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Sommario del 19/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai “Patrons of Arts”: la Chiesa fa appello alle arti per esprimere la bellezza della fede
  • Proclamato Beato Stefano Sàndor, laico salesiano ucciso sotto il regime comunista ungherese
  • Altre udienze e nomine di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: seguire Gesù vuol dire metterlo al primo posto
  • Mons. Xuereb racconta l'amore di Benedetto XVI per la natura
  • Dieci anni fa la Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta: il ricordo del suo biografo, don Lush Gjergji
  • Rosario missionario nel campus della Pontificia Università Urbaniana
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: attentato contro militari a Damasco, almeno 38 morti
  • Onu: no dell'Arabia Saudita ad un seggio in Consiglio di Sicurezza
  • Francia: sindaci obbligati a celebrare le nozze gay. Dalla Torre: violata libertà di coscienza, in pericolo il dissenso
  • Il dramma dei migranti che cercano di passare negli Usa: la testimonianza di padre Solalinde
  • A Milano giornata per la memoria di Lea Garofalo testimone di giustizia uccisa dalla 'Ndrangheta
  • Il Papa ai parlamentari sulle orme di San Tommaso Moro: vivere la politica come forma eminente di carità
  • Lampedusa: allestita da Caritas e "Save the Children" una ludoteca per i figli degli immigrati
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • L’arcivescovo di Bangui: situazione drammatica in Centrafrica, il Paese è una polveriera
  • Somalia: attacco kamikaze contro locale frequentato da militari, 12 vittime
  • Aiuti umanitari dai cattolici canadesi alla Siria per oltre 5 milioni di dollari
  • Bulgaria: la Caritas lancia l’allarme su disoccupati e profughi siriani
  • Elezioni nella Repubblica Ceca, messaggio dell'arcivescovo di Olomouc
  • Maldive: nuovo rinvio delle elezioni presidenziali
  • Lussemburgo: elezioni anticipate, favorito Juncker
  • Filippine: sospese le ricerche dei superstiti del terremoto. Almeno 180 i morti
  • Zimbabwe: al via le trasmissioni della prima Radio Cattolica
  • Terra Santa. Mostra fotografica sulle famiglie palestinesi divise
  • Apre i battenti Papaj23, percorso multimediale per conoscere la vita di Giovanni XXIII
  • La Lev pubblica il volume artistico “Cristo. I ritratti - Duemila anni di Gesù nell'arte”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai “Patrons of Arts”: la Chiesa fa appello alle arti per esprimere la bellezza della fede

    ◊   Le opere dei Musei Vaticani danno testimonianza delle “aspirazioni spirituali dell’umanità”. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nell’udienza ai “Patrons of Arts”, una comunità internazionale di benefattori che da 30 anni sostengono economicamente progetti di conservazione e restauro di capolavori custoditi nei Musei Vaticani. La Chiesa, ha detto il Papa, ha sempre fatto “appello alle arti” per esprimere la bellezza della fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Trent’anni di impegno per custodire e restaurare i capolavori dei Musei Vaticani. E’ il traguardo raggiunto dai “Patrons of Arts”, che Papa Francesco ha voluto sottolineare con un’udienza di ringraziamento a questa importante comunità di moderni mecenati. La nascita del sodalizio, ha osservato il Papa, “fu ispirata non solo da un lodevole senso di corresponsabilità per l’eredità di arte sacra che la Chiesa possiede”, ma anche “dal desiderio di dare continuità agli ideali spirituali e religiosi che portarono alla creazione delle collezioni pontificie”:

    “In ogni epoca la Chiesa ha fatto appello alle arti per dare espressione alla bellezza della propria fede e per proclamare il messaggio evangelico della magnificenza della creazione di Dio, della dignità dell’uomo creato a sua immagine e somiglianza, e del potere della morte e risurrezione di Cristo di portare redenzione e rinascita ad un mondo segnato dalla tragedia del peccato e della morte”.

    I Musei Vaticani, “con la loro unica e ricca storia – ha proseguito Papa Francesco – offrono ad innumerevoli pellegrini e visitatori che giungono a Roma la possibilità di incontrare questo messaggio mediante opere d’arte che danno testimonianza delle aspirazioni spirituali dell’umanità”. E ancora “dei sublimi misteri della fede cristiana e della ricerca di quella bellezza suprema che trova la sua origine e il suo compimento in Dio”. Il vostro sostegno alle opere d’arte dei Musei Vaticani, è stata l’esortazione del Papa, “possa sempre essere un segno della vostra partecipazione interiore alla vita e alla missione della Chiesa”:

    “Possa anche essere espressione della nostra speranza nella venuta di quel Regno la cui bellezza, armonia e pace sono l’attesa di ogni cuore umano e l’ispirazione delle più alte aspirazioni artistiche del genere umano”.

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    Proclamato Beato Stefano Sàndor, laico salesiano ucciso sotto il regime comunista ungherese

    ◊   È stato proclamato Beato, questa mattina a Budapest, in Ungheria, Stefano Sàndor, il coadiutore salesiano ucciso appena 38enne dal regime comunista nel 1953, con l’intensificarsi della persecuzione contro la Chiesa. Alla Messa, in rappresentanza del Santo Padre, c’era il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato. Il servizio di Roberta Barbi:

    Lo descrivevano tutti come un giovane allegro, serio, gentile, leader amato dagli amici e aiuto prezioso per i fratellini – che assisteva nello studio e nella preghiera – e per la chiesa dei Padri Francescani di Szolnok, dove serviva quotidianamente Messa. Fu proprio questa sua inclinazione all’educazione per i giovani che lo fece innamorare di don Bosco e lo spinse a entrare come postulante nell’Istituto salesiano, dove poi divenne coadiutore laico e ottenne l’incarico di assistenza all’oratorio, come ricorda il cardinale Amato al microfono di Roberto Piermarini:

    “Il nostro Beato fu affascinato dalla figura di don Bosco. Ne apprezzava molto il metodo pedagogico e pastorale, mirato alla 'salvezza integrale' dei giovani. I superiori furono bene impressionati dal giovane, serio e allegro, e successivamente lo ammisero al noviziato”.

    Dovette interrompere il noviziato perché chiamato alle armi, ma anche al fronte si mostrò un educatore modello, animando e rincuorando i suoi commilitoni. L’esperienza della guerra, per cui ricevette anche diverse onorificenze, non scalfì le sue convinzioni e neppure la sua fede. Tornato a casa, dovette scappare e nascondersi dal regime comunista che si era instaurato, lavorando sotto falso nome per una tipografia pubblica. La situazione peggiorò con la salita al potere in Ungheria di Mátyás Rákosi, quando lo Stato iniziò a incamerare i beni della Chiesa e a perseguitare i fedeli, religiosi e laici, come evidenzia il cardinale Amato:

    “La sua vita si svolse in anni difficili per il suo Paese, travagliato da guerre e rivolgimenti politici e sociali. Sappiamo che il comunismo stalinista, regime non meno oppressivo del nazismo, si era instaurato nel suo Paese e lo Stato, nel 1949, non solo incamerò i beni della Chiesa, ma iniziò ad accanirsi con forme persecutorie contro i religiosi, costretti a vivere da clandestini e adattandosi a svolgere i più disparati lavori pur di sopravvivere”.

    Non aveva più casa, lavoro, né comunità, ma fu comunque raggiunto e arrestato nel 1952. Della sua morte – resa nota solo dopo il crollo del regime - e del luogo dove è sepolto si sa poco o nulla, ma è certo che avvenne in odio alla fede. Il cardinale Amato sottolinea ancora quale insegnamento il nuovo Beato consegna al mondo:

    “Il martire Stefano Sàndor lascia a tutti noi e ai confratelli Salesiani un triplice messaggio: anzitutto fedeltà fino alla fine alla vocazione nella quale il Signore ci chiama; in secondo luogo, impegno nella missione educatrice dei giovani, che bisogna formare alla vita buona del Vangelo; infine, essere testimoni credibili di Gesù e della sua parola di speranza e di carità”.

    Nell’imminenza della sua Beatificazione, i confratelli salesiani ne hanno ricordato la figura di laico che fu esempio a molti preti, mettendone in luce in particolare la santificazione del lavoro cristiano, l’amore per la casa di Dio e naturalmente l’educazione della gioventù, che oltre a essere ancora missione fondamentale della Congregazione salesiana, lo è anche della Chiesa universale, come conclude il cardinale Amato:

    “In conclusione, il Beato martire Stefano Sàndor ci consegna la profezia dell'importanza dell'educazione dei giovani, per contrastare una cultura che spesso combatte i valori della vita, della carità, della laboriosità, del perdono, della fraternità”.

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    Altre udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani il card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e il dottor Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, con la famiglia.

    Il Santo Padre ha nominato Promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano l'Illustrissimo Signor Avvocato Gian Piero Milano, finora Promotore di Giustizia Aggiunto presso il suddetto Tribunale.

    In Myanmar, il Papa ha nominato Vescovo della Diocesi di Hakha, in Myanmar, il Rev. Mons. Lucius Hre Kung, del clero di Hakha, Vicario Generale e Parroco della Cattedrale.

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    Tweet del Papa: seguire Gesù vuol dire metterlo al primo posto

    ◊   “Seguire Gesù vuol dire metterlo al primo posto, spogliarci delle tante cose che soffocano il nostro cuore”. E’ quanto sottolinea Papa Francesco in un tweet, pubblicato oggi sul suo account in 9 lingue @pontifex, seguito da oltre 9 milioni di follower.

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    Mons. Xuereb racconta l'amore di Benedetto XVI per la natura

    ◊   Mons. Alfred Xuereb, segretario particolare di Papa Francesco e per vari anni nella Segreteria particolare di Benedetto XVI, ha presentato ieri a Pordenone l'antologia di testi pronunciati da Joseph Ratzinger, intitolata ''Per una ecologia dell'uomo'', pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana (Lev) e curata da Maria Milvia Morciano. L’iniziativa è stata promossa nell’ambito della VII edizione della rassegna culturale “La Libreria Editrice Vaticana a Pordenone – Ascoltare, leggere, crescere”, in corso nella città friulana fino a questa domenica. Il nostro inviato Luca Collodi ha chiesto a mons. Alfred Xuereb i motivi che lo hanno spinto ad accettare l'invito di presentare questa raccolta:

    R. - Devo ammettere che sono rimasto anche perplesso quando da Pordenone mi hanno rivolto l'invito. Ho chiesto, per quale motivo. Non sono né uno scrittore, né un giornalista, tanto meno uno studioso. Il ragionier Sandrin, l'organizzatore dell'evento, mi ha fatto notare che ho vissuto tanti anni accanto a Benedetto XVI. "Ci dia la sua testimonianza", mi ha detto. Poi, devo dire che sento dentro di me, da un certo tempo, un impulso: quello di dare un contributo, piccolo quanto sia, a rivelare la vera identità di Papa Benedetto. Soffro, quando sento commenti che sono lontani dal rappresentare il vero Papa Benedetto. Io, che ho avuto la fortuna, la grazia, di conoscerlo da vicino vorrei raccontare la persona che ho conosciuto. Ma c'è anche un altro motivo. L'apprezzamento che ho per la Libreria Editrice Vaticana, che vedo fare tanti sforzi per promuovere i propri libri. Questo fa giungere al mondo il Magistero della Chiesa, la voce del Papa. Collabora, quindi, con il Ministero petrino. Sono quindi venuto a Pordenone, nel nord Italia, per dare il mio piccolo contributo di incoraggiamento alla Lev, che tanto fa per collaborare con il Magistero e far arrivare la voce del Papa.

    D. - Mons. Xuereb, quanto la mancata tutela dell'ambiente trova radici nella crisi antropologica e spirituale dell'uomo moderno?

    R. - Tantissimo. Posso citare il libro presentato qui a Pordenone. Benedetto scrive: “è necessario prima di tutto riscoprire il significato della persona nella sua dimensione umana e comunitaria, a partire dal fondamento della vita familiare fonte di amore e di affetto da cui viene il senso della solidarietà e della condivisione". Sono parole da meditare. Da che cosa dipende questo primato della persona umana? E' il riflesso di Dio, a immagine di Dio. Perché la creazione è un dono che il Signore ha voluto, è il giardino in cui il Signore vuole che viviamo. Però non dimentichiamo che l'uomo ha una grande responsabilità. Tanto è vero che nell'antologia di testi presentata, Papa Benedetto menziona la parola responsabilità 39 volte. Vuol dire che l'uomo non è ancora abbastanza responsabile, che non ha ancora capito l'importanza della persona umana. Nel libro, Benedetto scrive come l'uomo, se ha cuore la pace, deve tenere ben presenti le connessioni tra l'ecologia naturale e l'ecologia umana. Emerge un nesso inscindibile tra la pace per il creato e quella tra gli uomini.

    D. - Benedetto XVI, nella sua quotidianità, come dimostrava il suo amore per la natura, gli animali?

    R. - Potrei dire che la prima immagine che mi viene in mente è che si scioglieva davanti agli animali, alla natura, gli piaceva stare fuori, quando uscivamo, per fare una scampagnata, anche quando veniva suo fratello dalla Germania. Ricordando, forse, i momenti in cui, in Germania, da ragazzo, andavano a fare gite nella natura. Ma dobbiamo dire che Papa Benedetto non ha amore solo per i gatti, ma per tutti gli animali. Nei confronti degli uccellini, posso raccontare un aneddoto. Qualche anno fa, in inverno, durante una passeggiata nei Giardini vaticani recitando il Rosario, notavamo spesso un merlo bianco. Alla fine del rosario mi chiedeva se si era fatto vedere, suggerendomi poi di andare a fare qualche foto del merlo. Con l'aiuto dei nostri fotografi, che hanno macchine migliori della mia, sono andato ed ho scattato alcune foto. Quando le ha viste, l'espressione era di meraviglia. Mi disse che erano foto da pubblicare. E qualche giorno dopo, le foto sono finite sull'Osservatore Romano. Ancora: alla fine dell'udienza generale alcuni, dalle parrocchie, portano statue raffiguranti Santi. Ricordo che dissi al Papa che un Santo da lui benedetto in una circostanza, aveva il cane accanto a sé. Mi rispose: "Alfred, non solo questi Santi sono simpatici, ma diventano più umani". Una battuta che rivela la sua attenzione per la presenza del mondo animale accanto a questi uomini che diventano così Santi più vicini alla nostra vita quotidiana, potendo rivolgerci loro in confidenza. E' molto bello questo.

    D. - Mons. Xuereb, combattere la cultura dello spreco, come dice Papa Francesco, significa tutelare il Creato …

    R. - Certamente sì. Anche Benedetto ci dice questo. Ritenere il Creato come dono di Dio all'umanità aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell'uomo. Non ha senso curare la natura, le piante, e poi disprezzare l'uomo. Il rispetto dell'uomo, come conseguenza, porta al rispetto della natura.

    D. - I Papi invitano al rispetto dell'ambiente, ma i fedeli raccolgono questo invito? C'è una concreta sensibilità ambientale nei cristiani?

    R. - Temo che non sia sufficiente. Tanto è vero che in questo libro della Lev, "Per una ecologia dell'uomo" – come ho già detto - per 39 volte Papa Benedetto usa la parola responsabilità. Credo che il libro possa essere un contributo affinché l'umanità possa diventare sempre più responsabile di questo grande dono che il Signore ci ha consegnato, non come padroni, ma in custodia.

    D. - Parlando di tutela del Creato, mons. Xuereb, si vede una grande continuità tra gli ultimi due Pontificati...

    R. - Io non limiterei il nesso e la continuità solo a questi due ultimi Papi, l'attuale e Benedetto. E' una continuità che c'è da sempre. E' una storia, perché, appunto, fatta da Pontificati diversi ma connessi l'uno con l'altro. Altrimenti sarebbe solo un libro con vari episodi chiusi. Invece, sono dei capitoli. Voglio ricordare la sensibilità che aveva Giovanni XXIII, che tra poco grazie a Dio verrà canonizzato. Lui, che era figlio di contadini, come non poteva avere sensibilità nei confronti del Creato? Come anche la sensibilità con i giardinieri! Paolo VI, Giovanni Paolo II con le sue uscite a respirare l'aria delle montagne.

    D. - Chi gestisce, tra i laici, il bene comune, fa abbastanza per la tutela dell'ambiente e dell'uomo?

    R. – Sì, fa tanto, abbiamo fatto passi da gigante in particolare nel mondo della scuola, i bambini oggi insegnano ai loro genitori come dobbiamo comportarci, però non è sufficiente. Credo che ancora dobbiamo fare molto. Iniziamo noi. Ognuno deve fare la sua parte. Incominciamo ad accendere noi la prima luce. Poi si illumina un po' tutto.

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    Dieci anni fa la Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta: il ricordo del suo biografo, don Lush Gjergji

    ◊   Sono trascorsi 10 anni dalla beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, celebrata in Piazza San Pietro da Papa Giovanni Paolo II. Il processo che aveva portato al riconoscimento delle virtù eroiche e dei miracoli si era aperto a meno di due anni dalla sua morte proprio a causa della diffusa fama di santità. Madre Teresa era nata il 26 agosto 1910 a Skopje, da genitori albanesi, ma visse la maggior parte della sua esistenza in India prendendosi cura dei più piccoli tra i poveri in risposta alla chiamata di Gesù: “Vieni, sii la mia luce”. Fondò la Congregazione delle Missionarie della Carità e più tardi dei Fratelli Missionari della Carità. Morì a Calcutta il 5 settembre 1997. Adriana Masotti ha chiesto a don Lush Gjergji, suo biografo e vicario generale della Chiesa del Kosovo, un ricordo personale della Beata:

    R. – Io l’ho accompagnata in diverse parti del mondo, soprattutto a ritirare il Premio Nobel per la pace, ad Oslo il 10 dicembre 1979: faceva -35° e lei, scalza, con quei vestitini che portava, era venuta a nome dei poveri, a nome di Cristo. Dopo il Premio Nobel, Madre Teresa si voleva ritirare dalla vita pubblica: tornando da Oslo aveva espresso questo desiderio anche al Papa, e Giovanni Paolo II ha detto: “In nessun modo, perché lei rappresenta il meglio, il cristianesimo e la Chiesa cattolica”. Per cui, davvero Madre Teresa è il quinto Vangelo vissuto: perché dei quattro Vangeli, purtroppo, tanti tra cristiani e non cristiani non sanno neanche chi fossero gli evangelisti; invece, il quinto Vangelo è conosciuto, accettato e ammirato da tutti ed è quello di Madre Teresa, l’amore in azione.

    D. – L’amore in particolare per i poveri: è qualcosa che tutta la Chiesa sente, in modo speciale anche dopo l’elezione di Papa Francesco. C’è una consonanza tra loro…

    R. – A me Papa Francesco sembra l’anima gemella di Madre Teresa, perché ha fatto la stessa scelta: cercare di mettere la Chiesa al servizio di Dio e al servizio dei poveri, dei sofferenti … Quindi, nella figura di Papa Francesco vedo un’indicazione precisa, evangelica e vedo il proseguimento della vita e delle opere di Madre Teresa, che ha oltrepassato ogni confine etico, religioso, culturale. Anche tra le caste in India, lei ha testimoniato che solo l’amore salverà il mondo. E amore vuol dire Dio.

    D. – Un servizio che, appunto, aveva radici in un rapporto profondo con Dio, vissuto anche nella preghiera, nell’adorazione …

    R. – Madre Teresa ha operato una sintesi meravigliosa tra azione e contemplazione. Madre Teresa non separava mai Dio dall’uomo né l’uomo da Dio: ricordo quando, a Calcutta, dopo diverse ore di adorazione mi prese per mano e mi disse: “Adesso andiamo a trovare Gesù nei poveri, nei lebbrosi, nei sofferenti”. E dopo aver fatto questa visita, mi fece una domanda straordinaria: “Ti piace il Gesù del nostro quartiere?”. Infatti, ogni persona che lei incontrava era lo stesso Gesù che aveva amato, adorato e accolto tramite l’Eucaristia e la Messa.

    D. – Dopo la morte di Madre Teresa, sono venuti maggiormente alla luce i momenti difficili che lei ha vissuto, anche di aridità spirituale …

    R. – Sì, io conoscevo in buona parte questo dramma, ma non ero autorizzato a parlarne. Ma proprio tramite questo silenzio di Dio o tramite l’oscurità, Madre Teresa ha dimostrato tutto l’amore e soprattutto la perseveranza. Gesù che le era apparso in triplice visione e l’aveva chiamata: “Vieni e sii la luce mia e il mio amore tra i più poveri tra i poveri”, era come scomparso dalla sua vita. Ma anche se non trovava più questa consolazione, lei ha saputo abbracciare e amare Gesù e dimostrare che l’amore è capace anche di soffrire in silenzio. E lei diceva a Gesù: “So che mi vuoi bene, ma perché non Ti manifesti più?”. E diceva anche: “Sono pronta ad andare anche all’ inferno, pur di dimostrare l’appartenenza e l’amore che ho per Te …”.

    D. – Don Lush, adesso, ci si aspetta la canonizzazione di Madre Teresa …

    R. – Noi stiamo costruendo il Santuario e la cattedrale dedicata alla Beata Madre Teresa nella capitale, a Pristina. E speriamo di poter presto gioire pienamente e di poterla chiamare come l’ho chiamata io: “Santa dell’amore, Madre Teresa”.

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    Rosario missionario nel campus della Pontificia Università Urbaniana

    ◊   Un rosario “a colori” a simboleggiare i cinque continenti e soprattutto per ricordare che senza preghiera non esiste evangelizzazione. È questa la particolare coroncina che verrà sgranata oggi pomeriggio alle 18 nel campus della Pontificia Università Urbaniana, dove verrà recitato il “Rosario missionario”. L’iniziativa è del dicastero di Propaganda Fide e vedrà la presenza, tra gli altri del prefetto, il cardinale Fernando Filoni. Il direttore dell’agenzia Fides, padre Vito del Prete, missionario del Pime, spiega l’origine del “Rosario missionario” al microfono di Alessandro De Carolis:

    R. - Il “Rosario missionario” ha una lunga storia, ma ha acquistato un momento veramente molto forte e significativo in questo Anno della Fede, in cui si è voluta portare all’attenzione del mondo cattolico la necessità della preghiera, perché normalmente, in questi ultimi tempi, l’evangelizzazione è stata un po’ desacralizzata: nel senso che si è pensato solamente alle opere sociali necessarie allo sviluppo, alla lotta per la dignità umana, però ci si è accorti che senza la preghiera i nostri sforzi sono inutili. Allora il cardinale Filoni, due anni fa, ha lanciato questa idea: perché noi non lanciamo una campagna mondiale di preghiera per l’evangelizzazione e in maniera particolare il “Rosario missionario”, che è interposto da cinque colori differenti che ricordano i cinque continenti? Dobbiamo dire che moltissime diocesi e moltissime chiese nel mondo hanno chiesto i rosari, che sono stati confezionati dalla Congregazione, e si sono impegnati a pregare.

    D. - Papa Francesco, dall’inizio del Pontificato, ha orientato la bussola della missione della Chiesa verso una direzione precisa: le periferie dell’umanità geografiche ed esistenziali. Come è stata accolta questa esigenza da chi, come voi, sostiene il Papa nella diffusione del Vangelo?

    R. - Questo è un discorso che a noi ha fatto non solo piacere, ma ha dato coraggio ed entusiasmo, perché la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli non si blocca e non ha - diciamo - il suo focus nelle diocesi di antica cristianità, ma si spinge realmente al di fuori della Chiesa. Questo è un po’ il nostro motto: ci spingiamo al di fuori della Chiesa verso i non credenti, verso i più deboli della società, lì dove troviamo realmente l’ingiustizia fatta, dove la dignità dell’uomo non è riconosciuta, dove veramente il lume della fede non brilla ancora.

    D. - Una delle periferie attuali della Chiesa è certamente quella dove la Chiesa è piccola e spesso anche perseguitata, questo avviene, per esempio, in Asia: questa è cronaca quasi quotidiana…

    R. - La questione della Chiesa in Asia è una questione veramente di una fede altissima, coerente, che ci ricorda un po’ le prime cristianità. Non è solamente il Pakistan, dove essere cristiani vuol dire essere in pericolo e rischiare anche la propria vita; anche in India è la stessa cosa per il nuovo nazionalismo che sorge e il fondamentalismo induista; in Myanmar - dove sono stato e dove ho lavorato - il cristianesimo, anche lì, è una minoranza, ma una minoranza molto, molto impedita nelle sue manifestazioni. Quindi le Chiese asiatiche, sotto quest’aspetto, sono alle frontiere.

    D. - Papa Francesco, con la sua consueta arguzia, sta esortando - da sette mesi - tutti i cristiani a non essere cristiani - come dice lui - di vetrina, di pasticceria, ma a sporcarsi le mani per il Vangelo. Da queste chiese di periferia, come quelle dell’Asia, dove essere cristiani è un atto di coraggio, che messaggio viene a noi soprattutto in Occidente, dove spesso invece questo coraggio lo abbiamo dimenticato?

    R. - Come dice il Papa Francesco: “Bisogna uscire fuori dalle sacrestie”. La Chiesa in Europa, in Occidente, abbia la capacità di ascoltare gli indifesi, abbia la capacità però di inserirsi dentro, di sporcarsi - come diceva Tonino Bello - e si metta il grembiule e si metta a servizio: annunci la carità di Dio. Io credo che la gente, anche i non credenti europei, siano disposti realmente poi a ripensare il senso della propria vita, perché qui manchiamo di senso.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La bellezza della fede: il Papa ai Patrons of the Arts dei Musei vaticani.

    Nell’informazione internazionale, un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo “Tessere spezzate del mosaico afghano”: l’obiettivo della pacificazione continua a essere lontano.

    Inos Biffi sull’arcivescovo riluttante: cinquant’anni fa l’ingresso nella diocesi di Milano del cardinale Giovanni Colombo.

    Da Unzen Onsen, Cristian Martini Grimaldi sui martiri cristiani nel Giappone del Seicento.

    L’illusione di una felicità solubile: Giulio Brotti intervista il sociologo Zygmunt Bauman.

    Il tenore che non voleva essere ricco: Francesco Scoppola sulla collezione di oggetti d’arte di Evan Gorga in mostra a Palazzo Altemps.

    Tutti gli animali di Joseph Ratzinger, in un’intervista a monsignor Alfred Xuereb, segretario di Papa Francesco.

    Lady Liberty and Mother Church: il cardinale Timothy Michael Dolan sul “Wall Street Journal”.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: attentato contro militari a Damasco, almeno 38 morti

    ◊   Ennesima giornata di violenze in Siria. Un'autobomba è esplosa a sud-est di Damasco, causando la morte di almeno soldati. Intanto, in un appello il Dipartimento di Stato Usa ha chiesto che si conceda l'accesso immediato degli aiuti umanitari alla popolazione afflitta dalla fame. Il servizio di Marco Guerra:

    L'attacco con autobomba è avvenuto tra Mliha e Jaraman, quartiere a maggioranza cristiana, ed ha preso di mira una base militare governativa. Fonti locali affermano che i ribelli sono riusciti a catturare due carri armati e una camionetta e a prendere il controllo di un vicino posto di blocco; notizie non confermate da parte governativa. Come rappresaglia l’aviazione del regime ha bombardato postazioni dei ribelli nei dintorni della capitale. Il conflitto non accenna dunque a placarsi anche con la presenza degli ispettori dell’Opac, che hanno fatto sapere di aver ispezionato circa la metà dei siti che dovranno essere distrutti da qui al prossimo anno. Una guerra che sta fiaccando sempre di più la popolazione civile come confermano le decine di casi di poliomelite registrati nell'est del Paese, in territori non più controllati da Damasco. In un appello urgente al governo siriano, il Dipartimento di Stato Usa ha chiesto che si conceda l'accesso immediato degli aiuti umanitari nelle zone dove si combatte, nei quali, secondo recenti rapporti, mancano acqua, cibo e medicinali.

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    Onu: no dell'Arabia Saudita ad un seggio in Consiglio di Sicurezza

    ◊   Con un’azione di protesta senza precedenti, l’Arabia Saudita ha rinunciato ad entrare come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, non è ancora arrivata una comunicazione ufficiale da Riad, ma il testo del comunicato del ministero degli Esteri saudita, ieri poche ore dopo l'assegnazione del seggio per un mandato di due anni, non lascia dubbi. "Il regno - recita la nota - ritiene che i metodi, gli strumenti di lavoro, i doppi pesi e le doppie misure adottate attualmente dal Consiglio di Sicurezza rendono l'organo incapace di svolgere i propri doveri e di assumersi la responsabilità nei confronti del mantenimento della sicurezza e della pace". Il riferimento è anzitutto al conflitto siriano, in cui Riad appoggia l'opposizione, e che ha visto Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio con diritto di veto, bloccare diverse risoluzioni di condanna al regime di Bashar al Assad. Criticato il Consiglio di Sicurezza anche per la gestione della questione palestinese e del controllo degli arsenali nucleari mediorientali. Sulla presa di posizione dell’Arabia Saudita, ascoltiamo Luigi Bonanate, docente emerito di Relazioni internazionali all’Università di Torino, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Questa dichiarazione di rifiuto nei confronti del seggio appare motivata dal dispetto provato per l’incapacità dell’Onu di affrontare la questione siriana. Se esaminassimo la cosa in sé, mi verrebbe da dire: “E’ molto giusto: la guerra civile in Siria continua e si muore in Siria. Tutto è stato mascherato da quella tragica storia del gas, come se quello fosse stato l’unico problema: ma il problema era più ampio”. E quindi l’Arabia Saudita oggi dichiara di essere contraria al modo in cui l’Onu ha gestito la crisi. Però, allora, prenda iniziative internazionali…

    D. – Come vanno interpretate le critiche all’Onu di incapacità di assicurare la pace e di mantenere la sicurezza?

    R. – Permettiamoci di sottolineare che lo dicevamo da 50 anni! Non è una novità che l’Onu abbia determinati problemi. Ma il punto è questo: l’Onu è ciò che gli Stati vogliono che essa sia. L’Onu non ha colpe e responsabilità: è il punto in cui si incrociano le politiche estere ufficiali degli Stati. Per cui, se l’Onu non funziona la colpa è degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Russia, della Francia, della Germania, dell’Italia e via discorrendo. L’Arabia Saudita, oggi, ci mette per l’ennesima volta di fronte a questo fallimento.

    D. – Il dibattito su una revisione delle funzioni dell’Onu è dunque avviato da decenni; di fatto, a che punto è?

    R. – A nessun punto. In questo senso: spesso viene riaperto il dossier sulla riforma dell’Onu; ogni tanto si propone di spostare un seggio, di aggiungerne due o tre, c’è la questione del Giappone, c’è la questione del Brasile, la questione dell’Unione Europea in quanto tale, che sarebbe anche sensata… Se noi pensiamo che una volta l’Unione Sovietica aveva tre o quattro seggi perché era talmente grande, rappresentava tanta parte territoriale dell’Europa asiatica, allora si potrebbe forse pensare a qualcosa del genere per l’Unione Europea. Ma tutte le volte che si riapre questo dossier, salta fuori che chi stava facendo le richieste più importanti è indietro con i pagamenti delle quote associative dell’Onu e quindi non ha diritto di parola; oppure chi ha i soldi, invece, vorrebbe ‘comprarsi’ un seggio. Insomma, ogni volta c’è qualche ostacolo che impedisce che ci si sposti da quella che è l’Onu del 26 giugno 1945.

    D. – Al di là delle polemiche, c’è il rischio che l’Onu poi di fatto diventi un’istituzione con funzioni solo di richiamo morale?

    R. – Non sarebbe una cosa da poco, che l’Onu potesse essere questa autorità morale internazionale a cui tutti si rivolgessero: sarebbe già un grande risultato. Così come sta andando il mondo, direi che al massimo può avere un ruolo morale che però, come possiamo ben capire, non serve ad intervenire né in Siria, né in Libano, né in tutte le altre grandi crisi del mondo.

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    Francia: sindaci obbligati a celebrare le nozze gay. Dalla Torre: violata libertà di coscienza, in pericolo il dissenso

    ◊   La Corte costituzionale francese ha escluso ieri la "clausola di coscienza” per i sindaci che si oppongono alle “nozze gay”. I sindaci saranno dunque obbligati a celebrare in comune il “matrimonio omosessuale”. Sempre ieri, per la prima volta in Francia, è stato dato il via libera all’adozione di una bambina da parte di una coppia di due donne. Su questa continua erosione del diritto alla libertà di coscienza, in Francia e non solo, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Giuseppe Dalla Torre, presidente onorario dell’Unione dei Giuristi Cattolici Italiani:

    R. - È singolare che la Francia che ha una grandissima tradizione in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, tra i quali c’è quello della libertà di coscienza, venga meno a questa tradizione con una decisione che certamente è pesante e gravosa, anche se – ahimè – è una decisione che non riguarda solo la Francia, ma indica una tendenza più generale che tocca tutto il mondo occidentale. È una tendenza a misconoscere il diritto a rifiutarsi di obbedire alla legge, laddove questa entri in conflitto con la coscienza e con l’esigenza di salvaguardare il rispetto di norme morali inderogabili.

    D. - Questo peraltro, nonostante l’Assemblea del Consiglio d’Europa solo nel 2010 avesse invece ribadito - anche se con pochi voti di margine - la tutela dell’obiezione di coscienza; invece, poi vediamo che nelle legislazioni dei singoli Paesi si va sempre più verso una tendenza contraria rispetto a questo ...

    R. - Infatti. Credo che questo sia un tema su cui occorre riflettere ampiamente con urgenza. La convinzione di noi occidentali è che il problema della libertà religiosa e di coscienza è grave in Paesi come quelli asiatici: penso alla Cina, all’India e ad altri Paesi in cui effettivamente – ed è così – i cristiani in particolare, ma non solo, soffrono di persecuzioni di carattere religioso. Non ci rendiamo conto che anche nel nostro civilissimo Occidente sotto nuove forme - se vogliamo più subdole -, la libertà di coscienza incontra sempre più difficoltà ad essere garantita e tutelata. Da questo punto di vista, la questione delle obiezioni di coscienza è una cartina di tornasole, cioè è l’esempio che mette in evidenza, che porta allo scoperto, questa intolleranza in materia di libertà di coscienza che caratterizza in forma nuova la nostra realtà.

    D. - Di fondo, c’è poi anche un paradosso: per non discriminare – si direbbe così – una minoranza, si discrimina una maggioranza. Anche questo sembra un dato quasi di perversione del diritto ...

    R. - Non c’è dubbio. È un principio di eguaglianza inteso in senso opposto e questo naturalmente costituisce una grave deviazione rispetto ai principi che hanno segnato dalla Rivoluzione Francese in poi lo sviluppo delle istituzioni nei Paesi democratici e civili.

    D. - C’è davvero il rischio che, in qualche modo, si voglia anche silenziare un pensiero controcorrente rispetto ad un ragionamento – quello delle "unioni gay" in questo caso – che sta prendendo piede sempre più? In pratica, si dovrà avere paura tra un po’ di dire certe cose in pubblico?

    R. - Non c’è dubbio. C’è - come dire - una negazione, seppure non formale ma sostanziale, del diritto al dissenso, diritto che poi è alla base di una società democratica, la linfa di cui una società democratica si alimenta. Non ce ne rendiamo conto, però l’idea che si debba pensare tutti allo stesso modo sta galoppando in maniera molto sorprendente.

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    Il dramma dei migranti che cercano di passare negli Usa: la testimonianza di padre Solalinde

    ◊   E’ passato un anno da quando padre Alejandro Solalinde Guerra è venuto in Italia per raccontare la sua vita in difesa dei migranti che attraversano il Messico e tentano di attraversare il confine con gli Usa. Padre Alejandro, nello Stato messicano di Oaxaca, dirige il rifugio per migranti “Hermanos en el Camino”. Un ostello dove trovano riparo honduregni, guatemaltechi, salvadoregni, nicaraguensi. A un anno di distanza la situazione non è affatto migliorata. Queste persone sono ancora preda della violenza delle bande organizzate, spesso in collusione con le forze di sicurezza. Vittime principali, oltre alle donne, i minori non accompagnati, in questo anno aumentati fino ad arrivare a essere circa il 25% delle migliaia di persone che in un anno si fermano all’ostello. La maggior parte dei ragazzini sono indigeni del Guatemala, o poveri dell’Honduras. Padre Solalinde, che dopo le numerose minacce di morte è stato posto sotto la protezione delle autorità messicane, è in questi giorni a Roma, al fianco Amnesty International Italia. Francesca Sabatinelli lo ha incontrato:

    R. - Yo creo que las cosas para mi ‘albergue’ han mejorado: es un más seguro…
    Credo che la situazione per il mio ‘albergue’ sia migliorata, è un po’ più sicuro, e io sono vivo!
    Ma in Messico siamo circa 500 persone, tra donne e uomini, che si battono per la tutela dei diritti umani, grazie a Dio stiamo lavorando tutti in molti ‘albergues’ e case di migranti. E’ sicuramente difficile per noi vivere in condizioni di sicurezza, sia sicurezza per i nostri ‘albergues’ sia per le nostre persone. Io non vengo toccato perché sono famoso, ma per quanto riguarda gli altri, non si può sapere.

    D. - Quando lei venne un anno fa, denunciò, come già in passato, la situazione di violenza contro questa povera gente che arriva in Messico per poi tentare il passaggio negli Stati Uniti. Che cosa è cambiato oggi?

    R. - Las cosas se han complicado más, porque no hay mejorías en los lugares de origen…
    Le cose sono peggiorate e si sono complicate un po’, perché non è migliorata la situazione nei Paesi d’origine, soprattutto se parliamo di Honduras, Guatemala, Salvador e Nicaragua: in questi luoghi non è migliorata la situazione dei cittadini. La situazione in Messico, come Paese di transito, continua ad essere molto pericolosa, perché le bande che favoriscono il passaggio del confine stanno cambiando le loro modalità per estorcere ancora più denaro ai migranti.

    D. - Queste bande continuano anche a tenere queste persone in ostaggio, chiedendo un riscatto ai familiari?

    R. - Ahora la situación ha cambiado de modalidad, porque se han…
    Ora le regole sono cambiate, perché sta diventando più facile per i governi di Messico e Stati Uniti tracciare i movimenti finanziari e quindi sapere a chi viene pagata una certa somma per il riscatto dei sequestrati. Ecco perché le cose stanno cambiando, ora questi malviventi chiedono ai migranti di pagare una volta saliti sul treno. “Non hai i soldi - è la minaccia - allora ti buttiamo giù dal treno!” E lo fanno! Con il treno in movimento! E non importa se sono bambini, donne, anziani, li buttano giù dal treno in corsa... C’è poi un aumento della tratta delle persone: tantissime persone che scompaiono e non solo i migranti, anche i messicani. Ci sono molte donne che hanno perduto i loro figli, soprattutto figlie, rapiti all’uscita della scuola dalla criminalità organizzata per lo sfruttamento sessuale. Fa molto male, ad esempio nello Stato di Veracruz, vedere quante bambine scompaiano. Le madri non sanno più che fare per ritrovarle. E le più fortunate, almeno ritrovano il corpo. In Messico le procedure legali per combattere la tratta funzionano e la legge preoccupa molto i criminali: disgraziatamente però c’è molta corruzione e quindi non si riescono ad applicare tutte le misure e gli strumenti giuridici esistenti. Le mafie controllano i Paesi latinoamericani, il Messico, e il sud degli Stati Uniti: sono le mafie a controllare le frontiere e sono i ‘cartelli’ a stabilire chi passa e chi non possa.

    D. - Perché lei padre viene spesso in Italia, in Europa?

    R. - Yo no soy político y non soy activista: yo soy misionero….
    Non sono un politico, non sono neanche un attivista, sono un missionario. E ho a cuore molto la sorte dei migranti, perché amo Gesù e Gesù fu il migrante più famoso della storia. Vengo qua per chiedere all’Europa che ami i suoi fratelli del sud, che riconosca nei migranti il volto di Gesù, e che lo ricevano.

    D. - Lei crede che ci dovrebbe essere uno status di richiedenti protezione anche per chi fugge da Paesi che non sono in guerra, ma vivono una violenza sociale molto grave?

    R. - Las personas que están saliendo de África están viviendo una violencia extrema…
    Le persone che escono dall’Africa stanno vivendo una violenza estrema, sono in guerra. Però quasi tutti i Paesi del Centro America, almeno quelli di provenienza di coloro che attraversano il Messico, come il Nicaragua, il Guatemala, il Salvador - non l’Honduras - tutti questi sono stati in guerra per anni, guerre che non hanno rimarginato le ferite, ancora si vive violenza. La guerra non è l’unica forma di violenza. Ciò che chiedo all’Europa è di capire che la soluzione per questi paesi è aiutarli a cambiare le loro condizioni di vita, perché abbiano pace, perché abbiamo il lavoro, perche possano avere una vita dignitosa in quanto esseri umani. Noi sappiamo che di cento persone che passano per il nostro ‘albergue’, solamente il 30% riesce a entrare negli Usa e questo 30% riesce a passare, perché ha pagato i ‘cartelli’ degli ‘Zetas’, o quello del Golfo, che non hanno problemi a far loro attraversare il confine, glielo fanno fare in molti modi: nonostante il muro i ‘cartelli’ hanno il sistema per far passare la gente. Ma cosa accade con il rimanente 70% che non entra? Una parte, minima, rientra nel suo Paese d’origine; l’altra parte resta in Messico, tra loro c’è chi trova lavoro e chi invece viene assoldato dalla delinquenza organizzata per lavorare nell’organizzazione: droga, sequestri, assalti… La Chiesa cattolica ha sempre sottolineato che i migranti sono un’opportunità , che sono un ‘kairos’. Penso che questo sia un momento di grazia che tutti noi dovremmo utilizzare per capire molte cose, come ad esempio che nessuno è padrone di nulla, che siamo tutti migranti, dobbiamo riconoscerlo.

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    A Milano giornata per la memoria di Lea Garofalo testimone di giustizia uccisa dalla 'Ndrangheta

    ◊   Oggi a Milano centinaia di persone e tante associazioni impegnate nella lotta alla criminalità hanno partecipato ai funerali di Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese, rapita, torturata e bruciata dalla 'Ndrangheta alle porte di Milano nel 2009. Aveva scelto di denunciare le attività criminose della sua famiglia e del suo compagno Carlo Cosco, oggi all’ergastolo, per l’omicidio di Lea. Il suo corpo ritrovato da circa un anno, da oggi ha dunque una sepoltura grazie alla figlia Denise, anche lei sotto protezione. “E’ stata una martire e una testimone di libertà e giustizia” così don Luigi Ciotti fondatore dell’associazione Libera, nel suo intervento ai funerali della donna, durante i quali si è anche rivolto''ai tanti giovani inghiottiti dalle organizzazioni mafiose” che ha incitato a cercare la verità”. Noi non vi lasceremo soli'', ha detto Don Ciotti. Sentiamolo al microfono di Gabriella Ceraso:

    R. – Lea ha seguito la voce della coscienza rompendo il “codice del silenzio” della Mafia e della ‘Ndrangheta. Con le sue piccole, grandi forze ha seguito un’idea di bene, e di giustizia. La sua è stata una scelta certamente di libertà. Credo si possa dire, oggi più che mai, che Lea è morta ma in realtà oggi è ancora viva e la sua memoria sfida tutti all’impegno, ci commuove e ci deve far muovere di più. Non basta commuoversi, infatti bisogna muoversi. Dopo quattro anni dalla sua uccisione siamo qui per sentirci vivi, per costruire intorno a noi vita, perché la morte sia sconfitta e vinca davvero la vita. In greco la parola testimone vuol dire martire: credo che si possa dire che si può essere uccisi per aver testimoniato la verità, per avere denunciato le arroganze, le violenze, i traffici… Lea in questo senso è martire della verità, testimone di verità.

    D. – Anche se Lea non era nata sotto la Madonnina, non era di Milano, però Milano e la Lombardia testimoniano una presenza mafiosa ormai indiscutibile; anche questo è sotto i riflettori oggi…

    R. – Lea era una calabrese che ha avuto la forza ed il coraggio di rompere certi vincoli, certi meccanismi. È cresciuta alcuni anni nella città di Milano e qui è stata uccisa. La figlia Denise ha voluto fortemente che qui salutassimo la sua mamma; oggi, Calabria e Milano nelle cose belle, importanti e positive si uniscono.

    D. – Però è anche vero che ormai - e vogliamo ribadirlo – la Mafia non è una cosa solo della Calabria, così come la ‘Ndrangheta…

    R. – La Mafia è da 60 anni presente al Nord, ci sono degli elementi insediati che hanno stabilito i loro principi, costruito le loro strutture e poteri. In questi giorni c’è stato il commissariamento di una cittadina vicino Milano per infiltrazione mafiosa. È quindi una storia che viene da lontano e che poi emerge di più con le vicende processuali; però non dimentichiamo che c’è un grande percorso, un grande cammino, anche per il lavoro della magistratura e delle forze di polizia che - con grande generosità ed impegno - hanno creato gli anticorpi per reagire a tutto questo. Non c’è città italiana che può dichiararsi esente; non c’è città del Nord che non sia consapevole che i problemi degli altri riguardano veramente tutti.

    D. – A livello di giustizia la macchina sta progredendo sulle questioni di mafia o no?

    R. – Si può fare e si deve fare certamente molto, molto di più: forse ci vogliono meno leggi e più legge, ci vuole una maggiore velocità della giustizia, ci vogliono meccanismi più forti nel contrasto della criminalità e della mafia non solo dal punto di vista della giustizia, ma anche delle politiche sociali, della cultura, del problema del lavoro nel nostro Paese. Non dimentichiamo che nel caso di Lea, c’è un ragazzo diventato collaboratore di giustizia e che ha permesso di ritrovare il corpo di Lea. Lui sta collaborando con la giustizia e posso dire anche con un profondo cambiamento interiore, un ragazzo molto coraggioso e sta aiutando a cercare la verità, a scavare in profondità.

    D. – Carmine Venturino è il suo nome…

    R. – Sì, Carmine Venturino. È arrivata qui in piazza a Milano una piccola corona di fiori dove c’è solo una sigla, ma noi sappiamo che quella sigla è di Carmine che dal carcere di Busto Arsizio ha voluto essere presente con un mazzo di fiori.

    D. – C’è dunque chi va contro corrente e a questi va dato spazio, risalto, oltre che alla lotta. È giusto?

    R. – E’ un grande grido, dobbiamo dire anche a coloro che fanno parte di organizzazioni criminali e sono stati cooptati nell’arco di questi anni, che hanno le loro responsabilità e devono essere aiutati a ritrovare un senso ed un significato.


    A Lea e soprattutto alla sua giovane figlia Denise, si rivolge oggi un’altra testimone di giustizia, Valeria Grasso, siciliana, imprenditrice che ha detto no alla mafia e che non smette di lottare seppur sotto protezione. Gabriella Ceraso l’ha intervistata:

    R. – Se si hanno dei valori radicati dentro la propria anima, anzitutto, l’amore per la propria famiglia, l’amore per la propria terra, per la propria nazione, non si può non girare le spalle alla mafia, perché la mafia è tutto quello che di oscuro ci possa essere nella vita. Una madre, una donna, una persona libera che ama tutto quello in cui vive, non può che volere che questa mafia venga combattuta.

    D. – Lea diceva, in una sua testimonianza, che in un programma di protezione non si vive ma si sopravvive. Com’è la vita da testimone di giustizia?

    R. – La scelta che ha fatto Lea è una scelta molto importante, perché lei ha dovuto mettersi contro la sua stessa famiglia: questo è un passo ancora più forte. Lea è stata generosa nel dire che si sopravvive. Io credo che non si possa più parlare di vita, all’interno di un programma di protezione. Chi ha fatto questa scelta fa un percorso difficile, impegnativo, viene sradicato dalla propria vita, dalla propria terra, dai propri affetti e spesso con i propri figli, che sono vittime paganti. I momenti di scoraggiamento ci sono: quando ti vedi trattato come un pacco postale, col divieto di vedere i familiari, difficoltà nell’inserimento sociale; invece dovrebbero esserci supporti psicologici, assistenza nell’inserimento nelle scuole … Si tratta di famiglie che vanno accompagnate, vanno tutelate, vanno rispettate. Il programma di protezione va rivisto, lavoriamo insieme! Un testimone di giustizia veramente può fare tantissimo, perché è un esempio, è un incoraggiamento … Ma finché noi lamenteremo: “Le nostre vite non sono vite”, stiamo lavorando a vantaggio della mafia!

    D. – Lei si è mai pentita di questa sua scelta?

    R. – Non mi sono mai pentita di aver denunciato; lo farei alte cento volte.

    D. – Lei non ha timore di parlare, di farsi vedere in volto, di continuare ad andare controcorrente, no?

    R. – Assolutamente sì!

    D. – Perché?

    R. – Innanzitutto perché penso che tutti noi siamo in debito con coloro che sono morti per noi. Lea è morta anche per i miei figli: io stessa mi sento in debito nei confronti di Denise, e anzi, il mio – oggi – vuole essere un appello di mamma per cui in qualunque momento lei dovesse avere bisogno- siamo tutte e due testimoni- sappia che io sarò sempre a sua disposizione, per qualunque cosa. Dobbiamo impegnarci tutti!

    D. – Qualcuno ha detto: “Le donne della mafia stanno diventando più forti e più dure degli uomini”. Altri, invece, guardando anche alle voci controcorrente, dicono: “No, solo attraverso figure femminili si può cambiare”, cioè le donne hanno una chiave in più per scardinare il sistema, lei che ne pensa?

    R. – Più che di forza, io credo che noi donne abbiamo una sensibilità e un amore più forte, non fosse altro che perché mettiamo al mondo dei figli, e da quel momento, siamo pronte a mettere in gioco la nostra vita. Oggi più che mai, credo che anche le donne del mondo del malaffare si stiano rendendo conto che purtroppo non è una strada che spunta: i tempi stanno cambiando. La Magistratura sta facendo dei lavori importanti, la società civile non ha più voglia di subire: una buona parte di essa ha voglia di cambiamento, ha voglia di lottare e di conseguenza credo che queste donne si stiano rendendo conto che forse – forse! – anche per l’amore per i propri figli, è meglio stare dalla parte giusta.

    D. – Lei, da lontano, come vive questa giornata milanese dedicata a Lea e alla sua esperienza?

    R. – Ho provato una grande tristezza quando al telegiornale ho visto le immagini di Lea con sua figlia Denise, quando sono state ingannate e tutto quello che è successo… Ho provato una grande amarezza e un grande dolore. Non riesco a pensare poi a quello che sta provando questa ragazza, Denise. Quindi, oggi è una giornata molto triste per me. Però, allo stesso tempo, vorrei che Denise riceva anche da parte mia un grande “grazie”, e vorrei sollecitarla a continuare a combattere, perché il gesto di sua madre non sia un gesto che venga sminuito: perché Denise non sia mai lasciata sola, perché non sia abbandonata dallo Stato – cosa che si ripete troppo frequentemente … Ecco, il mio appello è questo: il mio appello è alla società civile, il mio appello è allo Stato. Che si smetta di parlare di legalità ma che si lavori per la legalità, e che si lavori affinché veramente chi ha dato la propria vita venga ricordato ogni giorno con l’impegno da parte dello Stato. Non soltanto con le commemorazioni.

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    Il Papa ai parlamentari sulle orme di San Tommaso Moro: vivere la politica come forma eminente di carità

    ◊   “In occasione del pellegrinaggio di un folto gruppo di parlamentari italiani alla tomba e ai luoghi di san Tommaso Moro, patrono dei governanti e dei politici”, Papa Francesco ha rivolto un cordiale saluto ai partecipanti in un messaggio a firma del sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu inviato a mons. Lorenzo Leuzzi, cappellano della Camera, che partecipa all’evento. Il Papa esprime “il suo apprezzamento per l’iniziativa” e “incoraggia a vivere l’impegno politico come forma eminente di carità al servizio del bene comune”. Debora Donnini ha intervistato Maurizio Lupi, tra gli organizzatori dell’evento:

    R. - Questo gesto è stato pensato all’interno del percorso che ognuno di noi sta facendo in questo Anno della Fede. Alla Camera dei Deputati c’è un cappellano, mons. Leuzzi, c’è una comunità che vive durante l’anno con la Messa al mattino, con i momenti di incontro che coinvolgono trasversalmente tutti i parlamentari che credono. Quindi, venire nei luoghi di Tommaso Moro – che Giovanni Paolo II ha proclamato patrono dei governanti e dei politici – ci sembrava un gesto concreto per ricordare ad ognuno di noi la ragione per cui esercitiamo questa responsabilità.

    D. – Quale clima c’è tra i parlamentari che appunto appartengono a diversi partiti: Pdl, Pd, Scelta Civica ed altri…

    R. – Sì, ci sono amici anche del Movimento 5 Stelle. Il clima è assolutamente positivo. Siamo coscienti che, pur avendo fatto scelte politiche diverse, la ragione per cui ognuno di noi si impegna è la stessa: servire il bene comune. Quindi, c’è un desiderio di fare un percorso insieme e di stimarsi l’un l’altro anche se convinti che poi la concretezza di queste azioni può tradursi con proposte politiche diverse. In un momento come questo, che il nostro Paese sta attraversando, credo che noi tutti dobbiamo ricordarci - come Tommaso Moro ha fatto nella sua storia con coerenza - che lo scopo del nostro agire è veramente ritornare a queste parole: “gratuità” e “bene comune”.

    D. –Le tappe del pellegrinaggio sono Westminster - il Parlamento – Canterbury e la Torre di Londra. Come vivete questi momenti come pellegrinaggio?

    R. – Westminster, il Parlamento, indica che quando uno è chiamato ad una responsabilità – come Tommaso Moro ci ha insegnato – bisogna svolgerla bene fino in fondo. San Tommaso Moro, per esempio, fu uno dei migliori ministri della Giustizia: quando divenne ministro si trovava, come adesso, con tantissimi arretrati. Facendo bene il suo lavoro, smaltì tutte le pratiche. Per quanto riguarda Canterbury: Tommaso Moro è stato Santo e politico ma ha sempre tenuto ben presenti e distinte le due aree. La figura di Tommaso Moro ci dice cos’è la santità. La fede non detta le regole alla politica ma la fede aiuta ed educa alla ragione per cui si fa politica e si servono le istituzioni. Se si perde la ragione ultima - come Moro ci ha testimoniato – per cui uno non solo vive ma vuole bene al proprio Paese alla fine si serve solo il potere. Per noi tenere viva l’esperienza del cristianesimo - come ci ha ricordato Papa Francesco - come annuncio presente nella vita oggi e non del passato, è una testimonianza che noi ripercorreremo appunto nei luoghi dove questa fede viene vissuta ed esercitata. La Torre di Londra è la tappa finale: qui ci colpisce molto il martirio, la possibilità - pur volendo bene al proprio re – di non rinunciare a quello in cui si crede. Paradossalmente, un grande politico come Tommaso Moro perde la propria vita per il silenzio, cioè rispetta il proprio Re ma non tradisce i propri ideali ed è questo che il potere poi non tollera.

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    Lampedusa: allestita da Caritas e "Save the Children" una ludoteca per i figli degli immigrati

    ◊   E’ stata allestita a Lampedusa una ludoteca per i bambini ospiti del centro di accoglienza. Realizzata grazie alla Caritas e a "Save the Children", la struttura accoglie i tantissimi bambini migranti, accompagnati dai loro genitori. Di questa iniziativa, volta a rendere, se possibile, meno triste, la permanenza dei piccoli migranti, Elvira Ragosta ne ha parlato con Valerio Landri, direttore della Caritas di Agrigento:

    R. - Vedere il sorriso dei bambini mentre giocavano sereni in uno spazio neutro, libero, diverso dal centro di accoglienza, ci ha confermato che il progetto segue la linea giusta. I bambini hanno disegnato, hanno giocato, hanno fatto attività sportive; sono stati semplicemente insieme serenamente come solo i bambini sanno fare. I loro disegni hanno parlato chiaro: abbiamo potuto vedere come le loro rappresentazioni parlassero di mare in tempesta, di temporale nel mare, di bombardamenti su una città … Questo ci fa capire quello che i bambini portano dentro, che è ancora inespresso e che ha bisogno di essere tirato fuori.

    D. - Che tipo di attività possono svolgere i bambini in questa struttura che è ancora in una fase rudimentale?

    R. - La struttura è stata inaugurata adesso, quindi chiaramente si andrà completando in fieri. I bambini fanno attività di disegno, cantano, fanno attività sportive, grazie alla collaborazione di un’associazione sportiva dell’isola che si è messa anche a disposizione per creare momenti di integrazione con i bambini isolani. L’attività si è svolta in due ore e mezza del pomeriggio di ieri. Si prevedono due turni, al mattino e al pomeriggio, per consentire al maggiore numero possibile di bambini di partecipare ai giochi.

    D. - Per quanto riguarda i bambini che hanno avuto la ventura di arrivare vivi a Lampedusa, ma la sventura di aver perso i loro genitori, c’è un tipo di lavoro differente?

    R. - Sì. Il lavoro, anche per problemi legati a responsabilità civile, si svolge prevalentemente all’interno del centro. É anche vero che i bambini sono coloro che prima di tutti vengono trasferiti nelle strutture di accoglienza in tutta Italia. Quindi la permanenza dei minori stranieri non accompagnati è certamente più limitata rispetto a quella degli altri. Il nostro lavoro è proprio fare in modo che questi bambini possano, il prima possibile, essere trasferiti. Effettivamente in questi giorni ci sono stati dei trasferimenti di minori stranieri non accompagnati presso strutture in tutta Italia. Questo, certamente, garantisce che loro possano già avviare un percorso di integrazione o comunque di inserimento nella società italiana.

    D. - Questa struttura-ludoteca è stata fortemente voluto. È - lo abbiamo detto - ancora nella fase rudimentale. Come sarà ampliata?

    R. - Stiamo prevedendo uno spazio verde da collocare tutto intorno alle tende in modo che i bambini possano giocare all’esterno con maggiore facilità. Qui a Lampedusa è ancora piena estate e quindi si possono tranquillamente utilizzare gli spazi aperti. Inoltre, la collaborazione con l’associazione sportiva, che si va strutturando di giorno in giorno, ci consentirà di ampliare ulteriormente gli spazi consentendo lo svolgimento di alcune attività nel campetto e negli spazi sportivi dell’associazione.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella 29.ma Domenica del Tempo ordinario, in cui si celebra anche la Giornata Missionaria Mondiale, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, affermando la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai, racconta la parabola in cui una vedova chiede giustizia a un giudice disonesto che cede alla povera donna solo per la sua insistenza. Gesù conclude:

    “E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?”.

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    La Giornata Missionaria fa presente a tutti ciò che siamo: Cristo ha voluto la Chiesa perché fosse, con Lui, la luce del mondo. Nel Vangelo, Gesù propone ai suoi discepoli di essere come Lui è da sempre: nell’intimità del Padre, in preghiera. Questa, prima di essere un insieme di parole, è un’attitudine, uno “stare” con il Signore, uno “stare dentro” la sua volontà. Quando questa attitudine è messa a rischio dal “nemico”, che – davanti alla difficoltà, al dolore, alla storia che non comprendi – ti dice con irrisione: “Il tuo Dio? Dov’è il tuo Dio”? (cf Sal 42), allora la preghiera si fa grido, il grido di questa vedova che cerca giustizia presso un giudice iniquo: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Il testo greco, da una parte, mostra che questo giudice è “un uomo incapace di provare vergogna”, ma, dall’altra, ci mostra una donna – non una rassegnata o una vittima – che sa quello che vuole. Tanto che il giudice accetta di farle giustizia, perché non lo aggredisca (così si potrebbe tradurre quel “non venga continuamente ad importunarmi”) (cf L.T. Johnson, Il Vangelo di Luca, 239). E il Signore ci dice con forza: “E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?”. E aggiunge: “Io vi dico – un “io divino” che non ammette ritardi o inadempienze – che farà loro giustizia prontamente”. Ma c’è un rischio, il nemico c’è e può rubarci la fede: non possiamo stancarci di gridare a Dio, e non pregare più; il Signore lo sa, e viene oggi a scuoterci con una domanda, che è rivolta a me e a te – ma che è pure un interrogativo su tutta la storia dell’uomo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    L’arcivescovo di Bangui: situazione drammatica in Centrafrica, il Paese è una polveriera

    ◊   “La situazione nella Repubblica Centrafricana peggiora di giorno in giorno”: questo l’allarme lanciato dall’arcivescovo di Bangui e presidente della Caritas locale, mons. Dieudonné Nzapalainga. Lunedì prossimo, 21 ottobre, il presule si recherà a Ginevra, nella sede delle Nazioni Unite, per un incontro con i diplomatici e le organizzazioni umanitarie in relazione alla crisi del Paese africano. Dal dicembre 2012, infatti, la Repubblica Centrafricana è teatro di un’insurrezione di gruppi ribelli che il 24 marzo hanno preso il potere con un colpo di Stato, destituendo l’ex presidente François Bozizé. Da allora l’ex capo della coalizione Seleka, Michel Djotodia, presidente autoproclamato, e il governo di transizione non riescono a ristabilire l’ordine sull’immenso territorio. Secondo gli ultimi dati dell’Onu, 1,6 milioni di centrafricani, pari a circa un terzo della popolazione, ha bisogno di un aiuto umanitario urgente, mentre più di 270.000 persone sono sfollati interni o rifugiati nei Paesi confinanti. In questo contesto, mons. Nzapalainga lancerà un appello per rafforzare il ruolo della missione di pace dell’Unione Africana, così da tentare di ristabilire la sicurezza nel Paese. “Le violenze perpetrate fino ad ora – sottolinea il presule – sono innumerevoli; sono state uccise delle persone, le case sono state bruciate e le donne sono state rapite dai ribelli, il cui numero è passato, da marzo ad oggi, da 3.500 a 25.000”. L’arcivescovo di Bangui punta poi il dito contro l’arruolamento dei minori tra le fila dei ribelli, mentre la popolazione si sta organizzando con armi di fortuna per difendersi dagli attacchi. “È una polveriera”, spiega mons. Nzapalainga esortando, poi, a nome della Caritas, tutti i leader religiosi sia cristiani che musulmani ad unire le forze per promuovere la pace nel Paese. Un ulteriore appello viene lanciato alla comunità internazionale affinché “supporti le operazioni umanitarie; istituisca una Commissione elettorale indipendente che organizzi elezioni credibili; indaghi sulle violenze perpetrate e assicuri la tutela della popolazione civile”. (A cura di Isabella Piro)

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    Somalia: attacco kamikaze contro locale frequentato da militari, 12 vittime

    ◊   E' di 12 morti il bilancio di un attacco kamikaze sferrato davanti a un ristorante nella città di Baladweyne, nel centro della Somalia. Nell'attentato, che per il momento non è stato rivendicato da nessuno, sono anche rimaste ferite dieci persone. Il locale colpito, secondo quanto riferito dalle autorità locali, sarebbe frequentato da militari tanto somali quanto etiopici che combattono dal 2009 per debellare dal territorio somalo gli al-Shebaab al-Mujaheddin, le milizie di al-Qaeda nel Corno d'Africa.

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    Aiuti umanitari dai cattolici canadesi alla Siria per oltre 5 milioni di dollari

    ◊   L’organizzazione cattolica canadese per lo sviluppo e la pace (OCCDP), con il sostegno del ministero degli Affari Esteri, del Commercio e dello Sviluppo, offrirà aiuti umanitari per oltre 5 milioni di dollari a favore delle vittime della crisi in Siria. Lo si legge in un comunicato stampa che annuncia anche progetti per la Turchia, il Libano e la Giordania grazie ad una colletta d’urgenza organizzata in collaborazione con la Conferenza dei vescovi cattolici del Canada (CECC). Fino ad ora sono stati raccolti oltre un milione di dollari, ma le donazioni delle diocesi canadesi non state ancora tutte conteggiate e sarà la Conferenza episcopale a pubblicare i dati nei prossimi giorni. Gli aiuti per la Siria serviranno per fornire servizi di sanità, beni per l’igiene primaria, ripari per i rifugiati che non vivono più nei campi e per gli sfollati. Sviluppo e pace lavora al fianco della Caritas e di altre organizzazioni siriane e l’idea di sostenere le popolazioni colpite dalla crisi è scaturita dall’aggravarsi dell’emergenza umanitaria che ad oggi registra 2 milioni di persone rifugiate nei paesi vicini e più di 5 milioni di sfollati nella stessa Siria. “In risposta all’appello di Papa Francesco e dei vescovi del Canada, i cattolici del nostro Paese si sono mostrati generosi nell’offrire il loro aiuto alle migliaia di persone in difficoltà per la guerra in Siria” afferma mons. Paul-André Durocher, presidente della CECC e arcivescovo di Gatineau. Michael Casey, direttore generale di Sviluppo e Pace ha aggiunto che grazie alla solidarietà dei canadesi sarà possibile offrire alle vittime del dramma siariano servizi essenziali. (A cura di Tiziana Campisi)

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    Bulgaria: la Caritas lancia l’allarme su disoccupati e profughi siriani

    ◊   Senza dimora raddoppiati negli ultimi due anni con la disoccupazione in costante aumento soprattutto fra i più giovani. È la drammatica fotografia dell’emergenza sociale in Bulgaria, scattata dal rapporto “Analisi delle povertà e dell’esclusione sociale”, presentato da Caritas Sofia in occasione del 20.mo anniversario della fondazione dell’organizzazione nel Paese balcanico. I dati sono stati raccolti nei centri di ascolto della Caritas nel territorio dell’Esarcato per i cattolici di rito orientale in Bulgaria. “Con il perdurare della crisi, la povertà in Bulgaria aumenta sempre di più”, ha detto a Sir Europa il direttore di Caritas Sofia, Zvetomir Dumanov, sottolineando che “questo incide molto sulle persone che già si trovavano in situazioni di disagio, come gli anziani che percepiscono una pensione tra gli 80 e i 100 euro al mese”. Dall’inizio di questa estate la Caritas in Bulgaria è particolarmente impegnata anche nell’assistenza ai profughi siriani. Con l’aggravarsi del conflitto, il loro numero è aumentato venti volte dal 2012. “Questo flusso di persone che arriva in Bulgaria, rappresenta una vera sfida per le autorità bulgare e la società intera”, ha affermato il vicepresidente dell’Agenzia statale per i profughi, Stojan Petrov. Secondo mons. Hristo Proykov, presidente dei vescovi bulgari, “il problema si pone perché la Bulgaria dispone di risorse molto limitate”. (M.G.)

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    Elezioni nella Repubblica Ceca, messaggio dell'arcivescovo di Olomouc

    ◊   La questione del concordato sulle proprietà tra Chiese e Stato nella Repubblica Ceca come argomento pre-elettorale: è il tema principale della lettera pastorale dell'arcivescovo di Olomouc, mons. Jan Graubner. "Prendiamo l'atteggiamento dei politici nei confronti delle questioni morali fondamentali e della tutela dei diritti umani e dei valori fondamentali", scrive il presule, mettendo in guardia dal sostegno ai partiti politici che promuovono l'odio di classe, di razza o religioso. "Alcuni politici usano la lotta contro la Chiesa col pretesto delle restituzioni come loro programma. Per vent'anni non c'è stata alcuna volontà politica di raggiungere un accordo. Alla fine, abbiamo accettato la proposta del governo e di chi non ha mai voluto un accordo", afferma la lettera pastorale ripresa dall’agenzia Sir. L'arcivescovo di Olomouc spiega che la Chiesa non diventerà più ricca attraverso un concordato sulle proprietà. "Lo Stato gradualmente smetterà di pagare il clero e, in questo modo, diminuiranno le possibilità di intervenire nella vita interna della Chiesa, e questo crea problema ad alcuni politici", aggiunge mons. Graubner, incoraggiando i cittadini a dare il proprio voto, nelle elezioni parlamentari anticipate che si terranno il 25-26 ottobre, ai politici che sostengono i valori cristiani: "Conto sulla vostra matura responsabilità e sul vostro amore per Dio, per la Chiesa e per la nazione".

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    Maldive: nuovo rinvio delle elezioni presidenziali

    ◊   Si è concluso con un amaro nulla di fatto il ritorno alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali previsto per oggi nell’arcipelago delle isole Maldive. Secondo quanto riferito ai media locali da Fuad Thaufeek, presidente della Commissione elettorale, le forze dell’ordine hanno imposto, ad appena un’ora dall’apertura dei seggi, il rinvio della nuova tornata elettorale a data da destinarsi, impedendo addirittura la distribuzione del materiale, schede comprese, che non è neppure stato fatto uscire dagli uffici. Il nuovo stop è stato richiesto nella notte da due candidati, Gasim Ibrahim e Abdulla Yameen, che hanno affermato di non aver firmato le liste elettorali come stabilito in un nuovo regolamento imposto dai giudici della Corte Suprema. Proprio da quest’ultima era stata emessa una sentenza di annullamento, per presunte irregolarità, dei risultati delle elezioni indette lo scorso 7 settembre, malgrado gli osservatori internazionali avessero certificato il loro corretto svolgimento. L'ex presidente Mohammed Nasheed, che il 7 settembre aveva ottenuto il 45% dei voti, è ancora favorito, ma non è chiaro se riuscirà a ottenere la maggioranza del 50%, necessaria per evitare il ballottaggio. Il presidente uscente, Mohamed Waheed, che aveva ottenuto solo il 5% al primo turno, si è invece ritirato esprimendo dubbi sulla correttezza del nuovo voto. Rimangono ancora in corsa: Abdulla Yamen, il fratellastro dell’ex presidente Abdul Gayoom, che aveva ottenuto il 25,3%, e Gasim Ibrahim, arrivato terzo con il 24% delle preferenze. La ripetizione del voto ha creato innumerevoli inconvenienti, soprattutto per quanto concerneva la registrazione di chi vota lontano dalla propria residenza. Sono circa 60mila gli elettori in questa condizione, un numero da non sottovalutare rispetto ai 240mila aventi diritto. (C.S.)

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    Lussemburgo: elezioni anticipate, favorito Juncker

    ◊   Il Lussemburgo si prepara ad andare alle urne per le elezioni politiche anticipate. I cittadini del Granducato lussemburghese sceglieranno questa domenica, con sette mesi di anticipo rispetto al previsto, i 60 deputati che siederanno nel loro Parlamento. Le elezioni erano state convocate lo scorso luglio dall’allora premier, Jean-Claude Juncker, ex presidente dell’Eurogruppo e capo del Partito popolare cristiano sociale (CSV), che aveva deciso di rinunciare al proprio mandato dopo essere stato accusato da una commissione parlamentare di essere il responsabile degli errori e i malfunzionamenti dei servizi d’intelligence del suo Paese. Lo scandalo abbattutosi su Juncker, che ha sempre negato qualsiasi responsabilità nella vicenda, non sembra però aver intaccato la sua immagine di politico a cui i lussemburghesi hanno affidato, dal 1995 fino allo scorso luglio, il governo del Paese. Secondo i sondaggi, infatti, il primo ministro uscente risulta il principale favorito tra i candidati alla nuova presidenza. (C.S.)

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    Filippine: sospese le ricerche dei superstiti del terremoto. Almeno 180 i morti

    ◊   Sono state dichiarate sospese le ricerche degli eventuali sopravvissuti al violento terremoto che lo scorso martedì ha colpito le isole di Bohol, Cebu e Siquijor, nelle Filippine, dove il bilancio delle vittime causate dal sisma è di almeno 180 morti. Secondo i dati forniti dalla Protezione civile di Manila, il numero dei feriti è salito a quasi 500 persone e rimangono almeno 13 i dispersi. Le forti scosse hanno provocato, inoltre, ingenti danni ad abitazioni, strade e ponti: si stima, infatti, che siano circa 400mila gli abitanti dell’arcipelago rimasti senza casa. Diverse chiese di pietra, vecchie di secoli, sono crollate e vaste zone sono al momento senza corrente elettrica. Ieri l’agenzia Fides ha sentito, in merito, Dan Cancino, della commissione Sanitaria della Conferenza episcopale delle Filippine: “Nelle quattro città di Carmen, Maribojoc, Cortes e Loon manca ancora l’elettricità", è stata la sua testimonianza. "Le ultime tre sono isolate e raggiungibili solo con le barche via mare. I primi soccorsi, medicine, cibo e acqua, vengono trasportati da Cebu o da Manila a Tagbilaran". La Camillian Task Force (Ctf) nelle Filippine è impegnata in queste ore nella valutazione delle urgenze attraverso l’aiuto degli ex-seminaristi Camilliani di Bohol, che si stanno spostando qua e là per le città colpite, per raccogliere dati e informazioni. La Ctf Central ha lanciato a tutte le famiglie e comunità un appello di preghiera per i sopravvissuti. (C.S.)

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    Zimbabwe: al via le trasmissioni della prima Radio Cattolica

    ◊   Tutto pronto nello Zimbabwe per le trasmissioni di Radio Chiedza, la prima emittente della Chiesa cattolica nel Paese africano. Secondo quanto dichiarato alla Misna da Gift Mambipiri, esperto di comunicazioni sociali che sta curando il progetto con i Gesuiti di Harare, la programmazione inizierà tra qualche settimana e affronterà temi religiosi, economici, sociali e culturali. Di programmi, aspetti tecnici, collaboratori e corrispondenti discuteranno nel corso di un’assemblea convocata a fine mese nella capitale esperti di comunicazione, missionari e religiosi diocesani. “Non appena avremo il via libera del governo – sottolinea Mambipiri – cominceremo a trasmettere nell’area di Harare e poi in tutto lo Zimbabwe”. Attraverso la radio si vuole favorire il dibattito non solo tra i cattolici ma anche tra fedeli di altre Chiese cristiane e religioni. Tra i sostenitori di Radio Chiedza c’è l’arcivescovo di Harare, mons. Christopher Ndlovu, secondo il quale “la Chiesa dello Zimbabwe deve essere pronta ad avere finalmente una sua stazione”. (M.G.)

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    Terra Santa. Mostra fotografica sulle famiglie palestinesi divise

    ◊   La Società di Sant'Yves, organismo impegnato nella difesa dei diritti umani e collegato con il Patriarcato latino di Gerusalemme, sponsorizza una mostra fotografica sulle famiglie colpite dalle disposizioni legislative che in Israele ostacolano il ricongiungimento dei nuclei familiari palestinesi. La mostra, intitolata “Families Interrupted” (famiglie divise) verrà inaugurata mercoledì 23 ottobre a Gerusalemme, al Centro Issaf Nashashibi. Le immagini, opera di Jenny Nyman - attivista per i diritti umani e moglie dell'attore arabo israeliano Juliano Mer-Khamis, assassinato nel 2011 - descrivono, soprattutto attraverso ritratti anonimi, la realtà di migliaia di nuclei familiari palestinesi condizionati dalle leggi israeliane sulla cittadinanza, che - come si legge nel sito del Patriarcato Latino di Gerusalemme – creano di fatto “famiglie divise”, ponendo ostacoli alla loro normale convivenza quotidiana.

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    Apre i battenti Papaj23, percorso multimediale per conoscere la vita di Giovanni XXIII

    ◊   Un percorso multimediale di mezz’ora, con tanto di ologramma di Papa Roncalli, attraverso alcune stanze tematiche dedicate alle origini e al pontificato di Giovanni XIII. È quanto prevede "PapaJ23", l’iniziativa del Pime - di cui riferisce il Sir - che punta a rilanciare, a cinquant’anni dalla morte, il messaggio del Papa Buono, in particolare ai giovani. La struttura è stata inaugurata presso la Casa natale di Giovanni XXIII a Sotto il Monte (Bg); sono intervenuti, tra gli altri, mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, e padre Carlo Tinello, superiore regionale del Pime in Italia. "PapaJ23" apre i battenti proprio nell’edificio dove nacque il Pontefice, che nel 1958 lo donò al Pime con l’intenzione di farne un luogo per la formazione missionaria dei giovani. Il visitatore seguirà il nuovo video-percorso, opera del regista Marco Ongania, con la guida virtuale del piccolo Angelino, che lo immergerà nella vita di Roncalli e nella grande Storia di cui il Papa fu un protagonista. Un racconto realizzato utilizzando interamente parole tratte dai testi di Roncalli. “'PapaJ23' vuole essere un’esperienza che rilanci l’eredità del Papa Buono, trasmettendo ai giovani, e non solo, i valori della pace, dell'interculturalità e della legalità”, spiegano i promotori dell’iniziativa. (M.G.)

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    La Lev pubblica il volume artistico “Cristo. I ritratti - Duemila anni di Gesù nell'arte”

    ◊   Com’era l’aspetto di Gesù, il rabbi di Nazaret in Galilea, che i suoi seguaci hanno chiamato il Cristo?”. Ha inizio con questa domanda il volume artistico “Cristo. I ritratti”, firmato dallo scrittore e critico d’arte, cinema e musica Mario Dal Bello per la Libreria Editrice Vaticana, nuova pubblicazione che si aggiunge alle precedenti monografie dell’autore, dedicate a Lorenzo Lotto, Raffaello e Tintoretto. La copertina ritrae un particolare del Giudizio Universale di Michelangelo, proprio il volto di Cristo. “Non esiste un ritratto autentico di Gesù” nota Dal Bello. “Eppure, di ‘ritratti’ di lui ne esistono molti, a partire dai primi secoli dell’era che da lui stesso prende nome, fino ai nostri giorni”. Ha così inizio un percorso attraverso l’arte europea, lungo duemila anni di storia e di immagini del Cristo. Con una certezza: “Rappresentare il Cristo, che ha dimostrato di conoscere e di amare così tanto l’uomo, significa raffigurare, attraverso la sua storia, quella dell’umanità, del suo viaggio lungo i secoli fra drammi e attese di luce”. Si comincia con l’epoca paleocristiana e il Cristo dei primi secoli, poi l’alto Medioevo e il periodo Gotico, proseguendo con il Rinascimento, il Barocco, per concludere con il Cristo della modernità. A questa prima sezione, che fornisce una ricostruzione storico-artistica, fa seguito un’ampia rassegna di opere: mosaici, pitture, sculture, vetrate, e perfino un fotogramma del Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Da un anonimo marmo del IV secolo, che rappresenta il Cristo docente, al Cristo di san Giovanni della Croce di Salvador Dalì, passando per Cimabue, Duccio di Buoninsegna, Giotto, Masaccio, Beato Angelico, Perugino, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Tiziano, Caravaggio, El Greco, Rubens, Rembrandt, Gaugin, Guttuso, Francis Bacon e la Resurrezione di Pericle Fazzini, nell’Aula Paolo VI. Alla fine del viaggio, emerge come delle vicende del Messia l’arte occidentale abbia privilegiato il tema della Passione e quello della Risurrezione. “Il motivo risiede forse nel fatto che Cristo si è così identificato con l’avventura umana da rappresentare di essa ciò che la caratterizza. Da una parte l’aspirazione all’immortalità, dall’altra l’incontro con il dolore”.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 292

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.