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Sommario del 11/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: il cristiano è figlio della Chiesa, la ami come una mamma, anche se ha difetti
  • Il Papa al Centro Astalli: i conventi vuoti non si trasformino in alberghi, sono per la carne di Cristo, i rifugiati
  • Il Papa tra i rifugiati. P. La Manna: "come il buon samaritano, ci insegna ad essere Comunità"
  • Visita a Cagliari: il Papa incontra giovani, poveri, lavoratori e detenuti
  • Il Papa risponde a Eugenio Scalfari: riaprire le porte di un dialogo aperto tra credenti e non credenti
  • Il card. Ravasi: lettera del Papa a Scalfari "manifesto" del Cortile dei Gentili
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria, il racconto di Domenico Quirico: la presenza di Dio non mi ha mai abbandonato
  • Siria. L'Onu insiste per il negoziato, gli Usa lasciano spazio alla diplomazia
  • 40 anni fa il golpe in Cile. L’impegno della Chiesa, nel ricordo di chi lo ha vissuto
  • Ue: 6 milioni di giovani disoccupati, lanciato piano da 30 miliardi di euro
  • Rapporto Onu: nei Paesi Asia-Pacifico: un uomo su quattro ha commesso uno stupro
  • Confindustria: recessione finita, ma stabilità politica cruciale per la ripresa
  • La famiglia al centro della 47.ma Settimana Sociale, al via a Torino
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Il Patriarca Gregorio III a Obama: “I grandi leader sono quelli che sanno fare la pace”
  • Russia: lettera del patriarca Kirill a Obama: "Gli Usa ascoltino le voci dei capi religiosi"
  • Siria. L'Unicef denuncia: "Cicatrici invisibili su oltre 4 milioni di bambini"
  • Libano: a Beirut parte l’iniziativa “Operazione Colomba” per i profughi siriani
  • Congo. Colloqui tra governo e ribelli per la pace nel Nord Kivu
  • Colombia: in tutto il Paese si celebra la settimana della pace
  • Asia: allerta crisi alimentare e disponibilità delle risorse nel continente
  • India: nel Karnataka in aumento le violenze anticristiane
  • India: i Francescani si impegnano a pregare e ad agire per la pace e l'armonia
  • Polonia. "Solo una famiglia regolare costituisce il nucleo di ogni comunità sociale"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: il cristiano è figlio della Chiesa, la ami come una mamma, anche se ha difetti

    ◊   Tutti siamo parte della Chiesa, che ci genera alla fede come una madre genera suo figlio. È questo il concetto centrale attorno al quale Papa Francesco ha sviluppato la catechesi dell’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, davanti a circa 80 mila persone, riprendendo le catechesi sull’Anno della fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Per me, è l’immagine più bella della Chiesa: la Chiesa madre”.

    Papa Francesco comincia così l’udienza generale, con una dichiarazione d’amore alla mamma di ogni cristiano. La Chiesa e Maria, la Madre di Gesù, sono “mamme entrambe”, ha detto, e ciò che si può dire dell’una vale per l’altra. E il primo atto che una mamma compie è di generare alla vita, nel caso della Chiesa generare alla vita della fede all’interno di una comunità, viva al di là dei suoi difetti:

    “Un cristiano non è un’isola! Noi non diventiamo cristiani in laboratorio, noi non diventiamo cristiani da soli e con le nostre forze, ma la fede è un regalo, è un dono di Dio che ci viene dato nella Chiesa e attraverso la Chiesa. Quello è il momento in cui ci fa nascere come figli di Dio, il momento in cui ci dona la vita di Dio, ci genera come madre”.

    E da una origine così palpitante non può dipendere, avverte Papa Francesco, un’appartenenza di facciata, un qualcosa di burocratico:

    “Il nostro far parte della Chiesa non è un fatto esteriore, formale, non è riempire una carta che ci danno e poi … no, no: non è quello! E’ un atto interiore e vitale; non si appartiene alla Chiesa come si appartiene ad una società, ad un partito o ad una qualsiasi altra organizzazione. Il legame è vitale, come quello che si ha con la propria mamma, perché la Chiesa è realmente madre dei cristiani”.

    Il magistero stesso di Papa Francesco si nutre di questa vitalità di scambio, naturale e diretto, con i fratelli di fede, in questo caso con gli 80 mila che lo ascoltano in Piazza. E nello stimolarli a una riflessione su quale sentimento di riconoscenza abbiano nei confronti della Chiesa come loro madre, rivolge a tutti, con la consueta simpatia, una domanda che fa pensare:

    Quanti di voi ricordano la data del proprio Battesimo? (…) La data del Battesimo è la data della nostra nascita alla Chiesa, la data nella quale la mamma Chiesa ci ha partorito. E’ bello... E adesso, un compito da fare a casa: quando oggi tornate a casa, andate a cercare bene qual è la data del vostro battesimo. E quella è buona, per festeggiarlo, per ringraziare il Signore per questo dono”.

    "Amiamo la Chiesa come si ama la propria mamma - ha poi domandato Papa Francesco - sapendo anche comprendere i suoi difetti? Tutte le mamme hanno difetti, tutti ne abbiamo" e "la Chiesa ha i suoi difetti". "La aiutiamo ad essere più bella, più autentica, più secondo il Signore?". Poi, il Papa ha sottolineato che compito di una mamma è di aiutare i figli a crescere e la Chiesa lo fa con i Sacramenti, che accompagnano ogni persona nell’arco della vita, anche nei momenti più difficili o cruciali. Ma c’è una terza caratteristica tipica della Chiesa, che Papa Francesco spiega così:

    “La Chiesa, mentre è madre dei cristiani, mentre ‘fa’ i cristiani, è anche ‘fatta’ da essi (...) Allora la maternità della Chiesa la viviamo tutti, pastori e fedeli. Alle volte io sento: ‘Io credo in Dio ma non nella Chiesa’ (…) Ma una cosa sono i preti… La Chiesa non è solo i preti: la Chiesa siamo tutti. E se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso, e questa è una contraddizione. La Chiesa, siamo tutti!”.

    “Tutti – conclude Papa Francesco incalzando la folla – siamo chiamati a collaborare alla nascita alla fede di nuovi cristiani, tutti siamo chiamati ad essere educatori nella fede, ad annunciare il Vangelo”:

    “Quando ripeto che amo una Chiesa non chiusa nel suo recinto, ma capace di uscire, di muoversi, anche con qualche rischio, per portare Cristo a tutti, penso a tutti, a me, a te, a ogni cristiano! Penso a tutti. Tutti partecipiamo della maternità della Chiesa, tutti siamo Chiesa: tutti; affinché la luce di Cristo raggiunga gli estremi confini della terra”.

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    Il Papa al Centro Astalli: i conventi vuoti non si trasformino in alberghi, sono per la carne di Cristo, i rifugiati

    ◊   “Non dobbiamo avere paura delle differenze! La fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza, un dono per tutti!”. Così il Papa ai rifugiati del Centro Astalli, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, visitato in forma privata. Al termine della visita alla mensa del Centro Astalli, il Santo Padre si è recato nella Chiesa del Gesù, luogo fortemente simbolico e significativo per il Centro, perché lì si trova la tomba di Padre Pedro Arrupe, fondatore dello stesso Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Il servizio di Debora Donnini:

    Roma, dopo Lampedusa e altri luoghi di arrivo, è la seconda tappa dove i rifugiati giungono dopo un viaggio difficile, lungo, estenuante anche violento. Lo ricorda il Papa che pensa soprattutto alle donne, alle mamme che sopportano questo pur di assicurare un futuro ai loro figli e una speranza di vita diversa. Quante volte qui come in altre parti del mondo, nota il Papa, persone che portano scritto sul permesso di soggiorno “protezione internazionale” sono costrette a vivere situazioni disagiate e “senza la possibilità di iniziare una vita dignitosa”. Quindi il Papa ringrazia questo Centro e altri servizi ecclesiali, pubblici e privati, che si danno da fare per queste persone. L’invito, dunque, è a tenere sempre viva la speranza:

    “Aiutare a recuperare la fiducia! Mostrare che con l’accoglienza e la fraternità si può aprire una finestra sul futuro, più che una finestra, una porta, e più si può avere ancora un futuro! Ed è bello che a lavorare per i rifugiati, insieme con i gesuiti, siano uomini e donne cristiani e anche non credenti o di altre religioni, uniti nel nome del bene comune, che per noi cristiani è specialmente l’amore del Padre in Cristo Gesù”.

    Il Papa ricorda che fu Sant’Ignazio di Loyola a volere che ci fosse uno spazio per accogliere i più poveri nei locali dove aveva la sua residenza a Roma e il padre Arrupe nel 1981 fondò il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati e volle che la sua sede romana fosse in questi locali. Tre le parole che racchiudono il programma di lavoro per i gesuiti e i loro collaboratori: servire, accompagnare e difendere. Servire “significa chinarsi su chi ha bisogno e tendergli la mano” “come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli Apostoli”. Servire significa stabilire con più bisognosi prima di tutto relazioni umane, legami di solidarietà:

    “Solidarietà, questa parola che fa paura al mondo sviluppato. Cercano di non dirla. Solidarietà è quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola! Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione”.

    Il Papa ricorda dunque che “i poveri sono anche maestri privilegiati della nostra conoscenza di Dio”: la loro fragilità e semplicità smascherano i nostri egoismi, le nostre false sicurezze, le nostre pretese di autosufficienza e ci guidano all’esperienza della vicinanza e della tenerezza di Dio, a ricevere nella nostra vita il suo amore, la sua misericordia di Padre che, con discrezione e paziente fiducia, si prende cura di noi, di tutti noi”.

    Da questo luogo di accoglienza il Papa desidera che tutti, “tutte le persone che abitano in questa diocesi di Roma” si chiedano se vivono chiusi in se stessi o sanno servire gli altri come Cristo che è venuto per servire fino a donare la sua vita. Il secondo aspetto è quello di “accompagnare”. Il Papa ricorda il percorso compiuto negli anni dal centro Astalli: dalla prima accoglienza si è passati ad accompagnare le persone alla ricerca di un lavoro e all’inserimento sociale e a promuovere una cultura dell’incontro e della solidarietà. “La sola accoglienza non basta”, ricorda il Papa. La misericordia vera, prosegue, chiede anche “a noi chiesa, a noi città di Roma” che “nessuno debba più avere bisogno di una mensa, un alloggio di fortuna, di un servizio di assistenza legale per vedere riconosciuto il proprio diritto a vivere e a lavorare e essere pienamente persona”.

    Infine, Papa Francesco ricorda che “difendere” è “mettersi dalla parte di chi è più debole”. “Quante volte – afferma - non sappiamo o non vogliamo dare voce alla voce di chi – come voi – ha sofferto e soffre, di chi ha visto calpestare i propri diritti, di chi ha vissuto tanta violenza che ha soffocato anche il desiderio di avere giustizia!”. Il Papa sottolinea dunque che “per tutta la Chiesa è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli ‘specialisti’, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali”. In particolare Papa Francesco ricorda che il Signore chiama a vivere con più coraggio l’accoglienza nelle comunità:

    “Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio”.

    L’invito è dunque quello di “superare la tentazione della mondanità spirituale per essere vicini” “soprattutto agli ultimi”. Abbiamo bisogno, dice, di comunità solidali che vivano l’amore in modo concreto!”:

    “Ogni giorno, qui e in altri centri, tante persone, in prevalenza giovani, si mettono in fila per un pasto caldo. Queste persone ci ricordano sofferenze e drammi dell’umanità. Ma quella fila ci dice anche che fare qualcosa, adesso, tutti, è possibile. Basta bussare alla porta, e provare a dire: “Io ci sono. Come posso dare una mano?”.

    “Grazie, dice infine, per difendere la vostra, la nostra dignità umana”.

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    Il Papa tra i rifugiati. P. La Manna: "come il buon samaritano, ci insegna ad essere Comunità"

    ◊   “E’ un giorno di gioia e di incoraggiamento per il Centro Astalli, per i rifugiati e per chi vi lavora con impegno”. Questo il commento del direttore Padre Giovanni La Manna parlando ai giornalisti, assieme al portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, al termine della visita durata circa un'ora e mezza, del Papa nel Centro di assistenza dei Gesuiti nel cuore di Roma. Grande folla anche innanzi alla Chiesa del Gesù da cui il Pontefice è uscito per far rientro in macchina in Vaticano. Ha seguito per noi l’evento Gabriella Ceraso:

    E’ stato un incontro di volti, di cuori, di storie in un clima di fraternità concreta quello di Papa Francesco con i rifugiati romani: con grande semplicità e senza scorta è arrivato, ha salutato quelli che erano in fila in via degli Astalli come ogni giorno per accedere a mensa, e poi è sceso tra chi pranzava, ha anche assaggiato un dolce fatto in cucina, ha visitato l’ambulatorio medico e pregato in Cappella, ma soprattutto si è soffermato con 20 rifugiati. Sono africani pakistani, afghani, una donna colombiana... C’è un ingegnere, un giocatore di calcio, un giornalista, delle famiglie, una donna con i suoi bimbi : tutti vittime di minacce, sequestri, violenze, fuggiti e ora in cerca di dignità e rispetto. "L’ascolto del Papa con ciascuno è stato profondo e attento", sottolinea padre Lombardi.

    Passato nella Chiesa del Gesù, il Pontefice con una famiglia di copti egiziani ha deposto dei fiori sulla tomba di Padre Arrupe, e ha ascoltato la storia di Carol insegnante rifugiata siriana, del suo Paese, che definisce "senza futuro", dove non si può andare a scuola, né pregare, né vivere. Quindi la storia di guerra e dolore di Adam, 33 anni, sudanese del Darfur che ha visto morire gli amici attraversando il Mediterraneo e oggi chiede più diritti e integrazione vera. "Il Papa ha ribadito in questa occasione i grandi temi del suo Pontificato", sottolinea Padre Lombardi: non aver paura delle differenze, tener viva la speranza, lavorare con chi è nel bisogno. Temi che accomunano l’appuntamento a Lampedusa con questo al Centro Astalli. "Il messaggio che ci lascia è chiaro", sintetizza con grande gioia il direttore, padre Giovanni La Manna: "Non aver paura di essere comunità che si prende cura di ciascuno, contro la globalizzazione dell’indifferenza”.

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    Visita a Cagliari: il Papa incontra giovani, poveri, lavoratori e detenuti

    ◊   Una giornata intensa ricca di incontri con le diverse realtà della Sardegna. Si presenta così la visita di Papa Francesco a Cagliari, domenica 22 settembre, scorrendo il programma del viaggio pubblicato oggi dalla Sala Stampa vaticana. Il Papa arriverà all’aeroporto di Cagliari poco dopo le 8 di mattina e subito incontrerà il mondo del lavoro, in Largo Carlo Felice. Ci sarà poi il saluto delle autorità nel Piazzale antistante il Santuario di Nostra Signora di Bonaria di Cagliari e quello dei malati nella Basilica. Alle 10,30 dunque la Messa nel piazzale antistante il Santuario e alle 12 la recita dell’Angelus. Dopo il pranzo con i vescovi sardi, nel Pontificio Seminario regionale di Cagliari, il Papa incontrerà, alle 15, i poveri e i detenuti nella Cattedrale di Cagliari. Alle 16, l’incontro con il mondo della cultura nell’Aula Magna della Pontificia Facoltà teologica della Sardegna. Infine alle 17, l’atteso incontro con i giovani, al termine dell’evento “Getta le tue reti”. Il rientro del Papa in Vaticano è previsto intorno alle 19.30. (A cura di Alessandro Gisotti)

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    Il Papa risponde a Eugenio Scalfari: riaprire le porte di un dialogo aperto tra credenti e non credenti

    ◊   E’ stata pubblicata, stamani, sul quotidiano La Repubblica, un’ampia lettera di Papa Francesco inviata a Eugenio Scalfari in risposta alle domande che il fondatore ed ex direttore del quotidiano gli aveva posto, sempre sul giornale, su temi di fede e attualità. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    “È venuto ormai il tempo”, e il Concilio Vaticano II ne ha inaugurato la stagione, “di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro”: è quanto scrive il Papa rispondendo a Scalfari, che si definisce “un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth”. Papa Francesco parla di un paradosso: il fatto che lungo i secoli della modernità, “la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità”.

    Il Papa, citando l’Enciclica Lumen Fidei, ribadisce “che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”.

    Quindi, ricorda che per lui, la fede “è nata dall’incontro con Gesù”, un “incontro personale, che ha toccato” il suo cuore e ha dato “un indirizzo e un senso nuovo” alla sua esistenza. Ma “senza la Chiesa – afferma - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità”. “Ora – scrive il Papa a Scalfari - è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell’ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme”.

    Andando al cuore delle domande di Scalfari, Papa Francesco ricorda come Gesù predichi “«come uno che ha autorità», guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell’Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio”. La fede cristiana crede proprio questo: “che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell’amore”. E il Papa aggiunge: “Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell’incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana”.

    Alla domanda su quale sia l’originalità della fede cristiana, il Papa afferma che sta “nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell’amore”. Quindi, “la singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione”. Di qui consegue “anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel ‘dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare’, affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell’Occidente”.

    Rispondendo poi alla domanda sulle promesse di Dio agli ebrei, il Papa afferma che “soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù” e che “mai è venuta meno la fedeltà di Dio all’alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell’alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto”.

    Scalfari chiede poi se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. “Premesso che — ed è la cosa fondamentale — la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito – risponde il Papa - la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.

    Circa l’esistenza o meno di una verità assoluta, il Papa spiega: “io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: «Io sono la via, la verità, la vita»? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione”.

    Il Papa, poi, rispondendo alla domanda in cui Scalfari chiede “se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio”, afferma che “anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra — e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno — , l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui. La Scrittura parla di «cieli nuovi e terra nuova» e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà «tutto in tutti»”.

    Queste riflessioni, "suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi" – scrive il Papa a Scalfari – “le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all’invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall’Abbà «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc4, 18-19)”.

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    Il card. Ravasi: lettera del Papa a Scalfari "manifesto" del Cortile dei Gentili

    ◊   La lettera di Papa Francesco si sofferma in particolare sull'importanza del dialogo tra credenti e non credenti. Un tema su cui è particolarmente impegnato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e promotore del "Cortile dei Gentili". Al microfono di Fabio Colagrande, il cardinale Ravasi confida i sentimenti cui i quali ha accolto questa lettera del Papa:

    R. – Certamente, l’ho accolta con particolare soddisfazione, anche perché mi sembra che questo testo possa diventare, per certi versi, una sorta di manifesto del Cortile dei Gentili, per i contenuti ma anche per il metodo del dialogo stesso. C’è una frase emblematica, che abbiamo continuato a testimoniare anche attraverso gli incontri che sono stati fatti finora: “Il credente non è arrogante, ma umile”. E, soprattutto la presentazione della fede come luce e non come tenebra misteriosa, che permette poi l’accusa di oscurantismo. Penso che, in questa luce, la lettera del Papa sia anche il più alto patrocinio all’incontro del Cortile dei Gentili che il 25 di settembre faremo nel Tempio di Adriano a Roma, con il dialogo che condurrò proprio con Eugenio Scalfari.

    D. -– Il Papa parte da una constatazione: “Il dialogo con i non credenti non è un accessorio secondario nella vita di chi crede, anzi”...

    R. – E questa è forse proprio la dichiarazione più forte, per cui – come ho detto – è quasi una sorta di suggello che viene dato a questa istituzione del Cortile, che ormai è tale non solamente all’interno del nostro dicastero, ma anche – se si vuole – nell’ambito del dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo. Quindi, è anche un avallo solenne e ulteriore a quel punto di partenza che era stato dato da Benedetto XVI, il quale con intensità ha sempre sostenuto con particolare passione il Cortile. Ora, Benedetto XVI “idealmente” passa anche in questo caso il testimone a Papa Francesco che ha intuito e ha centrato lo spirito fondamentale del Cortile.

    D. – Un’altra precisazione che il Papa fa in apertura di questa lettera, e sulla quale si sofferma, è che senza la Chiesa non avrebbe potuto incontrare Gesù.

    R. – Secondo me, ci sono un po’ come due volti interessanti. Da una parte, il volto del credente, il quale afferma la sua identità in maniera chiara. È quello che noi abbiamo sempre voluto affermare: l’identità nel dialogo deve essere la più completa possibile, la più ricca. Quindi, direi che ci sono due elementi sui quali il Papa insiste molto: da un lato la figura di Cristo, che è centrale per il credente cristiano e dall’altra parte la comunità, la Chiesa, al cui interno Cristo è presente e il credente stesso è presente. La Chiesa è necessaria proprio per quel principio fondamentale, il cuore quasi del messaggio cristiano, che è l’Incarnazione. Per cui, la fede non è semplicemente un’adesione interiore, spirituale, mistica e soggettiva. Direi che questo è l’elemento fondamentale: Cristo e Chiesa nell’identità del cristiano che si presenta a dialogare con colui che vuole conoscere questo orizzonte.

    D. – Infine, un’altra affermazione forte del Papa: “Per chi crede la verità non è assoluta ma è una relazione”...

    R. – Bisogna ricordare che questa componente della verità è stata ininterrottamente riproposta tutte le volte che ho condotto e ho partecipato ai Cortili dei Gentili, perché è evidentemente uno snodo capitale. E soprattutto, come nel caso delle fede che è luce, anche in questo caso l’affermazione della verità assoluta qualche volta creava una difficoltà di partenza, perché la concezione di assoluto all’interno delle cultura contemporanea è problematica e, soprattutto per molti, ciò che non è assoluto è relativo. Quindi, la relatività è la dispersione totale. Invece, questo non essere assoluto – come spiega appunto Papa Francesco – è il significato vivente della verità. La verità di sua natura ci precede e ci eccede, e noi siamo pellegrini in essa. Quindi, abbiamo bisogno di una relazione con la verità che ci circonda. Per il credente, evidentemente, è il divino, è il trascendente. Per il non credente è proprio questo immenso orizzonte nel quale si cammina. Già Platone lo affermava quando diceva che la biga dell’anima, il cocchio dell’anima, corre nella pianura della verità, cioè la verità non è una realtà fredda come una pietra preziosa che tu metti in tasca. È invece una pianura immensa, un orizzonte – o per usare un’altra immagine di uno scrittore del secolo scorso – possiamo dire che la verità è un mare nel quale si entra e si naviga. Ecco, in questa luce credo che l’espressione verità non assoluta, ma personale, interpersonale, sia molto fruttuosa per il dialogo, senza per questo perdere in sé la dimensione di oggettività, di identità in sé stessa, tipica della verità.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria, il racconto di Domenico Quirico: la presenza di Dio non mi ha mai abbandonato

    ◊   “La presenza di Dio non mi ha mai abbandonato”. Così Domenico Quirico, inviato de La Stampa, racconta ai nostri microfoni i 152 giorni di prigionia in Siria. Oggi, il premier italiano, Enrico Letta, parlando alla Camera della difficile situazione siriana ha ricordato il cronista e il gesuita padre Paolo dall’Oglio, ancora in mano ai gruppi armati. Tra le fila dei sequestrati, figurano anche due vescovi di Aleppo, due sacerdoti e oltre 24 giornalisti, tra siriani e straneri. Massimiliano Menichetti ha raccolto la testimonianza di Domenico Quirico:

    R. – Diciamo che la cosa che mi ha più colpito – e ho avuto anche altre esperienze di sequestri in altre parti del mondo – è la totalità del male, che è come se Dio avesse consegnato al diavolo questo Paese, dicendogli: “Questo Paese è tuo: fanne quello che vuoi! E tutti quelli che vi entreranno, io non li aiuterò più”. A un certo punto, io ho pensato questo: la totalità del male. Io non ho mai provato in nessun altro posto, nello stesso modo, nella stessa misura, nella stessa tremenda completezza, l’assolutezza della mancanza di pietà, di compassione, di rispetto per l’altro che soffre.

    D. – Che cosa ha mosso, secondo te, il tuo rapimento, il vostro rapimento?

    R. – Un’orribile cosa che si chiama avidità: null’altro. Nessuna motivazione ideologica, neppure esasperata, folle, nessun fanatismo. Semplicemente la vecchia, antica, lercia, avidità umana.

    D. – Nel tuo lungo pezzo sulla “Stampa” scrivi: “In tutta questa esperienza, c’è molto Dio”. Che cosa vuoi dire?

    R. – Voglio dire, che fortunatamente, essendo io credente, avevo accanto a me qualcosa che non mi ha mai abbandonato, neppure quando per alcuni momenti ho sentito l’assenza di Dio: ed è la presenza di Dio, l’atto semplicissimo del pregare. Questa è stata presente per tutti i 152 giorni della mia detenzione: Dio era là, la fede era lì, in molti modi, non mi ha mai abbandonato.

    D. – Hai avuto la pistola puntata alla tempia, senza sapere se avrebbero sparato: che cosa hai pensato, in quei momenti?

    R. – Non so se hai letto il racconto che Dostojevski fa della stessa esperienza che aveva subito dopo la rivoluzione decabrista... La cosa che colpisce di più è l’orribile sensazione di piacere che un altro essere umano prova a farti paura. Prova piacere ad annusare, toccare la tua paura. E questo provoca, da un lato, angoscia e dall’altro lato una rabbia terribile: ti vergogni di aver paura di fronte a quell’uomo che ti minaccia con la pistola.

    D. – Due finte esecuzioni, due fughe. Siete stati trattati male. Mangiavi avanzi, dovevi chiedere per ogni cosa. In un’intervista hai detto che non hai rancore nei confronti dei tuoi carcerieri: come è possibile?

    R. – Ci sono due vie che si possono seguire, dopo un’esperienza del genere: l’una è la via dell’odio, della rabbia, della voglia di vendetta, che forse è la più facile, la più semplice, lastricata di meno ostacoli, la si può imboccare facilmente: non è difficile. E’ gente che mi ha rubato cinque mesi di esistenza, cinque mesi di sentimenti, di passioni, di amori, di cose che potevo fare e che non potevo fare, di cose che non ho visto e non vedrò mai più, che non potrò più recuperare in alcun modo. La seconda via è quella del perdono: è la più complicata, la più complessa, credo impraticabile. Bisogna essere santi: io non sono un santo. Però, imboccare la via dell’odio è un errore, perché trasformerebbe il male che queste persone mi hanno fatto in qualche cosa di permanente. Cioè, sarei un uomo peggiore di quello che ero prima di questa esperienza e sarebbe in una certa misura il modo in cui questa gente, che mi ha sequestrato, continuerebbe ad avermi nelle sue spire, nelle sue unghie, nei suoi artigli.

    D. – Nel tuo secondo tentativo di fuga, sei riuscito a prendere un kalashnikov e una granata, però non li hai usati…

    R. – Non lo so, francamente, se sarei stato in grado di utilizzare la granata, perché avrebbe significato ammazzare una persona. Io non penso di essere in grado di farlo, neppure in una situazione così estrema. Mettiamola in questo modo: sono felice di non aver lanciato quella granata.

    D. – Dici: “Pier Piccinin ed io eravamo due credenti”. Vi siete incontrati nella fede?

    R. – Questo sì, molte volte, anche se la nostra fede è molto diversa. La mia è una fede molto semplice, di quando ero bambino, delle preghiere che recitavo quando piccolo, maturata incontrando i sacerdoti di campagna, quando andavo a trovare mia nonna in vacanza, d’estate, in campagna. Come dico sempre, spingevano la bicicletta d’inverno nelle strade innevate, d’estate nella polvere dei campi, per andare a portare l’estrema unzione, la benedizione di Pasqua… Sacerdoti di Bernanos che magari non ne sapevano molto di teologia, ma la cui fede era granitica, che non esitava, che non aveva paura. La mia fede è molto semplice: è darsi, affidarsi, concedersi. La fede di Pier Piccinin è una fede più complicata, è un patto con Dio, la fede di Abramo… Ci siamo ritrovati nella preghiera, nella speranza, qualche volta anche nella sensazione che Dio ci avesse abbandonati, che fossimo soli: perché c’è stato anche quello. Ci siamo salvati perché eravamo in due, altrimenti saremmo impazziti.

    D. – Che idea ti sei fatto della situazione siriana?

    R. – Penso che in questo momento la Siria sia un Paese perduto. Perduto per l’umanità, per l’uomo. Perduto – ahimé – credo per molto tempo. Tra poco, forse da oggi, non si potrà più raccontarla, non si potrà più andarci. Non è soltanto un problema di tipo giornalistico: è un problema di assenza della testimonianza. La Siria esce dalla storia ed entra nelle spire di qualche cosa di terribile, tremendo… La storia di questo Paese, la rivoluzione mi ha un po’ tradito. Io ho creduto nella rivoluzione siriana, nei suoi giovani eroi, nei ragazzi di Aleppo, nei contadini del Jebel, di Idlib, che si battevano contro la dittatura… Adesso, tutto questo non esiste più: la primavera siriana è morta, è stra-morta. Ci sono i banditi e i fanatici, ci sono combattenti ribelli che pregano cinque volte al giorno, in cui l’invocazione a Dio è sempre lì, in cui i muezzin urlano l’appello alla preghiera ovunque, in cui prima della battaglia i combattenti si mettono in lunghe schiere con due kalashnikov imbracciato imboccano la loro via per la vittoria… Ed è il Paese in cui Dio è più lontano, in cui si fanno le cose più contrarie. I miei carcerieri pregavano a un metro da me ed erano gli stessi che poi mi gettavano il cibo come ad un cane o che mi picchiavano come una bestia.

    D. – Tornerai in zone di crisi?

    R. – Il mio concetto di giornalismo è semplice come la mia fede: cioè, scrivere ciò che uno vede, essere presenti laddove l’uomo soffre. Raccontare il dolore è una cosa molto complicata, che richiede molta onestà, e la prima onestà è di vederlo e condividerlo. Non si racconta chi soffre se non soffri anche tu. Allora, o lo faccio in questo modo o faccio un altro mestiere.

    D. – Tutti noi ti stiamo chiedendo tante cose. C’è invece qualcosa che tu vorresti dire?

    R. – Di non dimenticare le persone che sono ora nella stessa condizione in cui ero fino a domenica scorsa, perché la cosa più tremenda è l’idea di essere soli.

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    Siria. L'Onu insiste per il negoziato, gli Usa lasciano spazio alla diplomazia

    ◊   La crisi siriana. La commissione d'inchiesta dell'Onu ribadisce la via negoziale. Intanto, ieri il presidente Usa Obama ha detto che di fronte agli attacchi con i gas c'è il dovere di agire, confermando tuttavia di aver chiesto al Congresso più tempo per il voto, proprio per permettere alla diplomazia di fare il suo corso. Confermata l’apertura alla proposta russa di gestire a livello internazionale l’arsenale chimico siriano. Forti comunque per l’Onu i sospetti sull’uso di gas da parte del regime di Damasco. Di diverso avviso Mosca, che avrebbe dato alle Nazioni Unite le prove sull’utilizzo di armi chimiche da parte dei ribelli.

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    40 anni fa il golpe in Cile. L’impegno della Chiesa, nel ricordo di chi lo ha vissuto

    ◊   Marce, commemorazioni, Messe, sit-in, ma anche indagini, processi, inchieste. Soprattutto dolore. Il Cile non dimentica: sono passati 40 anni dal golpe del generale Augusto Pinochet e dalla morte a Santiago del presidente Salvador Allende. Secondo dati ufficiali, tra l’11 settembre 1973 e il 1990 vennero detenute illegalmente o torturate 38.254 persone, mentre 3.216 furono uccise o fatte sparire. Nelle ultime ore, mille persone si sono stese per terra sull’avenida Alameda, non lontano dal palazzo presidenziale della Moneda, che il giorno del golpe venne bombardato dagli aerei della "fuerza aerea" di Santiago: tutte hanno commemorato i 1.200 "desaparecidos" degli anni del regime Pinochet. A oggi, almeno 262 persone sono state giudicate per violazioni dei diritti umani nel Paese, mentre sono in corso oltre mille procedimenti giudiziari. Quarant’anni dopo, dunque, il Cile come ricorda il golpe? Ascoltiamo il collega cileno Luis Badilla Morales, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - Innanzitutto, con molto dolore. Ci sono ancora tante persone in vita, nonostante siano passati 40 anni. Queste persone hanno sofferto molto, hanno perso figli, marito, moglie. Ci sono famiglie distrutte per colpa dell’esilio e ci sono coloro che poi successivamente sono emigrati per ragioni economiche. Quindi, c’è un profondo dolore, quasi una certa sofferenza intima, che si legge sulla stampa locale e che si vede nei programmi televisivi. Ho l’impressione che in queste settimane - nonostante ci siano state molte polemiche, molte letture critiche, storiche, politiche degli eventi di 40 anni fa - il Paese sostanzialmente abbia una reazione abbastanza comune: quella di guardare verso il futuro, in avanti.

    D. - Le cifre ufficiali delle Commissioni governative riguardo alla repressione scatenata dai militari cileni agli ordini di Pinochet parlano di oltre tremila morti, più di mille scomparsi nel nulla. Poi ci furono arresti, detenzioni illegali, torture… Ma dietro le cifre rimangono le persone, i parenti delle vittime che ancora chiedono verità e giustizia. A che punto è la ricostruzione dei fatti?

    R. - Credo che in questo senso si sia andati parecchio avanti, perché tutte le ricerche storiche fatte dai governi democratici successivi alla dittatura militare di Pinochet - insieme con le autorità politiche, civili e con quelle della Chiesa cattolica e di altre Chiese cristiane che si sono impegnate nella difesa dei diritti umani - più o meno hanno ricostruito il panorama statistico. Ma questo serve a poco, perché lì c’è tutto il dolore. La cosa fondamentale sono le persone, quello che Papa Francesco chiamerebbe “la carne di Cristo”, cioè quelli che noi possiamo toccare. E questo è il dolore che rimane. Questo dolore, come hanno detto in 40 anni i vescovi, può essere mitigato solamente con la verità, anche se dolorosa, con la giustizia e infine con la riconciliazione.

    D. - Le organizzazioni di difesa dei diritti umani chiedono l’abolizione del decreto legge sull’amnistia, che esclude dalla responsabilità penale tutte quelle persone che commisero le violazioni tra il ’73 e il ’78. Come si muove la giustizia oggi?

    R. - Questo è un tema molto delicato che caratterizza un po’ tutti i Paesi dell’America Latina che sono passati dalla dittatura alla democrazia. In Cile, si è andati molto avanti in questo senso. Non si è raggiunto quello che giustamente vorrebbero tutti, però questo fa parte della riconciliazione: cioè aspettare la maturazione dei tempi per tornare alla pienezza democratica.

    D. - Oggi, com’è impegnata la Chiesa in tal senso?

    R. - In questo senso, la Chiesa cattolica ma anche le altre Chiese cristiane a distanza di 40 anni mantengono lo stesso atteggiamento. Sono state le chiese - in particolare quella cattolica - gli unici rifugi esistenti per moltissimi anni, decenni, a protezione della dignità e della persona umana, dei diritti dei più deboli.

    D. - Quali figure della Chiesa rimangono oggi per il loro impegno di allora?

    R. - Vorrei ricordarne tante, ma prenderò solo una come simbolo di questi tanti, tra l’altro anonimi, vescovi, sacerdoti, religiosi, laici, catechisti, missionari, cileni e non. Prendo chi era al momento del golpe l’arcivescovo di Santiago, il cardinal Raul Silva Henriquez.

    Sull’impegno della Chiesa cilena all’epoca del golpe, Elvira Ragosta ha intervistato Patricia Mayorga, giornalista e scrittrice cilena che vive in Italia e che in prima persona ha vissuto i bombardamenti dell’11 settembre 1973 a Santiago:

    "A proposito delle organizzazioni umanitarie, devo dire che la Chiesa cattolica cilena, subito, all’indomani del golpe, con l’allora arcivescovo di Santiago, il cardinale salesiano Raul Silva Henriquez, fece un comitato al quale aderirono le Chiese cristiane e - ricordo - gli ebrei per cercare di aiutare i perseguitati. Poi, nell’ottobre del 1973, è stato creato il Vicariato della Solidarietà: all’inizio veniva dato un aiuto materiale alle famiglie che erano rimaste senza lavoro e che quindi avevano problemi economici. In seguito, questo aiuto umanitario è diventato anche un aiuto di tipo giuridico, soprattutto quando si è cominciato a sapere che c’erano delle persone arrestate, delle quali non si avevano più notizie. Alcuni non si sono mai più incontrati".

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    Ue: 6 milioni di giovani disoccupati, lanciato piano da 30 miliardi di euro

    ◊   Dall'inizio della crisi “è stato fatto molto” nella Ue, ma “la crisi non è finita”. E’ quanto afferma il presidente della Commissione, Manuel Barroso, nel suo discorso sullo stato dell'Unione davanti alla plenaria del parlamento europeo. Barroso chiede di accelerare le riforme strutturali e annuncia una bozza di lavoro per "una vera unione politica dell'Europa". Barroso parla di disoccupazione "economicamente e politicamente insostenibile e socialmente inaccettabile". E proprio oggi al parlamento europeo si vota la risoluzione per la “Lotta alla disoccupazione giovanile”.
    Fausta Speranza ha intervistato la relatrice del provvedimento, la vicepresidente dell’europarlamento, Roberta Angelilli:

    R. – Il parlamento europeo chiede agli Stati membri ed alla Commissione di agire in fretta, dando priorità ben precise: la formazione di qualità, legata al mondo del lavoro e delle imprese, la promozione dell’imprenditorialità giovanile - attraverso l’accesso al credito, attraverso le start up – proprio per premiare i talenti e le buone idee. Poi, un utilizzo più serio e concreto dei fondi comunitari, innanzitutto quelli dell’attuale programmazione che ancora non sono stati spesi. Poi, a partire dal primo gennaio 2014, i circa otto miliardi di euro destinati proprio ai giovani, alla formazione ed al lavoro. In ultimo, la riduzione del cuneo fiscale, cioè le tasse sul lavoro, l’incentivazione dell’assunzione dei giovani all’interno delle imprese e soprattutto delle piccole e medie imprese (Pmi).

    D. – Qual è il quadro dell’Europa? Le situazioni non sono tutte uguali nei vari Paesi. Ci può dare qualche cifra?

    R. – La situazione dei giovani è seria. All’interno dell’Unione Europea, abbiamo quasi sei milioni di giovani sotto 25 anni senza lavoro e ci sono sette milioni e mezzo di giovani che non studiano e non lavorano. Quindi, sono cifre veramente spaventose. A questi giovani noi dobbiamo non soltanto garantire un lavoro ma dobbiamo investire sul loro futuro, perché sono il futuro dell’Europa. Le istituzioni quindi devono mettere in atto azioni concrete a partire dai fondi comunitari, a partire dai finanziamenti della Banca Europea per gli investimenti che – voglio ricordare – ha messo a disposizione 60 miliardi di euro proprio per le piccole e medie imprese, per le grandi opere, le infrastrutture. Tutte azioni che possono ridare ossigeno all’economia, riattivare un circuito virtuoso e quindi creare posti di lavoro per i giovani, ma anche per tutti i cittadini di tutte le età. Non dobbiamo infatti dimenticare l’emergenza delle persone che hanno 45-50 anni e che sono state di fatto espulse con la crisi dal mondo del lavoro.

    D. – “Molto è stato fatto” ha detto Barroso, ma la crisi non è finita. È il momento di fare quelle riforme strutturali che sono state in qualche modo abbozzate?

    R. – Per riforme strutturali – quindi un’Europa più efficiente, più competitiva – bisogna cercare di ridurre i costi dell’energia che pesano tantissimo sia sulla bolletta energetica delle imprese, sia su quella delle famiglie: l’energia in Europa costa dal doppio al triplo rispetto agli Stati Uniti. Questa è una situazione inaccettabile, perché le imprese perdono di competitività. Stamattina, Barroso ha detto soprattutto: “Lanciamo un grande piano per il rilancio industriale, per le Pmi, per il manifatturiero”, proprio perché dobbiamo tornare ad avere un’industria forte e competitiva che è l’unica ricetta per creare nuovi posti di lavoro e per mantenere quelli attuali.

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    Rapporto Onu: nei Paesi Asia-Pacifico: un uomo su quattro ha commesso uno stupro

    ◊   In India, rinviata a venerdì prossimo la sentenza del Tribunale riunito a New Dheli per definire la condanna - pena di morte o ergastolo - per i quattro imputati riconosciuti ieri colpevoli di stupro di gruppo, omicidio e distruzione di prove ai danni di una studentessa violentata su un bus il 16 dicembre scorso e morta due settimane dopo. Intanto, la cronaca registra un altro agghiacciante delitto in India: il sequestro e lo strupro di una bimba di soli due anni nella città di Ludhiana, nello Stato del Punjab. La piccola è ora ricoverata in gravi condizioni in ospedale. La violenza sulle donne è un dramma endemico in gran parte dell’Est asiatico, come documenta uno studio dell’Onu, pubblicato ieri a Bangkok, in Thailandia. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Un uomo su quattro dichiara di aver commesso almeno uno stupro. L’incredibile dato emerge da 10 mila questionari, compilati nell’anonimato da maschi tra i 18 e i 49 anni, in zone rurali e cittadine in sei Paesi dell’area Asia-Pacifico: Bangladesh, Cambogia, Cina, Indonesia, Sri Lanka e Papua Nuova Guinea dove la percentuale media del 24% di maschi violentatori supera il 60%. Le violenze sono commesse in massima parte nell’ambito domestico, sovente sulla partner, e solo al 10% su donne estranee alla famiglia. Tra le motivazioni più frequenti sono semplicemente “la volevo” o “volevo fare sesso”, o “per divertimento”, “per noia”, “per punirla”. Lo studio evidenzia una realtà drammatica, che le ricerche ufficiali condotte per lo più in base alle denunce sottostimano grandemente, anche di 10 volte rispetto a quanto registrato nel rapporto. L’Onu suggerisce ai governi di fare di più nella prevenzione, nella dissuasione, e nella protezione dei soggetti più esposti. La violenza sulle donne sta dunque conquistando maggiore rilievo nell’agenda internazionale, come conferma da Torino Simone Ovart, direttrice in Italia del Fondo delle Nazioni Unite per le donne:

    R. – Certamente, perché la violenza esiste in ogni Paese, incluso in Italia. Esiste la violenza domestica, la violenza sessuale… Sia in tempo di guerra, che in tempo di pace, non bisogna mai dimenticare che la violenza è una violazione dei diritti umani. Questa è una cosa veramente importante. Una delle priorità di “UN Women” è di combattere la violenza sulle donne: ha aiutato le donne in 84 Paesi ed in tutte le regioni. L’anno scorso ha erogato fondi ad organizzazioni femminili in 69 Paesi, per combattere tutte le forme di violenza.

    D. – Dunque, è importante anche far emergere questo lavoro dell’Onu sul territorio…

    R. – Sicuramente sì, in tutti i Paesi del mondo e visto che siamo in Italia anche in Italia. L’Italia sta già facendo molto ma potrebbe anche fare di più. Non si fa mai abbastanza per combattere la violenza.

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    Confindustria: recessione finita, ma stabilità politica cruciale per la ripresa

    ◊   L’economia italiana è arrivata “al punto di svolta”, ma la ripresa sarà lenta. Il 2014 sarà l’anno della fine della recessione con una crescita stimata dello 0,7%. E’ la previsione contenuta nell'ultimo rapporto sugli scenari economici del Centro studi di Confindustria, presentato stamani nell’ambito del seminario “Le sfide della politica economica”. Previsioni dunque positive, ma sulla strada della ripresa persistono rischi interni e internazionali. Ed è cruciale, avverte Confindustria, “la stabilità politica”. Servono anche provvedimenti urgenti per sostenere il mercato del lavoro. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Nonostante l’economia italiana, osserva Confindustria, sia arrivata a un punto di svolta, i dati sulla disoccupazione restano allarmanti: in 5 anni, a partire dal 2007, si sono persi 1 milione e 805 mila posti di lavoro. Sono necessari almeno 4 miliardi di euro – ha detto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi – da destinare alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Un’altra emergenza è la pressione fiscale che raggiungerà il record nel 2013 (44,5% del Pil) e resterà molto alta nel 2014. Tra i trend positivi, il rallentamento della caduta dei consumi: la spesa delle famiglie, dopo essere scesa del 4,3% nel 2012, diminuirà del 2,8% quest'anno e dello 0,1% il prossimo. Non sono poi da escludere prospettive di crescita più rosee di quelle previste: l’aumento del Pil nel 2014 può superare l'asticella dell'1% – sottolinea Confindustria – se ci sarà un’accelerazione dei pagamenti degli arretrati della Pubblica amministrazione verso le imprese. Intervenendo al Seminario di Confindustria, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha affermato che “guardare al futuro è l’obiettivo” da perseguire con la legge di Stabilità, “in preparazione in questi giorni”. Per l’Italia, dunque, si apre l’orizzonte della fine della recessione e della crescita, seppur modesta. L’opinione dell'economista Quadrio Curzio:

    R. – La ripresa è ancora molto tenue, molto incerta e di per sé potrebbe essere interrotta laddove la stabilità del governo subisse una crisi improvvisa. A questo punto, tenui segnali di ripresa potrebbero essere addirittura azzerati da una crisi politica che, di per sé, è continuamente incombente.

    D. – Quindi, mai come in questo caso, l’economia influenza la politica e non viceversa…

    R. – Se per condizionamento dell’economia sulla politica si intende dire che la politica non può e non deve penalizzare il Paese – quindi i livelli occupazionali, la speranza delle persone, dei giovani – è certamente così. Se invece si intende che l’economia condiziona la politica nel senso che la politica terrà conto delle esigenze dell’economia, quindi quelle del lavoro, a questo non so rispondere, perché mi pare che spesso la politica sia percorsa da personalismi che nulla hanno a che fare con il bene comune.

    E’ in crescita, infine, il complesso delle esportazioni: secondo l’Istat, nel secondo trimestre del 2013 si registrerà un incremento congiunturale dello 0,4%. Ma restano rilevanti le differenze tra le varie regioni. Il Nordest si conferma la "locomotiva" del Paese, con un incremento previsto del 3,6%. Diminuzioni sensibili, invece, nelle aree meridionali e insulari (-3,2%). Più contenuto il calo delle esportazioni nell'Italia nord-occidentale (-1%) e centrale (-0,9%).

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    La famiglia al centro della 47.ma Settimana Sociale, al via a Torino

    ◊   La famiglia, la sua missione educativa, il suo rapporto con le politiche di welfare e con quelle migratorie, ma anche l’alleanza con i partner educativi: sarà questo al centro della 47.ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, a Torino dal 14 al 15 settembre. “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”, il tema scelto per i lavori di quest’anno che vedono la partecipazione di oltre 1.300 persone, tra le quali circa 90 vescovi, 930 laici, 165 tra Associazioni, movimenti e aggregazioni, 190 diocesi e delegazioni straniere. Per venerdì mattina è previsto il saluto del premier italiano Enrico Letta. Antonella Palermo ha intervistato suor Alessandra Smerilli, segretario del Comitato Scientifico e Organizzatore, docente di Economia della Cooperazione all’Università Cattolica di Roma:

    R. – Innanzitutto, credo che siano 60 anni che non si parla di famiglia alla Settimana sociale, quindi era il momento di porla al centro dell’attenzione. Un altro motivo per cui abbiamo pensato di parlare di famiglia è che alla scorsa Settimana sociale di Reggio Calabria, nel 2010, era emerso con forza dai lavori delle assemblee tematiche che uno dei soggetti creativi e propositivi per la rinascita del Paese è proprio la famiglia, ed emergeva come un soggetto trasversale. Quindi, come comitato, questa volta ci è sembrato opportuno provare a metterla al centro dei lavori. Infine, un ulteriore motivo è che in questo momento, in Italia, la famiglia sta soffrendo più di altri soggetti, è un po’ dimenticata dalle istituzioni, dalla politica, mentre rappresenta una delle forze più vitali presenti nel Paese.

    D. – Quanto sono soddisfacenti le politiche per la famiglia adottate finora? Cosa si potrebbe fare di più? I dati Istat dell’ultimo trimestre rivelano un ulteriore calo nella spesa pro famiglia di oltre il 3 per cento …

    R. – Esatto, non sono dati rassicuranti, ed è un motivo in più per cui mi sembra necessario mettere a tema la famiglia, perché ritengo che non ci sono mai state politiche organiche per la famiglia. La famiglia è stata sempre un po’ un residuo, e quando si è tentato di fare qualcosa poi veniva subito cancellato. E le politiche – quello che c’è – va più nella linea di un assistenzialismo. In realtà, io credo – e credo che lo diremo con forza qui, a Torino – che le famiglie vogliono semplicemente essere riconosciute come soggetti, vogliono essere soggetti attivi per il bene del Paese e se questo accade si risparmieranno risorse e si potranno coinvolgere più persone nella gestione della cosa pubblica, in una logica di sussidiarietà che è un principio fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa, ed è un principio di bene comune.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Il Patriarca Gregorio III a Obama: “I grandi leader sono quelli che sanno fare la pace”

    ◊   “La grandezza di un leader è quella di cercare la pace e fare la pace, non di fare la guerra e creare distruzione. Una superpotenza è tale se è una potenza della pacificazione”: con queste parole, affidate all’agenzia Fides, il patriarca melkita (greco-cattolico) di Damasco, Gregorio III Laham, commenta con sollievo il momento presente, dopo il discorso del Presidente Usa Barack Obama alla nazione, che sembra allontanare lo spettro di un intervento militare in Siria. “La logica della violenza non è mai la logica delle persone sagge”, dice. “Invitiamo tutti i leader politici del mondo a tornare alla Parola di Gesù nel Vangelo: questo è sufficiente per costruire un mondo di civiltà, libertà, dignità, amore e misericordia”. “La Siria – spiega a Fides Gregorio III – è pienamente collegata con i Paesi vicini. E se si brucia un albero in un bosco, tutta la foresta brucerà”, aggiunge con un metafora, mettendo in guardia dai rischi di una guerra regionale, che produrrebbe migliaia di nuove vittime. Il patriarca, apprezzando gli sforzi diplomatici e chiedendo una soluzione politica al conflitto in corso in Siria, rinnova “l'invito a rinunciare alla violenza e a non ricorrere a un attacco di qualsiasi tipo”, come hanno detto i leader delle Chiese cristiane del Medio Oriente, riunitisi di recente in Giordania. “Rinnoviamo anche a tutti i fedeli l’invito a continuare a pregare, come ha chiesto il Papa, per la pace in Siria e nel mondo”, conclude. (R.P.)

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    Russia: lettera del patriarca Kirill a Obama: "Gli Usa ascoltino le voci dei capi religiosi"

    ◊   Alla vigilia del 12° anniversario degli attentati dell'11 settembre 2001, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill ha inviato un messaggio al Presidente Usa Barack Obama invitandolo a accantonare i piani d'attacco militare contro il regime di Assad e a puntare sulla via diplomatica per frenare il conflitto siriano, come è stato suggerito negli ultimi giorni da leader di ogni comunità religiosa, a partire da Papa Francesco. “La Chiesa ortodossa russa” - scrive Kirill nel suo messaggio a Obama, diffuso dal Patriarcato e pervenuto all'agenzia Fides - “conosce il prezzo delle sofferenze e delle perdite umane, dopo che il nostro popolo è sopravvissuto nel secolo scorso a due guerre mondiali devastanti che hanno causato milioni di morti e rovinato la vita di moltitudini di persone. Inoltre, sentiamo come nostro il dolore e le perdite sofferte dal popolo statunitense nei terribili attacchi terroristici dell'11 settembre 2001”. A 12 anni di quegli attentati dagli effetti geopolitici destabilizzanti ancora in atto, Kirill si rivolge a Obama chiedendogli di dare ascolto “alle voci dei capi religiosi che in maniera unanime si oppongono a ogni interferenza militare nel conflitto siriano” e lo invita a fare ogni sforzo “per iniziare al più presto negoziati di pace”. Secondo il capo dell'Ortodossia russa, un intervento militare esterno in Siria potrebbe favorire la conquista del potere da parte di forze radicali che non saranno certo intenzionate a “assicurare la convivenza interreligiosa nella società siriana”. A questo riguardo, il patriarca esprime particolare preoccupazione per i cristiani di Siria, “che in quel caso finirebbero sotto la minaccia di sterminio o di esilio di massa”. Per questo – conclude Kirill, in evidente sintonia con le mosse della diplomazia russa, occorre sfruttare “le opportunità che si sono aperte per una soluzione diplomatica del conflitto. Opportunità che implicano il controllo da parte della comunità internazionale delle armi chimiche presenti in Siria”. Il patriarca Kirill e il Presidente Obama si erano incontrati a Mosca nel luglio 2009. In quell'occasione, Kirill aveva invitato a mettere da parte i “sentimenti anti-americani diffusi in Russia e i sentimenti anti-russi diffusi in America” in nome dei valori cristiani comuni condivisi dal popolo russo e da quello statunitense. (R.P.)

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    Siria. L'Unicef denuncia: "Cicatrici invisibili su oltre 4 milioni di bambini"

    ◊   “L’esposizione prolungata alla violenza e allo stress, i continui spostamenti, la perdita di amici e familiari e il grave deterioramento delle condizioni di vita stanno lasciando ai bambini della Siria cicatrici durature”: lo ha detto l’Unicef, che stima più di 4 milioni di bambini colpiti dal conflitto in corso. “I genitori riferiscono che i loro bambini stanno facendo incubi frequenti e hanno comportamenti imprudenti e aggressivi”, ha detto Maria Calivis, direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e Nord Africa. “L’Enuresi è comune e i bambini sono diventati più riservati e meno autonomi. I loro disegni sono spesso violenti, con immagini di spargimenti di sangue, esplosioni e distruzione”. “I bambini che hanno subito uno stress così profondo possono perdere la capacità di entrare in contatto emotivo con gli altri e con se stessi”, ha affermato Jane MacPhail, esperto Unicef che lavora con i bambini nel campo profughi di Za’atari in Giordania. Dall’inizio dell’anno - riferisce l'agenzia Sir - circa 470.000 bambini siriani hanno ricevuto dall’Unicef sostegno psicologico, in più di 220 spazi a misura di bambino e nel doposcuola. Hanno ricevuto aiuto: 250.000 bambini in Siria, 128.000 in Libano, 80.000 in Giordania; 5.500 in Iraq e 5.000 in Turchia. Alcuni Centri sono aperti anche a Homs, Dera’a e Aleppo. (R.P.)

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    Libano: a Beirut parte l’iniziativa “Operazione Colomba” per i profughi siriani

    ◊   Sono in Libano i volontari della “comunità Papa Giovanni XXIII” che daranno inizio alla “Operazione Colomba”, incontrando i rifugiati Siriani che vivono nel Paese e andando a conoscere e sostenere tutte le realtà che operano per la pace, l’obiettivo dell’iniziativa è dimostrare che le armi non possono portare la pace. Giovanni Ramonda, responsabile della “comunità Papa Giovanni XXIII, ha dichiarato all’agenzia Fides: “Non si previene la guerra producendo e vendendo armi a tutti i regimi dittatoriali del mondo. Solo la nonviolenza e la riconciliazione costruiscono una pace duratura. Per questo – ribadisce il responsabile – occorre dare sostegno concreto ai civili vittime della dittatura prima e del conflitto ora, e a quanti, in Siria, senza armi, pagano con il carcere e con la vita la pace e la riconciliazione che verranno”. Ramonda conclude lanciando un appello alla comunità internazionale per chiedere un embargo totale delle armi che estingua in maniera fisiologica ogni conflitto in Siria, convogliando le risorse belliche in tutte quelle realtà che si spendono per la popolazione. In Siria sono moltissime le realtà che operano a favore della popolazione, soprattutto nella risoluzione dei conflitti particolari e collaterali alla ribellione che stanno infiammando il Paese. (D.P.)

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    Congo. Colloqui tra governo e ribelli per la pace nel Nord Kivu

    ◊   Si parla di “progressi significativi” nei colloqui, iniziati questi giorni in Uganda, tra il governo della Repubblica Democratica del Congo e i ribelli M23. I partecipanti al congresso, riporta l’agenzia Misna, hanno concordato che “il 65% dei contenuti dell’accordo del 2009 sono stati realizzati e che nei prossimi mesi ci si dovrà concentrare sul restante 35%”. L’accordo del 2009 è un documento in cui, dopo la cattura del leader ribelle Nkunda, era stata trovata una soluzione diplomatica attraverso l’inserimento delle frange ribelli nelle file dell’esercito regolare della Repubblica Democratica del Congo. Questo patto, risalente al 23 marzo 2009, è la ragione ufficiale della nascita della sigla ribelle M23, sigla per "Marzo 23", e, secondo il governo congolese, queste affermazioni, che la maggior parte degli accordi del 2009 siano stati portati a termine, sono la chiara dimostrazione che ci sono altri interessi dietro agli scontri con gli M23, scaricando i sospetti sul Ruanda che “non vuole rispettare le promesse fatte”. I colloqui tra governo e ribelli sono ricominciati dopo una vasta offensiva portata avanti dall’esercito e dal contingente Onu sul territorio che ha respinto i ribelli dalle alture che circondano Goma, il capoluogo della regione del Nord Kivu e dalle quali i ribelli bombardavano la città con colpi d’artiglieria. Intanto si teme per un riprendere delle ostilità tra gli eserciti regolari di Repubblica Democratica del Congo e Ruanda per le notizie di movimenti di truppe che avrebbero lasciato la capitale Ruandese Kigali in direzione del confine con il Congo. (D.P.)

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    Colombia: in tutto il Paese si celebra la settimana della pace

    ◊   Il vescovo colombiano della diocesi di Ocaña, Mons. Jorge Enrique Lozano Zafra, in occasione della settimana della pace iniziata l’8 settembre nel Paese, ha parlato dei colloqui che il governo sta portando avanti a cuba con le Farc, i ribelli colombiani di matrice comunista rivoluzionaria. Il presule, riporta l’agenzia Fides, ha dichiarato: “la pace è una necessità urgente in tutto il mondo. Siamo d'accordo che dobbiamo costruire la convivenza. La pace non è solo il silenzio delle armi, o la vittoria del più forte contro il più debole. Non possiamo fare la pace dalla morte. Dobbiamo farlo con rispetto per la vita. Riconoscerci come fratelli, con interessi comuni e legami di sangue” concludendo riassume il suo pensiero nella frase: “pace non nasce a Cuba, ma nel cuore dei colombiani”. Intanto a Buenaventura le celebrazioni per la settimana per la pace sono state turbate dal ritrovamento di un corpo smembrato che ha portato il vescovo della Città, mons. Héctor Epalza Quintero, a lanciare una appello in cui dichiara: “Questo episodio ci deve coinvolgere a tutti, è un dolore per tutti. Le Autorità dovrebbero intervenire al riguardo, si deve rispettare il diritto più sacro di tutti, quello della vita”. (D.P.)

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    Asia: allerta crisi alimentare e disponibilità delle risorse nel continente

    ◊   La Banca Asiatica per lo Sviluppo ha pubblicato uno studio riguardo la gestione delle risorse alimentari e le prospettive di crescita future nel continente asiatico. Il problema fondamentale che emerge dal documento, riportato dall'agenzia Misna, è la disponibilità limitata di risorse nell’area a fronte di richieste sempre crescenti: al momento l’Asia racchiude oltre il 60% della popolazione del pianeta con un consumo di poco più del 50% di tutto il cibo prodotto nel mondo, questa disparità è possibile perché il 14% della popolazione asiatica, 733 milioni di persone, vive nella povertà assoluta e sono oltre 500 milioni a soffrire la fame. La crescita economica che sta rapidamente coinvolgendo l’area, si prevede che nel 2050 oltre la metà del Pil globale sarà prodotto in Asia, e il fisiologico incremento della popolazione, porteranno a un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione ma aumenteranno esponenzialmente i consumi, il problema rilevato dallo studio della Banca Asiatica per lo Sviluppo è quindi produttivo: le risorse dell’area non sono al momento capaci di affrontare una richiesta tanto grande di risorse alimentari. Le proposte per far fronte alla situazione sono molte, tutte rivolte ad un miglioramento dell’efficienza delle colture e dello sfruttamento delle risorse idriche, che in alcuni Paesi sono già sfruttate oltre il 90%. L’Asia, rileva il documento, è anche un Paese di grandi contraddizioni e i governi si ritrovano a combattere le sfide sanitarie legate alla fame insieme a quelle legate all’obesità, appannaggio delle classi più agiate della popolazione asiatica. (D.P.)

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    India: nel Karnataka in aumento le violenze anticristiane

    ◊   È emergenza sicurezza in Karnataka: negli ultimi tre mesi gruppi ultranazionalisti indù hanno portato almeno 15 attacchi contro alcune comunità cristiane dello Stato, senza contare i casi non denunciati alle autorità, le minacce e gli insulti. L'ultimo di cui si ha notizia risale all'8 settembre scorso. Un aumento "preoccupante", nota all'agenzia AsiaNews Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), secondo il quale "questi militanti sembrano farsi beffa dei diritti sanciti dalla Costituzione indiana". Domenica scorsa 25 militanti indù della Rashtriya Savayamsevak Sangh (Rss) e del Bajrang Dal hanno interrotto un servizio di preghiera della Living Hope Church, comunità pentecostale indipendente di Yelahanka New Town (a nord di Bangalore). Dopo aver fatto irruzione, gli estremisti hanno urlato "nessuna preghiera e nessuna chiesa", impedendo ai fedeli di continuare il raduno. Il rev. William John è andato alla locale stazione di polizia e ha denunciato gli aggressori. L'ispettore Ashok Kumar, che ha registrato la testimonianza del pastore, ha promesso di fornire tutta la protezione necessaria al leader cristiano e alla sua comunità. Tuttavia, già una settimana prima quella Chiesa pentecostale aveva subito un attacco analogo. Il primo settembre scorso infatti gli stessi militanti hanno fatto irruzione nel bel mezzo della preghiera, hanno accusato il pastore e i fedeli presenti di praticare conversioni forzate dall'induismo al cristianesimo e poi li hanno picchiati. "Questi attacchi - nota Sajan George - sembrano essere un piano sinistro delle forze ultranazionaliste indù volto a screditare il governo del Congress in Karnataka in vista delle elezioni generali del 2014". Dopo nove anni al potere, nel maggio scorso il Bharatiya Janata Party (Bjp, partito ultranazionalista indù) ha perso le elezioni ammnistrative, vinte con una maggioranza piena dal Congress, formazione laica e primo partito del Paese. Dalla sconfitta, il Bjp continua ad alimentare tensioni e sostenere attacchi contro le minoranze dello Stato. (R.P.)

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    India: i Francescani si impegnano a pregare e ad agire per la pace e l'armonia

    ◊   I francescani dell’India hanno inviato all’agenzia Fides un comunicato in cui rinnovano la loro gratitudine per le parole del Papa e per lo spirito di armonia e pace che le accompagna. Si legge nella nota: “Come francescani, siamo chiamati a unire le nostre comunità e tutte le nostre istituzioni per offrire la nostra solidarietà al popolo della Siria e costruire la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero. Papa Francesco, con la sua voce e con i suoi gesti profetici, ha riacceso in noi lo spirito di S. Francesco per la pace e l'armonia” concludendo con un invito a “rimboccarsi le maniche” e agire per la pace e la riconciliazione dei popoli. A firmare il documento è il presidente della “associazione nazionale delle Famiglie Francescane”, una rete di 52 Congreziani e 165 Province con diverse comunità distribuite nelle zone rurali e urbane. I francescani dell’India si impegnano, come scritto nel documento, a sostenere la pace in Siria rivolgono ogni giorno la preghiera: “Dio fammi strumento della tua Pace”, attribuita a San Francesco d’Assisi, e a portare un “messaggio speciale sull’urgenza di pace e armonia nella nostra vita quotidiana”, specialmente in India, dove ancora sono forti i contrasti interreligiosi e i conflitti sociali. (D.P.)

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    Polonia. "Solo una famiglia regolare costituisce il nucleo di ogni comunità sociale"

    ◊   Il rettore dell’Università cattolica di Cracovia, mons. Wladyslaw Zuziak, introducendo la XIII Conferenza internazionale sul contributo della chiesa cattolica all’integrazione europea, che si terrà a Tomaszowice, vicino Cracovia, dal 13 al 14 settembre ha affermato: “Solo una famiglia regolare costituisce il nucleo base di ogni comunità sociale e quindi, per un’Europa forte, bisogna sostenere i provvedimenti che rinforzano e proteggono la famiglia come bene di ogni Stato, popolo, regione e anche dell’Europa”. Il presule, riporta l'agenzia Sir, ha continuato parlando delle difficoltà delle famiglie nella società europea osservando: “proprio sulla famiglia ricadono gli effetti negativi di molte trasformazioni socio-politiche in Europa”. A partecipare alla conferenza saranno il Presidente polacco Bronislaw Komorowski, il nunzio apostolico a Varsavia mons. Celestino Migliore e il card. Stanislaw Dziwisz mentre tra i relatori figura mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. (D.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 254

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