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Sommario del 13/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: le chiacchiere sono criminali perché uccidono Dio e il prossimo
  • Il Papa alla presidente dei Focolari, Maria Voce : "Andate avanti con coraggio e con gioia"
  • Il Papa alla Settimana Sociale dei cattolici italiani: promuovere la famiglia è per il bene di tutti
  • Sei mesi fa l’elezione di Papa Francesco, il commento di padre Lombardi
  • Udienze di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: “Gesù è il sole, Maria è l’aurora che preannuncia il suo sorgere”
  • Conferenza a Cracovia, mons. Paglia: riportare la famiglia al centro della politica e dell'economia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'Onu: il regime siriano spara sugli ospedali. Spiragli negoziali da Ginevra
  • Oltre un milione di bambini siriani in fuga dalla guerra
  • Filippine: padre Ufana rilasciato dai ribelli a Zamboanga. Attesa per gli altri ostaggi
  • A vent'anni dagli Accordi di Oslo, ancora in alto mare la questione israelo-palestinese
  • Mons. Santoro sull'Ilva: gravità della situazione impone visione nazionale, politica troppo timida
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Unicef: prima dei cinque anni, 18mila bambini muoiono ogni giorno
  • Siria. L'arcivescovo Marayati: “Dai ribelli nessun segnale che rassicuri i cristiani”
  • Visita in Kazakhstan del card. Sandri. Consacrerà una nuova chiesa
  • Egitto: a Minya gli islamisti trasformano in moschea una chiesa protestante
  • India: condannati alla pena di morte i 4 accusati di stupro di gruppo
  • Bangladesh: nessun risarcimento per i sopravvissuti della tragedia al Rana Plaza
  • Svizzera: no dei vescovi alla selezione genetica degli embrioni
  • Paraguay: i docenti chiedono la mediazione della Chiesa nel conflitto con il Ministero di educazione
  • Messico: il dramma dei migranti che vengono rimpatriati
  • Cina: la Chiesa si interroga sul fenomeno delle migrazioni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: le chiacchiere sono criminali perché uccidono Dio e il prossimo

    ◊   Chi parla male del prossimo è un ipocrita che non ha “il coraggio di guardare i propri difetti”. E’ il monito levato da Papa Francesco, nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che le chiacchiere hanno una “dimensione di criminalità”, perché ogni volta che parliamo male dei nostri fratelli, imitiamo il gesto omicida di Caino. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo?” Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dall’interrogativo posto da Gesù che scuote le coscienze di ogni uomo, in ogni tempo. Dopo averci parlato dell’umiltà, ha osservato, Gesù ci parla del suo contrario, “di quell’atteggiamento odioso verso il prossimo, di quel diventare giudice del fratello”. E qui, ha affermato, Gesù “dice una parola forte: ipocrita”:

    “Quelli che vivono giudicando il prossimo, parlando male del prossimo, sono ipocriti, perché non hanno la forza, il coraggio di guardare i loro propri difetti. Il Signore non fa, su questo, tante parole. Poi dirà, più avanti, che quello che ha nel suo cuore un po’ d’odio contro il fratello è un omicida... Anche l’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, lo dice, chiaro: colui che odia suo fratello, cammina nelle tenebre; chi giudica il fratello, cammina nelle tenebre”.

    Ogni volta che noi “giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore – ha proseguito – e peggio, quando ne parliamo di questo con gli altri siamo cristiani omicidi”:

    “Un cristiano omicida … Non lo dico io, eh?, lo dice il Signore. E su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello. E noi, ogni volta che lo facciamo, imitiamo quel gesto di Caino, il primo omicida della Storia”.

    E aggiunge che in questo tempo in cui si parla di guerre e si chiede tanto la pace, “è necessario un gesto di conversione nostro”. “Le chiacchiere – ha avvertito – sempre vanno su questa dimensione della criminalità. Non ci sono chiacchiere innocenti”. La lingua, ha detto ancora riprendendo l’Apostolo Giacomo, è per lodare Dio, “ma quando la nostra lingua la usiamo per parlare male del fratello o della sorella, la usiamo per uccidere Dio”, “l’immagine di Dio nel fratello”. Qualcuno, ha affermato il Papa, potrebbe dire che una persona si meriti le chiacchiere. Ma non può essere così:

    “‘Ma vai, prega per lui! Vai, fai penitenza per lei! E poi, se è necessario, parla a quella persona che può rimediare al problema. Ma non dirlo a tutti!’. Paolo è stato un peccatore forte, e dice di se stesso: ‘Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia’. Forse nessuno di noi bestemmia – forse. Ma se qualcuno di noi chiacchiera, certamente è un persecutore e un violento. Chiediamo per noi, per la Chiesa tutta, la grazia della conversione dalla criminalità delle chiacchiere all’amore, all’umiltà, alla mitezza, alla mansuetudine, alla magnanimità dell’amore verso il prossimo”.

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    Il Papa alla presidente dei Focolari, Maria Voce : "Andate avanti con coraggio e con gioia"

    ◊   Proseguono in Vaticano le udienze del Papa con i rappresentanti di associazioni e movimenti ecclesiali. Oggi è stata la volta di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari. “Un colloquio dai toni familiari che ci ha rivelato quanto il Papa tenga ad un cristianesimo impegnato e di comunione” ha detto la stessa Maria Voce al microfono di Gabriella Ceraso subito dopo l’udienza:

    R. - E’ stato un momento molto commovente, perché ci ha accolti con una grandissima cordialità, ringraziandoci del bel lavoro che il Movimento fa in tutto il mondo. Abbiamo visto quanto conosceva del Movimento, anche dalla sua esperienza argentina. E’ stato un colloquio molto familiare, in cui ci confidava anche come era arrivato – per esempio – alla decisione di indire questa Giornata di digiuno e di preghiera per la pace, e come aveva sentito che era Dio che lo muoveva a questo; e aveva sentito anche di prendere la decisione insieme ai suoi più stretti collaboratori, perché diceva: “Dio parla quando siamo uniti: quando siamo uniti nel suo nome, è lì che Dio parla. Dio non parla al capo da solo: parla alla comunità”. E vedeva anche nei frutti che ne erano derivati, il miracolo di quello che Dio può fare se noi lasciamo fare a Lui. Per cui, siamo stati molto toccati dalla sua persona, dalla sua accoglienza, dalla sua cordialità fraterna, ancora più che paterna: si è messo alla nostra portata, in tutto.

    D. – C’è qualcosa che sta particolarmente a cuore al Santo Padre, che ha potuto confidare a voi o affidare, addirittura, al Movimento dei Focolari?

    R. – Direi che gli sta particolarmente a cuore la vita del Vangelo- è tornata più volte nel discorso- con questo impegno di radicalità, di essere autentici. Noi abbiamo chiesto se avesse qualcosa da affidare al Movimento, e lui ci ha detto di andare avanti con il bene che facciamo, di andare avanti con coraggio e con la gioia. Ci ha raccomandato la gioia, perché ha detto: “Tanti dicono che il sorriso è la divisa dei Focolarini: ecco, bisogna continuare con questa gioia perché un cristiano senza gioia non ottiene niente”. Direi quindi che ha parlato di un cristianesimo impegnato, un cristianesimo di comunione – lui sentiva molto forte questa necessità di essere sempre in comunione – e gioioso.

    D. – Ha avuto modo anche di raccontare al Papa l’esperienza vissuta ad Amman, in Giordania e tutti gli incontri che lei ha avuto lì con le comunità cristiane e cattoliche?

    R. – Sì: abbiamo potuto raccontargli anche dell’incontro che abbiamo avuto lì con persone provenienti da tutti i Paesi dell’area mediorientale, fra cui anche una trentina di musulmani, i quali hanno vissuto con noi quest’esperienza, hanno pregato con noi per la pace. E lui è stato commosso e convinto, anche, perché diceva: “Ma anche in piazza San Pietro c’erano persone con il Corano in mano che pregavano”, quindi ha sentito che questa preghiera va al di là anche delle Confessioni. E allora, lì ha ricordato anche la sua amicizia con gli ebrei – abbiamo parlato anche degli ebrei… In genere, si sentiva l’apertura grande a tutta l’umanità, il suo desiderio di abbracciare l’umanità.

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    Il Papa alla Settimana Sociale dei cattolici italiani: promuovere la famiglia è per il bene di tutti

    ◊   “Mettere in evidenza il legame che unisce il bene comune alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio”: è l’auspicio del Papa rivolto ai partecipanti alla 47.ma Settimana Sociale dei cattolici italiani, aperta a Torino. Nel messaggio, indirizzato al cardinale presidente della Cei Angelo Bagnasco, Papa Francesco ricorda che la famiglia è una scuola privilegiata di generosità che educa a superare una certa mentalità individualistica che si è fatta strada nella nostra società. Il servizio di Debora Donnini:

    “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana” è il tema di questa Settimana Sociale, ma - ricorda il Papa - la famiglia è più che un tema, è vita, “è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore”, “è fatica, pazienza, e anche progetto, speranza, futuro”. E tutto questo diventa lievito ogni giorno nella pasta dell’intera società per il suo maggior bene comune. Il futuro della stessa società è poi radicato nei giovani e negli anziani, che sono la memoria viva. “Un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani - afferma - non ha futuro, perché maltratta la memoria e la promessa”. Il Papa ribadisce che la Chiesa offre "una concezione della famiglia, che è quella del libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna" e come tale "merita di essere fattivamente sostenuta". E le conseguenze delle scelte culturali e politiche, che riguardano la famiglia, toccano i diversi ambiti della vita di un Paese: dal problema demografico alle altre questioni relative al lavoro fino alla stessa "visione antropologica che è alla base della nostra civiltà". Il cuore del messaggio del Papa è sottolineare che “promuovere” la famiglia “è operare per uno sviluppo equo e solidale”. La famiglia è, infatti, “scuola privilegiata di generosità, di condivisione, di responsabilità, scuola che educa a superare una certa mentalità individualistica che si è fatta strada nelle nostre società”. Il Papa non ignora "la sofferenza di tante famiglie" dovuta alla mancanza di lavoro o ai conflitti interni oppure ai fallimenti dell’esperienza coniugale e a tutti esprime la sua vicinanza, ma ricorda anche la testimonianza semplice di tantissime famiglie “che vivono l’esperienza del matrimonio e dell’essere genitori con gioia”, “senza paura di affrontare anche i momenti della croce che – dice – vissuta in unione con quella del Signore, non impedisce il cammino dell’amore, ma anzi può renderlo più forte”. Papa Francesco ricorda anche la figura del Beato Giuseppe Toniolo che fa parte di quella schiera di cattolici laici che, nonostante le difficoltà del loro tempo, seppero percorrere strade proficue “per lavorare alla ricerca e alla costruzione del bene comune”, sottolineando che il loro esempio “costituisce un incoraggiamento sempre valido per i cattolici laici di oggi a cercare a loro volta vie efficaci per la medesima finalità”. Infine, auspica che questa Settimana Sociale possa contribuire "in modo efficace a mettere in evidenza il legame che unisce il bene comune alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, al di là di pregiudizi e ideologie".

    L’antidoto alla crisi è la famiglia. Così il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione alla Settimana sociale dei cattolici italiani. Stamani la Messa presieduta dal porporato. Il servizio da Torino di Mimmo Muolo:

    “Sulla famiglia bisogna dire la verità”. Il cardinale Angelo Bagnasco è tornato questa mattina, nella Messa che ha aperto la seconda giornata della 47.ma Settimana sociale dei cattolici italiani, sul tema della sua prolusione di ieri. Una verità che la cultura individualista dominante tenta di cancellare proponendo di eliminare la differenza sessuale e stravolgendo così la cellula fondamentale della società. Ma dall’assise in corso a Torino stanno venendo all’istituzione familiare, regolata dalla Costituzione repubblicana, notevoli riconoscimenti. Il presidente del Consiglio italiano, Enrico Letta, intervenuto in mattinata, ha ricordato che “le famiglie italiane hanno attutito l'impatto della crisi” e ha ringraziato la Chiesa per “aver aiutato in momenti drammatici i lavoratori e le persone in difficoltà”. Ma ha anche ricordato che molto resta da fare. “L’Italia è un Paese sterile, che non fa figli”, ha detto in riferimento alla crisi demografica. E “il debito pubblico è un incubo”. Perciò il premier ha annunciato la volontà del governo di “ridare fiducia ai giovani, con politiche che combattano la disoccupazione, che li aiutino a trovare casa, e a mettere al mondo i figli”. Anche il cardinale Bagnasco aveva chiesto ieri una riforma del fisco con l’introduzione del quoziente familiare e misure per conciliare lavoro e tempi domestici. Ma soprattutto il suo accento era andato sulla verità della famiglia: unione stabile tra uomo e donna. Indebolire questa visione, aveva detto, significa indebolire la società. Dato per altro evidente. Ma spiegare l’evidenza è forse oggi la maggiore sfida per i cattolici. Anche quelli della Settimana sociale di Torino.

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    Sei mesi fa l’elezione di Papa Francesco, il commento di padre Lombardi

    ◊   Sei mesi fa veniva eletto Papa Francesco. Sei mesi intensi, segnati da decisioni forti, prima tra tutte lo spostamento della residenza pontificia dal Palazzo apostolico a Santa Marta, da dove quotidianamente ci giungono i commenti del Papa sulla Messa del giorno. E poi il progetto di Riforma della Curia Romana e – sulla scia di Benedetto XVI – l’opera di trasparenza finanziaria delle attività economiche vaticane. Ma quali sono le principali novità di questo pontificato? Sergio Centofanti lo ha chiesto al direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

    R. – Io direi che la prima novità è il nome, che mi colpì fin dall’inizio: Francesco, un nome certamente nuovo; nessun Papa prima lo aveva preso. E, con il nome di Francesco, c’è la sua spiegazione, data dal Papa stesso: “poveri, pace, custodia del Creato”. E abbiamo già visto – almeno sui poveri e la pace – che veramente sono tratti fondamentali di questo Pontificato, anche di estrema attualità, come nelle ultime settimane questo impegno estremamente coraggioso per la pace nel Medio Oriente. Poi, una seconda novità mi sembra essere la fine dell’eurocentrismo della Chiesa, cioè il fatto che abbiamo un Papa latinoamericano. In realtà, questo lo si sente in un senso piuttosto positivo di allargamento degli orizzonti: lo abbiamo vissuto in particolare nel corso della Giornata mondiale della gioventù, in cui abbiamo visto il Papa nel suo continente di provenienza e abbiamo imparato che anche il suo stile è pastorale, il suo modo di rapportarsi diretto con la gente, il suo linguaggio molto semplice … Anche i temi dell’attenzione alla povertà e così via, vengono da un contesto ecclesiale molto ricco, con una sua grande tradizione che adesso viene al cuore della Chiesa con una forza e una presenza maggiore. Tutti i Papi sono stati “universali”, sono stati Papi che hanno avuto tutto il mondo nel cuore, e quindi non è che fossero “parziali”. Però, io credo che si noti il fatto che la scelta di un Papa che viene da un altro Continente effettivamente porta qualche cosa di specifico nello stile, nella prospettiva, ed è qualche cosa di desiderato dalla Chiesa universale, di voluto dai cardinali e noi lo apprezziamo, come un arricchimento ulteriore del cammino della Chiesa universale. E poi, se devo dire una terza caratteristica, mi pare quella della missionarietà. Il Papa Francesco parla molto di una Chiesa non autoreferenziale, di una Chiesa in missione, di una Chiesa che guarda al di fuori di sé e a tutto il mondo. A me è tornato in mente la bellissima Lettera di Giovanni Paolo II alla fine del Giubileo, Duc in altum, prendi il largo – rivolto alla Chiesa del terzo millennio. Ecco, mi sembra che effettivamente, con Papa Francesco, la barca della Chiesa stia viaggiando con decisione verso il largo, senza paura, anzi, con gioia di poter incontrare il mistero di Dio in orizzonti nuovi.

    D. – Il Papa sta scuotendo molto i cristiani, a volte anche con parole molto forti, e sta avvicinando molto i lontani …

    R. – Sì … Diciamo che lo stile, il linguaggio diretto del Papa, i suoi atteggiamenti, anche le novità del suo stile di vita toccano in profondità e suscitano un grande interesse, un grande entusiasmo. Io, però, credo e spero che il motivo fondamentale di questo interesse sia profondo, sia il fatto che il Papa insiste moltissimo su un Dio che ama, un Dio di misericordia, un Dio sempre pronto a perdonare, che si rivolge a lui con umiltà. E con questo, mi pare che tocchi l’uomo in profondità – l’uomo, le donne del nostro tempo – che lui sa quanto spesso siano feriti: sono feriti da tante esperienze difficili, da tante frustrazioni, da tante ingiustizie, da tante povertà ed emarginazioni nel mondo di oggi. Ecco, allora questo parlare con tanta efficacia e questo saper comunicare anche attraverso le parole e i gesti in un modo così diretto l’amore di Dio per tutti, e la vicinanza, l’interesse umano, la tenerezza – è un’altra delle parole che piacciono a questo Papa e che sono espressive del suo modo di essere – sia qualche cosa che tocca e smuove in profondità le persone umane, tutte: credenti e cosiddetti non credenti. Perché tutte le persone umane sono amate da Dio, sono veramente le persone a cui è diretto questo grande messaggio dell’amore di Dio e dell’amore di Cristo. Quindi, per tutti parla quando è detto nella sua verità, nella sua concretezza e nella sua vicinanza al cuore dell’uomo.

    D. – Questo pontificato sta suscitando grandi aspettative. Cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi mesi?

    R. – Ma … io non sono un profeta … Sappiamo, per dire delle cose molto semplici, che il Papa in questi prossimi mesi affronta anche temi che riguardano il governo della Chiesa, consultandosi insieme con i suoi collaboratori: sia con i collaboratori della Curia Romana, come ha fatto già nei giorni passati, sia con i cardinali, come farà anche nel mese di ottobre, con i cardinali che egli ha scelto e che vengono dalle diverse parti del mondo. Però, onestamente, io non vorrei che si sopravvalutasse l’aspetto delle cosiddette riforme di struttura, che riguardano un po’ l’istituzione. Quello che conta è il cuore della riforma perenne della vita della Chiesa, e in questo senso Papa Francesco, certamente, con l’esempio, con la sua spiritualità, con il suo atteggiamento di umiltà e di prossimità, vuole renderci vicini a Gesù, vuole renderci una Chiesa che cammina, vicina all’umanità di oggi, in particolare all’umanità che soffre e che più ha bisogno della manifestazione dell’amore di Dio. Quindi, questa Chiesa in cammino, capace di essere solidale, compagna dell’umanità che cammina. Questo, io credo, noi possiamo e dobbiamo aspettarci attraverso tanti segni, tante decisioni. In queste ultime settimane abbiamo avuto la grande tematica della pace, per chi soffre delle tensioni e delle guerre, ma possiamo averne tante altre: abbiamo la tematica della vicinanza ai rifugiati, della vicinanza alle diverse forme di emarginazione, del carcere e così via. Ecco: lasciamo che il Signore ci conduca. Il Papa non è uno che pensa di avere in mano la progettazione organizzativa della Storia. Il Papa è una persona che ascolta lo Spirito del Signore e cerca di seguirlo con docilità, e in questo senso ci porta su un cammino che è sempre nuovo e che noi siamo convinti che sia bello e che sia di speranza.

    D. – Come procede la coesistenza in Vaticano di Papa Francesco con il Papa emerito Benedetto XVI?

    R. – Ah, procede benissimo, procede perfettamente! Io direi che siamo tutti contenti – a cominciare da Papa Francesco – della presenza del Papa emerito in Vaticano, con la sua discrezione, con la sua spiritualità, con la sua preghiera, con la sua attenzione. E’ esattamente quello che egli ci aveva promesso, ci aveva annunciato in occasione della sua rinuncia: avrebbe continuato ad essere in cammino con la Chiesa, ma più nella forma dell’orazione, dell’offerta della propria vita, della vicinanza spirituale piuttosto che con quella della presenza – diciamo così – operativa. Allo stesso tempo, sappiamo che c’è anche proprio un rapporto personale, estremamente cordiale tra il Papa Francesco e il suo predecessore; ha avuto alcuni momenti simbolici in cui lo abbiamo visto: quando Papa Francesco lo ha invitato ad una bellissima cerimonia nei Giardini Vaticani per inaugurare un nuovo monumento, ma più significativamente ancora quando è andato a trovarlo prima della partenza per il viaggio in Brasile per chiedere la sua preghiera, la sua vicinanza, il suo sostegno durante quel momento così importante; e poi, quando è tornato ad incontrarlo dopo il ritorno per raccontargli le belle esperienze di questo viaggio, ringraziarlo della sua vicinanza nella preghiera. Anch’io ho avuto una volta la gioia di potere essere vicino al Papa Benedetto e vedere la sua serenità, la sua fede, la sua spiritualità, la sua affabilità straordinaria che ci ha testimoniato tanto durante il tempo del suo pontificato e che continua, anche se adesso in questa forma nuova e più discreta, a caratterizzarlo. Io credo che noi sentiamo, anche se non vediamo spesso, sentiamo sempre la presenza del suo affetto, della sua preghiera e della sua saggezza e del suo consiglio, che certamente è sempre a disposizione anche del suo successore, qualora lo chieda.

    D. – Com’è cambiato il lavoro del portavoce del Papa in questi sei mesi?

    R. – Ma … io ho sempre detto che io non sono tanto il portavoce del Papa, quanto il direttore della Sala Stampa che fa un umile servizio di mettere a disposizione le informazioni, i testi e le risposte per comprendere bene ciò che il Papa dice e fa. Onestamente, mi sembra che in questi sei mesi di pontificato di Papa Francesco il Papa abbia fatto e parlato in un modo talmente intenso, che io effettivamente – per fortuna – ho potuto essere del tutto in ombra, rispetto a quello che è il protagonista, la voce principale che i fedeli vogliono ascoltare, che è appunto quella del Papa. Quindi, il servizio continua ad essere lo stesso: quello di aiutare il ministero del Papa per il servizio del popolo di Dio, e questo però è un tempo in cui la parola del Papa è molto chiara, concreta, ben accolta, i suoi gesti sono molto intensi, molto frequenti… Quindi, diciamo così: c’è molto da fare per seguirlo, ma parla di per se stesso.

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    Udienze di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani il sig. Denis Fontes De Souza Pinto, ambasciatore del Brasile, in occasione della presentazione delle Lettere credenziali. Successivamente, il Papa ha incontrato mons. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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    Tweet del Papa: “Gesù è il sole, Maria è l’aurora che preannuncia il suo sorgere”

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un tweet sull’account @Pontifex: “Gesù è il sole – scrive - Maria è l’aurora che preannuncia il suo sorgere”.

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    Conferenza a Cracovia, mons. Paglia: riportare la famiglia al centro della politica e dell'economia

    ◊   Si è aperta a Cracovia, in Polonia, la 13.ma Conferenza internazionale sul ruolo della Chiesa cattolica nel processo d’integrazione europea. Il tema dell’incontro di quest’anno è “La famiglia nell’Europa contemporanea”. L’evento è organizzato dalla Pontificia Università Giovanni Paolo II di Cracovia, in collaborazione, tra gli altri, con la Commissione degli episcopati europei (Comece). Nel suo intervento, il cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, ha sottolineato i rischi che derivano dalla promozione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e dalla teoria del gender. Il presidente della Repubblica polacca, Bronislaw Komorowski, ha sottolineato che è necessario aiutare le famiglie ma anche i genitori “single” che vivono da soli con i figli, perché questa è una situazione sempre più frequente. Da parte sua, mons. Celestino Migliore, nunzio apostolico in Polonia, ha detto che è necessario sostenere le famiglie in ogni contesto politico e sociale. Ai partecipanti ha inviato un messaggio mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Isabella Piro lo ha intervistato:

    R. - Certamente in Europa, ma sicuramente anche nelle altre parti del mondo, noi ci troviamo di fronte, per un verso, ad un desiderio diffuso di famiglia; dall’altro, noi abbiamo una sorta di cultura destabilizzante, cioè una sorta di “picconatura” della famiglia, come se quel desiderio profondo di famiglia che – faccio un solo esempio – nella laica Francia raccoglie almeno il 78 per cento dei giovani in età da matrimonio, venisse per così dire stroncato dal clima gelido di una cultura che non respira più con una dimensione ampia. Comunque, io vorrei sottolineare un dato di fatto e cioè che ancora oggi la gran parte delle famiglie resiste alla sfida della storia. Se nei nostri Paesi non ci fossero queste famiglie che, talora in maniera eroica vivono, ma dove andrebbero gli anziani? Dove starebbero i giovani che non hanno lavoro o che lo hanno perso? E dove andrebbero i tanti divorziati che non sanno dove andare? In Italia li vediamo spesso tra i senza-tetto. Ecco perché io vorrei che apparisse chiaro questo orizzonte paradossale, con una grande speranza: che la famiglia davvero ancora resiste ed è indispensabile riportarla al centro della politica, dell’economia, della cultura e della pastorale.

    D. - Tra i focus su cui si sofferma la conferenza di Cracovia, ce n’è anche uno dedicato alla “ideologia del genere”. A che punto è il dibattito su questo fronte?

    R. - Credo che il dibattito su questo fronte debba essere portato avanti con decisione, anche in maniera scientifica, perché tante battaglie che cercano di dimostrare che la cultura può fare a meno della natura non fanno cultura, ma sono una sciocchezza. Basterebbe interrogare gli antropologi, i quali chiedono: “Le centinaia di milioni di anni che la natura ha speso per creare l’uomo e la donna, possiamo forse noi annullarle con un tratto di legislazione?”. Se noi poi guardiamo al bisogno dei figli, capiamo che ciascuno ha bisogno di un papà e di una mamma. Che tristezza la definizione “genitore A e genitore B”! Non è assolutamente vero quello che tanti dicono, cioè che ormai il genere è indifferente. Credo che sia davvero responsabile, anche da parte di chi non crede, riflettere ancora e ancora su questo tema, perché oggi quello di cui abbiamo bisogno è il pensiero, che spesso manca.

    D. - A suo parere, l’Unione Europea come sta affrontando le politiche familiari e cosa occorre per rilanciare tali politiche?

    R. - Io credo che l’Europa stia affrontando questo tema fiaccamente. C’è bisogno di uno scatto in avanti. Questa Europa che sta invecchiando ha già deciso, così, di non avere futuro; questa Europa che non aiuta la famiglia ha già deciso di chiudere con la generazione che stiamo vivendo. C’è bisogno di audacia, quindi. Questo Vecchio Continente che ha guidato con grande sapienza la cultura del mondo – penso, ad esempio, alla scrittura dei diritti umani e dei diritti dei bambini – credo che oggi stia andando un po’ indietro, come una sorta di gambero, non avendo più audacia e dimenticando la sostanza per soffermarsi, talora, attorno a qualche singolo dettaglio.

    D. - Nell’Enciclica Lumen Fidei il Papa sottolinea l’importanza della famiglia anche nella trasmissione e nella maturazione della fede. C’è sensibilità, su questo punto, nelle famiglie cristiane, secondo Lei?

    R. - Credo che anche questo debba essere rafforzato. Non a caso la famiglia deve tornare ad essere al centro anche della pastorale della Chiesa. Noi un po’ più anziani ricordiamo le nonne, i genitori che ci insegnavano la fede; oggi, troviamo bambini che vengono a chiedere la Prima Comunione senza neppure saper fare il segno della Croce. E troviamo genitori, giovani adulti “analfabeti” nella fede. Cosa trasmettono? Quello che non hanno? Si trasmette la fede se le mamme danno “il latte dell’Ave Maria” ai loro figli, ancor prima di andare in Chiesa.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, l'articolo di apertura, "L’urgenza della pace" è dedicato alla Siria. Sotto, "Solidarietà tra le generazioni", il messaggio del Papa alla Settimana sociale dei cattolici italiani e, di spalla, "Il legno della misericordia": padre Manuel Nin commenta la festa dell’Esaltazione della Croce citando un’omelia di Severo, monaco e poi patriarca di Antiochia, tenuta quindici secoli fa.

    A pagina 2, "Senza lavoro" dedicato al grave fenomeno della disoccupazione in Grecia, dove circa un milione e mezzo di persone non hanno un impiego.

    Nella cultura, "Una macina e un torchio per lasciarsi salvare. Gesù come nuovo Noè" un'anticipazione del libro di Alfredo Tradigo "L’uomo della Croce. Una storia per immagini"; accanto, Inos Biffi commenta la festa dell’Esaltazione della Croce mentre Rossella Fabiani descrive i mosaici di Ivan Rupnik realizzati nella città natale di Costantino Niš (l’antica Naissus) per il diciassettesimo centenario dell’editto di Milano.

    L'arcivescovo Vincenzo Bertolone ricorda don Giuseppe Puglisi, ucciso vent’anni fa a Palermo, mentre pagina 7 è dedicata al "gaucho di Dio" José Gabriel del Rosario Brochero, che sarà beatificato il 14 settembre in Argentina.

    “Le chiacchiere uccidono come e più delle armi”, ha detto Papa Francesco durante l'omelia della Messa celebrata nella cappella di Santa Marta venerdì 13 settembre, riassunta nell'ultima pagina del giornale; "e ogni volta che facciamo questo imitiamo il gesto di Caino, il primo omicida".

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    Oggi in Primo Piano



    L'Onu: il regime siriano spara sugli ospedali. Spiragli negoziali da Ginevra

    ◊   La Commissione di inchiesta Onu sulla Siria accusa il regime siriano di usare le strutture mediche a fini militari con attacchi deliberati contro ospedali, personale e trasporti medici, il diniego di accesso alle cure ed il maltrattamento dei malati e feriti. ''E' uno degli aspetti più allarmanti del conflitto siriano'', denuncia la Commissione. Intanto, a Ginevra si è aperto un piccolo spiraglio per un negoziato di pace sulla Siria. Dopo una seconda tornata di colloqui in riva al lago Lemano, stavolta allargata all'inviato di Onu e Lega araba, Lakhdar Brahimi, il segretario di Stato Usa, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, hanno annunciato che i colloqui per smantellare l'arsenale chimico di Damasco potrebbero aprire la porta a una conferenza di pace. Kerry ha fatto sapere che rivedrà Lavrov a fine mese, a margine dell'Assemblea generale dell'Onu a New York, per tentare di fissare una data per la conferenza di pace, la cosiddetta Ginevra2, a lungo rimandata. Per fare il punto sulla situazione, Roberta Barbi ha contattato il prof. Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi e dell’Islam all’Università Cattolica di Milano:

    R. – Possiamo essere soddisfatti: c’è stato un raffreddamento dei “venti di guerra”, come si augurava il Papa e si auguravano tutte le persone che amano la pace. La lezione che viene da questo pasticcio è che la politica, anche a livello internazionale, sta perdendo la sua credibilità.

    D. – Sul controllo dell’arsenale chimico, Assad ha posto le sue condizioni e secondo la stampa americana starebbe già da tempo disseminando le armi per il Paese per renderne più complicato il reperimento…

    R. – Questo è possibile, però è una questione di sottigliezze. Adesso si parla di armi chimiche come si parlava di armi di distruzione di massa in Iraq, ma in realtà quando il regime sparava sui manifestanti pacifici, disarmati, non penso fosse meno grave.

    D. – Dall’altro lato, i ribelli definiscono la decisione di Assad “un chiaro tentativo per sfuggire all’azione internazionale e alle responsabilità davanti al popolo siriano”…

    R. – Non mi aspettavo un discorso diverso. Hanno probabilmente anche ragione, ma anche tutte le loro milizie disseminate sul Paese contribuiscono ad aumentare la confusione. La situazione è tale sul terreno, in Siria, per cui chi interviene e bombarda non sa chi va a colpire, non sa neanche chi va ad appoggiare. Non era così all’inizio.

    D. – Per lunedì prossimo, è atteso il rapporto degli ispettori Onu sul presunto attacco chimico del 21 agosto. Servirà a chiarire cosa è realmente accaduto?

    R. – Temo di no, perché so che circolano relazioni diverse. Addirittura, alcuni ribelli hanno ammesso che avevano usato loro per sbaglio le armi chimiche. In effetti, non si capisce perché il governo avrebbe dovuto usarle, visto che in certe zone ha già una superiorità aerea e militare molto netta. È un gran pasticcio, dal quale paradossalmente sembrano uscire puliti personaggi che forse non se lo meritano.

    D. – Washington oggi ha fatto sapere che le parole del regime siriano “non sono sufficienti a scongiurare un attacco”. Allora, si può parlare davvero di possibile sblocco della situazione?

    R. – Penso che comunque Washington non possa fare marcia indietro in modo totale anche per non perdere la faccia: smantellare un arsenale chimico non è una cosa di pochi giorni, però anche l’elemento sorpresa nell’azione militare è ormai perso totalmente. L’opzione militare per adesso mi sembra archiviata. Non è detto che poi la crisi non si riacutizzi in qualche altra forma e non si tiri fuori di nuovo questa opzione che tra l’altro – come ha detto il Papa – serve molto anche al mercato delle armi da una parte, poi serve probabilmente a Israele a capire cosa può succedere se si tocca un “amico” di Teheran e come reagiranno gli Hezbollah. Tutte queste cose hanno il loro peso.

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    Oltre un milione di bambini siriani in fuga dalla guerra

    ◊   La guerra in Siria colpisce soprattutto i minori: a tre anni dall'inizio del conflitto sono oltre un milione i bambini siriani fuggiti dal Paese, per cercare riparo in Giordania, Libano, Egitto, Turchia, Iraq, spesso separati dalle proprie famiglie. Un dato impressionante, fornito dall’Unicef, che ha promosso una raccolta fondi nell’ambito di una campagna dal titolo “I bambini della Siria: una generazione a rischio”, che si è conclusa con un convegno alla Farnesina. Il servizio di Alessandro Filippelli:

    La violenza, la paura, i traumi: il prezzo pagato per il conflitto in Siria è altissimo. Ma qual è la soluzione per rispondere alle gravi necessità dei bambini, lo abbiamo chiesto a Giacomo Guerrera, presidente di Unicef-Italia:

    “Da parte nostra, possiamo creare le condizioni affinché queste persone che scappano, lasciandosi alle spalle le proprie abitazioni, i propri parenti, i propri familiari e vanno in un Paese dove non trovano nulla - dobbiamo dirlo - e molto spesso si tratta di aree desertiche, ricevano quotidianamente generi di prima necessità. C’è, quindi, un impegno massiccio. Abbiamo mandato 10 tonnellate di ipoclorito di sodio per quanto riguarda l’acqua, mettendo così 10 milioni di persone in condizione di poter usare dell’acqua potabile. Ma non basta questo! L’unica cosa che possiamo veramente fare tutti insieme è mettere in moto un meccanismo per cui parta un'altra azione, quella ricerca di una soluzione politica e pacifica. Ci auguriamo che non si parli di intervento armato, perchè poi a pagarne le conseguenze - ormai lo sappiamo - sono le donne, gli anziani e soprattutto i bambini".

    Durante l’ultimo G20 a San Pietroburgo è stato annunciato lo stanziamento di 50 milioni di dollari per risolvere l’emergenza umanitaria siriana. Il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, ha auspicato un ulteriore contributo italiano nell’ambito della discussione in Parlamento al prossimo decreto sulle missioni all’estero:

    “Questo ulteriore stanziamento annunciato a San Pietroburgo, che andrà operativamente nel Decreto Missioni, è chiaro che porterà - da parte di tutti - la necessità di uno sforzo di programmazione. Credo che lo sforzo di questa campagna dell’Unicef per la scuola nel nuovo campo di Zaatari, ben si combini con un altro sforzo che avevamo già avviato del nuovo ospedale da campo a Zaatari. Questo può quindi diventare una specie di compound con vari servizi per la popolazione”.

    All’emergenza umanitaria si aggiunge, infine, quella educativa. L’Unicef ha denunciato che in Siria circa 1,9 milioni di studenti hanno abbandonato la scuola. Più di 3.000 gli edifici distrutti o danneggiati e più di 930 sono usati per ospitare gli sfollati”.

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    Filippine: padre Ufana rilasciato dai ribelli a Zamboanga. Attesa per gli altri ostaggi

    ◊   È libero padre Michael Ufana, rilasciato oggi dai separatisti musulmani che da lunedì sono asserragliati in alcuni sobborghi della città di Zamboanga, sull’isola filippina di Mindanao. Il sacerdote era stato sequestrato nei giorni scorsi nel quartiere di Santa Catalina dai ribelli del Fronte nazionale di liberazione Moro, che si oppongono al negoziato in corso tra governo di Manila e separatisti locali. A Zamboanga è giunto nelle ultime ore anche il presidente filippino Benigno Aquino, che ha condannato le azioni dei guerriglieri, nelle cui mani sarebbero ancora in ostaggio circa 200 civili. Per una testimonianza da Zamboanga, ascoltiamo padre Nevio Viganò, missionario del Pime, parroco della Trasfigurazione a Sinunuc, quartiere della città. L’intervista è di Giada Aquilino:

    R. - Padre Michael Ufana è stato ostaggio fino ad oggi. Questa mattina è stato rilasciato a condizione che facesse da intermediario, tra i ribelli e le autorità: il rilascio dei sequestrati in cambio di un lasciapassare ai ribelli, in modo da andar via senza conseguenze. La cosa invece è saltata perché è stata votata all’unanimità una risoluzione dal Consiglio della città di Zamboanga per una forzata evacuazione, chiamata appunto “forced evacuation”; il che vuol dire un attacco dell’esercito e della polizia verso i ribelli per liberare gli ostaggi.

    D. – Qual è la situazione sia degli ostaggi, sia dei profughi?

    R. – Degli ostaggi non si sa niente, anche se due di loro sono riusciti a scappare nelle ultime ore. Non si sa neppure quanti siano esattamente. I “fuoriusciti” sono dislocati in vari centri; il più grosso è quello dello stadio dell’università che ne accoglie per adesso circa 20 mila. Ci sono problemi di cibo per gli ostaggi, per i militari e per i rifugiati; bisogna portare acqua continuamente . Ci sono anche molti bambini e disagi per le persone di ogni età. L’ospedale governativo è stato sfollato qualche giorno fa e tutti i malati sono stati dislocati in vari ospedali privati. Addirittura i 39 pazienti del reparto di malattie mentali sono stati trasferiti al Centro Silsilah, tenuto da padre Sebastiano D’Ambra, vicino alla nostra parrocchia. Al momento è in corso un attacco frontale fatto con bombe e armi da fuoco per le strade. Si spera che finisca presto perché più si va avanti e più la situazione peggiora.

    D. – Lei ha parlato del Centro di padre D’Ambra. Qual è il ruolo della Chiesa? Come vi state muovendo?

    R. – Noi aiutiamo tutte le persone che chiedono rifugio, ospitalità nelle nostre parrocchie; chiedono cibo e tutto quello di cui hanno bisogno. Anche da noi qui in parrocchia, verso sera, arriva gente che ha paura di stare in casa durante le ore del coprifuoco, dalle otto di sera alle cinque di mattina. E passa da noi le ore notturne. Questo in effetti avviene in tutte le parrocchie della città. Soprattutto alcune di queste, le più grosse del centro - che sono più vicine alle zone colpite, dove c’è la presenza di ribelli - ospitano 24 ore al giorno gli sfollati. Noi invitiamo la gente e raccogliamo fondi, ma soprattutto raccogliamo viveri, vestiti per darli alla gente, che ha bisogno di tutto: è scappata di casa con quello che aveva addosso e basta. Comunque la città è molto unita, gli abitanti di Zamboanga danno una mano in tutti i modi perché gli aiuti non arrivano facilmente: l’aeroporto è chiuso, il porto è chiuso ed anche le banche, per cui la gente non può neanche ritirare i soldi per comprare cibo o altre necessità.

    D. – Lei ha detto che la gente è unita in questo soccorso a chi ha bisogno; quanto può aiutare in tal senso il dialogo tra cristiani e musulmani?

    R. – Gran parte degli sfollati delle zone colpite sono musulmani. Adesso la gente è unita, nel senso che tutti quelli che possono aiutano. E la Chiesa cattolica è in prima linea a dare alla gente aiuti di ogni tipo, senza distinzioni.

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    A vent'anni dagli Accordi di Oslo, ancora in alto mare la questione israelo-palestinese

    ◊   Ricorre oggi il 20.mo anniversario degli Accordi di Oslo che, il 13 settembre 1993, sembrarono essere il punto di svolta della questione israelo-palestinese ma che poi dimostrarono la loro debolezza già nel 1995, quando dovettero essere integrati, e nel 2000 quando scoppiò la cosiddetta seconda Intifada. Sull’importanza e le ragioni del fallimento di questi Trattati, Davide Pagnanelli ha intervistato Marcella Emiliani, esperta di questioni mediorientali, già docente all’università di Bologna-Forlì:

    R. - Gli accordi di Oslo furono un generoso tentativo di mettere fine al più vecchio conflitto mediorientale: però, più che gli effetti, sono interessanti le cause che hanno portato agli accordi. E’ stato un momento storico irripetibile, perché era finita la Guerra fredda: gli Stati Uniti, che erano rimasti l’unica superpotenza in campo, imposero come propria priorità di arrivare ad una definizione del più vecchio conflitto mediorientale, convinti - come sono sempre stati - che fosse la matrice di tutti gli altri conflitti. Diciamo che a quel momento storico non sono seguiti momenti storici altrettanto pieni di speranza e di buona volontà e gli Accordi di Oslo richiedevano una grandissima dose di buona volontà, perché in realtà poggiavano su delle basi talmente asimmetriche che tutte le contraddizioni che contenevano già un paio di anni dopo erano scoppiate e si manifestarono con l’assassinio del premier israeliano Yitzhak Rabin, che era stato colui che li aveva siglati.

    D. - Quali sono stati, poi, gli sviluppi successivi, gli altri Trattati che li hanno seguiti?

    R. - Di questa levatura e di quest’ampiezza non ce ne sono stati. Quelli che son seguiti, sono stati tutti tentativi di riportarsi al fatto di aver attorno allo stesso tavolo israeliani e palestinesi. Il grande fallimento fu quello dell’estate del 2000, quando saltò per aria il vertice - riunito a Camp David - in cui tutti si arroccarono sulle loro posizioni, anche se gli israeliani dissero e affermarono che un’offerta come quella che era stata fatta ai palestinesi nel corso di Camp David 2000 non era mai stata fatta. Dall’altra parte Arafat, però, fece notare come in realtà non si stesse parlando del vero problema, che era la restituzione di tutta la Cisgiordania.

    D. - Dopo pochi anni si ebbe anche la prima Intifada. Ma dove fallirono veramente gli Accordi di Oslo?

    R. - Fallirono per il fatto di essere asimmetrici. I palestinesi non riuscivano ad avere altro che l’arma della violenza per costringere gli israeliani ad arrivare al tavolo dei negoziati. La loro forza consisteva nella fiducia che veniva data loro: nel momento in cui la destra al potere in Israele non ha più rinnovato quella fiducia ai palestinesi e il consesso internazionale non è più stato - parliamoci chiaro, gli Stati Uniti - così forte da poter premere su Israele perché arrivasse al tavolo dei negoziati, la forza dei palestinesi è automaticamente venuta meno.

    D. - Proprio nelle ultime settimane Autorità nazionale palestinese e Israele si stanno muovendo al tavolo delle trattative: che sviluppi si attendono per il futuro?

    R. - Siamo di nuovo allo stallo, perché i palestinesi chiedono una sola cosa agli israeliani: che sospendano il processo di colonizzazione dei Territori Occupati. Netanyahu, che è l’attuale primo ministro israeliano, nel momento stesso in cui si siede al tavolo dei negoziati con i palestinesi, continua a dare permessi perché si costruiscano altre colonie in Cisgiordania. Fra un po’ da restituire ai palestinesi non ci sarà neanche più un metro quadrato di terra.

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    Mons. Santoro sull'Ilva: gravità della situazione impone visione nazionale, politica troppo timida

    ◊   Il nodo della cassa integrazione per i 1.400 dipendenti del Gruppo Riva dovrebbe sciogliersi nelle prossime ore. Al ministero dello Sviluppo Economico in mattinata c’è stato l’incontro tra il ministro Zanonato e i sindacati, ed è emerso che l'azienda dovrebbe avviare le procedure per chiedere la concessione dell'ammortizzatore sociale. Sulla situazione Alessandro Guarasci ha sentito mons. Filippo Santoro arcivescovo di Taranto:

    R. - L’aspetto più fondamentale è: quale politica industriale noi vogliamo? Una politica che non può essere più quella che negli anni Sessanta-Settanta è stata fatta a Taranto. Qui è stato fatto, in quell’epoca, già un convegno sullo sviluppo industriale del Sud, quando il problema era l’occupazione… Adesso ci vuole proprio un ripensare la politica in termini più ampi, più profondi e più umani. Saremo più sobri, saremo più essenziali, però ci dobbiamo salvare tutti!

    D. - Voi avete, però, paura che ci sia in qualche modo un effetto domino anche su Taranto?

    R. - Senz’altro che il riflesso su Taranto si paventa. Sono coinvolte, con questo passo dell’azienda, altre imprese dell’Italia e mettono in evidenza la gravità da noi sottolineata della situazione, affrontata da parte della politica in maniera timida: la gravità è così alta che impone una visione nazionale! Ci vorrebbe proprio un tavolo permanente di confronto sulle questioni Ilva, non in forma occasionale. Poi c’è l’aspetto della nostra città: il commissario della Provincia che noi abbiamo, quello che sostituisce il presidente della Provincia, ha voluto interdire l’accesso ad alcune scuole a causa dell’inquinamento… Perciò c’è anche quest’altro clima di agitazione locale.

    D. - La politica è stata troppo timida nei confronti dei Riva e i Riva vi hanno nuovamente deluso?

    R. - La politica, secondo me, è intervenuta dopo l’intervento dovuto della magistratura. Di fronte ad un dissesto così grande, ci vuole un’assunzione di responsabilità più chiara e decisiva. La settimana scorsa io sono stato a visitare il ministro Orlando, il ministro dell’Ambiente, e insieme abbiamo convenuto su dei punti immediati, dando cioè segnali immediati: innanzitutto la copertura dei parchi minerari; poi l’adeguamento degli impianti, in modo che l’inquinamento non continui ad essere diffuso; e la bonifica del territori. Sono punti della legge approvata. Se si cominciano a dare segnali positivi in questo senso, è un passo concreto in avanti!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Unicef: prima dei cinque anni, 18mila bambini muoiono ogni giorno

    ◊   Nel 2012, circa 6,6 milioni di bambini in tutto il mondo - 18.000 di bambini ogni giorno - sono morti prima di aver compiuto cinque anni. È quanto dichiara il nuovo rapporto presentato ieri dall’Unicef, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), dalla Banca Mondiale e dal Dipartimento degli affari sociali ed economici delle Nazioni Unite - divisione popolazione. Questo numero rappresenta circa la metà del numero di bambini sotto i cinque morti nel 1990, che in quell’anno è stato di oltre 12 milioni. "Questa tendenza è positiva. Milioni di vite sono state salvate", ha detto Anthony Lake, direttore generale dell‘Unicef. “E noi possiamo fare ancora meglio. La maggior parte di questi decessi possono essere evitati, utilizzando misure semplici che molti Paesi hanno già messo in atto - ma ciò di cui abbiamo bisogno è che dobbiamo agire con molta più urgenza". Le principali cause di morte dei bambini sotto i cinque anni sono polmonite, nascite premature, asfissia neonatale, diarrea e malaria. A livello mondiale, circa il 45% dei decessi sotto i cinque anni sono legati alla malnutrizione. Circa la metà dei decessi sotto i cinque anni si verificano solo in cinque Paesi: Cina, Repubblica Democratica del Congo, India, Nigeria e Pakistan. L’India (22%) e la Nigeria (13%) insieme contano oltre un terzo di tutte le morti di bambini sotto dei cinque anni. L’Unicef lancia però un allarme: se l’attuale tendenza del tasso di mortalità infantile continuerà di questo passo, il mondo non raggiungerà l’Obiettivo di sviluppo del millennio di ridurre il tasso di mortalità dei bambini sotto i 5 anni di due terzi entro il 2015 (rispetto al 1990). Anzi se il trend attuale proseguirà, l’obiettivo non sarà raggiunto prima del 2028. “Il costo di un’azione troppo lenta - avverte l’Unicef - è allarmante: se la comunità internazionale non agirà immediatamente per velocizzare i progressi, 35 milioni di bambini in più potrebbero morire per cause prevenibili tra il 2015 e il 2028”. L‘Africa subsahariana, in particolare, con un tasso di 98 morti ogni 1.000 nati, un bambino nato nell’Africa subsahariana corre un rischio 16 volte maggiore di morire prima del suo quinto compleanno di un bambino nato in un Paese ad alto reddito. Tuttavia, l‘Africa subsahariana ha registrato una notevole accelerazione nel suo progresso, con un tasso annuale di riduzione delle morti cresciute dallo 0,8 % nel periodo 1990-1995 al 4,1% nel 2005-2012. A questo proposito, dice Wu Hongbo, il Sottosegretario generale per gli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite “è fondamentale che i governi nazionali e i partner per lo sviluppo raddoppino gli impegni fino alla fine del 2015 e oltre”. (R.P.)

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    Siria. L'arcivescovo Marayati: “Dai ribelli nessun segnale che rassicuri i cristiani”

    ◊   “Da nessuno dei tanti gruppi che compongono le milizie ribelli, né da quelli del fondamentalismo islamista, ma neanche dagli altri è mai arrivato un segno in grado di rassicurare i cristiani. Per questo adesso, se ci sarà una fase di tregua, i cristiani penseranno soltanto a fuggire”. Così l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati descrive all'agenzia Fides le paure e i sentimenti prevalenti tra i cristiani della metropoli del nord della Siria, isolata da mesi sotto l'assedio delle forze anti-Assad. Secondo Marayati l'attacco al villaggio di Maalula “ha anche un aspetto simbolico. E c'è da chiedersi come mai non l'abbiano fatto prima”. La prospettiva di un attacco militare a guida Usa – avverte Marayati - “aveva alimentato in tutti, altri motivi di paura. Si pensi a cosa può succedere se un missile colpisce un deposito di armi chimiche... Adesso quell'ipotesi sembra sospesa, ma tutto continua a apparire buio: questa guerra ha distrutto la Siria non solo nelle pietre e negli edifici, ma anche nei cuori. Non c'è più la speranza di tornare a convivere in pace, come accadeva prima”. Le Chiese di Aleppo si sono unite all'invito di preghiera per la pace di Papa Francesco, anticipando le veglie di preghiera nel giorno di venerdì 6 settembre. Poi, chi ha potuto ha seguito per televisione la veglia del 7 settembre a piazza San Pietro e in molti hanno ascoltato le parole forti pronunciate domenica all'Angelus dal Vescovo di Roma sulle “guerre commerciali” fomentate dal mercato delle armi. “Il Papa ha parlato forte e chiaro, ha detto quello che si doveva dire” commenta mons. Marayati “ma quelli che hanno in mano le sorti della guerra preferiscono non sentire. La sensazione” confida l'arcivescovo armeno cattolico “è che siamo tutti presi in un gioco più grande di noi. Camminiamo nelle tenebre. Non riusciamo a immaginare come finirà tutto questo. E continuiamo a pregare”. (R.P.)

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    Visita in Kazakhstan del card. Sandri. Consacrerà una nuova chiesa

    ◊   La visita in Kazakhstan del card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che inizia oggi, “è un forte incoraggiamento alla fede di tutti noi, un evento significativo per la piccola comunità cattolica che vive in una nazione a maggioranza musulmana ed è molto importante specialmente per i fedeli greco-cattolici, che vedranno consacrata e inaugurata la nuova chiesa di San Giuseppe ad Astana”: con queste parole il vescovo di Karaganda, mons. Janusz Kaleta, spiega all’agenzia Fides lo spirito con cui i vescovi e l’intera Chiesa in Kazakhstan si preparano ad accogliere il card. Sadri, che sarà nella nazione centroasiatica fino al 17 settembre. Il motivo principale della visita, spiega a Fides il vescovo, è la consacrazione della nuova Chiesa greco-cattolica di San Giuseppe ad Astana, il 15 settembre, “motivo di grande gioia per tutti i fedeli cattolici e un bel segno di crescita per la Chiesa locale”. Il cardinale consegnerà un dono di Papa Francesco: un calice e una reliquia da collocare sull'altare di San Giosafat, vescovo e martire. Non mancheranno incontri del cardinale con il Premier del Kazakistan, Karim Massimov, e con leader religiosi islamici. Fra gli incontri con le autorità civili, anche quello con il vice ministro degli Esteri Alexei Volkov e con i responsabili dell’Ufficio governativo per gli Affari religiosi. Uno dei temi in agenda sarà, secondo il vescovo, “quello della libertà religiosa: abbiamo domande e questioni aperte, ma la nostra è una esperienza sostanzialmente positiva su questo piano. Esiste un atteggiamento di cooperazione con il governo e la costruzione di nuove chiese è un segno positivo”. Come appreso da Fides, il card. Sandri visiterà anche il Museo in memoria delle donne uccise dal regime comunista ad Akmol, mentre la visita si concluderà a Karaganda, dove il Prefetto incontrerà le comunità cattoliche locali, celebrerà la Santa messa nella nuova cattedrale di Nostra Signora di Fatima e visiterà anche il convento di clausura delle Suore Carmelitane. “Con il Cardinale – conclude il vescovo Kaleta – continueremo a pregare per la pace e la riconciliazione nel mondo e in particolare in Siria e in Medio Oriente e chiederemo una speciale benedizione del Papa su tutti i fedeli del Kazakhstan”. (R.P.)

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    Egitto: a Minya gli islamisti trasformano in moschea una chiesa protestante

    ◊   I Fratelli Musulmani hanno trasformato in moschea una chiesa protestante evangelica a Monshaat Baddini nella provincia di Samalout (Minya, Alto Egitto). Secondo fonti locali - riferisce l'agenzia AsiaNews - gli islamisti hanno rimosso tutti gli arredi sacri, i quadri, le icone e recitato la preghiera speciale per consacrare l'edificio ad Allah. Sul muro principale della chiesa campeggia la scritta: "moschea dei martiri e non esiste altro Dio che Allah". Menassa Nesseim, pastore della locale comunità protestante, racconta a Mcn-direct (Agenzia di stampa cristiana egiziana) che "dal 14 agosto, giorno dell'assalto islamista contro i cristiani, nessuno è riuscito ad entrare nell'edificio". Egli denuncia l'inerzia delle autorità che hanno accettato il fatto con indifferenza: "Né la polizia, né le forze armate hanno ispezionato la chiesa, per espellere gli occupanti abusivi e restituire l'edificio alla comunità protestante". Per Nesseim i miliziani hanno posto i loro uomini a guardia del complesso. I cristiani hanno paura ad avvicinarsi. Gli attacchi contro i cristiani egiziani sono iniziati verso la metà di agosto, dopo lo sgombero dei sit-in dei Fratelli Musulmani al Cairo e in altre città del Paese. Al momento sono oltre 80 le chiese completamente distrutte. Al bilancio si aggiungono 162 fra abitazioni e negozi distrutti e la minaccia quotidiana di subire nuovi assalti e sequestri. A Delga città della provincia di Minya, gli islamisti hanno creato una sorta di Stato parallelo, trasformando la città in una enclave islamica in cui vige la sharia. Per sopravvivere i cristiani devono pagare la "jizya" l'imposta di "compensazione" chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani "protetti" tuttavia dalla umma islamica. (R.P.)

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    India: condannati alla pena di morte i 4 accusati di stupro di gruppo

    ◊   Un tribunale speciale indiano ha condannato a morte i quattro imputati dello stupro di gruppo di una studentessa di 23 anni in un autobus di New Delhi, lo scorso 16 dicembre. ''Sono felice che la nostra ragazza abbia avuto giustizia'' ha commentato il padre della vittima. Le violenze – riferisce l’agenzia Asca - furono così dure che la giovane morì 13 giorni dopo in un ospedale di Singapore per le ferite riportate. Il caso sollevo' un'ondata di indignazione popolare in tutto il Paese. I quattro imputati, Mukesh Singh, Akshay Thakur, Pawan Gupta and Vinay Sharma, sono stati giudicati colpevoli di violenza sessuale, omicidio e furto, al termine di un processo durato sette mesi. Del branco che abusò della ragazza facevano parte altri due uomini: uno si e' suicidato in carcere mentre l'altro, l'unico minorenne, è già stato condannato a tre anni di reclusione in un carcere minorile. La sentenza di condanna a morte deve essere ancora ratificata dall'Alta Corte di New Delhi e può essere ancora appellata davanti alla Corte Suprema. Secondo gli avvocati, per il processo di Appello potrebbero volerci ''diversi anni'' prima di arrivare alla sentenza. (R.P.)

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    Bangladesh: nessun risarcimento per i sopravvissuti della tragedia al Rana Plaza

    ◊   I grandi marchi internazionali non hanno raggiunto un accordo per risarcire le vittime dei disastri del Rana Plaza e della Tazreen Fashion, il cui crollo ha causato la morte di migliaia di persone in Bangladesh. Solo nove aziende su 28 hanno partecipato all'incontro, organizzato l'11 e il 12 settembre scorso a Ginevra dalla IndustriALL (federazione mondiale di sindacati) e presieduto dall'International Labour Organization. Tuttavia, fonti locali dell'agenzia AsiaNews - anonime per motivi di sicurezza - spiegano che "la situazione è molto più complessa di come non appaia. Da una parte vediamo segnali di cambiamento, dall'altra vi sono sempre le mafie locali che approfittano della situazione, a scapito dei lavoratori e di chi vuole fare le cose in regola". L'accordo proponeva la creazione di un fondo di risarcimento da 74,6 milioni di dollari per i sopravvissuti del Rana Plaza e da 6,4 milioni di dollari per quelli della Tazreen Fashion. Tra i grandi assenti a Gineva figurano Wal-Mart, colosso statunitense e terzo rivenditore al mondo, e Benetton, azienda italiana d'abbigliamento. Entrambe le compagnie hanno giustificato la loro assenza per "mancanza di chiarezza" circa l'incontro. Primark, noto rivenditore di vestiti low-cost in Irlanda e Regno Unito, è l'unico marchio ad aver acconsentito all'istituzione del fondo. "L'accordo - sottolinea la fonte di AsiaNews - prevedeva di far gestire il fondo dai sindacati locali, ma il problema in Bangladesh è che essi non hanno attenzione per gli operai, sono molto politicizzati. Un piccolo imprenditore straniero coinvolto in uno dei due incidenti non si è fidato e ha preferito fare una grossa donazione a un'associazione che si occupa della riabilitazione delle vittime. Dal punto di vista internazionale si tende a vedere solo l'aspetto più generale e anche questo crea dei problemi". Tuttavia, la fonte riconosce che dopo i due crolli qualcosa si è mosso: "Da queste tragedie è nata una certa sensibilità tra gli imprenditori bangladeshi. Un esempio positivo è la Walton, una grande ditta locale. Nata come importatore e distributore di frigoriferi, da qualche anno produce da sé elettrodomestici e moto. Di recente ha inserito la mensa all'interno della struttura, preoccupandosi che i suoi operai possano nutrirsi in modo adeguato, mangiando cibo sano, e di conseguenza lavori meglio". Si tratta di "piccoli passi", aggiunge la fonte, "che se da una parte fanno ben sperare, andrebbero anche sostenuti dalle istituzioni. Purtroppo siamo costretti a vedere ancora molti soprusi. Come un datore di lavoro che ha aumentato gli stipendi ai suoi operai, ma poi in busta paga ha tagliato altre voci. O alcune giovani lavoratrici che per aver fatto 10 giorni di vacanza durante l'Id-al-Fitr (festa che chiude il mese sacro del Ramadan) è da un mese che non hanno il giorno libero a settimana e sono costrette a lavorare sette giorni su sette, perché già si sono 'riposate'". (R.P.)

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    Svizzera: no dei vescovi alla selezione genetica degli embrioni

    ◊   I vescovi svizzeri criticano la decisione della Commissione della Scienza, dell’Educazione e della Cultura del Consiglio degli Stati (Csec-E) di legiferare sulla diagnostica preimpianto, ossia sull’esame degli embrioni in provetta che consente di effettuare test genetici con interventi su singole cellule. “Chi può scegliere, selezionare ed eliminare embrioni in un laboratorio medico? – scrive in un comunicato stampa la Commissione di bioetica della Conferenza episcopale svizzera – una società non diventa migliore nel momento in cui si autorizza a selezionare ciò che essa considera i ‘buoni’ e ad eliminare gli altri”. A preoccupare i vescovi svizzeri è in particolare il fatto che la Csec-E non abbia tenuto conto dei limiti posti in materia di diagnostica preimpianto dal Consiglio federale che in essa riconosce tracce di eugenismo. “Una società è autenticamente umana – si legge ancora nel comunicato dei vescovi – quando, lottando contro la sofferenza e la malattia, si mostra capace di accogliere ogni persona nella propria dignità, fa posto ai più piccoli e ai più vulnerabili. Forte di questo principio umanistico ed evangelico – conclude il comunicato – la Chiesa rifiuta di considerare la scelta, la selezione e l’eliminazione degli esseri umani come un progresso. Essa plaude invece ad un orientamento della tecnica verso soluzioni innovatrici e rispettose di ogni vita umana”. (T.C.)

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    Paraguay: i docenti chiedono la mediazione della Chiesa nel conflitto con il Ministero di educazione

    ◊   Il presidente della Conferenza episcopale paraguaiana e vescovo di Caacupé, mons. Claudio Giménez ha confermato la disponibilità della Chiesa a svolgere un ruolo di mediazione “nella controversia tra i settori dell’educazione e il governo, sempre che ambedue le parti manifestino la propria volontà di fare delle rinunce per facilitare il dialogo e trovare una soluzione”. Mons. Giménez ha fatto questa dichiarazione durante la visita alla sede dell’episcopato, del presidente del Sindacato nazionale dei Direttori, Miguel Marecos, che accompagnato dai vertici sindacali, ha chiesto l’intervento della Chiesa nei negoziati per porre fine al conflitto nato dalla decisione del Ministero dell’Educazione di ridurre gli stipendi ai docenti che hanno partecipato allo sciopero generale. Lo sciopero era stato indetto alla fine di luglio dalla Federazione degli Educatori del Paraguay, che riunisce circa 40 mila membri; l’Organizzazione di lavoratori dell’Educazione, che rappresenta 16 mila docenti; e dal Sindacato nazionale di Direttori. I manifestanti chiedevano l’aumento degli stanziamenti del Ministero dell’Educazione per il pagamento dei bonifici e dei salari arretrati dei docenti e la riforma del sistema pensionistico, quest’ultima respinta dalla Camera dei deputati. La tensione è salita con la richiesta da parte del ministero ai direttori dei Centri educativi di fornire le liste dei docenti che avevano partecipato allo sciopero allo scopo di applicare sanzioni pecuniarie e contemporaneamente pretendere dagli educatori che non hanno scioperato, una dichiarazione giurata. Questa risoluzione è stata considerata illegale dalle organizzazioni dei lavoratori dei docenti, che hanno minacciato con uno sciopero a tempo indefinito se queste misure si fossero realizzate. Il direttore delle relazioni con i sindacati del ministero dell’educazione, Humberto Ayala, ha informato che lo sciopero ha lasciato a casa oltre 300 mila studenti ed ha annunciato il prolungamento dell’anno scolastico fino a dicembre. Il presidente dell’episcopato, mons. Claudio Giménez ha esortato le parti a trovare un compromesso ed ha dichiarato: “Non si potrà risolvere la controversia se lo spirito è quello dallo scontro frontale”. (A cura di Alina Tufani)

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    Messico: il dramma dei migranti che vengono rimpatriati

    ◊   “La Casa del Migrante Scalabrini e la Casa Madre Assunta accolgono il gruppo più numeroso di rimpatriati e li ospitano nei loro locali perché hanno più spazio, fornendo assistenza a persone di qualsiasi religione”: ad affermarlo, in una intervista rilasciata alle Pontificie Opere Missionarie del Messico (condivisa con l’agenzia Fides), è il direttore generale dell'Immigrazione dello Stato di Baja California, Rodulfo Figueroa Pacheco. Dal 1987 la Casa del Migrante Scalabrini ha accolto più di 190.000 migranti messicani (la stragrande maggioranza) e di altri Paesi dell'America centrale. Negli ultimi cinque anni, circa il 75% degli ospiti sono stati i migranti espatriati dagli Stati Uniti. Il direttore di questa istituzione ha detto che "la Casa dovrebbe essere chiamata ‘Casa dei Rimpatriati’ e non del Migrante, poiché il 90% delle persone che arrivano sono rimpatriate". Il Centro Madre Assunta per i migranti accoglie in modo particolare donne e bambini (circa 600 donne ogni anno) ed è diretto dalle suore Scalabriniane. Attivo da 19 anni a Tijuana, solo nei suoi primi 15 anni ha accolto 17.000 migranti fra donne e bambini. "Finora, nel corso del 2013, a Baja California ci sono stati 68.183 rimpatriati” ha riferito Figueroa, che ha anche precisato: “gli Stati del Messico che hanno più rappresentanti nella popolazione migrante sono Michoacán, Guanajuato, Oaxaca e Guerrero”. Nella nota inviata a Fides dalle Pom del Messico, il direttore diocesano delle Missioni di Tijuana, padre Jaime Morales Crusalei, afferma che “nelle parrocchie ogni giorno arrivano migranti in cerca di un aiuto materiale. Quando hanno bisogno di aiuto infatti non vanno per le strade, e cercano sempre di nascondersi, perché la polizia li potrebbe fermare in quanto senza documenti e considerati teppisti o criminali”. Secondo la legge messicana, i documenti di identità scadono ogni tre anni, così quanti sono emigrati, scaduto questo termine e non avendo potuto ottenere i documenti dal Paese che li ospita, si trovano senza alcun documento valido, non riconosciuti neanche nel loro Paese. Padre Jaime Morales evidenzia infine che “dinanzi a questi problemi, le autorità non hanno cuore. La pastorale sociale della Chiesa locale ha un programma di azione su questo tema. I diritti umani infatti hanno un ruolo importante riguardo ai migranti”. (R.P.)

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    Cina: la Chiesa si interroga sul fenomeno delle migrazioni

    ◊   “Abbiamo il dovere e la responsabilità urgente della sensibilizzazione sul fenomeno dell’emigrazione (interna ed esterna) nella società e di rispondere alle sue sfide pastorali secondo la Dottrina sociale della Chiesa, perché anche Gesù era un emigrante, come lo siamo tutti noi o lo siamo stati”: così don J.B. Zhang ha aperto il seminario intitolato “Urbanizzazione, immigrazione e cura pastorale” svoltosi a Shi Jia Zhuang, capoluogo della provincia dell’He Bei. “Anche Gesù e la sacra famiglia, gli apostoli… erano tutti emigranti. La Chiesa ha una lunga tradizione nella cura pastorale degli emigranti e dei rifugiati, che sono stati sempre tra i temi più cari ai Papi, con il loro messaggio annuale per la Giornata del migrante - ha continuato don Zhang -. Soprattutto Papa Francesco, nel breve tempo del suo pontificato, ha già dimostrato grande attenzione verso i migranti”. Secondo le informazioni inviate all’Agenzia Fides da Faith, oltre 160 tra missionari, religiosi e religiose, sacerdoti diocesani, volontari cattolici e protestanti, membri del mondo accademico, imprenditori, funzionari pubblici, autorità locali hanno preso parte ai lavori del seminario, provenienti oltre che da diverse parti della Cina, anche dagli Stati Uniti d’America, dall’Italia, dalla Polonia, dal Giappone e dalla Germania. Tra i relatori del seminario, il direttore del China-Zentrum e direttore spirituale della comunità cattolica cinese a Colonia, padre Martin Welling, nella sua relazione “la Chiesa tedesca si prende cura dei tre tipi di itineranti, ha condiviso la sua lunga esperienza pastorale tra gli emigranti. Don Pietro ha svolto il tema “Dallo sviluppo della comunità cattolica in Italia all’evangelizzazione degli immigrati”. La direttrice esecutiva del Taipei Ricci Institute ha invece affrontato il problema dell’educazione dei bambini emigrati (“Migrant Children and Their Educational Prospects in Today’s China”). Inoltre sono state presentate le esperienze delle diverse comunità nazionali presenti nella Cina continentale: “La comunità coreana a Shang Hai”, “La comunità spagnola a Shang Hai”, “La comunità di lingua italiana”, “La comunità polacca a Pechino”, “La comunità di lingua inglese a Pechino e a Tian Jin”. Anche i rappresentanti degli immigrati interni hanno esposto le loro esigenze spirituali, invitando le diocesi ad un ulteriore impegno in questo campo. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 256

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