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Sommario del 02/09/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa del Papa a Santa Marta: "Mai uccidere il prossimo con la nostra lingua"
  • Due tweet del Papa: "Mai più la guerra! Vogliamo un mondo di pace"
  • Mons. Toso: no all’attacco alla Siria, rischio guerra di dimensioni mondiali
  • Siria. Mons. Zenari: "Le parole del Papa scuotono le coscienze di chi ha in mano i destini del mondo"
  • Il Papa ad Assisi il 4 ottobre: presentato dalla Diocesi il programma della visita
  • Il Papa incontra il “World Jewish Congress”: impegno comune per il dialogo e la pace
  • Il 5 settembre, il Papa riceverà il Catholicos della Chiesa ortodossa siro-malankarese
  • Altre udienze di Papa Francesco
  • Nuovo Beato in Sicilia: Antonio Franco, ministro di Dio e uomo di giustizia. Il card. Amato: ci insegna ad aprirci con generosità
  • Il cardinale Bertone conclude le celebrazioni per i 60 anni della Madonna delle Lacrime
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: Mosca scettica su prove contro Damasco. Assad chiede all’Onu di impedire l’attacco Usa
  • Crisi economica e questione siriana al centro del G20 in Russia
  • Fukushima. Shinzo Abe: pronte misure d'emergenza contro la fuoriuscita di acqua radioattiva
  • Reddito d'inclusione nella Legge di Stabilità. Becchetti: lotta a disoccupazione sia priorità
  • Ricerca sulla scuola in Italia: insegnanti scoraggiati ma non rassegnati
  • Da Assisi a Gubbio: le voci dei pellegrini sul Sentiero di San Francesco
  • Festival di Venezia. Mons. Celli consegna ad Amos Gitai il Premio Bresson
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Gregorio III: la Siria e il Medio Oriente uniti in preghiera con Papa Francesco per la pace
  • Patriarchi e leader cristiani in Medio Oriente in preghiera con il Papa per la Siria
  • Siria: i musulmani e altri gruppi si uniscono all’appello del Papa
  • Egitto. Il Patriarcato copto cattolico: nessuno giustifichi la guerra col pretesto di difendere i cristiani
  • Siria: la preghiera per la pace con il Papa della Chiesa del Nord Africa
  • Terra Santa: le Carmelitane scalze in preghiera per la pace unite al Papa
  • Colloqui israelo-palestinesi: mons. Shomali teme una terza Intifada
  • Egitto: il deposto presidente Morsi rinviato a giudizio
  • Congo: si combatte nel Nord Kivu. A Kinshasa l'inviata Onu
  • Somalia: emergenza donne e bambini nei campi profughi
  • Vietnam: più censura su Internet con Decreto 72
  • Polonia: la Chiesa commemora le vittime della Seconda guerra mondiale
  • Venezuela: 10mila bambini lavoratori, sfruttati, drogati, abusati sessualmente
  • Rammarico dell’Opera Romana Pellegrinaggi per articolo calunnioso
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa del Papa a Santa Marta: "Mai uccidere il prossimo con la nostra lingua"

    ◊   Dove c’è Dio non ci sono odio, invidia e gelosia e non ci sono quelle chiacchiere che uccidono i fratelli: è quanto ha affermato Papa Francesco stamani a Santa Marta, dove ha ripreso a celebrare la Messa con i gruppi dopo la pausa estiva. Il servizio di Sergio Centofanti:

    L’incontro di Gesù con i suoi conterranei, gli abitanti di Nazaret, come lo racconta il Vangelo di San Luca proposto dalla liturgia del giorno, è stato al centro dell’omelia del Papa. I nazaretani ammirano Gesù – osserva il Pontefice – ma aspettano da lui un qualcosa di strabiliante: “volevano un miracolo, volevano lo spettacolo” per credere in lui. Così Gesù dice che non hanno fede e “loro si sono arrabbiati, tanto. Si sono alzati, e spingevano Gesù fino al monte per buttarlo giù, per ucciderlo”:

    “Ma guardate com’è cambiata la cosa: cominciarono con bellezza, con ammirazione, e finivano con un crimine: volendo uccidere Gesù. Questo per la gelosia, l’invidia, tutte queste cose … Questa non è una cosa che è successa duemila anni fa: questo succede ogni giorno nel nostro cuore, nelle nostre comunità. Quando in una comunità si dice: ‘Ah, che buono, questo che è venuto da noi!’. Se ne parla bene il primo giorno; il secondo, non tanto; e il terzo si incomincia a spettegolare e finiscono spellandolo”.

    Così i nazaretani “volevano uccidere Gesù”:

    “Ma quelli che in una comunità fanno chiacchiere sui fratelli, sui membri della comunità, vogliono uccidere: lo stesso di questo! L’Apostolo Giovanni, nella prima Lettera, capitolo III, versetto 15, ci dice questo: ‘Quello che odia nel suo cuore suo fratello, è un omicida’. Noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la lingua!”.

    “Una comunità, una famiglia – ha proseguito il Papa - viene distrutta per questa invidia, che semina il diavolo nel cuore e fa che uno parli male dell’altro, e così si distrugga”. “In questi giorni – ha sottolineato - stiamo parlando tanto della pace”, vediamo le vittime delle armi, ma bisogna pensare anche alle nostre armi quotidiane: “la lingua, le chiacchiere, lo spettegolare”. Ogni comunità – ha concluso il Papa - deve vivere invece con il Signore ed essere “come il Cielo”:

    “Perché sia pace in una comunità, in una famiglia, in un Paese, nel mondo, dobbiamo incominciare così: essere con il Signore. E dov’è il Signore non c’è l’invidia, non c’è la criminalità, non c’è l’odio, non ci sono le gelosie. C’è fratellanza. Chiediamo questo al Signore: mai uccidere il prossimo con la nostra lingua, ed essere con il Signore come tutti noi saremo in Cielo. Così sia”.

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    Due tweet del Papa: "Mai più la guerra! Vogliamo un mondo di pace"

    ◊   Papa Francesco, riprendendo l’accorato appello per la pace lanciato ieri all’Angelus, ha pubblicato oggi due nuovi tweet. Nel primo, stamani, scrive: “Mai più la guerra! Mai più la guerra!”. Nel secondo, del primo pomeriggio, afferma: “Vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace”.

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    Mons. Toso: no all’attacco alla Siria, rischio guerra di dimensioni mondiali

    ◊   All’indomani dell’annuncio di Papa Francesco di una Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria e nel mondo, Alessandro Gisotti ha intervistato il segretario del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, mons. Mario Toso. Il presule muove la sua riflessione partendo proprio dall’appello di pace del Papa all’Angelus:

    R. - Il Pontefice si fa interprete del grido che sale da ogni parte, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità. Si tratta di un sussulto universale della coscienza della gente, dei popoli. Le società civili e le loro organizzazioni sollecitano i loro rappresentanti per un verso a lasciare definitivamente da parte il conflitto armato – “Mai più la guerra” – e per un altro verso a lavorare, con convinzione ed intensamente, per la pace. Papa Francesco continua la missione di Gesù Cristo, Principe della pace, che cammina con l’umanità e, “seminato” nelle coscienze, la sospinge verso il suo compimento in pienezza.

    D. - “La guerra chiama guerra”, ha detto il Papa. Ecco c’è il timore, espresso da tante voci nella Chiesa, che un attacco alla Siria estenderebbe la violenza in tutta la regione. Un suo pensiero …

    R. - Nell’Angelus del primo settembre è pronunciata la ferma condanna di una guerra che è condotta con l’uso indiscriminato delle armi e colpisce in primo luogo la popolazione civile ed inerme. Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. La guerra chiama guerra anche perché intrappola i popoli in una spirale mortale: porta in sé una visione distorta del potere inteso come sopraffazione e dominio e, inoltre, accentua il pregiudizio che tutti cercano di distruggere gli altri. Su tali presupposti l’“altro” rimane sempre un antagonista, un nemico da sconfiggere, non sarà mai un fratello. La guerra non finisce mai e le ragioni della giustizia sono disattese.

    D. - Il Beato Giovanni Paolo II definì la guerra in Iraq “avventura senza ritorno”. Qui c’è il rischio di un nuovo grave errore. Qual è la sua opinione al riguardo?

    R. - Come ha fatto intendere Papa Francesco occorre essere angosciati per i drammatici sviluppi che si prospettano, alla luce di come si stanno muovendo i grandi della terra. La via di soluzione dei problemi della Siria non può essere quella dell’intervento armato. La situazione di violenza non ne verrebbe diminuita. C’è, anzi, il rischio che deflagri e si estenda ad altri Paesi. Il conflitto in Siria contiene tutti gli ingredienti per esplodere in una guerra di dimensioni mondiali e, in ogni caso, nessuno uscirebbe indenne da un conflitto o da un’esperienza di violenza. L’alternativa non può essere che quella della ragionevolezza, delle iniziative basate sul dialogo e sul negoziato. Insomma occorre cambiare strada. Occorre imboccare senza indugio la via dell’incontro e del dialogo, che sono possibili sulla base del rispetto reciproco, dell’amore. Al potere ideologico della violenza che annienta l’avversario va sostituito il potere dell’amore che sollecita alla cura di ciò che è comune. Il vero potere è l’amore, che implica una passione per il bene degli altri, come suole dire Papa Francesco. L’amore potenzia gli altri, suscita iniziative di collaborazione per la giustizia e la pace.

    D.- Il Papa ha chiamato i credenti, ma non solo, ad unirsi nella Giornata per la pace in Siria e nel mondo, il prossimo 7 settembre. Ricorda questa iniziativa l’orizzonte universale della “Pacem in Terris” che appunto si rivolge a tutte le persone di buona volontà…

    R. - Ricorda anche lo “spirito d’Assisi”, quello che si è sperimentato - e continua a propagarsi – nel mese dell’ottobre 2011, attorno a papa Benedetto XVI, continuando le giornate promosse da Giovanni Paolo II. C’è bisogno di “segni di pace”, che muovono le persone più dei bei discorsi. C’è bisogno di essere pellegrini della verità, pellegrini della pace. La costruzione della pace dipende dalla ricerca appassionata della verità sull’uomo, sul mondo e su Dio. Dipende, in particolare, dalla comunione con Lui, dalla preghiera che si traduce in atti di giustizia.

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    Siria. Mons. Zenari: "Le parole del Papa scuotono le coscienze di chi ha in mano i destini del mondo"

    ◊   “Un appello che senz’altro porta speranza alla popolazione ma scuote anche le coscienze di tutti, specie di chi ha in mano le sorti del mondo, in questo momento”. Così, al microfono di Gabriella Ceraso, commenta le parole del Papa all’Angelus, mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria:

    R. – E’ un appello molto forte che è caduto in queste giornate in cui tutto il mondo vive con il fiato sospeso e l’iniziativa è altrettanto opportuna e molto bella, sarà senz’altro apprezzata anche dall’ambiente maggioritario musulmano, perché sappiamo quanto apprezzino la preghiera e il digiuno. E io direi che questo discorso va letto e interpretato dall’inizio alla fine. Il più bel commento sono le espressioni del volto del Santo Padre e i suoi gesti: ce n’è per tutti, in questo discorso, in questo appello! E’ un appello rivolto a tutti, e come diceva Gesù nel Vangelo: “Chi ha orecchie da intendere, intenda”.

    D. – Il Papa ha parlato di "un giudizio di Dio" e di un "giudizio della Storia sulle nostre azioni, a cui non si può sfuggire". Un forte richiamo alla coscienza di ciascuno …

    R. – Hanno fatto veramente impressione, queste parole del Santo Padre. Senz’altro scuotono le coscienze di tutti e soprattutto di chi ha in mano i destini del mondo e di questo conflitto.

    D. – Il Papa ha chiamato anche tutti gli uomini di buona volontà: i fratelli cristiani non cattolici, gli appartenenti ad altre religioni … tutti. Anche i non credenti, tutti saranno convocati in San Pietro il 7 settembre, “per l’amata Nazione siriana – ha detto – e per tutti i conflitti”. E’ un richiamo veramente all’umanità intera …

    R. – Direi che la pace è un dono di Dio per l’umanità intera; è un dono per tutti. Quindi, tutti partecipiamo o tutti soffriamo della mancanza di questo dono e per questo siamo tutti interessati. E’ qualcosa che abbiamo in comune e quindi tutti siamo chiamati in questo momento così critico, così delicato ad unire, al di là di qualsiasi credenza, la nostra partecipazione a questo dono che viene dal Cielo, ma che è lasciato anche a noi, alla nostra responsabilità di mantenerlo e di proteggerlo.

    D. – E’ importante fare arrivare queste parole ai grandi del mondo, ma anche alla popolazione: lei si farà portavoce di quanto ascoltato oggi?

    R. – Senz’altro. E’ stato – credo – un grande incoraggiamento per tutti, in questi giorni, in queste ore così difficili, e noi siamo molto, molto riconoscenti al Santo Padre.

    D. – C’è ancora paura e tensione da voi? Quale il clima in questo momento?

    R. – Direi, di sì: la tensione è visibile. Basta vedere le persone che mettono assieme quelle poche cose che hanno e cercano di portarsi in qualche Paese qui vicino. Direi che questo appello del Papa costituirà senz’altro una luce, un seme di speranza per tutti. Speriamo che non solo dall’ascolto di queste parole, ma anche dalla preghiera e dal digiuno questo dono della pace possa essere salvato o recuperato …

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    Il Papa ad Assisi il 4 ottobre: presentato dalla Diocesi il programma della visita

    ◊   Il Papa pellegrino in Umbria sulle orme di San Francesco, patrono d’Italia. E’ stato presentato oggi nella sala della “spoliazione” del vescovado di Assisi il programma della visita di Papa Francesco alla città del Poverello, il prossimo 4 ottobre. Presenti con il vescovo Domenico Sorrentino e il sindaco Claudio Ricci, anche l’arcivescovo di Perugia e presidente dei vescovi umbri, mons. Gualtiero Bassetti, e un rappresentante delle Famiglie francescane. Il servizio è di Gabriella Ceraso:

    Sarà una giornata intensa, quella del Papa ad Assisi, nella festa del Santo patrono d’Italia cui Bergoglio ha ispirato il suo pontificato. Francesco arriverà in elicottero già per le 7.45 nel campo sportivo dell’Istituto Serafico, un'eccellenza nella carità, che accoglie giovani pluriminorati gravi da tutta Italia. La sosta iniziale sarà con loro, poi nel primo luogo francescano, la Chiesa di San Damiano, luogo della conversione, nel quale il Santo ascoltò la voce del Crocifisso. Da qui per il Pontefice un appuntamento significativo e senza precedenti: la visita, nella sede arcivescovile di Assisi, della stanza della "spoliazione" che ricorda il gesto clamoroso del giovane Francesco innanzi al padre Pietro di Bernardone, dove il Papa incontrerà alcuni poveri assistiti dalla Caritas, prima di entrare nella Chiesa di Santa Maria Maggiore annessa al vescovado. Quindi alle 11.00 la Messa nella piazza della Basilica di San Francesco, dopo la venerazione delle spoglie del Santo qui custodite. Al termine, l’accensione della lampada votiva con l’olio quest’anno offerto dalla Regione Umbria, e poi il pranzo presso il Centro di prima accoglienza della Caritas diocesana nei pressi della Stazione ferroviaria di Santa Maria degli Angeli. Nel pomeriggio, intorno alle 14.30, la visita privata del Papa sarà all’Eremo delle Carceri, luogo in cui San Francesco d'Assisi e i suoi seguaci si ritiravano per pregare e meditare, poi l’incontro alla cattedrale di San Rufino con le rappresentanze di tutta la Diocesi, che sta svolgendo il suo sinodo. A seguire, una visita privata alle Clarisse nella Basilica di Santa Chiara. Alle 17.30, dopo una preghiera silenziosa alla Porziuncola, cuore pulsante della spiritualità francescana, l’abbraccio del Papa sarà con i giovani nella piazza antistante la Basilica di Santa Maria degli Angeli e, prima di ripartire, il passaggio al suggestivo Santuario di Rivotorto con la visita al tugurio di San Francesco. Il rientro in Vaticano è previsto alle ore 20.00.


    Una visita densa e decisamente in linea col pontificato di Papa Francesco, nel segno dell’umiltà e dell’attenzione agli ultimi: così al microfono di Gabriella Ceraso, mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi:

    R. – Francesco parla della sua conversione mettendo in prima evidenza la sua esperienza di conversione interiore, di gioia con i lebbrosi. Il Papa viene a rimettersi sui passi di Francesco e a dare un messaggio alla Chiesa in questo senso. Noi sentiamo che in questo è una visita alquanto innovativa: ci sono alcuni luoghi nuovi, ci sono alcuni accenti nuovi e vogliamo metterci in ascolto del messaggio che il Santo Padre ci darà.

    D. – Sicuramente, un momento assolutamente innovativo sarà la visita alla “stanza della spoliazione”. Lei è un po’ il custode, in quanto vescovo, di questo momento e di questo gesto. E’ spoliazione non solo da panni materiali ...

    R. – Indubbiamente. Quello che Francesco fece, esprimeva la sua scelta profonda di Cristo: nudo con il Dio nudo, cioè un incontro profondo con Dio nel quale ormai Francesco rinunciava totalmente a se stesso per diventare uomo di Dio e proprio per questo anche uomo dei fratelli, uomo di una fraternità universale che raggiungeva poi persino le creature materiali: frate Sole, sorella Luna … E’ Francesco che si mette sulla via della libertà dei figli di Dio. Non più padre Pietro di Bernardone, ma “Padre Nostro che sei nei Cieli”, e questa libertà, poi, lo rende quel Francesco così affascinante perché è il Francesco che irradia Vangelo ed è capace di parlare alla nostra cultura odierna e di dire parole di speranza anche al nostro cammino. Sia come credenti, sia come uomini di buona volontà rispetto alle grandi sfide della nostra società.


    “Questa visita l’abbiamo maturata tutti insieme, noi vescovi dell’Umbria, e ne siamo entusiasti” spiega al microfono di Gabriella Ceraso, mons. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e nuovo presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu):

    R. – E’ un bellissimo gesto di comunione tra tutte le nostre otto chiese. L’unità e la comunione che intercorre tra i vescovi, ci ha permesso anche di poter rivolgere insieme questo invito al Santo Padre.

    D. – E con tutte le chiese avete anche compiuto un cammino e continuerete a compierlo …

    R. – Il grosso sarà concentrato in questa preghiera che sarà fatta in tutte le nostre diocesi la sera del 21 settembre, cominciando ai Vespri e prolungandolo fino a mezzanotte con manifestazioni diverse. Poi, tutti si raccolgono nelle cattedrali perché vogliamo veramente che la gente sia coinvolta il più possibile, tutte le categorie. Poi, per esempio, ho già diramato a tutti i movimenti, a tutte le parrocchie, già la veglia di preghiera sabato 7 settembre, quella indetta dal Santo Padre per la pace. Per noi, quindi, oltre a sottolineare quanto ci chiede il Santo Padre, sarà ancora una occasione di preparazione alla visita del Papa. Quindi, è un momento forte di comunione con la Chiesa di Roma, questo, per le nostre chiese dell’Umbria.

    D. – E tutto il mondo guarderà a voi un po’ anche come alla culla dello spirito che il Papa ha scelto come impronta per il suo pontificato …

    R. – Sì: ha scelto lo stile di Francesco ed era un desiderio suo – ce l’ha ripetuto lungamente, più d’una volta durante il nostro incontro – visitare i luoghi di Francesco. Tant’è vero che il Papa viene sì, per incontrare la gente, ma desidera venire soprattutto come pellegrini proprio perché è la prima volta, per rendersi conto anche di quale sia la terra che i piedi di Francesco hanno calcato. Io ho voluto dire anche questo al Santo Padre, quando siamo andati noi vescovi dell’Umbria, presentando un po’ la nostra piccola Conferenza. Gli ho detto: “Padre Santo, l’Umbria è una piccola regione ma in dieci anni ha dato il nome a due Papi: Benedetto, che è un Santo umbro, di Norcia, e Francesco, che è Francesco d’Assisi. Quindi, la nostra piccola parte l’abbiamo già fatta” …

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    Il Papa incontra il “World Jewish Congress”: impegno comune per il dialogo e la pace

    ◊   “Un cristiano non può essere antisemita”. Papa Francesco lo ha ribadito stamani incontrando, in Vaticano, una delegazione del “World Jewish Congress”, guidata da Ronald S. Lauder. Nell’incontro, riferisce un comunicato dell’organizzazione ebraica, ci si è soffermati sulla grave situazione in Siria, ribadendo il comune impegno per la pace. E’ stata inoltre rinnovata la condanna degli attacchi contro le minoranze religiose, come sta accadendo ai cristiani copti in Egitto. Il presidente Lauder, aggiunge la nota, sottolinea che l’impegno per il dialogo di Papa Francesco non ha solo rinvigorito la Chiesa Cattolica ma ha anche dato un nuovo impulso alle relazioni tra ebrei e cristiani. Occasione dell’incontro di stamani è stato l’arrivo dell’anno 5774 per gli ebrei di tutto il mondo. Il Papa ha salutato Ronald S. Lauder con l’augurio ebraico “Shana Tova”, chiedendogli di estenderlo agli ebrei di tutto il mondo. Il “World Jewish Congress” è un’organizzazione internazionale che rappresenta le comunità ebraiche in cento Paesi. Fondato nel 1936, l’organismo è particolarmente impegnato nel dialogo interreligioso, specie con la Chiesa Cattolica. (A cura di Alessandro Gisotti)

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    Il 5 settembre, il Papa riceverà il Catholicos della Chiesa ortodossa siro-malankarese

    ◊   Il prossimo 5 settembre farà visita a Papa Francesco, Moran Baselios Marthoma Paulose II, Catholicos della Chiesa ortodossa siro-malankarese, radicata in India. L’incontro si inserisce nel corso della visita pastorale del Catholicos ai fedeli ortodossi siro-malankaresi presenti in Europa. La Chiesa ortodossa malankarese è divisa in due comunità: la Chiesa siro-ortodossa malankarese, in piena comunione con il Patriarca siro ortodosso d’Antiochia, e la Chiesa ortodossa siro-malankarese, con a capo Sua Santità Moran Baselios Marthoma Paulose II, Chiesa ortodossa autonoma. Oggi la Chiesa ortodossa siro-malankarese conta circa 2.5 milioni di membri in 30 diocesi, servite da 33 vescovi e da oltre 1700 sacerdoti. Di grande rilievo sono stati gli incontri che hanno avuto luogo tra il Beato Papa Giovanni Paolo II ed il Catholicos Moran Mar Baselios Marthoma Mathews I, nel 1983 a Roma e nel 1986 a Kottayam, in India. In tale occasione, fu istituita la Commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa siro-malankarese. Un importante frutto di questi contatti è stata la Dichiarazione cristologica comune firmata nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II e dal Catholicos Moran Mar Baselios Marthoma Mathews I. Dal 1989, due dialoghi paralleli hanno luogo una volta all’anno nel Kerala (India del Sud), uno con la Chiesa siro-ortodossa malankarese e l’altro con la Chiesa ortodossa siro-malankarese. Questi dialoghi si occupano principalmente di questioni legate a tre tematiche: la storia della Chiesa in India, l’ecclesiologia e la testimonianza comune. Il Catholicos Moran Baselios Marthoma Paulose II, oltre ad incontrare il Santo Padre giovedì 5 settembre, visiterà la Tomba dell’Apostolo Pietro e sarà ricevuto presso il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

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    Altre udienze di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in successive udienze: il signor Veselin Šuković, ambasciatore del Montenegro presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il card. Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Mechelen-Brussel, e il dottor Héctor Negri, Presidente della Corte Suprema di Giustizia della Provincia di Buenos Aires.

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    Nuovo Beato in Sicilia: Antonio Franco, ministro di Dio e uomo di giustizia. Il card. Amato: ci insegna ad aprirci con generosità

    ◊   Grande attesa a Messina per la Beatificazione, oggi pomeriggio, di mons. Antonio Franco, prelato e abate di S. Lucia del Mela, vissuto tra ‘500 e ‘600, “esemplare testimone del Vangelo”, come ha ricordato ieri il Papa all’Angelus. La cerimonia, nella basilica cattedrale alle ore 18, sarà presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi. Il servizio di Roberta Gisotti:

    E’ vissuto quattro secoli fa ma la sua fama di santità e di miracoli si è tramandata e vivificata fino ai nostri giorni. Preghiera, catechesi, carità, penitenza furono compagne di vita di Antonio Franco. Nato a Napoli nel 1585, cresciuto in una famiglia devota, non ancora 17enne conseguì la laurea in Diritto canonico e civile, giunse poi a Roma, quindi Madrid alla Corte di Filippo III e divenuto sacerdote a 25 anni, venne poi nominato Cappellano Maggiore del Regno di Sicilia e come tale Prelato ordinario e Abate di S. Lucia, nella piana di Milazzo, e il Papa Paolo V gli aggiunse il titolo di Referendario pontificio. Ministro di Dio, interprete del rinnovamento ecclesiale sancito dal Concilio di Trento, e uomo di giustizia - giudice in nome del Re di Spagna - mons. Franco curò la formazione del clero e le vocazioni e lottò con vigore contro usura, banditismo, ignoranza, superstizione, omertà diffuse in quel territorio. Un uomo di grandi doti umane e spirituali che mai si risparmiò per aiutare gli altri, come spiega il cardinale Angelo Amato:

    R. - A quel tempo la Prelatura aveva circa 4200 abitanti, quasi tutti contadini e pastori. Nel governo di questa Prelatura, unita alla diocesi di Messina solo dal 1986, il Servo di Dio si distinse per la sua sapiente azione pastorale, migliorando la vita religiosa del popolo e del clero. Ancora vivente, mons. Antonio Franco era venerato per la sua vita santa e per la sua fama di taumaturgo, con interventi prodigiosi a favore degli ammalati e dei contadini, che chiedevano la pioggia per i loro campi o l'allontanamento delle intemperie dai loro raccolti. Era particolarmente generoso con i poveri. Morì in odore di santità, il 2 settembre 1626, stroncato dalle penitenze e dalle continue astinenze.

    Non aveva ancora compiuto 42 anni, quando rese l’anima al Signore, stremato da privazioni e malattie. Spesso digiunava e mangiava solo pane e acqua e sembra che non adoperasse il letto ma utilizzasse una piccola stoia per materasso e una pietra come cuscino. Cosa suggerisce oggi il Beato Antonio Franco? La risposta del cardinale Angelo Amato

    R. - Di aprirci con generosità, come fece lui, alle necessità dei poveri e dei bisognosi. I quattro secoli che ci separano da lui non ne attenuano il messaggio, ma anzi lo rafforzano. Anche oggi i poveri sono in mezzo a noi, e anche oggi il cristiano è chiamato dal Signore a essere buon samaritano per i feriti nel corpo e nello spirito, che invocano la nostra carità. Siamo generosi, come fu sommamente generoso il nostro Beato.

    Da domani al 13 settembre il corpo incorrotto di mons. Antonio Franco rimarrà esposto nella cattedrale di Messina per la venerazione dei fedeli e quindi farà ritorno nella concattedrale di Santa Maria del Mela, dove il 15 settembre si terrà la Messa di ringraziamento.

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    Il cardinale Bertone conclude le celebrazioni per i 60 anni della Madonna delle Lacrime

    ◊   Papa Francesco, ieri all’Angelus, ha ricordato la ricorrenza del sessantesimo anniversario della Madonna delle Lacrime. Le celebrazioni si sono concluse ieri a Siracusa alla presenza del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il servizio di Alessandro Filippelli:

    E’ ancora vivo il ricordo dell’emozione provata 60 anni fa di fronte alla prodigiosa lacrimazione di Maria. Un evento che ha toccato il cuore non solo dei siracusani ma di tutta la Chiesa. E’ con queste parole che il cardinale Tarcisio Bertone ha voluto aprire la sua omelia durante la Messa da lui presieduta nel Santuario della Madonna delle Lacrime. Il pensiero è andato subito ai drammatici sviluppi che si prospettano in Siria ricordando l’appello del Papa per la pace alla preghiera dell’Angelus:

    “La tormentata vita dell’umanità in questa ‘valle di lacrime’ offre anche oggi immagini dolorose che attraggono gli occhi misericordiosi della nostra Madre celeste. Sono immagini che Papa Francesco ha richiamato, pronunciando un forte appello per la pace in Siria e nel mondo. Uniamo la nostra preghiera a quella del Papa e poniamola nelle mani di Maria”.

    Rimanere, ascoltare e accogliere. Su questi tre atteggiamenti, ha aggiunto il segretario di Stato, si riassume l’esistenza di Maria:

    “In questi tre verbi è tratteggiato anche il dinamismo della consolazione di Dio: Dio rimane accanto; Dio ascolta il grido di aiuto; Dio accoglie e si lascia accogliere da chi confida in Lui”.

    Così quello delle lacrime diventa un linguaggio universale perché - ha osservato il cardinale Bertone - “le lacrime della Madonna ci guariscono dalla cecità della pigrizia, dell’impazienza e della tristezza. In lei ha affermato infine il porporato – c’è un cuore vivo e pulsante come deve essere il cuore di una comunità cristiana”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima, all’Angelus ferma condanna dell’uso delle armi in Siria e appello per rilanciare la strada del dialogo e del negoziato.

    Nell’informazione internazionale, comitato costituente in Egitto: l’esecutivo nomina i cinquanta membri della commissione.

    Fabrizio Bisconti racconta le devote di Torpignattara: una ricca serie di raffigurazioni documenta il ruolo delle donne nella cristianizzazione di Roma.

    Oddone Camerana recensisce il volume “Storia degli ebrei italiani dalle origini al XV secolo” di Riccardo Calimani

    Michele Marchi ricorda Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa, a cinquant’anni dalla morte avvenuta il 4 settembre 1963

    Esce il numero di agosto-settembre dell’inserto “donne chiesa mondo”, dedicato alla violenza contro le donne.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: Mosca scettica su prove contro Damasco. Assad chiede all’Onu di impedire l’attacco Usa

    ◊   Il regime di Bashar al-Assad ha chiesto alle Nazioni Unite di "impedire qualsiasi aggressione" contro il suo Paese. Dal canto suo, la Lega Araba ribadisce che le Nazioni Unite e la Comunità internazionale sono chiamate ad assumersi le proprie responsabilità. In questo scenario il segretario di Stato Usa, John Kerry, rilancia la possibilità dell’intervento armato, paragonando Assad a Hitler e Saddam, mentre Russia e Cina premono per la soluzione negoziale. Massimiliano Menichetti:

    E’ l'ambasciatore di Damasco al Palazzo di Vetro di New York, Bashar Jaafari - secondo l'agenzia siriana Sana - che avrebbe consegnato al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e alla presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, Maria Cristina Perceval, una lettera per chiedere di "impedire qualsiasi aggressione" contro la Siria e invocare il raggiungimento di una soluzione politica. Parole diverse da quelle di scherno rivolte dal presidente Assad all’omologo Obama, per i cambi di posizione in merito all’attacco armato Usa ed in cui Assad si è detto pronto a sostenere qualsiasi aggressione. Intanto, Russia e Cina concordano nel ritenere che la crisi debba essere risolta "esclusivamente" attraverso negoziati. Continua a non pensarla così l'amministrazinoe statunitense che per bocca del segretario di Stato, John Kerry, ha paragonato Assad a Hitler e Saddam, ribadendo di avere le prove che il regime abbia usato armi chimiche. Affermazioni che non convincono però Mosca. Il confronto tra i "Grandi" ci sarà il 5 e 6 settembre prossimi al G20 di San Pietroburgo, mentre si attende il voto, tutt’altro che scontato, del Congresso americano sull’intervento armato contro Damasco, parere che si avrà, forse, per metà settembre. Intanto è massima allerta in Siria dove non si arrestano gli scontri: quasi 50 i morti oggi a Nord-Est di Damasco che si aggiungono ai 110 mila, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dall’inizio del conflitto, nel marzo 2011. In questo quadro il governo francese fa sapere che fornirà ai membri del Parlamento le prove della responsabilità di Bashar al-Assad per l'attacco con il gas nervino del 21 agosto scorso alla periferia di Damasco, in cui sono morte oltre 1400 persone; mentre la Russia ha spostato nel Mediterraneo una nave da ricognizione per "raccogliere informazioni” sul possibile teatro di guerra. Sei le navi militari americane davanti alle coste siriane.

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    Crisi economica e questione siriana al centro del G20 in Russia

    ◊   La questione siriana sarà sul tavolo del G20 che si aprirà giovedì prossimo in Russia. Si tratta dell’ottavo incontro, a questo livello, e dovrebbe trattare in particolare degli sviluppi della crisi economica mondiale. Delle attese sulla Siria e degli altri temi in discussione Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi Strategici all’Università Luiss:

    R. - Quello che non sappiamo è se Obama abbia chiesto la consultazione del Congresso per avere pieni poteri e quindi, eventualmente, allargare il respiro dell’operazione inizialmente prospettata o se invece questo meccanismo viene utilizzato dalla Casa Bianca per “comprare tempo” e attendere gli incontri che avverranno al G20 tra il 5 e il 6 settembre e, magari, anche qualche possibile indiscrezione sulle risultanze delle attività degli ispettori Onu in Siria.

    D. - Ma quale braccio di ferro è possibile in seno al G20 sulla Siria?

    R. - È auspicabile che non abbia luogo tanto un braccio di ferro, ma un confronto, il più possibile a porte chiuse, su quello che è veramente accaduto e cosa convenga fare in relazione alla Siria, perché, almeno per quello che percepisco, gli Stati Uniti non hanno alcun interesse in questo momento ad una vittoria dell’insurrezione che porrebbe la Siria in mani ancora meno sicure di quelle in cui si trova attualmente il Paese. C’è un incubo sullo sfondo: è vero che Assad possiede un arsenale chimico che desta preoccupazione, ma immaginiamo cosa può accadere se per caso questo deterrente chimico finisse nelle mani di elementi legati alla galassia del jihadismo internazionale; penso, in particolare, al gruppo di Al Nusra che in realtà è la componente militarmente più forte dell’insurrezione che combatte contro il regime di Damasco.

    D. - Si parlerà sicuramente di Siria al G20 ma ci sono altri temi scottanti sul tavolo. Che cosa ipotizzare?

    R. - In realtà, almeno per quello che si sa leggendo l’Agenda ufficiale del G20, sul tavolo ci sono temi collegati alla gestione della crisi economica internazionale e al modo di superarla generando occupazione; quindi temi che hanno verosimilmente interessato tutta l’attività della presidenza di turno russa del G20. Sarebbe molto interessante se venisse affrontato, in occasione del G20, anche il tema legato alle possibili conseguenze di una stretta monetaria negli Stati Uniti, che conseguirebbe al cosiddetto Tapering, cioè la cessazione del programma con il quale la Federal Reserve, negli ultimi mesi, ha comprato titoli di Stato americani per 85 miliardi di dollari al mese, sostenendo, in questo modo, la ripresa non solo locale statunitense, ma in qualche maniera anche dell’intera economia globale. Tutto questo potrebbe venir meno. Ci sono già incontri a livello di governatori delle banche centrali per gestire la situazione. Penso che se ne parlerà anche al G20.

    D. - Questo è il G20 ospitato dalla Russia. Quale sarà il ruolo di Putin?

    R. - Sicuramente nulla avviene in Russia senza che il presidente della Federazione se ne occupi, specialmente ad un livello così elevato, con un’agenda così impegnativa e in un momento tanto critico. Quello che è veramente auspicabile è che a dispetto degli screzi e delle tensioni recenti, Putin e Obama trovino il modo di incontrarsi.

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    Fukushima. Shinzo Abe: pronte misure d'emergenza contro la fuoriuscita di acqua radioattiva

    ◊   L'Agenzia nipponica per la sicurezza nucleare ha smentito le voci su nuove fuoriuscite di acqua radioattiva dalla centrale di Fukushima. Nella giornata di ieri erano stati registrati livelli di radiazioni elevatissimi facendo presagire un incidente come quello del 22 agosto, quando fuoriuscirono 300 tonnellate di acqua radioattiva. L’impianto di Fukushima è però in costante emergenza e il premier nipponico Shinzo Abe ha detto che sono pronte misure urgenti per far fronte all'enorme accumulo di acqua contaminata. Sulla situazione Davide Pagnanelli ha intervistato Massimo Sepielli, responsabile dell'Unità tecnologie e impianti per la fissione e la gestione del materiale nucleare presso l’Enea:

    R. – Le difficoltà più stringenti sono il contenimento dei liquidi radioattivi all’interno delle strutture dell’impianto, la decontaminazione dei liquidi contenenti plutonio e uranio; la terza necessità è quella della bonifica da elementi radioattivi, tipo il cesio 137 che ha 30 anni di emivita, lo iodio 129 e il trizio, che ha una emivita di 12 anni. Quindi, lì si sta provvedendo con l’asportazione degli strati superficiali di terreno. E invece, per quanto riguarda appunto i rifiuti liquidi, la problematica è diversa …

    D. – Esiste la tecnologia per purificare l’acqua usata per raffreddare i reattori di Fukushima?

    R. – Esistono dei processi classici, che sono quelli che vengono impiegati nel trattamento del combustibile irraggiato. Però, in questo caso siamo di fronte – di fatto – a 300 tonnellate molto radioattive; addirittura, gli ultimi livelli ci segnalano una dose di 1.800 millisievert, la massa da trattare e il livello di radiazione sono tali per cui il Giappone stesso e la Tepco hanno chiesto aiuto a Paesi che hanno una buona esperienza, una grande esperienza nel settore, tra cui so anche la nostra Sogin, insieme – ovviamente – all’Enea.

    D. – La gestione della crisi è al centro di contrasti tra Tepco e governo nipponico. E’ possibile per un’agenzia privata gestire situazioni come quella di Fukushima?

    R. – C’è stata una riforma quasi complessiva, quasi una rivoluzione all’interno del sistema giapponese, in particolare per quanto riguarda l’autorità di sicurezza. Però, sta di fatto che poi sull’impianto in pratica agiscono essenzialmente i tecnici e gli operatori della utility, quindi della Tepco. Sono soli, nel senso che operano loro direttamente sull’impianto, ma non sono soli perché tutti questi enti di sicurezza di tipo pubblico sono comunque lì, al loro fianco.

    D. – Esiste la possibilità di un reattore nucleare sicuro?

    R. – Il reattore sicuro è quello che si sta cercando di progettare, come ad esempio il reattore di quarta generazione, raffreddato al piombo, che permette di lavorare con un tempo di grazia, cioè un tempo di intervento eventualmente dovesse accadere un incidente, di settimane. Devo aggiungere che, comunque, i reattori di terza generazione, refrigerati ad acqua, sono sicuramente reattori molti più sicuri rispetto a quelli della generazione precedente di cui fa parte, appunto, il reattore della Centrale di Fukushima.

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    Reddito d'inclusione nella Legge di Stabilità. Becchetti: lotta a disoccupazione sia priorità

    ◊   Il ministro del Lavoro Enrico Giovannini punta sulla Legge di Stabilità per creare anche in Italia il reddito d’inclusione. Operazione non semplice visti i vincoli di bilancio. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    "La questione del lavoro e della lotta alla povertà sarà al centro della Legge di Stabilità”. E’ da prima dell’estate che il ministro Enrico Giovannini lo ripete. In Italia il 6,8% della popolazione è povera in termini assoluta e il Paese è l’unico assieme a Bulgaria e Grecia a non avere un reddito d’inclusione sociale. La cifra non è da sottovalutare, si calcola infatti che ci sarebbe bisogno di almeno sei miliardi di Euro. E se mettiamo assieme abolizione dell’Imu, Iva al 21%, e rifinanziamento della cassa integrazione, non sarà facile trovare le risorse. L’economista Leonardo Becchetti:

    "Ritengo da tempo che la fissazione del 3% del fiscal compact non abbia un suo senso ragionevole. Confrontiamolo con la situazione degli Stati Uniti: gli Usa, l’anno scorso avevano un rapporto deficit-Pil del 7%, ma hanno puntato all’occupazione e alla ripresa del Paese; quest’anno sono al 4%, l’anno prossimo scenderanno al 3%, ma sono partiti da dove si doveva partire, cioè dalla lotta alla disoccupazione, dagli stimoli alla ripresa senza preoccuparsi inizialmente del rapporto deficit-Pil che, adesso, sta convergendo. Io sono assolutamente contrario invece all’approccio adottato dall’Unione Europea.

    Passaggio fondamentale è la riqualificazione professionale di chi riceve il sussidio. Per questo il ministro Giovannini chiede anche di ridisegnare i centri per l’impiego.

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    Ricerca sulla scuola in Italia: insegnanti scoraggiati ma non rassegnati

    ◊   E’ la carenza di risorse assegnate alla scuola italiana il primo problema indicato dagli insegnanti che hanno partecipato al sondaggio, realizzato dall’istituto di ricerca ‘Swg’ e commissionato da ‘Gilda’, il sindacato dei docenti. La fotografia scattata dall’indagine “Le problematiche dell’insegnamento e percezione di alcune proposte di riforma” è quella di un corpo docente, in Italia, scoraggiato ma non rassegnato. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Dalla ricerca, condotta su un campione rappresentativo di insegnanti intervistati telefonicamente e on line, emerge che il problema ritenuto più rilevante è quello delle scarse risorse assegnate alla scuola. Il prof. Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione nazionale presidi:

    “Le risorse destinate al sistema dell’istruzione sono sempre state molto risicate ed insufficienti. Questo è vero su tutti i fronti. E’ un dato storico nella nostra tradizione ‘politica’ che ha sempre guardato alla scuola come ad una istituzione di serie zeta”.

    Tra le criticità anche il limitato prestigio sociale di cui gode la categoria dei docenti:

    “È evidente che nel momento in cui la professione dell’insegnante è sotto retribuita attira anche meno; mentre ci sono alcuni Paesi in cui i migliori laureati sono quelli destinati a svolgere la funzione di insegnante nelle scuole, da noi non voglio dire che succeda il contrario però sicuramente quelli che hanno maggiori opportunità abbandonano il campo dell’insegnamento. Si affidano ad altri settori meglio retribuiti e più riconosciuti”.

    Gli altri problemi indicati dai docenti sono il numero eccessivo di alunni per classe, il blocco degli scatti di anzianità, l’età troppo elevata per la pensione, gli stipendi troppo bassi e l’inadeguatezza delle strutture. Ai docenti interpellati è stato anche chiesto un parere su diverse proposte. Il 56% degli intervistati dichiara, in particolare, di condividere quella di separare le aree contrattuali tra docenti e non docenti:

    “Se si vuole fare degli insegnanti dei veri professionisti nell’insegnamento e nel settore dell’istruzione, bisognerebbe tenere conto della loro particolare specificità. Come per i medici per i quali si fa un contratto a se stante e non insieme ad altre professionalità che operano all’interno del sistema della sanità. La ‘separatezza’ della negoziazione per il rinnovo dei contratti fa sì che ci sia una maggiore attenzione alle specificità del ruolo ed un minore livellamento, anche retributivo, tra docenti e personale non docente”.

    Sono in maggioranza contrari i pareri all’ipotesi di un aumento delle ore di insegnamento. Ancora il prof. Giorgio Rembado:

    “Questa è una questione molto controversa: se la contrarietà è rispetto all’aumento delle ore di insegnamento a parità di retribuzione, è più che comprensibile; se invece c’è un rifiuto assoluto nei confronti di una crescita delle ore, anche con un riconoscimento retributivo adeguato, è meno comprensibile”.

    La proposta formulata recentemente dal ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, di legare le progressioni di carriera e di retribuzione anche a fattori riguardanti il merito, riducendo quindi la rilevanza del parametro di anzianità, è infine accolta positivamente dal 54% degli insegnanti intervistati.

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    Da Assisi a Gubbio: le voci dei pellegrini sul Sentiero di San Francesco

    ◊   Prosegue il cammino dei 500 partecipanti all’iniziativa “Il sentiero di Francesco”, partito ieri mattina da Assisi e che domani si concluderà con l’arrivo dei pellegrini a Gubbio. Il percorso che vuole ricordare quello fatto dal poverello nell’inverno del 1206, è promosso dalle diocesi di Assisi e Gubbio in collaborazione con l’associazione Grenaccord Onlus. Il servizio di Marina Tomarro:

    Ripercorrere il cammino di Francesco, quello che da Assisi lo portò a Gubbio, tornare a riscoprire una natura quasi primordiale lungo il percorso e scoprirne i colori, gli odori, il silenzio apparente che la circonda. Sono tante le emozioni che accompagnano i pellegrini. Ascoltiamo alcuni commenti:

    R. - Si tratta semplicemente del sentiero della propria vita. Di seguire quello che è il tuo ideale, in questo caso San Francesco, e di seguire quello che è un percorso di vita. Una crescita interiore, un andare semplicemente fuori dagli schemi.

    D. – Cosa ti ha spinto a fare questo cammino?

    R. - L’incontro con la natura, così come San Francesco che amava la natura ed in questo incontro con la natura scoprire di nuovo il volto di Dio.

    D. – Francesco ha fatto questo percorso dopo la sua “spoliazione”. Cosa si lascia per strada e cosa invece si raccoglie?

    R. – Si lasciano per strada tanti pensieri superflui che potrebbero anche non esserci. E’questo ciò che insegna questa esperienza: basta poco, invece molte volte ci preoccupiamo per cose che non esistono nemmeno. Chissà, questo pellegrinaggio ci insegnerà proprio a saper gestire questi pensieri superflui e non ad eliminarli, perché comunque il contatto con la realtà non si può perdere; magari ci insegnerà a saperli “portare”.

    R. - Per me questo cammino è una grande liberazione. E poi stare insieme alle altre persone è una grande gioia.

    D. – Cosa si lascia quando si cammina lungo il sentiero e cosa poi si trova alla fine?

    R. – Credo che alla fine si trovi ancora più se stessi. È veramente così; si lasciano i problemi ed arrivi a trovare te stesso.

    R. – Mettersi in cammino con il cuore, seguendo anche l’esempio di Francesco e sapere che c’è una garanzia di incontrare l’amore: Cristo. Il cammino è personale. La prima cosa per un pellegrino è avere una meta che lo distingue dal vagabondo. La seconda cosa quando una persona si mette in cammino è tutta la sua storia. Sicuramente quando si inizia a camminare si rivede la propria vita e si comprendono tante cose. Io ho una speranza: quella di portare tanti amici a fare questa esperienza, perché aiuta il cuore, aiuta il corpo, aiuta la mente. Quando c’è armonia si è più capaci di scoprire Cristo.

    E alcuni ospiti speciali accompagnano i pellegrini. Infatti, al cammino partecipano anche 25 esemplari di lupi. Ascoltiamo Manuela Pinzan, dell’associazione Ali (Associazione Affidatari Allevatori del Lupo Italiano):

    E’ una grande emozione. Un grande onore anche perché San Francesco è stato da noi scelto come il Santo protettore dei lupi. I lupi qualche anno fa erano molto diminuiti e rischiavano l’estinzione se la situazione non migliorava; ma adesso, noi dell’Associazione Affidatari Allevatori del Lupo Italiano abbiamo preso in mano il registro anagrafico della razza. Ci teniamo moltissimo a partecipare ogni anno a questo evento importante, perché il lupo è veramente il segno di San Francesco, è il segno della capacità di ammansire anche gli animali più feroci.

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    Festival di Venezia. Mons. Celli consegna ad Amos Gitai il Premio Bresson

    ◊   Assegnato questa mattina nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia il Premio Bresson della Fondazione Ente dello Spettacolo e Rivista del Cinematografo al regista israeliano Amos Gitai. Un riconoscimento che ricorda come il cinema è riflesso della vita, finestra sul mondo, forma privilegiata di narrazione dell’esistenza e in molti artisti anche impegno morale e civile. Il servizio di Luca Pellegrini:

    Nei tempi gravi e densi di incognite delle crisi internazionali e dei pericoli di guerra che si levano dal Medio Oriente senza pace, è di inestimabile valore culturale e di coraggiosa testimonianza artistica l‘attribuzione del Premio Robert Bresson dell’Ente dello Spettacolo al regista israeliano Amos Gitai, anche in concorso alla Mostra con il suo ultimo film “Ana Arabia”. Il furore bellico da un lato, lo sforzo del dialogo dall’altro; le ragioni dei popoli vilipese dal clamore delle armi e dall’orrore delle violenze. Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, che ha consegnato questa mattina il riconoscimento al regista, ha fatto riferimento proprio ai fatti reali e attuali e ai segni che il cinema può incarnare, considerando l’appello di Papa Francesco:

    “Direi che questo regista israeliano abbia vissuto nella propria carne, nella propria esperienza personale, la sofferenza dell’immigrazione, abbia testimoniato nei suoi film ciò che l’uomo sperimenta e vive nella propria carne nell’esilio e nella guerra, tutte realtà che trasformano la vita, la quotidianità di uomo. Credo che, in questo momento, un premio come questo ad Amos Gitai abbia un significato ancora più profondo, perché lui viene da un ambiente, da una regione continuamente in difficoltà, in sofferenza. In questi giorni, specialmente la Siria è sotto gli occhi di tutti e nel cuore di tutti. Basti pensare a come ieri Papa Francesco, durante l’Angelus, abbia voluto ricordare a tutti noi la drammaticità di questo momento, la sofferenza, ma anche possibili sviluppi negativi per l’umanità. Mi sembra, quindi, che oggi questo premio dato ad Amos Gitai sia importante. Dal punto di vista filmico, infatti, da maestro, ha tratteggiato quelle che sono appunto le sofferenze degli uomini e delle donne di oggi, quando sono sottoposti e devono vivere, devono sperimentare quella che è l’immigrazione, l’esilio e la guerra. E’ molto positivo, direi, e particolarmente ricco per noi”.

    Anche don Ivan Maffeis, nuovo presidente della Fondazione, sottolinea l’importanza che questo Premio attribuisce alla testimonianza e all’opera cinematografica di Gitai:

    “Il premio che negli anni è stato dato a registi particolarmente impegnati, proprio nella ricerca spirituale del significato della vita, dell’esistenza di ciascuno, quest’anno viene appunto attribuito a Gitai ed è un riconoscimento di come la sua opera, quasi fosse una sequenza unica, sia stata una ricerca e una testimonianza della possibilità di tracciare il sentire di convivenza e di pace anche in popoli che, tante volte, vuoi per storia vuoi per pregiudizi vuoi per letture, sono uno da una parte e uno dall’altra, vivono di scomuniche reciproche, di muri eretti, di xenofobia culturale. Qui c’è una testimonianza, invece, di un uomo che, con la sua opera, quindi con la sua vita, ha cercato di tradurre quello che in fondo è l’appello di Papa Francesco: globalizzare la solidarietà e il dialogo in un mondo che, tante volte, ha globalizzato solo l’indifferenza”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Gregorio III: la Siria e il Medio Oriente uniti in preghiera con Papa Francesco per la pace

    ◊   "La Giornata di preghiera annunciata dal papa è un gesto straordinario di pace, che conferma il grande amore di Francesco per questa terra martoriata. Invitiamo tutti, cattolici, ortodossi, musulmani e non credenti a pregare con noi per la pace in Siria e Medio Oriente". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia, di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti in merito alla Giornata di preghiera per la Siria guidata dal Papa che si terrà in tutto il mondo il 7 settembre. Il prelato sottolinea che tutte le parrocchie della Chiesa greco melchita in Medio Oriente e nel mondo hanno già iniziato i preparativi per rispondere all'iniziativa: "In Siria - continua Gregorio III - terremo aperte le nostre chiese fino a mezzanotte, per permettere a tutti (cattolici, ortodossi e musulmani) di pregare. Le veglie si terranno ovunque sia possibile, anche se vi fossero meno 10 persone a parteciparvi". L'iniziativa del Papa giunge nei giorni in cui Stati Uniti, Francia e Paesi della Lega Araba stanno discutendo i preparativi per un'azione armata in Siria. Per Gregorio III, la vicinanza di Francesco e della Chiesa è fondamentale per tutta la popolazione siriana - cristiana e musulmana - che senza un sostegno rischia di perdere la speranza. Il patriarca spiega che l'8 settembre ricorre la festa della Nascita di Maria, molto sentita in Medio Oriente, soprattutto in Siria e Libano. "Noi ci affidiamo alla Madonna - conclude - al digiuno e alle veglie di preghiera vi saranno celebrazioni speciali nel santuario di Saidnaya (Damasco) e nei vari luoghi di culto mariani sparsi per il Libano". (R.P.)

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    Patriarchi e leader cristiani in Medio Oriente in preghiera con il Papa per la Siria

    ◊   I leader cristiani delle Chiese orientali accolgono e rilanciano l’accorato appello per la pace in Siria, lanciato da Papa Francesco all’Angelus di ieri. Come ribadiscono all'agenzia Fides diversi leader cristiani in Medio Oriente, l’appello “ha fatto breccia nei cuori a tutti i livelli, nei vescovi e nei semplici fedeli. Le comunità cristiane in Siria, in Medio Oriente e nella diaspora sono felici e di preparano a unirsi al digiuno e alla preghiera”. Ieri - riferisce l'agenzia Fides - il patriarca maronita di Beirut, card. Bechara Rai, ha fatto visita al patriarca greco ortodosso di Antiochia, Youhanna Yazigi, e i due leader si sono detti “profondamente confortati e dall’appello del Papa”, impegnandosi a sensibilizzare le rispettive comunità per la comune preghiera. In una dichiarazione congiunta diramata dopo l’incontro e pervenuta a Fides, i due leader chiedono “a tutti i paesi stranieri, nella regione o più lontani, di adoperarsi per risolvere il conflitto attraverso mezzi politici, diplomatici e pacifici”. Giudicando “inaccettabile che qualcuno distrugga la vita dei siriani” i due leader si dicono “contrari a qualsiasi intervento armato straniero in Siria”, ribadiscono che la guerra “non porta altro che distruzione e rovina”. “Vogliamo sempre parlare la lingua del dialogo e della pace”, afferma la nota. “Noi cristiani nel mondo arabo – ricordano – abbiamo contribuito a costruire la nostra cultura e le nostre società, una civiltà di convivenza e moderazione”. I cristiani, conclude il testo, “non saranno mai strumento di guerra e del traffico di armi”, ma confermano l’impegno a “costruire una società basata sul rispetto, sull’amore, sulla cooperazione con il prossimo”. (R.P.)

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    Siria: i musulmani e altri gruppi si uniscono all’appello del Papa

    ◊   Il Gran mufti di Siria, Ahmad Badreddin Hassou, leader spirituale dell'islam sunnita in Siria, è profondamente colpito dall’appello del Papa per la pace in Siria, pronunciate all’Angelus di ieri e ha espresso il desiderio di essere presente in San Pietro per la veglia di preghiera per la pace in Siria, annunciata da Papa Francesco per sabato 7 settembre. Come appreso dall’agenzia Fides, una richiesta esplorativa in tal senso è stata inviata dal leader islamico al nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, e nei prossimi giorni si valuterà, da ambo le parti, la fattibilità di questo desiderio. Anche se, per ragioni logistiche o di altro genere, questa eventualità non si verificherà, il mufti ha detto alla sua comunità a Damasco di “accogliere l’appello, esteso da Papa a tutte le religioni, a pregare per la pace in Siria”. I musulmani siriani saranno invitati a pregare per la pace il 7 settembre, in comunione e simultaneamente al Papa, nelle moschee a Damasco e in tutto il territorio nazionale. Secondo il mufti, “tutti avvertono che il Papa è un padre, che ha a cuore il futuro del popolo siriano tutto e che vuole proteggere tutta la società siriana, nelle sue diverse componenti, perché non sia distrutta da divisioni religiose e dal radicalismo”. I musulmani siriani vedono il Papa come “vero leader spirituale, libero da interessi politici, individuali o collettivi, come leader che parla per il vero bene del popolo siriano”. Come appreso da Fides da fonti locali, i gruppi musulmani, le comunità tribali, i drusi, gli ismaeliti e le altri componenti della società siriana si uniranno alla preghiera.(R.P.)

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    Egitto. Il Patriarcato copto cattolico: nessuno giustifichi la guerra col pretesto di difendere i cristiani

    ◊   “Nessuno può giustificare interventi militari in Medio Oriente con il pretesto di difendere i cristiani. Questo adesso vale in Siria. Ma anche nel momento drammatico vissuto dall'Egitto, vanno respinte le strumentalizzazioni di chi invita gli attori della comunità internazionale a intervenire con la scusa di proteggere i cristiani, colpiti dal fanatismo settario”. Così dichiara all'agenzia Fides padre Hani Bakhoum, segretario del patriarcato di Alessandria dei copti cattolici. “Come ha detto Papa Francesco” prosegue padre Hani “Non sarà mai un intervento armato a aprire la via verso una pace autentica. La guerra chiama guerra, il sangue chiama sangue. Ogni azione di quel genere non fa altro che peggiorare la situazione”. Anche in Egitto i cristiani si preparano alla Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria convocata da Papa Francesco per sabato 7 settembre. Poi, dal 20 settembre al 15 ottobre, il patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak visiterà alcuni Paesi europei con l'intento di descrivere in maniera diretta alle Chiese e alle classi politiche locali le dinamiche reali dell'attuale crisi egiziana e i criteri guida seguiti dai cristiani nella fase convulsa vissuta dal grande Paese nordafricano. Nel suo tour europeo, il patriarca Sidrak visiterà la Svizzera, la Francia, l'Austria e la Germania. (R.P.)

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    Siria: la preghiera per la pace con il Papa della Chiesa del Nord Africa

    ◊   I cattolici che vivono in Nord Africa hanno ben accolto l’invito al digiuno e alla preghiera per la pace in Siria lanciato dall’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi, e dal vescovo di Costantina, Paul Desfarges, poco prima dell’indizione da parte di Papa Francesco di una Giornata di preghiera e digiuno per il martoriato Paese mediorientale, sabato 7 settembre. Lo afferma mons. Claude Rault, vescovo di Laghouat-Ghardaia, in Algeria, in una lettera inviata il 30 agosto a mons. Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato di Gerusalemme dei Latini, con la quale la Chiesa cattolica in Nord Africa esprime solidarietà e vicinanza nella preghiera alla comunità cattolica del Levante. “Di fronte al dramma che sprofonda la Siria nella violenza e nella guerra fratricida - si legge nella missiva giunta all'agenzia Fides - e davanti alle ripercussioni nel vostro Paese, nelle Chiese e nelle Comunità musulmane della Regione, voglio manifestarle la nostra profonda solidarietà. Questa solidarietà si esprime attraverso la preghiera e con i legami fraterni stabiliti tra noi”. Mons. Rault sottolinea che “le Chiese della Giordania hanno ampiamente aperto le porte e i cuori a migliaia di rifugiati siriani al prezzo di pesanti sacrifici, accogliendo senza distinzione poveri cittadini di qualunque confessione religiosa. Lei ha particolarmente contribuito a questa apertura, chiedendo alla vostra comunità di mostrarsi generosa e accogliente”. Il vescovo di Laghouat-Ghardaia ricorda inoltre il recente incontro tra Papa Francesco e il Re Abdallah II di Giordania, al termine del quale in un comunicato la Santa Sede afferma che il dialogo è l’unica opzione per mettere fine al conflitto. Una posizione condivisa da mons. Lahham, che come ricorda mons. Rault, “attraverso la voce dei media” ha affermato che “un intervento militare esterno sarebbe una calamità e la peggior cosa per la Siria, e rischierebbe di scatenare una guerra che potrebbe prolungarsi ben al di là di questo Paese”. Mons. Rault conclude affermando: “Siamo coscienti che le cause di queste violenze insostenibili vanno oltre il Paese colpito. Anche se siamo sprovvisti di mezzi umani, vogliamo unire la nostra voce e la nostra preghiera alla vostra e a tutti gli artefici di pace che operano in Siria e altrove per la pacificazione e la riconciliazione”. (R.P.)

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    Terra Santa: le Carmelitane scalze in preghiera per la pace unite al Papa

    ◊   Le Suore di Carmelitane scalze in Terrasanta, religiose di clausura, accolgono “con intensa partecipazione” l’appello di Papa Francesco a una speciale preghiera per la pace in Siria. Contattata dall’agenzia Fides, suor Angela, superiora del Convento delle Carmelitane scalze di Haifa, spiega: “Abbiamo ascoltato l’appello del Papa, che ci ha colpito e profondamente commosso, soprattutto quando dice ‘dal profondo del mio essere’. Accogliamo con attenzione e viva partecipazione le forti parole di Papa Francesco. La Siria è nel nostro cuore e continueremo a pregare in modo incessante per la pace. Saremo pienamente unite al Papa. Pregheremo, secondo le indicazioni dei nostri vescovi di Terrasanta, simultaneamente con la veglia di preghiera sabato 7 settembre in piazza san Pietro. Preghiamo e speriamo che il Signore illumini le menti dei decisori, di quanti hanno nelle loro mani le sorti dei popoli. E’ ancora possibile fermare la guerra e costruire la pace in Siria”. “Noi suore di clausura, in quanto anima orante della Chiesa – prosegue suor Angela – portiamo il mondo, tutti gli eventi dell’attualità, nel nostro cuore. La nostra missione è pregare perché tutto sia orientato verso Dio. Come diceva S. Teresina: Nel cuore della Chiesa, mia madre, sarò l’amore. La guerra non è secondo Dio. Spesso noi qui in Israele siamo sotto tensione di una guerra imminente. Digiuniamo, preghiamo e speriamo per la pace in Medio Oriente”. (R.P.)

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    Colloqui israelo-palestinesi: mons. Shomali teme una terza Intifada

    ◊   «Il mio cuore mi dice che i colloqui di pace porteranno a una giusta soluzione. La mia mente però mi spinge a pensare al fallimento delle passate occasioni». Combattuto tra «speranza» e «scetticismo», mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina, parla con Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) dei negoziati israelo-palestinesi ripresi il 29 luglio scorso. Il presule palestinese preferisce non fare previsioni sul risultato dei negoziati. «Non voglio vestire i panni del profeta – dice ad Acs – ma solo continuare a pregare». Il suo unico timore, qualora non si riuscisse a trovare un accordo, consiste nell’eventualità di una terza intifada. «Le due passate hanno avuto conseguenze disastrose. Stavolta, qualunque sia l’esito dei colloqui, il dibattito deve rimanere in ambito politico». Per mons. Shomali, la minoranza cristiana può giocare un ruolo determinante nel raggiungimento della pace nella regione. I cristiani che partecipano in prima persona contribuiscono ai colloqui direttamente, mentre gli altri ricoprono una considerevole funzione mediatrice sia in Israele che in Palestina. Un’importante questione sul tavolo delle trattative è quella relativa a Gerusalemme Est. Per il suo vescovo ausiliare, la «Città Santa appartiene a due popoli e tre religioni, ognuno con pari diritti e dignità. Certo, serviranno dei negoziatori con una buona dose di creatività per trovare nuove soluzioni e far sì che Gerusalemme ed i suoi luoghi sacri continuino ad essere aperti a tutti». Intanto però sempre più cristiani abbandonano la capitale contesa, come riferisce ad Acs Yusef Daher, responsabile del Centro interconfessionale che difende i diritti dei cristiani in Terra Santa. «Gli arabi cristiani che vivono nella parte orientale non hanno la cittadinanza israeliana, ma solo un permesso di residenza che possono perdere con estrema facilità. È sufficiente risiedere al di fuori della città per un qualsiasi periodo di tempo, quanto basta ad esempio per andare a trovare dei parenti in Cisgiordania». Molti cristiani palestinesi lamentano inoltre disparità nella concessione dei permessi d’ingresso ai fedeli che durante le più importanti festività cristiane desiderano recarsi nei luoghi sacri. «L’atteggiamento dei soldati ai checkpoint è capriccioso - fa notare padre Louis Hazboun, parroco a Bir Zeit, piccolo villaggio poco distante da Ramallah – e a volte irrispettoso. È doloroso guardare un ragazzo di 18 anni decidere se un uomo di 80 possa passare o meno». Le difficoltà nel ricevere l’autorizzazione a oltrepassare il muro e le lunghe attese ai controlli, fanno sì che sempre meno cristiani dei territori occupati possano mantenere un impiego a Gerusalemme. «C’è un’intera nuova generazione di uomini desiderosi di costruirsi una famiglia – aggiunge padre Hazboun – che non può realizzare le proprie aspirazioni, perché non ha un lavoro. E ogni giovane che ne ha la possibilità, finisce per cercare fortuna all’estero». Nel mondo i cristiani palestinesi sono circa un milione, tuttavia solo il 20% vive in Terra Santa: 150mila in Israele e in 50mila nei territori palestinesi. «L’esodo dei fedeli da queste terre – spiega Yusef Daher ad Acs - non è stato costante, ma ha conosciuto grandi ondate migratorie. L’ultima considerevole ha avuto inizio nel 2000, proprio dopo la seconda Intifada». (A.T.)

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    Egitto: il deposto presidente Morsi rinviato a giudizio

    ◊   Mohamed Morsi, il presidente destituito a luglio dai militari, è stato rinviato a giudizio per presunte responsabilità nell’uccisione di alcuni manifestanti lo scorso anno: lo ha reso noto la procura generale dell’Egitto, mentre nelle stesse ore era annunciata la formazione di un comitato incaricato di redigere una nuova Costituzione. Nel comunicato diffuso dalla procura, si precisa che Morsi e alcuni dirigenti del suo movimento dei Fratelli musulmani saranno processati per l’uccisione di almeno dieci persone che a dicembre partecipavano a una manifestazione di protesta di fronte al palazzo presidenziale di Al Itihidaya. Secondo l’accusa - riferisce l'agenzia Misna - il capo dello Stato avrebbe ordinato a militanti dei Fratelli musulmani di aprire il fuoco contro i dimostranti dopo che la Guardia repubblicana e il ministero degli Interni si erano rifiutati di obbedire ai suoi ordini. Tra le persone rinviate a giudizio in relazione a questo episodio figura anche Mohamed El Beltagy, un dirigente di spicco dei Fratelli musulmani. Ieri, poco dopo l’annuncio della procura, il presidente ad interim Adly Mansour ha reso noti i componenti del Comitato dei 50 incaricato di redigere una nuova Carta fondamentale sulla base del piano di transizione imposto dai militari dopo il rovesciamento di Morsi. Del gruppo fanno parte vari dirigenti del movimento laico Tamarrod ma anche due esponenti dell’islam politico, l’intellettuale Kamel Al Helbaoui e Bassam Al Zarqa, vice-presidente del partito salafita Al Nour. Rappresentati anche Al Azhar, la più importante istituzione dell’islam sunnita, e le tre Chiese cristiane d’Egitto. (R.P.)

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    Congo: si combatte nel Nord Kivu. A Kinshasa l'inviata Onu

    ◊   Dopo alcune ore di tregua, da ieri sono ripresi gli scontri alle porte di Goma, capoluogo del Nord Kivu, tra le forze armate regolari (Fardc) e la ribellione del Movimento del 23 marzo (M23): lo ha riferito l’emittente locale dell’Onu Radio Okapi, ripreso dall'agenzia Misna, precisando che “come spesso accade le due parti si sono accusate a vicenda per il riaccendersi delle violenze”. Il portavoce delle Fardc, il colonnello Olivier Hamuli, ha dichiarato che l’esercito regolare “non ha fatto altro che rispondere agli assalti dei ribelli”. Questi sono accusati di aver attaccato i militari a Kanyaruchinya; le Fardc starebbero consolidando le proprie posizioni nei pressi di Kibumba. Venerdì avevano preso il controllo della collina chiamata delle “Tre antenne”, punto strategico a Kibati, 20 chilometri da Goma, da dove i miliziani lanciavano colpi di mortaio sulle popolazioni della città. Nelle ultime ore le truppe regolari sarebbero anche riuscite a entrare a Munigi, località sempre a 20 chilometri da Goma e considerata una delle roccaforti del gruppo ribelle. Diametralmente opposta è la versione dei fatti diffusa da Amani Kabasha, portavoce dell’M23, secondo il quale l’esercito congolese ha “violato il cessate-il-fuoco che abbiamo decretato unilateralmente mercoledì scorso, quando ci siamo ritirati dalla linea di fronte alle Tre antenne”. Da allora l’M23 avrebbe concentrato le proprie truppe a Mboga, all’entrata sud di Kibumba, e a Kabuye, nei pressi di Buhumba, non lontano dal confine col Rwanda. Sull’altro lato del confine, testimoni locali hanno riferito a fonti di stampa internazionale l’invio di rinforzi militari con truppe e blindati che si sono dispiegati nelle località vicine a Gisenyi, la città-gemella di Goma in territorio ruandese colpita da bombardamenti la scorsa settimana. Il ministro degli Esteri di Kigali, Louise Mushikiwabo, non ha confermato il rafforzamento militare pur riconoscendo che il Paese rimane in stato di allerta, “pronto a difendere i cittadini e il territorio”. E’ in questo contesto di forte instabilità sul terreno e di scambi di accuse tra il governo congolese e quello ruandese che l’inviata speciale dell’Onu per la regione dei Grandi Laghi, Mary Robinson, è arrivata a Kinshasa. L’ex-presidente irlandese visiterà oggi Goma per poi avere colloqui con i governi dei vicini Rwanda e Uganda, accusati da tempo di sostenere l’M23. “Il Congo e l’intera regione hanno bisogno di pace, di stabilità e di sviluppo economico. Questo potrà essere realizzato soltanto risolvendo le cause profonde del conflitto tramite un processo politico globale” ha dichiarato la Robinson, invitando le parti a “cessare immediatamente gli scontri militari e a lavorare per ristabilire la fiducia negli sforzi di pace”. Anche se i soldati del Sudafrica, della Tanzania e del Malawi che costituiscono la brigata offensiva della locale missione Onu (Monusco) stanno sostenendo militarmente l’esercito congolese, la comunità internazionale e regionale sta premendo per rilanciare i colloqui di pace tra Kinshasa e l’M23, bloccati da mesi. Giovedì a Kampala si terrà un vertice straordinario dei capi di Stato della Conferenza internazionale dei Grandi Laghi (Cirgl) per fare il punto della situazione in Nord Kivu, dal dispiegamento della brigata Onu all’attuazione dell’accordo regionale siglato lo scorso febbraio ad Addis Abeba per ristabilire la pace nell’est del Congo, in preda a una guerra ventennale. (R.P.)

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    Somalia: emergenza donne e bambini nei campi profughi

    ◊   Oltre un milione di persone vivono ancora sparse nei campi profughi somali, tra queste donne e bambini che vivono che quotidianamente corrono gravi rischi di violenze di ogni genere. Costretti a fuggire e abbandonare le rispettive case, a causa del conflitto armato e della siccità, si trovano ora a dover far fronte all’ulteriore trauma di vivere sotto minacce di aggressioni. In un comunicato dell’ong Amnesty International ripreso dall'agenzia Fides, si legge che molte donne vivono in tende di tela e plastica che non offrono alcun tipo di sicurezza. Alcune delle vittime sono giovanissime, tra queste una ragazza di 14 anni violentata di recente in un campo di Mogadiscio mentre si stava riprendendo da una crisi epilettica. Pochi di questi abusi e violenze vengono denunciati alla Polizia, che comunque non avvia né ricerche né procedimenti giudiziari contro i presunti carnefici. Seondo fonti locali, l’incapacità o la mancanza di disponibilità da parte delle autorità somale di indagare su questi reati e portare in tribunale gli autori lascia i sopravvissuti alle violenze sessuali ancora più isolati, e contribuisce ad un clima di impunità. Secondo l’Organizzazione della Nazioni Unite, nel 2012 sono stati registrati almeno 1.700 casi di violenze nei campi profughi della Somalia, dei quali almeno il 70% commessi da uomini armati e vestiti in uniformi del Governo. (R.P.)

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    Vietnam: più censura su Internet con Decreto 72

    ◊   La crescente popolarità dei social media preoccupa le autorità vietnamite che hanno deciso di ricorrere a una nuova legge specifica per limitare l’utilizzo di internet per diffondere e rilanciare informazioni, per dibattere questioni politiche, economiche o sociali, nel tentativo di bloccare quelle che considera manifestazioni di dissidenza. Ieri il governo ha pubblicato il Decreto 72, temuto e contestato ancora prima di diventare effettivo proprio per la durezza del contenuto emersa in fase di elaborazione. Con i nuovi provvedimenti, la possibilità legale di condividere online diventa pressoché nulla. Internet diventa, secondo le autorità, uno strumento esclusivamente “educativo”, utile a compattare il Paese attorno agli obiettivi definiti dal governo e dal Partito comunista, mentre Twitter e Facebook dovranno essere destinati esclusivamente a “fornire e scambiare informazioni personali”. La nuova legge - riferisce l'agenzia Misna - obbliga anche le Compagnie straniere che operano su internet in Vietnam ad avere i loro server nel Paese. Critiche severe sono arrivate dalle aziende, ma anche da gruppi internazionali per i diritti umani e dal governo statunitense attraverso la sua ambasciata ad Hanoi. Google e Facebook, tra gli altri, hanno comunicato il loro disaccordo con i regolamenti che, ritengono, vanno contro l’innovazione e la volontà di chi vuole investire nel Paese. Sono 35 i blogger o scrittori online finiti in carcere dall’inizio dell’anno in un Paese che l’ultimo Indice sulla libertà d’informazione pone al 172° posto al mondo su 179 in lista, subito dopo la Repubblica popolare cinese e appena prima dell’Iran. Si stima che almeno 1/3 dei quasi 90 milioni di vietnamiti abbia un accesso abituale a internet e che 12 milioni potrebbero essere già sotto una qualche forma di controllo governativo. (R.P.)

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    Polonia: la Chiesa commemora le vittime della Seconda guerra mondiale

    ◊   La Seconda guerra mondiale, iniziata con l’attacco contro la Polonia da parte della Germania di Hitler il 1 settembre 1939, “testimonia la debolezza del cristianesimo della prima metà del Novecento”: lo ha affermato ieri il vice presidente dei vescovi polacchi e arcivescovo di Poznan, mons. Stanislaw Gadecki. Ricordando i 56 milioni di vittime del conflitto, fra le quali 6 milioni di polacchi, il presule ha sottolineato che “da un punto di vista morale quella guerra è nata dalla superbia dell’uomo e come risultato dell’idolatria di ciò che non è Dio”, che anche oggi “devono far riflettere”. Il conflitto - riferisce l'agenzia Sir - è stato ricordato in particolare a Danzica, città attaccata per prima dalle truppe tedesche, dove l’arcivescovo Slawoj Leszek Glodz ha osservato che le celebrazioni di vari anniversari non solo preservano la memoria degli eventi ma contribuiscono a “trasmettere alle giovani generazioni i valori morali che sono il seme della nuova evangelizzazione”. Parlando nella cittadina di Wielun dove caddero le prime bombe, l’arcivescovo di Czestochowa mons. Waclaw Depo ha ricordato che Giovanni Paolo II paragonò la tragedia della Seconda guerra mondiale al calvario di Cristo, e ha messo in rilievo l’attualità della risposta di fede alla domanda sul male, giacché “siamo davanti all’incognita del genocidio in Siria e di un possibile conflitto che da atto di giustizia potrebbe trasformarsi nell’inizio di una nuova guerra”. (R.P.)

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    Venezuela: 10mila bambini lavoratori, sfruttati, drogati, abusati sessualmente

    ◊   Disoccupazione, sfruttamento, alcoolismo, tossicodipendenze, genitori assenti, aggressioni fisiche e abuso sessuale, e un sistema scolare carente sono i mali principali che affliggono le vite di tanti giovani venezuelani. Le disperate condizioni economiche costringono molte famiglie a far lavorare i propri figli per le strade. Il fenomeno - riferisce l'agenzia Fides - riguarda la maggior parte dei piccoli che vivono in America Latina in generale, e in Venezuela in particolare. I bambini di strada del Paese vivono rubando, mendicando, sono sfruttati, drogati, vittime di prostituzione. Secondo varie statistiche, in Venezuela sono circa 10 mila, anche se in realtà il numero di piccoli che vivono in condizioni di povertà critica sono molti di più. Le strade della città di Barquisimeto, capitale dello stato venezuelano del Lara, ad esempio, sono piene di bambini e adolescenti a rischio. Secondo la Fundación Instituto de Capacitación e Investigación, con sede a Caracas, dei quasi 1,6 milioni di bambini lavoratori venezuelani, 300 mila sono coinvolti in un tipo di economia formale, oltre un milione in quella informale e 200 mila in “attività marginali” come il traffico di droghe e il furto. Questi minori apportano un reddito fondamentale per le rispettive famiglie. Sebbene alcuni cerchino di mantenere il lavoro e continuare ad andare a scuola, molti finiscono per abbandonare gli studi in maniera definitiva. (R.P.)

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    Rammarico dell’Opera Romana Pellegrinaggi per articolo calunnioso

    ◊   L’Opera Romana Pellegrinaggi (Orp) “esprime rammarico” per quanto pubblicato oggi su “Il Fatto Quotidiano”. L’Opera Romana Pellegrinaggi precisa e puntualizza che è “errato parlare di ‘un cambio al vertice deciso all’improvviso e senza dare alcuna spiegazione’ poiché mons. Liberio Andreatta, che ricopre dal maggio 2007 il ruolo di vice presidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi, a seguito delle dimissioni di padre Cesare Atuire, ha assunto l’incarico di amministratore delegato ad interim. “Priva di ogni fondamento e del tutto calunniosa – prosegue il comunicato dell’Orp - è l’affermazione di una ‘presunta fuga di denaro… volata verso l’Africa assieme ad Atuire’ sulla cui onestà e onorabilità non è giusto dubitare”. L’Opera Romana Pellegrinaggi, conclude la nota, “a tutela della dignità delle persone e dell’istituzione, si riserva di adire le sedi opportune”. (A.G.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 245

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.