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Sommario del 03/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: Gesù non ha bisogno di eserciti per vincere il male, la sua forza è l’umiltà
  • Tweet del Papa: scoppi la pace nella nostra società dilaniata da conflitti e divisioni
  • Siria. Segreteria di Stato invita gli ambasciatori in Vaticano a un briefing sulla Veglia per la pace
  • La Chiesa in Italia si mobilita per rispondere all'appello del Papa per la Siria
  • 20.mo del Catechismo: il giudizio finale sarà sull'amore
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Mosca rileva missili nel Mediterraneo, non è un attacco. P. Samir: c'è solo il dialogo
  • Continua l'esodo dei siriani in Kurdistan. Il governo regionale: aiutateci ad aiutarli
  • Egitto: attese manifestazioni pro-Morsi, raid sul Sinai
  • Riprendono i negoziati tra Nord e Sud Sudan, in primo piano la gestione del petrolio
  • Mese dei Martiri in Corea. P. Lazzarotto: la Chiesa in Asia chiamata al dialogo e alla testimonianza
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Giordania: al via il Summit sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente
  • Siria: il metropolita siro-ortodosso invita al digiuno e alla preghiera per la pace
  • Terra Santa: i vescovi chiedono di pregare e digiunare in ogni parrocchia per la pace in Siria
  • Filippine: cattolici e musulmani accolgono l'invito del Papa per la pace in Siria
  • Siria: anche Parigi in preghiera con il Papa. Appello del card. Vingt-Trois
  • Consiglio d'Europa: per la Chiesa la libertà religiosa è pilastro della democrazia
  • India: tre casi di persecuzione dei cristiani nello Stato di Karnataka
  • Myanmar: nel Kachin Chiesa e Caritas in aiuto dei profughi, vittime di nuovi scontri etnici
  • Congo: a Goma continua l'offensiva dell'esercito contro i ribelli dell'M23
  • Centrafrica: ribelli Seleka evacuati da Bangui ma nel resto del Paese è caos
  • Tanzania: chiesta la fine dello sfruttamento dei minori nelle miniere d'oro
  • Germania. Mons. Zollitsch: le elezioni un esercizio di responsabilità
  • Canada: Plenaria dei vescovi su governance della Chiesa, pace e libertà religiosa
  • L’Associazione “Bambini Cardiopatici nel Mondo” impegnata in nuove missioni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: Gesù non ha bisogno di eserciti per vincere il male, la sua forza è l’umiltà

    ◊   “Sempre dove è Gesù c’è umiltà, mitezza e amore”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo l’accento sulla distinzione tra la “luce tranquilla” di Gesù che parla al nostro cuore e la luce del mondo, una “luce artificiale” che ci rende superbi e orgogliosi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    L’identità cristiana è “un’identità della luce non delle tenebre”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalle parole di San Paolo rivolte ai primi discepoli di Gesù: “Voi fratelli non siete nelle tenebre, siete tutti figli della Luce”. Questa Luce, ha osservato il Papa, “non è stata ben voluta dal mondo”. Ma Gesù, ha detto, è venuto proprio per salvarci dal peccato, “la sua Luce ci salva dalle tenebre”. D’altro canto, ha soggiunto, oggi “si può pensare che ci sia la possibilità” di avere la luce “con tante cose scientifiche e tante cose dell’umanità”:

    “Si può conoscere tutto, si può avere scienza di tutto e questa luce sulle cose. Ma la luce di Gesù è un’altra cosa. Non è una luce dell’ignoranza, no! E’ una luce di sapienza e di saggezza, ma è un’altra cosa che la luce del mondo. La luce che ci offre il mondo è una luce artificiale, forse forte - più forte è quella di Gesù, eh! - forte come un fuoco d’artificio, come un flash della fotografia. Invece, la luce di Gesù è una luce mite, è una luce tranquilla, è una luce di pace, è come la luce nella notte di Natale: senza pretese”.

    E’, ha detto ancora il Papa, una luce che “si offre e dà pace”. La luce di Gesù, ha proseguito, “non fa spettacolo, è una luce che viene nel cuore”. Tuttavia, ha avvertito, “è vero che il diavolo tante volte viene travestito da angelo di luce: a lui piace imitare Gesù e si fa buono, ci parla tranquillamente, come ha parlato a Gesù dopo il digiuno nel deserto”. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore “la saggezza del discernimento per conoscere quando è Gesù che ci dà la luce e quando è proprio il demonio, travestito da angelo di luce”:

    “Quanti credono di vivere nella luce e sono nelle tenebre, ma non se ne accorgono. Come è la luce che ci offre Gesù? La luce di Gesù possiamo conoscerla, perché è una luce umile, non è una luce che si impone: è umile. E’ una luce mite, con la fortezza della mitezza. E’ una luce che parla al cuore ed è anche una luce che ti offre la Croce. Se noi nella nostra luce interiore siamo uomini miti, sentiamo la voce di Gesù nel cuore e guardiamo senza paura la Croce: quella è luce di Gesù”.

    Ma se, invece, viene una luce che ti “rende orgoglioso”, ha ammonito, una luce che “ti porta a guardare gli altri dall’alto”, a disprezzare gli altri, “alla superbia, quella non è luce di Gesù: è luce del diavolo, travestito da Gesù, da angelo di luce”. Il Papa ha così indicato il modo per distinguere la vera luce da quella falsa: “Sempre dove è Gesù c’è umiltà, mitezza, amore e Croce”. Mai, ha soggiunto, “troveremo un Gesù che non sia umile, mite, senza amore e senza Croce”. Dobbiamo allora andare dietro di Lui, “senza paura”, seguire la sua luce perché la luce di Gesù “è bella e fa tanto bene”. Nel Vangelo odierno, ha concluso, Gesù scaccia il demonio e la gente è presa da timore di fronte ad una parola che scaccia gli spiriti impuri:

    “Gesù non ha bisogno di un esercito per scacciare via i demoni, non ha bisogno della superbia, non ha bisogno della forza, dell’orgoglio. ‘Che parola è mai questa che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?’ Questa è una parola umile, mite, con tanto amore; è una parola che ci accompagna nei momenti di Croce. Chiediamo al Signore che ci dia oggi la grazia della sua Luce e ci insegni a distinguere quando la luce è di Lui e quando è una luce artificiale, fatta dal nemico, per ingannarci”.

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    Tweet del Papa: scoppi la pace nella nostra società dilaniata da conflitti e divisioni

    ◊   Papa Francesco continua anche oggi con nuovi tweet che inneggiano alla pace e all'amore di Dio. Poco fa, dall'account @Pontifex del Papa è stato lanciato questo messaggio: "Vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace". In precedenza, il primo tweet della mattina era stato il seguente: "Gesù, venendo in mezzo a noi trasforma la nostra vita. In Lui vediamo che Dio è amore, è fedeltà, è vita che si dona".

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    Siria. Segreteria di Stato invita gli ambasciatori in Vaticano a un briefing sulla Veglia per la pace

    ◊   La Segreteria di Stato ha deciso di invitare gli ambasciatori accreditati in Vaticano a un briefing per spiegare il senso della Veglia di preghiera voluta dal Papa per sabato prossimo, in favore della Siria. È questa una delle ultime iniziative ufficializzata oggi dalla Sala Stampa Vaticana in un periodo di grande fermento indotto dalla crisi siriana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Testimoniare in cosa consista la forza disarmata della preghiera, quella che non pensa di spegnere l’odio con i missili. È per questo ch,e dalle 19 alle 23 di sabato 7, la Chiesa del mondo, a Roma e altrove, si inginocchierà con Papa Francesco per implorare da Dio che l’uomo non scavi in Siria un abisso di morte ancora peggiore. Per informare su questa iniziativa, la Segreteria di Stato – ha annunciato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana – ha invitato dopodomani mattina a un briefing tutti i diplomatici stranieri presso la Santa Sede e parallelamente ha informato anche le Conferenze episcopali, compresi i dicasteri competenti con le altre Chiese cristiane e le altre religioni. Il cardinale Joao Braz de Aviz – prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata – ha preso carta e penna per scrivere ai religiosi di tutto il mondo esortandoli a prendere parte alla Giornata della pace e a fere di tutto perché sia un “momento forte e comunitario”. “L’umanità – scrive – ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace”. “Sentiamo l’urgenza di pregare insieme il Signore della pace perché in Siria” e nel mondo “prevalga la cultura dell’incontro” e del dialogo.

    E mentre i sì all’invito del Papa sono in queste ore come onde di una marea montante, va definendosi anche il programma della Veglia di sabato, imperniata in particolare sulla recita del Rosario, l’adorazione eucaristica e la riflessione che vorrà offrire al mondo Papa Francesco. Il quale oggi, con un nuovo, significativo tweet, ha rilanciato: vogliamo che nel mondo diviso tra troppe ostilità e conflitti scoppi la pace.

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    La Chiesa in Italia si mobilita per rispondere all'appello del Papa per la Siria

    ◊   L’appello di Papa Francesco per una giornata di preghiera, sabato prossimo, per chiedere a Dio il dono della pace in Siria ha raccolto immediatamente un gran numero di adesioni, mentre anche persone non credenti hanno fatto sapere di voler partecipare all’iniziativa almeno per quanto riguarda il digiuno. In tutto il mondo le diocesi si stanno mobilitando con l’organizzazione nelle città e nelle parrocchie di veglie o altri momenti di riflessione. Ma a quali modalità si sta orientando la Chiesa italiana? Adriana Masotti lo ha chiesto a mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana:

    R. - Abbiamo avuto fin da ieri delle richieste di indicazione. E noi abbiamo provveduto - già ieri - a mandare una lettera a tutti i vescovi per ricordare l’appello che di fatto ha raggiunto tutti. Abbiamo dato anche dei suggerimenti, ma ognuno ha evidentemente l’esperienza e la fantasia per realizzare momenti di raduno. L’invito evidentemente per chi sta a Roma è quello di unirsi al momento che si svolgerà in Piazza San Pietro, però questo è un invito a tutta la Chiesa, anche ai non cristiani, a trovare modo di fermarsi nella giornata di sabato per dedicare tempo alla preghiera e per dedicarsi anche ad una forma di penitenza come il digiuno. L’invito del Papa ci dice che se non cambiano i cuori, difficilmente la guerra sarà superata e la pace potrà essere perseguita. Cambiare i cuori propri attraverso la preghiera e il digiuno e implorare il cambiamento dei cuori di coloro che più resistono e più si trovano coinvolti in questa tragedia. Il Papa non ha guardato soltanto alla Siria ma, a partire dalla tragedia che si sta consumando in Siria, ha invitato ad allargare lo sguardo all’orizzonte più vasto dei luoghi in cui ci sono guerre e di coloro che potrebbero intraprendere o continuare queste attività di guerra.

    D. - Quali potranno essere le modalità di questo momento in adesione e in unità a quello in Piazza San Pietro?

    R. - A parte la preghiera personale, le modalità possono essere la possibilità della celebrazione eucaristica per la pace nel corso della giornata, oppure una veglia di preghiera, o una celebrazione più solenne dei Primi Vespri o anche un’Adorazione eucaristica prolungata o ancora una liturgia penitenziale secondo l’opportunità, il tipo di comunità, la sede in cui si svolge la preghiera.

    D. - Potrà essere anche un test, forse, questo momento, questa mobilitazione sulla comunicazione che esiste nelle parrocchie, nelle diocesi, perché l’appuntamento è stato dato a pochi giorni di distanza e non c’è neanche la domenica di mezzo, in cui invitare i fedeli…

    R. - E’ vero. Però oggi abbiamo veramente la disponibilità di mezzi di comunicazione così efficaci da poter raggiungere tutti. Senz’altro sarà una prova, ma direi che è una prova che conosce già esperienze positive. Siamo fiduciosi perché la gente - e di questo i segnali li abbiamo - avverte la forza dell’invito del Papa, avverte la gravità della causa in gioco e quindi ha cominciato a rispondere e - secondo me - risponderà numerosa e soprattutto attenta e sensibile all’appello del Papa, all’invito della Chiesa per la preghiera e il digiuno, per la ricerca di una pace in quei luoghi in cui si combatte e poi una pace più grande presso tutti i popoli.

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    20.mo del Catechismo: il giudizio finale sarà sull'amore

    ◊   Il ritorno di Cristo, il giudizio finale, la vita eterna o la condanna. Sono i cardini della fede che si stagliano sull'orizzonte conclusivo della vita di un cristiano. E sono dunque gli ultimi punti attorno ai quali si sviluppa la parte finale del Catechismo della Chiesa Cattolica. Su di essi si sofferma il gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, nella 41.ma puntata del suo ciclo di riflessioni dedicate al testo:

    L’ultima frase del Simbolo della fede dice: Credo la vita eterna. Per il cristiano la morte non è la fine definitiva dell’esistenza della persona umana, ma piuttosto il passaggio alla vita eterna. Il Catechismo ci indica le modalità di questo passaggio.

    Dopo la morte ogni uomo viene sottoposto al giudizio. “Saremo giudicati sull’amore” – dice san Giovanni della Croce. Al giudizio l’uomo “o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre” (CCC, 1022).

    Non siamo capaci di immaginarci il cielo, ma crediamo alle parole della Scrittura: “Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17). Il cielo è una realtà dinamica, perché Dio è sempre più grande e perciò avremo sempre qualcosa da scoprire.

    Il purgatorio è una verità di fede molto rassicurante. Se non ci sentiamo pronti a entrare nel cielo, possiamo sperare che Dio stesso ci purifichi e prepari a gustare pienamente le sue meraviglie. Non è che Dio ci possa far entrare nel cielo, ma non lo faccia, perché prima vuole vendicarsi dei nostri peccati. No! Le cosiddette pene del purgatorio ci rendono capaci di godere davvero il cielo. L’inferno invece “consiste nella separazione eterna da Dio” (CCC, 1035). Dio però fa tutto per salvare ciascun uomo. La condanna è dunque un'auto-condanna, cioè la situazione in cui l’uomo dice definitivamente “no” a Dio e rigetta la sua misericordia.

    Alla fine dei tempi ci sarà il giudizio finale. Esso costituirà il compimento del trionfo di Cristo: “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4). Non sappiamo quando avverrà tutto questo, ma sappiamo che fra qualche decennio, forse fra qualche anno noi moriremo e ci troveremo sulla soglia dell’eternità.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, in apertura, "In cerca di pace per le stremate popolazioni siriane", un articolo sui rifugiati all’estero, che hanno ormai superato i due milioni secondo le stime delle Nazioni Unite.

    A fondo pagina, "Gelo a Fukushima"; una barriera ghiacciata di un chilometro e mezzo verrà costruita per contenere la fuoriuscita di acqua radioattiva.

    Le pagine della cultura sono dedicate al libro del domenicano Gustavo Gutiérrez e dell'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, "Dalla parte dei poveri".

    Di Siria si torna a parlare a pagina 8, in un'intervista al cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, non a caso intitolata "Prima che sia troppo tardi".

    L’umiltà, la mitezza, l’amore, l’esperienza della croce sono i mezzi attraverso i quali il Signore sconfigge il male, ha ribadito Papa Francesco durante la Messa celebrata martedì 3 settembre nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

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    Oggi in Primo Piano



    Mosca rileva missili nel Mediterraneo, non è un attacco. P. Samir: c'è solo il dialogo

    ◊   Nella crisi siriana, mentre dalla notte si registrano bombardamenti a Damasco, si è parlato in mattinata di missili nel Mediterraneo orientale intercettati da Mosca. Solo dopo qualche ora, Israele ha annunciato di avere effettuato un test missilistico congiunto con gli Usa. Da parte sua, la Marina militare statunitense ha negato qualunque lancio di missili. Intanto, intensi bombardamenti di artiglieria e di aviazione dell’esercito di Assad hanno colpito dalla notte all'alba sobborghi di Damasco controllati dai ribelli, in alcune zone colpite il 21 agosto scorso dal presunto attacco chimico. In primo piano sui media resta l’appello alla pace e al dialogo lanciato domenica da Papa Francesco. Fabio Colagrande ne ha parlato con padre Samir Khalil Samir, docente di Storia della Cultura araba e islamologia all'Università Saint Joseph di Beirut:

    R. – La lotta in Siria ormai non è la lotta della democrazia contro l’autocrazia: era così all’inizio, contro la dittatura per ottenere democrazia e libertà. Oggigiorno, è diventata una lotta del campo sunnita – rappresentato dai Paesi arabi della penisola arabica, con l’aiuto di altri Paesi e l’aiuto, se possiamo considerarlo tale, di tutti quei movimenti fondamentalisti terroristi – contro il regime. Regime all'incirca sciita, perché gli alawiti sono solo una parte. Riemergono così circa 14 secoli di odio. Il problema non è religioso, per niente.

    D. – Quanto è importante questo appello di pace del Papa e quali risultati potrà avere?

    R. – In realtà, il Papa riassume ciò che ogni persona ragionevole pensa: la guerra porta guerra, la violenza suscita violenza e non finirà mai. Meglio il dialogo anche se faticoso, anche se ognuno deve fare dei passi verso l’altro e deve rinunciare a una parte di ciò che vede come giusto. Meglio questo che una guerra: già ci sono più di 100 mila morti, non si può ancora pianificare più guerra nella speranza che porti pace. È impossibile, perché in Siria adesso le due parti si trovano a un punto tale di odio reciproco che ognuno teme di poter cedere e così di sparire, essere ucciso assieme alla comunità e i suoi seguaci. Non c’è altra soluzione che la preghiera ed il digiuno, come dice il Vangelo e come ha detto il Santo Padre, nella dimensione dell’umanità che ha un po’ di spiritualità. E dall’altra parte c’è il dialogo: è stato pianificato per la settimana prossima un dibattito con delle possibili concessioni mutue.

    D. – E’ davvero perseguibile la via del negoziato? Alcuni dicono che il negoziato ormai non ha più sbocchi…

    R. – Il negoziato è l’unica via. Che sia difficile è cosa certa. L’altra via sarebbe sterminare tutti gli oppositori. L’unica via quindi è il negoziato, ovvero la presenza di un “arbitro”: la comunità internazionale – rappresentata dall’Onu e da alcuni Paesi non tutti dello stesso “campo” – che propone cose ragionevoli, soluzioni che non vanno totalmente da una parte o dall’altra. Ogni parte sceglie i suoi rappresentanti più “ragionevoli”, più aperti all’altro e una commissione internazionale fa da guida. Io non conosco altra soluzione.

    D. – Come sono coinvolti oggi i cristiani della Siria in questa crisi e quale può essere il loro contributo alla pace?

    R. – Prima di tutto, cominciare a fare in Siria questo atto spirituale del digiuno e della preghiera. Più ci saranno adesioni, più sarà un’atmosfera verso la pace. La Siria ha una tradizione di rispetto perché lì c’era un regime sia baasista che laico. Penso che i cristiani siano visti da tutti quanti come i più “pacificanti”.

    Intanto, i morti nel conflitto in Siria sono ormai oltre 100 mila e i rifugiati due milioni. Di questi ben un milione e 800 mila sono fuggiti solo negli ultimi 12 mesi, facendo registrare una drammatica impennata. Donne, bambini e uomini che attraversano i confini in uscita dalla Siria spesso portando con sé poco più dei vestiti che indossano. Alcuni arrivano fino in Sicilia, come conferma, nell’intervista di Fabio Colagrande, Viviana Valastro, coordinatrice dei programmi di Save The Children:

    R. – Sì, abbiamo avuto l’intensificarsi degli arrivi, in particolare sulla provincia di Siracusa. A volte Siracusa città – quindi con arrivo direttamente al porto attraverso la scorta del natante da parte della Guardia Costiera e della Finanza – altre volte, invece, arrivi proprio spontanei dell’imbarcazione sulla costa.

    D. – Che tipo di accoglienza Save the children cerca di assicurare in questi vari punti di sbarco?

    R. – In particolare, noi cerchiamo di garantire che i minori siano, sin dall’inizio, assistiti in modo adeguato e ci preoccupiamo, per esempio, del fatto che sia garantito il nucleo familiare. C’è il rischio infatti che – soprattutto quando i migranti sono tanti – durante la fase dell’identificazione il nucleo familiare venga diviso. Una caratteristica proprio di questi arrivi di siriani, che ha impressionato anche molto me personalmente che ero in questi giorni a Siracusa, è l’arrivo di nuclei familiari composti a volte dai nonni fino ai nipotini.

    D. – Arrivano dalla Siria direttamente o da Paesi vicini, confinanti?

    R. – Ci sono sia persone che sono partite direttamente dalla Siria, sia persone che sono riuscite ad arrivare in Egitto, al Cairo in particolare, e poi dal Cairo si sono spostate sulla costa egiziana. Quella che è un’impressione, sulla base appunto di quello che i migranti raccontano, è che possono esserci dei passaggi su varie imbarcazioni: non necessariamente quella che è arrivata è la stessa imbarcazione partita all’inizio, e quindi anche con gli stessi migranti partiti da un unico posto, ma pare che ci siano più passaggi nel corso della navigazione.

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    Continua l'esodo dei siriani in Kurdistan. Il governo regionale: aiutateci ad aiutarli

    ◊   Sono circa 200 mila, la metà dei quali bambini, i rifugiati siriani arrivati nel Kurdistan iracheno, dove nei giorni scorsi sono stati consegnati aiuti umanitari sia dall’Acnur che dall’Unicef. Ma queste persone hanno crescenti necessità, alle quali sta facendo fronte il governo regionale del Kurdistan, una terra che sta rivivendo l’orrore che la colpì nel 1988 quando un attacco chimico, ordinato da Saddam Hussein e condotto dall’esercito iracheno, colpì la città curda di Halabja, uccidendo circa cinquemila persone. Francesca Sabatinelli ha intervistato Rezan Kader, alto rappresentante in Italia del Governo Regionale del Kurdistan in Iraq:

    R. – La nostra frontiera è aperta, le nostre braccia sono aperte per qualsiasi persona che abbia bisogno di entrare nel nostro territorio come profugo. Attualmente, ospitiamo più di 200 mila profughi siriani, senza distinzione tra cristiani e musulmani, tra arabi e curdi: chiunque abbia bisogno. La frontiera nostra è aperta, solo che purtroppo sono tanti. Il Kurdistan dell’Iraq è soltanto un fazzolettino di terra. E’ vero però che abbiamo il cuore grande e la casa piccola, e stiamo cercando di accogliere tutti, ugualmente. Abbiamo messo gli accampamenti, il presidente Barzani ha chiesto a tutti gli uffici pubblici, a tutto il governo del Kurdistan di destinare una parte del bilancio per aiutare i profughi che hanno bisogno di tanta assistenza. La maggioranza sono bambini e anziani, i bambini hanno bisogno della scuola. Inoltre, stiamo andando verso l’autunno e l’inverno e da quelle parti l’inverno è veramente rigido. Non si può rimanere a lungo ancora sotto le tende, per questo tutti insieme dobbiamo cercare di aiutarli. Noi, veramente, chiediamo a tutti coloro che sono contro la violenza, di aiutare questa popolazione, questa gente.

    D. – L’Acnur, Alto Commissariato Onu per i rifugiati, così come l’Unicef hanno inviato aiuti, che però già si sono rivelati insufficienti, le esigenze sono state. Che aiuto vi aspettate? Cosa chiedete alla comunità internazionale tutta?

    R. – E’ vero che le Nazioni Unite hanno fornito le tende e i servizi di prima accoglienza, ma niente altro. Stiamo affrontando tutto noi, grazie al popolo del Kurdistan iracheno, della nostra popolazione: tutti si recano a portare aiuti umanitari a questa gente, cibo, vestiti, ogni cosa, ma in questo momento abbiamo bisogno soprattutto che queste tende diventino qualcosa di più stabile per questa gente, visto che – come ho detto – andiamo incontro al rigore dell’inverno. Poi, cerchiamo di avere aiuto da tutta la comunità mondiale, specialmente aiuto sanitario. Ce n’è bisogno, ci sono tanti sfollati, tanti di loro sono feriti e hanno bisogno di qualsiasi tipo di aiuto da parte vostra. In particolare per i bambini, abbiamo bisogno dell’aiuto umanitario e sanitario.

    D. – Alla fine di agosto si è svolta ad Halabja una manifestazione contro l’uso delle armi chimiche in Siria. Halabja è una ferita ancora aperta. Qual è il sentire del popolo curdo nel guardare oltre confine ciò che sta accadendo, al di là di quelli che possano essere i colpevoli?

    R. – La stessa ferita sta ancora sanguinando e di nuovo l’abbiamo vista sulla pelle degli altri popoli, del popolo siriano, che siano curdi, cristiani, musulmani, chiunque essi siano. Purtroppo, quello che ci fa veramente male è che noi pensavamo che con Halabja il capitolo delle armi chimiche fosse chiuso, per tutto il mondo, e che avrebbe dovuto lasciare al mondo intero la consapevolezza del genocidio del popolo curdo attraverso le armi chimiche. Invece, vediamo che si ripete anche altrove. Noi non vogliamo ancora esprimerci finché non si saranno espresse le Nazioni Unite tramite i loro esperti su questa faccenda, ma quello che per noi è evidente e quello che osserviamo noi, la nostra popolazione, il nostro popolo è che di nuovo, tutti abbiamo paura. L’appello del nostro presidente Barzani per il popolo curdo del Kurdistan siriano è di pochi giorni fa: chiedeva al popolo curdo della Siria di non lasciare il suo territorio e di salvaguardare se stesso e il territorio del Kurdistan. La casa nostra è sempre aperta, ma preferiamo che il nostro popolo non lasci la sua terra.

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    Egitto: attese manifestazioni pro-Morsi, raid sul Sinai

    ◊   In Egitto sono attese manifestazioni, oggi, in sostegno all’ex presidente Morsi, destituito il 3 luglio scorso e detenuto in un luogo segreto. L’ex leader secondo fonti di stampa non risponde alle accuse per aver ordinato l'uccisione degli oppositori: “Sono il presidente” questo "interrogatorio è illegale'', avrebbe detto. E mentre un dipartimento del Consiglio di Stato egiziano, in un parere non vincolante, apre allo scioglimento dei Fratelli Musulmani, alcuni elicotteri da combattimento hanno attaccato, stamattina, alcuni militanti nella Penisola del Sinai. Della situazione in Egitto, Massimiliano Menichetti ha parlato con Massimo Campanini, professore di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento e autore del libro edito da Il Mulino, “Le rivolte arabe e l’islam”:

    R. - Il problema è che i militari, che stanno controllando la situazione, vogliono eliminare quella che potenzialmente è un’opposizione islamista che potrebbe riorganizzarsi: quindi tutti i mezzi sono leciti per far sì che le correnti islamiste non abbiano più voce in Egitto. Questo non significa tanto lasciare spazio alle organizzazioni laiche di sinistra secolari o liberali, quanto - secondo me - lasciare spazio a una nuova presa militare su un potere, che fa arretrare l’Egitto di parecchi decenni.

    D. - Intanto, una commissione del Consiglio di Stato egiziano ha espresso un parere favorevole allo scioglimento dei Fratelli Musulmani. Un po’ si torna indietro nel tempo, al 1954, quando fu Nasser a scioglierli…

    R. - Lo scioglimento dei Fratelli Musulmani è sempre stato foriero di radicalizzazione. Una prima volta i Fratelli Musulmani sono stati sciolti alla fine del 1948, quando era primo ministro Mahmūd Fahmī al-Nuqrāshī Pascià, in epoca ancora monarchica: è stato poi assassinato e questo ha portato, a sua volta, all’assassinio di al-Hasan al-Banna, che era l’allora guida suprema dei Fratelli Musulmani; poi le "purghe nasseriane" contro i Fratelli Musulmani nel ’54, ma anche nel ’66, hanno provocato la radicalizzazione jihadista. Il problema è che i Fratelli Musulmani hanno scelto negli ultimi decenni una linea politica di legittimazione che cercava di inserirli all’interno di un quadro democratico. Imporre a questa organizzazione uno scioglimento di forza, potrebbe essere estremamente pericoloso: anche perché se è vero che parte consistente dell’opinione pubblica egiziana si era espressa contro i Fratelli Musulmani, è anche vero che i Fratelli Musulmani godono ancora di una parte dell’appoggio popolare.

    D. - Professore, cosa può determinare una scelta in un senso o in un altro?

    R. - Ci dovrebbero essere due scelte democratiche preliminari da fare: la prima, il ritorno dei militari nelle caserme e l’avvio di un governo autenticamente civile, che sia svincolato dai militari; e - la seconda - la celebrazione di nuove elezioni, che consentano al popolo egiziano di esprimersi definitivamente su quelli che sono gli equilibri politici.

    D. - In piena crisi siriana, l’esecutivo egiziano ribadisce che la decisione di interrompere i rapporti diplomatici con Damasco è stata frettolosa e sostanzialmente inutile: anche questa è una deriva pericolosa?

    R. - Il regime militare - non tanto il regime laico e civile, quanto l’esercito, che è ritornato al potere in Egitto - potrebbe vedere nella caduta di Bashar al Assad un pericoloso precedente di contestazione ai regimi militari autocratici. Non credo che il mantenimento al potere di Bashar al Assad costituisca un elemento di destabilizzazione del Medio Oriente maggiore della sua caduta. Quindi, da questo punto di vista, non sono tanto le conseguenze e le ricadute pericolose, quanto una scelta tattica del regime egiziano attualmente al potere, che va nella direzione di mantenere uno status quo nei rapporti e negli equilibri geopolitici della regione.

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    Riprendono i negoziati tra Nord e Sud Sudan, in primo piano la gestione del petrolio

    ◊   Sono ripresi i colloqui tra Nord e Sud Sudan riguardo ai proventi del petrolio. Il presidente Salva Kiir ha visitato il suo omologo di Khartoum per una soluzione diplomatica, mentre i trattati di pace firmati dai due governi non hanno ancora fermato le violenze dei ribelli. Per un commento sulla situazione Davide Pagnanelli ha intervistato Anna Maria Bono, docente di storia dei Paesi e delle istituzioni africane presso l’Università di Torino.

    R. - I due fattori di crisi principali sono da un lato i proventi del petrolio: con l’indipendenza del Sud Sudan gran parte - tre quarti almeno del petrolio estratto dal Sudan, prima unito - sono diventati Sud sudanesi; l’altro fattore di crisi è l’aiuto di cui i due Paesi si accusano reciprocamente ai gruppi di ex militari e di combattenti che nei due Paesi insidiano i governi. Su questo ci sono stati e continuano ad esserci tentativi di accordo mediati dalla comunità internazionale che purtroppo, puntualmente sono stati in questi due anni violati e traditi.

    D. – Proprio riguardo la collaborazione per il petrolio, quanto siamo lontani da una soluzione?

    R. – L’ideale sarebbe che i due governi si accordassero per una spartizione di questi proventi che soddisfacessero entrambi i Paesi. Una soluzione non sembra verosimile: il Sud Sudan sta cercando di trovare un’alternativa attraverso la costruzione di un oleodotto che porti il petrolio non più verso Nord, ma presumibilmente potenziando un porto esistente già in Kenya.

    D. – La costruzione dell’oleodotto non aggraverebbe la crisi tra i due Paesi?

    R. – I problemi sono probabilmente anche l’eventualità dell’insorgere di conflitti che prima ancora pongono problemi logistici ed ambientali, perché per esempio la costruzione di un grande terminale sta allarmando gli ambientalisti e non a torto. Si tratterebbe di sconvolgere un’area delle più incontaminate ed anche in termini di attrattiva turistica più interessanti di tutto l’Est Africa.

    D. – Quali sono le differenze culturali che hanno portato alla necessità della creazione di uno Stato del Sud Sudan?

    R. – Il Nord del Sudan è popolato da etnie di religione prevalentemente islamica ed in parte di origine – anche se remota – araba. Nel Sud abitano popolazioni bantu prevalentemente di religione cristiana, oppure animisti. Questo ha scatenato scontri che man mano sono degenerati in una vera e propria guerra civile, quando l’attuale presidente Al-Bashir ha deciso di applicare più rigorosamente la legge coranica e di estenderla al Sud. Nel frattempo, si sono aggiunti altri fattori, prima di tutto la scoperta di questi immensi giacimenti di petrolio, situati nel centro-sud del Paese. Altro polo critico del Sudan - quand’era un unico Stato - è stato per anni e continua ad essere il Darfur. Purtroppo anche nel Darfur, in questi ultimi mesi, si è riacceso un conflitto che effettivamente si era ridotto ed attenuato. Questo è un altro dei fattori di crisi, motivi di preoccupazione del governo del Sudan, oltre al fatto che una serie di regioni sono in mano a movimenti anti governativi armati.

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    Mese dei Martiri in Corea. P. Lazzarotto: la Chiesa in Asia chiamata al dialogo e alla testimonianza

    ◊   Settembre è per la Corea del Sud il Mese dei martiri, lo ha proclamato l’arcidiocesi di Seoul, con grande soddisfazione espressa dal Papa che ha auspicato che i fedeli possano, in questa occasione, “ravvivare la fede e impegnarsi di più al compito urgente dell’evangelizzazione”. Il tema del mese Io sono la via, la verità e la vita, può essere uno stimolo per tutta la Chiesa asiatica, sottolinea al microfono di Gabriella Ceraso, padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime che ha dedicato la sua vita all'evangelizzazione in Cina:

    R. – Questo è il grande tema che la Chiesa intera deve proporre al mondo, e qui siamo nel continente asiatico che è il più popoloso ma anche il meno toccato dalla verità del Vangelo, finora, purtroppo. Questo è quindi un motivo di più per valorizzare quelle radici cristiane che ci sono nel terreno asiatico e che possono essere una testimonianza credibile. Il caso della Corea – la Corea del Sud – è una storia meravigliosa e l’incoraggiamento dato da Papa Francesco potrà servire anche alle altre Chiese dell’Asia.

    D. – Quali sono le prospettive che vede oggi, per la Chiesa in Asia – aperture, criticità …

    R. – Situazioni critiche sono per la difficoltà del dialogo, per esempio, con il grande mondo musulmano nella Malesia. In India, il fondamentalismo indù – per motivi politici – ha creato tanti veri martiri, e questo anche in Pakistan. Però, ci sono anche prospettive positive, io credo, specialmente in Cina.

    D. – E come giudica la nomina del nuovo segretario di Stato, mons. Parolin, che tanta parte della sua attività ha dedicato proprio ai rapporti con la Cina e con il Vietnam?

    R. – E’ un dono anche per il mondo non cristiano in Asia, perché negli anni in cui è stato responsabile dei rapporti con i Paesi esteri, ho sempre notato in lui una grande attenzione, un grande rispetto e bisogno di dialogare. Per questo, ho una grande fiducia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Giordania: al via il Summit sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente

    ◊   Avendo come sfondo la tragedia siriana, è iniziato ad Amman il summit internazionale convocato dalla Monarchia Hascemita sulle sfide affrontate dai cristiani arabi in Medio Oriente. L'incontro - che vede la partecipazione di più di 70 tra Patriarchi, vescovi, delegati patriarcali, sacerdoti, religiosi e laici in rappresentanza di tutte le Chiese e comunità ecclesiali radicate in Medio Oriente – intende delineare le prospettive future della presenza cristiana nell'area mediorientale, davanti alle tante emergenze e difficoltà - guerre, rapimenti, attentati, profanazioni - che spingono soprattutto i giovani cristiani a lasciare le proprie terre d'origine e a emigrare in Occidente. Re Abdallah II di Giordania - riporta l'agenzia Fides - aveva accennato al summit nel suo recente colloquio avuto in Vaticano con Papa Francesco, lo scorso 29 agosto. La singolarità dell'iniziativa consiste proprio nel fatto che a convocare un incontro sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente sia stata la Monarchia discendente dalla famiglia del Profeta Muhammad, che rivendica la propria funzione di dinastia protettrice dei Luoghi Santi dell'Islam. Il principale sponsor dell'incontro è il Principe Ghazi ben Muhammad, consigliere del Re per le questioni religiose e culturali. “Il Medio Oriente è la culla del cristianesimo “si legge nel testo di presentazione del convegno “ma i rivolgimenti recenti hanno posto le comunità cristiane della regione davanti a sfide gravi”. L'intento del summit è quello di studiare nel dettaglio i problemi e suggerire soluzioni che aiutino a uscire da questa fase di emergenza, così da “garantire. Se Dio vuole, la sicurezza e la prosperità in Medio Oriente del cristianesimo, riconosciuto come una parte indelebile e essenziale del ricco mosaico mediorientale”. I partecipanti all'incontro sono chiamati a confrontarsi per due giorni in diverse sessioni di studio dedicate ai recenti sviluppi della situazione in Egitto, Siria, Iraq, Giordania e Palestina. Al summit sono presenti, tra gli altri, il Patriarca greco-ortodosso di Damasco Yohanna X al-Yazigi e tre Patriarchi di Gerusalemme (quello latino Fouad Twal, quello greco-ortodosso Teophilos III e quello armeno ortodosso Nourhanne Maniougan). Prendono parte ai lavori anche il cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso, e il cardinale statunitense Theodore Edgar McCarrick. (R.P.)

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    Siria: il metropolita siro-ortodosso invita al digiuno e alla preghiera per la pace

    ◊   Un accorato invito al digiuno e alla preghiera per la pace, in comunione e in concomitanza con la veglia di preghiera annunciata da Papa Francesco per il 7 settembre, è stato inviato alla comunità cristiana siro-ortodossa da Eustathius Matta Roham, arcivescovo metropolita siro-ortodosso di “Jazirah e Eufrate”, nella parte orientale della Siria. Interpellato dall’agenzia Fides, il metropolita, che attualmente si trova a Vienna, afferma che lui stesso e tutta la sua comunità “aderiscono con convinzione all’appello del Papa”. Per scongiurare mali come la guerra e la violenza, l’arcivescovo ricorda il passo del Vangelo di Matteo (Mt 17,21): “Questo genere di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno”. Per questo, afferma l’arcivescovo a Fides, “accogliamo l’invito del Santo Padre: la nostra preghiera comune è oltremodo necessaria perché la pace possa trionfare. Il digiuno è necessario per convertire il cuore e implorare l’intervento e la grazia di Cristo. Digiunare e pregare insieme, oggi: questa è la nostra missione. Sono confortato perché vedo che molte persone nel mondo comprendono la situazione e l’urgenza della pace”. Il metropolita Matta Roham riferisce a Fides di aver chiesto “a tutta la comunità cristiana siro ortodossa in Siria ma anche alle comunità in diaspora, in tutto il mondo, di unirsi alla preghiera e al digiuno comunitario, nel nome di Cristo, per implorare il dono della pace”. Secondo quanto riferito a Fides dall’arcivescovo, che nelle prossime settimane si recherà in Libano e in Turchia per motivi pastorali, comunità ortodosse e protestanti di diverse confessioni, in Libano e in altre nazioni del Medio Oriente, si stanno mobilitando per pregare e digiunare insieme sabato 7 settembre. (R.P.)

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    Terra Santa: i vescovi chiedono di pregare e digiunare in ogni parrocchia per la pace in Siria

    ◊   L'Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa ha espresso fattiva adesione alla giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria convocata per sabato 7 settembre da Papa Francesco. In un comunicato pervenuto all'agenzia Fides, l'organismo dei vescovi cattolici di Terra Santa ha espresso l'auspicio che “ogni Ordinario nella sua diocesi, eparchia o esarcato, ogni parroco nella sua parrocchia e con i suoi parrocchiani, ogni superiore/a di Istituto religioso, possano organizzare la giornata come più conviene”, nella speranza che “l’eco delle preghiere che salgono dalle nostre labbra possa coprire il rumore dei tamburi di guerra”. (R.P.)

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    Filippine: cattolici e musulmani accolgono l'invito del Papa per la pace in Siria

    ◊   La Chiesa cattolica nelle Filippine e le comunità musulmane del Sud si uniranno a Papa Francesco nella giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria, il 7 settembre prossimo: è quanto l’agenzia Fides apprende da fonti locali nella comunità cristiana. Una nota della Conferenza episcopale auspica “ la fine dello spargimento di sangue e della violenza nella travagliata nazione” e invita i vescovi e tutte le comunità locali “a rispondere all’appello di Papa Francesco”. Come appreso da Fides, a Manila, il card. Luis Antonio Tagle ha invitato tutti i parroci e rettori di santuari dell'arcidiocesi a celebrare la Messa del mattino di sabato 7 settembre con la speciale intenzione per il popolo della Siria, incoraggiando i fedeli a un’ora di Adorazione eucaristica dopo la Messa. In tutte le diocesi si stanno organizzando incontri di preghiera e digiuno per la pace. L’accorato appello lanciato da Papa Francesco ha fatto breccia nelle comunità musulmane che vivono nel Sud delle Filippine. Padre Sebastiano D’Ambra, missionario Pime e fondatore del movimento per il dialogo islamo-cristiano “Silsilah”, nella città di Zamboanga, sull’isola di Mindanao, riferisce a Fides che “nei prossimi giorni il testo dell’Angelus di Papa Francesco del 1° settembre verrà letto e meditato in consessi e incontri interreligiosi”. Padre D’Ambra si farà promotore e diffonderà le parole del Papa nei mass-media locali, invitando anche le comunità islamiche ad aderire alla Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria. In un incontro fra cristiani e musulmani, organizzato dal movimento “Silsilah” per sabato 7 settembre, si pregherà e digiunerà insieme con l’intenzione implorare da Dio la pace in Siria, in comunione con il Santo Padre. (R.P.)

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    Siria: anche Parigi in preghiera con il Papa. Appello del card. Vingt-Trois

    ◊   Anche la diocesi di Parigi si unirà alla giornata di preghiera e digiuno indetta per sabato 7 settembre da Papa Francesco. L’appuntamento per i parigini - riferisce l'agenzia Sir - è alla basilica Sacré-Cur de Montmartre per una veglia di preghiera per la pace dalle 19 alle 22. A rilanciare in Francia l’appello del Papa è l’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois: “La situazione drammatica della Siria - scrive l’arcivescovo -, i combattimenti sanguinosi che distruggono la sua popolazione, la situazione preoccupante delle comunità cristiane non cessano di aggravarsi. Papa Francesco ha lanciato domenica un nuovo appello alla pace durante l’Angelus invitando i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà a una giornata di digiuno e di penitenza per la pace. Per rispondere a questo invito del Santo Padre, chiedo alla comunità cristiana di pregare e a coloro che possono di digiunare. Rimaniamo uniti nella preghiera per la pace in Siria e dappertutto nel mondo”. (R.P.)

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    Consiglio d'Europa: per la Chiesa la libertà religiosa è pilastro della democrazia

    ◊   “Per la Chiesa cattolica, la libertà religiosa è uno dei pilastri dello Stato democratico, la regola fondamentale di uno Stato di diritto. Radicata nella dignità di ogni uomo, ha quindi un valore universale. Inoltre, essa si presenta come 'la sintesi e il vertice’ di tutti gli altri diritti fondamentali della persona umana”. Lo ha detto padre Laurent Mazas, del Pontificio Consiglio della cultura nonché direttore esecutivo del Cortile dei Gentili, intervenendo ieri all’incontro promosso dal Consiglio d’Europa che si concluderà oggi a Yerevan, in Armenia, sul tema “Libertà di religione nel mondo di oggi: sfide e garanzie”. Promosso nell’ambito della presidenza armena del Comitato dei ministri, l’incontro è stato aperto ieri dal ministro armeno degli Esteri e presidente Cdm, Edward Nalbandian, insieme con sua Santità Karekin II, patriarca supremo e Catholicos di tutti gli armeni. Anche la Santa Sede partecipa ai lavori con una delegazione guidata appunto da padre Mazas alla quale partecipano anche mons. Aldo Giordano osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, e mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. “La promozione e la difesa della libertà religiosa - ha proseguito il rappresentante della Santa Sede - è una dimensione importante per l’agire dei cristiani nella società”. Per questo, “la Chiesa cattolica non cessa di promuovere il riconoscimento di questo diritto fondamentale dell’uomo”. Da qui l’impegno della Santa Sede “e in primo luogo il Papa” a richiamare “tutti gli Stati a riconoscere il diritto fondamentale dell’uomo alla libertà religiosa, a rispettate e, se necessario, a proteggere le minoranze religiose”. “Per la Chiesa - incalza padre Mazas - la difesa della libertà religiosa per tutti è un elemento sostanziale di una autentica democrazia, di una vera convivenza civile”. Ed aggiunge: “La Chiesa ritiene che le religioni non devono aspettarsi dallo Stato democratico nessun privilegio” ma “rivendica il diritto di avere una propria voce, per contribuire al bene comune, e opporsi quando ritiene sia necessario, perché lo Stato non può mai essere oggetto di venerazione né fonte di giustizia o di diritto”. Per questo è “legittimo” aspirare come credenti a contribuire a rendere “coerenti” le politiche degli Stati “alla dignità dell’uomo” e il Consiglio d’Europa è chiamato a “vegliare” e a promuovere perché questo dialogo tra Stato e Chiesa sia possibile. (R.P.)

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    India: tre casi di persecuzione dei cristiani nello Stato di Karnataka

    ◊   Tre episodi di violenza e persecuzione dei cristiani si sono verificati nello stato di Karnataka, tristemente noto per la presenza di gruppi radicali indù. Come riferisce all’agenzia Fides il forum ecumenico indiano “Global Council of Indian Christians”, il primo caso riguarda il Pastore cristiano protestante Paramajyothi, 28 anni, che segue comunità cristiane in 15 villaggi nel distretto di Chitradurga, in Karnataka. Nei giorni scorsi, mentre era nella sua chiesa e celebrava un liturgia con circa 60 fedeli, alcuni estremisti indù hanno fatto irruzione nell’assemblea, trascinandolo fuori dalla chiesa, denudandolo e percuotendolo con violenza, provocandoli ferite e fratture. Il Pastore ha presentato denuncia alla polizia, chiedendo protezione, dato che i radicali indù gli hanno intimato di lasciare il Paese nel giro di una settimana. Un altro episodio di violenza riguarda il 55enne Somashekar, che abita nel distretto di Bijapur, membro del gruppo etnico lambani. Somashekar, in passato indù, oggi cristiano con moglie e 7 figli, si è fatto evangelizzatore del suo villaggio dove vivono altre 30 famiglie della sua stessa etnia, non cristiane, inviandole a partecipare a una celebrazione cristiana. Nel scorse settimane, mentre era in visita da un vicino di casa, in compagnia di sua moglie, all’improvviso 50 radicali indù li hanno attaccati, portandoli fuori dall’abitazione con la forza, insultandoli e malmenandoli per costringerli a riconvertirsi all'induismo. Hanno anche detto loro che, se continuavano a essere cristiani, dovevano lasciare il villaggio. Gli estremisti, inoltre, hanno presentato alla polizia una denuncia, accusandoli di operare “conversioni forzate” al cristianesimo. Il terzo caso segnalato a Fides riguarda una donna del distretto di Chikmagalur, sempre in Karnataka. Si tratta di Doddamma, 42enne vedova con una figlia di 22 anni, un’umile donna che lavora a giornata. Anche lei in passato era di religione indù, si è convertita al cristianesimo tre anni fa, e con lei sua figlia. Oggi partecipa alle liturgie e alla preghiera, condivide il Vangelo, aiuta le persone in difficoltà. Dieci giorni fa un gruppo di radicali indù è entrato con la forza in casa sua, chiedendo chi le avesse dato il permesso di predicare la fede cristiana. Madre e figlia sono state trascinate al vicino tempio indù dai fanatici, che hanno ordinato loro di riconvertirsi all'induismo. Al rifiuto, sono state selvaggiamente picchiate e la loro casa è stata saccheggiata e distrutta. (R.P.)

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    Myanmar: nel Kachin Chiesa e Caritas in aiuto dei profughi, vittime di nuovi scontri etnici

    ◊   Il numero degli sfollati è "ancora alto" e i profughi godono di "scarsa assistenza"; persino le agenzie delle Nazioni Unite "non riescono a raggiungere le aree più critiche", a causa delle restrizioni imposte dalle autorità. È quanto racconta all'agenzia AsiaNews l'attivista cattolica Khon Ja Labang, già membro del movimento Kachin Peace Network, impegnata nella pacificazione delle aree teatro di conflitti etnici. La donna conferma la situazione di criticità nello Stato settentrionale Kachin, da due anni al centro di una guerra fra truppe birmane e milizie etniche locali e che colpisce in particolare la popolazione civile. Nello scorso fine settimana si sono registrati nuovi scontri fra i due fronti, mentre continua l'impegno della Chiesa e dei volontari delle associazioni cattoliche, che cercano di portare aiuti e conforto alle decine di migliaia di sfollati. L'attivista cattolica conferma il lavoro intenso svolto dal Karuna Myitkyina Social Service (sezione locale della Caritas), da Karuna Banmaw Social Service e Karuna Lashio Social Service, in collaborazione con altre organizzazioni cristiane fra cui la Kachin Baptist Convention. Sono decine di migliaia gli sfollati, molti dei quali ospitati nei Centri di accoglienza e che necessitano di cibo, acqua e generi di prima necessità. A distanza di oltre due anni dall'inizio della nuova fase del conflitto, la situazione resta ancora drammatica in molte zone. "I dipartimenti per lo sviluppo delle diocesi di Myitkyina, Banmaw e Lashio - aggiunge Khon Ja, da tempo attiva nel settore - operano a stretto contatto fra loro e in collaborazione con i responsabili dei campi, oltre che con le associazioni che forniscono assistenza umanitaria". Il lavoro della Chiesa, racconta l'attivista cattolica, è importante non solo nel fornire riparo e confronto, ma anche istruzione e scuola ai bambini "in coordinamento con il Karuna Myanmar Social Service". Perché in un'ottica di ritorno alla normalità, conclude, anche garantire un livello di scolarizzazione all'infanzia è importante. Divampato nel 2011, il nuovo conflitto fra l'esercito governativo e le milizie ribelli del Kachin Independence Army (Kia) - braccio armato della Kachin Independence Organization (Kio) - ha causato sinora decine di vittime civili e almeno 100mila sfollati, in larga maggioranza civili Kachin. I leader del movimento indipendentista e i rappresentanti del governo centrale di Naypyidaw - con la nuova amministrazione, semi-civile, guidata dal presidente Thein Sein - hanno dato vita a numerosi incontri di pace, senza mai raggiungere risultati tangibili e duraturi. Si attende ancora la firma di un cessate il fuoco definitivo. In questi giorni la battaglia ha raggiunto la divisione meridionale Kio e un settore dello Stato settentrionale Shan, poco distante dallo Shwe Gas Pipeline, un oleodotto dall'importanza strategica nel comparto dell'energia. Al dramma dei profughi e dei civili in fuga, si aggiunge la condizione disperata delle decine di prigionieri politici, catturati dai militari perché sospettati di affiliazione alle frange ribelli della minoranza etnica del Myanmar. Dai racconti dei familiari emergono storie di violenze, torture e abusi perpetrate nelle prigioni dello Stato Kachin da parte delle forze di sicurezza. Sono almeno 70 i detenuti, già condannati o in attesa di giudizio, per (presunti) legami con il Kio o affiliazione alla lotta armata. In realtà, si tratta di poveri contadini che nulla hanno a che fare con la politica, mentre altri non appartengono nemmeno alla minoranza Kachin; almeno 11 sono di etnia Shan, diversi altri sono Gurkha nepalesi o di origine sino-birmana. (R.P.)

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    Congo: a Goma continua l'offensiva dell'esercito contro i ribelli dell'M23

    ◊   “La popolazione cerca di condurre una vita normale ma con un orecchio attento a quello che succede perché si teme sempre una nuova fiammata di violenza” dicono all’agenzia Fides fonti della Chiesa da Goma, il capoluogo del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), dove l’esercito congolese e le truppe Onu stanno conducendo un’offensiva contro i guerriglieri dell’M23. Il governo di Kinshasa (che si base anche su rapporti di organismi dell’Onu) accusa il Rwanda di appoggiare l’M23 e di aver inviato truppe in suo sostengo. Le autorità congolesi affermano inoltre che sono stati proprio i militati rwandesi ad aver sparato alcuni colpi di artiglieria contro Goma nelle scorse settimane. Il Rwanda accusa a sua volte l’Rdc di aver colpito il suo territorio provocando la morte di almeno una persona. Kigali ha quindi schierato truppe al confine con il Congo, facendo accrescere la tensione. “La scorsa settimana diverse persone erano preoccupate di fronte alle notizie sul concentramento di truppe rwandesi al confine con il Congo, tanto è vero che alcuni non hanno lavorato per il timore di bombardamenti. Ma ora dopo l’ammonimento del Segretario Generale dell’Onu al Rwanda la popolazione si è un po’ rasserenata” dicono le nostre fonti. Mentre l’esercito congolese, spalleggiato dalle truppe dell’Onu si appresta a sferrare una nuova offensiva contro l’M23 nella zona di Kikumba (ad una trentina di km da Goma), la popolazione dei villaggi dell’area è intrappolata tra i due contendenti. “Abbiamo parlato con una persona di una parrocchia di un villaggio della zona, che ci ha detto che gli abitanti non riescono a partire da lì perché la strada è bloccata” dicono le fonti Fides. L’inviata speciale dell’Onu per la Regione dei Grandi Laghi, Mary Robinson, si è recata a Goma dove ha affermato che l’M23 deve cessare la violenza e deporre le armi, come chiesto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “I cittadini di Goma si sono rallegrati un poco per ciò che ha detto la signora Robinson, ma aspettano che dalle parole si passi ai fatti concreti” concludono le nostre fonti. (R.P.)

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    Centrafrica: ribelli Seleka evacuati da Bangui ma nel resto del Paese è caos

    ◊   “Vi chiedo di riprendere il vostro lavoro per garantire la sicurezza delle persone e dei beni. Nel contesto attuale la sicurezza è una priorità per il nostro governo”: lo ha detto il primo ministro Nicolas Tiangaye mentre da alcuni giorni sono in corso operazioni di evacuazione dei combattenti della Seleka dalle caserme e posti di polizia di Bangui occupati dai ribelli che, a cinque mesi dal colpo di stato, continuano a commettere violenze e saccheggi su vasta scala ai danni dei civili. Se nella capitale si potrebbe arrivare a un progressivo ritorno alla normalità, anche grazie alla presenza della Forza africana in Centrafrica (Misca) e al ridispiegamento di poliziotti e gendarmi - riferisce l'agenzia Misna - la situazione rimane precaria nelle regioni nord-occidentali e nord-orientali, confinanti con Camerun e Ciad. “Ogni volta che arrivano in sella a motociclette la gente va a nascondersi e mette il bestiame al riparo. Accade da luglio, quando vengono da queste parti per portarci via tutto. I ribelli hanno già portato via centinaia di capi di bestiame. Quando uno cerca di bloccarli mette a rischio la propria vita. Se intervieni muori per niente” hanno denunciato alcuni abitanti della regione di Markounda (nord-est). Fatti simili vengono commessi in totale impunità anche nelle zone di Bozoum, Paoua, Bossangoa e Kabo, come denunciato dalla Rete dei giornalisti per i diritti umani in Centrafrica (Rjdh), che auspica “un intervento delle autorità e delle forze di sicurezza anche nelle zone più remote e dimenticate per liberare la gente dalla Seleka che continua a dettare legge”. Dall’offensiva, cominciata nel dicembre 2012, al colpo di stato dello scorso 24 marzo, la ribellione – in partenza circa 2000 uomini – ha reclutato migliaia e migliaia di combattenti tra i gruppi più marginalizzati della società centrafricana che oggi vivono alle spalle della gente, saccheggiando e uccidendo senza scrupoli. A questi si aggiungono numerose truppe originarie dalla regione sudanese del Darfur e dal Ciad, anch’esse con responsabilità dirette nell’attuale caos. Al problema del disarmo della Seleka e della riorganizzazione delle forze di sicurezza centrafricane, si somma quello del vecchio esercito del presidente destituito François Bozizé. Temendo una possibile invasione di circa 800 soldati, l’esercito del confinante Camerun ha rafforzato il suo dispositivo di sicurezza a Borongo, per bloccare i militari allo sbando che cercano di raggiungere Bertoua, capoluogo della regione orientale. Pochi giorni fa le autorità di Yaoundé hanno chiuso le frontiere con il Centrafrica dopo l’uccisione di un ufficiale di polizia da parte di un soldato ribelle. Anche i trasportatori camerunesi denunciano abusi, racket e attacchi subiti lungo la strada tra Douala e Bangui, in presenza di esponenti della Seleka che hanno eretto posti di blocco. (R.P.)

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    Tanzania: chiesta la fine dello sfruttamento dei minori nelle miniere d'oro

    ◊   Il lavoro minorile nei giacimenti di oro è tra le piaghe più pesanti che colpiscono la Tanzania. I piccoli che vengono impiegati nelle miniere sono orfani o vivono in condizioni precarie, spesso non hanno neanche 8 anni di età. Non solo devono sopportare lavori fisici pesanti ma sono anche a rischio di avvelenamento da mercurio che, vista la tossicità dei vapori che attaccano direttamente il sistema nervoso centrale, potrebbe causare disabilità permanenti. Nonostante nel Paese esistano leggi che vietano lo sfruttamento dei bambini, queste non vengono rispettate. La denuncia arriva dall’ong Human Rights Watch (Hrw). La maggior parte degli adulti non conoscono i rischi alla salute che si corrono lavorando in miniera, e i servizi sanitari tanzaniani non sono in grado di diagnosticare e curare le intossicazioni da mercurio. A risentire della situazione è anche l’istruzione di questi piccoli lavoratori che non hanno il tempo di frequentare la scuola e sono attratti dal guadagno. Spesso capita anche che le bambine che frequentano zone limitrofe ai giacimenti subiscono aggressioni sessuali, e finiscono per essere vittime del traffico di esseri umani per sfruttamento ai fini sessuali. Hrw ha ricordato al Governo tanzaniano che il Paese ha ratificato numerosi accordi internazionali in difesa dei diritti dei bambini. A gennaio 2013 la Tanzania ha anche contribuito a redigere un nuovo trattato per la riduzione di esposizione al mercurio, alla quale sono sottoposti anche gli abitanti delle zone limitrofe alle miniere, sostenuto da altri 140 Governi, e che verrà adottato entro il prossimo mese di ottobre. L’oro estratto dai giacimenti tanzani ha come principali destinazioni Emirati Arabi, Svizzera, Sudafrica, Cina e Regno Unito che ne sono anche esportatori. (R.P.)

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    Germania. Mons. Zollitsch: le elezioni un esercizio di responsabilità

    ◊   Il presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), mons. Robert Zollitsch, rivolge un appello a partecipare alle elezioni per il Bundestag previste il 22 settembre prossimo. Nel corso del tradizionale St. Michael-Jahresempfang, ricevimento annuale organizzato dal Katholisches Büro a Berlino, l’ufficio di rappresentanza della Chiesa cattolica tedesca presso gli organi federali, mons. Zollitsch ha detto che “il compito della Chiesa è rammentare soprattutto ai fedeli la loro responsabilità di agire attivamente nei processi di formazione dei pareri politici e di fare uso dei propri diritti democratici. Il nostro appello è per tutti: andate a votare! Fate uso della vostra responsabilità!”. L’arcivescovo di Friburgo - riporta l'agenzia Sir - ha evidenziato come “in tempi di conflitti politici pubblici, anche la Chiesa è davanti alla scelta di rispondere a domande su quale ruolo intende svolgere per costruire la società”. Il prelato ha evidenziato due tentazioni opposte per la Chiesa: “la tentazione di rinchiudersi in se stessa e trarre forza solo dalla coesistenza di coloro che la pensano allo stesso modo, e la tentazione di politicizzare la religione, con l’intento di intervenire in ogni discussione sociale e nella speranza di collocarsi in una posizione maggioritaria nell’agone politico e sociale”. Per il presidente della conferenza episcopale tedesca la Chiesa deve ricordare il suo compito principale: “l’annuncio della fede in Gesù Cristo, la testimonianza vissuta dell’annuncio del Vangelo. Essere cristiani significa impegnarsi per la vita e per la convivenza in base alla fede in Dio”. Pertanto, per mons. Zollitsch “nonostante le differenze di obiettivi e di funzione della politica e della Chiesa, da questo punto di vista ritengo vi siano sfide comuni”. L’arcivescovo ha aggiunto: “Quando Papa Francesco ci incoraggia a lavorare per un mondo più equo e solidale, ciò vale in particolare per quanto concerne l’equità dei salari e delle condizioni di lavoro. Non possiamo restare indifferenti davanti al fatto che in confronto ad altri Paesi dell’Ue occidentale, il numero di occupati in Germania è composto sempre più da persone a basso reddito”. Zollitsch ha sottolineato quindi il ruolo delle famiglie. “Si trascura sempre più di mettere al centro dell’attenzione le famiglie e le loro necessità e di dar loro il riconoscimento sociale e il sostegno che esse necessitano”. In considerazione della crisi, mons. Zollitsch ha sottolineato che “essa ha nuovamente mostrato quanto sia importante orientare le decisioni politiche, economiche e sociali non solo ad obiettivi a breve termine. La politica buona deve essere elaborata guardando al lungo periodo e deve seguire principi che diano un orientamento anche in tempi difficili”. (R.P.)

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    Canada: Plenaria dei vescovi su governance della Chiesa, pace e libertà religiosa

    ◊   I vescovi del Canada terranno la loro prossima Assemblea plenaria dal 23 al 27 settembre a Sainte-Adèle, in Québec. A presiedere la riunione sarà il presidente della Conferenza episcopale, mons. Richard Smith, arcivescovo di Edmonton, giunto alla fine del suo mandato. Numerosi e importanti i temi in agenda che riguardano la vita della Chiesa in Canada anche in rapporto alle grandi sfide della Chiesa universale oggi. In particolare, al centro dei lavori vi sarà la riforma della governance della Chiesa nella visione di Papa Francesco. I presuli ne discuteranno con un ospite di eccezione: il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente della Caritas Internationalis, ma anche coordinatore del Gruppo di cardinali chiamati dal Santo Padre a consigliarlo sulla riforma dell’organizzazione della Curia Romana. Il cardinale svolgerà inoltre una conferenza sul “Ruolo dei vescovi per la giustizia, la pace e la carità”, una riflessione che sarà completata da una relazione sulle modalità operative della Caritas Internationalis, svolta dal suo attuale segretario generale, Michel Roy. La riunione sarà anche un’occasione per ricordare il 50° anniversario della “Pacem in Terris”, un documento quanto mai attuale nella presente congiuntura internazionale. La Commissione episcopale della giustizia e della pace illustrerà all’assemblea il contenuto dell’enciclica giovannea e le sue implicazioni per il ministero del vescovo oggi. L’assemblea ascolterà anche le testimonianze di diversi vescovi stranieri sui problemi dello sfruttamento delle risorse minerarie nei loro Paesi, un tema sul quale l’Episcopato canadese è particolarmente impegnato da diversi anni. Altro importante tema affrontato durante i lavori saranno le sfide del dialogo ecumenico e interreligioso nell’attuale contesto in Medio Oriente. Si parlerà anche del problema della libertà religiosa in Canada, alla luce di una recente lettera pastorale sull’argomento della Commissione canadese per la Dottrina della Fede. Una parte dei lavori sarà poi consacrata all’elezione della nuova Presidenza della Conferenza episcopale. Da notare che l’assemblea segnerà il 70° anniversario dell’istituzione della Cecc/Cccb, avvenuta nel 1943. (A cura di Lisa Zengarini)

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    L’Associazione “Bambini Cardiopatici nel Mondo” impegnata in nuove missioni

    ◊   Otto missioni operatorie cardiochirurgiche da realizzare in 4 Paesi del Sud del Mondo e 250 bambini cardiopatici da visitare in ogni missione. Questi i numeri del prossimo progetto dell’Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo - A.I.C.I. Onlus, partita in questi giorni e che prevede il termine ad aprile 2014 per organizzare nel complesso 8 missioni operatorie cardiochirurgiche in 4 Paesi: Kurdistan Iracheno (3 missioni presso l'Azadi Heart Center di Duhok), Egitto (2 missioni presso il Police Hospital del Cairo), Camerun (2 missioni presso il Cardiac Center di Shisong) ed Etiopia (1 missione presso il Children Cardiac Center di Addis Abeba). Le missioni salva-vita sono gestite da equipe mediche composte da diverse professionalità. Durante ogni missione, che dura mediamente 7 giorni, l’equipe medica si occupa di visitare circa 250 bambini, effettuare le diagnosi e identificare le relative cure e operare i 10 casi più gravi. Le 8 missioni si pongono quindi l’obiettivo di visitare nel complesso 2.000 di bambini cardiopatici. Nell’ambito di questo progetto – e proprio in occasione del suo ventennale - l’Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo promuove una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi per sostenere queste missioni. Da ieri al 15 settembre è possibile quindi donare 2 euro inviando un SMS o chiamando il numero 45506. (A.G.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 246

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