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Sommario del 24/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Antisemitismo, nuova condanna del Papa, che ricorda: oggi non pochi cristiani sono perseguitati
  • Il Papa: i cristiani prendano sul serio la propria fede, non vivano "all’acqua di rosa"
  • Tweet del Papa: "Essere cristiani vuol dire rinunciare a noi stessi, prendere la croce e portarla con Gesù"
  • L’ambasciatore Hackett: impegno Usa a collaborare con Papa Francesco per lo sviluppo umano
  • Pontificio Consiglio per la Famiglia e Caritas Italiana insieme per le famiglie della Siria
  • Convegno internazionale a Roma su "I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger"
  • Le altre udienze di Papa Francesco
  • “Un'altra Europa è possibile”: in un libro, i 20 anni di mons. Giordano nelle strutture europee
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Datagate: dopo la Francia, protesta la Germania. Obama rassicura la Merkel
  • Tunisia: 3 giorni di lutto nazionale dopo l’uccisione di 7 agenti dell’antiterrorismo
  • Giordania: al via convegno sul ruolo delle donne cristiane in Medio Oriente
  • Mali: attentato terroristico dei jihadisti provoca tre morti
  • Regno Unito: preoccupazione per il progetto di fecondazione in vitro con tre genitori biologici
  • Vertice europeo a Bruxelles sulla tragedia degli sbarchi e il ruolo dell’agenzia Frontex
  • Muore malato di Sla dopo incontro col governo. Il "Comitato 16 novembre": non è un Paese civile
  • "Microcredito donna": un progetto di imprenditoria femminile per sconfiggere la crisi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Giornata dell'Onu. Ban Ki-moon: "Conflitto in Siria la nostra sfida più grande"
  • Cina-India: accordo di pace sui confini
  • Mozambico: ritorno alla calma dopo escalation militare
  • Congo: preoccupazione nell’Est del Paese per una possibile ripresa delle ostilità
  • Africa. Mortalità infantile: maggiori progressi in Niger
  • Iran: cristiani condannati a 80 frustate per aver bevuto vino eucaristico
  • Kenya. I leader evangelici di Mombasa: “Non ci faremo intimidire dall’omicidio dei due pastori”
  • Bolivia: duemila bambini condannati a vivere in carcere insieme alle madri
  • I vescovi di Bolivia, Perù e Cile chiedono un'autentica integrazione regionale
  • Croazia: la famiglia al centro della 47.ma Plenaria dei vescovi
  • Canada. Messaggio dei vescovi per la Giornata di preghiera e solidarietà con i popoli autoctoni
  • Maratona di Pechino: i cattolici hanno corso per progetti caritativi
  • Auxilium, apre Anno accademico con prolusione di Sabbadini (Istat) su crisi economica e giovani
  • Il Papa e la Santa Sede



    Antisemitismo, nuova condanna del Papa, che ricorda: oggi non pochi cristiani sono perseguitati

    ◊   Quando una minoranza qualsiasi è perseguitata, tutta la società è in pericolo e tutti dobbiamo sentirci coinvolti: lo ha detto il Papa stamani, ricevendo in Vaticano la Delegazione del Simon Wiesenthal Center, un’organizzazione internazionale ebraica per la difesa dei diritti umani. Papa Francesco, ribadendo la condanna dell'antisemitismo, ha ricordato anche le persecuzioni che non pochi cristiani stanno oggi subendo nel mondo. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Era un appuntamento fissato già da tempo da Benedetto XVI, al quale Papa Francesco non manca di rivolgere il suo affettuoso pensiero e la sua preghiera. La delegazione ebraica aveva chiesto a Papa Ratzinger di poterlo incontrare:

    “Questi incontri sono da parte vostra un segno di rispetto e di stima per i Vescovi di Roma, del quale sono grato e al quale corrisponde la considerazione del Papa per l’opera alla quale vi dedicate: di combattere ogni forma di razzismo, intolleranza e antisemitismo, preservando la memoria della Shoah e promuovendo la comprensione reciproca mediante la formazione e l’impegno sociale”.

    Il Papa ribadisce ancora una volta, come fatto in queste ultime settimane, “la condanna della Chiesa per ogni forma di antisemitismo”, sottolineando “come il problema dell’intolleranza debba essere affrontato nel suo insieme”:

    “Là dove una minoranza qualsiasi è perseguitata ed emarginata a motivo delle sue convinzioni religiose o etniche, il bene di tutta una società è in pericolo e tutti dobbiamo sentirci coinvolti. Penso con particolare dolore alle sofferenze, all’emarginazione e alle autentiche persecuzioni che non pochi cristiani stanno subendo in diversi Paesi del mondo. Uniamo le nostre forze per favorire una cultura dell’incontro, del rispetto, della comprensione e del perdono reciproci”.

    Per la costruzione di una tale cultura, il Papa sottolinea “l’importanza della formazione: una formazione che non è solo trasmissione di conoscenze, ma passaggio di una testimonianza vissuta, che presuppone lo stabilirsi di una comunione di vita, di una ‘alleanza’ con le giovani generazioni, sempre aperta alla verità. Ad esse, infatti – ha aggiunto - dobbiamo saper trasmettere non solo delle conoscenze circa la storia del dialogo ebraico-cattolico, circa le difficoltà attraversate e circa i progressi compiuti negli ultimi decenni: dobbiamo soprattutto essere in grado di trasmettere la passione per l’incontro e la conoscenza dell’altro, promuovendo un coinvolgimento attivo e responsabile dei nostri giovani”:

    “In questo, l’impegno condiviso a servizio della società e dei più deboli riveste grande importanza. Vi incoraggio a continuare a trasmettere ai giovani il valore dello sforzo comune per rifiutare muri e costruire ponti tra le nostre culture e tradizioni di fede. Andiamo avanti con fiducia, coraggio e speranza. Shalom!”.

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    Il Papa: i cristiani prendano sul serio la propria fede, non vivano "all’acqua di rosa"

    ◊   Tutti i battezzati sono chiamati a camminare sulla strada della santificazione, non si può essere “cristiani a metà cammino”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha affermato che sempre nella nostra vita c’è un prima e un dopo Gesù, sottolineando che Cristo ha operato in noi “una seconda creazione” che noi dobbiamo portare avanti con il nostro modo di vivere. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Prima e dopo Gesù. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, prendendo spunto dal passaggio della Lettera ai Romani incentrato sul mistero della nostra redenzione. L’Apostolo Paolo, ha osservato il Papa, “cerca di spiegarci questo con la logica del prima e dopo: prima di Gesù e dopo di Gesù”. San Paolo considera il prima “spazzatura”, mentre il dopo è come una nuova creazione. E ci indica “una strada per vivere secondo questa logica del prima e dopo”:

    “Siamo stati ri-fatti in Cristo! Quello che ha fatto Cristo in noi è una ri-creazione: il sangue di Cristo ci ha ri-creato. E’ una seconda creazione! Se prima tutta la nostra vita, il nostro corpo, la nostra anima, le nostre abitudini erano sulla strada del peccato, dell’iniquità, dopo questa ri-creazione dobbiamo fare lo sforzo di camminare sulla strada della giustizia, della santificazione. Utilizzate questa parola: la santità. Tutti noi siamo stati battezzati: in quel momento, i nostri genitori - noi eravamo bambini - a nome nostro, hanno fatto l’Atto di fede: ‘Credo in Gesù Cristo”, che ci ha perdonato i peccati’. Credo in Gesù Cristo!”.

    Questa fede in Gesù Cristo, ha proseguito, “dobbiamo riassumerla” e “portarla avanti col nostro modo di vivere”. E ha aggiunto: “vivere da cristiano è portare avanti questa fede in Cristo, questa ri-creazione”. E con la fede, ha detto, portare avanti le opere che nascono da questa fede, “opere per la santificazione”. Dobbiamo portare avanti, ha ribadito, “la prima santificazione che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo”:

    “Davvero noi siamo deboli e tante volte, tante volte, facciamo peccati, imperfezioni… E questo è sulla strada della santificazione? Sì e no! Se tu ti abitui: ‘Ho una vita un po’ così, ma io credo in Gesù Cristo, ma vivo come voglio’… Eh, no, quello non ti santifica; quello non va! E’ un controsenso! Ma se tu dici: ‘Io, sì, sono peccatore; io sono debole’ e vai sempre dal Signore e gli dici: ‘Ma, Signore, tu hai la forza, dammi la fede! Tu puoi guarirmi!’. E nel Sacramento della riconciliazione ti fai guarire, sì anche le nostre imperfezioni servono a questa strada di santificazione. Ma sempre questo è: prima e dopo”.

    “Prima dell’Atto di Fede, prima dell’accettazione di Gesù Cristo che ci ha ri-creati col suo sangue – ha ripreso il Papa – eravamo sulla strada dell’ingiustizia”. Dopo, invece, “siamo sulla strada della santificazione, ma dobbiamo prenderla sul serio!” E, ha soggiunto, per prenderla sul serio, bisogna fare le opere di giustizia, opere “semplici”: “adorare Dio: Dio è il primo sempre! E poi fare ciò che Gesù ci consiglia: aiutare gli altri”. Queste opere, ha rammentato, “sono le opere che Gesù ha fatto nella sua vita: opere di giustizia, opere di ri-creazione”. “Quando noi diamo da mangiare a un affamato”, ha detto, “ri-creiamo in lui la speranza. E così con gli altri”. Se invece “accettiamo la fede e poi non la viviamo – ha avvertito - siamo cristiani soltanto a memoria”:

    “Senza questa coscienza del prima e del dopo della quale ci parla Paolo, il nostro cristianesimo non serve a nessuno! E più: va sulla strada dell’ipocrisia. ‘Mi dico cristiano, ma vivo come pagano!’. Alcune volte diciamo ‘cristiani a metà cammino’, che non prendono sul serio questo. Siamo santi, giustificati, santificati per il sangue di Cristo: prendere questa santificazione e portarla avanti! E non si prende sul serio! Cristiani tiepidi: ‘Ma, sì, sì; ma, no, no’. Un po’ come dicevano le nostre mamme: ‘cristiano all’acqua di rosa, no!’. Un po’ così… Un po’ di vernice di cristiano, un po’ di vernice di catechesi… Ma dentro non c’è una vera conversione, non c’è questa convinzione di Paolo: ‘Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo e essere trovato in Lui’”.

    Questa, ha detto, “era la passione di Paolo e questa è la passione di un cristiano!” Bisogna, ha proseguito, “lasciare perdere tutto quello che ci allontana da Gesù Cristo” e “fare tutto nuovo: tutto è novità in Cristo!”. E questo, è stato l’incoraggiamento del Papa, “si può fare”. Lo ha fatto San Paolo, ma anche tanti cristiani: “non solo i santi, quelli che conosciamo; anche i santi anonimi, quelli che vivono il cristianesimo sul serio”. La domanda che, dunque, oggi possiamo farci, ha detto, è proprio se vogliamo vivere il cristianesimo sul serio, se vogliamo portare avanti questa ri-creazione. “Chiediamo a San Paolo – ha concluso Papa Francesco – che ci dia la grazia di vivere come cristiani sul serio, di credere davvero che siamo stati santificati per il sangue di Gesù Cristo”.

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    Tweet del Papa: "Essere cristiani vuol dire rinunciare a noi stessi, prendere la croce e portarla con Gesù"

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet oggi: “Essere cristiani – scrive - vuol dire rinunciare a noi stessi, prendere la croce e portarla con Gesù. Non c'è altro cammino”. L'account @Pontifex sta raggiungendo i 10 milioni di follower: 4.008.800 in spagnolo, 3.122.200 in inglese, 1.236.900 in italiano, 836.700 in portoghese, 204.400 in francese, 178.300 in latino, 150.600 in tedesco, 138.100 in polacco, 95.400 in arabo per un totale di 9.971.400 follower (alle 15.25).

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    L’ambasciatore Hackett: impegno Usa a collaborare con Papa Francesco per lo sviluppo umano

    ◊   Collaborare con Papa Francesco nel promuovere lo sviluppo umano. E’ quanto si propone il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Kenneth F. Hackett, che lunedì scorso ha presentato le sue Lettere credenziali al Papa. Dal 1972 al 2012, il neo ambasciatore ha lavorato al Catholic Relief Services di cui è stato anche presidente. Dal 1996 al 2004 è stato vicepresidente di “Caritas Internationalis”. Al microfono di Tracey McClure, l’ambasciatore Kenneth F. Hackett si sofferma sul suo incontro con Papa Francesco:

    R. – I had never met the Holy Father before; I have met a lot of cardinals and …
    Non avevo mai incontrato il Santo Padre: ho incontrato tanti cardinali e uomini e donne di Chiesa nel mondo, ma non avevo mai incontrato il Papa. Ho letto e sentito e visto tanto di quello che ha fatto, per cui incontrarlo è stato entusiasmante. Gli ho detto che spero di poter lavorare insieme in molti ambiti che riguardano la dignità umana, i poveri, gli emarginati … Gli ho detto che nei miei molti anni di esperienza lavorativa ho sperimentato che molte persone di Chiesa sono coraggiose, intrepide; molti hanno fatto cose bellissime. A volte sentiamo parlare di aspetti negativi, mentre raramente si parla delle cose positive che si sono fatte nel mondo …

    D. – Lei si concentrerà sullo sviluppo umano a livello internazionale? Infatti, questo è l’ambito nel quale lei ha lavorato per 40 anni …

    R. – All of those areas, regrettably, are still in need …
    Tutti questi ambiti, purtroppo, richiedono ancora attenzione. Lo sviluppo umano a livello internazionale è un argomento del quale il Santo Padre ha parlato, e quando poi parla della situazione dei rifugiati, ovviamente questo riguarda anche l’aspetto del traffico degli esseri umani e dello sradicamento delle persone … Questo è un aspetto del quale il mio governo si interessa molto, ed è un ambito nel quale già collaboriamo con la Santa Sede, e continueremo a farlo. Se possiamo fare di più per favorire lo sviluppo umano e la pace, spero che potremo farlo e spero anche di poter utilizzare le conoscenze del passato per favorire in ogni modo questo impegno.

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    Pontificio Consiglio per la Famiglia e Caritas Italiana insieme per le famiglie della Siria

    ◊   "Le famiglie del mondo per le famiglie della Siria". È il progetto di raccolta fondi promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia con Caritas Italiana, a sostegno degli interventi di Caritas Siria. L’evento è stato presentato oggi a Roma in occasione del Pellegrinaggio mondiale delle famiglie alla Tomba di San Pietro, i prossimi 26 e 27 ottobre, con due giorni di incontri e celebrazioni con Papa Francesco. Un contributo potrà essere donato tramite SMS solidali da cellulare e chiamate da telefono fisso al numero 45594 (da domani al 28 ottobre); tramite versamento su C/C postale n.347013, specificando la causale “Famiglie per la Siria”; con bonifico su C/C bancario Unicredit, Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119; con pagamento con carta di credito online, sul sito www.caritas.it. Il servizio di Giada Aquilino:

    Un progetto della durata di un anno, una raccolta fondi, un’iniziativa per non abbandonare la Siria, per non lasciare che oltre 4 milioni di sfollati interni e più di 2 milioni di rifugiati in Giordania, Libano, Turchia e Iraq siano dimenticati. È il progetto “Le famiglie del mondo per le famiglie della Siria”, che punta a fornire aiuti umanitari ai siriani in difficoltà, soprattutto con bambini, alloggi temporanei ad almeno 300 famiglie sfollate e assistenza medico-sanitaria a malati, minori e anziani. Si prevede un aiuto complessivo ad oltre 5.400 famiglie, circa 20 mila persone. Caritas Italiana è stata nei campi di accoglienza al confine con la Siria. Paolo Beccegato, responsabile area internazionale:

    R. - Sia al confine nord con la Turchia, sia a quello ovest con il Libano, sia a quello sud con la Giordania abbiamo constatato come la famiglia siriana sia stata, in qualche modo, ridotta a brandelli. Abbiamo incontrato “brandelli di famiglia” nei campi profughi, nei centri di accoglienza. Perché le famiglie sono sostanzialmente quasi tutte spezzate: gli uomini sono costretti a restare in Siria a combattere e le donne con i bambini - ormai intorno al 30 per cento di loro - sono costrette a scappare o internamente alla Siria o all’esterno. La cifra impressionante di 6 milioni di profughi ne dà in qualche modo la misura, ne dà l’entità e noi ne abbiamo incontrato i volti. La durata di questa situazione che non vede una fine certa - sono già più di due anni di conflitto - dà non solo il segno della difficoltà quantitativa, della difficoltà di vivere, di sopportare una situazione, ma anche di quella psicologica, perché non si intravede una fine e quindi queste persone o scappano nel Paese o all’esterno. Quello che manca è proprio una speranza, una prospettiva di ritorno e di condizioni più favorevoli. Ecco perché la grande conferenza di pace ‘Ginevra 2’, che speriamo venga finalmente tenuta il mese prossimo, possa aver luogo e si possa quantomeno raggiungere una tregua duratura e una pace stabile.

    D. - C’è una storia particolare che avete conosciuto? Di qualche famiglia, di qualche donna con figli…

    R. - Sì, abbiamo incontrato molti profughi. In particolare ricordo una mamma che era scappata ed era appena arrivata in un centro di accoglienza di Caritas Giordania, quindi al sud della Siria: questa donna era provata dal viaggio, ma in qualche modo era contenta di aver raggiunto una salvezza, perché almeno era scappata dalle violenze più atroci. Il suo bambino riposava su un tavolo, con la testa adagiata su un sacchetto di pane appena consegnatogli e questa immagine trasmetteva una speranza per il futuro: almeno avevano trovato qualcuno che li accogliesse, che desse loro da mangiare e assicurasse una maggior stabilità e una maggiore sicurezza.

    L’ispirazione per l’iniziativa è venuta dalla grande giornata di preghiera e digiuno per la Siria indetta da Papa Francesco lo scorso 7 settembre. L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia:

    “Dalla stessa piazza - Piazza San Pietro - da dove è salita al cielo una preghiera per bloccare, in qualche modo, l’intensificarsi del conflitto, ora deve partire un gesto questa volta verso la terra, verso cioè quelle famiglie che - senza dubbio - stanno soffrendo in una maniera drammatica. Non ci sarà distinzione nell’aiuto: saranno aiutate famiglie cattoliche, ortodosse, musulmane o di qualsiasi altra tradizione. Mi ha fatto rabbrividire, in questi giorni, leggere su qualche quotidiano che i cecchini in Siria mirano e colpiscono le donne incinte: come a voler rendere l’inferno ancor più inferno! Tutto questo deve appunto finire”.

    Sulla situazione riscontrata nei campi di accoglienza, il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu:

    “È una realtà certamente di grande squilibrio, di grande emergenza, però di altrettanta accoglienza da parte, per esempio, della popolazione giordana e di Caritas Giordania. Senza farsi prendere dal panico, ma con una grande umanità, si mette in atto ciò che è veramente carità cristiana. Anche se il conflitto di fatto, quello dell’intervento armato a livello mondiale, è stato scongiurato, non per questo la causa siriana è conclusa. Anzi probabilmente è sempre lì, latente e merita la nostra attenzione”.

    Assieme al progetto, è stato presentato anche un video documentario realizzato in uno dei 200 campi profughi della Valle della Bekaa, in Libano. Elisa Greco, assieme a Federico Fazzuoli, lo ha curato:

    “Di fronte all’urgenza di un aiuto immediato, la speranza viene dagli occhi dei bambini: nel vedere il video si nota questo loro sorridere, nonostante tutto. Non è un caso che concludiamo il nostro documentario con uno sguardo sorridente di una donna, perché queste persone attendono, sono fiduciose nel futuro, anche se qualcuna poi ci ha detto di vivere con l’angoscia, perché loro sono lì, ma i mariti sono in Siria; e non sanno mai se arriverà qualche notizia che le colpirà fortemente al cuore”.

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    Convegno internazionale a Roma su "I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger"

    ◊   Studiosi di fama internazionale intervengono da oggi fino a sabato al simposio “I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger”, che si tiene presso la Pontifica Università Lateranense ed è promosso dalla Fondazione vaticana “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”. Sono oltre 450 gli iscritti provenienti da oltre 100 università di tutto il mondo. Sabato mattina in Vaticano, Papa Francesco consegnerà il premio “Ratzinger” al teologo tedesco Christian Schaller e al ministro della Comunione anglicana Richard Burridge, decano del King's College di Londra. Al centro della prime due giornate di lavori, la ricerca sul Gesù dei Vangeli e la teologia in questi contenuta. Il terzo giorno sarà affrontata la proposta del Gesù di Nazareth di Benedetto XVI. Debora Donnini ha intervistato uno dei relatori, padre Bernardo Estrada, professore di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma e consigliere del Comitato scientifico del Simposio:

    R. – Prendendo spunto dalla ricerca di Joseph Ratzinger nei suoi tre volumi del “Gesù di Nazaret” volevamo mettere in risalto proprio i due grandi aspetti che ogni Vangelo contiene: da una parte il riferimento storico che non può mancare e dall’altra la dimensione teologica. Nei Vangeli, infatti, non si raccontano soltanto cose riguardo a Gesù di Nazaret, ma è presente anche la fede della comunità cristiana che ha visto in Gesù fin dall’inizio e soprattutto – come è logico – dopo la Pasqua, Colui che è morto e risorto.

    D. – Anche gli studi più recenti sono a favore della storicità della morte e Risurrezione di Gesù?

    R. – Sì. In realtà, la dimensione teologica non si può staccare dal fatto storico. Fino al 1920 c’era una spaccatura quasi inconciliabile tra i dati storici e la possibilità di credere in Gesù come Figlio di Dio a partire dai Vangeli. All’inizio si pensava che solo la dimensione o l’approccio storico fosse quello legittimo. Proprio la nuova ricerca, a partire soprattutto, per la parte cattolica, dal Concilio Vaticano II e dall’Istruzione Sancta Mater Ecclesia - che questa mattina abbiamo messo in risalto - ha illustrato che sono perfettamente compatibili le due cose. E questo lo dice molto bene Benedetto XVI quando afferma che la fede non può prescindere dal fatto storico, perché altrimenti sarebbe ridotta ad un mito, si ridurrebbe soltanto ad una serie di invenzioni umane. L’ancoraggio storico, invece, è quello che dà tutta la forza al kérygma cristiano. Sui fatti, la cosa più importante dal punto di vista storico, logicamente è che Gesù ha predicato, che ha annunciato un messaggio che era nuovo, e che poi è morto. La sua morte senza la fede avrebbe potuto essere considerata in un senso “piatto” come la morte di una persona tra tante. Ma la Chiesa, fin dall’inizio, ha creduto che quell’uomo crocifisso è anche il Signore, perché è risorto dai morti. E certo, nessuno ha visto Gesù risorgere, però ci sono due fatti storici che accompagnano la Risurrezione di Cristo: quelli sì, fanno parte della dimensione reale della Risurrezione e sono da una parte la tomba vuota e dall’altra le testimonianze dei discepoli che hanno visto il Risorto.

    D. – E’ interessante notare che gli evangelisti raccontano che le prime testimoni della Risurrezione sono state le donne, quando allora la testimonianza delle donne nei processi non aveva valore. Quindi, questa è ancora una prova a favore della storicità della Risurrezione?

    R. – Esattamente. Forse è la prova più forte, il fatto che ci siano testimoni autentici della Risurrezione, cioè se la Chiesa primitiva avesse creato o inventato i racconti della Risurrezione, gli ultimi testimoni a cui avrebbe pensato sarebbero state le donne! I Vangeli mostrano invece che i primi testimoni sono proprio le donne e questo è una prova a favore della storicità.

    D. – Anche grazie agli ultimi studi papirologici, i Vangeli sempre più vengono considerati testi storici, non invenzioni della comunità cristiana …

    R. – Certo, perché è proprio quella tradizione di Gesù che la Chiesa conserva. Poi, gli stessi Vangeli, con quattro forme diverse – difatti Sant’Ireneo ha coniato quell’espressione che è veramente magnifica “Il Vangelo quadriforme” – sono il messaggio su Gesù Salvatore, Figlio di Dio, che viene espresso in quattro forme diverse. A volte sembra che ci siano “tensioni”, alcune persone parlano di contraddizioni, anche se contraddizioni nel senso tecnico della parola non ci sono, ma la diversità di racconti è anche una testimonianza forte a favore della storicità dei Vangeli, perché fa vedere che gli evangelisti non si erano messi d’accordo, che le cose che raccontano – anche se diverse – hanno un nucleo che è essenzialmente lo stesso.

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    Le altre udienze di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Altezza Reale il Principe Guillaume, il Gran Duca Ereditario del Granducato di Lussemburgo, con la Principessa Stéphanie, e Seguito; mons. Paul Richard Gallagher, Arcivescovo tit di Hodelm, Nunzio Apostolico in Australia; mons. Giuseppe Pinto, Arcivescovo tit. di Anglona, Nunzio Apostolico nelle Filippine; mons. José Horacio Gómez, Arcivescovo di Los Angeles (Stati Uniti d’America); mons. Camillo Ballin, M.C.C.J., Vescovo tit. di Arna, Vicario Apostolico dell’Arabia del Nord, con mons. Paul Hinder, O.F.M. Cap., Vescovo tit. di Macon, Vicario Apostolico dell’Arabia del Sud, e con padre Aldo Berardi, O.SS.T., Vicario Episcopale per l’Arabia Saudita.

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    “Un'altra Europa è possibile”: in un libro, i 20 anni di mons. Giordano nelle strutture europee

    ◊   “Un'altra Europa è possibile”: è questo il titolo del libro di mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa, edito da San Paolo e appena arrivato nelle librerie. Si tratta di un libro-intervista in cui, rispondendo alle domande di Alberto Campoleoni, mons. Giordano riflette sulle maggiori sfide per il Vecchio Continente e racconta la sua esperienza per diversi anni come segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (1995-2008) e poi dal 2008 come osservatore permanente a Strasburgo. Fausta Speranza ha chiesto a mons. Giordano innanzitutto quale Europa sia possibile:

    R. - A me sembra che la questione sia quella della libertà. L’Europa ha maturato nei secoli e negli ultimi decenni un grande amore per la libertà: però oggi noi vediamo che la libertà che si afferma sui nostri sentieri è una libertà fortemente individualistica, che è centrata su un “io” che si ingigantisce sempre di più. Credo che allora dobbiamo riprendere e approfondire il concetto di libertà, fino a scoprire che, in realtà, la libertà è il luogo del rapporto con l’altro, il luogo del rapporto anche con il tutt’altro e quindi anche il rapporto con la nostra origine e con Dio. Quindi, dobbiamo superare un’Europa che si richiude su se stessa a livello culturale, dove l’“io” vuole decidere tutto, anche decidere il proprio sesso, decidere come fare i figli, decidere su tutti i valori. Per riscoprire, invece, che la libertà è un luogo che è costituito dal rapporto con un Padre, dal rapporto con l’altro e dal rapporto con dei valori che esistono in se stessi. Non tocca a noi decidere il valore della vita, ma dobbiamo scoprire il mistero della vita; non tocca a noi inventarci la bontà o inventarci la verità, dobbiamo scoprire che esiste una verità, che esiste una bontà e che esiste una bellezza.

    D. - Mons. Giordano, negli ultimi anni si è parlato moltissimo di crisi economica: è stato doveroso farlo anche perché a pagarne il prezzo sono stati i cittadini… Ma come avere uno sguardo non ristretto anche sui temi economici?

    R. - Credo che gli elementi nuovi per l’aspetto economico siano l’elemento della giustizia, l’elemento etico, l’elemento della solidarietà e l’elemento della gratuità. L’Europa ha avuto un grande ruolo a livello economico, oggi però sembra che siamo deboli anche su questo e allora credo che solo un’economia che riscopra la solidarietà e che abbia il coraggio della solidarietà, potrebbe essere un’Europa in grado di tornare a dire qualcosa veramente all’umanità.

    D. – Papa Francesco è arrivato a scuotere le coscienze in quella che ci ha insegnato a definire la “globalizzazione dell’indifferenza”. Lei, che da anni vive nel cuore dell’Europa, cosa può dirci di come si vive nel cuore delle istituzioni la scossa che Papa Francesco sta dando al mondo? Una scossa cominciata con l’annuncio del nome scelto: Francesco …

    R. - Vedo nella mia esperienza, anche presso le istituzioni europee, un grande interesse e una grande simpatia per la figura e per la proposta che viene da Papa Francesco. Davanti a un’Europa e davanti a un mondo che sembra non trovare dei sentieri di novità, la figura del Papa oggi appare sempre di più una figura di riferimento e anche un segno di speranza, perché è la speranza che spesso manca sulle nostre strade. Trasmette l’intuizione che l’umanità può percorre degli altri percorsi: non siamo obbligati a camminare sempre su certe strade; non si è obbligati a risolvere il problema tra i popoli con la violenza; non siamo obbligati ad impostare dei rapporti tra i popoli basati sul commercio delle armi; non siamo obbligati a lasciar morire di fame intere popolazioni. Si intuisce nel suo messaggio che se l’uomo torna alla sua radice più profonda e anche la Chiesa ritorna a riscoprire veramente la sua vocazione più bella e più profonda, questa è una novità. Qualche giorno fa c’è stato al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa un dibattito sulle migrazioni e il Papa è stato citato per le sue parole sul primato della persona. E’ stato ricordato il suo viaggio a Lampedusa, dove il Papa ha affermato che la persona ha la priorità e che quindi tutto il resto deve ruotare intorno a questa priorità. Ecco, questo mi sembra che crei novità politica e crei novità anche per le economie.

    D. - C’è una parabola da raccontare in relazione a questi 20 anni che lei ha trascorso prima al Consiglio delle Conferenze episcopali europee e poi come osservatore permanente a Strasburgo?

    R. - Io ho visto un’Europa che si confrontava con la caduta del muro, un’Europa che è caduta nel baratro della guerra dei Balcani e poi un’Europa che è stata sfidata sempre di più dalla globalizzazione, con i nuovi temi globali, come la crisi energetica, come la crisi delle finanze, come la questione drammatica del terrorismo. Ecco, in questa storia dell’Europa che ho visto delinearsi, il problema che è sempre stato più chiaro è la ricerca di una luce. E questo cammino di ricerca - mi sembra - ci riapra il cielo azzurro sull’Europa: abbiamo avuto l’impressione che si tentasse di chiudere il cielo sull’Europa e adesso ci sono, invece, degli europei che vogliono riaprire il cielo e quindi riaprire una speranza, riaprire una trascendenza e soprattutto riaprire la questione di Dio. Oggi mi sembra che ci sia di positivo che riprendiamo un cammino in questo senso. Questa mi sembra un po’ la parabola che ho visto in questi anni.

    D. - In questi anni si è parlato molto di un’Europa multiculturale, un’Europa che cambiava il volto, un’Europa che è nata cristiana, che ha le sue radici giudeo-cristiane anche se poi non sono state espresse nero su bianco, ma che ha assunto con le migrazioni volti molteplici diremmo così. Che dire di questo multiculturalismo?

    R. - Mi sembra che la prima cosa sia ancora notare che se pensiamo alla grande Europa, all’Europa continentale, siamo 800 milioni di europei e tra questi 800 milioni, la più grande parte è battezzata: circa 600 milioni sono battezzati cristiani. Quindi mi sembra che Papa Francesco innanzitutto voglia risvegliare quel Battesimo che appartiene ancora alla gran parte degli europei. Io constato che in Europa si sa troppo poco del cristianesimo o si conoscono molte – direi – “maschere” del cristianesimo. Mi sembra che Papa Francesco voglia ridare all’Europa e al mondo il volto autentico del cristianesimo. Se i cristiani oggi in Europa riscoprono ciò che sono, saranno poi testimoni e evangelizzatori, saranno in grado di dialogare: sarà questo popolo che riscopre il suo essere, che poi sarà capace di fare una certa politica, sarà capace di difendere certi valori. Io ci credo senz’altro, perché credo nel Vangelo e nella sua forza.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Oltre il muro dell'intolleranza: a una delegazione del Simon Wiesenthal Center il Pontefice ricorda anche la sofferenza dei cristiani perseguitati.

    Washington e Berlino divise dal Datagate: sarebbe stato controllato il cellulare di Merkel.

    In cultura, l'incontro di studi per la ventunesima plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia: gli interventi dell'arcivescovo Vincenzo Paglia e di Lucetta Scaraffia.

    Dio è un espressionista: Klaus Berger sull'attendibilità dei Vangeli.

    Parole chiare e dritte al segno: Inos Biffi sul linguaggio plastico delle omelie del Papa.

    Piccole, grandi erosioni della liberà religiosa: il cardinale arcivescovo di Sydney, George Pell, al Marcianum.

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    Oggi in Primo Piano



    Datagate: dopo la Francia, protesta la Germania. Obama rassicura la Merkel

    ◊   Il cosiddetto “datagate”, lo scandalo delle intercettazioni telefoniche da parte dell’intelligence americana, sta creando forti imbarazzi tra le cancellerie europee e Washington. Dopo il coinvolgimento della Francia, ieri è trapelata la notizia del controllo sulle comunicazioni del cancelliere tedesco, Angela Merkel, che ha subito telefonato al presidente Obama. Il capo della Casa Bianca, attraverso il suo portavoce, ha negato la circostanza. Tuttavia, oggi a Bruxelles è previsto un incontro tra la Merkel e il presidente francese Hollande, mentre l’ambasciatore Usa a Berlino è stato convocato al Ministero degli esteri per chiarimenti. Sulla vicenda, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Bozzo, docente di Studi Strategici e Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:

    R. – Stiamo parlando di cose che sono ben note da anni, cioè lo spionaggio effettuato dagli Stati Uniti ma più in particolare dai Paesi di cultura anglosassone nei confronti non soltanto dei propri avversari, ma anche dei propri alleati e non solo per ragioni di sicurezza, ma anche per ragioni industriali, economiche, commerciali. Ciò detto, è evidente che quando tale segreto diviene di pubblico dominio per l’opinione pubblica internazionale, non può che creare situazioni evidentemente estremamente imbarazzanti per coloro che hanno effettuato queste operazioni. La reazione tedesca è una reazione che era facile prevedere, come era facile prevedere quella francese o di eventuali altri Paesi alleati maggiori degli Stati Uniti che dovessero scoprire di essere stati controllati, spiati ovviamente non soltanto nelle azioni delle loro autorità statuali, ma eventualmente anche nei confronti di privati cittadini, come è stato accertato – per esempio – nel caso francese. Evidentemente, questa è una violazione della privacy ed è chiaro quindi che un sistema di questo genere colpisce tanto il pubblico quanto il privato, perché il privato oggi non è meno interessante del pubblico, e perché la stessa distinzione tra pubblico e privato ormai è quasi priva di ogni significato.

    D. – Che conseguenze può avere questa vicenda nel momento in cui i Paesi occidentali devono fare fronte comune rispetto alle gravi crisi in atto, prima fra tutte quella siriana?

    R. – Indubbiamente, la situazione è estremamente imbarazzante; che questo poi degeneri portando ad una frattura maggiore, mi pare in questo momento poco probabile, perché ci sono in gioco interessi maggiori. Certo è che se continuassero a venire fuori storie come quelle di cui si è letto in questi ultimi giorni, la crisi non sarebbe facilmente controllabile. E c’è di fondo un dato, che è innegabile: dopo la fine della Guerra fredda, l’Oceano atlantico si è “allargato”; gli interessi di chi sta oltreoceano sono oggi diversi rispetto che in passato, rispetto agli interessi nazionali e anche europei di noi che stiamo su quest’altra sponda dell’Oceano Atlantico.

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    Tunisia: 3 giorni di lutto nazionale dopo l’uccisione di 7 agenti dell’antiterrorismo

    ◊   Da oggi a sabato, in Tunisia è lutto nazionale in onore dei sette agenti della Guardia nazionale uccisi, ieri pomeriggio, a Sidi Bouzid, da un gruppo terroristico islamico. Lo ha annunciato il presidente della Repubblica, Marzouki, sottolineando che saranno messi a disposizione dell'apparato militare e di sicurezza “tutti i mezzi per battere il flagello del terrorismo”. Oggi disordini si sono registrati ai funerali di alcuni degli agenti uccisi e nella città di Kef è stata presa d'assalto la sede del partito "Ennahda" al governo. Fausta Speranza ha parlato del delicato momento che attraversa la Tunisia, a un anno dalle prime elezioni democratiche, con Luciano Ardesi, esperto dell’area del Maghreb:

    R. - Fa parte di una strategia della tensione che è in corso da molti mesi, da quando l’opposizione ha chiesto le dimissioni del governo. Ieri, il capo del governo si è anche impegnato a intraprendere una strada che porti a nuove elezioni; che porti innanzi tutto alle dimissioni del governo e poi a nuove elezioni. Però questi episodi, tensioni, manifestazioni contrapposte, fanno sì che questi propositi, che sono in corso da almeno sei mesi, vengono puntualmente smentiti.

    D. – Qual è il dialogo possibile in questo momento in Tunisia tra l’opposizione e le forze governative?

    R. - Credo che il governo si sia rassegnato a farsi da parte - almeno momentaneamente - per favorire quindi la nascita di un governo tecnico che porti alla conclusione dei lavori della costituente, bloccata da oltre tre mesi; quindi una nuova costituzione e infine elezioni sulla base di una nuova legge elettorale. Ma è proprio questo percorso che ogni volta si trova interrotto da episodi tragici come gli scontri con i fondamentalisti e terroristi salafiti come le uccisioni di esponenti politici, come è accaduto in febbraio e nel giugno scorso.

    D. - Dunque la Tunisia è in piena fase di transizione. È così?

    R. - Il dramma è che non si sa bene verso quale transizione. Naturalmente, tutti abbiamo sperato che dalla rivolta di oltre due anni fa uscisse una democrazia compiuta. Questo non è ancora accaduto, anche perché le forze politiche in campo dimostrano delle divisioni che non riescono a comporsi. Tutto questo avviene sul terreno sociale economico disastrato da una crisi economica che naturalmente ha investito la Tunisia come altri Paesi del Mediterraneo e del mondo, ma che in questo caso è accentuata dall’incertezza che in questi ultimi mesi ha portato i gruppi terroristi che colpiscono soprattutto le parti interne del Paese e destabilizzano il quadro politico e che certamente anche scoraggiano l’investimento straniero.

    D. - In tutto questo la strategia del terrore qual è? Qual è l’obbiettivo?

    R. - Naturalmente l’obiettivo è quello di poter compiere la transizione verso una democrazia di tipo islamico, come del resto era nei programmi di "Ennahda" prima di andare al governo. C’è chi sospetta nelle opposizioni di centro e di sinistra che "Ennahda" abbia preso potere proprio per facilitare questa transizione. Va detto che questo disegno si è scontrato immediatamente con una forte opposizione della popolazione e anche con il clamoroso insuccesso da parte del governo di "Ennahda" di assicurare un minimo di benessere e tranquillità alla popolazione.

    D. - Oggi c’erano due appuntamenti importanti: uno doveva essere l’avvio del dialogo e l’altro una conferenza stampa del premier che a questo punto non c’è stata sicuramente nei termini in cui sarebbe stata prima dell’attentato. Questo ha confermato che, vista la situazione molto delicata, lui resta premier …

    R. - Il sospetto è che questi incidenti, che puntualmente accadono nei momenti cruciali in cui questo dialogo dovrebbe avere luogo, siano provocati ad arte da chi non vuole favorire una transizione verso la democrazia, quindi verso il dialogo nazionale che è rimasto sospeso e a quanto pare rimarrà sospeso ancora una volta dopo gli episodi di ieri e di oggi.

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    Giordania: al via convegno sul ruolo delle donne cristiane in Medio Oriente

    ◊   Si apre oggi ad Amman, in Giordania, con una relazione del Patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, sul ruolo delle donne nella vita della Chiesa e della società in Medio Oriente, il convegno dedicato al servizio reso dalle donne credenti “alla vita, alla dignità e al bene comune”. Sulle ragioni di questo incontro, che prevederà le testimonianze di diverse donne cristiane arabe impegnate in campo politico e sociale, Cecilia Sabelli ha intervistato Maria Giovanna Ruggieri, presidente dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche, promotrice dell’iniziativa:

    R. – Sicuramente, quello che ci ha spinto quando abbiamo pensato a questa conferenza, è stato il desiderio di conoscere, perché per il resto del mondo - se così si può dire - questa parte del mondo, almeno da quello che ci trasmettono i media, è visto sempre in maniera un po’ monolitica. La gente quasi non crede che possano esistere delle comunità cristiane in questa parte del mondo, perché da quello che conosciamo - vorrei anche dire abbastanza superficialmente a volte - c’è una cultura predominante e una religione predominante, per cui non esiste nient’altro. Invece scopriamo che ci sono diverse comunità cristiane. Quindi da un lato abbiamo il desiderio di conoscerle e di ascoltare la loro realtà, la loro esperienza e, dall’altro, di far sentire loro la vicinanza del resto del mondo, perché spesso lamentano che noi non siamo molto attenti alla loro realtà. Noi consideriamo questo incontro un primo passo. Il nostro impegno è fondamentalmente un impegno formativo: l’obiettivo dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche, di questa organizzazione che io presiedo, è quello della formazione delle donne, per far avere loro un ruolo attivo e partecipativo sia nella vita ecclesiale che nella vita civile. Quindi, in prospettiva, se ci sarà la possibilità, pensiamo di dare ancora il nostro contributo, di essere ancora presenti. Però, per adesso, l’obiettivo è questa conoscenza.

    D. - Nell’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente di Benedetto XVI, alla quale vi ispirerete nel corso dei lavori, il Papa emerito invita a un maggior coinvolgimento delle donne nella vita pubblica ed ecclesiale. Qual è, in questo senso, la situazione dell’area in cui vi trovate?

    R. - Rispetto a questa situazione, noi vogliamo anche ascoltare i perché. Qui è presente un’ex ministra dell’Iraq. Le donne di quest’area, almeno quelle che hanno fatto anche un percorso professionale, hanno abbastanza chiaro il loro ruolo, almeno in termini sociali. Il problema è più a livello ecclesiale, dove - questo almeno è quello che superficialmente si percepisce un po’ - questa partecipazione nella vita ecclesiale è più di carattere esecutivo. Vediamo, anche con le sollecitazioni di Papa Francesco, che c’è possibilità di fare e di essere di più e non soltanto degli esecutori nella vita ecclesiale e quindi di aiutarci reciprocamente anche in questo: nell’essere più propositive e non soltanto ‘esecutive’ nella vita ecclesiale; dobbiamo riscoprire il ruolo femminile: il ruolo di questo famoso genio femminile di cui parlava Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem, e che deve essere appunto anche propositivo. E’ una questione di credere che c’è una specificità femminile che possa essere messa la servizio della comunità ecclesiale e che noi donne stesse ancora facciamo qualche fatica a tirar fuori.

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    Mali: attentato terroristico dei jihadisti provoca tre morti

    ◊   Un bambino e due soldati ciadiani hanno perso la vita in un attentato terroristico nel Nord del Mali, rivendicato da un gruppo jihadista legato ad Al Qaeda nel Maghreb islamico. Il governo di Bamako si trova a fronteggiare da un lato il problema degli estremisti, dall’altro la necessità di decentralizzazione dei tuareg. Intanto, la missione Onu “Minusma” sta per essere riorganizzata: la Francia ridurrà di 3 mila unità i suoi militari, mentre la Cedeao, la Comunità ecomomica degli Stati africani dell’Ovest, dovrebbe fornire il doppio delle attuali truppe presenti sul territorio. Sui probabili scenari futuri del Mali, Elvira Ragosta ha intervistato il prof. Gian Paolo Calchi Novati, docente di Storia dell’Africa e responsabile del Programma Africa dell’Ispi:

    R. - Ci sono molte incognite: la vera indipendenza dalla Francia - certe dichiarazioni di Ibrahim Boubacar Ketta o Ibk, come viene chiamato, lasciano intendere una forte dipendenza - e anche la posizione del Ciad, che ha avuto un ruolo decisivo nella guerra del Nord del Paese dei primi mesi dell’anno. Ci sono due incognite: una interna, perché il nuovo governo ha reintegrato un po’ tutte le personalità e le forze, compreso il capitano Sanogo - che aveva fatto un colpo di Stato e che è stato considerato uno dei responsabili della crisi generale - che è diventato invece un alto dirigente dell’esercito; il secondo punto è l’effettiva integrazione nel nuovo Mali della regione del Nord, perché se è vero che la guerra francese ha disperso forse verso nuovi campi di battaglia, le forze jihadiste vere e proprie, le forze autonomiste tuareg sono rimaste e hanno stabilito anzi un rapporto di collaborazione con la Francia. Ci si chiede che cosa può avere promesso la Francia o che cosa il nuovo governo potrà concedere alle esigenze, alle aspirazioni autonomiste dei tuareg. Viene, forse, addirittura, il momento della decisione sul futuro di questa immensa regione settentrionale, che è sempre stata un po’ marginale rispetto allo Stato, che periodicamente scende in guerra per imporre le proprie esigenze e i propri diritti.

    D. - L’attentato che ha provocato la morte di due soldati ciadiani è stato rivendicato dal Movimento per l'Unicità e il Jihad in Africa Occidentale. Ma c’è un altro movimento attivo ancora nel Nord, che è l’Aqmi, al-Qaeda nel Maghreb Islamico. Queste due realtà coesistono, nel frattempo, però, la missione dei Caschi Blu in Mali si sta riorganizzando: il numero dei soldati francesi diminuirà, mentre il numero degli africani dovrebbe addirittura raddoppiarsi…

    R. - Il mandato della Minusma non è chiarissimo ed è, comunque, un misto fra difesa della sicurezza, in termini strettamente militari, e una qualche forma di assistenza per la ricostituzione delle istituzioni politico-amministrative. Il problema del Mali, così come un po’ di tutta la fascia sahelo-sahariana - ma si arriva fino al Corno d'Africa - è che le problematiche interne, che sono di fatto un problema di State building, di transizione ad istituzioni stabili, va a scontrarsi con le logiche delle cause globali: in questo caso, la lotta al jihadismo. Il jihadismo si inserisce nei meccanismi di procedure istituzionali interne, ma, nello stesso tempo, la copertura internazionale dà la prevalenza ad aspetti di sicurezza. In questo caso, infatti, la Francia ha ritenuto di aver vinto, perché ha respinto in tutto o in parte, fuori dei confini del Mali, le forze organizzate del jihadismo. Si trova, però, di fronte al problema irrisolto, e per molti aspetti complesso, dell’integrazione fra il Nord e il resto del Mali, abbastanza problematica.

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    Regno Unito: preoccupazione per il progetto di fecondazione in vitro con tre genitori biologici

    ◊   Fa discutere l’intenzione del governo britannico di concedere il via libera alla fecondazione in vitro per la procreazione umana mediante l’utilizzo del Dna di tre genitori diversi. A motivare tale scelta l’intenzione di evitare possibili patologie genetiche. In segno di dissenso 34 membri dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto una dichiarazione formale nella quale si denuncia il carattere eugenetico di tale pratica e la violazione delle normative internazionali. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Tre genitori biologici per evitare la trasmissione ai figli di circa 150 malattie ereditarie causate dai difetti dei mitocondri, ovvero le centrali energetiche delle cellule, della madre. Il governo britannico, con il placet dell’Hfea l’autorità che si occupa di fecondazione ed embriologia, porta all’attenzione del Parlamento il progetto che prevede la produzione in laboratorio di embrioni attraverso il materiale genetico di due genitori, fatta eccezione per una piccola parte del Dna mitocondriale danneggiato della madre sostituito con quello di una donatrice sana. Il trattamento per il momento è pensato per i genitori che hanno un’alta probabilità di far nascere figli con la distrofia muscolare. La notizia, poco diffusa, ha suscitato l’indignazione di 34 membri dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che in una dichiarazione formale parlano di pratica eugenetica. Critiche anche dalla comunità scientifica. Il presidente dei Giuristi per la Vita Gianfranco Amato:

    "La prestigiosa rivista Science ha definito la conclusione cui giunta l’Hfea incompleta e infondata. Tra l’altro, è stata la stessa Food and Drug Administration americana che ha proibito questo tipo di procedure dieci anni fa visto che a una prima sperimentazione era seguito un numero elevato di malformazioni e di conseguenti aborti".

    Tale pratica contrasta con le normative internazionali (Dichiarazione Universale sul Genoma e i Diritti Umani dell’UNESCO, Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea) che definiscono «contrari alla dignità umana gli interventi sulle cellule germinali”, vietano “qualunque pratica eugenetica” e “qualsiasi intervento finalizzato alla modifica del genoma umano dei discendenti”. Senza considerare poi le conseguenze sotto il profilo antropologico che la creazione di bambini geneticamente modificati comporterà. Ancora Gianfranco Amato:

    "Rischiamo di creare una sorta di 'super razza' destinata a soppiantare nel futuro questi umani di serie b che finora conosce la nostra civiltà. Ci sarà uno sconquasso rispetto alla rete parentale che la nostra civiltà conosce da migliaia e migliaia di anni".

    Paradossale che da una parte si approvino sperimentazioni di questo tipo e dall’altra si sollevino muri di fronte ad alimenti geneticamente modificati:

    "Qui ha perfettamente ragione, perché ricordo che durante quelle polemiche volarono anche delle parole grosse. Si parlò di aberrazione contro natura, qualcuno addirittura parlò di stupro dell’ordine naturale del Creato! Sarebbe interessante … Chissà cosa pensano questi estremi difensori dell’ordine naturale del Creato e di quello che il governo britannico intende fare rispetto alla natura umana".

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    Vertice europeo a Bruxelles sulla tragedia degli sbarchi e il ruolo dell’agenzia Frontex

    ◊   Dare al problema dell'immigrazione una risposta europea guidata dal principio di "solidarietà" e di un'equa “ripartizione delle responsabilità". E'quanto si legge nell'ultima versione della bozza di conclusioni del vertice dell’Ue a Bruxelles, che accoglierebbe le richieste dell'Italia. Al centro del summit dei Ventotto figurano anche la tragedia degli sbarchi e il ruolo dell’agenzia Frontex per il controllo delle coste. A Strasburgo, intanto, è stata approvata la risoluzione in cui il Parlamento Europeo chiede la modifica delle normative nazionali "per garantire che le persone non possano essere punite per aver prestato assistenza a migranti in difficoltà in mare", e che riguarda implicitamente anche la legge Bossi-Fini. Da parte sua, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, rivolgendosi all'Unione Europea, afferma: "Ora che tutti avete visto quelle bare speriamo che davvero qualcosa cambi. Non deludeteci". Al microfono di Marina Tomarro il direttore di Africa News, Steve Ogongo lamenta l’indifferenza dei leader africani:

    R. - Non si può rimanere indifferenti quando muoiono centinaia di persone in un’unica tragedia. Non è concepibile che i tuoi cittadini muoiano e non dire niente, non fare niente, non presentarsi neanche al funerale.

    D. – Il Parlamento europeo ha chiesto la modifica delle normative nazionali per garantire che le persone non possano essere punite per avere prestato assistenza a migranti in difficoltà in mare. Lei cosa ne pensa?

    R. – Secondo me bisogna andare indietro nel tempo e cercare di capire perché le persone prendono quelle “barche di morte”. L’Europa dovrebbe cambiare l’approccio e Frontex non è una soluzione: cercare di affrontare il problema da questo punto di vista è come mettere un cerotto su una ferita, ma sotto la ferita rimane. L’Europa si deve interrogare sui rapporti con l’Africa, deve adottare le politiche giuste che permettono lo sviluppo di questo continente e permettere a chi scappa per salvarsi la vita di poterlo fare in modo sicuro.

    D. – Gli africani che sono arrivati in Italia possono in qualche modo essere di aiuto ai loro fratelli in Africa per evitare che intraprendano questi “viaggi della morte”?

    R. – Sì. Quello che possono fare è raccontare la vera realtà. Non bisogna però nascondere che non tutti quelli che partono per questi viaggi sono persone che veramente cercano asilo; ci sono anche migranti economici, persone consapevoli che intraprendendo questo viaggio ed arrivando a destinazione troveranno lavoro. Allora, siamo noi che dobbiamo aiutare a far capire chi sta lì che quella non è la strada giusta da intraprendere. Ma questo conta poco. La cosa che veramente serve alle politiche europee è aiutare chi cerca lavoro di arrivare qui in modo regolare.

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    Muore malato di Sla dopo incontro col governo. Il "Comitato 16 novembre": non è un Paese civile

    ◊   Si è chiusa in modo tragico la protesta dei malati di Sla davanti al ministero delle finanze. Raffaele Pennacchio, originario della Campania, componente del "Comitato 16 novembre onlus", è morto ieri sera a Roma in albergo dopo l'incontro con il governo. Il Comitato aveva ottenuto dall’esecutivo rassicurazioni sul fondo per la non autosufficienza. Come ha vissuto Pennacchio gli ultimi giorni della protesta? Alessandro Guarasci ha sentito Mariangela Lamanna, vicepresidente del Comitato:

    R. - Con l’orgoglio di esserci con tutte le forze che gli erano rimaste, la sua voce e due dita della mano sinistra, ha lavorato moltissimo sul web per denunciare questa situazione in cui sono costretti a vivere i disabili gravissimi e tutte le famiglie italiane dove esiste un problema così grande. Senza risparmiarsi, ha voluto esserci veramente a questo presidio, come a tutti gli altri otto precendenti. Lui faceva parte della delegazione e ieri mattina era lì, davanti a quei tre esponenti del governo, a dire: “Fate presto! Perché non abbiamo tempo!”, come se lui sentisse questa cosa su di sé.

    D. - Ogni anno i fondi per la non autosufficienza sono a rischio. Voi chiedete che questi finanziamenti siano stabilizzati?

    R. - Le famiglie sono distrutte, gli ammalati decidono di non sottoporsi a tracheotomia perché sanno di non avere assistenza, sanno di non aver un nucleo familiare che possa farsene carico. Per contro, il servizio sanitario nazionale provvede a finanziare le Rsa. Ma queste sono persone lucide nel cervello e nei sentimenti, nelle emozioni; vogliono vivere a casa loro, degnamente assistiti. E Pennacchio ha sposato questa causa. Lui non ha avuto neanche il contributo del Fondo Sla 2010! In Campania ancora non sono arrivati questi soldi! Questa è una morte scandalosa. Per questo governo, per il governo passato, per tutti questi politici che trovano il tempo per fare tutto, ma che addirittura il 22 ottobre sapendo che eravamo lì in presidio, se non avessimo insistito per dire: “No! Noi dobbiamo vedervi subito perché non possiamo ritornare da tutta Italia in queste condizioni!” avrebbero voluto rimandarci al 5 novembre per un incontro. Un Paese che costringe i disabili gravissimi ad arrivare a tanto, a manifestare per chiedere attenzione e dignità non è un Paese civile!

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    "Microcredito donna": un progetto di imprenditoria femminile per sconfiggere la crisi

    ◊   In tempo di crisi economica una delle strade da percorrere potrebbe essere quella di inventarsi il lavoro e mettersi in proprio. Questa la finalità del progetto "microcredito donna" rivolto all’imprenditoria femminile. E’ promosso dall’ente nazionale del microcredito. Di che cosa si tratta lo spiega Daniela Brancati, coordinatrice dell’iniziativa, al microfono di Maria Cristina Montagnaro:

    R. – “Riparti da te” significa “riparti da una tua idea”: tu metti l’idea, la voglia di fare, la capacità di realizzare e noi offriamo garanzia alla banca in modo che possa provvedere al microcredito.

    D. – A quanto ammonta il fondo messo a disposizione per l’iniziativa?

    R. – L’Ente nazionale mette, per un progetto pilota, 300 mila euro per la zona di Roma e del Lazio. Naturalmente, noi speriamo che a questa prima cifra – che serve a garantire le banche dal rischio di fallimento delle micro aziende che nasceranno – comuni, regioni ed altri enti pubblici e privati decidano di fare del microcredito perché è una cosa molto importante. Il microcredito non significa un “credito piccolo”, ma indica un credito con una valenza sociale importantissima che, tanto per cominciare, non ti chiede di avere in garanzia la casa su cui mettere un’ipoteca.

    D. – Quali sono i progetti per i quali aiuterete le donne?

    R. – Aiuteremo le donne per qualunque tipo di progetto che pensiamo possa stare bene nel mercato. Non è denaro a fondo perduto; è denaro che viene prestato dalla banca ad un tasso normale di interesse e che quindi deve essere restituito. Per questo motivo, è molto importante che chi si presenta con un’idea abbia anche chiaro che questa idea possa stare sul mercato, che questa idea possa diventare veramente un’azienda, magari una micro azienda ma pur sempre un’azienda.

    D. – In che settori operate maggiormente?

    R. – Naturalmente non diamo nessuna definizione dei settori, però anche qui è importante – e questo fa parte anche del ruolo di accompagnamento che ci deve essere con il microcredito – che le donne si informino e che capiscano per esempio quali sono i piani regionali; che sappiano se ci sono o no delle filiere; se ci sono le possibilità perché il mercato sostenga questo tipo di aziende.

    D. – Un ruolo importante giocano anche i fondi messi a disposizione dalla Commissione Europea?

    R. – Naturalmente sì. I fondi europei sono importantissimi, passano per lo più attraverso le regioni e questo garantisce anche un ruolo di “tutoraggio” ed accompagnamento che dà una mano effettiva a chi voglia mettere in piedi un’impresa. Avere un’idea è una cosa molto importante; trasformare poi l’idea in un’attività economica vincente è altrettanto importante e non è detto che siamo in grado di farlo da soli. Ecco perché il ruolo di “tutoraggio”, di accompagnamento è particolarmente importante.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Giornata dell'Onu. Ban Ki-moon: "Conflitto in Siria la nostra sfida più grande"

    ◊   Ricorre oggi la Giornata delle Nazioni Unite e il segretario generale Ban Ki-moon afferma nel suo messaggio che il conflitto in Siria “costituisce la nostra sfida più grande in materia di sicurezza”. “Le vite di milioni di persone - spiega - dipendono dagli aiuti umanitari” forniti dall’Onu”, mentre gli esperti delle Nazioni Unite “stanno lavorando fianco a fianco con l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, recentemente insignita del Premio Nobel per la pace, per distruggere l’arsenale chimico siriano”. L’Onu - riferisce l'agenzia Sir - è impegnata inoltre per “trovare una soluzione diplomatica che ponga fine a sofferenze che durano da troppo tempo”. Per quanto riguarda lo sviluppo, “la questione più urgente consiste nel trasformare la sostenibilità in una realtà”. Gli Obiettivi di sviluppo del millennio “hanno dimezzato la povertà”, aggiunge il segretario. Ora, esorta, occorre “stilare un’agenda per lo sviluppo post-2015 altrettanto stimolante e raggiungere un accordo sul cambiamento climatico”. Richiamando l’impegno Onu nei conflitti armati, per i diritti umani e per l’ambiente, Ban afferma: “Si può fare ancora di più. In un mondo sempre più interconnesso, dobbiamo essere più uniti”. Di qui l’appello a continuare “a lavorare insieme per la pace, lo sviluppo e il rispetto dei diritti umani”. (R.P.)

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    Cina-India: accordo di pace sui confini

    ◊   I governi di India e Cina hanno firmato un accordo sulla cooperazione militare nelle zone di confine. Si tratta di un passo molto importante per entrambe le nazioni: queste sono infatti impegnate da decenni in conflitti di varia entità nelle aree himalayane, su cui non riescono a trovare una soluzione territoriale. Dalla breve guerra del 1962, conclusa con un armistizio - riferisce l'agenzia AsiaNews - le armi non sono mai state davvero posate: lo scorso aprile i due eserciti si sono sfidati per tre settimane nella zona di Ladakh. Il nuovo protocollo proibisce ai soldati di entrambi gli eserciti di pattugliare aree non chiaramente di propria competenza e soprattutto proibisce l'uso della forza o la minaccia dell'uso della forza in caso di scontri faccia a faccia: "I militari - si legge nel testo - devono trattarsi con cortesia". L'accordo è stato firmato ieri durante la visita del primo ministro indiano Manmohan Singh a Pechino. Il premier Li Keqiang ha dichiarato che il testo, di cui non si conoscono i dettagli tecnici, "aiuterà a mantenere la pace, la tranquillità e la stabilità delle zone di confine". I due leader hanno poi aggiunto che si tratta solo del primo passo verso una nuova stagione di amicizia. Per Li "fra Cina e India ci sono più interessi comuni che differenze. Siamo due antiche civiltà: i nostri popoli hanno la saggezza e i nostri governi l'abilità di gestire le dispute in modo da non compromettere i rapporti bilaterali". Nel corso della visita sono stati firmati anche altre 8 accordi, tra cui uno sui trasporti e un altro sulle operazioni doganali. I due premier hanno poi discusso di economia, dato che l'India cerca di penetrare di più nel mercato cinese e spera di attrarre nel proprio territorio capitali freschi. Da questo punto di vista, l'accordo militare è fondamentale: secondo gli analisti, infatti, solo con il libero passaggio di merci e persone attraverso una nuova "via della seta" si possono costruire solidi rapporti economici fra Delhi e Pechino. (R.P.)

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    Mozambico: ritorno alla calma dopo escalation militare

    ◊   Sembra ritornata alla calma la situazione in Mozambico, teatro negli ultimi due giorni di una improvvisa escalation di violenze che ha fatto temere per la tenuta degli accordi di pace che posero fine al conflitto civile nel 1992. Ieri, all’indomani dell’assalto da parte dell’esercito al loro quartier generale di Santungira, sui monti Gorongosa, gli ex ribelli della Resistenza nazionale mozambicana (Renamo) hanno messo a segno un attacco a un commissariato di polizia a Maringue. “Oggi le cose sono più calme – dicono fonti missionarie contattate a Beira, nel centro del Paese – e anche i toni degli esponenti politici si sono fatti più misurati rispetto alle dichiarazioni infuocate dei giorni scorsi. Qui tutti sperano che si sia trattato di episodi isolati”. L’escalation - riferisce l'agenzia Misna - avviene mentre da circa un anno a questa parte si sono moltiplicati scontri a fuoco, imboscate e attacchi tra le due parti sempre nella provincia di Sofala. Chiamati alle urne per le elezioni municipali il prossimo 20 novembre, e nel 2014 per le legislative e presidenziali, i mozambicani non vedono di buon occhio la possibilità che il Paese ripiombi nell’instabilità e nella violenza. Dall’estero, richiami sono giunti da Stati Uniti e Portogallo – ex potenza coloniale – che hanno invitato gli ex ribelli oggi all’opposizione e il partito di maggioranza Frelimo, al potere dall’indipendenza nel 1975 a “risolvere le dispute in maniera pacifica. La gente pensa che una ripresa delle ostilità adesso, sarebbe una follia e annullerebbe i progressi fin qui realizzati a svantaggio di tutti” insiste l’interlocutore di Misna, secondo cui “dopo tanti anni di guerra, i mozambicani vogliono vivere in pace”. Il Paese inoltre si appresta a diventare uno dei principali esportatori di idrocarburi della regione, dopo importanti scoperte di giacimenti di carbone e gas naturale nel sottosuolo. Per impedire rappresaglie sulle linee ferroviarie o di comunicazione da parte di elementi della Renamo, il governo del presidente Armando Guebuza ha inviato un contingente militare nella regione teatro degli attacchi. Gli analisti, comunque, ritengono che gli ex guerriglieri non abbiano reclutato nuove forze e possano contare su appena qualche centinaio di ex combattenti. Dal canto loro, i principali investitori stranieri, la brasiliana Vale, l’Italiana Eni, l’anglo-australiana Rio Tinto, e l’americana Anadarko hanno detto di non temere “impedimenti” alle loro attività e di stare monitorando “attentamente” gli sviluppi nel Paese. (R.P.)

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    Congo: preoccupazione nell’Est del Paese per una possibile ripresa delle ostilità

    ◊   “Circolano voci insistenti che il Rwanda attaccherà sabato prossimo simultaneamente Goma e Bukavu” riferisce all’agenzia Fides una fonte locale da Bukavu, capoluogo del Sud Kivu (nell’est della Repubblica Democratica del Congo). Goma è i il capoluogo del Nord Kivu. Entrambe le province congolesi vivono da anni nell’instabilità a causa della presenza di diversi gruppi armati. Il più organizzato è l’M23, che Onu e governo congolese affermano essere appoggiato da Rwanda e Uganda. Il 21 ottobre la delegazione congolese ai colloqui di pace di Kampala ha annunciato la sospensione dei negoziati con l’M23, accusando il movimento di guerriglia di presentare sempre nuove richieste al tavolo negoziale mentre al contempo rafforzava le proprie posizioni sul terreno. Tra i punti sui quali si sono arenate le trattative vi era quello concernente l’amnistia per i membri dell’M23. Il governo ha però risposto che questa non può in alcun modo riguardare i crimini di guerra, gli atti di genocidio e i crimini contro l’umanità, fra cui la violenza sessuale e l’arruolamento di minori. Anche sul reintegro nelle file dell’esercito dei membri dell’M23 le posizioni tra le parti sono rimaste distanti. Kinshasa proponeva, infatti, che solo una parte dei soldati dell’M23 siano reintegrati nell’esercito regolare e che questi siano assegnati a province lontane dai territori dell’Ituri, del Nord-Kivu e del Sud-Kivu, dove hanno finora operato. L’M23 esige, invece, che tutti i suoi soldati siano reintegrati e dispiegati solo nell’est del Paese. Il Presidente Joseph Kabila ha annunciato la formazione di un governo di unità nazionale “per restaurare la pace e ristabilire l’autorità dello Stato, consolidare la coesione nazionale, perseguire la ricostruzione del Paese in parte distrutto dalla guerra, e migliorare le condizioni di vita del Paese”. (R.P.)

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    Africa. Mortalità infantile: maggiori progressi in Niger

    ◊   Anche se la situazione dei bambini di meno di cinque anni rimane grave, nell’ultimo ventennio è il Niger il Paese che ha registrato i maggiori progressi nella lotta alla mortalità infantile e che lo ha fatto in modo “più equo”: lo ha riferito l’ong Save the Children in un rapporto sulla mortalità infantile e materna nei 75 Paesi che registrano il tasso più alto. Nonostante sia uno dei Paesi più poveri del pianeta, tra il 1990 e il 2012, in Niger la mortalità infantile è passata da 326 nati vivi su 1000 decessi a 114, grazie a un sistema di cure gratuite per donne incinte e bambine ma anche a programmi specifici sulla nutrizione. Se l’Africa sub sahariana registra ancora la metà dei decessi mondiali di bambini di meno di cinque anni, rispetto agli anni 60’ è stato il continente dove si sono avuti “progressi senza precedenti”: in mezzo secolo la mortalità infantile è passata dal 27% al 10% di oggi. Purtroppo - riferisce l'agenzia Misna - negli ultimi anni si è aggravato il divario sanitario tra bambini ricchi e quelli nati in famiglie povere. “Se i progressi nella lotta alla mortalità infantile fossero stati più equi, quattro milioni di vite sarebbero state salvate” si legge nel documento. “Non bisogna ridurre i nostri sforzi: ogni giorno muoiono ancora 18.000 piccoli per cause evitabili” ha evidenziato Save the Children. Oltre al Niger, le nazioni africane più virtuose sono state Liberia, Rwanda, Tanzania, Mozambico e Madagascar. Uno degli Obiettivi del Millennio prefissi dall’Onu nel 2000 prevede la riduzione della mortalità infantile dei due terzi entro il 2015. Un traguardo già raggiunto in Africa da Etiopia, Liberia, Malawi e Tanzania, ma anche a portato di mano per Niger, Rwanda, Guinea e Mozambico. (R.P.)

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    Iran: cristiani condannati a 80 frustate per aver bevuto vino eucaristico

    ◊   Un tribunale nella città iraniana di Rasht ha condannato quattro membri della “Chiesa dell'Iran”, denominazione cristiana protestante, a 80 frustate ciascuno per aver bevuto vino della comunione durante una liturgia cristiana. Come appreso dall'agenzia Fides il verdetto è stato emesso il 20 ottobre e i quattro cristiani, tutti cittadini iraniani, hanno 10 giorni per fare ricorso. Come riferisce a Fides l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw), la sentenza è motivata dal “consumo di alcool” e dal “possesso di una antenna satellitare”. Secondo fonti di Fides, il provvedimento fa parte del giro di vite sulle cosiddette “chiese domestiche” che non sono autorizzate né tollerate, e contro le comunità che celebrano il culto in lingua persiana. In una dichiarazione inviata a Fides, Mervyn Thomas, direttore esecutivo di Csw, afferma: “Le pene inflitte a questi membri della Chiesa dell'Iran criminalizzano il sacramento cristiano della comunione nella Cena del Signore e costituiscono una violazione inaccettabile del diritto di praticare la fede liberamente e pacificamente. Sollecitiamo le autorità iraniane ad assicurare che le procedure legali della nazione non contraddicano il suo obbligo internazionale a garantire il pieno godimento della libertà di religione o di credo”. Ieri, una clamorosa manifestazione per la libertà religiosa si è svolta davanti al famigerato carcere di Evin, a Teheran. Come appreso da Fides, il Pastore cristiano americano Eddie Romero La Puente ha inscenato una protesta per chiedere il rilascio di cinque cristiani detenuti per motivi di coscienza: Farshid Fathi, Pastore cristiano iraniano; Saeed Abedini, cittadino iraniano naturalizzato americano che aveva avviato un orfanotrofio a Teheran; Mostafa Bordbar, attivista cristiano; Alireza Seyyedian, membro di una delle chiese domestiche; Mohammed Ali Dadkhah, eminente avvocato di Teheran, difensore e promotore dei diritti umani. Il Pastore Eddie Romero La Puente è stato subito arrestato ed espulso dal Paese. (R.P.)

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    Kenya. I leader evangelici di Mombasa: “Non ci faremo intimidire dall’omicidio dei due pastori”

    ◊   I leader di alcune chiese cristiane hanno lanciato l’allarme sulla libertà religiosa in Kenya dopo l’uccisione senza motivo di due pastori evangelici a Kilifi e a Mombasa, riporta l’agenzia cattolica Cisa di Nairobi. Il 21 ottobre un gruppo di leader cristiani evangelici ha pubblicato una dichiarazione nella quale si condanno le uccisione dei due pastori e si chiede al governo di difendere i diritti costituzionali di riunione pubblica e di culto. “Il Mombasa Church Forum afferma categoricamente che nessun attacco ai cristiani ci impedirà di esercitare il nostro diritto di culto e la nostra libertà di religione. A chi ha commesso questi attacchi odiosi, diciamo che non siamo intimiditi e continueremo a pregare il Signore nelle nostre chiese” afferma il comunicato. Il 20 ottobre - riferisce l'agenzia Fides - era stato ritrovato morto nella sua chiesa a Mombasa, Charles Matole, uno dei responsabili della Vikwatani Redeemed Gospel Church. L'uomo aveva ferite da arma da fuoco. Il 19 ottobre in una foresta a Kilifi, a 60 km da Mombasa, era stato scoperto il cadavere di Ebrahim Kidata delle East African Pentecostal Churches. Secondo un’ipotesi corrente i due omicidi sarebbero un atto di rappresaglia per l’uccisione di un predicatore islamico avvenuto a Mombasa il 4 ottobre, che aveva scatenato incidenti nell’importante città portuale keniana. (R.P.)

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    Bolivia: duemila bambini condannati a vivere in carcere insieme alle madri

    ◊   Si calcola che circa 2mila bambini in Bolivia non hanno altra alternativa se non quella di vivere nelle carceri con le rispettive madri che scontano le loro condanne. La vita dietro le sbarre è il prezzo che pagano per stare con le loro madri. Il Governo - riporta l'agenzia Fides - ha iniziato a “liberare” quelli con più di 11 anni a causa dei maltrattamenti che subiscono. Nel carcere di massima sicurezza di Miraflores, in pieno centro a La Paz, vivono una centinaia di detenute. Per evitare l’isolamento totale dei loro figli, ogni giorno le maestre li portano fuori. A Miraflores la maggior parte dei bambini ha meno di 6 anni, tuttavia nell’intero Paese sono molti i Centri dove anche gli adolescenti vivono in cella con i rispettivi genitori. In Bolivia si registra un’ampia lista di denunce di violenze ai minori negli istituti di detenzione. Alcune di queste violenze sono commesse dagli stessi familiari dei piccoli. Spesso le situazioni si aggravano a causa dell’abuso di alcool e droghe. Il Governo spera che entro la fine dell’anno gran parte di queste piccole vittime verranno portate fuori dalle prigioni del Paese. (R.P.)

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    I vescovi di Bolivia, Perù e Cile chiedono un'autentica integrazione regionale

    ◊   A conclusione dell’incontro ecclesiale trilaterale che ha avuto luogo a La Paz, in Bolivia, i vescovi dei Consigli Permanenti delle Conferenze episcopali di Bolivia, Cile e Perù hanno firmato una dichiarazione congiunta nella quale riaffermano il loro impegno di promuovere un’autentica integrazione regionale. “Tanti sforzi d’integrazione nel continente si sono ridotti alle questioni economiche e commerciali, pertanto è ora di promuovere un cambiamento di mentalità che favorisca l’integrazione umana, la vera cultura dell’incontro tra i popoli per superare differenze, lasciandoci alle spalle le divisioni”. Nel documento i vescovi affermano che l’integrazione regionale non sempre è stata onorata con successo, bensì logorata da profonde contraddizioni, ancora oggi incapace di assimilare tutte le eredità e di superare la piaga scandalosa di disuguaglianze ed emarginazioni. Tuttavia nella dichiarazione si ricorda che in realtà i popoli della regione - come afferma il documento di Aparecida - condividono la stessa geografia, la fede cristiana, la lingua e la cultura che li uniscono nel cammino della storia. “Siamo un’unità geografica che la gente delle nostre nazioni sa riconoscere ed esprimere attraverso tanti segnali d’integrazione interpersonale e nella dimostrazione di una profonda religiosità popolare che oltrepassa le frontiere”. Purtroppo, i vescovi hanno constatato realtà preoccupanti comuni alle loro nazioni come l’incremento del narcotraffico, la sfida pastorale che rappresenta la realtà migratoria, i sacchi di povertà ed esclusione in grandi settori delle società, la crisi della famiglia, del matrimonio e, di conseguenza, l’abbandono dei giovani, che genera sofferenza e crisi di valori. Di fronte a queste realtà, i vescovi si impegnano a dare un nuovo slancio alla Missione Continentale con l’incoraggiamento di Papa Francesco, ed invitano tutti i cattolici e persone di buona volontà, in particolare i politici, gli imprenditori, gli educatori, ad esercitare la propria responsabilità come strumenti di integrazione, di giustizia e di unità per la Bolivia, il Cile e il Perù. “Desideriamo facilitare la conoscenza mutua e condividere esperienze che portino al superamento delle ideologie nazionaliste per sconfiggere tutto ciò che ci separa, perché quanto più ci conosceremo, tanto più potremo camminare insieme. (A cura di Alina Tufani)

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    Croazia: la famiglia al centro della 47.ma Plenaria dei vescovi

    ◊   Lo status giuridico della famiglia e del matrimonio in Croazia e altri temi eticamente sensibili al centro del dibattito politico nel Paese; le conclusioni della recente Assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) a Bratislava; il Motu proprio del Papa emerito Benedetto XVI “Intima Ecclesiae Natura” sul servizio della carità. Sono stati questi i temi principali affrontati dai vescovi croati riuniti a Zagabria per la loro 47.ma Assemblea plenaria. La parte introduttiva della sessione – riporta il comunicato finale - è stata dedicata alla recente beatificazione di don Miroslav Bulešic, martire del regime di Tito, avvenuta il 28 settembre a Pula. Il suo martirio – hanno sottolineato i presuli - è un modello e un segnale di speranza per i nostri tempi segnati dal secolarismo. La riunione è quindi entrata nel vivo affrontando alcuni controversi provvedimenti legislativi introdotti in Croazia in materia di procreazione assistita, famiglia, welfare e educazione. I vescovi hanno espresso grande disappunto per il fatto che i rilievi critici mossi dall’episcopato siano stati del tutto ignorati. Tra le misure più controverse quella sull’insegnamento dell‘educazione sessuale obbligatoria nelle scuole in base alla quale ai ragazzi verrebbero spiegati, tra l’altro, la teoria del genere e l’uso dei contraccettivi. Sempre sul fronte dei temi etici, i vescovi croati hanno espresso l’auspicio che si tenga al più presto un referendum costituzionale sulla definizione del matrimonio quale unione tra un uomo e una donna. Essi hanno inoltre dato pieno sostegno alla legge di iniziativa popolare europea “Uno di noi”, promossa dai Movimenti per la Vita per la tutela dei diritti dell’embrione. L’assemblea ha quindi fissato la data della seconda Giornata nazionale delle famiglie cattoliche croate, dopo il successo di quella celebrata nel 2011 a Zagabria alla presenza di Benedetto XVI: l’appuntamento si svolgerà il 19 aprile 2015 a Trsat sul tema : “La famiglia, portatrice di vita, speranza e futuro per la Croazia”. Un altro punto all’esame dei vescovi croati sono state le conclusioni della recente plenaria del Ccee a Bratislava dedicata all’Europa tra laicità e laicismo. Durante i lavori è stato inoltre illustrato il contenuto del Motu proprio di Benedetto “Intima Ecclesiae Natura” sul servizio della carità. Il documento pubblicato un anno fa - lo ricordiamo - si sofferma in particolare sulle ruolo e responsabilità del vescovo nell'ambito delle opere di carità. L’assemblea ha infine fissato il calendario di alcuni importanti appuntamenti per il 2014. Tra questi: una sessione speciale della Conferenza episcopale il 27 gennaio, e una sessione congiunta con la Conferenza episcopale della Bosnia-Erzegovina, il 24 febbraio a Banja Luka. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Canada. Messaggio dei vescovi per la Giornata di preghiera e solidarietà con i popoli autoctoni

    ◊   È incentrato sulla figura di “Nonno Ereya” il messaggio dei vescovi del Canada per la Giornata di preghiera e solidarietà con i popoli autoctoni 2013. La ricorrenza - celebrata il 12 dicembre di ogni anno, in coincidenza con la festa della Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe – quest’anno guarda alla figura di Ereya, appartenente all’etnia dené e vissuto tra il 1857 e il 1940. “Lo ricordiamo – si legge nel messaggio dei vescovi – come un grande profeta che ha lavorato molto e che ha predicato la Buona Novella a molti autoctoni”. “Era amato e rispettato sia dai giovani che dagli anziani – continua il testo – a causa della forza della sua fede in Dio; ha conosciuto il meglio delle due tradizioni ed ha incoraggiato la sua etnia ad essere contemporaneamente cattolica ed autoctona”. Negli anni ’80, la casa in legno di Ereya è stata ricostruita e trasformata in luogo di preghiera. A partire dal 1991, ogni anno vi si tiene un incontro spirituale per commemorare la sua vita ed i suoi insegnamenti. “Nonno Ereya – sottolineano i vescovi canadesi – ci ricorda che l’eredità e i doni spirituali dei nostri fratelli e sorelle autoctoni hanno molto da offrire alla nostra società oggi; egli ci invita a rispettare la spiritualità cattolica e quella autoctona ed a celebrare ciò che hanno in comune”. In fondo, conclude la Chiesa di Ottawa, “oggi come ieri la nostra Chiesa ha bisogno di buoni profeti”. (A cura di Isabella Piro)

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    Maratona di Pechino: i cattolici hanno corso per progetti caritativi

    ◊   “Corri per le opere caritative della Chiesa; corriamo per i nostri poveri, anziani, orfani, malati; corriamo per testimoniare la nostra fede”: così si sono espressi alcuni partecipanti alla Maratona internazionale di Pechino 2013. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, la Maratona si è svolta domenica scorsa a Pechino, con la partecipazione di 5 sacerdoti, 85 suore e tanti volontari laici cattolici provenienti da 11 province, appartenenti a 20 Congregazioni religiose, che hanno corso per 27 progetti caritativi della Chiesa cattolica (15 destinati agli anziani, 9 ai bambini orfani, 2 per la prevenzione dell’Aids e uno per i malati di lebbra). Due sono stati i sacerdoti e 22 le suore che hanno compiuto tutto il percorso di 42,195 Km, gli altri hanno fatto del proprio meglio, perché “dietro di noi ci sono case di cura, orfanotrofi, cliniche e tante opere caritative della Chiesa” ha detto una suora 42enne che prende parte da 5 anni all’iniziativa. Come ogni anno, prima della maratona gli “atleti” hanno partecipato alla Messa celebrata per loro la sera del 19 ottobre nella parrocchia dell’Immacolata Concezione di Pechino. Don Luo Na Qing di Jinde Charity (l’ente caritativo cattolico cinese organizzatore dell’iniziativa), nella conferenza stampa ha presentato la storia e i motivi della partecipazione delle religiose, “perché imparino ad organizzare l’evento, a raccogliere i fondi…. per raggiungere la loro autonomia, soprattutto per le opere caritative cattoliche”. Nel 2009, quando ebbe inizio la maratona, parteciparono soltanto 10 suore. (R.P.)

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    Auxilium, apre Anno accademico con prolusione di Sabbadini (Istat) su crisi economica e giovani

    ◊   La crisi e giovani al centro della giornata inaugurale dell’Anno accademico alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma. A presiedere stamane la Messa d’apertura è stato mons. Angelo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione cattolica. “Gli effetti della crisi sulle condizioni di vita della popolazione. Quale futuro per i giovani?”: il tema scelto per la prolusione affidata a Linda Laura Sabbadini, direttrice del Dipartimento delle statistiche sociali e ambientali dell’Istat. Una crisi profonda - ha osservato l’esperta dell’Istituto nazionale di statistica - “per intensità, durata, trasversalità”, “che non ha risparmiato nessuno, ma che ha anche agito in modo selettivo”. Il segmento più colpito sono stati infatti i giovani che hanno subito l’80% del calo di occupazione. E le conseguenze sono state meno gravi – ha osservato Sabbadini - grazie agli ammortizzatori sociali: anzitutto “la cassa integrazione che ha protetto i capifamiglia” e “la famiglia che ha difeso i figli che in maggioranza ancora vivevano con i loro genitori”. “Questo modello, tipicamente italiano, di permanenza lunga dei giovani nella famiglia di origine li ha protetti dalla povertà, in quanto “le famiglie hanno cercato di resistere dando fondo ai risparmi, indebitandosi di più per mantenere gli stessi standard di vita, ma la crisi è stata lunga e quindi ad un certo punto non ce l’hanno fatta più”. Negli ultimi due anni, infatti, la povertà relativa e assoluta sono cresciute e crescono tutt’ora. Il “malessere” che ha colpito il mondo del lavoro, porta a chiedersi: “Come guardare al futuro e prepararsi per il futuro?” Interrogativi raccolti dalla preside dell’Auxilium, Pina Del Core. Di fronte all’emergere di una generazione che non studia, non lavora e non fa nient’altro - ha affermato - “il compito dell’università è credere ancora all’educazione ed investire con più forza e qualità sulla formazione di nuove professionalità educative”, “spendibili” nel mercato del lavoro e “capaci di affrontare con creatività e flessibilità le complesse emergenze educative attuali”, ben sapendo che il dovere e il compito dell’educazione richiama una responsabilità che è prima di tutto sociale. Si conferma cosi l’impegno dalla Facoltà Auxilium – ha concluso la preside - a “far fronte a tale sfida, anzi a trovare in essa la sua ragion d’essere” soprattutto “per dare prospettive di vita e di realizzazione personale, prima che professionale”. (A cura di Roberta Gisotti)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 297

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.