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Sommario del 09/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la speranza cristiana non è ottimismo, è molto di più, è Gesù
  • Nuovo appello di pace del Papa via Twitter: "Chiedo d’intraprendere con coraggio la via del negoziato"
  • Mons. Tomasi: le lobby delle armi soffiano sul fuoco della guerra in Siria
  • Armi, spesi 400 mld di dollari l'anno. Archivio Disarmo: guerra in Medio Oriente sarebbe terribile
  • Martinez (RnS) e Miano (Ac): il Papa indica ai laici il primato della missione
  • Papa Francesco: garantire diritti economici e sociali ai lavoratori delle miniere
  • In udienza dal Papa il nuovo ambasciatore polacco in Vaticano e il ministro generale dei Domenicani
  • Irlanda. Pellegrinaggio familiare al Santuario di Knock, protagonisti i nonni
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Mosca: esplosione di terrorismo in caso di attacco. Usa: più rischioso non agire
  • RD Congo, speranze flebili per i colloqui di pace. L'analista: tanti interessi in gioco
  • La Lettera pastorale dal cardinale Scola: c'è il rischio di una sorta di ateismo anonimo
  • Giappone: Borsa in rialzo dopo la scelta di Tokyo per le Olimpiadi del 2020
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. L'arcivescovo Hindo scrive a Obama: il mondo non vuole la guerra
  • Siria. Maaloula, i ribelli invadono le case del villaggio. Uccisi tre giovani cristiani
  • Pakistan: i vescovi accanto a Papa Francesco per la pace in Siria
  • Vietnam: centinaia di migliaia di fedeli hanno digiunato per la pace in Siria
  • Il Consiglio dei vescovi europei: tutta l’Europa ha pregato insieme al Papa
  • Venezuela: il card. Urosa prega per la pace. Mons. Parolin affida ai laici il futuro del Paese
  • Card. Erdõ: eredità cristiana e cultura uniscano i popoli europei
  • Turchia: i curdi del Pkk interrompono il ritiro dei combattenti
  • Filippine. Nuova violenza a Mindanao: la Chiesa invoca la pace e accoglie gli sfollati
  • Indonesia: ad Aceh quattro cristiani e un pastore protestante arrestati per proselitismo
  • Somalia: ‘Go to school’ riporta in classe un milione di bambini
  • Messico. Rispettare la dignità degli stranieri, nuove direttive per la pastorale dei migranti
  • Bangladesh. L’università di Dhaka dedica la nuova biblioteca all’arcivescovo Ganguly
  • India. Incontro mondiale dei buddisti su temi di attualità e pace
  • Presentata la Settimana sociale di Torino sul tema della famiglia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la speranza cristiana non è ottimismo, è molto di più, è Gesù

    ◊   La virtù della speranza – forse meno conosciuta di quella della fede e della carità – non va mai confusa con l’ottimismo umano, che è un atteggiamento più umorale. Per un cristiano, la speranza è Gesù in persona, è la sua forza di liberare e rifare nuova ogni vita. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta presso Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La speranza è “un dono” di Gesù, la speranza è Gesù stesso, ha il suo “nome”. Speranza non è quella di chi di solito guarda al “bicchiere mezzo pieno”: quello è semplicemente “ottimismo”, e “l’ottimismo è un atteggiamento umano che dipende da tante cose”. L’omelia mattutina di Papa Francesco si impernia all’inizio su questa distinzione. Lo spunto viene dalla Lettera nella quale Paolo scrive ai Colossesi “Cristo in voi, speranza della gloria”. Eppure, obietta il Papa, “la speranza è una virtù di ‘seconda classe’”, la “virtù umile” se paragonata alle più citate fede e carità. Per questo può accadere che sia confusa con un sereno buon umore:

    “Ma la speranza è un’altra cosa, non è ottimismo. La speranza è un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà: ‘Mai delude’. La speranza mai delude, perché? Perché è un dono che ci ha dato lo Spirito Santo. Ma Paolo ci dice che la speranza ha un nome. La speranza è Gesù. Non possiamo dire: 'Io ho speranza nella vita, ho speranza in Dio', no: se tu non dici: 'Ho speranza in Gesù, in Gesù Cristo, Persona viva, che adesso viene nell’Eucaristia, che è presente nella sua Parola', quella non è speranza. E’ buon umore, ottimismo…”.

    Dal Vangelo, Papa Francesco prende poi il secondo spunto del giorno. L’episodio è quello in cui Gesù guarisce di sabato la mano paralizzata di un uomo, suscitando la riprovazione di scribi e farisei. Col suo miracolo, osserva il Papa, Gesù libera la mano dalla malattia e dimostra “ai rigidi” che la loro “non è la strada della libertà”. “Libertà e speranza vanno insieme: dove non c’è speranza non può esserci libertà”, afferma Papa Francesco. Che soggiunge: “Gesù libera dalla malattia, dal rigore e dalla mano paralizzata quest’uomo, rifà la vita di questi due, la fa di nuovo”:

    “Gesù, la speranza, rifà tutto. E’ un miracolo costante. Non solo ha fatto miracoli di guarigione, tante cose: quelli erano soltanto segni, segnali di quello che sta facendo adesso, nella Chiesa. Il miracolo di rifare tutto: quello che fa nella mia vita, nella tua vita, nella nostra vita. Rifare. E questo che rifà Lui è proprio il motivo della nostra speranza. E’ Cristo che rifà tutte le cose più meravigliosamente della Creazione, è il motivo della nostra speranza. E questa speranza non delude, perché Lui è fedele. Non può rinnegare se stesso. Questa è la virtù della speranza”.

    E qui, Papa Francesco rivolge uno sguardo in particolare ai sacerdoti. “È un po’ triste – ammette quando uno trova un prete senza speranza”, mentre è bello trovarne uno che arriva alla fine della vita “non con l’ottimismo ma con la speranza”. “Questo prete – continua – è attaccato a Gesù Cristo, e il popolo di Dio ha bisogno che noi preti diamo questo segno di speranza, viviamo questa speranza in Gesù che rifà tutto”:

    “Il Signore che è la speranza della gloria, che è il centro, che è la totalità, ci aiuti in questa strada: dare speranza, avere passione per la speranza. E, come ho detto, non sempre è ottimismo ma è quella che la Madonna, nel Suo cuore, ha avuto nel buio più grande: la sera del Venerdì fino alla prima mattina della Domenica. Quella speranza: Lei l’aveva. E quella speranza ha rifatto tutto. Che il Signore ci dia questa grazia”.

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    Nuovo appello di pace del Papa via Twitter: "Chiedo d’intraprendere con coraggio la via del negoziato"

    ◊   Il Papa non cessa di mobilitare le coscienze per la pace in Siria. Oggi ha lanciato un nuovo appello via Twitter: “Chiedo – scrive - d’intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato”. Il tweet, come nei giorni scorsi, porta l’hashtag #prayforpeace, prega per la pace.

    In un tweet precedente Papa Francesco aveva scritto: “Non possiamo mai perdere la speranza. Dio ci inonda con la sua grazia, se la chiediamo con perseveranza”.

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    Mons. Tomasi: le lobby delle armi soffiano sul fuoco della guerra in Siria

    ◊   Si fanno guerre per vendere armi. Ha destato ampia eco la denuncia di Papa Francesco all’Angelus contro il traffico delle armi che alimentano le guerre, in particolare quella che sta sconvolgendo la Siria. Da anni, particolarmente impegnato sul fronte della lotta a questa piaga è mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio Onu di Ginevra. Alessandro Gisotti lo ha intervistato:

    R. - Mi sembra quanto mai opportuno che il Santo Padre richiami l’attenzione del mondo sul traffico illegale di armi. I conflitti violenti - ne vediamo tanti in questi giorni - e le armi vanno insieme. La pace non si persegue però provvedendo ai mezzi di distruzione, ma la Comunità internazionale investe risorse sproporzionate in spese militari. Nel 2012 sono stati investiti 1.750 miliardi di dollari in spese militari; l’8% della cifra globale va nel Medio Oriente. È proprio “olio sul fuoco”…

    D. – Le armi ai siriani, Assad e ribelli, le hanno date industrie di Paesi terzi, di Paesi stranieri. Alla fine sono le grandi lobby delle armi che decidono le guerre?

    R. – Il profitto diventa la legge suprema. Ci sono guadagni enormi che vengono fatti attraverso il traffico di armi; quindi, c’è chi “soffia sul fuoco” per poter vendere ancora armi. Inoltre, mi pare ci sia un’altra considerazione da fare: si ignorano le conseguenze a lunga scadenza del commercio di armi; le armi continuano a rafforzare la criminalità e a nutrire le mafie di vario tipo. Interessi commerciali - come dice il Papa - giocano un ruolo importante nel trasferimento di armi, ma c’è di mezzo il guadagno dei trafficanti e addirittura interessi economici di Stati che producono e vendono armi, come gli Stati Uniti, la Russia, il Regno Unito, la Francia, la Germania, Israele, Cina ed altri. Sono Stati dove l’industria della produzione di armi è una componente significativa dell’economia.

    D. – Il presidente americano Eisenhower - che come generale aveva peraltro vinto la Seconda Guerra mondiale - ebbe ad affermare che “dobbiamo guardarci le spalle dalle influenze esercitate dal complesso militare-industriale”. Questa è una denuncia sempre attuale e forse ancora di più in questo momento…

    R. – Il legame tra il complesso industriale e militare è reale ed ha un peso politico sproporzionato all’interesse del bene comune di un Paese, soprattutto dei grandi Paesi sviluppati. La comunità internazionale continua a parlare di pace. Dovrebbe quindi essere la priorità numero uno degli sforzi internazionali quello di facilitare tutto quello che costruisce la pace; invece, vediamo che c’è veramente uno sviluppo legato alla produzione di armi che sostiene certi settori dell’economia.

    D. – Poi c’è un dato del tutto evidente: le armi le producono i Paesi “ricchi e sviluppati” e poi queste armi finiscono nelle “guerre dei poveri”…

    R. – L’esperienza è che, dove non ci sono democrazie affermate, l’accumulo di armi - comprate con tutti i mezzi legali ed illegali - serve a mantenere piccole élite al potere, che poi non rispondono certamente al bene comune della loro gente.

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    Armi, spesi 400 mld di dollari l'anno. Archivio Disarmo: guerra in Medio Oriente sarebbe terribile

    ◊   Secondo il rapporto annuale dello Stockholm International Peace Research Institute, il comparto industriale militare fa girare ogni anni circa 400 miliardi di dollari. Le spese militari rappresentano circa il 2,5% del Prodotto interno lordo mondiale, con un costo medio di 249 dollari procapite. Una leva economica importantissima, che solleva dei dubbi sulle guerre, spesso utilizzate da alcuni Paesi per far cassa. Salvatore Sabatino ha chiesto a Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio Disarmo, quali sono attualmente i Paesi che investono maggiormente in armamenti:

    R. - Sono le principali potenze del mondo e ovviamente, di gran lunga, al primo posto gli Stati Uniti. Ci sono poi anche la Cina, la Russia e gli altri Paesi di nuova industrializzazione, come l’India e il Brasile, che sono anche importanti produttori. E soprattutto, ci sono poi i Paesi europei - Gran Bretagna, Francia e Italia - con diverse specializzazioni nel mercato delle armi.

    D. - Questo è ovviamente un fenomeno che riguarda non solo le grandi potenze: fa impressione vedere Paesi africani che investono moltissimo in armamenti, quando invece quei fondi potrebbero essere impiegati in politiche sociali, che sono praticamente inesistenti…

    R. - Certamente. In quel caso, il ruolo del Paese che importa è quello non di produrre e vendere e eventualmente anche guadagnare su queste transazioni, ma al contrario di pagare per esse, anche se spesso con forme più o meno assistite di credito, perché i Paesi produttori pur di vendere fanno ogni tipo di sconto. Comunque, sempre di un onere si tratta e si tratta di risorse che vengono, per intero, spostate verso il settore bellico da quelli che invece potrebbero essere dei compiti di natura sociale: quindi per combattere la fame, per promuovere lo sviluppo in particolare agricolo e industriale, per la salute, per l’educazione…

    D. - Ci può fare un esempio concreto di uno di questi Paesi?

    R. - La Sierra Leone: un piccolo Paese dell’Africa occidentale che è stato un acquirente di armi, per esempio di armi leggere anche da parte dell’Italia. Sono casi - questo come altri - che dimostrano che di fronte poi all’uso della forza come strumento politico non si bada a spese.

    D. - Ci sono alcuni economisti che, cinicamente e ovviamente con vedute molto particolari, dicono che solo una guerra mondiale potrebbe azzerare la crisi economica e risollevare il mondo. E’ davvero così?

    R. - Guardi, non si tratta soltanto di economisti cinici che potrebbero anche auspicare una cosa del genere, sebbene mi sembra abbastanza strano che lo facciano. Diciamo che più che altro è una posizione realistica questa, più che cinica: nel senso cioè che è un dato storico che gravi momenti di recessione o addirittura di crisi strutturale, come quella finanziaria del ’29, hanno trovato nella guerra - in quel caso nella II Guerra Mondiale - un elemento anticongiunturale che ha rimesso in moto il processo di accumulazione di sviluppo. Naturalmente, questo non è un percorso obbligato, è evidente. Diciamo che la produzione di armi e la relativa spesa militare rappresentano, per così dire, il luogo di minor resistenza nel quale ci può essere la tentazione di canalizzare le risorse: può essere più facile fare una guerra. Il punto è che oggi diventa più difficile fare una guerra. Oggi, in un mondo multicentrico, è estremamente pericoloso innescare qualunque azione di forza che, anche intenzionalmente e quindi senza volerlo, può poi dare vita a un conflitto che, in questo caso, sarebbe veramente e definitivamente distruttivo. Pensiamo in questo caso a cosa potrebbe accadere in Medio Oriente...

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    Martinez (RnS) e Miano (Ac): il Papa indica ai laici il primato della missione

    ◊   Il Papa ha incontrato oggi alcuni rappresentanti di associazioni e movimenti ecclesiali: Franco Miano, presidente dell’Azione Cattolica Italiana, Matteo Calisi, presidente della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowship, con la signora Michelle Moran, presidente dell’International Catholic Charismatic Renewal Services, e Salvatore Martinez, presidente Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo. Sull’incontro con Papa Francesco ascoltiamo Salvatore Martinez al microfono di Sergio Centofanti:

    R. - Si ha la medesima impressione che si avverte tutte le volte che il Santo Padre si affaccia alla finestra per l’Angelus: l’immagine di un uomo pacificato, di un uomo assolutamente consapevole che ciò che accade vede il Signore come protagonista e non lui; l’immagine di un Papa serenamente abbandonato a Dio, che vede ogni cosa come grazia e che comunica questa simpatia nella grazia e nella presenza di Gesù. È, come sempre, disarmante nei suoi sorrisi, nei suoi abbracci. Pertanto è stato un incontro improntato a una grande cordialità. Vorrei ricordare che il Santo Padre in Argentina conosceva bene il movimento. Il Papa ha più volte ringraziato per il bene che stiamo facendo. Abbiamo anche avuto modo di ricordare il nostro impegno a Lampedusa per gli immigrati, per i carcerati presso il Fondo Sturzo, per i bambini in Moldavia; poi anche l’aiuto alle famiglie, sia a Loreto, nel nostro centro, ma soprattutto nell’erigendo Centro Internazionale per la Famiglia in Israele. Il Santo Padre conosceva molte delle cose di cui discutevamo e questo mi ha molto impressionato, come mi ha impressionato l’incoraggiamento ad andare avanti con questo stile di essenzialità, di povertà evangelica e direi anche di parresia, cioè di grande libertà nel consegnare Gesù Cristo a quanti lo invocano.

    D. - Il Papa sta incontrando i rappresentanti di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Quali sono le sue esortazioni?

    R. - Il Santo Padre ha recuperato il trinomio consegnatoci in occasione della Pentecoste, cioè novità, armonia e missione. Il Santo Padre è consapevole che ogni movimento ha una sua peculiarità, una sua storia, porta un contributo al rinnovamento della Chiesa e all’espansione del Regno di Dio. Ma, vediamo un Pontefice fortemente focalizzato sul tema della missione come programma e paradigma della Chiesa. Credo che questa sia una delle consegne che sta facendo a tutti noi per quello che ho anche modo di ascoltare dagli altri, cioè il primato della missione, che impone anche una conversione pastorale, strutturale, del cammino dei movimenti, delle parrocchie e di tutte le strutture ecclesiali. Questa è la grande novità, e il Papa lo sottolinea. Poi c’è il tema dell’armonia, cioè come questa diversità non si riconduca ad un’uniformità, ad una omologazione, ma testimoni la grande ricchezza dello spirito.

    D. - Il Papa chiede di ritornare alla semplicità del Vangelo come via di rinnovamento della Chiesa ...

    R. – Sì e sottolinea che questo avviene nello stile della povertà, perché quando ci si rende più poveri si comprendono le periferie esistenziali, ci si identifica più facilmente in chi ha bisogno, e il Papa lo sottolinea che - ancor prima del bisogno di aiuti economici, comunque importanti e consequenziali - c’è bisogno di prossimità, di fraternità, di preghiera, come ossigeno di questa nuova capacità di stare insieme agli uomini.


    Sull'incontro col Papa, sentimao anche Franco Miano, presidente dell’Azione Cattolica Italiana, intervistato da Fabio Colagrande:

    R. – Prima di tutto, è stata evidentemente una grande, immensa gioia. Si è particolarmente coinvolti dalla forza viva della testimonianza del Papa. Abbiamo potuto parlare della necessità di continuare ad operare per la pace in generale e dell’impegno specifico dell’Azione Cattolica, che è un impegno nella vita quotidiana, di operare per la pace nella quotidianità, rafforzando al massimo – anche come sua indicazione – la necessità per la vita della Chiesa, per la vita dell’Associazione, per i cattolici, di uscire, di assumere un atteggiamento di apertura, perché questa poi è la vera dimensione missionaria.

    D. – Quindi, Papa Francesco chiede ai laici dell’Azione Cattolica di impegnarsi in questo compito missionario, di uscire da se stessi per annunciare il Vangelo…

    R. – Sì, questo è stato il centro del suo messaggio, proprio sulla linea, nella tradizione dell’impegno dei laici e dei laici dell’Azione Cattolica: continuare ad operare in questo senso - secondo la misura dell’oggi - nelle realtà della vita quotidiana in cui siamo presenti.

    D. – Possiamo dire che i gesti che sta compiendo Papa Francesco nel suo pontificato – pensiamo alla visita a Lampedusa, alla Veglia di sabato scorso – siano gesti che incarnano il Vangelo nella nostra storia, nella nostra vita quotidiana e chiedono veramente un’adesione forte e pratica da parte anche dei laici?

    R. – Sicuramente, è proprio così. Cioè, anche per i laici è sempre di più il tempo di uscire, sempre di più il tempo di sapersi rendere partecipi delle esigenze della vita di tutti, di saper intercettare domande e questioni che sono domande e questioni dell’uomo di oggi. Questa, infatti, è la più grande testimonianza della nostra fede.

    D. – Come riprende la sua attività di presidente dell’Azione Cattolica italiana, dopo questo incontro a quattr’occhi con Papa Francesco?

    R. – Riprende certamente in maniera arricchita, rispetto a prima; riprende con tanto più entusiasmo e tanta più forza spirituale per l’incoraggiamento che ha dato all’Azione Cattolica, ai laici in generale, per l’incoraggiamento che ha dato partendo dalle esperienze belle che già ci sono, a saperle far crescere nella dimensione di un’apertura missionaria che è apertura alla vita, che è capacità di stare con i fratelli; riprendo la mia attività sicuramente felice e contento di continuare su questa strada, anzi, di percorrerla ancora più lieto e spedito.

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    Papa Francesco: garantire diritti economici e sociali ai lavoratori delle miniere

    ◊   Diritti dei lavoratori, protezione dell’ambiente, bene comune, armonia di interessi. Questi i temi del Messaggio del Papa in occasione della Giornata di riflessione sulle questioni ambientali e sociali legate al settore dell’industria mineraria mondiale, promossa dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e svoltasi sabato scorso a Palazzo San Calisto. Presenti i dirigenti delle più importanti compagnie minerarie, rappresentanti della Chiesa cattolica ed esponenti di varie realtà legate al settore. Il servizio di Giada Aquilino:

    Un “processo decisionale nuovo e più consapevole”, nel rispetto dei diritti dei lavoratori, per “non ripetere i gravi errori del passato” riguardo alle questioni ambientali e sociali legate al settore dell’industria mineraria mondiale. È l’auspicio di Papa Francesco nel Messaggio, a firma del cardinale Tarcisio Bertone.

    Nel testo, indirizzato al presidente del dicastero, il cardinale Peter Turkson, il Pontefice - salutando sia i partecipanti, tra cui i dirigenti delle principali compagnie minerarie internazionali, sia gli operai e le loro famiglie, i sindacati, le comunità locali e gli Stati in cui si trovano le risorse minerarie, in particolare in Africa e nei Paesi in via di sviluppo - ha sottolineato la crucialità dell’incontro, a cui hanno preso parte cristiani, fedeli di altre religioni e non credenti: “è la prima volta - ha scritto il Papa - che dirigenti dell’industria mineraria” si sono ritrovati, vicino al Successore di Pietro, “per riflettere sull’importanza delle loro responsabilità nei confronti dell’uomo e dell’ambiente”. Obiettivo: “un serio esame di coscienza sul da farsi affinché l’industria mineraria possa offrire un positivo e costante contributo allo sviluppo umano integrale”.

    Secondo i dati forniti dall’ufficiale responsabile delle questioni ambientali del dicastero, Tebaldo Vinciguerra, tale industria assicura tra il 10 e il 20% della ricchezza mondiale, coinvolgendo soprattutto in America Latina, Africa e Asia almeno 2,5 milioni di persone a livello ufficiale. Stime più ampie parlano di 15 - 20 milioni di persone occupate nel settore, anche in situazioni non sempre legali, con fenomeni di criminalità, corruzione, sfruttamento minorile, inquinamento e violenze, pure nei confronti di missionari e vescovi che, ricorda il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sono stati nel tempo minacciati o uccisi, perché schieratisi a fianco delle popolazioni delle zone minerarie che chiedevano una più equa distribuzione delle ricchezze.

    “Non sempre senza motivo - ha infatti aggiunto Francesco - l’attività delle industrie estrattive è vista come uno sfruttamento ingiusto delle risorse naturali e delle popolazioni locali, ridotte, a volte, addirittura in schiavitù e costrette a spostarsi, abbandonando le loro terre d’origine”. Ciò implica questioni etiche complesse, “difficili da risolvere con una risposta unica”, e ricorda “la serietà” con cui ogni azione umana deve essere intrapresa. “L’attività estrattiva, come anche altre attività industriali, ha conseguenze ecologiche e sociali che - ha notato il Papa - vengono trasmesse da una generazione all’altra”.

    D’altra parte, si legge ancora nel Messaggio, guardando a ciò che è successo in passato, “oggi le decisioni non vanno prese solo in base a prospettive geologiche o in vista dei profitti economici degli investitori e degli Stati in cui sono insediate le aziende”: Francesco ha ricordato che “è indispensabile” e “inevitabile” tenere presente “la complessità dei problemi in questione in un contesto di solidarietà”, garantendo “ai lavoratori i diritti economici e sociali, nel pieno rispetto delle norme e delle direttive dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro”.

    Per quanto riguarda la protezione dell’ambiente, poi, “è indispensabile che le attività estrattive rispettino gli standard internazionali”. La grande sfida per i dirigenti d’azienda, rammenta il Santo Padre, è quella di “creare un’armonia tra gli interessi, che tenga conto delle esigenze degli investitori, dei manager, dei lavoratori, delle loro famiglie, del futuro dei figli, della preservazione dell’ambiente a livello regionale e internazionale e che costituisca, al contempo, un contributo alla pace mondiale”. Dunque, “numerose” sono le sfide, da affrontare ispirandosi a “principi morali che mirano al bene” di tutti. “Questo - ha concluso il Pontefice - permetterebbe ai leader delle imprese minerarie di affrontare le difficoltà che si presentano con un’attenzione speciale nei confronti dei minatori e delle loro famiglie, delle popolazioni locali e dell’ambiente, della solidarietà internazionale e intergenerazionale”. In tale contesto, le Chiese locali sono chiamate a collaborare “con i dirigenti delle imprese minerarie così da aiutarli a sviluppare una visione sempre più completa della questione”.

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    In udienza dal Papa il nuovo ambasciatore polacco in Vaticano e il ministro generale dei Domenicani

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, di S.E. il il nuovo ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, Piotr Nowima-Konopka, per la presentazione delle Lettere credenziali, e padre Bruno Cadoré, ministro generale dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani).

    Il Papa ha accettato la rinuncia per raggiunti limiti di età di mons. Werner Radspieler all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Bamberg, in Germania.

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    Irlanda. Pellegrinaggio familiare al Santuario di Knock, protagonisti i nonni

    ◊   Papa, mamme e figli, ma soprattutto nonni. In Irlanda sono stati in particolare loro, i membri più anziani, i protagonisti delle pellegrinaggio delle famiglie al Santuario di Nostra Signora di Knock, promosso ieri dalla Catholic Grandparents Association nel giorno della Natività di Maria. Alla vigilia della sua partenza per l’Irlanda, il sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Carlos Simón Vázquez, che ha partecipato al pellegrinaggio in rappresentanza del dicastero, ha ripetuto in una dichiarazione alcune parole di Benedetto XVI sull’importanza dei nonni nel corpo familiare. Loro, ha scritto citando il Papa emerito, “sono la ‘memoria viva’ della famiglia, coloro che custodiscono la relazione viva intergenerazionale, con la prudenza e la saggezza dell’esperienza, per trasmette i valori autentici della vita e della convivenza sociale, che hanno vissuto tante volte con sofferenza, con sacrifici, imparando dagli errori”. Nel contesto attuale, segnato da una “cultura dello scarto” – secondo la definizione di Papa Francesco – “i nonni portano il dono di testimonianza della famiglia come comunione di persone, nella quale ciascuno vale e offre ciò che è e non ciò che ha, facendo brillare la cultura dell’essenzialità e dell’amore, della gratuità. La vecchiaia non è solo il declinare dell’esistenza umana, ma uno stadio di vita in cui si è abili a trasmettere una vera e propria educazione alla vita, alla famiglia, alla fede, alla gratuità”. I nonni, ricorda la nota del dicastero vaticano, saranno grandi protagonisti anche del Pellegrinaggio delle Famiglie promosso dal Pontificio Consiglio alla Tomba di San Pietro, con Papa Francesco, a Roma, sabato 26 e domenica 27 ottobre prossimi. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, "La pace è possibile"; centomila persone in piazza San Pietro insieme a Papa Francesco nella veglia a conclusione della giornata di digiuno e di preghiera di sabato scorso. E all’Angelus, il giorno successivo, la ferma denuncia della proliferazione e del commercio illegale delle armi che alimentano le guerre; sullo stesso tema, l'editoriale del direttore, Giovanni Maria Vian: "Il silenzio e i sogni cattivi".

    A pagina 4, nello spazio sedicato alla cultura, un approfondimento sulla recente scoperta di un inedito di Borges: un possibile finale alternativo al racconto «Tema del traidor y del héroe», scritto a mano, ritrovato nell’emeroteca della Biblioteca Nazionale a Buenos Aires. Accanto, sempre a pagina 4, Francesco Ventorino ricorda il giurista catanese di Pietro Barcellona, appena scomparso, nell'articolo "Il comunista che ha incontrato Gesù".

    A fondo pagina, "Un nuovo Van Gogh" annunciato il direttore del museo di Amsterdam intitolato all’artista; si tratta di "Tramonto presso Montmajour" del 1888. «Una scoperta di tale portata - ha detto il direttore Axel Rüger - non si era mai verificata prima d’ora in tutta la storia del museo». L’opera sarà esposta a partire dal 24 settembre nell’ambito della mostra «Van Gogh at Work».

    A pagina 5, con il titolo "Un uomo come voi", sarà possibile leggere il discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965 citato da Papa Francesco durante la veglia di sabato sera, ripubblicato integralmente.

    La speranza non è una virtù "di seconda classe" ha ribadito il Papa nell'omelia della Messa celebrata a Santa Marta lunedì mattina, non è solo una conseguenza di un temperamento ottimista ma è un dono dello Spirito. E quando «ci uniamo a Gesù nella sua passione — ha concluso il Papa — con lui rifacciamo il mondo, lo facciamo nuovo».

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Mosca: esplosione di terrorismo in caso di attacco. Usa: più rischioso non agire

    ◊   Ascoltato oggi in Procura a Roma l'inviato della Stampa Domenico Quirico, liberato la notte scorsa in Siria dopo cinque mesi di prigionia assieme con il belga, Pier Piccinin. Nessuna notizia, invece, sulla sorte del gesuita padre Dall’Oglio, di due vescovi di Aleppo e due sacerdoti, mentre sarebbero almeno 24 i giornalisti sia siriani sia stranieri, sequestrati negli ultimi 12 mesi. Dalla zona di Raqqa arrivano intanto notizie preoccupanti di bombardamenti e sul piano internazionale Mosca e Washington continuano il confronto a distanza, attraverso dichiarazioni di capi delle diplomazie. Il servizio di Fausta Speranza:

    Al momento, sulla crisi siriana è guerra di dichiarazioni. Dalla Russia l’avvertimento: uno scenario di forza porterà a una esplosione di terrorismo in Siria e nei Paesi vicini. A parlare è il ministro degli Esteri, Lavrov, ricevendo a Mosca l’omologo siriano. Praticamente in contemporanea, a Londra, è l’incontro tra il ministro degli Esteri britannico, Hague, e il segretario di Stato Usa, Kerry, che parla di catastrofe umanitaria in corso in Siria con più rischi a non agire che ad agire. Kerry però chiarisce: nessun intervento se Assad consegna armi chimiche. Ma le dichiarazioni più forti devono ancora arrivare: la Cbs sta per trasmettere la prima intervista ad Assad, mentre Obama ha registrato interventi in sei network televisivi. Da anticipazioni dei media, è noto che Assad neghi l’uso di armi chimiche e assicuri ritorsioni degli alleati in caso di attacco a Damasco. Resta, sullo sfondo delle offensive mediatiche, l’attesa per il voto alla Camera del Congresso Usa sulla scelta militare. Tra le tante obiezioni all’azione militare, c’è quella che riguarda le forze in campo contro il regime. Si parla di presenza sempre più significative di estremisti islamici. Il giornalista Quirico appena rilasciato ha detto di sentirsi “tradito” dalla "rivoluzione siriana", che interesse e speranze aveva suscitato ai tempi della presa di Aleppo da parte dei ribelli e che poi è stata dirottata in parte dalle frange dell'estremismo islamico. Fausta Speranza ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Storia e istituzioni del mondo islamico all'Università Cattolica di Milano:

    R. – E’ una presenza – ahimé – in forte aumento ed è sempre più determinante per le sorti del conflitto. Rispetto ai cosiddetti "moderati" dell’Esercito libero della Siria, i gruppi jihadisti hanno sempre più peso. Sono raggruppati in vari movimenti, il più forte è il "Jabat al Nusra", l’altro è lo Stato islamico dell’Iraq del Levante. Lo dimostrano dati statunitensi, in base tra l’altro ai morti tra i mujaheddin, cioè i combattenti che combattono in jihad arabi non siriani. Ebbene, la maggior parte di questi è morta nelle file dei gruppi jihadisti. Questo ci dice che dall’estero arrivano sempre più combattenti che sono legati ad al Qaeda e ai movimenti jihadisti, che non vogliono l’abbattimento di un dittatore sanguinario come Assad per portare la cosiddetta "democrazia", ma semplicemente per abbattere un nemico dell’islam e creare uno Stato fanatizzato e vicino al terrorismo islamico.

    D. – Chiaramente, l’argomento delle armi chimiche è un argomento drammatico, ma anche questo aspetto andrebbe discusso. Secondo lei, l’attesa del voto del Congresso statunitense sull’ipotesi di un attacco armato, è un’attesa che considera anche il dibattito intorno a questo aspetto?

    R. – Sì, le armi chimiche sono un’arma orribile e i morti ci hanno impressionato. Ma ci devono impressionare tutti i morti. Le armi chimiche hanno fatto probabilmente lo 0,5% dei morti che ci sono stati in Siria in questi due anni. Detto questo, in ogni caso c’è una commissione Onu, degli ispettori Onu che stanno monitorando la situazione. Bisognerebbe perlomeno lasciar lavorare gli ispettori Onu e aspettare il loro responso, perché non è del tutto chiaro chi le abbia usate: non vi è ancora la certezza che le abbiano usate forze armate siriane per ordine del governo di Damasco.

    D. – Che cosa dire di questo botta e risposta mediatico tra Mosca e Washington?

    R. – Questo è preoccupante: ci mostra quanto la questione non sia tanto proteggere i cittadini siriani, il popolo siriano, ma quanto ci sia un gioco di potere. Obama vuole un attacco e certi settori vogliono un attacco soprattutto perché la Siria è un alleato-chiave dell’Iran. I Paesi arabi combattono in Siria perché combattono l’espansione o comunque questo ruolo geopolitico dell’Iran e dello sciismo: questa non ha nulla a che fare con la popolazione siriana. E tanto meno Putin se ne preoccupa perché il sostegno ad Assad è un sostegno quasi secondo i vecchi schemi di guerra-fredda: la Russia sostiene la Siria perché ne ha dei ritorni geopolitici molto forti, e perché ha un importante porto in Medio Oriente. Tutto questo inquadra il conflitto siriano in uno scontro regionale e internazionale e non più legato alla liberazione di un popolo da un dittatore.

    Intanto sul terreno c’è l’allarme lanciato dalla zona vicina alla diga sull'Eufrate, nel nord della Siria, colpita da bombardamenti dell'aviazione siriana fedele a Assad. Secondo gli abitanti c’è il rischio di una devastante inondazione dell'intera provincia, da mesi sotto il controllo delle truppe ribelli.

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    RD Congo, speranze flebili per i colloqui di pace. L'analista: tanti interessi in gioco

    ◊   “In nome di Dio, lasciateci vivere!”: cosi alcuni giorni fa il vescovo di Goma, nella Repubblica democratica del Congo, si era rivolto ai responsabili e alle autorità perché cessino le ostilità tra esercito e forze ribelli, nella tormentata regione del Kivu. E, proprio oggi scade il termine di tre giorni per riavviare colloqui di pace, stabilito nel recente vertice di Kampala, in Uganda, dai leader dei cinque Paesi dei grandi Laghi, chiamati a mediare tra governo di Kinshasa e i ribelli del movimento M23. Roberta Gisotti ha intervistato Giusy Baioni, giornalista esperta del Paese africano e membro dell’associazione Beati costruttori di pace:

    D. - Che speranze vi sono e che ruolo possono giocare i Paesi mediatori a Kampala. Non tutti sono al di sopra delle parti…

    R. – Esatto, è proprio questo il problema principale, perché tra le persone sedute al tavolo ci sono quelli direttamente coinvolti nel conflitto. Ci sono rapporti Onu largamente documentati che attestano il coinvolgimento del governo rwandese ed ugandese, con l’appoggio diretto ai ribelli dell’M23. Quindi, è difficile capire come e quanto siano in grado di mediare. Di certo, c’è da sperare che questi colloqui arrivino a qualche punto fermo perché in realtà erano già iniziati lo scorso dicembre e sono stati sospesi a maggio. Ora, si cerca di farli riprendere - con un ultimatum di 14 giorni di tempo - per riuscire ad arrivare ad un dato di fatto.

    D. – Da notizie di agenzia sappiamo che il Movimento 23 ha posto delle condizioni per deporre le armi: ha chiesto che anche gli altri ribelli del Paese – di etnia hutu, rispetto a loro che sono la minoranza tutsi – depongano le armi…

    R. – Questa è una condizione abbastanza difficile da rispettare. Il riferimento è a questo gruppo che si chiama Fdlr (Democratic Forces for the Liberation of Rwanda) e che raggruppa da ormai quasi un ventennio i combattenti hutu scappati dal genocidio. Sostanzialmente, secondo il governo del Rwanda, sono i vecchi genocidari che si sono sottratti alla giustizia e che sono rifugiati nella foresta del Congo. In realtà, sono passati 20 anni quindi la situazione è molto cambiata. All'interno di questi Fdlr ci sono sia alcuni vecchi genocidari, ma anche forze nuove, forze diverse. La condizione posta dall’M23 è proprio che venga finalmente e completamente disarmato questo gruppo.

    D. – Possiamo ricordare perché questo movimento – M23 – porta questo nome?

    R. – E’ nato facendo appello al 23 marzo del 2009, data degli ultimi accordi tra il governo centrale di Kinshasa, capitale del Congo, con il gruppo di ribelli precedente, che aveva un altro nome. Avevano stilato un accordo per far cessare l’ostilità e, secondo gli attuali ribelli, questi accordi non sono stati rispettati dal governo centrale. Quindi, hanno fatto sorgere una seconda ribellione con un altro nome, ovvero l’attuale M23.

    D. – Ci sono colpe di incompetenza nel risolvere questi conflitti con i ribelli, da imputare al governo?

    R. – Ci sono colpe sicuramente. Da una parte, ci può essere incompetenza e dall’altra ci può essere – secondo molti, soprattutto molti congolesi – una connivenza. Difficile districare anche qui la matassa. Nella regione del Nord Kivu, non dimentichiamoci che c’è un sottosuolo ricchissimo che fa gola a molti, al Rwanda principalmente, e di riflesso alle potenze occidentali e a molte multinazionali. Secondo molti congolesi, poi, ci sarebbe una connivenza anche di una parte del governo congolese, che ha interessi poco limpidi. Sono tanti i congolesi dell’est che accusano il proprio presidente di essere connivente con il presidente rwandese Kagame. È una situazione molto complessa, dove si fa fatica a vedere quali siano i veri interessi in gioco e quale sia la reale volontà di portare pace.

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    La Lettera pastorale dal cardinale Scola: c'è il rischio di una sorta di ateismo anonimo

    ◊   “Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano”: è il titolo della Lettera pastorale illustrata stamani all'omelia del Solenne Pontificale per la festa della Natività di Maria dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, che con questa cerimonia ha inaugurato l’Anno pastorale. In essa, il porporato ha sottolineato la realtà popolare, con le profonde radici cristiane della Chiesa ambrosiana, ma ha anche messo in evidenza che esiste “il rischio di una sorta di ateismo anonimo”. Il servizio di Debora Donnini:

    Esiste il rischio di una sorta di ateismo anonimo, un vivere di fatto come se Dio non ci fosse. Il cardinale Scola guarda alla condizione delle generazioni intermedie, quelle fra i 25 e i 50 anni, che definisce “particolarmente travagliate” e nota che spesso l’annuncio del Vangelo e “la vita delle nostre comunità appaiono loro astratte, lontane dal quotidiano”. Il cattolicesimo di popolo ancora vitale sul nostro territorio, mette dunque in evidenza, “è chiamato a rinnovarsi”, “curando soprattutto la trasmissione del vitale patrimonio cristiano alle nuove generazioni”. Richiamandosi al titolo della Lettera, il cardinale Scola mette in risalto come il mondo sia il campo di Dio, il luogo in cui Dio si manifesta e Gesù provoca la nostra libertà. E’ poi la risposta personale che permette al buon seme di diventare grano maturo. La fede cristiana poi mostra la sua fecondità aprendo la libertà a tutte le dimensioni dell’esistenza che si possono sintetizzare in tre ambiti: affetti, lavoro e riposo. Per quanto riguarda gli affetti, si nota come l’affetto che non raggiunge l’amore oggettivo si riduce all’angustia del puro sentimento e introduce un fattore di provvisorietà in ogni rapporto. Riguardo al lavoro, si evidenzia come la giustizia impone di cercare scelte politiche ed interventi legislativi tesi a favorire una ripresa economica, che offra prospettive occupazionali a tutti. Anche l’esperienza del riposo è insidiata, perché vi sono modi di viverlo che mortificano la persona o la rendono schiava di abitudini dannose.

    In questi tempi di cambiamento, nota dunque il cardinale Scola, le tre dimensioni della comune esperienza umana provocano tutti i fedeli a una verifica non più rinviabile. E dunque, bisogna interrogarsi, ad esempio, sul perché la parola cristiana sull’amore appaia "così poco attraente per la sensibilità del nostro tempo". Si invitano tutti i cristiani a verificare la propria testimonianza confrontandosi con lo stile personale e comunitario della loro presenza, sulla verità delle loro scelte e le comunità cristiane a verificare il modo di celebrare l’Eucaristia domenicale, a curare le espressioni della vita della comunità. Dio infatti entrando nella storia vuole fecondare con la sua presenza rinnovatrice tutta la realtà. E per uscire da se stessi e portare il Vangelo è dunque necessaria la testimonianza. La Lettera pastorale si pone dunque come uno strumento di riflessione sul senso e la direzione della vita. Bisogna quindi valorizzare la vita ordinaria delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti. Per il cardinale Scola, poi, i nuovi orientamenti della società plurale sono da considerare più che una minaccia un'opportunità per annunciare il Vangelo dell’umano e così intende guardarli la Chiesa ambrosiana e i cristiani sono chiamati a essere operai nel campo del mondo.

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    Giappone: Borsa in rialzo dopo la scelta di Tokyo per le Olimpiadi del 2020

    ◊   In Giappone, dopo la notizia della scelta di Tokyo come sede per i Giochi Olimpici del 2020, si registrano incrementi in Borsa: l’indice Nikkei guadagna il 2,4%. Si tratta di un netto progresso sull’onda dell’effetto "Olimpiadi" e della forte revisione al rialzo del Pil del secondo trimestre. Ma come è stata accolta nel Paese nipponico, colpito nel 2011 da un devastante terremoto e dal conseguente tsunami che ha provocato gravi danni anche nella centrale di Fukushima, la notizia della designazione di Tokyo per le Olimpiadi del 2020? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a padre Makoto Wada, responsabile del programma giapponese della nostra emittente:

    R. - Non è stata accolta con gioia al cento per cento. Alcuni sono contrari, altri sono contenti. Voi conoscete la situazione attuale del Giappone, soprattutto dopo quello che è successo a Fukushima. Ci sono ancora tante persone in difficoltà, si trovano in una situazione disastrosa. Forse, prima di tutto, sarebbe meglio sistemare i problemi del Giappone.

    D. - Tra l’altro saranno investite ingenti risorse per le Olimpiadi...

    R. - Infatti, alcuni stanno dicendo che ci sono ancora persone che non possono rientrare nelle proprie case. Quindi loro dicono che è meglio usare questi soldi per aiutare questa gente. Poi, non è ancora stato risolto il problema legato alla perdita di acqua contaminata. Tanti pescatori non possono uscire in mare per pescare e anche tanti contadini non possono coltivare la loro terra. Più di 15 mila persone non possono rientrare nelle loro case perché in quelle zone c’è ancora radioattività. Per bonificare la zona occorrono ancora 50-60 anni, alcuni dicono addirittura 100 anni!

    D. - Il premier giapponese Shinzo Abe, presentando la candidatura di Tokyo, ha detto che in realtà la situazione a Fukushima è sotto controllo...

    R. - Il governo dice che è tutto risolto. Invece, in realtà, non è stato risolto nulla! Quest’anno sono stato in Giappone nel luogo dove ci sono state queste radiazioni. La situazione è come allora! Non possono intervenire, dicono. Quindi è tutto contaminato, e certe zone sono come prima. Ci sono tante macchine, navi che ancora non possono essere toccate. Soltanto che queste cose non fanno notizia all’estero! Si fa vedere che in Giappone è già sistemato, invece coloro che sono vicino a quella zona hanno ancora tanti problemi.

    D. - Tokyo ha già ospitato le Olimpiadi nel 1964. Lei si ricorda come è cambiata – se è cambiata – la città durante quelle Olimpiadi e dopo le Olimpiadi?

    R. - Hanno fatto tante strade, treni ... In questo senso sì, hanno fatto tanti lavori.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. L'arcivescovo Hindo scrive a Obama: il mondo non vuole la guerra

    ◊   “E' per la pace che vi scrivo, la nostra pace. E' contro la guerra che le scrivo, la vostra guerra”. Così mons. Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, si rivolge a Barack Obama in una lettera in cui chiede al Presidente Usa di fermare i suoi progetti di intervento militare in Siria. La diocesi dell'arcivescovo Hindo si trova nella provincia siriana nord-orientale di Jazira, in una regione che – scrive l'ecclesiastico – è chiusa in un blocco opprimente e totale e dove un milione e mezzo di persone soffrono “i tormenti della guerra, le distruzioni e la mancanza di tutto”. Nella missiva, pervenuta all'agenzia Fides, mons. Hindo critica duramente la strada imboccata dall'Amministrazione Usa. Forti dubbi vengono avanzati dall'arcivescovo siriano anche sulle prove dell'uso di armi chimiche da parte del regime di Assad esibite dall'Amministrazione Usa per convincere la comunità internazionale della necessità di un intervento armato. Il consiglio rivolto al Presidente Usa è quello di aspettare ”i risultati della Commissione dell'Onu”. A ciò si aggiunge la supplica di “risparmiare i massacri, le distruzioni e altre sofferenze. Io – prosegue l'arcivescovo siriano - scrivo a colui nel cui nome risuona l'espressione baraka, cioè benedizione. Benedizione per la vostra grande nazione, pace frutto di benedizioni per il mio popolo. Questi sono i miei desideri. Essi ora sono nelle mani di un premio Nobel per la pace”. (R.P.)

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    Siria. Maaloula, i ribelli invadono le case del villaggio. Uccisi tre giovani cristiani

    ◊   Corpi di cristiani uccisi abbandonati sul ciglio delle strade, abitazioni e chiese distrutte e depredate. E' lo scenario di Maaloula, villaggio a circa 60 chilometri a nord di Damasco invaso nei giorni scorsi dai ribelli islamisti. L'abitato, culla della tradizione cristiana siriana e unico luogo al mondo dove si parla ancora l'aramaico, è ormai una città fantasma. Fonti dell'agenzia AsiaNews (anonime per motivi di sicurezza), raccontano che "i ribelli islamisti stanno invadendo le abitazioni del villaggio. Ieri hanno ucciso tre persone e preso prigionieri sei giovani cristiani appartenenti alla Chiesa greco-cattolica. I cadaveri sono stati lasciati in strada come monito per la popolazione. Molte famiglie sono bloccate nelle loro case e non possono nemmeno fuggire. Nessuno conosce le loro condizioni". La situazione è critica anche per chi è riuscito ad abbandonare il villaggio. "Sono diverse centinaia di persone - spiegano le fonti - esse sono riuscite a salvarsi, ma hanno dovuto abbandonare tutti i loro averi. Per loro inizia un nuovo calvario". In questi giorni le parrocchie della capitale hanno offerto ospitalità alle famiglie, ma i viveri non basteranno a lungo. "Questa gente è traumatizzata - aggiungono le fonti di AsiaNews - intere famiglie hanno lasciato tutta la loro vita a Maaloula. Non hanno bisogno solo di beni materiali come cibo, acqua, un letto in cui riposare ma anche di sostegno spirituale, soprattutto gli anziani, le donne e i bambini". I ribelli del Free Syrian Army (Fsa) hanno invaso il villaggio lo scorso 5 settembre, sconfiggendo le truppe del regime grazie all'appoggio delle brigate al-Nousra, legate ad al-Qaeda. Dopo aver preso il controllo sulla città, gli islamisti hanno iniziato a profanare gli edifici cristiani, distruggendo le croci della cupola del monastero greco-cattolico dei santi Sergio e Bacco. In una testimonianza raccolta dall'agenzia AsiaNews, un residente racconta che lo sheick del villaggio, leader della comunità musulmana locale, ha condannato gli attacchi affermando che quanto sta avvenendo è contro l'islam: "La violenza non si può attuare né in nome di Allah né di Maometto". L'appello si è però rivelato inutile. (R.P.)

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    Pakistan: i vescovi accanto a Papa Francesco per la pace in Siria

    ◊   “Vegliamo e preghiamo per la pace in Siria, a fianco di Papa Francesco. Come cristiani, che desiderano e operano per la pace, auspichiamo che non ci sia più violenza in Siria e in ogni altra parte del mondo. Vogliamo la pace su tutta la terra”: sono le accorate parole dei vescovi pakistani che, in un nota inviata all'agenzia Fides, si uniscono al grido di pace del Papa, dopo aver celebrato, in tutte le chiese del Paese, la speciale “Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria”, sabato scorso. Nel comunicato congiunto di Conferenza episcopale e Caritas Pakistan, i vescovi esortano tutti i cristiani in Pakistan “a continuare a digiunare e pregare per il popolo siriano, ricordando che l’iniziativa coinvolge anche fedeli delle altre religioni”. Ieri i vescovi pakistani hanno riletto nelle celebrazioni domenicali le parole dell’Angelus di Papa Francesco in cui si dice “Non più guerra! La violenza non porta mai la pace: la guerra porta altra guerra, la violenza porta ad altra violenza”. Mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale, ha inviato un suo messaggio a tutte le chiese, per sensibilizzare i fedeli, mentre padre Bonnie Mendes, membro del Consiglio esecutivo della Caritas Pakistan, ha messo in guardia sulle “serie conseguenze di un attacco militare”. Come riferisce a Fides padre Francis Nadeem, fra le altre chiese, nella chiesa di San Giuseppe a Lahore si è tenuta una speciale veglia di preghiera, con partecipanti cristiani e musulmani. Alla fine della celebrazione tutti hanno recitato insieme la preghiera “Dio fammi strumento della tua pace”, attribuita a San Francesco d'Assisi. “Il conflitto in corso in Siria ha portato a una delle peggiori crisi umanitarie nel mondo. Come Caritas di tutto il mondo, estendiamo il nostro sostegno alle persone in difficoltà”, ha detto Amjad Gulzar , direttore esecutivo della Caritas Pakistan. (R.P.)

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    Vietnam: centinaia di migliaia di fedeli hanno digiunato per la pace in Siria

    ◊   I cattolici vietnamiti hanno risposto in massa all'appello del card Jean Baptist Pham Minh Man, unendosi a papa Francesco e ai cattolici di tutto il mondo per la giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria di sabato scorso. Le 200 parrocchie di Ho Chi Minh City - quasi 700mila in totale - hanno organizzato in tempi e modi diversi veglie e orazioni "per le aree teatro di un conflitto". Inoltre, su indicazione dell'arcivescovo si è tenuta "l'ora di Adorazione eucaristica e di preghiera per la pace" dalle 7 alle 8 di sera. Alla Veglia di digiuno e preghiera per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo, papa Francesco ha chiesto a tutti, cristiani, membri di altre religioni e persone di buona volontà di essere strumento di riconciliazione e di pace. Nella folla che riempiva la piazza vi erano cristiani e musulmani e come a San Pietro, in tutto il mondo le "persone di buona volontà" si sono unite al Pontefice nel "grido di pace". Per la Giornata di preghiera si è mobilitata anche la Caritas di Saigon, come racconta suor Lan: "Abbiamo pregato tutti assieme, in spirito di penitenza, per chiedere a Dio la benedizione e la pace per la Siria e il popolo di quel Paese". Jospeh Hung, uno dei molti volontari dell'ente cattolico a Ho Chi Minh City aggiunge che "i vietnamiti hanno sperimentato a lungo la guerra" e per questo apprezzano ancor più la pace. "Non vogliamo - aggiunge - che tutto questo accada ancora in un'altra nazione". Suor Teresa invoca pazienza e preghiera quotidiane e invita a confidare "nella Provvidenza divina". "Ci rivolgiamo alla Vergine Maria per la pace in Medio oriente e in Sira - aggiunge la religiosa - e non dimentichiamo mai di pregare la Madonna perché fermi crimini e terrorismo". Nel suo messaggio ai fedeli il cardinale di Saigon ha confermato l'importanza del "dialogo" perché venga fatta giustizia a beneficio di tutti. Il porporato auspica un lavoro comune fra "persone di buona volontà per costruire una cultura della vita e una civiltà dell'amore", non solo in Vietnam ma in tutto il mondo. È necessario ridurre le ingiustizie nella società e "cancellare le tracce" di quanti affermano una "cultura della morte". (R.P.)

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    Il Consiglio dei vescovi europei: tutta l’Europa ha pregato insieme al Papa

    ◊   Il segretario generale del Consiglio dei vescovi europei (Ccee), Duarte da Cunha, ha scritto, in un editoriale per l’agenzia Sir, un commento alle azioni del Papa relative alla guerra in Siria rilevando quanto grande sia stata l’adesione alle iniziative del Pontefice. Il presule ha scritto: “È incredibile vedere la quantità di persone che hanno aderito alla proposta del Papa. Probabilmente non c’è stata diocesi in Europa, e forse in tutto il mondo, che non abbia compiuto almeno un gesto pubblico in comunione con il Papa. Da Fatima a Minsk, da Cipro o Malta alla Germania e all’Inghilterra, ovunque i vescovi si sono impegnati ad invitare i fedeli e le comunità ad unirsi al Papa e la maggioranza di loro ha presieduto nelle cattedrali o in un santuario veglie di preghiere”. Mons. Da Cunha critica poi i media che hanno “trattato la preghiera come un evento di un piccolo ed insignificante gruppo”. Il messaggio si conclude con parole di speranza e di riflessione per il mondo in cui viviamo che è “un mondo di pazzi dove non si vuole vedere e sentire la voce di Dio, ma allo stesso tempo, vedendo un’Europa intera e un mondo intero pregare per la Pace, si è portati a riconoscere che la speranza non è morta”. (D.P.)

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    Venezuela: il card. Urosa prega per la pace. Mons. Parolin affida ai laici il futuro del Paese

    ◊   Con un accorato appello perché abbia termine la violenza anche in Venezuela, il card. Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, ha concluso la celebrazione che ha presieduto nella basilica di Santa Teresa, nella Giornata mondiale di digiuno e preghiera per la pace in Siria. “Chi è al potere ha un maggiore impegno a lavorare per la pace in Venezuela” ha detto il cardinale ai rappresentanti dei media alla fine della Messa, “in questo Paese muoiono più persone a causa della violenza che a causa di qualche conflitto bellico”. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, il cardinale ha chiesto di fermare la violenza contro i bambini, contro le donne e quella esercitata da alcuni funzionari dello Stato: “Quella è violenza politica, è aggressività, che viene praticata contro il popolo per un uso distorto delle leggi, quando le persone non sono sottoposte a un processo equo”. Secondo la nota, il cardinale si riferiva al caso di Victor Manuel Leocenis Garcia e Garcia, due personaggi pubblici detenuti in attesa di processo. Nella circostanza l’arcivescovo di Caracas si è anche congratulato con mons. Pietro Parolin, che ha partecipato alla celebrazione, per la sua nomina a Segretario di Stato vaticano. Mons. Parolin, che era stato invitato dal cardinale per la celebrazione, era anche presente, come riferito da UnionRadio a Fides, per pregare davanti al "Nazareno de San Pablo", l’immagine sacra più popolare di Caracas, per il suo nuovo incarico. L'arcivescovo, parlando brevemente con i giornalisti prima della celebrazione, ha sottolineato l’importanza del laicato: “I laici in Venezuela rappresentano una forza che lavora per la missione della Chiesa, individualmente o in movimenti organizzati. Si tratta di un patrimonio molto prezioso e chiedo loro di operare sempre nella vita quotidiana: nella politica, nella cultura, nei media. Lì dove gli uomini vivono, lavorano, lottano, soffrono e gioiscono”. A questo proposito, ha ricordato gli orientamenti del Consiglio plenario venezuelano per i Laici: “Loro sanno come mettere il lievito del Vangelo, diventare sale e luce della società venezuelana, perché i laici del Venezuela dovranno dire una parola fondamentale per risolvere i problemi di questo Paese”. (R.P.)

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    Card. Erdõ: eredità cristiana e cultura uniscano i popoli europei

    ◊   In occasione della conferenza stampa, svoltasi ieri a Metz, per il 50° della morte di Robert Schuman, il card. Peter Erdõ, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, ha dichiarato: “L’Unione europea può costituire un buon quadro per la riconciliazione dei popoli, un buon strumento per superare i conflitti storici”. Ma per “unire i popoli del nostro continente” occorre fare anche riferimento “agli elementi culturali comuni così come all’eredità cristiana”. Come riporta l’agenzia Sir, il porporato ungherese si è soffermato anche sul divario tra i Paesi dell’Europa orientale e quelli dell’Europa occidentale, ricordando come per le popolazioni est europee l’adesione all’Unione europea sia stata vissuta come l’ingresso forzato ad un nuovo impero. Sulla figura di Robert Schuman, autore della Dichiarazione del 9 maggio 1950 che diede avvio all’integrazione politica europea, il card. Erdõ ha ricordato come “la democrazia, secondo Schuman, nel senso più ampio e attuale del termine, deve la sua esistenza al cristianesimo, dal momento che è il cristianesimo che ha presentato la dignità dell’essere umano nella sua libertà individuale. In altri termini, la novità di Gesù Cristo ha molto a che vedere con l’ideale europeo della democrazia”. (E.R)

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    Turchia: i curdi del Pkk interrompono il ritiro dei combattenti

    ◊   Il partito curdo dei lavoratori (Pkk) ha annunciato di aver interrotto il ritiro dei suoi combattenti dal territorio turco – avviato a maggio nell’ambito di un negoziato di pace con le autorità – denunciando “l’inazione” del governo di Ankara. In un comunicato citato dall’agenzia pro-curda Firat News ripreso dall'agenzia Misna, il movimento armato ha accusato Ankara di “non voler progredire” nella realizzazione degli accordi raggiunti durante i colloqui. Il Pkk ha reso noto che rispetterà comunque il cessate-il-fuoco in vigore con le forze armate turche. In particolare il movimento guidato dal leader Abdullah Ocalan rimprovera il parlamento turco di non aver ancora approvato un pacchetto di riforme finalizzate a rafforzare i diritti della minoranza curda nel Paese. In cambio del ritiro dei suoi circa 2.500 combattenti sulle montagne del Kurdistan iracheno, il Pkk chiede emendamenti ai codici penale ed elettorale, il diritto all’educazione in lingua curda e una forma di autonomia regionale. Il mese scorso il primo ministro turco Recep Tayyep Erdogan aveva lamentato che un’amnistia generale per i ribelli e in particolare per Ocalan – in prigione dal 1999 – non sono “all’ordine del giorno”. Erdogan ha accusato inoltre il Pkk di non stare procedendo col ritiro nei tempi previsti e di aver finora provveduto al rimpatrio del 20% dei suoi ‘effettivi’ tra cui principalmente vecchi e bambini. Le forze del Pkk hanno iniziato a ritirarsi dalle postazioni nel sud-est della Turchia lo scorso 8 maggio, dopo un cessate il fuoco dichiarato a marzo, allo scopo di porre fine a un conflitto che in trent’anni ha provocato la morte di 40.000 persone e devastato l’economia della regione. (R.P.)

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    Filippine. Nuova violenza a Mindanao: la Chiesa invoca la pace e accoglie gli sfollati

    ◊   Nuovi combattimenti e violenze fra l’esercito regolare e i ribelli del “Moro National Liberation Front” (Mnlf) si sono verificati oggi, a Zamboanga, nell’estremo Sud dell’isola di Mindanao, dove abita la consistente minoranza musulmana (circa 6 milioni di persone) della popolazione filippina. Come riferiscono all'agenzia Fides fonti nella Chiesa locale, circa 100 militanti armati del Mnlf sono piombati in città, prendendo in ostaggi almeno 30 civili e usandoli come “scudi umani”. Negli scontri susseguitisi con le forze governative, sei persone sono state uccise mentre 24 sono rimaste ferite. La Chiesa locale ha condannato fortemente la violenza. Mons. Crisologo Manongas, amministratore apostolico dell'arcidiocesi di Zamboanga, si è detto “indignato per l'accaduto”. “Ci appelliamo alla leadership Mnlf – ha detto – perché non coinvolga i civili innocenti nelle loro richieste politiche. Azioni con le armi non risolveranno nulla. Chiediamo a tutti contendenti di deporre le armi”. Intanto, dato il prolungarsi degli scontri militari, centinaia di sfollati hanno trovato rifugio in edifici pubblici e le chiese dell'arcidiocesi sono state aperte per sfollati cristiani e musulmani e utilizzate come Centri di evacuazione per i residenti che cercavano di sfuggire alle ostilità. “Questo non è un conflitto religioso, è un conflitto politico. Non c'è animosità tra musulmani e cristiani”, ha aggiunto mons. Manongas. Attualmente nelle Filippine Sud c’è stato un ritorno alla violenza dello storico gruppo ribelle “Moro National Liberation Front”, uno dei primi a siglare un accordo di pace col governo di Manila, nel 1996. Oggi il Mnlf accusa il governo di aver “stracciato” quell’accordo, rinegoziando con l’altro gruppo ribelle, il “Moro Islamic Liberation Front” (Milf) confini e amministrazione della regione autonoma musulmana di Mindanao, istituita proprio nel 1996. Il mese scorso il Mnlf, come atto dimostrativo, in contraposizione al governo, ha dichiarato “l'indipendenza” di alcune isole delle Filippine Sud come Palawan, Basilan, l’arcipelago di Sulu e Tawi-Tawi e anche per Sabah, territorio della Malaysia. (R.P.)

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    Indonesia: ad Aceh quattro cristiani e un pastore protestante arrestati per proselitismo

    ◊   L’accusa è che avrebbero cercato di convertire al cristianesimo i musulmani di Aceh, provincia in cui vige la legge islamica. Per questo la polizia della sharia e i funzionari della sicurezza del distretto di West, hanno arrestato il pastore protestante Hendri Budi Kusumo e altre quattro persone, membri della Indonesian Evangelist Mission Church. “Sono stati prelevati a forza dalle loro case in seguito a voci diffuse di proselitismo”, ha dichiarato all’agenzia AsiaNews il responsabile locale del Comitato per gli Affari religiosi, Baron Ferryso ". Sembra, però, che il pastore cristiano avrebbe garantito formazione e corsi di recupero alla popolazione per migliorarne il grado di istruzione. Secondo quanto riferiscono i media locali, Hendri Budi Kusumo e gli altri quattro uomini sono stati prelevati dalla loro abitazione, nel villaggio di Blang Pulo, in piena notte. Con loro sono state fermate anche altre due persone, indentificate poi come "musulmani di Aceh della zona", perché si trovavano in compagnia dei cristiani. Alcuni testimoni aggiungono che "vi potrebbero essere altri casi di conversioni al protestantesimo". Già in passato si erano registrati casi di arresti con accuse simili. Nonostante la costituzione indonesiana garantisca la libertà religiosa, gli attacchi contro le minoranze religiose sono sempre più frequenti. (E.R.)

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    Somalia: ‘Go to school’ riporta in classe un milione di bambini

    ◊   Riportare a scuola circa un quarto dei bambini somali che hanno abbandonato gli studi è la sfida di “Go to school”, la campagna promossa dalle autorità somale in collaborazione con l’Unicef. Il progetto, presentato nel corso della Giornata Mondiale per l’Alfabetizzazione, celebrata ieri, durerà tre anni e costerà 117 milioni di dollari. Secondo l’agenzia Misna, in Somalia i dati sulla dispersione scolastica riferiscono che solo quattro bambini su dieci frequentano le lezioni e molti di essi non proseguono gli studi secondari; la situazione peggiora nel caso delle ragazze: nella parte centrale e meridionale del Paese, infatti, solo un terzo di esse, è iscritto a scuola. Il progetto ‘Go to school’, oltre alla scolarizzazione di base per i bambini dai 6 ai 13 anni, si occuperà anche di fornire un percorso di istruzione alternativo per nomadi e sfollati. “L’istruzione è la chiave per il futuro della Somalia - ha affermato il rappresentante Unicef per la Somalia Sikander Khan- perché una gioventù istruita è uno dei migliori contributi al mantenimento della pace”. (E.R.)

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    Messico. Rispettare la dignità degli stranieri, nuove direttive per la pastorale dei migranti

    ◊   Si è concluso il 6 settembre, nella diocesi di Zecatecas, in Messico, il III seminario per la pastorale migratoria intitolato “Dalla partenza fino al ritorno: tra il fallimento e la speranza” e incentrato sul rispetto della dignità delle persone che attraversano il Messico e varcano il confine con gli Stati Uniti in cerca di fortuna. “Siamo preoccupati” a dichiarato all’agenzia Fides il vescovo della diocesi Zecatecas mons. Sigifredo Noriega Barceló, “che non sia calpestata la dignità dei migranti e i loro diritti siano rispettati. Non devono essere sfruttati da nessuno”. Il presule ha poi spiegato le iniziative già intraprese riguardo la pastorale dei migranti: “Ci sono molte case per i migranti e dei programmi di sostegno, ma ci sono anche molte difficoltà, e purtroppo la malavita che c'è dietro tutto questo si sta impossessando di molte abitazioni”. Il Messico oltre ad essere protagonista di imponenti flussi migratori è anche un Paese di passaggio per tutti coloro che da tutto il sud America tentano di varcare il confine con gli Stati Uniti. (D.P.)

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    Bangladesh. L’università di Dhaka dedica la nuova biblioteca all’arcivescovo Ganguly

    ◊   La nuova biblioteca dell’università di Dhaka, in Bangladesh è stata deicata all’arcivescovo Theotinus Amal Ganguly, ricordato da cristiani e musulmani come un “leader universale”. La biblioteca, infroma l’agenzia AsiaNews, è realizzata all’interno del dipartimento di cultura delle religioni, in cui insegnava lo stesso arcivescovo, e la cerimonia di inaugurazione cade nel 36° anniversario della morte del presule. Theotinus Amal Ganguly, arcivescovo di Dhaka dal 1967, è ricordato per essere stato un grande uomo di fede, nel 2006 è stata anche aperta una causa di beatificazione, ma soprattutto come una guida per tutto il popolo del Bangladesh, grazie al suo carisma e al suo impegno eccezionali. (D.P.)

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    India. Incontro mondiale dei buddisti su temi di attualità e pace

    ◊   250 delegati delle comunità buddiste di 39 paesi si incontrano a Nuova Delhi da oggi fino al 12 settembre per discutere di temi di attualità, giustizia e dialogo. L’evento, riportato dall’agenzia Misna, servirà a dare una voce comune ai 400 milioni di fedeli buddisti, sparsi nelle diverse comunità di tutto il mondo, riguardo temi come il terrorismo, i cambiamenti climatici e, per questo carattere omnicomprensivo, a partecipare saranno anche istituzioni laiche orbitanti intorno al mondo buddista. Il vice-presidente della Mahabodhi Society, l’organizzazione che presiede alla conservazioni dei luoghi santi buddisti in India settentrionale e Nepal, luoghi che accomunano tutte le correnti buddiste perché legati alle vicende del Buddha storico, ha dichiarato: “l’evento vuole essere un impegno per fare incontrare le diverse sette e correnti del buddhismo affinché possano individuare posizioni comuni e portare la nostra religione in un dibattito globale”. Al momento non esiste per il buddismo una voce che raccolga il pensiero delle varie correnti riguardo l’attualità e questo incontro segnerà una svolta nel dialogo dei buddisti con altre realtà. (D.P.)

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    Presentata la Settimana sociale di Torino sul tema della famiglia

    ◊   Le Settimane sociali “intendono essere un’iniziativa culturale ed ecclesiale di alto profilo, capace di affrontare e se possibile anticipare gli interrogativi e le sfide talvolta radicali poste dall’evoluzione della società”. Queste finalità “appaiono più che mai attuali dal tema scelto per la 47ª Settimana sociale dei cattolici italiani”, “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”. Lo scrive mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, in un editoriale dell'agenzia Sir in cui presenta l’evento che si terrà a Torino dal 12 al 15 settembre. Si tratta di “un tema centrale per la vita delle persone e per il bene comune del Paese”. Nella prospettiva della ricerca continua del bene comune, “la famiglia appare quanto mai importante, perché tocca i nodi antropologici essenziali per l’integrità e il futuro della persona umana; costituisce un pilastro fondamentale per costruire una società civile davvero libera, nella quale trovino spazio innanzitutto la libertà religiosa e quella educativa; è dunque condizione fondamentale per una società dove i diritti di tutti e di ciascuno siano realmente rispettati”. Il tema della famiglia, ricorda il presule, “chiama in causa anche diversi aspetti economici e sollecita ad affrontarli nella prospettiva del primato della persona”. “A Torino - ricorda mons. Crociata - si parlerà di famiglia nella prospettiva propria delle Settimane sociali, che oggi significa, ad esempio: ascoltare la fatica e la speranza che salgono dal vissuto di tante famiglie; riconoscere la famiglia come luogo naturale e insostituibile di generazione e di rigenerazione della persona, della società e del suo sviluppo non solo materiale e civile, ma anche morale e spirituale; essere concretamente vicini ed essere percepiti come vicini dalle famiglie - genitori e figli - che soffrono per i motivi più diversi; valorizzare l’indicazione presente nella nostra Costituzione che definisce la famiglia come istituzione fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna; riconoscere e tutelare sempre e in primo luogo i diritti dei figli; mettere in evidenza il legame che unisce il 'favor familiae’ con il bene comune e lo sviluppo del Paese”. L’intento della Settimana sociale, conclude, “è di favorire un approccio critico e al tempo stesso propositivo a un tema così vasto e impegnativo; di suscitare un dibattito e offrire chiavi di lettura in modo che tutti, credenti e non credenti, stimolati da queste sollecitazioni, si impegnino in un discernimento veramente corale a difesa e per la promozione della famiglia, determinati a far scaturire 'cose nuove’, frutto di positivo cambiamento e spinta per politiche organiche e coerenti”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 252

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