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Sommario del 21/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Chiedersi perdono reciprocamente, avanti con il dialogo ecumenico: così il Papa ai luterani
  • Il Papa: l'attaccamento ai soldi distrugge persone e famiglie, usiamo i beni che Dio ci dà per aiutare gli altri
  • Tweet del Papa: per conoscere il Signore è importante frequentarlo accostandosi ai Sacramenti
  • Altre udienze di Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: attacco a chiesa copta. I cristiani chiedono al governo di essere protetti
  • Paul Bhatti: speranze per la fine del fondamentalismo in Pakistan, ma Asia Bibi è ancora in carcere
  • Due pastori evangelici uccisi in Kenya. Mons. Lagho: c'è bisogno di dialogo
  • Iran, sarà ripetuta l'esecuzione di un condannato a morte sopravvissuto a impiccagione
  • La Chiesa in Ghana, Paese tra sviluppo e povertà: con noi padre Giorgio e fratel Nicholas
  • Sciopero nazionale contro legge di stabilità. Forum delle Famiglie: preoccupazione per la Tasi
  • Si commemorano i morti dei naufragi di Lampedusa. Mons. Mogavero: compassione e condivisione
  • Convegno dei cappellani carcerari. Don Balducchi: no a impunità, ma cammini di riconciliazione alternativi
  • Una sola specie all'origine dell'uomo? Acceso dibattito dopo la pubblicazione di uno studio su "Science"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Appello dei vescovi cattolici di rito orientale per la pace in Siria e Medio Oriente
  • Siria. Appello di padre Pizzaballa: "Emergenza umanitaria, cristiani scacciati dal nord"
  • Filippine: la Caritas ringrazia il Papa per la solidarietà alle vittime del sisma
  • Congo: sospesi i negoziati tra Kinshasa e ribelli M23 sul Nord Kivu
  • Congo: nel Nord Kivu dimenticati i tre sacerdoti rapiti un anno fa
  • Card. Ravasi: il gioco essenza dell'umanità e analogia per parlare della fede
  • Iraq: l'ex seminario della chiesa caldea diventa un condominio per famiglie povere
  • Pakistan: dopo Malala, il mondo aiuti la cristiana Kashmala, disabile dopo la strage di Peshawar
  • India. Il card. Gracias incontra Sonia Gandhi: lavoriamo insieme per tutti gli indiani
  • Sri Lanka: il vescovo di Mannar chiede diritti per i tamil
  • Nicaragua. Il vescovo di Esteli denuncia attacco contro la Chiesa
  • E' un laico il nuovo presidente dell'Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria
  • Il Papa e la Santa Sede



    Chiedersi perdono reciprocamente, avanti con il dialogo ecumenico: così il Papa ai luterani

    ◊   Portare avanti il nostro cammino di “dialogo e di comunione”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza di stamani alla delegazione della Federazione Luterana Mondiale e rappresentanti della Commissione per l’unità luterano-cattolica. Il Papa ha sottolineato che, nonostante le difficoltà e le divergenze, non bisogna smettere di impegnarsi e di invocare dal Signore il dono dell’unità. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Dialogo teologico, preghiera fedele e collaborazione fraterna. Papa Francesco ha indicato questi tre punti come fondamentali per progredire nel dialogo e nelle relazioni tra luterani e cattolici. Il Papa ha così messo l’accento sull’“ecumenismo spirituale”:

    “Quest’ultimo costituisce, in certo senso, l’anima del nostro cammino verso la piena comunione, e ci permette di pregustarne già da ora qualche frutto, anche se imperfetto: nella misura in cui ci avviciniamo con umiltà di spirito al Signore Nostro Gesù Cristo, siamo sicuri di avvicinarci anche tra di noi e nella misura in cui invocheremo dal Signore il dono dell’unità, stiamo certi che Lui ci prenderà per mano e sarà la nostra guida”.

    Il Papa ha, quindi, indicato due significative ricorrenze: il 50.mo del dialogo teologico e soprattutto il quinto centenario della Riforma, nel 2017. E’ importante, ha detto il Papa, “confrontarsi in dialogo sulla realtà storica della Riforma, sulle sue conseguenze e sulle risposte che ad essa vennero date”:

    “Cattolici e luterani possono chiedere perdono per il male arrecato gli uni agli altri e per le colpe commesse davanti a Dio, e insieme gioire per la nostalgia di unità che il Signore ha risvegliato nei nostri cuori, e che ci fa guardare avanti con uno sguardo di speranza”.

    Alla luce del cammino di questi decenni, e dei “tanti esempi di comunione fraterna tra luterani e cattolici”, ha proseguito il Papa, “sono certo che sapremo portare avanti il nostro cammino di dialogo e di comunione”. E questo, ha aggiunto, "affrontando anche le questioni fondamentali", come anche "le divergenze che sorgono in campo antropologico ed etico":

    “Certo, le difficoltà non mancano e non mancheranno, richiederanno ancora pazienza, dialogo, comprensione reciproca, ma non ci spaventiamo! Sappiamo bene – come più volte ci ha ricordato Benedetto XVI - che l’unità non è primariamente frutto del nostro sforzo, ma dell’azione dello Spirito Santo al quale occorre aprire i nostri cuori con fiducia perché ci conduca sulle vie della riconciliazione e della comunione”.

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    Il Papa: l'attaccamento ai soldi distrugge persone e famiglie, usiamo i beni che Dio ci dà per aiutare gli altri

    ◊   La cupidigia, l’attaccamento ai soldi, distrugge le persone, distrugge le famiglie e i rapporti con gli altri: è quanto ha detto il Papa stamani durante la Messa a Santa Marta. L'invito non è quello di scegliere la povertà in se stessa, ma di utilizzare le ricchezze che Dio ci dà per aiutare chi ha bisogno. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Commentando il Vangelo del giorno, in cui un uomo chiede a Gesù di intervenire per risolvere una questione di eredità con suo fratello, il Papa sviluppa il problema del nostro rapporto con i soldi:

    “Questo è un problema di tutti i giorni. Quante famiglie distrutte abbiamo visto per il problema di soldi: fratello contro fratello; padre contro figlio… E’ questo il primo lavoro che fa questo atteggiamento dell’essere attaccato ai soldi, distrugge! Quando una persona è attaccata ai soldi, distrugge se stessa, distrugge la famiglia! I soldi distruggono! Fanno questo, no? Ti attaccano. I soldi servono per portare avanti tante cose buone, tanti lavori per sviluppare l’umanità, ma quando il tuo cuore è attaccato così, ti distrugge”.

    Gesù racconta la parabola dell’uomo ricco, che vive per accumulare “tesori per sé” e “non si arricchisce presso Dio”. L’avvertimento di Gesù è quello di tenersi lontano da ogni cupidigia:

    “E’ quello che fa male: la cupidigia nel mio rapporto con i soldi. Avere di più, avere di più, avere di più… Ti porta all’idolatria, ti distrugge il rapporto con gli altri! Non i soldi, ma l’atteggiamento, che si chiama cupidigia. Poi anche questa cupidigia ti ammala, perché ti fa pensare soltanto tutto in funzione dei soldi. Ti distrugge, ti ammala… E alla fine - questo è il più importante - la cupidigia è uno strumento dell’idolatria, perché va per la strada contraria a quella che ha fatto Dio con noi. San Paolo ci dice che Gesù Cristo, che era ricco, si è fatto povero per arricchire noi. Quella è la strada di Dio: l’umiltà, l’abbassarsi per servire. Invece la cupidigia ti porta per la strada contraria: tu, che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità. E’ l’idolatria!”.

    Per questo – prosegue il Papa - Gesù dice cose “tanto dure, tanto forti contro questo attaccamento al denaro. Ci dice che non si può servire due padroni: o Dio o il denaro. Ci dice di non preoccuparci, che il Signore sa di che cosa abbiamo bisogno” e ci invita “all’abbandono fiducioso verso il Padre, che fa fiorire i gigli dal campo e dà da mangiare agli uccelli”. L’uomo ricco della parabola continua a pensare solo alle ricchezze, ma Dio gli dice: “Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita!”. “Questa strada contraria alla strada di Dio – conclude il Papa - è una stoltezza, ti porta lontano dalla vita, distrugge ogni fraternità umana”:

    “Il Signore ci insegna qual è il cammino: non è il cammino della povertà per la povertà. No! E’ il cammino della povertà come strumento, perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore! No l’idolo d’oro! E tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare, per aiutare gli altri. Rimanga oggi nel nostro cuore la Parola del Signore: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede'".

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    Tweet del Papa: per conoscere il Signore è importante frequentarlo accostandosi ai Sacramenti

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Per conoscere il Signore – scrive - è importante frequentarlo: ascoltarlo in silenzio davanti al Tabernacolo, accostarsi ai Sacramenti”. L’account @Pontifex in nove lingue è seguito da quasi 10 milioni di follower: 3.995.000 (spagnolo), 3.115.500 (inglese), 1.227.600 (italiano), 831.500 (portoghese), 204.000 (francese), 177.800 (latino), 150.300 (tedesco), 137.400 (polacco), 95.100 (arabo) per un totale di 9.934.200 follower (alle 16.15 del 21 ottobre).

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    Altre udienze di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina il sig. Kenneth F. Hackett, ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il card. Joachim Meisner, arcivescovo di Köln (Repubblica Federale di Germania); mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, vescovo di Limburg (Repubblica Federale di Germania); mons. Juan Ignacio González Errázuriz, vescovo di San Bernardo (Cile).

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Donne che lottano e pregano: l’Angelus di Papa Francesco nella giornata missionaria mondiale.

    Nostalgia di unità: l’udienza del Papa a una delegazione della Federazione luterana mondiale e ad alcuni rappresentanti della Commissione per l’unità luterano-cattolica.

    Nell’informazione internazionale, in primo piano le violenze contro i cristiani in Medio Oriente: attaccata in Egitto una chiesa copta.

    Se la tenda vale più della casa: Manlio Simonetti sul cammino della ricerca di Dio nei Padri della Chiesa.

    Il film che visse due volte: Emilio Ranzato sul restauro in alta definizione del capolavoro di Hitchcock, Vertigo.

    La lezione di Polonio: Enrico Reggiani su Shakespeare e l’economia.

    Dio cammina sempre con il suo popolo: nell’informazione religiosa, l’incontro tra il Gran Rabbino di Colombia e il cardinale arcivescovo di Bogotá.

    Il dialogo fra Stato e religioni: dichiarazione della Conferenza episcopale slovena per un confronto sulla tassazione dei luoghi di preghiera.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: attacco a chiesa copta. I cristiani chiedono al governo di essere protetti

    ◊   Nuove violenze anticristiane in Egitto. Quattro persone, fra cui due bambine di 8 e 12 anni, sono morte e altre 18 sono rimaste ferite, ieri sera, a seguito di un attacco a colpi di arma da fuoco davanti a una chiesa cristiano-copta alla periferia del Cairo. Stamani le autorità egiziane hanno arrestato cinque persone, quattro delle quali appartenenti ai Fratelli Mussulmani. Unanime la condanna del mondo politico e religioso e della stessa Fratellanza che ha chiesto l’apertura di un'inchiesta. Rabbia fra i cristiani, che hanno indetto per domani manifestazioni di piazza contro la mancata protezione. Marco Guerra ha raccolto il commento di padre Hani Bakhoum, segretario del patriarcato di Alessandria:

    R. - Si sta cercando di creare questa divisione tra cristiani e musulmani in Egitto, dimostrando che il problema in Egitto è un problema religioso. Per dire la verità: la questione è che tutto l’Egitto è contro il terrorismo! Anche ieri è stato fatto questo attentato in maniera veramente orribile… Questo è un passo avanti verso un totale terrorismo: ormai si iniziano ad attaccare apertamente le chiese. C’è il desiderio di creare una tensione all’interno del Paese tra cristiani e musulmani. Come segretario del Patriarca posso anche dire che il problema qua non è tra cristiani e musulmani: si tratta di atti terroristici!

    D. - Oggi la condanna è unanime. Anche i Fratelli musulmani hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta…

    R. - Io ho ascoltato tutte queste condanne, però io spero che questo sia anche a livello pratico nella realtà e che nella vita quotidiana ci sia questo atteggiamento di condanna. Senz’altro noi ringraziamo tutti quelli che hanno condannato l'attacco, però bisogna anche iniziare a fare un lavoro sul campo: creare insieme - cristiani e musulmani - questo spirito di collaborazione, e di pace, questi valori umani. Così allora noi condanniamo veramente questi atti. Non bastano le parole, c’è bisogno anche di fatti.

    D. - La Chiesa cattolica copta come si pone davanti a questo difficile passaggio di transizione? State chiedendo più protezioni?

    R. - Chiedere la protezione? Io confermo che i cristiani in Egitto sono una parte integrante del Paese: se chiedono protezione la chiedono al governo egiziano, al ministero dell’Interno egiziano. Questo è importante! Mai i cristiani hanno chiesto una protezione esterna: anche come Chiesa cerchiamo seriamente di collaborare con lo Stato per creare uno spirito di collaborazione. La Chiesa cattolica pesa tanto sulla formazione delle persone e questo è il punto importante: una formazione umana, totale, e non solo religiosa. Perché noi crediamo che quando ci sono delle persone ben formate, ecco allora che si può fare veramente una civiltà basata sui diritti umani.

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    Paul Bhatti: speranze per la fine del fondamentalismo in Pakistan, ma Asia Bibi è ancora in carcere

    ◊   Segnali di speranza in Pakistan, Paese alle prese con ondate di terrorismo e fondamentalismo. Il consigliere del ministro per l’Armonia nazionale, Paul Bhatti ribadisce, ai nostri microfoni, l’unità d’intenti delle forze politiche, civili e militari per la costruzione della pace e della stabilità. Sul fronte dell'istruzione ha escluso che nei libri di testo delle scuole pubbliche primarie pachistane, sia accettata l'uccisione dei cristiani, come sostenuto da una ricerca del Middle East Media Research e riportata da alcuni media. Nuove prospettive anche per Asia Bibi, la donna cristiana, in carcere da tre anni, condannata all’ergastolo per la legge sulla blasfemia. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso Paul Bhatti a partire dal caso dei libri di testo:

    R. - Secondo la legge pachistana questo è un reato! La Costituzione pachistana non permette di scrivere questo, di scrivere che si possono uccidere i cristiani. Però vengono diffuse delle indicazioni in cui si asserisce che solo l’islam è valido. Bisogna considerare anche che ci sono molti che hanno scuole: in Pakistan ci sono tantissime scuole religiose, tantissime private e alcune dichiarate statali. E lì questo fanatismo, questo estremismo forse può esserci… Ma normalmente nella scuola pubblica, no!

    D. - Quindi è da escludere che nei testi scolastici ci sia scritto che “i cristiani possono essere uccisi”?

    R. - Così, in maniera chiara, io non l’ho mai visto scritto in un testo in Pakistan. Però ci sono alcuni che dicono queste cose, lo abbiamo sentito anche in passato. Ma secondo la Costituzione è un reato! Non può esserci scritto!

    D. - Perché in passato che cosa è successo?

    R. - Anni fa la propaganda diceva di uccidere indiani o cristiani o occidentali. E questa è l’ideologia contro la quale stiamo lottando, altrimenti il Pakistan non si salva. Queste cose vanno eliminate e noi stiamo programmando incontri, confronti, aprendo al dialogo con le persone che sostengono tali ideologie, perché questo non è accettabile! Assolutamente, non è accettabile!

    D. - Leggiamo che il Pakistan è in difficoltà: continui attentati, discriminazione… Voi lavorate tantissimo per cercare di creare unità nel Paese e anche convergenza: a che punto siete?

    R. - Noi abbiamo delle speranze. Pensiamo che queste violenze, prima o poi, finiranno. Ora tutti i partiti politici, il governo, i militari - in questo momento - sono uniti nell’affermare che il terrorismo deve finire. Finché non finirà la strategia del terrore, nessuno sarà sicuro in Pakistan, sia esso un politico, un religioso, un cristiano o un musulmano. Perciò tutti stanno pensando che chi lotta contro il terrorismo deve essere appoggiato. E su questo dobbiamo rimanere uniti.

    D. - Il Pakistan vive anche una forte discriminazione nei confronti delle minoranze religiose, anche chiaramente dei cristiani. Un caso emblematico è quello di Asia Bibi, mamma di cinque figli, in carcere da oltre 3 anni, condannata all’ergastolo per la legge sulla blasfemia. Qual è la situazione? Come sta Asia Bibi?

    R. - Suo marito è venuto da me e mi ha chiesto se posso seguire il caso, perché fino ad ora non ha ottenuto risultati: stiamo ora pensando varie strategie. Ho chiesto le condizioni di salute e lui mi ha detto che è andato qualche giorno fa a trovarla in carcere: era triste, in una stanza buia. E’ immaginabile che si trovi in una condizione di sofferenza. Ora stiamo concentrando le nostre energie per capire come si possa risolvere questo caso. Dovrò parlare con i suoi attuali avvocati, con le Ong e le persone che fino ad ora hanno seguito il caso … Non dico che possono esserci dei successi, però noi ce la metteremo tutta per la farla uscire.

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    Due pastori evangelici uccisi in Kenya. Mons. Lagho: c'è bisogno di dialogo

    ◊   Nuovi fatti di violenza in Kenya, dopo il sanguinoso attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi, compiuto a fine settembre dai miliziani somali Al Shabaab e costato la vita ad almeno una settantina di persone. A Mombasa, sulla costa dell’Oceano Indiano, due pastori evangelici sono stati uccisi in diversi attacchi, a poche settimane dall’assassinio di un imam, che aveva innescato disordini e scontri. A perdere la vita sono stati nelle ultime ore Charles Matole, leader della comunità 'Vikwatani Redeemed Gospel Church', e Ibrahim Kidata, delle ‘East African Pentecostal Churches’. Sulle ragioni di queste violenze, Giada Aquilino ha intervistato il vicario generale dell’arcidiocesi di Mombasa, mons. Willybard Lagho:

    R. – I believe it is because of radical Islam, that has been taking roots in Mombasa …
    Credo che sia a causa di un Islam radicale che ha messo le radici a Mombasa e in altre parti del Kenya, come a Garissa, e nell’Africa orientale, come in Tanzania, a Zanzibar e a Dar-es Salaam. Ci sono, in queste zone, gruppi islamici piuttosto radicali, e alcuni dei quali simpatizzano per gli al Shabaab. Secondo me, per via di alcuni elementi, il cristianesimo viene visto – da certi seguaci di questi gruppi – come un alleato della cultura e della civiltà occidentali. Così, prendono di mira i cristiani e le chiese cristiane.

    D. – Lei fa parte del "Coast Interfaith Council of Clerics" e lavora a contatto con esponenti di altre religioni. Qual è il vostro impegno per la pacificazione in Kenya e in particolare a Mombasa?

    R. – Until now, we have relied on member organizations of our Interfaith Council of …
    Finora, ci siamo appoggiati alle organizzazioni associate al nostro Consiglio interreligioso, che riunisce leader di tutte le religioni. Ad esempio, se c’è un predicatore musulmano radicale che si esprime in pubblico e che predica contro il cristianesimo, generalmente si invia un predicatore moderato per parlare con loro. Ma da qualche tempo ci giunge l’informazione che alcuni di questi predicatori non sono interni al Paese: vengono da fuori. Credo quindi che in questo momento ci sia davvero bisogno di un dialogo interreligioso a Mombasa.

    D. – Qual è la speranza della Chiesa cattolica per il futuro?

    R. – The Catholic Church is growing, is expanding because it is one of those …
    La Chiesa cattolica sta crescendo e si sta espandendo, perché è una di quelle Chiese che ha ormai molte risorse umane. Gestiamo molte scuole nelle quattro regioni che formano l’arcidiocesi di Mombasa: Mombasa, Kilifi, Kwale e Taita-Taveta. E in queste scuole, tante persone che fanno parte di ogni fede hanno piacere di frequentare le nostre lezioni. Poi, gestiamo altri programmi come progetti per la fornitura di acqua in diverse zone del Paese. Quindi, questo aspetto sociale e umanitario ha avvicinato la Chiesa cattolica alla gente della regione costiera di Mombasa, tra cui persone che non si convertono ma nutrono un grande rispetto per la Chiesa.

    D. – Attraverso questo aspetto sociale e umanitario, promuovete la convivenza pacifica tra religioni…

    R. – Yes. We have a lot of humanitarian support and because of that many …
    Sì: riceviamo grande supporto umanitario e, proprio per questo, molte delle comunità che i programmi di sviluppo del governo non riescono a raggiungere si affidano completamente all’aiuto della Chiesa, in particolare nel campo dell’istruzione.

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    Iran, sarà ripetuta l'esecuzione di un condannato a morte sopravvissuto a impiccagione

    ◊   In Iran un uomo di 37 anni, Alireza M., rischia di rivivere la terrificante esperienza del patibolo. Dopo l’impiccagione, il suo corpo è stato trasferito in un obitorio. Qui i familiari si sono accorti che respirava ancora. Il giudice lo ha di nuovo condannato alla pena capitale. Diverse organizzazioni, tra cui Amnesty International, chiedono che non si proceda con la seconda esecuzione. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il resoconto delle autorità iraniane sull’esecuzione è agghiacciante. L’uomo, condannato a morte per reati legati alla droga, vive con terrore e panico quelli che ritiene i suoi ultimi passi. Dopo essere salito sul patibolo, il suo corpo rimane sospeso in aria, con il cappio al collo, per 12 minuti. Il medico legale accerta il decesso ma il giorno successivo - il 10 ottobre, giorno in cui si celebra la Giornata mondiale contro la pena di morte – respira ancora. Viene soccorso e trasferito d’urgenza in ospedale. Ma la felicità dei familiari dura poco: per le autorità iraniane la sentenza del Tribunale rivoluzionario deve essere eseguita e il giudice stabilisce che si procederà ad una seconda impiccagione quando miglioreranno le condizioni di salute dell’uomo. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

    “Sembra una vicenda uscita da un racconto dell’orrore. Le autorità giudiziarie iraniane si sono basate su una Fatwa del 2006, secondo la quale quando un’impiccagione non termina con la morte della persona condannata a tale pena è come se non avesse avuto luogo e quindi bisogna procedere nuovamente fino a quando non si ottiene a morte del condannato”.

    Far conoscere questa vicenda all’opinione pubblica può risultare determinante?

    “La notorietà di questa vicenda è già una possibilità in più, perché di fronte alla mobilitazione internazionale, alla notorietà che sta ricevendo questa vicenda è possibile che le autorità giudiziarie iraniane ci pensino due volte. In realtà, già all’interno dello stesso sistema giudiziario del Paese sono in corso discussioni: l’Ayatollah che emise la Fatwa nel 2006 ha fatto sapere che forse, su questo caso, non la pensa allo stesso modo. Può essere che la piega presa da questo caso riuscirà a salvare l’uomo. Resta il fatto che abbiamo già 508 esecuzioni nei primi nove mesi dell’anno e rischiamo di arrivare ad oltre 600, il che vorrebbe dire quasi due esecuzioni al giorno”.

    In Iran la pena di morte è prevista per diversi reati, tra cui omicidio, blasfemia, spionaggio e traffico di droga, come nel caso dell’uomo sopravvissuto all’impiccagione:

    “L’83% delle condanne a morte ogni anno riguardano reati legati al narcotraffico. Una strategia, quella del contrasto alla droga, che in Iran come altrove ha mostrato di essere del tutto inadeguata, perché purtroppo aumentano le condanne a morte per reati di droga ed aumentano anche il consumo ed il traffico di stupefacenti. Evidentemente, dal punto di vista del contrasto a questo crimine, la pena di morte non ha alcun deterrente. Poi, certamente, ci sono casi in cui il reato di droga camuffa qualcos’altro. C’è il reato di Moharebeh – che vuol dire essere nemici di Dio - un reato 'omnibus', che nella teocrazia iraniana può però comprendere anche comportamenti del tutto leciti, come l’opposizione politica, l’appartenenza ad una minoranza etnica, l’attivismo per i diritti umani, il giornalismo, l’attività studentesca, in un sindacato e tanto altro ancora”.

    Il passaggio dalla presidenza di Ahmadinejad a quella di Rohani, accolto con rinnovata fiducia da gran parte della comunità internazionale, non ha portato – secondo Riccardo Noury - ad un miglioramento, in Iran, della situazione dei diritti umani:

    “Il numero delle esecuzioni è aumentato dopo l’entrata in carica di Rohani. Dal punto di vista dei diritti umani la situazione non è cambiata: Rohani aveva anche proposto di ammorbidire le norme repressive sulla libertà di espressione. Ma questo non è successo. È vero che sono state rilasciate alcune decine di prigionieri di coscienza e politici alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, alla quale Rohani è intervenuto. Però, questo incantesimo rischia di avere un effetto paradossale: che non si riescano più a fare campagne in difesa dei diritti umani in Iran, come se la Comunità internazionale si fosse convinta troppo presto che le cose stiano andando bene. Magari, la vicenda di questa doppia impiccagione potrà far ricredere qualcuno”.

    L’Iran, dopo la Cina, ha il più alto tasso di esecuzioni nel mondo. Iran Human Rights denuncia che spesso le condanne a morte sono frutto di processi viziati, condotti senza le garanzie minime per l’imputato.

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    La Chiesa in Ghana, Paese tra sviluppo e povertà: con noi padre Giorgio e fratel Nicholas

    ◊   Da 36 anni è missionario tra i lebbrosi del Ghana: si chiama padre Giorgio Abram. Nel 1932, giovane medico, entra nell’Ordine francescano dei Frati Minori Conventuali, recandosi in missione nel Paese dell’Africa occidentale e, di fronte all’emergenza lebbra, fonda a Takoradi, nella regione centrale, il presidio medico che ancora guida. Fausta Speranza ha incontrato padre Giorgio in Ghana e gli ha chiesto di raccontarci qualcosa dell’evoluzione del suo impegno:

    R. - Una grande evoluzione, perché è iniziata da tre soli missionari, evidentemente con poche risorse e anche con poche aspettative. Però, abbiamo iniziato subito il lavoro sociale ed io mi sono inserito nel campo della lebbra, perché c’erano poche medicine e molti malati, molti non ricevevano le medicine, e in ogni caso non erano molto efficaci. C’era poi il problema di far credere che si potesse guarire.

    D. - A livello sanitario si è passati dai 50 mila casi che lei ha trovato nel ’32, ai 600 casi l’anno che si registrano adesso in Ghana e che peraltro sono guaribili …

    R. - Esatto. Intanto è stato fatto un grosso passo scientifico e sono state trovate delle medicine che curano la lebbra e uccidono il batterio: prima si curava con dei batteri statici e quindi si doveva continuare a tenere i batteri fermi, tanto per capirci, ma non sconfitti. Invece con la rifampicina, che è un antibiotico che va direttamente al microbatterio della lebbra, sappiamo che si può guarire. Ma non solo: non si è più infettivi e quello è molto importante. Quindi, per il fatto che abbiamo trovato medicine nuove, abbiamo potuto lasciare i pazienti a casa, perché non sono più contagiosi. Ed è questo che ci ha aiutato a convincere la gente che di lebbra si può guarire. Così la vedo io.

    D. - Diciamo che nel nostro immaginario è un po’ una malattia del passato, ma invece in alcuni posti del mondo purtroppo ancora si trova… Sicuramente è sinonimo di emarginazione, di solitudine, di abbandono: gli stessi malati, sin dall’antichità, si isolavano perché le condizioni fisiche sono veramente drammatiche. E ci viene subito in mente che lei da sempre mette in pratica l’invito che adesso Papa Francesco ripete spesso: di arrivare alle periferie del mondo….

    R. - Questa è la mia vocazione: arrivare proprio a quelli che hanno più bisogno. Mi ha sempre sollecitato ad intervenire il fatto di vedere questa gente emarginata, che non può partecipare alla società… E questo è quello che ho trovato quando sono arrivato in Ghana. Come missione adesso siamo in otto, nella missione di Takoradi: siamo tre non ghanesi e cinque ghanesi. Per me è una bellissima vita insieme, dove ognuno ha il suo lavoro - quindi parrocchia, scuola, stazioni missionarie e stampa, perché stampiamo un mensile cattolico, l’unico che viene stampato in Ghana - però poi ci ritroviamo insieme, insieme a pregare e insieme a raccontarci le esperienze della nostra vita.

    Il Ghana ha una crescita economica del 7,5% ed è uno dei Paesi in più forte sviluppo dell’Africa occidentale e del continente nero. Ma la condizione della popolazione migliora molto più lentamente degli indici economici. Fausta Speranza ha incontrato ad Accra, capitale del Ghana, fratel Nicholas Afriyie, segretario generale della Conferenza episcopale ghanese:

    R. – The Country is developing: if you compare it with some years back…
    Il Paese si sta evolvendo: se facciamo il confronto con qualche anno fa o ancora di più con la situazione del Ghana di 20 anni fa, e si osserva il Paese ora, la situazione è migliorata. Stiamo costruendo strade, il Paese si sta sviluppando sotto molto aspetti, ma ciò nonostante, la gente è povera. Credo sia colpa di certi meccanismi dell’economia, perché i benefici dell’economia non si stanno espandendo ai livelli più bassi e questo significa che la gente non ha lavoro. Se la gente non ha lavoro, significa che sta a casa, perché non ha niente da fare. E poi i contadini restano tutti contadini, il popolo non ha parte nel commercio: se considera tutto questo, si rende conto che, da un punto di vista finanziario, la gente è veramente povera.

    D. – Sono stati scoperti giacimenti di petrolio: c’è il rischio che possa diventare causa di tensioni sociali o conflitti? O che aumenti il divario tra ricchi e poveri invece di farlo diminuire?

    R. – So far, in Ghana we are lucky, so far we haven’t had that. …
    Fino ad oggi, noi, in Ghana, siamo stati fortunati, perché fino ad oggi non c’è stato nulla di tutto questo: non ci sono conflitti intorno al petrolio. Non abbiamo percepito in maniera determinante l’impatto della scoperta del petrolio nel Paese, come è successo in altri Paesi, e quindi tensioni tra le persone che cercano il denaro nel petrolio non ci sono ancora. E noi preghiamo che questa situazione di tranquillità nel Paese rimanga! Che la gente non si trovi a combattere a causa del petrolio, uccidendosi a vicenda per i proventi del petrolio …

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    Sciopero nazionale contro legge di stabilità. Forum delle Famiglie: preoccupazione per la Tasi

    ◊   Cgil, Cisl e Uil hanno indetto uno sciopero nazionale di 4 ore da tenersi a livello territoriale a novembre per cambiare la legge di Stabilità. Inizia, infatti, domani al Senato l’iter parlamentare della norma, da oggi anche all’analisi della Commissione europea. Si continua, dunque, a discutere sulla legge di Stabilità. In particolare sul nodo della Tasi, la nuova imposta sui servizi indivisibili, che riguarda anche la casa, il Forum delle Famiglie esprime preoccupazione. Sentiamo il presidente Francesco Belletti nell’intervista di Debora Donnini:

    R. – Noi siamo preoccupati perché la Tasi è la conferma di una logica che vedevamo un po’ nell’intera manovra, cioè viene dimenticata la famiglia. La Tasi, in particolare, dimentica una delle poche cose buone dell’Imu, cioè la possibilità di avere una diminuzione crescente della tassa in funzione del numero dei figli. L’Imu aveva 200 euro di franchigia, cioè non si pagavano per ogni nucleo familiare, e poi 50 euro per ogni figlio fino al numero di otto figli. Quindi per una volta nel nostro Paese, l’Imu era modulata in funzione dei carichi familiari. E questo attualmente, nei testi che sono disponibili, non c’è e noi crediamo che questa sia una modifica che si può già pensare da subito, cioè rimodulare anche a saldi invariati il peso della Tasi in modo che sia sensibile ai carichi familiari e aiuti le famiglie, non le penalizzi.

    D. – C’è preoccupazione perché, per esempio, sulla prima casa i Comuni potrebbero portare l’aliquota standard dell’1 per mille fino al 2,5 per mille: così si pagherebbe di più rispetto a prima?

    R. – Anche per i Comuni sarà possibile modulare la loro tariffazione. E anche in merito a questa ulteriore esasperazione della pressione fiscale, possono scegliere di alleggerirla sulle famiglie con carichi familiari - che vengono già penalizzate dall’aumento dell’Iva, da tutta un’altra serie di manovre - e cercare invece di riequilibrare chiedendo di far pagare un po’ di più a chi non ha carichi familiari. Questa è l’equità che noi pretendiamo da questa manovra, ed è urgente perché sono le famiglie con figli quelle che più frequentemente finiscono sotto la soglia di povertà. E credo che ovviamente l’aumento della pressione fiscale sia una scelta sbagliata come strategia complessiva, perché riduce i consumi. Il precedente aumento dell’Iva di un punto percentuale ha ridotto il gettito complessivo dell’Iva, perché la gente si spaventa e spende meno.

    D. – Quindi, secondo voi, la Tasi “costa” di più per le famiglie, anche perché va ad incidere su case che prima non erano, di fatto, tassate?

    R. – Sì, perché l’Imu proteggeva alcune famiglie che, con queste detrazioni per figli, potevano avere un’Imu che risultava più bassa della soglia di pagamento. Quindi, ci sono molte famiglie che si troveranno a pagare la tassa sulla prima casa che con l’Imu non avevano. Quindi, io credo che ci sia il tempo, lo spazio e anche i tavoli giusti per poter portare proposte concrete al Governo o direttamente al Parlamento, perché vengano introdotti questi strumenti di riequilibrio dei carichi fiscali a misura di famiglia. Altrimenti questa manovra sarà ancora più pesante.

    D. – Il ministero dell’Economia dice, però, che il gettito previsto dalla Tasi ad aliquota standard sarà di 3,7 miliardi, quindi inferiore ai 4,7 miliardi dati dall’Imu sulla prima casa e dalla Tares sui servizi indivisibili, entrambe abolite. Questo vi rassicura?

    R. – A dire il vero no, perché quando poi si fanno i conti bisogna rimettere tutto insieme. Sempre di più, l’imposizione fiscale su una famiglia si compone di fiscalità generale, di tariffe, di scelte a livello locale e quindi i saldi invariati sono esigenza di sostenibilità della contabilità pubblica, ma all’interno di questi saldi invariati spesso si nascondono brutte sorprese. Io credo che sarà necessario fare anche qualche simulazione, verificare come cambia la tassazione su una famiglia con tre figli mettendo insieme tutte le misure. Noi siamo certi che per ora la tendenza di questa manovra va a scaricare più sulle famiglie con figli che non, in modo equo, su tutti. Così com’è questa misura non ci piace, la Tasi non ci piace e non ci piace, in generale, nemmeno l’impianto complessivo della manovra.

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    Si commemorano i morti dei naufragi di Lampedusa. Mons. Mogavero: compassione e condivisione

    ◊   Sul litorale di Agrigento, rappresentanti della Chiesa siciliana insieme a esponenti di religione islamica e copta commemorano le vittime, per lo più eritree, del naufragio dello scorso 3 ottobre, 366 persone in tutto, e le 34 vittime recuperate dal mare dopo l'altro naufragio, l’11 ottobre scorso. Nessuna omelia, solo preghiere, alla presenza del vicepremier Alfano e dei ministri dell'Integrazione Kyenge e della Difesa Mauro. Intanto il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, è a Roma per chiedere al capo dello Stato l'istituzione di una Giornata della memoria. Ma le polemiche non cessano: lo stesso primo cittadino di Lampedusa, ha criticato come insufficiente l'operazione "Mare nostrum" voluta dal governo, ha chiesto una riforma del sistema di protezione dei richiedenti asilo. Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza di mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, presente alla commemorazione insieme all'arcivescovo di Catania, mons. Salvatore Gristina:

    R. - Al di là di tutte le ragioni polemiche, delle rivendicazioni alquanto giuste, sui tempi e sull’opportunità di questa manifestazione, io credo che in questo momento bisogna rivolgere un pensiero sia ai superstiti, sia ai defunti: fratelli che cercando un approdo di pace e di speranza, quando già lo intravvedevano sulle coste lampedusane, hanno visto naufragare tutte le loro attese. Quindi in questo momento, forse, i sentimenti migliori sono quelli che ha espresso Papa Francesco nella sua visita a Lampedusa: sentimenti di compassione e di condivisione, oltre che di solidarietà e di suffragio.

    D. - Incontrando i rappresentanti di altre religioni c’è anche uno spirito di vicinanza, al di là delle differenze, in questo momento o no?

    R. -Sì, sicuramente! Se ci divide la differente fede religiosa, credo che ci accumuni la condizione umana e anche il dolore per queste morti che ci appartengono comunque, anche se non sono morti di italiani.

    D. - Come vescovi rappresentanti della Sicilia, chiamati sempre in causa e sempre in prima linea, dopo questa esperienza come state reagendo? Che cosa vi siete detti e l’urgenza che vi siete posti?

    R. - Ci siamo posti un’urgenza di carattere umanitario, che ci fa dare offerte di disponibilità per la prima accoglienza e per il soccorso. E poi, soprattutto, ci siamo detti che è urgente un’opera di formazione per la nostra gente, perché non si lasci prendere da sentimenti o da atteggiamenti che non siano umanitari ed evangelici. Consapevoli - come siamo - che anche al nostro interno qualcuno si lascia prendere la mano da emozioni o sensazioni che hanno poco di umano e di cristiano. Quindi una strategia di carattere educativo, oltre a confermarci nell’opera di accoglienza e di solidarietà per le prime cure da prestare a questi nostri fratelli.


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    Convegno dei cappellani carcerari. Don Balducchi: no a impunità, ma cammini di riconciliazione alternativi

    ◊   “Giustizia: pena o riconciliazione. Liberi per liberare”, questo il tema scelto per il Convegno nazionale dei cappellani delle carceri italiane, riuniti - da oggi e per tre giorni - a Sacrofano, nei pressi di Roma. Ad aprire i lavori nel pomeriggio sarà l’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini. Mercoledì mattina, nell'Aula Paolo VI in Vaticano, prima dell'udienza generale, l'incontro dei partecipanti al convegno con Papa Francesco. Roberta Gisotti ha intervistato don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani d’Italia:

    D. - Don Virgilio quale messaggio è sotteso al titolo del Convegno, che arriva in un periodo davvero critico per il sistema penitenziario in Italia?

    R. - Il messaggio centrale che vogliamo dare è che si può trovare il modo per amministrare la giustizia senza porre la pena ‘carcere’ al centro di tutto, ma che si possono percorrere cammini di riconciliazione tra le vittime dei reati e coloro che hanno commesso il reato. La nostra intenzione, il nostro sforzo è quello di fare in modo che il messaggio di riconciliazione, che ci arriva dall’insegnamento di Gesù Cristo, trovi formule condivise anche nella società civile; questo per fare in modo che le persone riparino al danno fatto senza passaggi pesantissimi all’interno delle carceri. Questo non è facilissimo, perché in ogni caso occorre una capacità culturale che la società deve ancora costruire ma d’altronde anche il messaggio dato dal presidente Napolitano va in questo senso, quando parla di affidamenti sociali, pene sul territorio, riparazione sociale e quando in questo momento parla anche di indulto e di amnistia.

    D. – Capacità culturale ma anche strutture adeguate...

    R. – Sì, anche strutture adeguate. Le strutture di accoglienza in parte sono già presenti sul territorio: solo i cappellani – in un’indagine che abbiamo fatto in questo periodo – hanno su tutto il territorio una settantina di luoghi di accoglienza che hanno ospitato nel 2012 circa mille persone. Allora, se si investe di più – come giustamente Napolitano ha ricordato quando ha parlato di indulto e di amnistia – sicuramente sul territorio ci sono strutture che possono accogliere anche di più: quelle della Caritas, di Migrantes, e di altri organismi o istituti religiosi che sarebbero anche disponibili a costruire un rapporto di accoglienza. Una sfida che come comunità cristiana credo possiamo accogliere; in parte lo facciamo già ma in parte la dobbiamo ancora recepire.

    D. – Sappiamo che le carceri italiane soffrono di un problema drammatico, quello del sovraffollamento; ma quando poi si parla di indulti ed amnistia per risolvere questo problema la gente comune pensa ad una sorta di impunità per il reato...

    R. – Questa è la sfida che noi dobbiamo accogliere, nel senso che non si tratta di impunità, ma di scontare la propria pena in un modo più responsabile. Chi è in carcere non fa che perdere tempo, non ripara niente ma ha soltanto dei giorni di non-libertà. Questo non implica che poi nella società ci siano ‘cammini di giustizia’ sia nei confronti delle persone che hanno subito reati, sia complessivamente nei confronti della società perché quando il male viene commesso colpisce un po’ tutti. Dove si sono sperimentati percorsi in cui le persone detenute sono uscite sul territorio ed hanno dato un contributo positivo - magari alla sistemazione di un sentiero, all’aiuto nelle mense della Caritas, o cose di questo tipo... - la gente ha cambiato parere...

    D. – Si tratta, quindi, anzitutto di censire le strutture e le esperienze che sono già attive, e di valorizzarle e sostenerle da parte dello Stato...

    R. – Sì. Naturalmente anche da parte delle comunità cristiane perché all’inizio la difficoltà c’è.

    D. – Non bisogna quindi avere paura di percorrere cammini alternativi al carcere tradizionale...

    R. – Esatto, perché questo fa cambiare anche il parere della gente.

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    Una sola specie all'origine dell'uomo? Acceso dibattito dopo la pubblicazione di uno studio su "Science"

    ◊   All’origine dell’uomo ci sarebbe un'unica specie. E’ quanto ipotizza uno studio pubblicato sull’autorevole rivista “Science” e basato sul ritrovamento a Dmanisi in Georgia di cinque crani di ominidi, risalenti ad 1,8 milioni di anni fa e con notevoli differenze morfologiche finora attribuite a diverse specie. Lo nuova proposta, se dimostrata, riscriverebbe la storia dell'evoluzione umana. “Uno studio interessante, ma da approfondire” secondo il direttore dell’Istituto Scienza e Fede del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum padre Rafael Pascual, che, al microfono di Paolo Ondarza, ricorda: “La Chiesa è in dialogo con la scienza”:

    R. – Sembra che questi cinque crani scoperti a Dmanisi appartengano allo stesso periodo e che presentino delle morfologie molto diverse tra di loro. Questo sembra voler dire non che ci troviamo davanti a specie differenti, ma a diversi individui che hanno diversità morfologiche, ma appartengono alla stessa popolazione, alla stessa specie.

    D. - Queste differenze sono convissute contemporaneamente e non contraddistinguerebbero specie diverse. Potrebbero essere ascrivibili ad un’unica specie con tratti somatici, morfologici, diversi: quelle stesse differenze che possiamo riscontrare nell’uomo contemporaneo …

    R. - Esatto. Questa è un po’ la novità di questa scoperta che ci mostra che in realtà c’è una differenza di carattere morfologico e non di carattere della specie.

    D. - E questo, a livello scientifico, ma anche a livello filosofico come cambierebbe il dibattito attuale in corso?

    R. - Per prima cosa, ci mette davanti a quella che è la caratteristica delle teorie scientifiche: bisogna essere molto prudenti. Queste teorie sono immature, nel senso che non è detto che adesso questa nuova proposta sia quella definitiva. Possiamo dire che siamo ancora - per così dire- in un cantiere dove ci sono ancora tanti lavori in corso. Dunque, non bisogna dare né troppo valore, né mettere tutto in discussione.

    D. - Indubbiamente, le scoperte di Dmanisi sono dei casi molto importanti dal punto di vista degli studi di paleoantropologia …

    R. - Sicuramente sì, perché mai avremmo immaginato che ci fossero degli ominidi così antichi in Europa. Questo ci deve far riflettere su come è avvenuta questa diffusione dell’uomo che non è avvenuta solo in Africa. Ci sono state diverse migrazioni.

    D. - In uno degli ominidi ritrovati a Dmanisi è stato riscontrato un dato significativo che potrebbe deporre per la sua identità umana: un individuo adulto che possedeva un solo dente al momento della morte, ed è sopravvissuto a lungo nonostante la quasi totale assenza di denti … presumibilmente per la solidarietà del suo gruppo…

    R. - Possiamo fare delle deduzioni, supposizioni. Dunque, supponiamo che questo individuo sia sopravvissuto perché ha trovato nei suoi simili qualche comportamento di appoggio, di solidarietà; però, secondo me, questa non è l’unica ipotesi presentabile.

    D. - Questa scoperta - abbiamo detto che comunque necessita di ulteriori approfondimenti - all’interno del dibattito scienza e fede, è rilevante?

    R. - Penso sia rilevante perché ci troviamo nuovamente di fronte alla questione di fondo dell’origine dell’uomo. E qui forse bisogna fare un chiarimento: pochi giorni fa ho letto un articolo di un giornale di grande diffusione qui in Italia. L’opinionista diceva che la Chiesa sosteneva il disegno intelligente, il creazionismo; invece non è così. Ci sono altre confessioni che vanno in questa direzione; ma nella linea della Chiesa c’è un’apertura verso quello che presenta la scienza che non è in conflitto con quello che presenta la fede. In linea di massima, non c’è una posizione di difesa o di opposizione, di conflitto, ma una posizione di dialogo. Ovviamente, ci sono alcune interpretazioni che escludono la causalità divina, il finalismo, ecc, che ovviamente non sono conciliabili con quello che ci insegna la fede. Sostenere che c’è un piano di Dio che ha voluto creare l’uomo e che Dio si possa essere servito anche di un processo evolutivo non è una contraddizione. Il problema nasce quando la scienza pretende di escludere, aprioristicamente, che ci sia una causa trascendente.

    D. - Quindi per concludere quella di Dmanisi è una scoperta significativa, è un contributo importante anche per quanto riguarda il dibattito scienza fede …

    R. - Direi proprio che non va contro, ma piuttosto è vicina a ciò che si trova nell’insegnamento della Chiesa: l’origine del genere umano da, diciamo così, un’unica “Fonte”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Appello dei vescovi cattolici di rito orientale per la pace in Siria e Medio Oriente

    ◊   “Le nostre ricche tradizioni non resteranno un monumento da ammirare e ricordare, ma una sorgente di vita per guarire la cultura europea che sempre di più si sta secolarizzando e scristianizzando”. E’ il messaggio che i vescovi delle Chiese cattoliche di rito orientale d’Europa rivolgono “ai loro fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà” al termine ieri del loro incontro annuale che si è svolto sotto il patrocinio della Ccee, nella città di Kosice, capitale europea 2013 della cultura e nella ricorrenza dei 1150 anni dell’arrivo dei Santi Cirillo e Metodio tra i popoli slavi. Il messaggio - ripreso dall'agenzia Sir - è stato presentato in una conferenza stampa alla facoltà teologica dell’Università cattolica di Kosice. “Veniamo ancora una volta ad affermare e ricordare le radici cristiane dell’Europa, profondamente convinti dell’attualità del messaggio dei Santi Cirillo e Metodio”, scrivono i vescovi ed aggiungono: “Una civiltà e una cultura europea, sradicata dal vangelo salvifico di Cristo, non potrà costruire una società umana solida, fondata su valori etici, morali e sulla famiglia che garantiscono giustizia e pace tra i popoli. Una cultura senza Dio conduce l’uomo alla disperazione e alla morte. Noi propugniamo una cultura della vita e della speranza: una cultura che sia capace ad abbracciare l’uomo in tutte le sue dimensioni e a creare fratellanza, amore, amicizia e solidarietà, specie verso il povero, l’emigrato e l’abbandonato”. Un appello per l’immediato cessate il fuoco in Medio Oriente e in particolare in Siria. I gerarchi delle Chiese cattoliche orientali d’Europa uniscono la loro voce a quella di papa Francesco per la pace ed hanno diffuso “un messaggio di speranza, carità e amore” al termine del loro incontro annuale che dal 17 al 20 ottobre si è svolto a Kosice, in Slovacchia. “Nel corso del nostro incontro - si legge nel messaggio -, abbiamo guardato con apprensione alla drammatica situazione di sofferenza dei nostri confratelli e fedeli cristiani in Medio Oriente, e in particolare in Siria. Uniti al Santo Padre e ai vescovi locali, chiediamo che la via del dialogo sia intrapresa con più decisione e che alla preghiera si uniscono decisioni politiche fondate sulla giustizia e nel rispetto delle varie comunità religiose che portino a un immediato cessato il fuoco, all’abbandono di ogni forma di violenza e alla fine dell’ingresso di armi che alimentano la guerra nel Paese”. (R.P.)

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    Siria. Appello di padre Pizzaballa: "Emergenza umanitaria, cristiani scacciati dal nord"

    ◊   “La Siria è in una situazione drammatica e non deve essere dimenticata”: nuovo accorato appello di padre Pierbattista Pizzaballa che in un video pubblicato sul canale YouTube dell'agenzia Sir parla di “continua emergenza umanitaria” nel Paese mediorientale dove da più di due anni e mezzo si combatte una guerra civile con oltre centomila morti, decine e decine di migliaia di feriti e milioni tra profughi e sfollati. “Il Nord della Siria - afferma il custode di Terra Santa - è quasi totalmente in mano ai ribelli, l’Ovest ai governativi, il Centro Sud è nel caos totale a macchia di leopardo. La popolazione civile - aggiunge - vive in condizioni drammatiche, soprattutto i più vulnerabili tra i quali vanno considerati anche i cristiani”. Padre Pizzaballa, a riguardo, denuncia le violenze che la minoranza cristiana sta subendo: “Le comunità cristiane che vivono nel Nord vengono inesorabilmente cacciate soprattutto da quelle zone dove le frange fondamentaliste islamiche creano degli emirati. È importante, dunque, aiutare la popolazione attraverso coloro che sul territorio, come i francescani e non solo, si prodigano nel sostegno cercando di procurare cibo, vestiti, medicine, gasolio per riscaldamento ed elettricità. La Siria - conclude - non deve essere dimenticata così come la sua gente, musulmani e cristiani. Questi ultimi sono il nerbo di un patrimonio antichissimo che deve restare nel luogo dove è nato e per questo non deve sparire”. Per la Siria “Ats pro Terra Sancta”, l’Ong della Custodia di Terra Santa, ha lanciato una campagna di solidarietà, “Emergenza Siria”, che si avvale della presenza dei conventi francescani del Paese, come Aleppo, Azizieh, Damasco, Lattakiah e Kanyeh e su 11 frati aiutati da altri religiosi e laici. Fin dall’inizio della guerra, i francescani hanno creato 4 Centri di accoglienza, che danno da dormire a centinaia di persone, e provvedono ai bisogni primari di almeno 400 persone ogni giorno. Ogni mese circa 50 famiglie vengono aiutate a cercare nuove case. (R.P.)

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    Filippine: la Caritas ringrazia il Papa per la solidarietà alle vittime del sisma

    ◊   "Siamo davvero grati al nostro amato Papa Francesco per le preghiere, la vicinanza e la solidarietà che ha espresso alle popolazioni colpite dal sisma nelle Filippine". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews padre Edwin A. Gariguez, del segretariato nazionale di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale filippina (Cbcp-Nassa), in prima linea nell'opera di soccorso ai terremotati. Lo scorso 15 ottobre una potente scossa di magnitudo 7,2 ha colpito il centro dell'arcipelago filippino (Central Visayas), uccidendo finora 186 persone ma le vittime potrebbero superare quota 200. Gravi danni anche agli edifici, fra cui numerose chiese centenarie che risalgono all'epoca coloniale spagnola e sono fra i patrimoni architettonici più importanti del Paese. La Protezione civile locale (Ndrrmc) riferisce che 173 morti si sono registrati a Bohol, altri 12 a Cebu e uno a Siquijor. Il numero totale delle persone interessate dal sisma - in modo più o meno grave - è di oltre tre milioni, sparsi in otto città e 52 comuni minori. Il bilancio dei danni ha superato gli 800 milioni di pesos (circa 18,5 milioni di dollari), sono 46mila le case andate distrutte, oltre che 39 ponti e 18 strade principali. Intanto il governo provinciale di Cebu bolla come "prive di fondamento", le voci secondo cui un devastante terremoto di magnitudo 8 sta per colpire Cebu nel prossimo futuro. Sui social network i funzionari cercano di tranquillizzare la popolazione, invitandola a "ignorare" queste notizie che non hanno credito e di evitare scene di panico generalizzato. Tuttavia, resta alta l'allerta per le continue scosse di assestamento, finora più di 2mila dal sisma principale. Raggiunto da AsiaNews padre Edwin, segretario esecutivo Nassa e responsabile del coordinamento delle operazioni di soccorso dell'ente cattolico, esprime gratitudine a Papa Francesco, che ieri al termine dell'Angelus ha espresso "vicinanza alle popolazioni delle Filippine". Il Pontefice ha chiesto di "pregare per quella cara Nazione, che di recente ha subito diverse calamità". "Le sue parole di preoccupazione e solidarietà - ha aggiunto il sacerdote - ci spronano e ci invitano a lavorare ancor più uniti e a collaborare per aiutare quanti sono nel bisogno". Sotto questo profilo, aggiunge, "le parole del Papa sono di grande aiuto e fonte di ispirazione". Con la collaborazione di Caritas internationalis, i volontari cattolici stanno ultimando gli interventi immediati per far fronte all'emergenza; attraverso le diocesi del Paese è in atto una campagna di aiuti per ripristinare la normalità e consentire il pieno recupero nel lungo periodo. (R.P.)

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    Congo: sospesi i negoziati tra Kinshasa e ribelli M23 sul Nord Kivu

    ◊   Sono naufragati sul nodo dell’amnistia ai ribelli i negoziati tra il governo congolese e i rappresentanti del Movimento 23 marzo (M23) in corso a Kampala da settembre dopo diversi mesi di sospensione: lo hanno reso noto i due schieramenti - riporta l'agenzia Misna - confermando le voci di uno stallo nel negoziato, che si rincorrevano da qualche ora tra gli addetti ai lavori. “Speravamo di trovare una soluzione che migliorasse le condizioni di vita e l’avvenire sulle colline del Kivu. Devo annunciare che purtroppo non è stato così e che non abbiamo trovato degli interlocutori determinati come noi ad arrivare ad un accordo” ha detto al termine dei colloqui il ministro degli Esteri di Kinshasa, Raymond Tshibanda. Roger Lumbala, dell’M23 dal canto suo ha spiegato che la delegazione governativa non ha accettato di ammetterlo ai colloqui perché avrebbe “insultato “ il presidente Joseph Kabila. Lumbala ha detto infatti di sostenere Etienne Tshisekedi, capofila dell’opposizione e candidato alle presidenziali del 28 novembre 2011, vinte da Kabila, di cui si è sempre rifiutato di riconoscere l’esito. Attivo in Nord Kivu dal maggio 2012 l’M23 è nato da una costola degli ex ribelli integrati nelle forze armate congolesi (Fardc) reclamando la mancata applicazione di un accordo di pace firmato nel 2009. In vari rapporti l’Onu accusa i governi dei vicini Uganda e Ruanda di sostenere i ribelli, imputazione che Kigali e Kampala smentiscono seccamente. In un comunicato diffuso oggi gli inviati speciali delle Nazioni Unite, Unione Europea e Unione Africana – presenti a Kampala in questi giorni – hanno ribadito la richiesta ai ribelli di fermare ogni forma di violenza e disarmare le proprie milizie, in modo da consentire una ripresa del dialogo. Nelle ultime settimane le associazioni della società civile e dei rifugiati di guerra hanno accusato l’M23 di rafforzare le proprie posizioni nella regione, teatro del conflitto. (R.P.)

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    Congo: nel Nord Kivu dimenticati i tre sacerdoti rapiti un anno fa

    ◊   Un anno fa, nella notte tra il 18 e il 19 ottobre, tre padri assunzionisti venivano portati via dalla parrocchia Nostra Signora dei Poveri di Mbau, nella diocesi di Butembo-Beni, da non meglio identificati uomini armati. Ad oggi non si hanno ancora notizie dei padri congolesi Edmond Bamtupe Kisughu, Jean-Pierre Mumbere Ndulani e Anselme Kakule Wasukundi, e neanche delle 800 persone – uomini, donne, ragazzi e neonati – rapite negli ultimi mesi in questo territorio remoto dell’instabile provincia minerarie del Nord Kivu (est), al confine con Rwanda e Uganda, dove pullulano innumerevoli gruppi armati. Non hanno portato a nulla di concreto le ricerche delle forze di sicurezza né gli appelli lanciati dalla chiesa cattolica locale. In questi mesi sono circolate voci poi smentite sull’identità dei rapitori e sul luogo di prigionia dei preti e dei civili scomparsi da Mbau. “Si dice il parco del Virunga, tra Mbau e Kamango, il monte Ruwenzori o la regione confinante tra Nord Kivu e Provincia Orientale. Qualunque sia il posto si tratta di zone inaccessibili” si legge in un comunicato diffuso dalla congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione che lancia un appello al governo, alle forze armate congolesi e alla locale missione Onu per “porre fine all’angoscia di centinaia di famiglie che vivono un dramma ignorato”. La congregazione denuncia la “piaga dei rapimenti” che impedisce alle popolazioni di coltivare la terra, di spostarsi, ma anche “l’arma del riscatto utilizzata da finti rapitori per estorcere denaro a povera gente disperata”. Nei mesi scorsi la responsabilità dei rapimenti è stata attribuita a un nuovo movimento politico-militare, l’Unione per la riabilitazione della democrazia in Congo (Urdc), ai ribelli ugandesi delle Adf-Nalu – attivi nella zona e in passato già responsabili di azioni simili – e alla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), infiltrata a Beni. In Nord Kivu da alcune settimane è operativa una brigata di intervento speciale delle Nazioni Unite, costituita da soldati dispiegati da Malawi, Tanzania e Sudafrica. (R.P.)

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    Card. Ravasi: il gioco essenza dell'umanità e analogia per parlare della fede

    ◊   “Gratuità e libertà sono caratteristiche del gioco”, che “nel senso più ampio e creativo del termine appartiene all’essenza stessa dell’umanità”. Per questo “il credente dovrebbe capire meglio il significato autentico del gioco, e il gioco dovrebbe essere un’analogia per parlare della fede”. Lo ha detto il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, il card. Gianfranco Ravasi, nella sua relazione di apertura del seminario internazionale “Believers in the World of Sports” (Credenti nel mondo dello sport), promosso oggi dal Pontificio Consiglio in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei. Nella cornice dell’Anno della fede - riferisce l'agenzia Sir - la giornata di studio, di confronto e testimonianze sul valore educativo, culturale e spirituale dell’esperienza sportiva, riunisce presso la sede del dicastero vaticano responsabili dello sport professionistico e dell’associazionismo sportivo cattolico, con un’attenzione particolare al rapporto sport-disabilità. Parte dalle Scritture il cardinale, per illustrare il racconto della creazione nel Genesi come “atto di gioco di Dio”, e rammentare ai presenti che nel Libro dei Proverbi “la metafora del gioco è una via per rappresentare la sapienza creatrice di Dio”, e San Paolo assimila l’immagine della corsa nello stadio alla vita del cristiano, proteso verso il traguardo “ultimo”. Teologia e antropologia del gioco, il filo conduttore della riflessione del card. Ravasi, che avverte, poiché “il tema della libertà è fondamentale, il peccato è sempre in agguato”. Di qui tre “degenerazioni”. La prima: “il gioco che diventa guadagno, commercializzazione, pubblicità per produrre risultati economici”, oppure “degenera psicologicamente”, ed ecco il richiamo alla ludopatia, in Italia vera emergenza sociale causa di “distruzione di molte famiglie”. Ma anche la libertà “può ammalarsi, e si ammala nel tifo”, è il monito di Ravasi, un termine che “già alla base ha un’accezione negativa perché in greco indica la febbre, la vanità”. E spesso il tifo fa rima “con razzismo e violenza”. Anche la terza componente del gioco, la corporeità, può ammalarsi. Così il corpo, “che non è solo un insieme di cellule, ma è ciò che siamo, la nostra persona”, ridotto dalla “cultura contemporanea ad oggetto”, può cadere in preda “alla cura maniacale, all’anoressia o alla bulimia o, in ambito sportivo al doping”. Un pensiero, infine, anche alla “categoria dell’inutile”, giacché il gioco, come l’arte, “in un certo senso è inutile, perché non produce nulla”. Come la religione, “chiamata non a produrre, ma a cambiare i cuori”. Eppure, è la conclusione del card. Ravasi, “senza la religione, senza l’arte, ma anche senza il gioco, il mondo sarebbe molto più povero e disperato”. (R.P.)

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    Iraq: l'ex seminario della chiesa caldea diventa un condominio per famiglie povere

    ◊   Il patriarcato caldeo ha annunciato la prossima distribuzione del primo lotto di 16 appartamenti ricavati dalla ristrutturazione dell'ex seminario patriarcale, destinati a nuclei familiari bisognosi. Secondo fonti del patriarcato consultate dall'agenzia Fides, le abitazioni verranno consegnate ai destinatari tra 15 giorni. Altre 32 unità abitative, in fase di ultimazione, saranno consegnate agli assegnatari nei prossimi mesi. Il nuovo complesso residenziale, dotato di giardini e spazi giochi per i bambini, si concentra intorno alla chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Apostoli Pietro e Paolo. L'iniziativa di trasformare in condominio residenziale gli edifici abbandonati che ospitavano il seminario caldeo – trasferitosi nel 2006 a Erbil, nel Kurdistan iracheno, dopo che il rettore e alcuni docenti avevano subito una serie di rapimenti - è stata fortemente sostenuta dal patriarca Louis Raphael I Sako anche come misura concreta per aiutare le giovani famiglie caldee a non abbandonare la propria Patria e così frenare l'esodo che in Iraq sta progressivamente erodendo le comunità cristiane autoctone di tradizione apostolica. (R.P.)

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    Pakistan: dopo Malala, il mondo aiuti la cristiana Kashmala, disabile dopo la strage di Peshawar

    ◊   Tutto il mondo ha seguito col fiato sospeso la vicenda di Malala Yousafzai, la ragazza pakistana colpita dai talebani, poi trasferita a Londra e rimessasi in salute. Come appreso dall'agenzia Fides, oggi i cristiani in Pakistan e molte organizzazioni della società civile presentano al mondo il caso di Kashmala Munawar, 13enne cristiana ferita gravemente mentre stava pregando nella chiesa di Tutti i Santi a Peshawar, quando un kamikaze ha causato la strage del 22 settembre. Kashmala stava solo esercitando il suo diritto alla libertà religiosa, pregando un Dio in cui crede. Studentessa al primo anno di scuola superiore, Kashmala è stata portata all’ospedale pubblico per le cure di emergenza I medici hanno riscontrato molteplici schegge nelle gambe e hanno eseguito un intervento chirurgico. In seguito alle ferite, un'infezione alla gamba destra ne ha causato l’amputazione. Kashmala, trasferita in un ospedale della diocesi anglicana di Peshawar, ha tuttora forte bisogno di un trattamento medico e di cure specialistiche per la gamba. Attualmente l’Ong “World Vision in Progress” sta sostenendo le spese per il trattamento medico di Kashmala e di altre vittime della strage. Come riferito a Fides, la comunità cristiana di Peshawar si chiede: “Per quanto tempo e perché è una Ong a dover curare Kashmala? Dove è la giustizia? Perché è il governo della provincia di Khyber Pakhtunkhwa e il governo federale ignorano totalmente le vittime della strage? Perché la comunità internazionale non offre un intervento per questa bambina?”. Secondo fonti locali, le cure in un ospedale europeo specializzato potrebbero aiutare la ripresa definitiva di Kashmala e pensare anche all’eventualità di un protesi per la sua gamba, per aiutarla a tornare a vivere la sua quotidianità di una ragazza adolescente. (R.P.)

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    India. Il card. Gracias incontra Sonia Gandhi: lavoriamo insieme per tutti gli indiani

    ◊   Libertà religiosa per tutte le minoranze; pari diritti per i dalit cristiani e musulmani; la controversa Food Security Bill: sono alcuni dei temi che il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), ha discusso di persona con Sonia Gandhi, presidente della United Progressive Alliance (Upa), coalizione al governo in India. All'agenzia AsiaNews il porporato spiega che l'incontro, avvenuto il 16 ottobre scorso, "è stato un'occasione non per chiedere favori speciali, ma solo giustizia, uguaglianza e protezione per tutti i cittadini, come garantisce la Costituzione del nostro Paese". Durante il confronto il cardinale si è congratulato con il presidente dell'Upa per l'approvazione della Food Security Bill, definendo il decreto - che prevede la distribuzione di cibo a basso costo per 800 milioni di poveri - "un grande passo del governo verso la cura dei bisognosi e degli oppressi". La Gandhi ha assicurato all'arcivescovo che "le preoccupazioni espresse saranno affrontate in modo serio", e ha dichiarato di apprezzare "i servizi resi dalla comunità cattolica in molti campi, soprattutto quello dell'istruzione e della sanità". Il cardinale specifica ad AsiaNews di voler "incontrare tutti i partiti del Paese", a dimostrazione che "la Chiesa non cerca privilegi, ma desidera solo esercitare i nostri diritti sanciti dalla Costituzione. L'India è la più grande democrazia laica al mondo, che attraverso la Carta garantisce all'intera popolazione tutti i diritti umani fondamentali. Come cristiani siamo parte integrante della società indiana". Nel Paese la comunità cristiana rappresenta il 2,3% della popolazione. Tuttavia, sottolinea il presidente della Cbci, "la Chiesa si è dedicata senza sosta alla costruzione di questa nazione per centinaia di anni. Essa ha dato un grande contributo per il benessere generale della società, senza mai fare discriminazioni di casta o credo, e non è mai intervenuta in questioni che non le riguardavano. La nostra unica richiesta è di poter lavorare e vivere liberamente, secondo i diritti proclamati dalla Costituzione. E questi includono il diritto a praticare la propria religione". (R.P.)

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    Sri Lanka: il vescovo di Mannar chiede diritti per i tamil

    ◊   Mentre i tamil cercano lentamente e con cautela di rivendicare maggior benessere, autonomia ma anche giustizia, ieri il vescovo della diocesi settentrionale di Mannar ha chiesto nuovamente al governo di far conoscere la sorte di 140.000 Tamil scomparsi nelle fasi finali del conflitto. Monsignor Rayappu Joseph - riferisce l'agenzia Misna - ha anche esortato le autorità a preoccuparsi maggiormente delle necessità della minoranza, di origine indiana e fede soprattutto induista e non negare ad essa benessere e giustizia. Nell’omelia domenicale nella cattedrale, mons. Joseph ha negato ancora una volta l’accusa più volte contestatagli dalle autorità negli anni del conflitto, di essere stato un sostenitore dell’indipendenza delle regioni del Nord e dell’Est del Paese abitate in maggioranza dalla minoranza di origine indiana e di fede induista. Il vescovo ha invece ribadito di essersi spesso opposto alle violenze commesse dai ribelli nella loro lotta trentennale terminata nel maggio 2009 con la disfatta militare delle Tigri per la liberazione della patria tamil (Ltte). “Quando l’Ltte iniziò la sua lotta erano nel giusto, ma poi presero le armi come ultima risorsa quando vennero repressi tentativi politici di riconoscere i diritti dei Tamil. Io non giustifico la violenza, la condanno e non accetto ciò che le Tigri fecero usando le armi e uccidendo altri”. Mons. Joseph ha anche espresso la speranza che la vittoria dell’Alleanza nazionale tamil e nelle prime elezioni locali svoltesi nella provincia del Nord il 21 settembre potrà servire ad affrontare le necessità dei Tamil in accordo con le autorità centrali. Tuttavia, ha anche sottolineato che occorrono emendamenti costituzionali che vadano incontro alle esigenze dei Tamil, coinvolgendo a questo fine anche l’India o altri Paesi. (R.P.)

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    Nicaragua. Il vescovo di Esteli denuncia attacco contro la Chiesa

    ◊   “Ho già denunciato non solo di avere il telefono sotto controllo, ma una persecuzione subdola che si sta portando avanti. Non si può parlare apertamente e onestamente senza essere oggetto di persecuzione da parte delle autorità”: è la forte denuncia, pervenuta all’agenzia Fides, del vescovo della diocesi di Esteli (Nicaragua), mons. Juan Abelardo Mata Guevara, che è anche presidente della Associazione nicaraguense per i diritti umani (Anpdh). Il motivo della denuncia del vescovo è originato dalla diffusione di notizie false sull'incontro avvenuto in Honduras tra i rappresentanti dell’Anpdh e i leader di alcuni gruppi contrari al governo nicaraguense del Presidente Daniel Ortega, presente il vescovo, con il fine di favorire il dialogo tra le due parti. La delegazione dell’Anpdh infatti è entrata in Honduras legalmente, sottoponendosi al controllo dello Stato stabilito alle frontiere e soprattutto sotto la supervisione del meccanismo di intelligence militare che c'è proprio lì. Mentre il giornale La Prensa ha riportato correttamente la cronaca dell’evento, altri media filogovernativi hanno cercato di far apparire tutto come illegale, screditando quindi la Chiesa. Nella nota pervenuta a Fides, il vescovo di Esteli ribadisce: “Se qualcuno avesse qualcosa contro di noi, sarebbe normale chiamarci e chiederci ufficialmente spiegazioni, invece di arrivare a questa situazione". Quindi prosegue: "Vogliono screditarci perché non possono mettere a tacere il grido di un popolo, è un malcontento che cresce. In qualche modo si devono cercare capri espiatori per accusare falsamente coloro che veramente sono la voce dei senza voce". Sull’impegno di proporre al governo nicaraguese il dialogo con questi gruppi di opposizione, Mons. Juan Abelardo Mata Guevara sottolinea: “C'è l'idea di dialogare, ma non un dialogo per ottenere vantaggi, perché loro non vogliono privilegi, tutti noi vogliamo lavorare in pace". Quindi ha concluso: "Come Pastori non possiamo vedere uccidere il popolo senza fare nulla. Non si può trattare così, per rappresaglia, una popolazione che non è d'accordo con il governo". (R.P.)

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    E' un laico il nuovo presidente dell'Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria

    ◊   È Gianni Cervellera il nuovo presidente dell’AIPaS che succede a Fra Marco Fabello nella guida dell’Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria. Sposato, teologo, 52 anni, collaboratore dei Fatebenefratelli da 22, Cervellera è il primo presidente laico della rete nazionale che riunisce sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e laici che svolgono stabilmente specifiche attività per la pastorale della salute. Una attività il cui scopo è quello di promuovere la pastorale della Chiesa nel mondo della sanità e la formazione umana e cristiana degli operatori sanitari, tutelare la dignità della persona malata, curare l’assistenza religiosa e la professionalità degli operatori pastorali. Rinnovato anche il Consiglio di presidenza dell’AIPaS: don Matteo Naletto, vice-presidente (responsabile della Pastorale della Salute nella diocesi di Padova); don Antonio Martello, segretario (referente della Pastorale della Salute della Regione Calabria); fra Angelo De’ Padova, economo (Frate minore francescano, di Taranto). (P.O.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 294


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