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Sommario del 23/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: se non porta Gesù al mondo come Maria la Chiesa diventa una ong
  • Il Papa ai cappellani delle carceri: non è un'utopia una giustizia dalle porte aperte
  • Papa Francesco al Quirinale da Napolitano il 14 novembre
  • Nomina episcopale in Brasile di Papa Francesco
  • Santa Sede: vescovo di Limburg allontanato dalla Diocesi, esame approfondito su vicenda
  • Mons. Chullikatt: pieno sostegno a negoziato israelo-palestinese e “Ginevra 2” sulla Siria
  • Cor Unum: aiuti umanitari della Chiesa per 72 milioni di dollari alla popolazione siriana al di là del credo religioso
  • Mons. Paglia: diritti individuali troppo esaltati, sgretolano famiglia luogo del "noi"
  • Radio Vaticana: da domenica 27 ottobre cambiano le frequenze di alcuni programmi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Pace in Medio Oriente: a Roma Kerry incontra Netanyahu e Letta
  • Iraq: strage senza fine. Un esule: grandi interessi perché il Paese resti diviso
  • Grecia: stop ai soldi pubblici per Alba Dorata. Ferrari: decisione inevitabile
  • Instabilità politica in Mozambico: gli ex ribelli denunciano l'accordo di pace del 1992
  • L'Ue ricorda vittime delle mafie. La Torre: polizie devono dotarsi di norme più incisive
  • Aumenta consumo di cannabis tra adolescenti: il 20% ne ha fatto uso almeno una volta
  • Convegno ecclesiale nazionale. Mons. Nosiglia: importante coinvolgere le Chiese locali
  • Il dialogo tra Cina e Occidente nel libro “Un cristiano alla corte dei Ming"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: incursione delle milizie islamiste nella città cristiana di Sadad
  • Egitto: critiche dei cristiani a governo e forze di sicurezza per gli attacchi alle chiese
  • Vescovi europei: appello all'Onu in difesa delle minoranze religiose
  • Patriarca maronita Rai in Qatar. Solleverà il caso dei due vescovi ortodossi rapiti
  • Filippine: due anni dopo resta impunito l’omicidio di padre Tentorio
  • Chiesa-Ue. Mons. Giordano: cristianesimo chance per l'Europa
  • Congo. Sospensione dei colloqui di Kampala: il governo accusa i ribelli dell’M23
  • Centrafrica: carestia e malattie affliggono i rifugiati sudanesi
  • Uganda: la crisi in Centrafrica impedisce ai "bambini soldato" di tornare a casa
  • Haiti: in tre anni di colera morte ottomila persone
  • Integrazione, migrazioni e giovani, temi del V incontro delle Chiese di Bolivia, Perù e Cile
  • Guatemala. Mons. Ramazzini: le società minerarie straniere generano conflitti
  • Malaysia. Premier: cristiani in Borneo possono dire Allah”; vescovi criticano “giudici disinformati”
  • Slovacchia-Repubblica Ceca: Plenaria congiunta delle due Conferenze episcopali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: se non porta Gesù al mondo come Maria la Chiesa diventa una ong

    ◊   Maria ha portato Gesù al mondo e la sua carità: la Chiesa deve fare altrettanto, altrimenti diventa un’agenzia umanitaria. Questo pensiero di Papa Francesco è emerso dalla catechesi dell’udienza generale tenuta stamattina in Piazza San Pietro, davanti a oltre 100 mila persone. Il Papa ha presentato Maria come modello di fede, di carità, di unione con Cristo, e ha concluso invitando a pregare il Rosario nel mese di ottobre per la pace nel mondo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    O porta Gesù al mondo – assieme alla sua gioia, al suo amore gratuito – oppure il bene, che pure potrà fare, la farà assomigliare a una ong, ma in quanto Chiesa sarà “morta”. Allergico ai mezzi termini com’è suo costume, Papa Francesco mette i cristiani in guardia. Il vostro modello, afferma, è Maria, e non ha alternative. Maria “modello di fede”, modello di “carità”, “modello di unione con Cristo”. Un esempio alto, certo, ma il Papa avverte: è sbagliato considerare Maria “troppo diversa da noi”. Lei, ricorda, ha pronunciato il suo “sì” a Dio “nella semplicità delle mille occupazioni e preoccupazioni” di ogni mamma. E fin dai primi giorni della sua maternità, non si è risparmiata, portando il suo aiuto – e Gesù dentro di sé – alla cugina Elisabetta:

    “Questa è la Chiesa: non porta se stessa, se è piccola, se è grande, se è forte, se è debole, ma la Chiesa porta Gesù. E la Chiesa deve essere come Maria, quando è andata – lo abbiamo sentito nel Vangelo – quando è andata a fare la visita ad Elisabetta. Cosa portava Maria? Gesù! E la Chiesa porta Gesù. E questo è il centro della Chiesa, eh? Portare Gesù. Se – un’ipotesi – una volta succedesse che la Chiesa non porta Gesù, quella è una Chiesa morta. Capito? Deve portare Gesù? E deve portare la carità di Gesù, l’amore di Gesù, la forza di Gesù”.

    A ogni affermazione che indica un dover essere, Papa Francesco fa seguire di norma alcune domande, nette, che mettono l’anima in controluce. Com’è – chiede ai 100 mila e oltre che lo guardano – il nostro amore? È “forte” o è come vino allungato con l’acqua, che “segue le simpatie, che cerca il contraccambio”, in parole povere un “amore interessato”?:

    “Una domanda: a Gesù piace l’amore interessato o non piace? Piace? Ah, non siete ben convinti, eh? Piace o non piace? Non piace! L’amore deve essere l’amore gratuito, come era il suo amore. Come sono i rapporti nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità? Ci trattiamo da fratelli e sorelle? O ci giudichiamo, parliamo male gli uni degli altri? Ma, io ho sentito che qui a Roma nessuno parla male dell’altro… E quello è vero? Non so. Io lo dico”.

    Se nel ricordare all’inizio della catechesi l’esemplarità della fede di Maria Papa Francesco ne aveva sottolineato il “sì perfetto” che sotto la Croce la rende Madre dell’umanità, nel definire la sua capacità di unione con Cristo, il Papa ribadisce che il “culmine” di tale unione viene raggiunto sul Calvario:

    “La Madonna ha fatto proprio il dolore del Figlio ed ha accettato con Lui la volontà del Padre, in quella obbedienza che porta frutto, che dona la vera vittoria sul male e sulla morte. E’ molto bella questa realtà che Maria ci insegna: l'essere sempre uniti a Gesù (…) Chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia, la sua forza, affinché nella nostra vita e nella vita di ogni comunità ecclesiale si rifletta il modello di Maria, Madre della Chiesa”.

    Papa Francesco, alternandosi alla sintetica lettura delle catechesi in sette lingue, ha quindi rivolto saluti ai numerosissimi gruppi presenti in Piazza. In particolare, a più riprese ha rinnovato l’invito a recitare quotidianamente il Rosario, “possibilmente in famiglia”, chiedendo nel mese di ottobre – ha detto – “la pace per il mondo e il ritorno ai valori evangelici”. E ha terminato con due speciali richieste dirette ad altrettante categorie di persone:

    “Cari giovani, (…) siate coraggiosi testimoni della fede cristiana; cari ammalati, offrite la vostra croce quotidiana per la conversione dei lontani alla luce del Vangelo”.

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    Il Papa ai cappellani delle carceri: non è un'utopia una giustizia dalle porte aperte

    ◊   Dio non resta fuori dalle celle dei carcerati, ma è dentro anche Lui con loro: è quanto ha detto il Papa stamani ricevendo nell’Aula Paolo VI in Vaticano, prima dell’udienza generale, i circa 200 partecipanti al Convegno nazionale dei cappellani delle carceri Italiane promosso a Sacrofano, nei pressi di Roma, sul tema “Giustizia: pena o riconciliazione. Liberi per liberare”. Il servizio di Sergio Centofanti:

    E’ un grazie caloroso quello che Papa Francesco rivolge ai cappellani che lavorano nelle carceri di tutta Italia, chiedendo loro di far arrivare il suo saluto a tutti i detenuti:

    “Per favore dite che prego per loro, li ho a cuore, prego il Signore e la Madonna che possano superare positivamente questo periodo difficile della loro vita. Che non si scoraggino, non si chiudano”.

    Occorre saper dire loro – afferma il Papa - che il Signore è vicino:

    “Ma dite con i gesti, con le parole, con il cuore che il Signore non rimane fuori, non rimane fuori dalla loro cella, non rimane fuori dalle carceri, ma è dentro, è lì. Potete dire questo: il Signore è dentro con loro; anche lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro”.

    “Il suo amore paterno e materno arriva dappertutto”, ha proseguito il Papa, che prega “perché ciascuno apra il cuore a questo amore del Signore”. Quindi, ricorda che i suoi contatti con alcuni carcerati che visitava a Buenos Aires continuano. Continua a ricevere lettere da loro e li chiama per telefono:

    “Qualche volta li chiamo, specialmente la domenica, faccio una chiacchierata. Poi quando finisco penso: perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse, perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati”.

    Papa Francesco prega anche per i cappellani, per il loro ministero, “che non è facile”, ma è “molto impegnativo e molto importante” perché “esprime una delle opere di misericordia” e rende “visibile quella presenza del Signore nel carcere”:

    “Voi siete segno della vicinanza di Cristo a questi fratelli che hanno bisogno di speranza. Recentemente avete parlato di una giustizia di riconciliazione, ma anche di una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti. Questa non è un'utopia, si può fare. Non è facile, perché le nostre debolezze ci sono dappertutto, anche il diavolo c'è dappertutto, le tentazioni ci sono dappertutto, ma bisogna sempre provarci”.

    Infine, eleva la sua preghiera alla Madonna: Lei – conclude - è la Madre di tutti i carcerati.

    Papa Francesco, in questi primi mesi di Pontificato, ha ricevuto oltre 500 lettere dai detenuti italiani. I cappellani delle carceri del Paese sono 233, al servizio di circa 64.mila carcerati, senza contare le persone agli arresti domiciliari. Durante l’udienza è stata donata al Papa una borsa da viaggio fabbricata per lui dalle detenute del carcere femminile di Rebibbia.

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    Papa Francesco al Quirinale da Napolitano il 14 novembre

    ◊   Il 14 novembre, Papa Francesco si recherà al Quirinale in vista ufficiale, per restituire al presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, la visita da lui resagli in Vaticano l’8 giugno scorso. E’ quanto reso noto dal direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Il Papa e il presidente Napolitano si erano incontrati per la prima volta il 19 marzo scorso, in occasione della Messa per l’inizio del ministero petrino.

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    Nomina episcopale in Brasile di Papa Francesco

    ◊   In Brasile, Papa Francesco ha nominato vescovo di Franca mons. Paulo Roberto Beloto, trasferendolo dalla diocesi di Formosa.

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    Santa Sede: vescovo di Limburg allontanato dalla Diocesi, esame approfondito su vicenda

    ◊   “Il Santo Padre è stato continuamente informato ampiamente e obiettivamente sulla situazione nella Diocesi di Limburg”: è quanto riferisce un comunicato della Santa Sede, in cui si spiega che nella Diocesi si è venuta a creare una situazione nella quale il vescovo, mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, “nel momento attuale non può esercitare il suo ministero episcopale”. Dopo la ‘visita fraterna’ del cardinale Giovanni Lajolo nello scorso mese di settembre, “la Conferenza Episcopale Tedesca, conformemente a un accordo fra il vescovo e il Capitolo del Duomo di Limburg, ha costituito una Commissione per intraprendere un esame approfondito della questione della costruzione della Sede episcopale. In attesa dei risultati di tale esame e dei connessi accertamenti sulle responsabilità in merito, la Santa Sede ritiene opportuno autorizzare” per mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst “un periodo di permanenza fuori della Diocesi”. “Per decisione della Santa Sede entra fin da oggi in vigore la nomina dello stadtdekan Wolfgang Rösch come vicario generale, nomina che era stata annunciata dal vescovo di Limburg per il 1° gennaio 2014. Il vicario generale Rösch – conclude il comunicato - amministrerà la Diocesi di Limburg durante l’assenza del vescovo diocesano nell’ambito delle competenze legate a tale ufficio”.

    Da parte sua, anche l’arcivescovo Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha pubblicato sul sito della Conferenza (www.dbk.de) una dichiarazione sulla vicenda:

    “Con l’odierna decisione della Santa Sede, secondo la quale il vescovo di Limburg si ritirerà per qualche tempo dalla diocesi e sarà il vicario generale designato a gestire la diocesi nell’ambito delle sue competenze, si apre uno spazio per ritrovare in questa situazione la serenità interiore e creare una nuova piattaforma di dialogo. Il mio ringraziamento va a tutte le persone coinvolte che nelle settimane e nei mesi passati si sono impegnate a trovare, nonostante tutto, una prospettiva per il futuro e il dialogo. Anche la commissione d’esame da me istituita proseguirà il suo lavoro in maniera rapida ed accurata, al fine di chiarire i costi, il finanziamento e le vie decisionali intorno ai progetti edilizi riguardanti l’arcivescovado di Limburg”.

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    Mons. Chullikatt: pieno sostegno a negoziato israelo-palestinese e “Ginevra 2” sulla Siria

    ◊   La Santa Sede guarda con speranza alla ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi. E’ quanto sottolineato, ieri, dall’arcivescovo Francis Chullikatt al dibattito del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul Medio Oriente. L’osservatore permanente della Santa Sede al Palazzo di Vetro ha inoltre espresso l’auspicio che la Conferenza “Ginevra 2” aiuti a portare la pace in Siria. Dal presule anche un forte appello a liberare il mondo dagli armamenti nucleari. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    E’ un momento cruciale per i popoli del Medio Oriente. E’ quanto affermato da mons. Chullikatt che, parlando al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha espresso la soddisfazione della Santa Sede per il rinnovato impegno di israeliani e palestinesi in negoziati “diretti, seri e concreti”. La nostra speranza, ha detto, è che si possa assistere a un “nuovo rinvigorito processo di pace”. L’osservatore vaticano ha rammentato che è sempre la popolazione civile a pagare il prezzo più alto di una guerra. Ed ha ribadito che “una soluzione politica” è anche la “soluzione migliore” per risolvere le crisi umanitarie del Medio Oriente, dal sostegno ai rifugiati allo sviluppo economico. Mons. Chullikatt non ha poi mancato di riferirsi alla grave situazione in Siria, riecheggiando l’accorato appello di Papa Francesco per la pace. Come “primo passo urgente – ha detto il presule – la Santa Sede chiede alle parti in conflitto di mettere immediatamente fine alla violenza e di iniziare un autentico processo di pace con la Conferenza Ginevra 2, programmata per il mese prossimo”.

    Mons. Chullikatt ha dunque messo l’accento sulla terribile condizione in cui vivono oltre 4 milioni di sfollati all’interno dei confini siriani e più di due milioni di rifugiati negli Stati confinanti. La sfide che devono affrontare questi Paesi nell’assistenza dei rifugiati, ha avvertito, può avere “un impatto destabilizzante per l’intera regione”. La Chiesa cattolica, ha assicurato mons. Chullikatt, rimane impegnata in prima linea nel fornire assistenza umanitaria alla popolazione, senza distinzione di appartenenza etnica o religiosa. D’altro canto, il presule ha ricordato “l’esodo preoccupante” dei cristiani dalle loro terre d’origine a causa di forze estremiste che attaccano le comunità cristiane con “cieca violenza”. I cristiani stessi, ha detto, sono “costretti a fuggire” lasciandosi alle spalle duemila anni di storia inseparabile dalla cultura della regione. E’ “inaccettabile”, ha avvertito, che si ripeta quanto successo in Iraq, dove “la violenza settaria ha ridotto del 70 per cento la popolazione cristiana”.

    Oltre che al Consiglio di Sicurezza, mons. Chullikatt è intervenuto anche all’Assemblea generale sul tema del disarmo. Il presule ha definito di “importanza storica” la risoluzione sullo smantellamento delle armi chimiche in Siria, ma ha lamentato le resistenze di alcuni grandi Paesi a trovare una strada per mettere al bando le armi nucleari. “E amaramente ironico – ha commentato l’osservatore vaticano – che alcuni Stati alzino la voce nel condannare le armi chimiche e poi siano silenti sul loro possesso di armi nucleari”. La comunità internazionale, ha ribadito, deve “parlare e agire ad una sola voce per mettere al bando tutte le armi di distruzione di massa”. In un mondo così interconnesso, ha proseguito, non possiamo “rischiare di cadere nella globalizzazione dell’indifferenza”. “Dobbiamo mettere fine al militarismo miope – ha concluso – e iniziare a concentrarci sui veri bisogni della famiglia umana”.

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    Cor Unum: aiuti umanitari della Chiesa per 72 milioni di dollari alla popolazione siriana al di là del credo religioso

    ◊   Il Pontificio Consiglio Cor Unum ha reso noto alcuni dati sugli aiuti della Chiesa cattolica per la crisi umanitaria in Siria: 72 milioni di dollari stanziati dalle organizzazioni umanitarie cattoliche per la popolazione nel Paese e nelle regioni limitrofe; 55 enti realizzatori sul campo; 20 città siriane soccorse grazie agli aiuti inviati e 32 istituzioni cattoliche coinvolte finora; aiuti dispensati anche ai rifugiati presenti in Libano, Giordania, Turchia, Iraq, Cipro, Egitto. Si tratta di dati raccolti al 9 ottobre grazie alla mappatura degli aiuti distribuiti in Siria, realizzata a seguito della riunione di coordinamento degli organismi caritativi cattolici presenti nel teatro siriano, indetta dal Pontificio Consiglio Cor Unum il 4 e 5 giugno scorsi.

    “La Chiesa cattolica, e le Chiese locali presenti sul territorio – sottolinea un comunicato di Cor Unum - sono impegnate fin dall’inizio della crisi, nel 2011, in un’opera costante di fornitura degli aiuti umanitari alla popolazione colpita dal dramma della guerra interna alla Siria. Papa Francesco ha seguito con particolare vicinanza e attenzione l'evolversi della crisi e l'opera di assistenza realizzata dalle agenzie caritative, che sono state ricevute in udienza nel corso del meeting organizzato dal Pontificio Consiglio Cor Unum. ‘Aiutare la popolazione siriana, al di là delle appartenenze etniche e religiose - ha detto in quella occasione il Papa - è il modo più diretto per offrire un contributo alla pacificazione e alla edificazione di una società aperta a tutte le diverse componenti’”.

    “Finora – prosegue il comunicato - la difficoltà nel reperimento delle informazioni relativamente alle esigenze della popolazione colpita e anche allo sviluppo della situazione politica e sociale, ha portato a una certa sporadicità degli aiuti inviati e alla molteplicità delle forme di sostegno alle istituzioni presenti sul campo. Per questo, l'incontro di giugno è stata l’occasione per riunire le agenzie attive nel contesto della crisi e per decidere la nascita di un ufficio di coordinamento delle informazioni sugli aiuti umanitari stanziati dalla Chiesa cattolica, con l’obiettivo di evitare la dispersione degli sforzi compiuti e la mancanza di un approccio omogeneo. L'attività gestionale è stata affidata alla Caritas Medio Oriente-Nord Africa, con sede a Beirut: essa avrà il compito di comprendere e monitorare l’entità degli aiuti raccolti, e di condividere le informazioni necessarie tra tutte le istituzioni coinvolte, comprese quelle non presenti alla riunione presso Cor Unum”.

    “Tale strumento - conclude la nota - permetterà di fornire alla Chiesa un quadro completo di riferimento relativamente alla situazione dell'attività umanitaria svolta e un'analisi più puntuale dei bisogni sul campo; di trasferire a Caritas Siria le informazioni necessarie sulle opere caritatevoli in favore della popolazione siriana; di evidenziare la posizione di rilievo della Chiesa cattolica tra gli attori nel settore umanitario in Siria; di condividere le informazioni all’interno del network delle organizzazioni cattoliche coinvolte, dentro e fuori il territorio della Siria”.

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    Mons. Paglia: diritti individuali troppo esaltati, sgretolano famiglia luogo del "noi"

    ◊   Assemblea plenaria oggi a Roma del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Tre giorni di studio e dibattito alla Domus Pacis, nel 30.mo della Carta dei Diritti della famiglia, pubblicata dal dicastero vaticano. Domani, incontro aperto al pubblico sul tema “Nuovi orizzonti antropologici e diritti della famiglia”. Quindi, a seguire sabato e domenica pellegrinaggio internazionale delle famiglie alla tomba di San Pietro. Roberta Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia:

    D. - Mons. Paglia, 30 anni fa la Carta dei Diritti della famiglia poneva nero su bianco i principi fondamentali di questa istituzione, “espressi – si leggeva nel preambolo del documento vaticano – nella coscienza dell’essere umano e nei valori comuni a tutta l’umanità”. Questa Carta è tuttora valida? Va difesa e valorizzata? O va rivista?

    D. – Anzitutto, va difesa e valorizzata perché non dimentichiamo che la famiglia come soggetto giuridico è una dimensione che attraversa i secoli, non è che sia nata l’altro ieri o cento anni fa. C’è una dimensione che attraversa la storia, che ha fatto della famiglia il primo luogo nel quale si apprende a essere assieme: è il primo “noi”. E, in questo senso, sottolinearne la soggettività è un riconoscimento dovuto soprattutto in un tempo nel quale lo sviluppo è diretto in particolare verso i diritti individuali, che – ovviamente – sono anch’essi sacrosanti, ma guai a contrapporli o ad esaltarli senza tener conto di quel “noi” della famiglia. In questi 30 anni, sono certamente cambiate ancora tantissime cose nella società, nella cultura oltre che in altri ambiti. Ma non c’è dubbio che – seppure possa essere necessario qualche aggiornamento – resta però in tutta la sua validità la richiesta alle comunità ecclesiali, ma anche alle diverse realtà civili e statali, che la famiglia sia riconosciuta come un soggetto che ha un suo valore, una sua vocazione, e diritti come anche doveri.

    D. – Da un lato, tutti sulla carta difendono la famiglia in quanto tale, ma effettivamente c’è molta poca chiarezza. Ci sono anche molte spinte disgregatrici della famiglia, come viene intesa nel modo tradizionale, non solo dalla Chiesa ma anche dalle Carte delle Nazioni Unite…

    R. – Io direi vi è anzitutto una riflessione da fare: siamo di fronte a una sorta di esaltazione dell’“io” fino ad averne le vertigini e la sottolineatura unilaterale o assoluta dell’“io” sta, in realtà, sgretolando la famiglia, ma non solo: sgretola tante altre forme di socialità. Non è un caso che siano in crisi le società delle città, le società delle Nazioni, sono in crisi i partiti, sono in crisi tante forme associative. Questo, perché? Perché, appunto, l’“io” diventa una sorta di idolo verso il quale tutto va piegato: sul suo altare si sacrifica tutto. Ecco perché bisogna essere molto cauti nell’incrinare questo soggetto che, come dicevo prima, ha attraversato i secoli, che è vero che è mutato nelle sue manifestazioni, ma non certo nella sua sostanza. E questo va compreso con grande attenzione. Penso che debba far riflettere un fatto che sta emergendo in questi ultimi anni, e cioè la crescita delle cosiddette famiglie uni personali, cioè dei single che si ritengono famiglia. Questo mi suggerisce una riflessione: che rifiutare o non attuare il matrimonio e la famiglia non vuol dire che crescano le altre forme, ma si va verso una sorta di società de-familiarizzata, in cui qualsiasi legame diventa a tal punto pesante che alla fine si decide che sia meglio star soli.

    D. – Di questi temi sicuramente si parlerà nel Convegno pubblico, che è un’occasione anche per interpellare gli esperti…

    R. – Il discernimento o l’approccio, l’incontro con la società richiede anche una logica scientifica, giuridica, sociologica per coglierne i diversi aspetti.

    D. – Poi, ci saranno le famiglie protagoniste, sabato e domenica …

    R. – E questo è l’altro appuntamento straordinario: il pellegrinaggio delle famiglie del mondo a Roma. Provengono da più di 75 Paesi, credo che siano 150-200 mila famiglie, che manifesteranno la gioia di essere, appunto, famiglie cristiane, il che non vuol dire che non ci siano problemi, dolori, difficoltà. Le famiglie che vengono qui, però, vogliono dire che la gioia e la bellezza della famiglia vale la pena anche con tutti i problemi che possano esserci. E’ la gioia più grande.

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    Radio Vaticana: da domenica 27 ottobre cambiano le frequenze di alcuni programmi

    ◊   Avvisiamo i nostri ascoltatori che da domenica prossima, 27 ottobre, vi saranno alcuni cambiamenti sulle frequenze in FM della Radio Vaticana:

    - sulla frequenza di 105 FM per Roma e Provincia continuerà ad essere trasmessa la programmazione abituale in lingua italiana, e i Radiogiornali in lingua inglese e francese.

    - sulle frequenze di 93.3 FM e di 103.8 FM per Roma, sarà possibile seguire i canali internazionali della Radio Vaticana nelle principali lingue europee, e i programmi per l’Africa e l’Asia.

    Dunque, dal 27 ottobre, solo sulla frequenza di 93.3, i Radiogiornali delle ore 14.00 e delle ore 23.00, lasceranno il posto ai programmi della Radio Vaticana in diverse lingue, mentre quelli delle 8.00 e delle 21.00 continueranno ad essere trasmessi su questa frequenza.

    Inoltre, i tre canali FM si potranno ascoltare anche in digitale sul DAB e DAB+, denominati rispettivamente:

    RVaticana Italia – RVaticana Europe – RVaticana World

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il segreto della ragazza ebrea: all’udienza generale il Papa parla di Maria modello della Chiesa.

    Quell’invito a “pescar” con uno sguardo nuovo: in cultura, Jorge Milia su come parla Jorge Mario Bergoglio.

    Non facciamoci divorare da Krònos: l'arcivescovo Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, riguardo a memoria e identità nella visione cristiana della storia.

    Cristologia dal basso: John P. Meier illustra il contributo di Benedetto XVI alla ricerca sul Gesù storico.

    Sandro Barbagallo “tra le incertezze di Munch”: 150 anni fa nasceva il pittore norvegese.

    Su “Avvenire” Klaus Berger a proposito dei brodini teologici e gli insegnamenti di Ratzinger.

    Nell’informazione religiosa, un articolo dell'arcivescovo presidente del Pontificio Comitato, Piero Marini, dal titolo “Segno di speranza per i popoli dell'Asia”: nel 2016 le Filippine ospiteranno il cinquantunesimo Congresso eucaristico internazionale.

    In aiuto dei siriani: l'attività di Cor Unum per fronteggiare la crisi umanitaria.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, i negoziati per l'adesione della Turchia all'Ue.

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    Oggi in Primo Piano



    Pace in Medio Oriente: a Roma Kerry incontra Netanyahu e Letta

    ◊   Roma al centro oggi di importanti incontri bilaterali. Il segretario di Stato americano, John Kerry, si trova nella capitale italiana, dove sta avendo un colloquio, che, si presume, dovrebbe durare diverse ore, con il premier israeliano, Benyamin Netanyahu. Al centro dell’incontro l’andamento dei negoziati israelo-palestinesi, ma anche l’intera situazione mediorientale. E Kerry stamani ha parlato anche con il premier italiano, Enrico Letta. Ci riferisce Giancarlo La Vella:

    “Roma città della pace”, ideale rampa di lancio per il processo di pace israelo-palestinese che ha ripreso timidamente il suo corso. La soddisfazione espressa dal premier Letta per la scelta della sede italiana per colloqui così decisivi ha fatto da corollario al lungo e cordiale incontro che il presidente del Consiglio ha avuto con Kerry, alla presenza del ministro degli Esteri, Emma Bonino. Diversi i dossier sul tavolo: dalla Libia, per la quale è stato confermato l'impegno ad avviare la formazione delle forze di sicurezza di Tripoli, all'Iran e all'Afghanistan. Particolare attenzione è stata rivolta alla pace in Medio Oriente e alla crisi siriana in vista della conferenza internazionale "Ginevra 2". Commenti anche sull’Egitto e sul processo di transizione che si sta compiendo nel Paese non senza tensioni. Ma inutile dire che le attese maggiori sono rivolte agli esiti del colloquio, che si preannuncia denso di argomenti, che Kerry sta avendo con il premier israeliano, Netanyahu; un incontro che rivela come gli Stati Uniti vogliono tornare ad essere nello scacchiere internazionale il maggior promotore della pace in Medio Oriente, soprattutto nel momento che stiamo vivendo, nel quale alla questione israelo-palestinese si sono aggiunte quella siriana e quella dei difficili rapporti tra Stato ebraico e Iran, nonostante il nuovo corso, ispirato più al dialogo che allo scontro, avviato dal neo presidente di Teheran, Rohani.

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    Iraq: strage senza fine. Un esule: grandi interessi perché il Paese resti diviso

    ◊   Non si arresta la violenza in Iraq. Due kamikaze hanno colpito due posti di controllo della polizia, nella città di Rutba, a 110 chilometri dal confine con la Siria. Un altro commando ha attaccato due postazioni della pubbllica sicurezza a Ramadi, capoluogo della provincia di Anbar, 26 le vittime complessive. 5.200 i morti dall’inizio dell’anno, oltre 500 nel solo mese di ottobre. Un drammatico bilancio di morte sostanzialmente ignorato dai media internazionali. Migliaia i profughi che dalla caduta di Saddam Hussein, nel 2003, hanno lasciato e lasciano il Paese, con loro l’80% dei cristiani. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Taofic Mustafa Jassim, esule iracheno, esperto dell’Area e ricercatore presso l’Università di Pisa in Relazioni internazionali e Diritti umani:

    R. – E’ un massacro continuo. Dopo 10 anni dall’invasione e della caduta del regime di Saddam Hussein, ancora siamo punto e a capo. Non c’è un governo forte, è un Paese difficile da governare per il fatto della sua particolarità multietnica e multireligiosa, multipartitica. L’Iraq non ha trovato la pace.

    D. – Si parla anche di una guerra interna tra sciiti e sunniti: è così, secondo lei?

    R. – Certamente, all’occhio dell’opinione pubblica mondiale. In realtà, non è una guerra tra sciiti e sunniti: entrambi sono bersagli di questi attentati. Ora, la città di Rutba è la componente sunnita; il resto – Baghdad e altre città del Sud, per la maggior parte sono cittadini di fede sciita. Ma tutti i giorni noi sentiamo parlare di grandi attentati nelle moschee, nei centri urbani…

    D. – Ma quindi, chi sono questi terroristi?

    R. – Sono difficili da individuare: non è possibile credere che siano piccoli gruppi terroristici, perché questi grandi attentati quotidiani si ripetono da anni. Dal mio punto di vista, c’è una mente forte dietro a questi attentati, perché ha bisogno di grande logistica, di grandi preparazioni. Non è possibile che noi tutti i giorni sentiamo di decine di attentati di kamikaze: da dove viene tutto questo? E chi li prepara? E’ difficile dire chi sia dietro a questi. Sicuramente, grandi interessi internazionali, perché l’Iraq è un Paese ricchissimo di risorse naturali. Alla fine del 2013, quasi quattro milioni di barili di petrolio sono stati esportati quotidianamente. Qualche giorno fa, il ministro del Petrolio ha dichiarato che alla fine di questo decennio, nel 2020, sarà triplicata l’esportazione – vuol dire quasi 10 milioni di barili di petrolio. E ci sono grandi multinazionali e ovviamente è circondato da Paesi come l’Iran, come la Turchia, come la Siria oltre ai Paesi del Golfo… Sono in gioco grandi interessi internazionali e multinazionali.

    D. – Ma, secondo lei, c’è qualcuno che ha interesse affinché l’Iraq resti diviso?

    R. – Non c’è dubbio: più di un Paese.

    D. – Qual è il vantaggio?

    R. – E’ in qualche modo controllabile e le risorse naturali che ci sono possono essere meglio sfruttate.

    D. – Ciò che accade in Iraq tendenzialmente rimane sotto silenzio, per quanto riguarda la stampa internazionale. Perché sta diventando una crisi dimenticata?

    R. – Perché tutti gli occhi sono rivolti alla Siria, e per non spaventare le grandi multinazionali. Adesso, ci sono centinaia di grandi aziende petrolifere che stanno lavorando in Iraq e parlare dell’Iraq spaventa le multinazionali…

    D. – Cioè, lei sta dicendo: se si parla troppo della guerra, alla fine si perdono gli investitori internazionali e quindi è meglio non parlarne?

    R. – Secondo me, sì.

    D. – Dunque, quanto però influisce anche la situazione siriana in Iraq?

    R. – Sulla stampa irachena ho letto che al Qaeda ha minacciato di occupare provincie di Ramadi, al confine con la Siria, per cancellare il confine internazionale fra i due Paesi.

    D. – A questo si aggiunge anche il fenomeno dei profughi. Da una parte, in questo momento c’è una fuoriuscita dal Paese siriano, ma anche dall’Iraq le persone fuggono, per quanto sta accadendo?

    R. – E’ così, ora scappano dall’Iraq. Ora, anche moltissimi cristiani scappano dall’Iraq perché un Paese che prima della guerra aveva ufficialmente quasi un milione di cristiani che per secoli hanno vissuto lì, perché non c’erano stati problemi tra cristiani e musulmani di entrambe le tendenze – sunniti e sciiti. Ma dopo la caduta di Saddam Hussein, centinaia di migliaia di cristiani iracheni hanno abbandonato il Paese, insieme a molti musulmani. Ora, prima della guerra in Siria c’erano oltre un milione di iracheni solo in Siria; adesso, o tornano nel Paese d’origine dell’Iraq, o cercano di andare in altri Paesi. Allo stesso tempo ci sono anche i siriani che stanno scappando: si dice che in questo momento siano due milioni e mezzo i siriani fuori dal loro Paese, in Giordania, in Iraq, in Libano e in Turchia.

    D. – Qual è il suo auspicio?

    R. – Il mio auspicio è che la comunità internazionale prenda coscienza del fatto che questa tragedia deve finire. Deve intervenire per far cessare questo massacro, queste sofferenze sia in Siria, ovviamente, sia in Iraq: che favorisca un governo democratico – soprattutto – forte. Questo è il mio auspicio.

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    Grecia: stop ai soldi pubblici per Alba Dorata. Ferrari: decisione inevitabile

    ◊   Il parlamento greco ha deciso la sospensione del finanziamento pubblico al partito di estrema destra "Alba Dorata", nelle cui fila ci sono sei deputati accusati di costituzione di banda criminale. Lo schieramento è finito nella bufera a seguito dell’assassinio del rapper antifascista, Pavlos Fyssas, avvenuto ad Atene il 18 settembre scorso per mano di Georgios Roupakias, un militante di Alba Dorata reo confesso. Le indagini hanno portato all’arresto del leader del movimento, Nikos Michalo-liakos, e di altri esponenti del partito. Il commento di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, profondo conoscitore della realtà greca, al microfono di Giada Aquilino:

    R. – E’ un provvedimento a questo punto inevitabile: il parlamento ha creduto, naturalmente, alle indagini che sono state fatte, anche all’opera – devo dire abbastanza meritoria – del ministro dell’Interno, Yiannis Michelakis, che senza fughe di notizie è riuscito ad assestare un colpo piuttosto duro a questa organizzazione di estrema destra, guidata da Nikos Michalo-liakos, che si richiama anche nei simboli al nazismo: dalla svastica al tipo di propaganda e di azioni violente. In parlamento, c’è stata una maggioranza una volta tanto allargatissima – 235 deputati su 300 – che ha tolto, in pratica, il finanziamento pubblico al partito con la motivazione che già sei esponenti, tra cui il leader, hanno perduto l’immunità parlamentare perché alcuni si trovano in carcere e altri sono responsabili di avere gestito direttamente una banda armata a fini eversivi. Se sono vere le notizie che aveva diffuso To Vima, il più importante e qualificato settimanale greco – affermando che Alba Dorata aveva 3.000 uomini pronti a tutto e gruppi per azioni violente – tutto questo è poco compatibile con una formazione che voglia essere politica.

    D. – Ci sono segnali di tensioni o proteste da parte dei sostenitori di Alba Dorata, dopo la decisione del parlamento?

    R. – Per il momento, devo dire non c’è particolare tensione da parte dei rappresentanti all’interno del partito. Però, come accade spesso in questi casi, la brutalità dell’operazione che Alba Dorata stava conducendo ha drenato chiaramente l’impatto emotivo che questo gruppo – favorito anche dalla crisi – aveva avuto all’interno della società greca: impatto emotivo che aveva portato i consensi addirittura al 12%, dal 7% precedente. Quindi, adesso siamo ben al di sotto di questi dati ed è un risultato che fa capire quanto il greco medio, in fondo, sia rimasto disgustato da questo tipo di operazione propagandistica di Alba Dorata e che quindi ritenga inaccettabile il comportamento del partito e dei suoi membri.

    D. – Quando fu arrestato il leader di Alba Durata, il partito minacciò di ritirare i propri deputati dal parlamento, evocando quindi l’eventualità di nuove elezioni anticipate. Questo rischio c’è anche adesso?

    R. – Può anche darsi che ci sia. Tra l’altro, questa minaccia di abbandonare il parlamento, di dimettersi, è una minaccia che Michalo-liakos e i suoi accoliti hanno utilizzato nel momento in cui non avevano ancora compreso a che livello di profondità fosse arrivata l’indagine della magistratura. Adesso, credo che accadrà l’esatto contrario: cioè non ci sarà ritiro dei deputati proprio perché i deputati rimasti vorranno cercare di dimostrare che loro sono soprattutto un partito e non una banda armata.

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    Instabilità politica in Mozambico: gli ex ribelli denunciano l'accordo di pace del 1992

    ◊   In Mozambico, un gruppo degli ex ribelli della "Renamo" hanno dichiarato la fine degli accordi di pace del 1992 in risposta all’attacco subito per mano delle truppe governative nel Centro del Paese. La reazione degli ex ribelli non si è fatta attendere: un gruppo di essi ha infatti assaltato un centro di polizia. Le violenze tra le opposte fazioni sono circoscritte al momento nella sola regione di Sofala, ma Elvira Ragosta ha chiesto al comboniano, padre Victor Hugo Garcia, che vive a Nampula, se questi scontri potrebbero compromettere la stabilità in Mozambico:

    R. – Purtroppo, non si sa ancora molto, anche perché i mass media sono quasi tutti in mano al governo o all’opposizione filogovernativa. E’ arrivato anche il comunicato da parte della Renamo, dove hanno sottolineato di avere ritenuto questo inseguimento, questo attacco come se fosse la fine dell’accordo di pace firmato nel ’92 a Roma. E’ preoccupante per tutti noi, perché se questo comunicato prende piede, cominceranno – speriamo di no – ad avere dei problemi e ad avere attacchi, per quello che si sa finora.

    D. – Secondo lei, questi scontri possono compromettere la stabilità del Mozambico, proprio dopo il lungo cammino di mediazione che nel ’92 ha posto fine alla guerra?

    R. – Definitivamente sì, perché i miliziani della Renamo prendono troppo sul serio queste cose e l’hanno già dimostrato, a partire dal mese di marzo, quando hanno attaccato macchine per strada e hanno ucciso delle persone. In seguito, si è cercato di avere diversi momenti di dialogo fra il governo e l’opposizione della Renamo – più di 13 o 14 incontri – ma in nessuno di questi c’è stato un risultato positivo.

    D. – Due anni fa, gli ex ribelli della Renamo hanno avuto una spaccatura interna: è nata una costola politica con il Movimento democratico del Mozambico. Secondo lei, le azioni di questi giorni potrebbero essere un modo per cercare audience politica, in vista delle elezioni amministrative del 20 novembre e delle elezioni politiche del prossimo anno?

    R. – E’ difficile dirlo in questo momento, con questa spaccatura che ha avuto la Renamo. Quello che si presuppone è che gli scontri di ieri comprometteranno le votazioni, che avverranno il 20 novembre. Si presuppone, quindi, che non saranno elezioni facili.

    D. – Nel ’92, una mediazione internazionale ha portato alla fine di una guerra durata 16 anni. Quanto resta ancora nella memoria della comunità questo grande lavoro di diplomazia, anche con l’aiuto della Comunità di Sant’Egidio, con il suo ruolo mediatore?

    R. – Bisogna dire che le generazioni giovani purtroppo non sanno niente. C’è il tentativo di dimenticare, anche a livello politico, tutte queste ferite. Pochi purtroppo parlano del lavoro importantissimo che ha fatto la Chiesa e concretamente la Comunità di Sant’Egidio. I vescovi hanno scritto l’anno scorso un documento molto importante – una carta pastorale – che sottolinea ancora una volta l’importanza del dialogo e fa memoria, ricorda queste trattative di pace. I vescovi mozambicani sottolineano la grande fragilità che vive questo Paese in questo momento della sua storia.

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    L'Ue ricorda vittime delle mafie. La Torre: polizie devono dotarsi di norme più incisive

    ◊   Si tengono oggi in diverse città manifestazioni e iniziative per celebrare la “Giornata europea in ricordo delle vittime di mafia e della criminalità organizzata”. Una giornata istituita dal Parlamento europeo con l’intento di dare un segnale chiaro della consapevolezza che quella del contrasto alle mafie è una sfida che coinvolge l’intero Vecchio Continente. Adriana Masotti ne ha parlato con Franco La Torre, presidente della rete europea Flare, "Freedom Legality and Rights in Europe", promossa dall’associazione Libera:

    R. - Sì, senz’altro lo possiamo dire. A testimoniarlo è anche un atto politico formale delle istituzioni europee, ovvero la proposta di direttiva che la Commissione europea ha inviato al parlamento e al Consiglio europei all’inizio dell’anno scorso. Iniziativa che dimostra come la questione relativa alla presenza delle mafie sul territorio dei Paesi membri dell’Unione sia ormai un dato assunto anche in sede politica. La direttiva è finalizzata, innanzitutto, all’introduzione negli ordinamenti giudiziari dei Paesi membri del provvedimento di sequestro e confisca dei beni della criminalità organizzata.

    D. - E’ possibile dire in quali settori - economici, produttivi, etc. - si esprima maggiormente la criminalità organizzata a livello europeo?

    R. - Quelli di maggior rilevanza: le mafie vanno dove ci sono affari da concludere. Sono noti interessi della camorra, per esempio, nel settore turistico in Spagna. Ci sono settori economici illegali, per così dire, che stanno molto a cuore alla criminalità organizzata, che fa dell’illegalità il suo primo ambito di intervento. Sono quelli della tratta degli esseri umani e degli organi, ma c’è anche il riciclaggio di denaro e le inchieste di Europol e degli organismi giudiziari europei vedono l’attività di riciclaggio in Germania come in Spagna, in Grecia, nel Regno Unito e in Francia.

    D. - Ultimamente, si parla molto anche di interessi mafiosi nel settore dell’ agroalimentare…

    R. - Certo, certo. Nel settore agroalimentare e in quello anche del trattamento dei rifiuti e non solo dei rifiuti solidi urbani, ma anche di quelli pericolosi di tipo industriale.

    D. - A suo parere, le normative esistenti e anche l’organizzazione delle Polizie, a livello appunto europeo, sono adeguate a questo diffondersi della criminalità organizzata?

    R. - Come sempre accade, ci sono luci ed ombre anche in questo ambito. Ed è il motivo per cui organizzazioni in Italia come Libera o a livello europeo come Flare ("Freedom legality and rights in Europe"), la rete internazionale promossa da Libera stessa, non smettono mai di segnalare, sollecitare, sostenere e agire nei confronti delle istituzioni europee perché si adeguino. E’ una battaglia che assume una straordinaria rilevanza vista la straordinaria capacità di penetrazione che hanno le mafie in Europa nei processi decisionali e quindi nei sistemi economici, ma anche in quelli politici.

    D. - In riferimento all’Italia e all’impegno contro la mafia, abbiamo visto che per mesi non c’è stata la possibilità di avere un presidente della Commissione antimafia e soltanto ieri si è arrivati a un nome, che ha suscitato nuove polemiche tra i partiti. Al di là della politica, questo è un segnale negativo per quanto riguarda la lotta alla mafia?

    R. - Dispiace dirlo, ma in effetti questa Commissione parlamentare è stata istituita e la sua presidenza si è realizzata sotto i peggiori auspici. Non dimentichiamo che di questa Commissione fanno parte parlamentari indicati dai rispettivi gruppi che - come dire - non danno tutte le garanzie della loro imparzialità e oggettività. Questo segnala la crisi, la profonda crisi di valori. Questo, ovviamente, non ci tranquillizza…

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    Aumenta consumo di cannabis tra adolescenti: il 20% ne ha fatto uso almeno una volta

    ◊   Negli ultimi due anni è aumentato il consumo di cannabis nei giovani tra i 15 e i 19 anni. Nel corso del recente forum sulla marjuana “Wee Free Days”, organizzato dalla comunità di San Patriganano, è emerso che gli effetti dell’uso di questa sostanza sugli adolescenti potrebbero, nel lungo periodo, compromettere lo sviluppo cognitivo e le conseguenze sarebbero diverse a seconda del sesso. Elvira Ragosta ne ha parlato con il dott. Giovanni Serpelloni, direttore del Dipartimento Politiche Antidroga:

    R. - Gli effetti sono molteplici: in particolare nel lungo periodo si hanno quelli relativi alla sfera mentale. Quindi è possibile che si manifestino delle condizioni psichiche di svantaggio quali l’ansia, anche con attacchi di panico; ci possono essere anche delle condizioni che compromettono le attività cerebrali più nobili, quindi il quoziente intellettivo può calare. Ci sono degli studi, durati anche 30 anni, che hanno dimostrato la perdita di ben otto punti tra quelle persone che hanno utilizzato sostanze in giovane età; stiamo parlando della cannabis chiaramente. A livello femminile si manifestano maggiormente delle sindromi ansiose, degli attacchi di panico, rispetto al sesso maschile che comunque non è immune. E questo è molto importante, perché ha dei riscontri, dei riverberi, su quelle che possono essere le motivazioni ad affrontare i problemi della vita o ad affrontare dei corsi di studio, il lavoro … Anche la memorizzazione, la cosiddetta working memory, quella che usiamo per memorizzare le sequenze operative, viene messa in difficoltà e manifesta questo problema ancora di più con l’avanzare dell’età.

    D. - Ci può dare dei dati aggiornati sul consumo giovanile?

    R. - Ci sono dei dati relativi al 2013 che mostrano che negli ultimi tre anni abbiamo avuto un calo dei consumi nella popolazione generale, cioè nella popolazione che va dai 15 ai 64 anni. Se però andiamo ad isolare i 15-19 anni, quindi il blocco relativo solo ai giovani, vediamo che negli ultimi due anni c’è stata una lieve tendenza all’aumento: si è interrotta quella tendenza a ridurre il consumo; questo, molto probabilmente, in relazione con un aumento molto cospicuo della pubblicità - chiamiamolo così - della promozione dell’uso di cannabis su Internet, dove ormai ci sono un sacco di siti che insegnano a coltivarla. E questo dovrebbe farci pensare anche in termini preventivi che bisognerebbe creare le condizioni di prevenzione anche su questa rete che è molto utile ma che a volte può dare dei messaggi fuorvianti.

    D. - Il consumo di cannabis tra gli adolescenti sembra essere diventato comune anche nelle scuole. Esiste un vademecum per genitori, un modo con cui i genitori possono accorgersi dagli atteggiamenti dei propri figli di un eventuale uso o abuso di sostanze?

    R. - Sicuramente sì. Però va detta anche una cosa: non pensiamo che i nostri giovani sono tutti drogati, non è così! È circa solo il 20 percento - anche se è una cifra molto alta per me - che usa sostanze perlomeno una volta all’anno; l’80 percento non usa queste sostanze. Quindi la normalità è – appunto - il non uso, questo va detto molto chiaramente. I genitori possono sicuramente aumentare la loro sorveglianza, guardando quelli che possono essere i cosiddetti disturbi comportamentali o i deficit di attenzione, la difficoltà a concentrarsi o magari il ragazzo prima andava bene a scuola adesso va molto male perché ci sono delle funzioni cerebrali - la memorizzazione e l’attenzione - che con la cannabis vengono compromesse. Ma anche un aumento dell’aggressività, un aumento di quella maleducazione che a volte viene lasciata passare perché si è nel periodo adolescenziale... ci possono essere degli alti o bassi, ma in realtà nasconde a volte l’uso di sostanze e non sempre solo cannabis. Quando si usano cocaina o anfetamine in particolare, l’aggressività si slatentizza molto di più. Oltre a questo, ricordo che purtroppo soprattutto nel sesso femminile, nelle giovani donne, c’è un utilizzo della cocaina e delle anfetamine che viene finalizzato al controllo alimentare, al controllo dietetico, perché si tratta si sostanze anoressizzanti, spesso accompagnate da alcol; quindi è possibile che questo avvenga anche nelle giovani donne.

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    Convegno ecclesiale nazionale. Mons. Nosiglia: importante coinvolgere le Chiese locali

    ◊   Non tanto un documento di lavoro, quanto un invito ad intraprendere insieme un cammino. E’ quello che di recente l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, ha indirizzato alle diocesi, le Facoltà Teologiche, le Consulte dell’apostolato dei laici, le associazioni e i movimenti in Italia, in vista del Convegno Ecclesiale nazionale che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015. Il Convegno avrà per tema: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” e affronterà il travaglio culturale e sociale che caratterizza il nostro tempo mettendo in discussione a volte principi e valori fondamentali personali e collettivi. Adriana Masotti ha intervistato lo stesso mons. Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio del Convegno:

    R. – Si chiama “invito” appunto perché vuole coinvolgere le nostre Chiese locali a mettersi in moto per riflettere insieme sul tema del Convegno, vedere quali siano le esperienze già in atto che mettono in circolo il discorso dell’annuncio di Gesù Cristo con la vita delle persone. Nuovo umanesimo significa appunto che da Gesù Cristo nasce la forza per vivere in modo nuovo la vita di famiglia, di lavoro, ecc … Vogliamo suscitare anzitutto un atteggiamento: un atteggiamento positivo, carico di fiducia, carico di speranza come ci ricorda sempre Papa Francesco. Discernere, leggere insieme i segni dei tempi per parlare un linguaggio accessibile, ma credibile anche, all’uomo d’oggi. Ascoltiamo la base, ascoltiamo le Chiese locali che ci dicono quali siano le esperienze significative che già sono in atto – le buone opere, come si dice – per cui, a partire dalle loro indicazioni - alla fine entro maggio dovremo raccogliere tutte queste indicazioni, queste esperienze - procederemo a definire il vero e proprio documento del Convegno. Luci e ombre, certo, perché il discorso dell’umanesimo non è semplice: ci sono tanti umanesimi oggi con cui bisogna confrontarsi, e sono anche abbastanza devastanti – lo sappiamo – rispetto alla tradizione e al messaggio cristiano. Però, non dobbiamo guardare solo a questi aspetti problematici: cerchiamo di stabilire dei varchi, dei ponti anche verso tutti gli altri umanesimi, per poter riscoprire la centralità, la bellezza e la profondità dell’umanesimo cristiano.

    D. – Veniamo proprio al titolo del Convegno: “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”. Al centro, dunque, ci sarà l’uomo, l’uomo di oggi, in riferimento a Gesù …

    R. – Lo diceva già il Concilio nella Gaudium et Spes: chi segue Cristo si fa lui pure più uomo, perché Cristo è l’uomo perfetto. Il Figlio di Dio certamente è uomo perfetto, perchè ha assunto pienamente tutto ciò che è umano. Saremo a Firenze, e noi lo sappiamo, Firenze è la città dell’umanesimo, lo richiama in maniera plastica, in maniera veramente forte dal punto di vista artistico, dal punto di vista letterario, umano, anche sociale … Quindi, in questo senso, annunciare Gesù Cristo vuol dire annunciare che l’uomo può trovare in Lui una pienezza di vita, di speranza e di futuro, anche. La speranza più grande che non azzera nessuna delle speranze umane, ma che ti dà la forza di costruire qualcosa di più vero, di più profondo, di più durevole. E questo, se si fonda sul Dio di Gesù Cristo, sul messaggio di Gesù Cristo, sulla Persona di Gesù Cristo, ha la possibilità di riuscire. Credo che questo orizzonte sia fondamentale per ridare anche un po’ alla nostra società in Italia questa dimensione di guardare avanti con rinnovata fiducia e speranza, recuperando certi valori etici, spirituali, umani, civili profondi che erano stati e sono alla base della storia del nostro popolo.

    D. – Quello del 2015 sarà il quinto Convegno ecclesiale nazionale, temi e titoli diversi nel tempo, ma elemento comune a tutti è sempre l’evangelizzazione …

    R. – Certo: questo, direi, è il filo rosso che percorre tutti i convegni della Cei, e anche qui al centro c’è l’evangelizzazione, perché dicendo subito “in Gesù Cristo”… chiaramente il Vangelo è Gesù Cristo da seguire, da amare, da far diventare punto di riferimento non solo per la propria esistenza personale, ma familiare e sociale. E poi, questi Convegni hanno però sempre avuto questa attenzione profonda alla società, alla realtà, al desiderio di parlare anche a coloro che sono fuori dalla Chiesa. E’ una Chiesa che si fa interprete, che si fa dialogante, che si fa vicina ad ogni uomo.

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    Il dialogo tra Cina e Occidente nel libro “Un cristiano alla corte dei Ming"

    ◊   “Un cristiano alla corte dei Ming. Xu Guangqi e il dialogo interculturale tra Cina e Occidente”. Questo il titolo del libro, a cura di Elisa Giunipero ed edito da Guerini e Associati, presentato ieri sera nella sede della nostra emittente. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Funzionario imperiale e grande scienziato, Xu Guangqi (1562 – 1633) è un personaggio chiave nella storia del cattolicesimo cinese. Una vita profondamente segnata dal legame di amicizia con padre Matteo Ricci, missionario gesuita in Cina. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana:

    “Non si può capire Matteo Ricci in Cina e quello che ha fatto senza incontrare il suo dialogo, la sua amicizia con i cinesi. E Xu Guangqi è il primo, il più simbolicamente importante. Ma non è l’unico, evidentemente”.

    L’amicizia tra Xu Guangqi e Matteo Ricci è anche uno snodo cruciale per promuovere le relazioni tra Oriente e Occidente. Il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio:

    “Sulle note di questa amicizia, e nello spessore di questa amicizia, passano la fede, la comunicazione del Vangelo, lo scambio delle culture, il dono di una sapienza linguistica e la scienza occidentale”.

    Un’amicizia arricchita dai frutti del dialogo interculturale. Il prof. Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

    “L’intercultura non è la scoperta di ciò che unisce, ma la creazione di qualcosa di nuovo che unisce. In realtà, è una contaminazione tra culture”.

    Il prof. Ren Yanli, membro dell'Accademia cinese delle Scienze sociali e dell'Istituto di ricerca delle Religioni mondiali, ha poi espresso un auspicio:

    “Speriamo che gli studi su Xu Guangqi possano promuovere il processo di Beatificazione. Un giorno, prima o poi, tutti e due, insieme, saranno dichiarati Beati e anche Santi”.

    Il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha infine ricordato l’importanza dell’esemplare testimonianza offerta da Xu Guangqi:
    “Non c’è unità e futuro anche per la Chiesa in Cina se non seguendo delle orme che lui ha tracciato. In questo senso, diventa anche esemplare in quelle che devono essere le relazioni – ci auspichiamo un giorno tra Cina e Santa Sede – per il grande Paese della Cina".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: incursione delle milizie islamiste nella città cristiana di Sadad

    ◊   La città cristiana di Sadad, situata in un'area strategica lungo la strada che unisce Homs a Damasco, è da ieri al centro della battaglia tra l'esercito di Assad e le milizie ribelli egemonizzate dai gruppi di marca islamista. L'assalto di Sadad da parte delle milizie ribelli è avvenuto nel pomeriggio di lunedì scorso. Secondo fonti locali, rilanciate anche dall'Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra, l'incursione ha avuto modalità simili a quello subito un mese fa dallo storico villaggio cristiano di Maalula. Diverse centinaia di uomini ripartiti tra gli elementi delle brigate al-Faruk e gli islamisti del fronte al-Nusra e dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante sono penetrati a Sadad da tre direzioni, con una trentina di veicoli militari, prendendo di mira inizialmente l'ospedale cittadino e impadronendosi degli edifici governativi. Nella giornata di martedì l'esercito ha iniziato la controffensiva, intervenendo a supporto delle forze locali di polizia. Intanto, una parte dei 15mila abitanti - in maggioranza cristiani ortodossi e cattolici di rito siro - ha iniziato il suo esodo in direzione dell'arteria di collegamento tra Damasco e Homs, che dista 15 chilometri. La città biblica di Sadad, citata nel Libro dei Numeri e nel Libro di Ezechiele, si trova a 95 chilometri da Damasco e a una sessantina da Homs. La città ospita due chiese, dedicate a San Sergio e San Teodoro, rinomate per i loro affreschi. (R.P.)

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    Egitto: critiche dei cristiani a governo e forze di sicurezza per gli attacchi alle chiese

    ◊   Durante l'attacco terroristico che domenica scorsa ha provocato la morte di quattro persone – comprese una bambina di 9 anni e una ragazza di 12 – e il ferimento di altre 18 invitati a un matrimonio copto, i poliziotti che avrebbero dovuto presidiare la chiesa durante la cerimonia erano assenti. Lo ha confermato alle fonti della stampa egiziana, il personale della stessa chiesa, fornendo così nuovi motivi all'insofferenza verso le forze di sicurezza che già serpeggia in alcuni ambienti cristiani. Ieri - riferisce l'agenzia Fides - i militanti dell'Unione giovanile Maspero – gruppo di giovani attivisti espressione della comunità copta ortodossa - hanno cancellato la manifestazione di protesta indetta dopo la strage per non fornire pretesto a azioni provocatorie fomentate da “infiltrati”, ma nel contempo, durante incontri avuti con rappresentanti del governo, hanno chiesto la rimozione del ministro degli interni Mohamed Ibrahim per la sua manifesta incapacità a proteggere i cristiani. Intanto, il sacerdote copto ortodosso Thomas Daoud Ibrahim, parroco della chiesa colpita dall'attacco terroristico, ha confermato che tra i feriti ci sono alcuni esponenti dei Fratelli Musulmani, invitati al matrimonio, e che membri del movimento islamista hanno partecipato ai soccorsi portati ai feriti dopo l'attentato. (R.P.)

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    Vescovi europei: appello all'Onu in difesa delle minoranze religiose

    ◊   “Preoccupati per la violenza persistente e le persecuzioni nei confronti delle minoranze cristiane e di altri gruppi religiosi” i vescovi europei scendono in campo e lanciano un appello che verrà presentato in questi giorni ai vertici delle Nazioni Unite affinché venga adottata una Risoluzione per la protezione delle minoranze religiose. L’appello - ripreso dall'agenzia Sir - è contenuto in una Dichiarazione congiunta che l’assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), riunita nei giorni scorsi a Bratislava, ha sottoscritto insieme alla “Appeal of Conscience Foundation”, fondazione interreligiosa che riunisce esponenti di ogni fede per promuovere “la pace, la tolleranza e la risoluzione di confitti etnici”. La Dichiarazione è stata inviata anche ai vertici di numerose nazioni per chiedere “misure e azioni reali in difesa delle minoranze religiose, dei luoghi di culto e dei testi sacri”. “Condanniamo - si legge nella Dichiarazione - tutti gli atti o minacce di violenza, distruzione, danneggiamento o intimorimento diretti contro le minoranze religiose, inclusa la distruzione di luoghi di culto e di testi religiosi sacri di qualsiasi tipo”. “Rivolgiamo un appello a tutti gli Stati per la prevenzione degli atti o minacce di violenza, e invitiamo le organizzazioni intergovernative e non governative competenti a contribuire a questi sforzi sviluppando iniziative appropriate che mirino a promuovere il rispetto reciproco e il riconoscimento delle minoranze religiose”. “Rendiamo oggi pubblico questo testo con la speranza che esso possa trovare un riscontro positivo in breve tempo”, spiega il card. Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee. Ed aggiunge: “La quantità di persone che stanno soffrendo a causa della propria fede è uno scandalo nel nostro mondo moderno”. Per questo motivo nella dichiarazione congiunta si legge: “Il Consiglio delle Conferenze episcopali d‘Europa e la Fondazione per l’appello alla coscienza esortano tutti gli Stati, le organizzazioni intergovernative e non governative e i media a promuovere, attraverso la formazione, una cultura del rispetto reciproco e della tolleranza per la diversità delle religioni, che rappresentano un aspetto importante del patrimonio collettivo dell’umanità”.

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    Patriarca maronita Rai in Qatar. Solleverà il caso dei due vescovi ortodossi rapiti

    ◊   Il patriarca maronita Bechara Rai è da ieri in Qatar, in una visita ufficiale su invito dello sceicco Tamim bin Hamad al-Thani. Con le autorità qatariote egli solleverà la vicenda dei due vescovi ortodossi rapiti in Siria lo scorso aprile e chiederà la loro cooperazione. Il Qatar - riferisce l'agenzia AsiaNews - è fra i sostenitori militari delle truppe ribelli al presidente siriano Bashar Assad. "Spero - ha detto il patriarca - che le autorità del Qatar useranno tutta la loro influenza per svelare cosa è successo ai due vescovi, insieme a quello di altri tre sacerdoti che sono stati rapiti e di cui non si conosce il destino". In questi stessi giorni il capo della sicurezza libanese, gen. Abbas Ibrahim si è recato in Siria per trovare il modo di far liberare i due vescovi. I due vescovi di Aleppo, mons. Youhanna Ibrahim siro-ortodosso, e Boulos Yazigi, greco-ortodosso, sono stati rapiti il 22 aprile scorso vicino a Kafr Dael, una città del nord in mano ai ribelli. Da allora vi è silenzio sulla loro sorte, e spesso emergono notizie contrastanti sulla loro liberazione o sulla loro morte. Lo stesso avviene per il gesuita italiano Paolo Dall'Oglio, scomparso verso la fine del luglio scorso, mentre cercava la riconciliazione fra fazioni islamiste e laiche ribelli. (R.P.)

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    Filippine: due anni dopo resta impunito l’omicidio di padre Tentorio

    ◊   A due anni dal delitto, resta impunito l’omicidio del missionario del Pime padre Fausto Tentorio, ucciso il 17 ottobre 2011 nella sua parrocchia di Arakan, nella provincia di Nord Cotabato, sull’isola di Mindanao (Filippine Sud). E le indagini – notano fonti locali dell'agenzia Fides – sono “in alto mare”. “Cerchiamo di tenere viva la speranza di giustizia”, ha detto il vescovo di Kidapawan, mons. Romulo de la Cruz, durante la celebrazione eucaristica in occasione del secondo anniversario della morte del missionario. “Continuiamo a pregare e a sperare”, ha esortato il vescovo, ricordando il passo evangelico che recita “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Come appreso da Fides, alla celebrazione erano presenti oltre mille persone, fra parrocchiani, fedeli, indigeni, attivisti di gruppi e associazioni che reclamano giustizia. Finora, notano gli attivisti, non sono state depositate prove contro gli indagati. Come riferiscono fonti locali di Fides, l’inchiesta sul delitto è arenata in una selva di indicazioni contraddittorie e di depistaggi. Tre testimoni che avevano indicato, fra gli autori del delitto, i fratelli Jose e Dimas Sampulna hanno ritrattato, scagionandoli. Dopo la ritrattazione, Gregorio Andolana, avvocato della diocesi di Kidapawan, ha chiesto ulteriori indagini, e il Procuratore capo le ha disposte. Fra gli indagati sono rimasti i fratelli Jimmy e Robert Ato, arrestati a dicembre 2011, e cinque membri del gruppo paramilitare “Bagani”, guidati da Jan Corbala, detto anche “Comandante Iring”. Anche i fratelli Ato, però, oggi vengono scagionati da un altro testimone oculare, che in precedenza li aveva accusati. Il confratello di padre Fausto, padre Peter Geremia del Pime, è convinto che “qualcuno sta cercando di bloccare o sviare le indagini”, e rilancia i sospetti sui gruppi paramilitari che pattugliano l’area. Costoro, però, afferma in una nota giunta a Fides, “sembrano intoccabili”. “Continuiamo a sfidare un sistema di impunità e un sistema di corruzione”, sottolinea il missionario, spiegando che il suo impegno “è per padre Fausto ma anche per le altre vittime di esecuzioni extragiudiziali”. Padre Tentorio era noto per la sua opera di sensibilizzazione e sviluppo dei popoli indigeni, per l’impegno in difesa dei diritti umani e per la tutela dell’ambiente. (R.P.)

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    Chiesa-Ue. Mons. Giordano: cristianesimo chance per l'Europa

    ◊   “Oggi l’Europa ha bisogno di pensiero”, di “valori condivisi sui quali costruire l’unità”; “c’è bisogno di aprire il cielo sull’Europa, di spalancare la storia sull’eternità”. Mons. Aldo Giordano, Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, è intervenuto ieri sera, a margine della sessione plenaria dell’Europarlamento in corso a Strasburgo, su invito del Gruppo di lavoro paneuropeo, con una relazione su “Il cristianesimo, una chance per il futuro dell’Europa”. L’ampia relazione - riferisce l'agenzia Sir - ha preso le mosse da alcune citazioni di carattere filosofico, in particolare di Friedrich Nietzsche (la morte di Dio), per sviluppare poi una riflessione a carattere biblico e teologico sul significato della presenza del cristianesimo nel tempo moderno e nell’Europa di oggi. L’analisi del rappresentante vaticano, sullo stile dell’“oasi di riflessione culturale”, ha dunque ripercorso “la questione di Dio” per l’uomo contemporaneo, affrontando il tema della verità e del relativismo, da cui nasce l’interrogativo sulla possibilità di costruire l’integrazione europea senza una “vera condivisione di valori di fondo”, derivanti dalla storia, dalla cultura, dai diritti fondamentali, dalle religioni, per conferire solidità al percorso politico comunitario. “L’umanità necessita sempre di una luce, e oggi il cristianesimo vorrebbe portare”, con discrezione una luce, “la luce di Dio, nel nostro tempo”, ha affermato mons. Aldo Giordano. Il prelato ha ricordato che in Europa “esiste una popolazione in maggioranza costituita da battezzati”, e ciò domanda quale possa essere lo stile della presenza credente in questo tempo, “con la fede cristiana chiamata a misurarsi con la secolarizzazione e con una società multiculturale e multireligiosa”. Secondo mons. Giordano il cristianesimo, “che crede in un Dio crocifisso, un Dio che ha dato la vita per tutti”, che predica “la solidarietà e la fratellanza fra gli uomini”, trova un punto di incontro con l’Europa sul piano della libertà, “che è la grande conquista europea”, una libertà che mira a costruire, nel rispetto altrui, una comunità solidale e aperta. Tra le questioni poste dal pubblico, non ne poteva mancare una sui “due Papi”, Benedetto XVI e Francesco. “Papa Francesco ci stupisce perché mostra un cristianesimo che si 'impone’ per la sua semplicità, la sua bontà, la sua mitezza… E la figura e la predicazione di Francesco è oggi possibile grazie a Benedetto, che lo ha preceduto, preparandogli il cammino”. Secondo mons. Giordano, infatti, Ratzinger “indica la via del monastero, del pensiero, della riflessione”, dai quali matura il messaggio di Bergoglio, che “riparte dal monastero, per portare il messaggio del vangelo e della carità sulle vie del mondo”. (R.P.)

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    Congo. Sospensione dei colloqui di Kampala: il governo accusa i ribelli dell’M23

    ◊   Il governo della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) rigetta la responsabilità della sospensione dei colloqui di pace di Kampala (Uganda) sul movimento di guerriglia M23. Il 21 ottobre Lambert Mende, portavoce del governo di Kinshasa, ha annunciato la sospensione dei colloqui in corso nella capitale ugandese tra le autorità congolesi e i guerriglieri. Mende ha accusato la controparte di utilizzare le trattative solo per prendere tempo, secondo la tattica “talk and fight” (“parla e combatti”). Il portavoce congolese - riporta l'agenzia Fides - ha denunciato in particolare il rafforzamento militare dei ribelli M23 attraverso il trasferimento nel Nord Kivu (est della Rdc) di armi e uomini (compresi bambini soldato) dal vicino Rwanda. Il governo di Kinshasa ha inoltre espresso preoccupazione per il trasferimento a Rutshuru dal Rwanda di più di 2.000 persone all’insaputa del governo della Rdc e dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr). “Secondo fonti degne di fede, nel Nord Kivu hanno identificato tra queste persone dei cittadini rwandesi espulsi di recente dalla Tanzania e degli ufficiali rwandesi armati che li dirigono. Un buon numero di questi falsi rifugiati congolesi di ritorno hanno cominciato a subire una formazione militare affrettata mentre le persone meno abili (donne, anziani e bambini) sono destinate a servire come scudo umano per l’M23 nel quadro della progettata offensiva” ha affermato Mende. Per questo motivo, ricordando le diverse concessioni fatte dal governo congolese all’M23 nel corso del negoziato, le autorità di Kinshasa hanno sospeso i colloqui perché “l’M23 non faceva altro che rilanciare mettendo sul tavolo nuove rivendicazioni spesso irrazionali”. Nel frattempo l’Onu ha annunciato che è stato completato il dispiegamento nel Nord Kivu della Brigata di Intervento della Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (Monusco), che dovrebbe contribuire a garantire la sicurezza dell’area e al disarmo delle diverse formazioni di guerriglia che vi operano. (R.P.)

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    Centrafrica: carestia e malattie affliggono i rifugiati sudanesi

    ◊   Da circa due mesi - riferisce l'agenzia Fides - i profughi sudanesi residenti nel campo di Bambari, nella Repubblica Centrafricana, non hanno accesso a razioni alimentari. Il portavoce del campo ha riferito alla Radio Dabanga che i rifugiati vertono in condizioni di estrema precarietà. “Gli ultimi aiuti sono arrivati 55 giorni fa”, racconta all’emittente radiofonica, aggiungendo che, nelle ultime due settimane a causa di una malattia, rimasta ancora misteriosa, sono morte tre donne e un bambino. I sintomi sono mal di testa, dolori al petto, e vomito di sangue, le cause non sono ancora state identificate. E’ stato lanciato un appello alle agenzie umanitarie per un tempestivo approvvigionamento di cibo e farmaci. (R.P.)

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    Uganda: la crisi in Centrafrica impedisce ai "bambini soldato" di tornare a casa

    ◊   «Dopo il golpe della Seleka, per i 'bambini soldato' tenuti in ostaggio in Centrafrica è divenuto ancora più difficile tornare a casa». È quanto dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre mons. Cosmas Alule, rettore del seminario maggiore nazionale di Alokolum, nel nord dell’Uganda. Mons. Alule racconta alla fondazione pontificia come in passato molti dei ragazzi rapiti e condotti a forza nella Repubblica Centrafricana dal gruppo ribelle Lord's Resistance Army (Lra), riuscissero a fuggire grazie all’aiuto dei soldati ugandesi di stanza in Centrafrica. «Ora però il nuovo governo di Bangui, nato da una fazione della coalizione Seleka, è favorevole al leader dell’Lra, Joseph Kony, ed ha espulso i militari ugandesi dal Paese». Il rettore esprime profondo rammarico per la sorte dei tanti giovani costretti a combattere, «quando potrebbero invece rientrare in Uganda, dove la popolazione non vive più nella paura». Secondo il rettore, infatti, l’Esercito di Resistenza del Signore è attualmente più attivo in Sudan e nella Repubblica Centrafricana. Anche la diocesi di Golu, in ci si trova il seminario di Alokolum, è stata gravemente colpita dalla violenza dell’Lra. L’11 maggio 2003 il seminario minore diocesano è stato attaccato dai ribelli che hanno rapito quarantuno seminaristi con l’obiettivo di costringerli a combattere. È tuttora ignota la sorte di dodici di loro. «Nonostante tutto, continuo a sperare che loro o altri 'bambini soldato' possano riabbracciare le proprie famiglie», afferma mons. Alule. Secondo dati dello Human Right Watch, dal 1987 circa 80mila ugandesi sono stati rapiti ed inseriti nelle file dell’Lra. Almeno 38mila di loro erano adolescenti, se non addirittura bambini. Ed è alle migliaia di bambini soldato che dal 2001 si rivolge Radio Wa, la piccola stazione della diocesi di Lira da anni sostenuta da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Nel programma radiofonico Karibu – “benvenuto” in lingua swahili - familiari e amici dei piccoli rapiti hanno la possibilità di mostrare affetto ai propri cari e chiedere loro di tornare a casa. La radio è ascoltata perfino nella boscaglia e grazie alla sua trasmissione almeno 1.500 'bambini soldato' hanno fatto ritorno a casa. (R.P.)

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    Haiti: in tre anni di colera morte ottomila persone

    ◊   I casi di colera sono aumentati ad Haiti a settembre, rispetto al mese precedente, secondo l’ultimo bollettino dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento delle questioni umanitarie (Ocha) diffuso a Port-au-Prince. Tracciando un bilancio dell’inedita epidemia scoppiata tre anni fa nel povero paese caraibico, devastato dal sisma del gennaio 2010 - riferisce l'agenzia Misna - lo studio descrive uno scenario “preoccupante” con 5600 contagi il mese scorso, rispetto ai 5300 di agosto. Almeno 8352 persone sono morte ad Haiti dalla comparsa, nell’ottobre 2010, del colera, secondo un bilancio ufficiale fornito dal ministro della Sanità, Joseph Donald Francois: fra l’ottobre 2010 e il mese in corso 380.855 persone sono state ricoverate negli ospedali nazionali. “In totale – ha precisato il ministro – oltre 684.000 haitiani sono stati infettati dal colera. Il 2011 è stato l’anno più mortale con 2000 vittime”. Quest’anno le cifre si sono sensibilmente abbassate, sempre secondo i dati ufficiali, che riportano 425 decessi e 45.207 ricoveri. “C’è una diminuzione graduale dell’epidemia ma il batterio è sempre presente ad Haiti…Il suo sradicamento richiede lo sforzo di tutti” ha aggiunto Francois. I dipartimenti più colpiti dal colera quest’anno sono stati quelli di Artibonite, Ovest, Nord e Grand’Anse; il tasso di mortalità più elevato è stato riscontrato nei distretti di Nippes, Sud-est e Nord-est. All’inizio del mese l’Institute for Justice and Democracy in Haiti (Ijdh), con sede a Boston, ha chiesto l’apertura di un procedimento giudiziario per ottenere un risarcimento dall’Onu, ritenuta responsabile dell’introduzione del colera attraverso i ‘caschi blu’ nepalesi della Minustah, la missione di stabilizzazione presente dal 2004, di stanza nella base di Mirebalais. Sia il Center for Disease Control and Prevention (Cdc) di Atlanta che uno studio dell’Università di Yale hanno confermato la responsabilità dei ‘caschi blu’. (R.P.)

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    Integrazione, migrazioni e giovani, temi del V incontro delle Chiese di Bolivia, Perù e Cile

    ◊   E' in corso nella capitale boliviana La Paz, Bolivia, il V incontro trilaterale delle Chiese di Bolivia, Perù e Cile, con la partecipazione di quindici vescovi latinoamericani. Al centro della riunione, l’integrazione politica ed economica regionale, la situazione della gioventù in questi Paesi e del fenomeno migratorio sotto la prospettiva delle sfide pastorali che questi temi rappresentano per la Chiesa. L’incontro si propone di rafforzare la comunione e la fratellanza tra queste Chiese locali e analizzare la realtà ecclesiale della regione alla luce del discorso che Papa Francesco ha pronunciato nella riunione di coordinamento del Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam) riunito a Rio di Janeiro, lo scorso mese di luglio, in coincidenza con la Giornata Mondiale della Gioventù. I rapporti storici, geografici e socio-economici che accomunano questi tre Paesi, rilevano il bisogno di progetti comuni di pastorale che rispecchino l’unità del popolo di Dio in queste terre di frontiera. I temi ricorrenti negli ultimi incontri riguardano la grande preoccupazione per l’incremento del narcotraffico e la minaccia che rappresenta per le nuove generazioni e la povertà, un flagello che colpisce soprattutto le popolazioni indigene a causa della disuguaglianza, il cambiamento climatico e i progetti di sfruttamento di risorse naturali che arriva fino all'espropriazione delle loro terre. I precedenti incontri hanno avuto luogo in diverse diocesi della regione: Iquique in Cile nel 2000; Santa Cruz de la Sierra in Bolivia, nel 2003, Lima, in Perù nel 2006, e Santiago del Cile nel 2011. (A cura di Alina Tufani)

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    Guatemala. Mons. Ramazzini: le società minerarie straniere generano conflitti

    ◊   Le società minerarie, principalmente canadesi, che sfruttano l'oro, l'argento e altri metalli in Guatemala e in Messico, "non solo lasciano soltanto le briciole, ma stanno generando conflitti sociali, e poi, in aggiunta, distruggono l'ambiente". E’ quanto afferma il vescovo di Huehuetenango, in Guatemala, mons. Alvaro Leonel Ramazzini Imeri. In una nota pervenuta all’agenzia Fides, il vescovo sottolinea che "per mantenere la pace sarebbe sufficiente fermare lo sfruttamento delle miniere in Guatemala", dove attualmente quattro miniere estraggono metalli, ma è noto che più di 168 lavorano senza autorizzazione. "In Guatemala si assiste da più di otto anni ad una lotta per i cambiamenti nella legge mineraria. Ci sono gruppi contrari all'estrazione. Noi proponiamo una riforma profonda che davvero chiuda l'attività del settore estrattivo" ha detto il vescovo parlando anche a nome della comunità locale. Quindi ha ribadito: "è sempre meglio consultare la popolazione circa l'attività mineraria. Per esempio a Huehuetenango, confinante con il Chiapas, praticamente tutta la popolazione non vuole questo tipo di attività mineraria, e dei 32 Comuni, 30 sono contrari". Mons.Ramazzini Imeri ha denunciato inoltre che queste Compagnie minerarie "producono solo mali per l'impatto ambientale: lo spreco dell'acqua nelle zone dove scarseggia, l'uso di cianuro che va a finire nei fiumi. Alla fine poi non ci sono neanche vantaggi economici per il Paese". Anche le aziende canadesi rappresentano "un generatore di conflitto sociale, poiché non rimane niente della ricchezza che dicono di lasciare alle comunità: infatti dell'1% che devono pagare secondo la legge, lo 0,5% va al Comune e l'altro 0,5 al governo centrale". (R.P.)

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    Malaysia. Premier: cristiani in Borneo possono dire Allah”; vescovi criticano “giudici disinformati”

    ◊   Il Primo Ministro della Malaysia Najib Razak ha dichiarato che i cristiani del Borneo malaysiano – cioè quelli residenti negli stati di Sabah e Sarawak – possono continuare a usare il termine “Allah” durante le preghiere. Come riferito all'agenzia Fides, la dichiarazione pubblica di Razak, in visita nello Stato di Sabah, intende porre fine alle forzature diffusesi nella società, dopo la sentenza della Corte di appello di Kuala Lumpur, nella controversia con il settimanale cattolico “Herald”. Il verdetto ha sancito il divieto dell’uso del termine “Allah” solo per il giornale cristiano. Il Premier ha specificato che la decisione della Corte di Appello non ha alcun impatto per il culto dei cristiani nei due stati, aggiungendo che il suo governo intende rispettare il Memorandum di intesa in 10 punti redatto nel 2011, che trovava le soluzioni pratiche alla questione. Razak ha esortato a “non politicizzare l'argomento”, che significherebbe “giocare con il fuoco” rimarcando l’importanza della pace e dell'armonia, che si costruisce “attraverso buone relazioni tra tutte le comunità religiose”. Anche il governo della provincia di Sarawak ha confermato la legittimità per i cristiani locali di usare la parola “Allah” nei riti e nella Bibbia. L’Associazione delle Chiese di Sarawak ha concordato, affermando che “un divieto sarebbe per noi un grave colpo alla libertà religiosa”. Sulla vicenda si è espresso nuovamente mons. Murphy Pakiam, arcivescovo di Kuala Lumpur e presidente della Conferenza episcopale della Malaysia, osservando che “i tre giudici sono stati gravemente disinformati”, nell’affermare nella sentenza che “la parola Allah non è essenziale o non è parte integrante del cristianesimo”. In una nota inviata a Fides, mons. Pakiam ricorda il primo articolo del “Credo”, che recita “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente”, affermando che “un cristiano non può modificare in alcun modo la propria professione di fede, altrimenti incorrerebbe nell’eresia”. E, per tradurre “unico Dio” in lingua malese, non c’è altra espressione che “Allah”. Vietarne l’uso, ha spiegato, è “la grave negazione di un diritto fondamentale della comunità cristiana indigena”. Negli Stati di Sabah e Sarawak, dove risiedono 1,6 milioni di cristiani autoctoni, la maggior parte delle chiese e cappelle conduce liturgie e catechesi in “Bahasa Malaysia”. La Chiesa cattolica ha confermato che, sul caso, ricorrerà alla Corte federale. (R.P.)

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    Slovacchia-Repubblica Ceca: Plenaria congiunta delle due Conferenze episcopali

    ◊   L’assemblea plenaria della Conferenza episcopale slovacca che si è aperta ieri a Vranov u Brna, nella Repubblica Ceca, sarà dedicata a tracciare un bilancio della Marcia nazionale per la vita a Kosice (del mese scorso) e del Meeting nazionale giovanile di Ruzomberok (di luglio). All’ordine del giorno anche la preparazione di nuovi libri scolastici per l’educazione religiosa, l’approvazione di progetti mediatici per il 2013 e il pellegrinaggio, già confermato, delle associazioni e organizzazioni religiose ceche e slovacche alla tomba di San Cirillo a Roma. L’Assemblea plenaria si svolge all’estero perché dopo 15 anni vi sarà una sessione congiunta dei vescovi cechi e slovacchi fissata per domani. “L’incontro si inserisce nel quadro delle celebrazioni dell’Anno giubilare dei santi Cirillo e Metodio, patroni di entrambi i Paesi e dell’intera Europa. I vescovi cechi e slovacchi vogliono scambiare idee ed esperienze in campo pastorale, 20 anni dopo l’istituzione di Conferenze episcopali separate”, ha spiegato all'agenzia Sir Jozef Kovácik, portavoce della Conferenza episcopale slovacca. Il tema principale della sessione sarà “La secolarizzazione come sfida pastorale”. L’ultima Assemblea plenaria congiunta si è svolta nel 1998 a Spisské Podhradie, in Slovacchia. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 296

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.