Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 15/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • E' la misericordia di Dio, non la giustizia umana, a salvare il mondo: così il Papa all'Angelus
  • Tweet del Papa: cercare la felicità nelle cose materiali è un modo sicuro per non essere felici
  • Papa Francesco incontra il clero romano: servono pastori, non chierici di Stato
  • Oggi in Primo Piano

  • Venti anni fa l'omicidio mafioso del Beato Pino Puglisi, morto per amore della gente di Brancaccio
  • Siria. Domani all’Onu il rapporto sulle armi chimiche
  • In Siria a rischio l'unico Centro di cardiochirurgia pediatrica
  • Il Pakistan si prepara a portare all’Onu la vicenda dei droni statunitensi
  • Violenze alla vigilia delle elezioni parlamentari in Rwanda, due morti a Kigali
  • Conclusa la Settimana sociale dei cattolici italiani: la ripresa del Paese deve partire dalla famiglia
  • Vajont. Manifestazioni in ricordo della tragedia del 9 ottobre 1963
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq: ondata di attentati contro obiettivi sciiti, almeno 35 vittime
  • Pakistan: talebani pongono le condizioni per il dialogo con il governo
  • Afghanistan: almeno 27 morti nel crollo di una miniera di carbone
  • Usa: alluvioni in Colorado, cinque vittime e 500 dispersi
  • Baviera al voto: test per la Merkel in vista delle politiche
  • Dialogo interreligioso: New Delhi, nuovo Workshop del Kaiciid sul tema "L'immagine dell'altro"
  • Concluso il Capitolo generale degli Agostiniani
  • Pellegrinaggio al Santuario di Guadalupe per rilanciare la missione in America Latina
  • Si sta per chiudere l'inchiesta diocesana per la beatificazione del card. kenyano Otunga
  • Malawi, plenaria del Centro dell’Apostolato biblico del Secam
  • A Parigi si festeggia la Giornata della gioventù diocesana
  • Avignone: festa diocesana della famiglia dedicata ai Beati coniugi Martin
  • Il Papa e la Santa Sede



    E' la misericordia di Dio, non la giustizia umana, a salvare il mondo: così il Papa all'Angelus

    ◊   E’ la misericordia di Dio e non la giustizia umana a salvare il mondo: è quanto ha detto oggi Papa Francesco all’Angelus, rivolgendosi alle tantissime persone radunatesi in Piazza San Pietro nonostante la giornata piovosa. Il Papa ha ricordato anche il nuovo Beato argentino, il prete gaucho José Gabriel Brochero, che ha diffuso il Vangelo cavalcando una mula, e infine ha salutato i partecipanti alla Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, riuniti a Torino sul tema della famiglia. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Al centro della riflessione del Papa è stato il Vangelo del giorno con le tre parabole della misericordia: quella della pecora smarrita, della moneta perduta e del figlio “prodigo” e del figlio "che si crede giusto, che si crede santo". Parabole che parlano della gioia di Dio. Ma qual è la gioia di Dio, ha chiesto il Papa:

    “La gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo, qui, eh?, c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è 'buonismo'! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal 'cancro' che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!”

    “Gesù – ha aggiunto il Papa - è tutto misericordia, tutto amore: è Dio fatto uomo”. E “ognuno di noi è quella pecora smarrita, quella moneta perduta; ognuno di noi è quel figlio che ha sciupato la propria libertà seguendo idoli falsi, miraggi di felicità, e ha perso tutto”:

    "Ma Dio non ci dimentica, il Padre non ci abbandona mai. Ma, è un Padre paziente: ci aspetta sempre! Rispetta la nostra libertà, ma rimane sempre fedele. E quando ritorniamo a Lui, ci accoglie come figli, nella sua casa, perché non smette mai, neppure per un momento, di aspettarci, con amore. E il suo cuore è in festa per ogni figlio che ritorna. E’ in festa perché è gioia! Dio ha questa gioia, quando uno di noi, peccatore, viene da Lui e chiede il Suo perdono".

    Il pericolo – ha quindi proseguito – è presumere di essere giusti, giudicando gli altri. Ma in questo modo “giudichiamo anche Dio, perché pensiamo che dovrebbe castigare i peccatori, condannarli a morte, invece di perdonare”:

    "Allora sì che rischiamo di rimanere fuori dalla casa del Padre! Come quel fratello maggiore della parabola, che invece di essere contento perché suo fratello è tornato, si arrabbia con il padre che lo ha accolto e fa festa. Se nel nostro cuore non c’è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti, perché è l’amore che salva, non la sola pratica dei precetti. E’ l’amore per Dio e per il prossimo che dà compimento a tutti i comandamenti. E questo è l’amore di Dio, la Sua gioia: perdonare. Ci aspetta sempre, eh? Forse qualcuno nel suo cuore ha qualcosa di pesante: 'Ma ho fatto questo, ho fatto quello' … Lui ti aspetta! Lui è padre: sempre ci aspetta!".

    Se noi viviamo secondo la legge “occhio per occhio, dente per dente” – ha osservato – “mai usciamo dalla spirale del male”:

    “Il Maligno è furbo, e ci illude che con la nostra giustizia umana possiamo salvarci e salvare il mondo. In realtà, solo la giustizia di Dio ci può salvare! E la giustizia di Dio si è rivelata nella Croce: la Croce è il giudizio di Dio su tutti noi e su questo mondo. Ma come ci giudica Dio? Dando la vita per noi! Ecco l’atto supremo di giustizia che ha sconfitto una volta per tutte il Principe di questo mondo; e questo atto supremo di giustizia è proprio anche l’atto supremo di misericordia. Gesù ci chiama tutti a seguire questa strada: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36)”.

    E parlando a braccio ha aggiunto:

    “Io vi chiedo una cosa, adesso. In silenzio, tutti. Pensiamo, ognuno pensi ad una persona con la quale non sta bene, con la quale ci siamo arrabbiati, alla quale non vogliamo bene. Pensiamo a quella persona e in silenzio, in questo momento, preghiamo per questa persona e diventiamo misericordiosi con questa persona”.

    Dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa ha ricordato che ieri, in Argentina, è stato proclamato Beato José Gabriel Brochero, sacerdote della diocesi di Córdoba, vissuto tra il 1800 e il 1900. Un prete “esemplare” – ha detto Papa Francesco - “che ha percorso instancabilmente in groppa ad una mula gli aridi sentieri della sua parrocchia, cercando, casa per casa, le persone che gli erano state affidate per portarle a Dio”:

    “Spinto dall’amore di Cristo si dedicò interamente al suo gregge, per portare tutti nel Regno di Dio, con immensa misericordia e zelo per le anime. Stava con la gente, e cercava di portarne tanti agli esercizi spirituali. Andava chilometri e chilometri, cavalcando le montagne, con la sua mula che si chiamava ‘Facciabrutta’, perché non era bella … Anche andava con la pioggia, era coraggioso … Ma anche voi, con questa pioggia siete qui, siete coraggiosi: bravi, eh!! Alla fine, questo beato era cieco e lebbroso, ma pieno di gioia, la gioia del buon Pastore, la gioia del Pastore misericordioso!”.

    Il Papa ha quindi pregato il Signore perché si moltiplichino i sacerdoti che, imitando il nuovo Beato, “consegnino la loro vita al servizio dell'evangelizzazione, sia in ginocchio davanti al Crocifisso, sia dando testimonianza ovunque dell'amore e della misericordia di Dio”.

    Infine, ha ricordato che oggi a Torino si conclude la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, sul tema “Famiglia, speranza e futuro per la società italiana”:

    “Saluto tutti i partecipanti e mi rallegro per il grande impegno che c’è nella Chiesa in Italia con le famiglie e per le famiglie e che è un forte stimolo anche per le istituzioni e per tutto il Paese. Coraggio! Avanti su questa strada della famiglia!”.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: cercare la felicità nelle cose materiali è un modo sicuro per non essere felici

    ◊   Il Papa ha lanciato stamani un nuovo tweet: “Cercare la propria felicità nell'avere cose materiali – scrive - è un modo sicuro per non essere felici”.

    inizio pagina

    Papa Francesco incontra il clero romano: servono pastori, non chierici di Stato

    ◊   Papa Francesco incontra domani mattina a San Giovanni in Laterano i sacerdoti della sua diocesi di Roma. Per prepararsi all’incontro il cardinale vicario Agostino Vallini, su richiesta del Papa, ha inviato al clero una riflessione scritta nel 2008 dall’allora cardinale Bergoglio, quando era arcivescovo di Buenos Aires, per presentare l’identità presbiterale alla luce del Documento di Aparecida, scaturito dalla V Conferenza dell’episcopato latinoamericano. Nel servizio di Alessandro Gisotti riproponiamo alcuni passaggi chiave di questa riflessione:

    La Chiesa ha bisogno di “pastori del popolo e non chierici di Stato”. E’ uno dei passaggi forti della lettera che l’allora arcivescovo di Buenos Aires inviò nel 2008 ai suoi sacerdoti l’anno dopo la Conferenza di Aparecida. Il cardinale Bergoglio sottolinea innanzitutto che l’identità del presbitero si definisce “in relazione alla comunità” con due caratteristiche: “dono” e “fedeltà”. “E’ opportuno non dimenticare – scrive il futuro Papa – che identità dice appartenenza; si è nella misura in cui si appartiene. Il presbitero appartiene al Popolo di Dio, da esso è stato tratto, ad esso è inviato e di esso forma parte”. E avverte che “chi non entra in questa appartenenza di comunione” scivola “nell’isolamento dell’io”. La coscienza “staccata dal percorso del Popolo di Dio – avverte – è uno dei maggiori danni alla persona del presbitero” e ribadisce che “ciò che conferisce identità al presbitero è la sua appartenenza al Popolo di Dio concreto”. Per questo, “ciò che toglie o confonde la medesima identità è proprio l’isolamento della sua coscienza in relazione a tale popolo”. Ma chi dunque permette la realizzazione di questa comunione? L’arcivescovo di Buenos Aires non ha dubbi: è “lo Spirito Santo” che “distingue e armonizza”. “Senza lo Spirito Santo – prosegue – corriamo il rischio di perdere l’orientamento nella comprensione della fede”, rischiamo di “non essere inviati ma di partire per conto nostro e finire disorientati in mille modi di autoreferenzialità”.

    Il cardinale Bergoglio rivolge dunque la sua riflessione all’immagine del Buon Pastore. Il Documento di Aparecida, osserva, chiede ai sacerdoti “atteggiamenti nuovi”. La prima esigenza, scrive, “è che il parroco sia una autentico discepolo di Gesù Cristo, perché solo un sacerdote innamorato del Signore può rinnovare una parrocchia”. Nel contempo, però, “deve essere un ardente missionario che vive nel costante anelito di andare alla ricerca dei lontani e non si accontenta della semplice amministrazione”. Ecco allora che l’immagine del Buon Pastore richiede “discepoli innamorati” e “missionari ardenti”. Ed evidenzia che “alla base dell’esperienza del discepolo missionario appare, come indispensabile, l’incontro con Gesù Cristo”. Del resto, auspica che “si passi da una pastorale di sola conservazione ad una pastorale decisamente missionaria”. La lettera si sofferma dunque sul tema del “custodire” il gregge affidato ai presbiteri. “L’azione del custodire – si legge – implica una dedizione faticosa e con tenerezza”, “si custodisce ciò che è fragile, ciò che è prezioso”. Il futuro Pontefice dedica dunque spazio all’opzione preferenziale per i poveri. E rammenta come da Aparecida emerga il profilo “di un sacerdote che esce verso le periferie abbandonate, riconoscendo in ogni persona una dignità infinita”.

    La Lettera non manca poi di affrontare il tema della misericordia con alcune considerazioni illuminanti sull’amministrazione del Sacramento della Riconciliazione. “Capita – afferma il cardinale Bergoglio – che molte volte i nostri fedeli, nella confessione, trovino sacerdoti lassisti o rigoristi. Nessuno dei due è veramente testimone dell’amore del Signore”, perché “nessuno dei due si fa carico della persona, ambedue – elegantemente – la scaricano”. Il rigorista, spiega, “la rimanda alla freddezza della legge, il lassista non la prende sul serio e cerca di addormentare la coscienza del peccato”. E conclude: “Solo il presbitero misericordioso si fa carico della persona, si fa prossimo, si fa vicino, e lo accompagna nel cammino della riconciliazione”. I lassisti e i rigoristi, invece, “non sanno nulla della prossimità e preferiscono scansare il problema”.

    La lettera si conclude dunque con i “richiami del Popolo di Dio ai suoi presbiteri”: che abbiano una profonda esperienza di Dio, che siano missionari mossi dalla carità pastorale, che siano in comunione con il loro vescovo e ancora che siano attenti alle necessità dei più poveri e siano pieni di misericordia. Dietro questi richiami, avverte, “vi è l’ansia implicita” dei fedeli che ci vuole “pastori di popolo e non chierici di Stato, funzionari”. Uomini, soggiunge, “che non si dimentichino di essere stati tratti dal gregge” e che “si difendano dalla ruggine della mondanità spirituale” e si guardino dalla “corruzione spirituale che attenta contro la natura stessa del pastore”.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Venti anni fa l'omicidio mafioso del Beato Pino Puglisi, morto per amore della gente di Brancaccio

    ◊   Venti anni fa, era il 15 settembre 1993, veniva ucciso dalla mafia don Giuseppe Puglisi, il parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, beatificato il 25 maggio scorso con una solenne celebrazione al “Foro Italico Umberto I” di Palermo, davanti a 80mila fedeli. La città, questa domenica, lo ricorda con una serie di manifestazioni e con una Messa presieduta dall’arcivescovo, il cardinale Paolo Romeo, sul luogo dell’uccisione. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Avrebbe compiuto 56 anni, il 15 settembre di venti anni fa. Ai suoi assassini andò incontro con un sorriso, perché “se lo aspettava” come disse a uno dei sicari, il pentito Salvatore Grigoli, emissario dei mandanti i fratelli Graviano, arrestati nel 1994 e condannati all’ergastolo. A Brancaccio, popolare rione palermitano, don Pino Puglisi ci era nato e lì è stato ucciso, mentre rientrava a casa, dal braccio armato delle cosche che non gli perdonavano di aiutare i giovani del quartiere, togliendoli dalla strada, sottraendoli quindi alle grinfie mafiose alla costante ricerca di manovalanza. Nonostante le minacce ricevute, aveva continuato a insegnare loro le regole e il valore dell’onestà. E’ stato da molti chiamato il parroco antimafia, in realtà le persone a lui più vicine lo chiamavano 3P. Maurizio Artale, presidente del centro Padre Nostro, fondato da don Pino nel 1993, subito divenuto punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere:

    R. – Erano le iniziali: Padre Pino Puglisi. Oggi stonerebbe qualche cosa, perché dovremmo mettere una “B” e due “P”, perché è beato, ormai!

    D. – Cosa ha significato per voi la sua beatificazione?

    R. – Sicuramente è stato un po’ il coronamento di tutto il lavoro che abbiamo svolto in questi 20 anni. Noi abbiamo creduto in padre Puglisi da subito, e quindi questo per noi è stato importante. Abbiamo compreso che questo piccolo prete di borgata era un uomo giusto.

    D. – Che cosa si dice oggi nel quartiere Brancaccio, in quegli stessi vicoli che hanno visto camminare don Pino, ma hanno visto camminare i suoi assassini?

    R. – Infatti! Cosa si dice? Che se lo meritava. Ecco, questo ‘se lo meritava’, però, racchiude forse un po’ tutta la filosofia del palermitano: “Non ci resta che dare onore al tuo lavoro, però se ti fossi fatto i fatti tuoi, oggi non saresti morto”. Ancora, secondo me, non si è percepito veramente il valore di quello che Puglisi ha fatto, non soltanto per Brancaccio, ma per Palermo e per la Chiesa di Palermo. Gli 80 mila fedeli che sono arrivati durante la celebrazione della sua beatificazione, ancora oggi non si sono tramutati in braccia, gambe, menti, che vengono a spendersi a Brancaccio. Invece noi avevamo immaginato che dopo quella partecipazione corale ci sarebbe stata una ricaduta anche all’interno del quartiere. Oggi, comunque, in Brancaccio abbiamo realizzato tanti dei sogni di Puglisi: il Centro Polivalente Sportivo, la casa dove accogliamo mamme vittime di abusi e maltrattamenti, il Centro per i detenuti, i due Centri anziani, però abbiamo bisogno di braccia, abbiamo bisogno di volontari, abbiamo bisogno di gente che si spenda in quel quartiere. Che senso ha parlare di Puglisi nei convegni, nelle tavole rotonde, scrivere libri sulla vita di Puglisi se poi questo non si tramuta nella vicinanza alla gente che soffre? Quindi, io penso che ancora la gente buona di Brancaccio non si sia impegnata abbastanza per ricambiare quel gesto di amore che Puglisi ha avuto per tutti loro. Puglisi è stato ammazzato – e lui si è fatto ammazzare – per quelle persone. Puglisi, sotto tanti punti di vista, è stato il precursore di tante iniziative. Vent’anni fa, dire “chi usa la violenza non è un uomo ma è assimilabile ad una bestia” e andare in giro per Brancaccio con gli striscioni con i ragazzi, non è come quello che possono fare oggi tante altre associazioni! Era uno che aveva tanta speranza, e aveva fiducia in quella che poteva essere la forza dirompente della Parola di Dio!

    D. – In questi venti anni, che cosa è cambiato, a Brancaccio?

    R. – Ah, ma sicuramente è cambiato tantissimo, grazie ad un uomo che è stato ammazzato. Quindi, paradossalmente, quel frutto che la mafia voleva cancellare, dicendo “noi ti facciamo morire e marcirai”, quel frutto ha dato tantissimi semi. Le istituzioni, da parte loro, hanno fatto delle azioni “spot”, a macchia di leopardo, ma non c’è stato effettivamente un progetto per Brancaccio!

    D. – Il vostro Centro continua ad essere soggetto ad attentati, ad intimidazioni …

    R. – Questo è il segnale che siamo sulla buona strada, e spesso questo non si comprende. Loro ci dicono: “Noi siamo qua”, e noi rispondiamo loro: “E noi pure!” e continuiamo a stare là. Io sono stato minacciato di morte nel 2007, questo significa che uno si ferma un istante e dice: “Bene, che devo fare?”. E poi se ha quella molla, però si dice: “Se chi mi ha preceduto in questa opera titanica, che era padre Pino Puglisi, ci ha rimesso la vita, allora, diamo un senso alla nostra!”. Abbiamo un ergastolano, deve sentire che cosa lui dice di Puglisi! Ci ha fatto commuovere quando ha detto: “Mi auguro, quando morirò anch’io, di poterlo incontrare, padre Puglisi, perché sto lavorando tanto per il suo Centro che sarebbe un peccato se io non lo incontrassi!”. Allora, il mio appello è: venite a Brancaccio, venite al Centro Padre Nostro! Se veramente avete amato e continuerete ad amare padre Puglisi, dovete venire là a testimoniare l’amore che avete per lui.

    D. – Ho davanti la foto che è stata esposta anche il giorno della sua beatificazione, la conosciamo tutti, questo suo sorriso sereno, questi suoi occhi accoglienti. Le cronache ci dicono che questo stesso sorriso è stato quello che ha accolto i suoi sicari …

    R. – Non solo li ha accolti: li ha convertiti! Il primo miracolo, secondo la mia modesta opinione, che ha fatto Puglisi è stato avere convertito Salvatore Grigoli. Lui dirà al tribunale: “Vostro onore, io ho ucciso 40-50 persone, non mi ricordo. Di uno mi ricordo: padre Puglisi. Perché mentre gli dicevo: questa è una rapina, lui mi guardò negli occhi e mi sorrise. Ma non era un sorriso di beffa, era il sorriso di un’accoglienza”. Ecco qual è il miracolo di Puglisi. Noi quel sorriso l’abbiamo stampato, come ormai tutti, nella nostra mente. Tutte le sere quando io torno a casa, passo da piazzale Anita Garibaldi dove lui è stato ammazzato, guardo quella statua e ogni sera gli dico sempre la stessa cosa: “Pino, tutto a posto? Sì? Ci vediamo domani”. E allora, è un volere continuare la sua opera, anche nelle cose quotidiane, nella semplicità. Non c’è bisogno di eroi, in questa terra. C’è bisogno soltanto che ognuno faccia la sua parte, come ci ha insegnato lui.

    inizio pagina

    Siria. Domani all’Onu il rapporto sulle armi chimiche

    ◊   Occhi puntati della comunità internazionale sul palazzo di vetro di New York, dove domani il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon illustrerà al Consiglio di sicurezza il rapporto degli esperti Onu sull'uso di armi chimiche in Siria. Intanto prendono quota le possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto, dopo l’accordo raggiunto ieri tra Russia e Stati Uniti sul controllo dell’arsenale chimico di Damasco. Il servizio di Marco Guerra:

    È tutt’altro che univoca la reazione della comunità internazionale all’accordo in sei punti siglato dal segretario di Stato Usa John Kerry e il suo omologo russo Serjei Lavrov, che dà al governo di Assad una settimana di tempo per consegnare la lista delle armi chimiche presenti sul territorio siriano. Mosca, Pechino e Teheran hanno accolto favorevolmente l’intesa e anche il governo di Damasco non nasconde la sua soddisfazione definendola una “vittoria che permette di evitare la guerra”. Plauso anche dalla Lega Araba e dall’Ue che, attraverso il capo della diplomazia, Catherine Ashton, offre aiuto per distruggere le armi chimiche. Cautela e perplessità vengono espresse invece da Israele che vede messi alla prova gli sforzi per fermare il riarmo nucleare iraniano. Aperte critiche si registrano poi dal capo militare dell’opposizione siriana, anche se gli organi politici riconoscono che bisogna “cogliere quest'opportunità” e chiedono all’Onu di vietare anche missili balistici e aerei. Inoltre, secondo la coalizione anti-governativa, “non bisogna permettere che l'adesione del regime alla Convenzione sulle armi chimiche diventi un alibi per continuare a rimanere impunito”. Di un atto definito di “audace debolezza” parlano infine i repubblicani americani. Di segno opposto i commenti dei democratici, secondo cui l’accordo è stato raggiunto grazie alla minaccia dell’amministrazione Obama. Se la diplomazia dovesse fallire, gli Stati Uniti restano infatti pronti ad agire con un interveto armato.

    inizio pagina

    In Siria a rischio l'unico Centro di cardiochirurgia pediatrica

    ◊   L’associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo ha lanciato l’allarme sulla possibile chiusura del Centro di cardiochirurgia pediatrica dell’Università di Damasco, nato nel 2011. Vi sono stati formati 15 medici siriani, che hanno compiuto 170 operazioni. Il Centro è l’unico in Siria specializzato in cardiochirurgia pediatrica ed è diretto dal dott. Tamman Youssef. Debora Donnini lo ha intervistato:

    R. - Oggi ovviamente sotto questo embargo e con queste sanzioni, il campo medico è molto colpito, però, per fortuna, questo Centro si trova in una zona verde, sotto protezione. Quindi non ci sono sparatorie, ma ci sono ugualmente delle difficoltà. Arrivano tantissimi bambini perché questo è l’unico centro della Siria che cura questo tipo di bambini. Abbiamo una lista d’attesa di 3 - 4 mila bambini che aspettano di essere curati. Il Centro di solito doveva fare due o quattro interventi al giorno; adesso ne fanno solamente uno ovviamente per vari motivi. Questi problemi sono legati alla mancanza dei farmaci, del materiale necessario per gli interventi di cardiochirurgia, perché un intervento per un bimbo costa intorno ai 1.500 euro, perché si tratta di un intervento complesso che richiede l’uso di tanto materiale. E per vari motivi, non esistono questi materiali.

    D. - In questo momento qual è l’appello dell’Associazione bambini cardiopatici nel mondo? Di che cosa avete bisogno per non chiudere l’ospedale?

    R. - L’Associazione Bambini Cardiopatici chiede appoggio ad associazioni di diverse entità, pubbliche e private, per organizzare una raccolta fondi per i materiali per duecento bambini, perché tra due o tre mesi - probabilmente - non avremo più il materiale per operare, nonostante il governo stia facendo di tutto per fornirci ciò di cui abbiamo bisogno, ma alcune volte non bastano i soldi perché se il materiale non esiste …

    D. - Il Papa ha lanciato un forte appello per la pace. Sabato si è pregato per questo a Piazza San Pietro. Come lo avete accolto?

    R. - Il Papa è stato un leader, una bussola per tutti quanti, anche per i musulmani, gli ebrei, i buddisti e addirittura per i non credenti. Il suo appello era per tutti. Quindi la saggezza umana, lo spirito umano che ha rappresentato il Papa, è un messaggio molto forte che noi teniamo come bussola. In questo modo si salvano non solo i bambini cardiopatici, ma anche quelli sani, vittime di questi tipi di guerra, e i civili. Finisce la sofferenza di un popolo intero con le parole del Papa, parole che noi consideriamo “sacrosante”, come la sua santità.

    inizio pagina

    Il Pakistan si prepara a portare all’Onu la vicenda dei droni statunitensi

    ◊   Il Pakistan sta preparando la documentazione per sollevare in ambito Onu la questione dell'azione non autorizzata dei droni Usa nei territori tribali pachistani. Lo ha reso noto oggi il portavoce del ministero degli Esteri, Chaudhry, dopo aver ricordato che i raid dei velivoli senza pilota operati dalla Cia "violano la sovranità del Pakistan". Da tempo la questione è al centro in Pakistan di manifestazioni popolari o accuse forti da parte delle autorità contro Washington. A questo proposito, Fausta Speranza ha intervistato Nico Perrone, docente di Storia americana all’Università di Bari:

    R. - Dal punto di vista internazionale sono legali, certamente; però, una piccola osservazione va fatta: il diritto internazionale è rimasto un pochino indietro rispetto a tutte le diavolerie che oggi sono state inventate, sono possibili e sono utilizzabili. Il diritto internazionale riflette una situazione di osservazione, di comunicazione di tempi ormai passati.

    D. - Che cosa può significare per gli Stati Uniti essere portati all’Onu per la questione droni?

    R. - Non significa granché, perché poi all’Onu si giudica sulla base di maggioranze e di minoranze; i membri permanenti hanno comunque sempre un peso e gli Stati Uniti sono un membro permanente… Quindi non credo che abbia poi un effetto. Diciamo che è una occasione di discussione, ma che ne possa poi venire un deterrente, fosse pure morale, per gli Stati Uniti, io non credo.

    D. - Sempre poi sottolineando e ricordandoci che quando si parla di armi e di armamenti di umano non c’è nulla, in realtà!

    R. - Certamente! Quando si parla di armi, non c’è nulla, nulla, nulla di umano! L’umano sta uscendo dalla sensibilità delle persone e dalle sensibilità delle relazioni internazionali. E’ uscito da tanto tempo! E’ un degrado certamente di diplomazie, è un degrado politico, è un degrado morale.

    D. - Come affrontare questa questione, in questo momento?

    R. - L’unica cosa che si può fare è parlarne; è far conoscere queste realtà nuove, far conoscere i pericoli di queste realtà, perché pericoli ce ne sono; e cercare quindi di sensibilizzare le coscienze. Credo che siano gli unici strumenti che ci sono rimasti. Proviamo per questa strada!

    D. - Professore, senza addentrarci nei tecnicismi, facciamo invece un discorso politico. Gli Stati Uniti usano i droni in Pakistan, in questo momento storico in particolare. Contestualizziamo l’intervento in Pakistan?

    R. - Col Pakistan siamo in una delle terre di confine, nelle quali gli Stati Uniti hanno una influenza, cercano di averne di più, in parte la perdono. Quindi è chiaro che lì giocano le loro carte con una maggiore libertà che altrove ma anche con maggior timore che altrove: perché lì, soprattutto in quelle aree, sta cambiando il mondo, stanno cambiando molte cose.

    D. - I droni in Pakistan rappresentano anche un’estrema azione quando la situazione si è incagliata: gli Stati Uniti in Pakistan, in fondo, si sono incagliati ...

    R. - Certamente, si sono incagliati lì e si sono incagliati in tante parti. Anche nelle grandi questioni della politica internazionale, nei rapporti su questioni decisive: con la Russia sono più che incagliati… Devo dire che in questa situazione l’unico fatto positivo è, forse, emerso dalla necessità, che anche gli Stati Uniti debbono avvertire, di dover negoziare, di dover negoziare su tutto e forse dover negoziare anche su questa faccenda dei droni. Portare la questione all’attenzione è aprire una strada per indurli a negoziare, per indurli a capire che devono negoziare anche su questo.

    inizio pagina

    Violenze alla vigilia delle elezioni parlamentari in Rwanda, due morti a Kigali

    ◊   Domani in Rwanda si tengono le elezioni parlamentari, un test per la tenuta del governo di Paul Kagame, di fatto al potere dal 1994, ovvero dalla fine della tragica guerra civile che coinvolse Hutu e Tutsi. Alla vigilia del voto due persone sono morte nella capitale, Kigali, per l'esplosione di alcune granate. Ma l’appuntamento elettorale va guardato anche nella cornice degli scontri ancora in corso tra opposte fazioni nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. Sulla situazione ruandese, Davide Maggiore ha intervistato Carlo Carbone, docente di Storia dell’Africa presso l’Università della Calabria:

    R. - Le poste in gioco direi che sono due: lo sviluppo della politica di Kagame all’interno del Paese e il tentativo di trascinare la maggioranza dei ruandesi sul consenso alla politica internazionale del Rwanda. Per quanto riguarda la politica interna, da quando Kagame è andato al potere ha fatto dei tentativi più o meno formali, più o meno sostanziali - gli aggettivi vengono usati rispettivamente dai detrattori o dai sostenitori - di produrre una politica interna che attenuasse il pericolo di una ricaduta nel conflitto etnico. Il Rwanda rimane pur sempre un Paese nel quale c’è una grande maggioranza di hutu e una relativa minoranza di tutsi - importante da un punto di vista economico e culturale, ma pur sempre una minoranza - che non hanno ancora totalmente messo da parte gli elementi del conflitto che hanno caratterizzato la vita interna del Paese dall’arrivo dei colonialisti.

    D. - A quasi 20 anni dai fatti del 1994 come può essere descritta oggi la convivenza tra hutu e tutsi all’interno del Rwanda?

    R. - La situazione odierna delle relazioni interetniche è migliore rispetto a 20 anni fa. Quando il fronte tutsi vinse la guerra, tutti si aspettavano che ripristinasse - al contrario - quello che gli hutu avevano praticato fino a quel momento: escludesse cioè totalmente gli hutu. La cosa non è avvenuta. Ora che questo abbia avuto pieno successo, sarebbe una vera esagerazione; ma le cose sono molto migliorate. La mia impressione è che tenderanno a migliorare se le relazioni internazionali non peggiorano. Le relazioni internazionali nella regione - cioè quelle fra il Rwanda e il Congo - sono caratterizzate da pressioni fortissime di natura economica e queste pressioni di natura economica sono la pedina che ambedue i Paesi tentano di giocare per salvaguardare le loro relazioni reciproche e soprattutto le relazioni di potere: il Congo è un gigantesco elefante rispetto alla pulce che è il Rwanda, sul suo confine orientale. E’ la divisione all’interno del Congo che costituisce l’elemento politico importante per il Rwanda per assicurarsi un vicino disposto a trattare.

    D. - Cosa c’è da aspettarsi verosimilmente per il futuro, proprio adesso che la crisi in Kivu sembra, in qualche modo, arrivata a una svolta con le azioni della Brigata di intervento dell’Onu contro questo movimento - l’M23 - che, secondo i rapporti delle stesse Nazioni Unite ha nel Rwanda uno dei suoi principali sponsor?

    R. - Nella misura in cui l’M23 fa un po’ il gioco del governo del Rwanda, che attraverso questo tipo di azioni di disturbo si assicura il ben volere - obtorto collo - del gigante congolese. L’M23, una volta che fosse messo a tacere, potrebbe essere sostituito da un altro gruppo, con un altro nome… Quello che è importante rilevare è che nel Paese - nel Congo orientale e in particolare nel Kivu - esistono beni molto ambiti, molto appetiti dall’economia internazionale, sia quella ufficiale sia quella sommersa, che potranno comunque servire da base per una nuova e eventuale organizzazione di disturbo anti-congolese nel futuro, anche una volta sottomesso o eliminato l’M23.

    inizio pagina

    Conclusa la Settimana sociale dei cattolici italiani: la ripresa del Paese deve partire dalla famiglia

    ◊   Con un messaggio di gratitudine e di affetto per Papa Francesco si è chiusa a Torino la 47.ma Settimana sociale dei cattolici italiani. Il magistero del Vescovo di Roma e il suo saluto all’assemblea, che ha raccolto 1300 delegati da tutta Italia, sono stati, ha detto mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente del Comitato organizzatore, il costante riferimento dei lavori di questi giorni. Lavori che hanno espresso una certezza e formulato diverse proposte. La certezza: “Il ‘new deal’ italiano, cioè la rinascita del Paese, deve partire dalla famiglia”, ha detto Franco Pasquali, di Retinopera. Le proposte: un fisco equo con sgravi e facilitazioni per chi ha figli, necessità di rivedere i meccanismi del welfare. Maggiore attenzione e rispetto dei media verso la famiglia, un più efficace collegamento tra tutte le agenzie educative e in definitiva il riconoscimento del “ruolo pubblico” e non solo privato delle famiglie. Il sociologo Luca Diotallevi ha sottolineato: “Nessun servile ossequio. Ai cattolici spetta il compito di controllare le dichiarazioni” che vengono fatte dai politici. Dunque occorre rimettere la famiglia davvero al centro della società. In sostanza, come ha concluso mons. Miglio, “la nostra missione deve anch’essa farsi progetto, per continuità ed efficacia”. La Settimana sociale è finita. Ma il lavoro a favore della famiglia comincia adesso. (A cura di Mimmo Muolo)


    Per un bilancio dell’appuntamento di Torino, Federico Piana ha intervistato il presidente di Azione Cattolica, Franco Miano:

    R. – Sicuramente è un bilancio molto positivo. Prima di tutto, perché la Settimana sociale è sempre un momento in cui i laici, i sacerdoti, i vescovi si incontrano per riflettere su qualcosa che sta a cuore ai cattolici, ma stando a cuore ai cattolici sta a cuore al Paese. E in questo caso, la famiglia come speranza e futuro per la società italiana, non come un tema interno, una questione interna al mondo cattolico. E questo è stato in questi giorni, durante lo svolgimento dei lavori, ampiamente ribadito perché la famiglia è un bene per la Chiesa, è un bene per i credenti ma è un bene da promuovere anche per la società.

    D. – Come sintetizzerebbe i lavori di Torino?

    R. – Partendo dalla prolusione del cardinale Bagnasco e da una serie di approfondimenti che sono seguiti. Sono stati ribaditi i riferimenti fondamentali sul modo di intendere la famiglia: la famiglia che nasce dall’unità di un uomo e di una donna, la famiglia aperta ai figli, alla vita, aperta all’impegno e all’assunzione di responsabilità. E’ stata sottolineata la bellezza dell’essere famiglia, pur nelle difficoltà dell’oggi – non piccole! – e nello stesso tempo, però, sono stati individuati una serie di nodi problematici, relativi alla necessità di un fisco più equo per le famiglie, relativi alla necessità di politiche per il lavoro, per le nuove famiglie, per le famiglie dei giovani, e promuovere un senso di solidarietà tra le famiglie.

    D. – Da questa Settimana è uscito un appello alle forze politiche ad occuparsi di più di famiglia?

    R. – Sì: un appello forte perché la famiglia possa effettivamente continuare ad essere risorsa preziosa per il futuro della società italiana. Si è messo in evidenza con chiarezza che senza una rinnovata centralità per la famiglia, la società italiana rimane più povera ed è costretta ad essere sempre più povera. Quindi, da questo punto di vista c’è una responsabilità della politica che è stata ampiamente invocata ed evocata.

    inizio pagina

    Vajont. Manifestazioni in ricordo della tragedia del 9 ottobre 1963

    ◊   Termina oggi a Longarone la tre giorni di manifestazioni e iniziative per ricordare la tragedia del Vajont del 9 ottobre del 1963 e per diffondere la cultura della prevenzione dei disastri idrogeologici. In programma per istituzioni, Protezione civile e cittadinanza, un’esercitazione, un meeting del volontariato e un incontro tra sopravvissuti e soccorritori di quei tragici momenti. Il ricordo e le voci dei protagonisti nel servizio è di Elvira Ragosta:

    Longarone ricorda in questi giorni i 1.910 morti del Vajont travolti dalla furia dell’acqua che spazzò via interi paesi del fondovalle veneto. Memoria e prevenzione sono le parole d’ordine della commemorazione che vede coinvolte istituzioni e volontari per testare il grado di comunicazione e la prontezza di reazione della cittadinanza di fronte a una possibile calamità. Cosa è cambiato, rispetto a 50 anni fa, nella gestione delle emergenze? Lo abbiamo chiesto a Luca Zaia, presidente della Regione Veneto:

    R. - La situazione è cambiata anche perché il Vajont ha segnato un grande spartiacque anche nell’approccio rispetto a questi temi. Voglio ricordare che spesso si dice che la Protezione civile sia nata nel 1976 con il terremoto del Friuli; penso invece che la vera protezione civile – quanto meno quella meno organizzata – nasce in Italia proprio con la tragedia del Vajont. La sensibilità è aumentata, però c’è ancora molto da fare rispetto alla tutela e al dissesto idrogeologico. Oggi abbiamo coscienza del fatto che di fronte al tema sismico, come ad altri temi, ci si deve attrezzare e ci si deve ovviamente “allenare” – la palestra della protezione civile va in questo senso – ma si deve anche costruire in maniera compatibile.

    D. – Il capo della Protezione civile Gabrieli ha detto che una tragedia come quella del Vajont oggi non accadrebbe più. È d’accordo?

    R. – Non accadrebbe più come quella storia e con quei presupposti; ora non si andrebbe più a costruire una diga sul piede di una frana. Questo è sicuramente vero. È però altrettanto vero che in Italia non si investe assolutamente - ormai da decenni - nella tutela dal dissesto idrogeologico. Io vengo da quella triste esperienza dell’alluvione del Veneto dove abbiamo visto e capito che la vera sfida non è fare strada in Italia, ma quella di salvare la vita dei cittadini e dei nostri territori dalle esondazioni e dal dissesto idrogeologico.

    D. – C’è poi l’apporto importantissimo dei volontari: nel corso di queste commemorazioni migliaia di volontari veneti prendono il testimone simbolicamente rispetto ai diecimila volontari che da tutta Italia giunsero per dare una mano nei soccorsi e nel recupero delle salme…

    R. – Sì, è un passaggio di testimone ma è anche la volontà di ricordare che abbiamo un esercito silenzioso e non cruento. Un “esercito della pace”, proprio quelle persone alle quali spesso si rivolge anche Papa Francesco, che sono coloro magari di cui non si parla mai. In Veneto una persona ogni sette fa volontariato e penso che questo sia il vero valore aggiunto della nostra comunità: avere persone che gratuitamente aiutano il prossimo.

    D. – Ma come ricorda la comunità di Longarone la tragedia di quel 9 ottobre? Lo abbiamo chiesto al parroco don Gabriele Bernardi:

    R. – Amo dire che il Vajont è stata una grande catastrofe che però ha messo in moto “fiumi di solidarietà”: se la diga ha riversato un’onda di acqua seminando morte, la solidarietà ha invece riversato un’onda rigenerante.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq: ondata di attentati contro obiettivi sciiti, almeno 35 vittime

    ◊   Almeno 35 persone sono morte in seguito alla nuova ondata di violenze che oggi ha duramente colpito l’Iraq. Si tratta per lo più di attentati con autobomba contro 9 città a maggioranza sciita nel centro e nel sud del Paese: quello più sanguinoso è avvenuto a Hilla, dove 16 persone sono rimaste uccise nell'esplosione di 4 ordigni. Soli ieri, un kamikaze si era fatto esplodere durante un funerale provocando la morte di 21 persone. Il Paese sta infatti attraversando la più dura escalation di violenze dal 2008, con oltre 4000 vittime dallo scorso aprile, a causa del riaccendersi dello scontro settario tra sciiti e sunniti, alimentato dal conflitto nella confinante Sira.

    inizio pagina

    Pakistan: talebani pongono le condizioni per il dialogo con il governo

    ◊   Il rilascio di prigionieri e il ritiro dell'esercito pachistano ai confini dei territori tribali. Sono le condizioni poste dai talebani del Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP) per accettare l’offerta di un negoziato di pace avanzata dal governo di Islamabad. Secondo un portavoce del movimento integralista, “le precondizioni sono state formulate per verificare la serietà dell'offerta governativa” e la reale libertà di azione dell’esecutivo “nonostante le prevedibili pressioni interne ed estere”. La cautela, spiegano gli analisti, è dovuta ai precedenti fallimenti delle trattative circa la stabilizzazione del Waziristan meridionale e la Valle dello Swat. Il 9 settembre scorso una Conferenza di tutti i partiti (Acp) pachistani, presieduta dal premier Nawaz Sharif, ha messo a punto un documento in cui si ribadisce l'impegno nella lotta al terrorismo, pur privilegiando il dialogo come strumento per raggiungere questo obiettivo. (M.G.)

    inizio pagina

    Afghanistan: almeno 27 morti nel crollo di una miniera di carbone

    ◊   È di almeno 27 morti e 20 feriti il bilancio ancora provvisorio del crollo di una miniera di carbone in Afghanistan, nella provincia settentrionale di Samangan. Circa 15 minatori sono stati tratti in salvo, ma si teme che decine di altre persone possano essere rimaste intrappolate nel sottosuolo. Secondo quanto ha riferito il portavoce del governo provinciale, Aziz Sediqi, all'interno di una galleria della miniera vi sarebbe stato un corto circuito che ha causato un incendio ed un successivo crollo.

    inizio pagina

    Usa: alluvioni in Colorado, cinque vittime e 500 dispersi

    ◊   Oltre 500 persone risultano disperse oggi in Colorado, nell’ovest degli Stati Uniti, a causa delle inondazioni dovute alle forti piogge che hanno provocato finora cinque morti. Lo riferiscono le autorità locali le quali, comunque, precisano che tra i dispersi risultano anche persone che non sono ancora riuscite a contattare i familiari. Inanto l’allerta meteo resta alta in quanto sono previste nuove piogge che potrebbero provocare un ulteriore innalzamento del livello dei fiumi. Il presidente Usa, Barack Obama, ha già firmato il documento per lo stato di emergenza che stanzia fondi per aiutare il Colorado.

    inizio pagina

    Baviera al voto: test per la Merkel in vista delle politiche

    ◊   Circa 9,5 milioni di elettori sono chiamati alle urne oggi in Baviera per il rinnovo del parlamento locale. Il voto nel ricco land tedesco è seguito con molta attenzione in tutta la Germania, perché considerato un test cruciale in vista delle elezioni politiche del 22 settembre. La maggioranza dei sondaggi dà per vincenti i moderati dell’Unione cristiano-sociale (Csu), ‘gemella’ bavarese della Cdu della cancelliera Angela Merkel. L’eventuale riconquista della maggioranza assoluta nel parlamento bavarese (persa cinque anni fa) da parte dei conservatori, rafforzerebbe la corsa alla cancelleria della coalizione cristiano-liberale. Invece, per il partito socialdemocratico di Christian Ude, sarebbe già un successo non scendere al di sotto del 18,6%, anche se gli ultimi sondaggi indicano la Spd al 18%, con i Verdi al 10%. (M.G.)

    inizio pagina

    Dialogo interreligioso: New Delhi, nuovo Workshop del Kaiciid sul tema "L'immagine dell'altro"

    ◊   Si svolge domani a New Delhi, presso il Kempinski Hotel, un Workshop nell’ambito del programma “The Image of the Other” (“L’immagine dell’altro”) promosso dal “King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue, il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale “Re Abdullah Bin Abdulaziz” (KAICIID) fondato da Arabia Saudita, Spagna e Austria con la Santa Sede nel ruolo di organismo osservatore e fondatore. Il programma intende rispondere alla sfida “Come dare un’immagine obiettiva dell’altro?” che sarà sviluppata nell’arco di tre anni: per il 2013, si guarderà all’educazione, il prossimo anno al contesto dei mass media e nel 2015 alla sfera di Internet. Dopo il primo workshop per l’Europa e il Medio Oriente celebrato a Vienna, il 22 maggio scorso e dedicato in particolare all’educazione interreligiosa e interculturale, e dopo l’incontro del 26 agosto ad Addis Abeba, dedicato all’Africa, è ora la volta dell’Asia. Inaugurato ufficialmente il 26 novembre 2012, il Centro Kaiciid è stato fondato per facilitare, rafforzare ed incoraggiare il dialogo tra i seguaci delle diverse religioni e culture del mondo, così da migliore la cooperazione, il rispetto delle diversità, la giustizia e la pace. Alla cerimonia inaugurale dello scorso anno aveva preso parte il card. Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il quale ha definito il Centro “un’opportunità per aprire un dialogo su molti temi”, tra cui quello della “libertà religiosa in tutte le sue forme, per ogni uomo, per ogni comunità, ovunque”. Sempre nel novembre scorso, spiegando l’iniziativa, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi aveva detto: “È importante osservare che il nuovo Centro non si qualifica come un’istituzione propria del Regno dell’Arabia Saudita, ma come Organizzazione internazionale indipendente, riconosciuta dalle Nazioni Unite”, “un’opportunità e uno spazio di dialogo” in cui “mettere ulteriormente a frutto l’esperienza e l’autorevolezza della Santa Sede nel campo del dialogo interreligioso”. Da ricordare, infine, che il Re d’Arabia, Abdullah Bin Abdulaziz, aveva informato personalmente l’allora Pontefice Benedetto XVI del progetto relativo al Kaiciid il 6 novembre 2007, durante un’udienza in Vaticano. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Concluso il Capitolo generale degli Agostiniani

    ◊   E' terminato ieri il Capitolo generale ordinario dell'Ordine di Sant'Agostino. Il Capitolo ha eletto il Consiglio generale dell'Ordine che aiuterà il priore generale Padre Alejandro Moral Antón nel governo. Il priore generale ha indicato nella frase evangelica “Siate compassionevoli come è misericordioso il Padre vostro celeste” la frase guida del suo mandato e si è richiamato al principio della Regola e del Vangelo secondo cui chi presiede sia come colui che serve. Padre Alejandro ha indicato come desiderio primario che sia messa al centro la vita spirituale e di preghiera e ha indicato i seguenti punti programmatici: priorità alla dimensione orante; alimentare la vita comunitaria tramite iniziative concrete che le commissioni internazionali sapranno esplicitare dalle proposte capitolari e che giungeranno ai consigli delle varie circoscrizioni; pastorale vocazionale e cura della propria vocazione; attenzione alla formazione, sia iniziale sia permanente; analisi della situazione sociale attuale per rispondere con il Vangelo alle esigenze di oggi; costruire una maggiore centralizzazione economica per manifestare la dimensione della povertà nell’Ordine; importanza dello studio e della dimensione culturale nell’Ordine, a partire dall’Istituto Patristico; attenzione alla vita contemplativa monastica, continuando quanto già avviato dal consiglio precedente con l’incontro delle monache a Guadarrama; cura del laicato agostiniano e della gioventù, tramite anche l’organizzazione di nuovi convegni per laici e animatori di pastorale giovanile; rafforzare la comunicazione e l’interscambio di informazioni. Papa Francesco aveva aperto il Capitolo il 28 agosto scorso presiedendo la Messa nella Chiesa romana di Sant'Agostino. L'Ordine di Sant'Agostino ha come padre spirituale il santo vescovo di Ippona Agostino (354 - 430) ed è stato fondato nel 1244 per vivere e promuovere lo spirito di comunità così come era vissuto dalle prime comunità cristiane (cf. Atti degli Apostoli 4,32-35).

    inizio pagina

    Pellegrinaggio al Santuario di Guadalupe per rilanciare la missione in America Latina

    ◊   Rilanciare il dinamismo della missione continentale in tutte le Chiese d’America, anche alla luce del pontificato di Papa Francesco, primo Pontefice latinoamericano: questo l’obiettivo principale del pellegrinaggio-incontro che si terrà dal 16 al 19 novembre in Messico, presso il Santuario mariano di Guadalupe. Indetto dalla Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal), insieme ai Cavalieri di Colombo e l’Istituto superiore di studi di Guadalupe, l’evento avrà come tema “Nostra Signora di Guadalupe, stella della nuova evangelizzazione nel continente americano”. Più di trecento i partecipanti attesi, tra cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, rappresentanti di movimenti ecclesiali e laici, tutti riuniti – spiega una nota della Cal – “per confrontarsi sulle sfide che impone la nuova evangelizzazione e scambiarsi esperienze di reciproco arricchimento”. In quest’ottica, continua la nota, “l’evento mira ad avere un’incidenza concreta nella vita della Chiesa di tutto il continente, creando legami di comunione e amicizia tra le Chiese locali per un rinnovato annuncio del Vangelo”. Due gli eventi che hanno portato a questo incontro: la Messa per la commemorazione dell’indipendenza dei Paesi latinoamericani, presieduta da Benedetto XVI il 12 dicembre 2010, ed il congresso “Ecclesia in America”, svoltosi in Vaticano lo scorso anno. I lavori dell’incontro si apriranno con un saluto del card. Marc Ouellet, presidente della Cal, il quale si soffermerà sul “significato dell’attuale pontificato per il continente americano”. “Auspichiamo – scrive ancora la Cal – un messaggio di Papa Francesco, che ha manifestato la sua approvazione ed il suo incoraggiamento per questa iniziativa”. Tra i momenti forti dell’incontro, si segnalano i dodici workshop fissati per domenica 17 novembre: i congressisti, divisi per gruppi presieduti da un cardinale o un vescovo, esporranno la propria esperienza nel campo dell’evangelizzazione nelle diverse aree geografiche dell’America Latina; dopo di che, si darà inizio alla riflessione libera, con un focus dedicato alla “missio ad gentes”, soprattutto in Asia. Altro elemento importante dell’evento sarà la preghiera, specialmente la grande Veglia mariana in onore della Vergine di Guadalupe, fissata per il 18 novembre e per la quale è previsto l’arrivo di oltre mille pellegrini. Infine, la Cal ricorda che in occasione del congresso verrà inaugurata la grande “Piazza Mariana” antistante il Santuario di Guadalupe: costruita su un terreno donato dal governo alla Chiesa nel 2001, la piazza ha visto una prima fase di apertura al pubblico nell’ottobre 2011, mentre a novembre i suoi circa 30mila metri quadri offriranno ai pellegrini un Centro di evangelizzazione, un museo interattivo ed un presidio sanitario. Il congresso concluderà le celebrazioni dell’Anno della Fede in America Latina, prima della Messa solenne di chiusura, presieduta da Papa Francesco in Piazza San Pietro il prossimo 24 novembre. (I.P.)

    inizio pagina

    Si sta per chiudere l'inchiesta diocesana per la beatificazione del card. kenyano Otunga

    ◊   Si chiude il 28 settembre l’inchiesta diocesana per la beatificazione del card. Maurice Otunga, primo porporato del Kenya nella storia della Chiesa. Ad annunciarlo, in questi giorni, è stato il vice-postulatore della Causa di beatificazione, padre Reginald Cruz, nel corso di una Messa commemorativa per il decimo anniversario della morte del porporato, presieduta nella Basilica minore di Nairobi dal card. John Njue, presidente dei vescovi locali. “Abbiamo raccolto migliaia di pagine di documentazione – ha spiegato padre Cruz – Tutti i documenti, chiusi e bollati con la ceralacca, secondo l’antica tradizione della Chiesa cattolica, verranno inviati alla Nunziatura apostolica che provvederà a spedirli alla Congregazione per le Cause dei Santi”. Sarà quindi questo dicastero vaticano ad esaminare il materiale e a valutarlo, prima di dare il nulla osta al processo di beatificazione. Nato nel 1923 e morto il 6 settembre 2003, figlio del capo di una tribù pagana, il card. Otunga venne battezzato nel 1935. Chiese presto di entrare in seminario, e dopo aver concluso gli studi a Roma, nel 1950venne ordinato sacerdote. Nel 1956 Pio XII lo nominò vescovo ausiliare di Kisumu: aveva soli 33 anni e divenne, così, il vescovo più giovane dell'epoca. Nel 1960 Giovanni XXIII lo nominò vescovo di Kisii, e nel 1969 fu nominato da Paolo VI arcivescovo coadiutore di Nairobi. Quattro anni più tardi, lo stesso Papa Montini lo creò cardinale, primo kenyota nella storia della Chiesa a ricevere la berretta. Nel corso della sua vita, il card. Otunga è stato presidente della Conferenza episcopale del Kenya e membro della Commissione permanente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam). Nella Curia romana, lavorò nelle Congregazioni per gli Istituti di vita consacrata e per l'Evangelizzazione dei popoli. Nel 1994, il porporato partecipò alla prima assemblea del Sinodo dei vescovi per l'Africa. Si ricorda in particolare il suo intervento sulla relazione tra l'evangelizzazione e la giustizia e la pace, temi poi ripresi nella seconda assemblea del Sinodo dedicata all’Africa, svoltasi nell'ottobre 2009, sotto il pontificato di Benedetto XVI. Semplice e umile, molto amato dal suo popolo, il card. Otunga, quando si ritirò, scelse una casa per poveri amministrata dalle “Piccole Sorelle dei poveri”. In occasione dell'apertura della causa di beatificazione, nel 2009, il postulatore padre Anthony Bellagamba, scomparso nel 2011, lo definì un uomo “dall'eccezionale vita di preghiera”. (I.P.)

    inizio pagina

    Malawi, plenaria del Centro dell’Apostolato biblico del Secam

    ◊   “L’animazione biblica di tutta l’azione pastorale” è il tema scelto per l’ottava Assemblea plenaria del Centro dell’Apostolato biblico per l’Africa ed il Madagascar (Cibam). Programmata dal 17 al 23 settembre a Lilongwe, in Malawi, la riunione riprenderà i temi dell’esortazione apostolica post sinodale “Verbum Domini”, siglata da Benedetto XVI nel 2010 e dedicata alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. “I partecipanti all’incontro – informa una nota del Secam, il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar – saranno biblisti, vescovi, sacerdoti, religiosi, laici, catechisti e giovani, sia africani che provenienti da altri continenti; saranno presenti, in veste di osservatori, anche alcuni rappresentanti delle altre Chiese cristiane del Malawi”. Obiettivo della Plenaria, continua la nota, è approntare “un piano triennale per l’organizzazione dell’Apostolato biblico nel settore umano, sociale e pastorale dell’Africa”, ribadendo, in particolare, che “la missione e la vocazione dei promotori di tale apostolato implica l’annuncio e l’approfondimento della Buona Novella nella vita della gente”. La Plenaria del Cibam sarà coordinata da padre Yves-Lucien Evaga Ndjana, responsabile della struttura per conto del Secam. Da segnalare, infine, che nel dicembre 2010 il continente africano è stato il primo ad organizzare un seminario sulla Verbum Domini, subito dopo la sua pubblicazione. (I.P.)

    inizio pagina

    A Parigi si festeggia la Giornata della gioventù diocesana

    ◊   Si festeggia questa domenica a Parigi la Giornata della gioventù diocesana, in vista della quale l’arcivescovo della città, cardinale André Vingt-Trois, ha inviato un messaggio: “Bisogna accompagnare accuratamente i bambini – ha scritto il porporato le cui parole sono state riprese dall’Osservatore Romano – giacché scopriranno rapidamente che la vita cristiana alla sequela di Cristo è cosa diversa da ciò che tutti pensano”. Il porporato osserva che mentre una volta tutti i bambini frequentavano il catechismo, oggi coloro che lo fanno costituiscono spesso un’eccezione: “Ogni comunità cristiana è solidamente responsabile delle generazioni che vengono – ricorda l’arcivescovo – dobbiamo formarci come catechisti, dedicare tempo ai ragazzi, incoraggiarli a fare il primo passo”. Il cardinale ha fatto poi riferimento all’Anno della Fede e sottolineato come spesso la prima esperienza di fede si faccia all’interno del nucleo familiare. Ma oggi, non sempre, i genitori sanno come trasmettere l’educazione cristiana, sia per competenza che per motivazione personale: “Il primo pedagogo è lo Spirito Santo che parla al cuore di ogni uomo, compreso il cuore dei bambini – aggiunge il porporato – ogni bambino può trovare un cammino di libertà per orientare la propria vita, perché la verità rende liberi”. I vescovi francesi, inoltre, sono preoccupati per il cambiamento degli orari nelle scuole del Paese, che tradizionalmente consentivano, il mercoledì mattina, la pratica del catechismo impartito da genitori. Genitori che spesso rinunciavano a mezza giornata di lavoro per adempiere a questo compito. La Giornata della gioventù diocesana è stata istituita nel 2002 dall’allora arcivescovo, cardinale Jean-Marie Lustiger, come occasione per le comunità cristiane e per le loro famiglie di riflettere sulle azioni da intraprendere per la formazione cristiana dei giovani. (R.B.)

    inizio pagina

    Avignone: festa diocesana della famiglia dedicata ai Beati coniugi Martin

    ◊   Saranno Louis e Zélie Martin, i genitori di Santa Teresa di Lisieux beatificati nel 2008, i patroni della prima Festa della famiglia organizzata dalla diocesi di Avignone, in Francia. In programma per domenica 22 settembre, l’evento avrà inizio alle ore 9.30 e vedrà la partecipazione di oltre 600 persone. “Il nostro auspicio – spiega l’arcivescovo della città, mons. Jean-Pierre Cattenoz – è quello di celebrare le famiglie davvero come ‘piccole Chiese’ nel cuore della Chiesa”. Per l’occasione, dal 20 settembre al 3 ottobre, le reliquie dei coniugi Martin saranno in pellegrinaggio all’interno della diocesi. “Nella vita dei Martin – spiega mons. Cattenoz – si avverte la forza dello Spirito Santo, perché essi si sono lasciati guidare, insieme, dal Signore, ed il loro cammino di santità si vede anche nei loro figli”. “Oggi – sottolinea il presule – la famiglia è un luogo di santità per i coniugi ed i figli; in essa, malgrado i difetti ed i limiti umani, bisogna essere pronti a camminare seguendo Dio, accettando i suoi progetti che sono più belli di quanto si possa immaginare”. In questo senso, mons. Cattenoz evidenzia che “la festa della famiglia è un modo naturale per dimostrare la bellezza di essere cristiani”. D’altronde, afferma Bernard Taïani, delegato diocesano di Avignone per la Pastorale familiare, “la festa si inserisce nel dibattito attuale sulla famiglia e sugli attacchi contro di essa, perché oggi i nuclei familiari hanno davvero bisogno di essere sostenuti e incoraggiati”. Articolata in momenti di dibattito e stand di animazione in rappresentanza di numerosi movimenti ecclesiali, la festa del 22 settembre ruoterà principalmente attorno a due conferenze: la prima sarà intitolata “La famiglia oggi”, mentre la seconda, tenuta dallo stesso mons. Cattenoz, sarà incentrata su “I coniugi Martin, un modello attuale per tutti”. Una Messa solenne, in programma alle ore 15.00, concluderà l’evento. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 258

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.