaloula celebrano l'Esaltazione della Croce e pregano per i loro martiri
  • Iraq: il patriarca caldeo Sako chiede al patriarca assiro Mar Dinkha IV di tornare alla piena unità
  • Cuba: i vescovi chiedono riforme democratiche
  • Disgelo in Corea: riparte Kaesong e a Pyongyang si suona l'inno del Sud
  • Filippine: a Zamboanga avanzano le truppe. Appello di pace dei vescovi
  • Rwanda: urne aperte. Tensione dopo le esplosioni nelle ultime ore
  • Riunione a Bruxelles: "nuovo patto" per la Somalia
  • Nigeria: i vescovi lodano la politica del governo contro Boko Haram
  • Centrafrica: i missionari raccontano di scene apocalittiche
  • Zanzibar: il Presidente dell’isola condanna l’aggressione di un sacerdote
  • Indonesia: a Sumatra in migliaia in fuga per l’eruzione del vulcano Sinabung
  • Sri Lanka: radicali buddisti singalesi attaccano una chiesa protestante
  • Bucarest: il patriarca Rai consacra l'altare della nuova chiesa dedicata a san Charbel
  • I cavalieri del Santo Sepolcro dopo 50 anni rinnoveranno il loro statuto
  • Premio “Sigilli dell’Amicizia 2013”: tra i vincitori giornalista della Radio Vaticana
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco al clero romano: alla Chiesa serve conversione pastorale e coraggiosa creatività

    ◊   Anche ora che sono Papa, mi sento un sacerdote. E’ uno dei passaggi chiave del dialogo che Papa Francesco ha avuto, stamani, con i sacerdoti della diocesi di Roma, la sua diocesi. Il Papa ha incontrato il clero romano nella Basilica di San Giovanni Laterano assieme al cardinale vicario Agostino Vallini. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Cos’è la fatica per un sacerdote, per un vescovo anche per il vescovo di Roma? Papa Francesco ha svolto il suo intervento introduttivo - nell’incontro con il clero romano -soffermandosi su questo interrogativo. Ed ha confidato che l’ispirazione gli è venuta dopo aver letto, nei giorni scorsi, una lettera che gli aveva scritto un sacerdote anziano che proprio gli parlava della fatica, “una fatica nel cuore”. C’è, ha detto il Papa, una “fatica del lavoro” e quella “la conosciamo tutti”. Arriviamo alla sera, “stanchi di lavorare e passiamo davanti al Tabernacolo” per salutare il Signore. Sempre, ha avvertito, bisogna passare dal Tabernacolo:

    “Quando un prete è in contatto con il suo popolo, si fatica. Quando un prete non è in contatto con il suo popolo, si fatica, ma male e per addormentarsi deve prendere una pastiglia, no? Invece, quello che è in contatto con il popolo, ché davvero il popolo ha tante esigenze, tante esigenze! – ma sono le esigenze di Dio, no?, quello fatica sul serio, eh?, e non sono necessarie le pastiglie”.

    C’è però una “fatica finale”, ha proseguito, che si vede “prima del tramonto della vita” dove “c’è la luce buia e il buio un po’ luminoso”. E’, ha osservato, “una fatica che viene nel momento in cui dovrebbe esserci il trionfo” e invece “viene questa fatica”. Questo, ha detto, succede quando “il prete si interroga sulla sua esistenza, guarda indietro” al cammino fatto e pensa alle rinunce, ai figli che non ha avuto e si chiede se ha sbagliato, se la sua vita “è fallita”. E’ proprio la “fatica del cuore” di cui il sacerdote scriveva nella lettera. Il Papa ha così citato la fatica di tante figure nella Bibbia, da Elia a Mosè, da Geremia fino a Giovanni Battista. Quest’ultimo, ha affermato, nel “buio del carcere” vive “il buio della sua anima”, e manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se è davvero Colui che stanno aspettando. Cosa può fare dunque un sacerdote che viva l’esperienza del Battista: pregare, “fino ad addormentarsi davanti al Tabernacolo, ma stare lì”. E poi “cercare la vicinanza con gli altri preti” e soprattutto con i vescovi:

    “Noi vescovi dobbiamo essere vicini ai preti, dobbiamo fare la carità al prossimo, e i più prossimi sono i preti. I più prossimi del vescovo sono i preti. [applausi] Vale anche al contrario, eh? [ridono, applausi]: il più prossimo dei preti dev’essere il vescovo: il più prossimo. La carità al prossimo, il più prossimo è il mio vescovo. Il vescovo dice: i più prossimi sono i miei preti. E’ bello questo scambio, no? Questo credo che sia il momento più importante di vicinanza, tra vescovo e preti: questo momento senza parole, perché non ci sono parole per questa fatica”.

    E’, quindi, iniziato il dialogo con i sacerdoti della sua diocesi di Roma, ai quali il Papa ha detto di sentirsi liberi di chiedere qualunque cosa. Rispondendo alla prima domanda, Papa Francesco ha detto che, nel servizio pastorale, non bisogna “confondere la creatività con fare qualcosa di nuovo”. La creatività, ha detto, è “cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato” e questo “non è facile”. Creatività, ha ribadito, “non è soltanto cambiare le cose”. E’ un’altra cosa, “viene dallo Spirito e si fa con la preghiera e si fa parlando con i fedeli, con la gente”. Il Papa ha quindi rammentato un’esperienza vissuta quando era arcivescovo di Buenos Aires. Con un sacerdote, ha detto, si cercava di capire come poter rendere la sua chiesa più accogliente:

    “Ah, se passa tanta gente, forse sarebbe bello che la chiesa fosse aperta tutta la giornata … Bella idea! Anche sarebbe bello che ci fosse sempre un confessore a disposizione, lì … Bella idea! E così è andato”.

    Questa, ha detto, è una coraggiosa creatività. Anche sui corsi pre-battesimali, ha aggiunto, bisogna superare l’ostacolo dei papà e delle mamme che lavorano tutta la settimana e la domenica vorrebbe riposarsi. E allora bisogna “cercare strade nuove” come una “missione nel quartiere” promossa dai laici. E questa è “la conversione pastorale”. La Chiesa, “anche il Codice di diritto canonico – ha soggiunto – ci dà tante, tante possibilità, tanta libertà per cercare queste cose”. Bisogna, ha ribadito, “cercare i momenti di accoglienza, quando i fedeli devono andare in parrocchia per una cosa o un’altra”. E ha criticato severamente chi, in una parrocchia, è più preoccupato a chiedere soldi per un certificato che al Sacramento e così “allontana la gente”. Serve, invece, l’“accoglienza cordiale”: “che quello che viene in chiesa si senta a casa sua. Si senta bene. Che non senta che è sfruttato”.

    “Un prete, una volta – non della mia diocesi, di un’altra diocesi – mi diceva: ‘Ma, io non faccio pagare niente, neppure le intenzioni delle Messe. Ho lì una scatola, e loro lasciano lì quello che vogliono. Ma, Padre: ho quasi il doppio di quello che avevo prima! Perché la gente è generosa, e Dio benedice queste cose’.

    Se, invece, “la gente vede che c’è un interesse economico” allora “si allontana”. Il Papa ha quindi risposto a chi gli domandava come si definisse ora visto che, da arcivescovo di Buenos Aires, amava definirsi semplicemente come “sacerdote”:

    “Ma, io mi sento prete, davvero. Io mi sento prete, sacerdote, davvero, vescovo … Mi sento così, no? E ringrazio il Signore per questo. [applausi] Avrei paura di sentirmi un po’ più importante, no?, quello sì: ho paura di quello, perché il diavolo è furbo, eh?, è furbo, e ti fa sentire che adesso tu hai potere, che tu puoi fare quello, che tu puoi fare quell’altro … ma sempre ci gira, ci gira, come un leone – così dice San Pietro, no? Ma grazie a Dio, quello non lo ho perso, ancora, no? E se voi vedete che una volta l’ho perso, per favore, ditemelo, ditemelo, e se non potete dirlo privatamente, ditelo pubblicamente, ma ditelo: ‘Guarda, convertiti!’, perché è chiaro, no? [applausi]

    Si è poi soffermato sui preti “misericordiosi”. Un prete innamorato, ha detto, deve sempre fare memoria del primo amore, di Gesù, “tornare a quella fedeltà che rimane sempre e ci aspetta”. Per me, questo “è il punto-chiave di un prete innamorato: che abbia la capacità di tornare con la memoria al primo amore”. E ha aggiunto: “Una Chiesa che perde la memoria, è una Chiesa elettronica: non ha vita”. Quindi, ha detto che bisogna guardarsi dai preti rigoristi e lassisti. Il prete misericordioso, ha affermato, è quello che dice la verità, ma aggiunge: “Non spaventarti, il Dio buono ci aspetta. Andiamo insieme”. Questo, ha soggiunto, “dobbiamo averlo sempre sotto gli occhi: accompagnare. Essere compagni di strada”. La conversione “sempre si fa così – ha detto – in strada, non in laboratorio”.

    “La verità di Dio è questa verità, diciamo così dogmatica, per dire una parola, o morale, ma accompagnata dall’amore e dalla pazienza di Dio. Sempre così”.

    E ancora, ha detto, nella Chiesa ci sono certo gli scandali ma anche tanta santità e questa è più grande. E c’è anche, ha proseguito, la “santità quotidiana”, nascosta, “quella santità di tante mamme e di tante donne, di tanti uomini che lavorano tutto il giorno per la famiglia”. Parole corredate da un’incoraggiante convinzione:

    “Io oso dire che la Chiesa mai è stata tanto bene come oggi. La Chiesa non crolla: sono sicuro, sono sicuro!”

    Il Papa è, quindi, tornato sul tema delle periferie esistenziali, ribadendo le sue parole sui “conventi vuoti” e la generosità verso i bisognosi. Si è infine soffermato sul tema della famiglia, e in particolare sulla delicata questione della nullità dei matrimoni e sulle seconde unioni. Un problema, ha rammentato, che Benedetto XVI “aveva a cuore”. “Il problema – ha detto – non si può ridurre soltanto” se si possa “fare la comunione o no, perché chi pone il problema soltanto in quei termini non capisce qual è il vero problema”. E’ un “problema grave”, ha aggiunto, “di responsabilità della Chiesa nei riguardi delle famiglie che vivono in questa situazione”. La Chiesa, ha affermato ancora, “in questo momento deve fare qualcosa per risolvere i problemi delle nullità” matrimoniali. Un tema - ha detto, riprendendo quanto già accennato nella conferenza stampa in aereo rientrando da Rio de Janeiro - di cui parlerà con il gruppo degli otto cardinali che si riuniscono i primi giorni di ottobre in Vaticano. E ancora, ha aggiunto Papa Francesco, se ne parlerà nel prossimo Sinodo dei vescovi sul "rapporto antropologico" del Vangelo con la persona e la famiglia, in modo che “sinodalmente si studi questo problema. “Questa - ha detto - è una vera periferia esistenziale”. Infine, in un clima di grande cordialità, Papa Francesco ha ricordato che il prossimo 21 settembre ricorre il 60.mo anniversario della sua vocazione al sacerdozio.

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    I sacerdoti romani: toccati nel cuore dalle parole del Papa

    ◊   I sacerdoti della diocesi di Roma hanno accolto con grande emozione e commozione le parole di Papa Francesco, che li ha esortati ha svolgere il loro ministero con coraggiosa creatività. Queste alcune testimonianze raccolte da Amedeo Lomonaco:

    R. - (Padre Julián Ballesta) Sono un prete della diocesi di Roma, missionario in Ecuador; sono di Murcia, Spagna. Il Papa è stato bravissimo, un uomo di cuore, che ama i preti, che ama la gente, che ama il popolo. Stupendo! Ci ha detto delle parole che ci hanno commosso. Ci ha invitato a non essere né di maniche corte né di maniche lunghe. Quindi non con la rigidità di dire “Tu sei nel peccato. Fuori!”; ma neanche dire “Va bene, puoi vivere così…”. No! Accompagnare la gente, dirle dell’amore e della misericordia di Dio, accompagnarla pian piano a uscire anche dal peccato; pian piano, con misericordia e con pazienza.

    D. - Cosa ha detto il Santo Padre e quali parole ha rivolto al clero della diocesi di Roma?

    R. - (Don Alfio Tirrò, parrocchia San Pio da Pietrelcina). L’insegnamento più bello è che la fatica c’è sempre, ma guardando all’esempio del Signore quella fatica è anche un po’ la prova dell’autenticità del nostro amore per il Signore. Quindi ci ha detto: “Coraggio!”.

    R. - (Don Pablo). Ha rivolto parole come quelle che può rivolgere un sacerdote ad un altro sacerdote, anche se è un vescovo, è il Santo Padre. Ha fatto riferimento ad una lettera che gli aveva scritto un sacerdote della diocesi, nella quale si parlava delle fatiche. Ha detto che nella preghiera e nella comunione con gli altri presbiteri, troviamo tanto sollievo a questa fatica. E poi ha risposto ad altre domande che hanno fatto alcuni sacerdoti, domande che riguardavano problemi pastorali, come i divorziati, i conviventi… Problemi legati alla famiglia. E il Papa ha detto che ci sta lavorando, che ci sta lavorando la Chiesa e che vuole trovare una risposta anche a queste situazioni che caratterizzano la nostra società.

    R. - (Padre Dario). Ha rivolto, come sempre, parole grandiose. Il fatto di avere una “coraggiosa creatività”, di essere creativi; una creatività che comunque sa in che confida: nella forza del Signore e dello Spirito Santo. Poi ha ribadito tantissimo, la priorità per tutte le parrocchie dell’accoglienza, un’accoglienza cordiale. La parrocchia non deve essere una dogana, la “dogana pastorale”, dove si chiede questo o quell’altro… Ai sacerdoti ha detto di fare memoria del primo amore, perché il primo amore non si scorda mai! L’introduzione è stata molto bella, perché ha parlato della fatica, la “peculiare fatica del cuore”.

    D. - A proposito di fatiche, Papa Francesco - proprio per prepararvi a questo incontro - vi ha inviato una lettera che aveva rivolto nel 2008 ai sacerdoti della diocesi di Buenos Aires. E lì ricordava, tra le varie cose, l’importanza di non essere burocrati, di non essere funzionari, ma pastori del popolo. C’è questo rischio oggi, per un sacerdote, di essere un semplice burocrate e purtroppo, per vari motivi, dimenticare invece la parte fondamentale del pastore?

    R. - Il rischio è presente, ma bisogna anche aver presente il fatto che uno è stato scelto dal Signore. Si deve tenere presente il fatto di essere pastore e non un burocrate, cioè porre l’attenzione veramente alle persone, a chi si ha di fronte.

    D. - Quale eredità avranno nello specifico queste parole nella sua vita parrocchiale? Nella sua comunità come cercherà di tradurle e concretizzarle?

    R. - E’ chiaro che sono parole che toccano il cuore, come la Parola di Dio che tocca nel cuore! E quanto uno è toccato nel cuore è chiamato, è chiamato a convertire, è chiamato a cambiare, a cambiarsi.

    D. - E’ un amore, quello di Gesù, che rinnova, che rinnova il cuore e la comunità…

    R. - Sempre! Perché? Non lo so… Uno potrebbe parlare della Parola di Dio di ieri, che è stata domenica… Ma questo capita nella vita. Capita nella vita di ogni giorno. Quando una persona ti parla al cuore, quella persona non la dimentichi mai.

    R. - (Padre Germano, parrocchia di Gesù Divino Salvatore). Il Santo Padre ha parlato della necessità di metterci sempre a confronto con le idee del mondo, con le realtà e con le povertà, perché è così che la Chiesa anche vive. Se rimane chiusa, si può anche ammalare! Ha detto anche che la Chiesa non crolla: è vero che ci sono dei problemi, però la Chiesa è viva, proprio perché è Santa, perché lo Spirito Santo è sempre presente, perché esiste la santità tra i fedeli. Quindi non aver paura, non essere pessimisti. Poi ha parlato della necessità di una pastorale riguardante le famiglie. Si vede che questa è una preoccupazione del Santo Padre.

    D. - Quindi temi cruciali, legati anche al discorso dei divorziati… Sono stati toccati temi di questo tipo?

    R. - Sì, sì! Ha detto che la Chiesa farà un incontro tra i vescovi proprio per riflettere su questa realtà dei divorziati. Ha parlato anche della necessità che la Chiesa sia più vicina a queste persone. Ha detto che il problema non è soltanto quello di dare o non dare la Comunione, ma anche il lavoro della Chiesa: fino a che punto la Chiesa dovrà impegnarsi per la cura di queste persone. La verità c’è. C’è la verità morale, ma c’è da parte di Dio la pazienza e la misericordia.

    D. - Una verità unita alla misericordia…

    R. - Sì, si! Altrimenti non sarebbe la verità del Signore.

    D. - Cosa ha detto il Santo Padre? Quali parole vi ha rivolto?

    R. - (Padre Lorenzo Rossetti). E’ stato un incontro bellissimo, perché il Papa ha cominciato con una meditazione sulla fatica. Ma ci ha incoraggiato molto, anche facendo una lectio biblica… Riparto veramente rinfrancato da questo incontro, perché ci ha confortato, consolato e invitato a continuare a seminare Gesù nel cuore delle persone.

    D. - Fra le altre cose, anche a fare memoria del vostro primo amore, a rinnovare questo amore…

    R. - Molto bello anche questo! Non avevo mai sentito questa espressione. E lì, il mio pensiero è andato ai miei memoriali, che mi hanno poi portato ad entrare in seminario, a cogliere la vocazione. Il Papa stesso ha ricordato la sua esperienza e quindi alla fine ci ha proprio invitato a pregare per lui il 21 settembre, che è una data importante nella sua vita, nella quale lui stesso ha ricevuto questa vocazione e questa esperienza della misericordia di Dio, che ti sceglie, che ti chiama a essere il testimone di qualcuno che ti ama così come sei!

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    Amore per il popolo e umiltà, virtù necessarie per chi governa: così il Papa a Santa Marta

    ◊   Umiltà e amore sono caratteristiche indispensabili per chi governa, mentre i cittadini, soprattutto se cattolici, non possono disinteressarsi della politica: è quanto ha detto Papa Francesco stamani durante la Messa a Santa Marta, invitando anche a pregare per le autorità. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il Vangelo del centurione che chiede con umiltà e fiducia la guarigione del servo e la lettera di San Paolo a Timoteo con l’invito a pregare per i governanti, hanno dato lo spunto al Papa per “riflettere sul servizio dell’autorità”. Chi governa – afferma Papa Francesco – “deve amare il suo popolo”, perché “un governante che non ama, non può governare: al massimo potrà disciplinare, mettere un po’ di ordine, ma non governare”. Il Papa pensa a Davide, “a come amava il suo popolo”, tanto che dopo il peccato del censimento dice al Signore di non punire il popolo ma lui. Così, “le due virtù di un governante” sono l’amore per il popolo e l’umiltà:

    “Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà! E ogni uomo, ogni donna che deve prendere possesso di un servizio di governo, deve farsi queste due domande: ‘Io amo il mio popolo, per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?’. Se non si fa queste domande il suo governo non sarà buono. Il governante, uomo o donna, che ama il suo popolo è un uomo o una donna umile”.

    D’altra parte, San Paolo esorta i governati ad elevare preghiere “per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla”. I cittadini non possono disinteressarsi della politica:

    “Nessuno di noi può dire: ‘Ma io non c’entro in questo, loro governano…'. No, no, io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso’. La politica - dice la Dottrina Sociale della Chiesa - è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmi le mani, eh? Tutti dobbiamo dare qualcosa!”.

    C’è l’abitudine – osserva il Papa – di dire solo male dei governanti e fare chiacchiere sulle “cose che non vanno bene”: “e tu senti il servizio della Tv e bastonano, bastonano; tu leggi il giornale e bastonano …. sempre il male, sempre contro!”. Forse – ha proseguito – “il governante, sì, è un peccatore, come Davide lo era, ma io devo collaborare con la mia opinione, con la mia parola, anche con la mia correzione” perché tutti “dobbiamo partecipare al bene comune!”. E se “tante volte abbiamo sentito: ‘un buon cattolico non si immischia in politica’ – ha sottolineato - questo non è vero, quella non è una buona strada”:

    “Un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare. Ma qual è la cosa migliore che noi possiamo offrire ai governanti? La preghiera! E’ quello che Paolo dice: ‘Preghiera per tutti gli uomini e per il re e per tutti quelli che stanno al potere’. ‘Ma, Padre, quella è una cattiva persona, deve andare all’inferno…’. ‘Prega per lui, prega per lei, perché possa governare bene, perché ami il suo popolo, perché serva il suo popolo, perché sia umile!’. Un cristiano che non prega per i governanti, non è un buon cristiano! ‘Ma, Padre, come pregherò per questo? Questa è una persona che non va...’. ‘Prega perché si converta!’. Ma pregare. E questo non lo dico io, lo dice San Paolo, la Parola di Dio”.

    Dunque – conclude il Papa – “diamo il meglio di noi, idee, suggerimenti, il meglio, ma soprattutto il meglio è la preghiera. Preghiamo per i governanti, perché ci governino bene, perché portino la nostra patria, la nostra nazione avanti e anche il mondo, che ci sia la pace e il bene comune”.

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    Udienze e nomine

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

    Il Santo Padre ha annoverato tra i relatori della Congregazione delle Cause dei Santi mons. Paul Pallath, finora capo ufficio dell’Ufficio per la trattazione delle cause di dispensa del Matrimonio rato e non consumato e di dichiarazione di nullità della Sacra Ordinazione presso il Tribunale della Rota Romana.

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    Il card. Sandri porta l'incoraggiamento del Papa ai cattolici del Kazakhstan

    ◊   Prosegue la visita in Kazakhstan del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, che ha portato il saluto e l’incoraggiamento di Papa Francesco alla piccola comunità cattolica del Paese. Un viaggio iniziato il 13 settembre scorso e che si concluderà domani. Ascoltiamo il porporato al microfono di Sergio Centofanti:

    R. - C’è stato anzitutto un incontro con i greco-cattolici, cioè di rito orientale, che stanno qui in Kazakhstan. Ho inaugurato e consacrato la nuova chiesa, dedicata a San Giuseppe, ad Astana. Oggi ho avuto l’incontro qui a Karaganda - dove mi trovo - con tutta la comunità, che è più numerosa qui che ad Astana. Quindi la principale ragione del mio viaggio è stato l’incontro con la comunità greco-cattolica. C’è stato poi un incontro molto bello con la comunità latina nella cattedrale cattolica di Astana e oggi ho visitato la nuova cattedrale latina di Karaganda e sono stato qui con i sacerdoti e con il vescovo. Inoltre c’è stato un bell’incontro nella moschea di Astana con l’Imam di Astana ed ho anche visitato la cattedrale dell’arcivescovo ortodosso russo di Astana. L’arcivescovo non c’era, mi ha ricevuto l’archimandrita e ho potuto avere con loro non solo la visita alla cattedrale, ma anche un incontro fraterno.

    D. - Qual è la situazione della piccola comunità cattolica, i rapporti con la maggioranza musulmana e le questioni relative anche alla libertà religiosa?

    R. - Direi che - grazie a Dio! - il Kazakhstan è un Paese dove c’è la possibilità di una vita religiosa basata sulla libertà religiosa, sull’esercizio della libertà religiosa, sul dialogo, sul rispetto mutuo e quindi anche la piccola comunità cattolica contribuisce - nel suo piccolo - a questo spirito di concordia e di intesa che esiste tra tutte le componenti religiose che operano qui e in particolare con l’islam che è maggioritario, così come anche con la Chiesa ortodossa. Grazie a Dio, le leggi permettono l’esercizio della libertà religiosa. C’è un ambiente generale di pace e di comunione tra tutti.

    D. - Quale il messaggio di Papa Francesco a questa comunità?

    R. - Il Papa mi ha incaricato di portare il suo saluto, la sua vicinanza, la sua benedizione e soprattutto noi ci siamo uniti al Papa, in tutti questi incontri, nella sua preghiera per la pace nel mondo e in particolare per la pace in Siria. In tutte le celebrazioni si è avuta questa intenzione. Ho potuto portare a tutti anche questo messaggio di pace, di rinnovamento evangelico, di ritorno alla semplicità del Vangelo. Il Papa ha voluto donare alla comunità greco-cattolica, per la nuova parrocchia, un calice che ho consegnato come segno del suo amore e del suo affetto.

    D. - Quindi avete pregato anche per la pace in Siria: dopo l’accordo Stati Uniti-Russia sulle armi chimiche c’è più speranza?

    R. - Tutti, tutti siamo veramente pieni di speranza e speriamo che anche il gesto del Papa, il digiuno e la veglia di preghiera abbiano contribuito ad illuminare e a muovere il cuore di quelli che devono prendere delle decisioni, sia di una che dell’altra parte, affinché sia preservata la pace, affinché siano evitate le violenze, le vittime, soprattutto fra coloro che sono più deboli in questo drammatico scontro che sta avendo luogo in Siria.

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    Corea del Sud. Messaggio del Papa per il 25.mo di ordinazione di venti sacerdoti

    ◊   Era il 16 settembre del 1846 quando il primo sacerdote coreano venne martirizzato. Si chiamava Andrea Kim Dae-gun ed era uno dei 103 martiri coreani canonizzati il 6 maggio 1984 da Giovanni Paolo II nella cattedrale di Seoul. “Dovremmo seguire l’esempio di S. Andrea Kim e ricordare che Gesù ci ha insegnato ad essere al servizio del mondo” ha detto mons. Yeom Soo-jung, arcivescovo della capitale sudcoreana, che ha scelto proprio la data del martirio di S. Andrea Kim per la cerimonia del 25.mo di sacerdozio di venti presbiteri. La Messa si è svolta nella cattedrale di Myeong-dong alla presenza del card. Cheong Jin-suk e del nunzio apostolico Osvaldo Padilla. L’arcivescovo ha voluto presentare ciascun sacerdote con una stola diversa, quale segno di gratitudine e di incoraggiamento per coloro che hanno seguito le orme di Cristo per cinque lustri. La dedica è andata ai religiosi che ogni anno celebrano il loro 50.mo e 60.mo di ordinazione. Tenuto conto del forte incremento di vocazioni, dal 2010, si è scelto di celebrare Messe per commemorare i 25 anni di servizio alla Chiesa dei suoi pastori. Si tratta di una opportunità per i sacerdoti che operano in diverse regioni e diversi ambiti pastorali di incontrarsi e di testimoniare la loro vocazione. L’Arcidiocesi di Seoul ha fatto sapere che per l’occasione il Santo Padre ha inviato un messaggio, a firma del card. Bertone, indirizzato a mons. Yeom Soo-jung e a tutti i sacerdoti che hanno celebrato il 25.mo. Nella missiva, Papa Francesco ha incoraggiato i presbiteri a crescere ogni giorno di più nella gioia e nella generosità del servizio a Cristo e alla sua Chiesa e li ha esortati a vedere in questa celebrazione un’occasione per rinnovare e potenziare i loro impegni. (A cura di Davide Dionisi)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Con il sostegno della misericordia: il vescovo di Roma ha dialogato a lungo con i suoi preti nella basilica di San Giovanni in Laterano.

    La forza che salva il mondo: all'Angelus il Papa commenta le tre parabole della misericordia.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la Siria: al Consiglio di Sicurezza dell'Onu il rapporto sulle armi chimiche.

    Quella mano tesa mentre il male trionfava: in cultura, un documento inedito del medico e scrittore ebreo Saul Israel su Pio XII e il suo aiuto agli ebrei durante la persecuzione nazista.

    Rivivono i sogni di Verne: Roberto Genovesi su una nuova serie a cartoni animati per raccontare gli infiniti mondi immaginati dallo scrittore francese, con un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "Ma il cinema ha sempre faticato a reggere il suo passo".

    Non solo samba e bossanova: Giuseppe Fiorentino sul "Festival Brasil!" all'Auditorium Parco della musica di Roma.

    Con coraggio per non deludere la speranza dei cubani: i vescovi auspicano maggiore dialogo sociale e riforme politiche più ampie.

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    Oggi in Primo Piano



    Oggi all'Onu il rapporto sulle armi chimiche siriane

    ◊   E’ il giorno del rapporto Onu sull’utilizzo di armi chimiche in Siria. Gli ispettori del Palazzo di Vetro consegneranno, infatti, in giornata il loro resoconto al Consiglio di Sicurezza. L’Organo delle Nazioni Unite, dopo mille divisioni, sembra ricompattarsi intorno al piano siglato da Russia e Stati Uniti. E intanto Damasco si dice pronta ad applicare le direttive delle Nazioni unite e plaude all'accordo Usa-Russia come ad una propria vittoria, mentre Mosca - secondo i media russi - è pronta a partecipare alle spese per lo smantellamento dell'arsenale chimico ma non nel proprio territorio. Come definire questa identità di vedute in sede Onu? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Luigi Bonanate, docente di Relazioni Internazionali presso l’Università di Torino:

    R. - Si tratta di un’identità ritrovata al più basso dei livelli possibili. Oggi stare a discutere ancora di quale sia lo status dei gas in Siria, è una situazione grottesca! Credo che si configuri, in questo modo, una straordinaria vittoria diplomatica della Russia di fronte ad un’assoluta incapacità statunitense di gestire questa vicenda.

    D. - C’è chi sostiene che dietro questa unione ci siano grossi interessi delle potenze rappresentate in Consiglio di sicurezza. E’ davvero così?

    R. - Le grandi potenze, posto che esistano ancora - io ho la sensazione che non esistano più! - hanno sempre naturalmente delle preferenze, degli interessi; si tratta in certi casi tra l’altro - non dimentichiamolo - di vendere armi o vendere consulenze: quindi tutto questo è vero, ma non c’è nulla di diverso da questo punto di vista. Abbiamo concentrato tutto sulla questione dei gas, dimenticandoci che in Siria si continua a combattere e a morire!

    D. - Il Consiglio di sicurezza Onu ha rischiato, a causa degli annunciati veti incrociati, così come in altri casi, di essere bypassato da un intervento internazionale in Siria guidato da Washington. Si può dire che, con questo accordo tra Stati Uniti e Russia, è stata salvata la reputazione diplomatica di questo organo?

    R. - No! L’Onu ha funzionato questa volta nel senso che l’accordo è stato trovato, rinunciando però a quello che la maggior parte dell’opinione politica occidentale riteneva fosse una cosa necessaria da fare e cioè l’intervento; vuoi per disarmare Assad, vuoi per far finire la guerra. Comunque l’Onu se l’è scampata, ma solo perché in fondo non servirà granché, perché poi non dimentichiamo che stiamo aspettando una lista di gas posseduti, non una soluzione del problema.

    D. - Tante volte l’Onu, anche ultimamente, è rimasto incagliato nel Consiglio di sicurezza, che poi è specchio di un equilibrio diplomatico frutto della II Guerra Mondiale e non più attuale. Non sarebbe il caso, dopo tutte queste difficoltà che si sono ripetute negli ultimi anni, di pensare ad una reale riforma delle Nazioni Unite?

    R. - E’ naturale. Ma di riforma delle Nazioni Unite, in realtà, se ne parla dal giorno dopo della sua costituzione. Non possiamo dimenticare che così com’è nata, l’Onu è ciò che gli Stati vogliono che essa sia. Chi parla all’Onu sono sempre e solo dei rappresentanti diplomatici formali degli Stati. E’ evidente che - e dunque le cose che abbiamo detto fino a un attimo fa - si riverberano nell’Assemblea o nel Consiglio di sicurezza nel senso che lì non può succedere nulla che non sia ciò che gli Stati più potenti, come dicevano, abbiano già voluto. Il problema non è la riforma dell’Onu, il problema è la riforma dei membri dell’Onu!

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    Iraq, il patriarca Sako: la violenza nel Paese legata alla crisi in Siria

    ◊   Non si ferma l’ondata di attentati in Iraq. Altre sette persone sono rimaste uccise oggi e 20 ferite in diverse azioni alla periferia di Baghdad, dopo che ieri almeno 17 esplosioni con autobomba avevano causato una cinquantina di vittime nella capitale e nella parte meridionale del Paese, in particolare nella città a maggioranza sciita di Hilla. Non sono al momento arrivate rivendicazioni agli attacchi, ma le violenze sembrano inquadrarsi nelle sanguinose tensioni in corso tra sunniti e sciiti. Per una testimonianza sulla situazione, Giada Aquilino ha intervistato l’arcivescovo Louis Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei:

    R. – Tutto ciò serve a creare confusione, mantenendo questi conflitti sempre accesi contro un’iniziativa di riconciliazione che sembra molto difficile e molto complicata. Tutto è collegato alla situazione regionale in Siria ed in Egitto. E sembra purtroppo esserci un conflitto “confessionale”.

    D. – Più di quattromila morti dall’inizio di aprile: 800 soltanto ad agosto. In generale, qual è la situazione oggi in Iraq?

    R. – C’è una tensione molto forte e la gente ha paura. Prima il sud era tranquillo, invece ieri è stata colpita proprio quella parte del Paese, in una zona sciita. Talvolta le tensioni avvengono tra gli sciiti, altre volte tra i sunniti.

    D. – Com’è possibile arginare tanta violenza?

    R. – E’ molto complicato perché ci sono Paesi che non vogliono la cosiddetta “Primavera araba”, la democrazia, la libertà: è un pericolo per loro. Quindi è nel loro interesse mantenere tali conflitti. Forse poi c’è una strategia per dividere il Medio Oriente in Paesi “confessionali”.

    D. – La comunità cristiana come vive queste ore?

    R. – La comunità ha paura e non sa dove andare. Non ci sono segnali di sicurezza né per i cristiani, né per tutti gli altri.

    D. – Lei ha detto che la situazione in Iraq è legata a ciò che sta succedendo in Siria ed in altri Paesi vicini. Papa Francesco, anche recentemente, ha pregato per l’Iraq affinché la violenza settaria lasci il passo alla riconciliazione. Secondo lei a questo punto cosa può succedere?

    R. – La gente ed anche i politici sono coscienti che l’intervento militare o la guerra non aiutano. La guerra è sempre portatrice di morte e distruzione. Dunque, non c’è altra scelta se non il dialogo e la pace. L’accordo tra americani e russi (sulle armi chimiche siriane, ndr) penso sia un successo e tutti hanno apprezzato questa iniziativa non militare.

    D. – Sull’esempio della veglia di preghiera e di digiuno voluta dal Papa, ci sono anche delle iniziative particolari della Chiesa di Iraq per la pace?

    R. – Anche noi, nelle nostre Chiese, abbiamo digiunato e pregato, celebrando Messe in tutto il Paese. Pure i musulmani hanno pregato per la pace, perché è un’esigenza di tutti. Sono convinto che il dialogo sia possibile. Senza dialogo non c’è vita, non c’è convivenza; anche la maggioranza dei musulmani è aperta al dialogo. Ne sono pienamente convinto. Ci sono i fondamentalisti, per cui tutto è politicizzato, ma ci sono anche capi religiosi aperti al dialogo. Penso inoltre che cristiani e musulmani debbano cercare un linguaggio più comprensibile per esprimere la loro fede, per dire che noi crediamo in un solo Dio, che è Creatore, che è Padre, che è misericordioso.

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    Trionfo dei cristiano sociali in Baviera. Esulta Merkel in vista delle elezioni di domenica

    ◊   In Germania, vittoria piena - nelle elezioni ieri in Baviera - per l’Unione cristiano sociale, partito gemello a livello federale della Cdu della cancelliera Angela Merkel, che esulta del risultato ottenuto in vista del voto legislativo di domenica prossima. Roberta Gisotti ha intervistato Angelo Paoluzi, esperto germanista:

    Trionfo per il leader Horst Seehofer, la guida dell’Unione cristiano sociale del governo, nel Land bavarese riconfermato per altri cinque anni con una maggioranza assoluta che sfiora il 49 percento, risalendo di oltre cinque punti ai danni dell’allento liberale che frana sotto la soglia del cinque percento, necessaria per accedere al parlamento di Monaco. Angelo Paoluzi questa vittoria piena era attesa?

    R. - Era data per molto probabile se non scontata. Se non altro perché in questi 60 anni, in cui praticamente è stato sempre al governo, ha portato la Baviera ad essere una tra le regioni delle Germania più ricca e maggiormente sviluppata. E questo l’elettorato non lo dimentica.

    D. - L’uscita dei liberali, quali problemi pone in vista delle elezioni legislative?

    R. - La sconfitta dei liberali che è il dato abbastanza clamoroso di questa tornata elettorale, non meraviglia più di tanto, perché i liberali non hanno avuto in Baviera sempre un grande seguito elettorale e quindi è difficile portare il voto locale della Baviera a quello nazionale. Dovrebbero farcela a superare il cinque percento a livello nazionale, per ricomporre poi la coalizione con la Cdu, sicuramente vittoriosa. La sola minaccia per loro è un’astensione molto alta, perché la cosiddetta “Politik-Verdrossenheit”, cioè la stanchezza della politica è più diffusa nel loro tradizionale elettorato di centrodestra. Questo elettorato potrebbe essere attratto, in questo momento, da alcune forze euroscettiche - una recentissima si chiama Alleanza per la Germania e vuole addirittura uscire dall’Europa - per chiudersi in un orgoglioso isolamento tenuto conto dei risultati positivi, come la ricchezza e lo sviluppo che il Paese è riuscito ad ottenere.

    D. - Si profilano anche possibili nuove alleanze a livello nazionale se i liberali dovessero ripetere l’insuccesso?

    R. - Nel caso in cui i liberali non ce la facessero – ripeto, non credo sia probabile – chiaramente si porrà il problema di un altro tipo di coalizione. Certamente la Cdu non si alleerà mai né con la destra, né con il centrosinistra dei Verdi o dei cosiddetti “Pirati”, una sorta di grillini tedeschi. Quindi sarebbe costretta a trovare un’alleanza con i socialdemocratici. Ma, personalmente non credo che questo avverrà.

    D. - Il rafforzamento della coalizione di centrodestra avrà ripercussioni o potrebbe averne sul piano delle politiche economiche della Germania rispetto all’Europa?

    R. - La coalizione Cdu liberali crede – sia pure con qualche piccolo dubbio – nell’Europa. Sa benissimo che l’Europa è anche un fattore del successo tedesco. Quindi non credo che avrebbero dubbi nel proseguire nella politica di sostegno dell’Unione Europea. La Germania sa benissimo che l’Europa è la base del suo successo economico.

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    Caritas Sardegna presenta i dati sulla povertà: numeri raddoppiati in due anni

    ◊   Quasi raddoppiato in due anni il numero delle persone che in Sardegna bussano ai centri di ascolto Caritas. Il dato è emerso oggi, a sei giorni dalla visita del Papa nell’isola, durante la presentazione a Cagliari dei dati 2013 sulla povertà. Presente mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente della Conferenza episcopale sarda. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Sono oltre 5.700 le persone ascoltate nei centri Caritas in Sardegna solo nel primo trimestre 2013. Un dato emblematico degli effetti della crisi, se si pensa che nel 2011 e nel 2012 le persone ascoltate erano state rispettivamente 4.800 e 6.039. Mons. Arrigo Miglio, presidente della Conferenza episcopale sarda:

    R. - Nel giro di due anni è quasi raddoppiato il numero delle persone che si rivolgono ai Centri Caritas ed è molto aumentata la richiesta di beni primari, come il cibo.

    D. - Il disagio sociale continua ad interessare prevalentemente donne, quarantenni, persone sposate da non moltissimi anni, spesso - nel 65% dei casi - in condizione di disoccupazione:

    R. - I dati della disoccupazione, per quanto riguarda i giovani, riportano quasi il 50 per cento, cui bisognerebbe aggiungere il dato dei giovani che emigrano. Certamente sia il sistema del welfare, sia il fisco sono più pesanti con le famiglie. Quindi le situazioni di maggiore povertà si registrano nei nuclei familiari. All’interno di un richiamo alle istituzioni a considerare più al centro la famiglia, ci sono delle proposte concrete per quanto riguarda il quoziente familiare, il calcolo dell’Isee eccetera…Ci sono tante proposte; quella perfetta non esiste. Però si chiede che almeno qualcuna venga presa in considerazione.

    D. - Al momento sono solo proposte? Non risulta un’applicazione, ad esempio, del quoziente familiare?

    R. - Riguardo al quoziente familiare, mi pare proprio che siamo fermi.

    D. - Al contrario di quanto potrebbe sembrare i senza dimora, che pure chiedono aiuto, sono appena il 5,2% contro il 94% delle persone ascoltate aventi un domicilio proprio.

    R. - Sì, questo conferma, appunto, che la povertà dell’immaginario collettivo del “barbone”, del senza fissa dimora, non coglie la vera situazione reale del Paese.

    D. - I nuovi poveri di cui si parla da qualche anno?

    R. - L’elenco di suicidi che abbiamo avuto in questi ultimi mesi non riguardano barboni o senza fissa dimora, sono piccoli commercianti, piccole imprese… povertà ancora più nascoste, che non emergono e purtroppo quando ce ne accorgiamo, qualche volta è tardi.

    D. - Significativo anche il dato relativo all’istruzione: più vulnerabili sono le persone meno istruite...

    R. - Sì, questo è un dato riscontrato anche a livello nazionale, nella recente Settimana sociale. Anche da questo punto di vista, la Sardegna si rivela una delle regioni più deboli, in cui l’abbandono scolastico è molto forte.

    D. - Alla luce di questi dati, come vivete l’attesa del Papa?

    R. - La presentazione di questi dati in vista della visita di Papa Francesco è stata fatta proprio per questo: per aiutare tutti a riflettere, affinché questi dati concreti ci aiutino a prendere sul serio, a tradurre in cammino concreto le parole che il Santo Padre ci rivolgerà. Ma il suo gesto di voler venire in Sardegna è già un messaggio. Il Papa ci dice da dove si deve ripartire: si deve ripartire là dove le povertà sono più forti.

    D. - Qual è il Suo auspicio per la visita del Papa, un appuntamento importante che tutta la Sardegna si prepara a vivere?

    R. - Il mio auspicio è che quello che il Papa dirà per la Sardegna, per la sua situazione, sia colto da tutto il Paese, soprattutto da coloro che hanno responsabilità a livello nazionale. Anche da questo punto di vista, quindi, spero che la Sardegna possa essere un “laboratorio”. Penso a quanto già disse Papa Benedetto XVI nel 2008, dal piazzale del Santuario di Bonaria, quando sottolineò il bisogno di una nuova classe politica, di cattolici impegnati in politica, a servizio del bene comune del Paese. E questo gesto di Papa Francesco spero sia un messaggio non solo per la Sardegna, ma anche per tutto il Paese.

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    Ad Assisi il 19 settembre il meeting sull’ecologia “Nostra Madre Terra”

    ◊   “Nostra Madre Terra”: è il nome del Meeting sulla salvaguardia del Creato presentato oggi ad Assisi e che si terrà giovedì 19 settembre. “Ambiente e piano energetico, approvvigionamento, consumo e riuso”: il titolo scelto quest’anno per l’evento, organizzato dal Sacro Convento di Assisi e dall’Accademia Nazionale delle Scienze. Debora Donnini ha intervistato il direttore della sala stampa del Sacro Convento, padre Enzo Fortunato:

    R. - Siamo contenti che Papa Francesco all’inizio del suo Pontificato nello specificare il motivo della scelta del nome, aveva indicato tre riferimenti che si trovano concordi con la programmazione che stiamo portando avanti in questi anni: Francesco d’Assisi, perché uomo della pace, Francesco d’Assisi, perché povero, Francesco d’Assisi, perché ha saputo custodire il Creato. In questa custodia del Creato, si inserisce il dibattito che portiamo avanti da nove anni, con un tema particolare, quello del riuso. Noi sappiamo quanto spreco, quanto consumismo, quante cose inquinanti vengono costruite! Alla luce di tutto questo, focalizziamo l’attenzione proprio su un corretto uso delle cose che abbiamo.

    D. - Quindi la giornata di giovedì 19 settembre come si svolgerà?

    R. - Ci saranno due momenti. Il primo, quello di carattere un po’ scientifico, la mattina con i diversi interventi, penso al presidente dell’Enel, al vice presidente di Confindustria, al direttore generale dell’International Union Railway per le ferrovie. Ci sarà poi una sezione dedicata a Stato, città, ambiente con i diversi ministri. Alla fine il momento in cui la Chiesa ci dirà le sue indicazioni con l’intervento del card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Dopo questo momento scientifico, ci sarà un momento divulgativo con la Rai, che registreremo sulla piazza con diversi ospiti e cantanti per donare alle famiglie che ci seguono da casa i contenuti affrontati la mattina. Quindi questi sono i due grandi momenti: alla mattina quello scientifico, al pomeriggio quello divulgativo con un format televisivo che andrà in onda su Raiuno il giorno 20.

    D. - Quindi quest’anno il cuore del vostro appuntamento è sensibilizzare su come si possono riutilizzare gli oggetti invece di sprecarli ...

    R. - Certo. L’obbiettivo è proprio questo. Un obbiettivo che ci viene indicato, da san Francesco d’Assisi, il quale con il Cantico delle Creature ci offre un itinerario di rispetto per l’ambiente: chiamare tutti fratello e sorella. Questo non è una poesia, ma conduce ad atteggiamenti concreti. E Francesco d’Assisi questi atteggiamenti li ha vissuti. Quando vedeva i frati che si lavavano le mani, desiderava che quell’acqua non andasse nei fiumi, quindi che non inquinasse. Oppure, quando vedeva arare il terreno, diceva sempre di lasciarne una parte incolta. Gli esperti sanno benissimo quanto questa pratica sia utile per la formazione di un terreno fertile. E di questi esempi ce ne sono diversi.

    D. - Oggi è la Giornata internazionale per la preservazione dello strato d’ozono. Anche questo è un tema di cui si parla molto. Qual è il vostro punto di vista in proposito?

    R. - Noi abbiamo partecipato alla stesura del manifesto per il Creato, lanciato a Rio de Janeiro: “Il futuro a misura d’uomo che vogliamo”. In manifesto fatto proprio dai giovani, c’è un’affermazione molto forte che spiega che oggi la quantità dei gas presenti nell’atmosfera è maggiore di quella degli ultimi tre milioni di anni. È un’affermazione molto forte che ci dice come siamo chiamati a tutelare l’ambiente.

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    Celebrazioni a Niš per il 1700.mo anniversario dell'Editto di Milano: intervista con l'ambasciatore serbo Mirko Jelic

    ◊   La comunità cattolica di Serbia si prepara a celebrare a Niš il 1700.mo dell’Editto di Milano del 313 d.C. Una ricorrenza che in Serbia ha assunto uno specifico carattere ecumenico con la compartecipazione delle diverse comunità cristiane agli eventi che si sono svolti lungo tutto il 2013. Culmine delle celebrazioni per parte cattolica saranno le cerimonie previste proprio nella città natale dell’imperatore Costantino con la partecipazione il 20 e il 21 settembre dell’inviato speciale del Papa, cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano. In vista di questa importante ricorrenza, Stefano Leszczynski ha intervistato l’ambasciatore della Repubblica Serba presso la Santa Sede, Mirko Jelic:

    R. - La celebrazione del 1700.mo anniversario dell’Editto di Milano ha una grande importanza per la Serbia per varie ragioni. Il solo fatto che l’imperatore Costantino è nato a Niš, Naissus di allora, rappresenta una ragione che da sola non basterebbe per una celebrazione di tale portata. Essa è dedicata a una persona eccezionale che ha proclamato un Editto storico – a Costantino, grande imperatore e regnante, ma soprattutto a quello che ha dato la libertà di confessione ai Cristiani; alla sua lungimiranza e alla sua idea d’avanguardia di rendere possibile la libertà di confessione religiosa a tutti. Nella missiva del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Serba è scritto: “Nessun imperatore prima di lui, e quasi nessuno dopo di lui, è riuscito ad elevare la cognizione del Signore e dell’uomo a tale livello. Perché la libertà di confessione rappresenta la base principale dell’esistenza umana… Il Santo Imperatore Costantino ha capito che la forza non aiuti la fede e che non si diventi credente sull’ordine di qualcuno. Ha capito che nessuna società possa sopravvivere e fare progressi senza alcune cose basilari e in seguito ha reso possibile a tutti i suoi sudditi la fede, la sincerità e la libertà”… Nella Serbia di oggi il giubileo di Costantino si celebra nel segno della comprensione e della tolleranza tra i popoli e tra le confessioni. Proprio questa parte dell’Editto di Milano è messa in primo piano nella realizzazione delle numerose manifestazioni di carattere religioso, culturale e scientifico che si svolgono nel nostro paese nel corso del 2013. E non è affatto per caso che nell’organizzazione delle celebrazioni prendono parte tutte le confessioni religiose della Serbia

    D. - Il coinvolgimento di tutte le componenti cristiane del paese ed i frutti che questo dialogo comporta quale importanza rivestono per la società serba?


    R. - Ho già detto che nelle manifestazioni celebrative prendono parte tutte le confessioni religiose esistenti in Serbia. Per il nostro paese questo ha un’importanza straordinaria perché rinforza le basi democratiche della società, fa crescere la comprensione reciproca tra la gente e promuove la tolleranza. E’ un aspetto concreto del quotidiano dialogo ecumenico in Serbia.

    D. - La Serbia, in particolare negli ultimi anni, ha compiuto grandi sforzi per accelerare il processo di integrazione nell’Unione europea, quale contributo hanno dato i valori cristiani insiti nella storia e nella tradizione della Serbia?


    R. - La nostra storia non era semplice. Né quella remota, né quella recente. Il popolo serbo, nei secoli passati, era costretto ad affrontare varie e numerose prove. Siamo riusciti a superare delle situazioni difficilissime, di sopravvivere fisicamente e di rimanere fedeli alle nostre radici cristiane e ortodosse. Non abbiamo mai messo in dubbio la nostra appartenenza alla famiglia dei popoli europei. La Serbia è un paese europeo non solo dal punto di vista geografico, ma anche culturale, storico e condividiamo tutti la stessa civiltà. Il successo del processo d’integrazione della Serbia nell’Unione europea rappresenta il risultato sia dell’impegno dei politici che dell’aspirazione di tutta la società.

    D. - Il Novecento si è chiuso lasciando ferite profonde in tutti i Balcani. Quanto è stato importante per il suo paese il contributo dell’ecumenismo nella ricostruzione della speranza?


    R. - Senza tolleranza e senza dialogo la conciliazione non è possibile. Ma, senza la pace duratura non è possibile riavere la fiducia neccesaria per superare le gravi conseguenze dello scrontro verificatosi negli ultimi anni del secolo scorso. Il dialogo ecumenico rende possibile che tornino la vera speranza e la riconciliazione. In questo spirito, rispettando pienamente la sovranità e l’integrità territoriale dei paesi vicini, la Serbia si impegna a superare l’eredità negativa del passato e si sforza a costruire una società giusta, democratica e prosperosa.

    D. - La dimensione religiosa viene sempre più valorizzata nelle singole società europee, nonostante una forte secolarizzazione, come si è sviluppato negli ultimi anni il rapporto tra Stato e Chiesa in Serbia? A livello istituzionale qual è stato l’impegno per favorire il dialogo tra le componenti cristiane della società?


    R. - I rapporti tra lo Stato e la chiesa in Serbia sono definiti dalla Costituzione e dalle leggi tra le quali la più importante sia la Legge sulla Chiesa e sulle comunità religiose del 2006. In questo modo, moderno e democratico, sono pienamente stabiliti tutti i diritti e obblighi dello stato, delle comunità religiose e delle persone in merito alla religione e alla libertà di confessione. Inoltre, con la Legge sulla restituzione dei beni espropriati del 2011 è sistemata anche la questione del patrimonio delle comunità religiose.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Medio Oriente: riunione dei vescovi latini del mondo arabo

    ◊   Inizia domani a Roma la riunione ordinaria dei rappresentanti della Conferenza dei vescovi latini delle regioni arabe (Conférence des evêques latins dans les régions arabes, Cerla), l'organismo che riunisce i vescovi cattolici di rito latino presenti negli Stati arabi del Medio Oriente, in Egitto e in Somalia. Le sessioni in cui è articolata la riunione si protrarranno fino a venerdì 20 settembre in una residenza sacerdotale adiacente alla Città del Vaticano. Durante le giornate di permanenza a Roma, ogni vescovo partecipante alla riunione avrà occasione di prender parte come concelebrante alla messa presieduta ogni giorno da Papa Francesco nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Nelle riunioni di lavoro - alle quali prenderà parte tra gli altri anche il Patriarca di Gerusalemme dei Latini Fouad Twal - si parlerà delle ultime iniziative previste per l'Anno della Fede e per il 50esimo anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II. L'organismo di collegamento dei vescovi di rito latino presenti nei Paesi arabi fu istituito nel 1967 proprio come strumento per favorire la collegialità e la comunione tra le Chiese locali, nel quadro dell'applicazione della riforma conciliare. Le convulsioni che scuotono il Medio Oriente e si ripercuotono pesantemente sulle comunità cristiane arabe saranno fatalmente al centro degli scambi di informazioni tra i vescovi del Cerla riuniti a Roma. Secondo informazioni verificate dall'agenzia Fides, all'incontro avrebbe dovuto partecipare anche Georges Abou Khazen, amministratore apostolico del vicariato apostolico di Aleppo. Ma il padre francescano non ha potuto lasciare la città del nord della Siria, isolata da mesi sotto l'assedio delle milizie anti-Assad. (R.P.)

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    Siria: i profughi di Maaloula celebrano l'Esaltazione della Croce e pregano per i loro martiri

    ◊   Messe, veglie di preghiera per i martiri e piccole celebrazioni fuori dalle chiese di Damasco: così i cristiani fuggiti da Maaloula e la popolazione della capitale hanno celebrato sabato scorso, 14 settembre, la festa dell'Esaltazione della Croce. La ricorrenza risale all'anno 320, quando s. Elena, madre dell'imperatore Costantino, invia dei dignitari a cercare la croce sul monte del Golgota. Il 14 settembre i funzionari trovano la Santa reliquia. Per avvisare l'imperatore e sua madre, che risiedevano a Costantinopoli, accendono falò su tutti i picchi che si trovano sui 1.170 chilometri che separano la due città. Per secoli Maaloula è stato il centro delle celebrazioni di questa festa, raccogliendo pellegrini e fedeli provenienti da tutte le regioni della Siria e del mondo. Fonti dell'agenzia AsiaNews (anonime per motivi di sicurezza) spiegano che "i preparativi sono stati molto sobri, diversi dai tempi di pace in cui tutta la città di Maaloula, oggi nelle mani degli estremisti islamici, si addobbava a festa e i falò ardevano fino all'alba". "Quest'anno - continuano - la festa è stata dedicata ai nostri martiri, alle sofferenze della Siria". Per ricordare i tre cristiani uccisi dagli estremisti è stata organizzata una veglia funebre nella chiesa della Santa Croce di Damasco, a cui hanno partecipato tutte le famiglie rifugiate e centinaia di persone. Le fonti raccontano che dal 5 settembre, giorno dell'assolto estremista, Maaloula è una città fantasma: "Gli islamisti si sono asserragliati nella piccola città e ogni giorno ingaggiano scontri violenti con l'esercito del regime. Tutto ormai è distrutto: le nostre case, i nostri luoghi di culto, ogni cosa". Nei giorni scorsi anche le ultime famiglie bloccate dai bombardamenti sono riuscite a fuggire, degli oltre 10mila cristiani, nessuno è rimasto. L'unica presenza sono le suore greco-ortodosse del monastero di S. Tecla che hanno scelto di restare per pregare e difendere il luogo sacro. (R.P.)

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    Iraq: il patriarca caldeo Sako chiede al patriarca assiro Mar Dinkha IV di tornare alla piena unità

    ◊   Il patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I Sako ha inviato una lettera di felicitazioni al patriarca della Chiesa assira d'Oriente Mar Dinkha IV in occasione del suo 78esimo compleanno, celebrato il 15 settembre. Nel messaggio augurale, il patriarca Sako ha rivolto al Capo della Chiesa assira anche un eloquente invito ufficiale a iniziare insieme un cammino di dialogo per ripristinare la piena comunione ecclesiale tra la comunità cristiana caldea – unita al vescovo di Roma – e quella assira. “Colgo l'occasione” scrive il patriarca Sako nella sua missiva “per esprimere il desiderio della Chiesa caldea riguardo all'attivazione di un dialogo per l'unità, che è il desiderio di Gesù. L'inizio di questo dialogo è oggi urgente, di fronte alle grandi sfide che minacciano la nostra sopravvivenza. Senza unità, non c'è futuro per noi. L'unità può aiutare a custodire la nostra presenza. Metto con fiducia questo desiderio sincero nelle mani di Vostra Santità”. In passato si è svolto un dialogo teologico tra la Chiesa assira d'Oriente e la Chiesa cattolica nel suo insieme, che nel 1994 ha portato alla stesura di una Dichiarazione cristologica comune nella quale Papa Giovanni Paolo II e il patriarca Mar Dinkha IV hanno riconosciuto di condividere la stessa fede in Gesù Cristo e nel mistero dell'Incarnazione. Finora tuttavia non si è mai dato ufficialmente inizio a un dialogo ecumenico e ecclesiologico bilaterale tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira d'Oriente, che condividono lo stesso patrimonio teologico, liturgico e spirituale. “Se abbiamo riconosciuto di confessare la stessa fede” spiega all'agenzia Fides il patriarca Sako “a questo punto mi chiedo quali siano gli ostacoli a camminare insieme verso il riconoscimento della piena unità tra noi. Forse serve solo un po' di coraggio nel cercare il metodo giusto. Penso alla possibilità di riunire insieme i nostri sinodi, e confrontarci sulle nostre comuni preoccupazioni, come la fuga dei nostri fedeli dalle terre d'origine e il dissiparsi del patrimonio millenario condiviso dalle nostre Chiese. Attendo con trepidazione la risposta dei nostri fratelli assiri”. (R.P.)

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    Cuba: i vescovi chiedono riforme democratiche

    ◊   I vescovi cubani hanno presentato al presidente Raul Castro una lunga lettera articolata in 43 punti per chiedere riforme democratiche per l’isola caraibica che accompagnino le riforme economiche che hanno riaperto le porte all’iniziativa privata. Il comunicato, riporta l’agenzia Fides, è intitolato: “La speranza non delude” e si tratta di uno dei documenti più incisivi negli ultimi vent’anni della chiesa cubana. La Conferenza episcopale cubana dichiara nel documento: “Come è avvenuto nel caso dell’economia, crediamo imprescindibile nella nostra realtà cubana un aggiornamento anche della legislazione nazionale per quanto riguarda l’ordine politico", chiedendo il “diritto alla diversità riguardo al pensiero, alla creatività, alla ricerca della verità”. I vescovi chiedono inoltre al governo una nuova apertura verso gli Stati uniti, incoraggiando “nuove iniziative di dialogo” che portino ad una ripresa delle relazioni diplomatiche e una fine dell’embargo, ormai quasi cinquantenne, dell’isola. “I cambiamenti”, dichiarano infine i vescovi, “incoraggiano la speranza del nostro popolo” e potranno riaprire la strada verso il processo di riconciliazione nazionale. (D.P.)

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    Disgelo in Corea: riparte Kaesong e a Pyongyang si suona l'inno del Sud

    ◊   Dopo cinque mesi di stallo, questa mattina alle 8 (ora locale) un gruppo composto da più di 800 sudcoreani ha varcato il confine con il Nord per far ripartire il complesso industriale intercoreano di Kaesong. La zona - che si trova subito dopo il 38mo parallelo - era stata dichiarata off-limits dal regime di Pyongyang in maniera unilaterale lo scorso aprile, nel mezzo di una crisi che ha trascinato la penisola sull'orlo della guerra. Nel frattempo - riferisce l'agenzia AsiaNews - per la prima volta la bandiera del Sud è stata alzata nel territorio del Nord in occasione dei Campionati asiatici di sollevamento pesi in corso a Pyongyang. Insieme ai lavoratori sono entrati nel complesso di Kaesong anche camion e macchine private. All'interno della zona industriale operano 123 aziende del Sud, che danno lavoro a più di 50mila operai del Nord. Si tratta di una delle riserve economiche più importanti del regime, disastrato dopo una serie di politiche economiche e fiscali che ne hanno peggiorato ancora di più la bilancia commerciale. Secondo il ministero dell'Unificazione di Seoul circa 400 persone rimarranno a Kaesong per la notte. Secondo gli accordi stipulati fra i due governi per riaprire il complesso, le industrie sudcoreane saranno esentate dal pagamento delle tasse per tutto il 2013: le imposte non pagate del 2012, che il Nord aveva indicato come scusa per bloccare l'ingresso di alcuni imprenditori sudcoreani, saranno invece saldate con un conguaglio entro dicembre. Seoul e Pyongyang si sono accordate inoltre per creare un organismo di arbitrato bilaterale - da consultare in caso di disaccordo su salari e tassazione - e per installare un sistema di identificazione radio per facilitare l'accesso alla zona industriale. La Chiesa cattolica della Corea del Sud ha chiesto più volte la riapertura del complesso, definito dall'arcivescovo di Seoul "simbolo di pace e speranza" per la futura riunificazione del Paese. A questo segnale di disgelo si aggiungono le riunificazioni fra le famiglie divise dalla Guerra di Corea, che dovrebbero riprendere il prossimo 19 settembre, e il permesso accordato dal regime al governo del Sud di alzare la propria bandiera e suonare il proprio inno in occasione dei Campionati asiatici di sollevamento pesi in corso a Pyongyang. Per anni le due Coree hanno presentato agli eventi sportivi internazionali una bandiera comune e hanno chiesto di far suonare l'inno nazionale ufficiale della Corea pre-divisione. Per la prima volta, lo scorso 14 settembre le autorità del Nord hanno invece concesso ai vicini i propri simboli identificativi: l'alzabandiera è stato effettuato dopo che Kim Woo-shik e Lee Young-koon hanno vinto la medaglia d'oro e quella d'argento nella categoria "85 chili". La televisione di Stato del Nord ha trasmesso l'intera cerimonia di premiazione. (R.P.)

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    Filippine: a Zamboanga avanzano le truppe. Appello di pace dei vescovi

    ◊   Si stringe l’assedio dei militari sui villaggi costieri nei dintorni della città di Zamboanga, sull’isola meridionale di Mindanao, dove lunedì scorso sono sbarcati almeno 200 indipendentisti musulmani pesantemente armati, con l’obiettivo di issare la bandiera dell’indipendentismo sul municipio cittadino. Nel fine settimana, dopo il no delle autorità a una resa dei guerriglieri e la consegna delle armi in cambio della incolumità e dopo che il cessate-il-fuoco decretato venerdì non è mai nemmeno entrato in vigore, gli scontri si sono intensificati. Mentre l’esercito tenta di tagliare ogni via di fuga agli insorti - riporta l'agenzia Misna - questa mattina contro i ribelli asserragliati in aree sempre più ristrette sono intervenuti anche elicotteri, in azioni che i comandi indicano come “operazioni calibrate” per evitare perdite civili. Nelle ultime ore, le truppe hanno espugnato due dei villaggi occupati. In diverse aree della città, alcune attività commerciali sono aperte, soprattutto per la vendita di medicinali e generi di prima necessità, ma la locale associazione dei commercianti sta valutando costantemente gli eventi. Restano invece sospesi i servizi pubblici, incluse le scuole, se non per servizi essenziali. Ampi incendi sono in corso nei sobborghi di Santa Barbara e Rio Hondo. Il bilancio ufficiale diffuso finora è di 52 insorti uccisi, sei morti tra i militari e un numero imprecisato di civili; decine i feriti e una quarantina di guerriglieri catturati. Intanto continua a crescere il numero degli sfollati, prossimo ai 70.000, in una città, la sesta delle Filippine per popolazione, di quasi un milione di abitanti che resta isolata dal resto del Paese. Inoltre non è confermata l’uccisione del comandate Malik, a capo dell’Mnlf sull’isola di Basilan, ritenuto alla guida dei ribelli in azione a Zamboanga. In un comunicato congiunto inviato all’agenzia Fides, i 18 arcivescovi e vescovi dell'isola invitano il governo e Mnlf “ad aprire con urgenza un tavolo di negoziato e a dialogare”, dato che “lo scontro armato porta solo vittime e genera nuova violenza. Siamo profondamente addolorati e turbati da questa terribile tragedia per la vita umana e per i beni di molte famiglie. Esprimiamo la nostra solidarietà a tutti i musulmani e i cristiani colpiti", affermano. “Condanniamo il terrorismo che è stato inflitto a una città intera. Condanniamo l' atto disumano di utilizzare gli ostaggi come scudi umani”, aggiungono, ribadendo la piena disponibilità della Chiesa ad assistere gli sfollati e incoraggiando anche l’amministrazione locale e le organizzazioni non governative a contribuire fattivamente all’assistenza dei profughi. I vescovi, infine, si impegnano a coinvolger anche “altri capi religiosi musulmani, cristiani e indigeni a pregare e lavorare per la pace”. (R.P.)

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    Rwanda: urne aperte. Tensione dopo le esplosioni nelle ultime ore

    ◊   Sono in corso le votazioni per le elezioni parlamentari nel Paese: dalle 7 fino alle 15 più di 5,9 milioni di aventi diritto sono attesi alle urne per scegliere 53 deputati. Ieri sono andati a votare i ruandesi residenti all’estero. Per il quotidiano locale New Times ripreso dall'agenzia Misna, globalmente l’affluenza è stata elevata. La maggior parte della diaspora ruandese – in tutto 31.514 persone – è stabilita in India, Belgio, Sudafrica, Kenya Uganda. Nel Paese delle mille colline, la Commissione elettorale nazionale (Nec) ha suddiviso il territorio in più di 400 circoscrizioni elettorali che comprendono 2.291 seggi nelle varie contee e 15.000 seggi in altrettanti villaggi. Lo spoglio delle schede comincerà alla chiusura dei seggi e i risultati preliminari potrebbero essere diffusi già in serata. In base alla legge i risultati definitivi dovranno essere proclamati entro il 25 settembre. Le operazioni di voto si protrarranno per altri due giorni: domani e dopodomani sarà la volta delle categorie speciali – donne, giovani e disabili – ad eleggere i propri rappresentanti speciali, in tutto 27 deputati. Le legislative vengono monitorate da 1.600 osservatori della società civile, dei partiti politici, dell’Unione Africana, dell’Africa orientale e dell’Unione Europea. In tutto ci sono 15.410 candidati tra gli indipendenti e quelli presentati da otto formazioni politiche. Tuttavia per molti osservatori l’esito delle legislative appare scontato: è il Fronte patriottico ruandese (Fpr), l’ex ribellione che ha messo fine al genocidio del 1994 del presidente Paul Kagame, che dovrebbe ottenere la maggioranza dei seggi. Nella legislatura uscente l’Fpr aveva ottenuto il 76% delle poltrone parlamentari. Con quattro piccole formazioni alleate, l’Fpr ha presentato 80 candidati. Quest’anno sono riusciti a iscriversi anche il Partito social democratico (Psd) con 76 candidati, il Partito liberale (Pl) con 64 rappresentanti e, per la prima volta dal 2009, il Ps Imberakuri, con 45 membri; ci sono soltanto quattro candidati indipendenti. La campagna elettorale, durata dal 26 agosto al 15 settembre, si è globalmente svolta nella calma ma senza grande entusiasmo della popolazione. Nelle ultime ore ha contribuito a far salire la tensione l’esplosione di due ordigni a Kicukiro, un sobborgo di Kigali, la capitale, che hanno causato due vittime e 22 feriti. Per ora tre persone sono state arrestate per il loro presunto coinvolgimento nelle deflagrazioni che hanno colpito una delle città considerata più sicura di tutta l’Africa. Per legge nel parlamento ruandese deve sedere una maggioranza di donne: durante la legislatura uscente è stata raggiunta la percentuale record del 56,3%. (R.P.)

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    Riunione a Bruxelles: "nuovo patto" per la Somalia

    ◊   Un miliardo di euro in tre anni: tanto sperano di riuscire a mobilitare i rappresentanti europei che ospitano oggi a Bruxelles la riunione del ‘New Deal’ (Nuovo patto) per la Somalia. All’incontro sono presenti oltre una cinquantina di Paesi, europei, africani e della penisola araba, oltre ai rappresentanti delle istituzioni somale e delle regioni semiautonome del Puntland e del Jubaland; assenza di peso – invece – quella delle autorità del Somaliland, la regione settentrionale proclamatasi indipendente da Mogadiscio nel 1991. La conferenza si concluderà con la firma di un accorso per il New Deal, un paradigma ideato per consolidare la pace e garantire il finanziamento e la ricostruzione di Paesi in transizione dopo anni di conflitto. “L’evento servirà a inquadrare il futuro in una chiara visione politica, definendo le priorità dello sviluppo e individuando modalità di finanziamento e di erogazione degli aiuti in grado di garantire efficacia e responsabilità” ha spiegato ieri l’alto rappresentante agli Affari Esteri dell’Ue Catherine Ashton, aggiungendo che “lo scopo di fondo è sostenere il processo politico in modo da completare la Costituzione e definire lo Stato federale, rispondendo alle aspirazioni del popolo somalo”. Tra i programmi lanciati nell’ambito del nuovo patto, quello che punta a riportare a scuola oltre un milione di bambini somali, in un Paese che ha i tassi di scolarizzazione più bassi del mondo con appena quattro bambini su dieci in età scolare che frequentano le classi. Tra i l 2008 e il 2013 l’Unione Europea ha stanziato circa un miliardo e 200.000 euro di aiuti per il Paese, di cui 521 milioni nel settore dello sviluppo e 697 in quello della sicurezza, in particolare il finanziamento della missione di caschi verdi africana Amisom. Nonostante l’entusiasmo, tuttavia, alcuni problemi di fondo permangono e gettano pesanti ombre sul Paese: secondo gli indicatori, corruzione e cattiva gestione dei fondi pubblici – una costante dei governi negli ultimi vent’anni – sono fenomeni tutt’altro che archiviati. Il governo centrale controlla piccole porzioni di territorio e basa la sua autorità sul solo ausilio di migliaia di truppe straniere, mentre alcuni poteri di fatto, come quello del Somaliland, si rifiutano di partecipare agli incontri per progettare insieme il futuro del Paese. “Se questi ostacoli non saranno superati – osserva Mary Harper, giornalista della Bbc ed esperta di Somalia – gli esiti della conferenza di oggi potrebbero rivelarsi limitati e il New Deal diventare solo l’ultimo di una lunga e costosa serie di incontri con pochi o nulli effetti sullo sviluppo”. (R.P.)

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    Nigeria: i vescovi lodano la politica del governo contro Boko Haram

    ◊   I vescovi nigeriani hanno redatto un documento in cui si lodano le misure adottate dal governo contro il gruppo terrorista Boko Haram, i cui attacchi sono drasticamente diminuiti nelle regioni dove è intervenuto il governo, e in cui si denunciano gli altri problemi della società nigeriana. I vescovi, riporta l'ageniza Misna, hanno lodato anche le misure imposte con la dichiarazione dello “stato di mergenza” nelle regioni più colpite da Boko Haram, ma hanno invitano il governo ad “adottare provvedimenti preventivi in grado di bloccare le rivolte piuttosto che reprimerle quando si manifestano”, in una politica più lungimirante. Al margine del documento c’è la questione morale per cui, si denunciano: “I tentativi continui da parte di agenzie straniere di introdurre valori malsani nella nostra società nelle loro campagne per l’aborto, la distribuzione di preservativi e la promozione di unioni omosessuali”. Il pensiero dei vescovi va anche alla situazione amministrativa del Paese, con disparità economiche molto ampie e un costo dell’amministrazione pubblica elevato a fronte dei servizi, spesso scarsi ed erratici, forniti alla popolazione. Al centro del documento però ci sono i temi della violenza e della sicurezza nel Paese, con Boko Haram silente si rimette l’accento sulla criminalità: rapimenti, omicidi, rapine e circolazione di armi illegali, che purtroppo sono problemi ancora insoluti. Dalla regione del Delta del Niger, intanto, buone notizie per l’arcivescovo anglicano Ignatius Kattey rilasciato dai suoi rapitori dopo che la settimana scorsa era stato rapito da un gruppo di criminali locali. I rapitori avrebbero rilasciato il prigioniero perché la polizia era vicina alla loro cattura ma ancora non si sa se sia stato pagato anche un riscatto. (D.P.)

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    Centrafrica: i missionari raccontano di scene apocalittiche

    ◊   “Gli eventi si susseguono rapidamente, così come s’intensifica l’aggressività dei ribelli. Assistiamo a scene apocalittiche e osserviamo i corpi delle tante vittime che giacciono ancora ai lati della strada”. È il drammatico racconto di padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano e direttore della Caritas diocesana di Bouar, che da oltre vent’anni vive nella Repubblica Centrafricana. Il mese scorso, nella diocesi di Bouar, i membri della coalizione Seleka ribelli hanno compiuto numerosi attacchi costringendo gli abitanti alla fuga. “Nella sola città di Bohong - racconta ad Acs (Aiuto alla Chiesa che soffre) - sono state bruciate più di 3500 case, mentre più dell’80% della popolazione ha abbandonato il villaggio di Bossangoa, teatro di terribili scontri che hanno causato più di sessanta morti”. E a Bohong i ribelli hanno ucciso una trentina di persone e dato alle fiamme oltre 2.000 case per costringere gli abitanti ad emigrare. Almeno 14 villaggi sono ormai completamente deserti. In tanti cercano rifugio altrove e la missione carmelitana di Bozoum ha accolto più di 6.500 rifugiati. “È commovente ascoltare i loro racconti - dice padre Aurelio -. Ci sono donne che hanno perso il proprio marito e papà che hanno visto uccidere il proprio figlio. Tuttavia, nonostante le atrocità subite, nel loro cuore non c’è odio né rabbia, ma soltanto dolore e stanchezza”. Il religioso riferisce di una “commistione pericolosa tra diversi gruppi armati e di una sempre maggiore propensione alla violenza dei membri della Seleka”. Ma a preoccupare padre Aurelio sono soprattutto gli effetti che la drammatica situazione centrafricana ha sui rapporti interreligiosi. “Un tempo i fedeli di credo diverso convivevano pacificamente, ma l’arrivo dal Sudan e dal Ciad di ribelli musulmani ha contribuito alla creazione di una frattura tra la comunità islamica e il resto della società”. Il missionario sottolinea inoltre come le abitazioni musulmane siano state risparmiate dagli attacchi, al contrario di quelle cristiane. “Non una singola casa musulmana è stata bruciata. In alcuni casi gli islamici centrafricani hanno perfino indicato ai ribelli quali abitazioni distruggere e saccheggiare. È come se questo colpo di Stato abbia tirato fuori il peggio dal loro cuore”. Guardando al futuro, padre Aurelio non esclude che possano scoppiare nuovi scontri. E seppure le violenze dovessero finire all’istante, ci vorrebbero comunque anni per ricostruire il Paese. “Ci vorrà ancora più tempo per ricreare una convivenza serena. Lo Stato è assente e nessuno sembra interessarsi alle sorti del Paese. Fortunatamente, però, la fede dei centrafricani è forte e viva, e la frase che ripetono più spesso è ancora 'Nzapa a Yeke’: Dio c’è”. Nei mesi scorsi Acs ha stanziato 200mila euro in favore della Chiesa centrafricana. (R.P.)

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    Zanzibar: il Presidente dell’isola condanna l’aggressione di un sacerdote

    ◊   Il presidente dell’isola di Zanzibar ha risposto duramente all’aggressione, avvenuta il 13 settembre, contro il sacerdote padre Anselmo Mwanga’mba, sfigurato da ignoti con un getto d’acido. “Non possiamo continuare a vivere nella paura e ad assistere ad aggressioni vili come questa” ha dichiarato il presidente, che ha aggiunto “Gli abitanti di Zanzibar devono aiutarci, creare una rete che lasci isolate queste persone”. Intanto, riporta l’agenzia Misna, il governo locale ha promesso un premio di 6.000 dollari a chi avesse informazioni che portino alla cattura di questi individui. L’aggressione al presbitero avviene poco dopo un evento simile ai danni di due attiviste britanniche, che a luglio sono state aggredite con l’acido mentre cooperavano ad un progetto di volontariato. La violenza contro i sacerdoti cristiani, tristemente, non è ua novità, due sacerdoti sono stati uccisi nell'anno passato: uno a natale 2012 e un altro a febbraio 2013, in due attacchi di matrice islamista, e la chiesa cattolica si era già mossa per denunciare il crescere di violenze settarie e di intimidazioni contro la popolazione cristiana dell'isola, che rappresenta circa il 3% degli abitanti.

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    Indonesia: a Sumatra in migliaia in fuga per l’eruzione del vulcano Sinabung

    ◊   Sono quasi 6mila gli sfollati in fuga per l'eruzione del vulcano Sinabung, nel distretto di Karo, provincia di North Sumatra, in Indonesia. Secondo le autorità - che mantengono alta l'allerta e monitorano l'evolversi della situazione - il numero è destinato ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime ore. Il monte Sinabung è alto 2400 metri e già nell'estate 2010 aveva ripreso l'attività dopo secoli di riposo (l'ultimo episodio risaliva al 1600), causando oltre 12mila sfollati e una densa coltre di fumo e nebbia. Ieri mattina, alle prime luci dell'alba, il vulcano ha iniziato a eruttare con violenza lanciando in aria rocce, lapilli e cenere, che hanno colpito i villaggi circostanti. In migliaia hanno abbandonato le proprie abitazioni per mettersi in salvo in aree considerate più sicure. In un primo momento il numero dei rifugiati era di 3.710; tuttavia, secondo le stime fornite oggi dalle autorità il numero ha già toccato quota 5.956 e pare destinato ad aumentare. Per gli esperti potrebbero verificarsi altre eruzioni dopo quella principale di ieri, non meno pericolose nella portata. Gli sfollati provengono da sei diversi villaggi, che si trovano entro i tre chilometri di distanza dalla sommità del vulcano. Essi sono Simacem, Bekerah, Sukameriah, Sukanalu Teran, Sigarang-garang, e Mardinding e si trovano nel sotto-distretto di Namanteran. I soccorritori hanno allestito un Centro di emergenza dove radunano cibo, bevande, coperte e generi di prima necessità da distribuire agli sfollati. A causa della cenere e dei lapilli, alcun voli diretti al principale aeroporto di North Sumatra, il Kualanamu, sono stati dirottati in altri scali più sicuri. Molti i voli in partenza cancellati. L'arcipelago indonesiano è formato da migliaia di isole e atolli immersi nell'Oceano Pacifico, in un'area detta dagli scienziati come "Anello di fuoco". Essa è caratterizzata da un'intensa attività tellurica e vulcanica, causata dalla collisione delle diverse placche continentali. Nella memoria della gente è ancora vivo il ricordo del devastante terremoto e del successivo tsunami che hanno colpito la regione nel dicembre 2004, con epicentro al largo dell'isola di Aceh, causando centinaia di migliaia di vittime in tutta l'Asia. Il 30 ottobre 2009, un altro forte sisma aveva interessato l'area di Padang provocando circa 700 morti. Oltre 180 abitazioni erano state rase al suolo. (R.P.)

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    Sri Lanka: radicali buddisti singalesi attaccano una chiesa protestante

    ◊   Sale la tensione in Sri Lanka a causa delle violenze perpetrate da alcuni gruppi radicali di buddisti singalesi contro le comunità cristiane, accusate di praticare "conversioni forzate" e di "distruggere" la cultura buddista. L'ultimo episodio risale all'8 settembre scorso, quando un gruppo di fondamentalisti ha attaccato la Chiesa pentecostale Living Water di Meegoda, un villaggio vicino a Colombo. Tuttavia, spiega all'agenzia AsiaNews l'avvocato buddista Susantha Dodawatta, "questo attacco non ha alcun motivo, perché non è successo nulla tra le due comunità della zona". A guidare l'attacco è stato il monaco buddista Pitipana Seelawansa Thero - che dirige il tempio Padukka Puraana Viharaya - insieme a quattro suoi seguaci: Rangana Jayarathna, Chandrapala, Sunil Perera e Damith Nilanga. Nessuno vive a Meegoda. Gli aggressori sostengono che la chiesa non sia registrata e che le conversioni praticate dai cristiani sono un grande problema per il villaggio. Nonostante le denunce del pastore, il rev. E.K. Pryantha, la polizia non ha ancora arrestato i colpevoli. "Simili attacchi - spiega l'avvocato - mostrano l'esistenza di un'agenda politica che punta a unire i buddisti. Ognuno dovrebbe avere la libertà di cambiare religione in questo Paese. Noi buddisti siamo i primi a essere danneggiati nella nostra cultura e religione da queste azioni meschine. Chiunque sia dietro questo episodio non può essere sostenuto. Come buddista mi sento imbarazzato, perché il vero buddismo non è attaccare, aggredire e uccidere". Da tempo alcuni gruppi radicali di singalesi-buddisti prendono di mira la comunità islamica e cristiana. In particolare si tratta del Bodu Bala Sena (Bbs) e del Sinhala Ravaya ("eco singalese"), due gruppi estremisti la cui "missione" è quella di proteggere la popolazione buddista e singalese e la sua religione. (R.P.)

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    Bucarest: il patriarca Rai consacra l'altare della nuova chiesa dedicata a san Charbel

    ◊   Una nuova chiesa di san Charbel, quella a Bucarest, si è aggiunta a tutta la serie di edifici sacri dedicati al monaco di Annaya, icona della dedizione totale, divenuto dopo la morte uno dei più gradi taumaturghi della Chiesa universale. Bianca, pulita, spaziosa, la chiesa è stata dedicata ieri dal patriarca maronita Bechara Rai, grazie agli sforzi della piccola comunità libanese installatasi in Romania dopo la caduta di Ceausescu. Assieme ai libanesi, integratesi in modo perfetto nel Paese - riferisce l'agenzia AsiaNews - vi sono altri cristiani orientali: soprattutto irakeni, e poi siriani, giordani, qualche armeno. Tutti hanno partecipato alla cerimonia, dato che la chiesa servirà da punto di raccolta di tutti i cattolici orientali in Romania e Bulgaria. Almeno 500 persone si sono ritrovate all'interno della chiesa, coi muri dipinti di fresco e i banchi di legno chiaro per assistere alla cerimonia della consacrazione. L'edificio è stato costruito grazie alle offerte dei fedeli, dall'obolo della vedova e dai doni dei più facoltosi. Fra questi ultimi vi è Sarkis Sarkis, imprenditore il cui gruppo agroalimentare è il numero due dell'economia rumena. Da ieri nel cielo di Bucarest risuonano due campane, giunte da Beit Chébab, il villaggio libanese dove esiste ancora un artigianato tradizionale per fondere le campane. Attorno all'altare, insieme al patriarca Rai, vi erano quattro vescovi libanesi, l'arcivescovo di Bucarest, mons. Ioan Robu, il nunzio apostolico in Romania. Fra gli ospiti, in prima fila, Rana Moqaddam, ambasciatrice del Libano, il Mufti della Romania, un rappresentante della Chiesa ortodossa, ambasciatori arabi e di altre nazioni, amici del Libano e molte famiglie con figli. (R.P.)

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    I cavalieri del Santo Sepolcro dopo 50 anni rinnoveranno il loro statuto

    ◊   I rappresentati dei Cavalieri del Santo Sepolcro di 35 Paesi, riuniti a Roma dal 10 al 12 settembre per l’appuntamento quinquennale della “Consulta”, hanno lavorato per il rinnovo dello statuto, ormai più che cinquantenne, che regola la vita dell’ordine. Il card. Edwin O'Brian, Gran Maestro dell’ordine, in occasione dell’apertura dei lavori per il nuovo statuto si è augurato che “l’Ordine sia esigente spiritualmente nel reclutamento e nella formazione permanente dei suoi membri, e che si apra soprattutto alle giovani generazioni, oltre che alle famiglie, con l’intento di suscitare nuove energie al servizio della Terra Santa, ed anche di invogliarle a un maggior impegno nella vita delle Chiese locali”. Il nuovo statuto, riporta l'agenzia Sir, prenderà in considerazione la teologia e la pastorale del Concilio Vaticano II insieme con il nuovo diritto canonico e la mutata realtà dell’ordine, che oggi conta più di 30.000 membri. Alla fine dei lavori della Consulta la bozza preparatoria è stata presentata a diverse commissioni divise per affinità linguistica e quindi, per mano del Gran Maestro, sarà portata al Papa per l’approvazione. (D.P.)

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    Premio “Sigilli dell’Amicizia 2013”: tra i vincitori giornalista della Radio Vaticana

    ◊   Consegnati sabato scorso nella cittadina campana di Calvi i “Sigilli dell’Amicizia 2013”, Premio giunto alla quarta edizione, volto ad evidenziare l’impegno profuso da persone che hanno “ben operato nei loro campi d’azione, dalla cultura al sociale, dall’arte allo spettacolo, testimoniando i valori dell’amicizia, della solidarietà e dell’umana comprensione”. Tra i vincitori dell’edizione 2013 la collega Roberta Gisotti, che ha ritirato il riconoscimento dal parroco don Salvatore Cicatielli, responsabile del Cenacolo GAM (Gioventù Ardente Mariana). Nella motivazione sottolineata “l’alta professionalità con cui si spende sia in campo accademico sia in quello della comunicazione religiosa”. Tra gli altri premiati: Salvatore Esposito, presidente della Federazione internazionale Città Sociale; Achille Mottola, presidente del Conservatorio di Musica di Napoli; il giornalista Rai Vincenzo Perone; lo scrittore e regista Federico Moccia; il danzatore Kledi Kadiu.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 259

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.