Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 17/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: “cristiani ideologici” sono malattia grave, chiudono la porta che conduce a Gesù
  • Il Papa incontra Abu Mazen: urgente ripresa negoziati israelo-palestinesi, grave preoccupazione per la Siria
  • Il Papa riceve in udienza il presidente dei vescovi tedeschi, mons. Robert Zollitsch
  • Nomina episcopale in India
  • Il Papa ad Albano Laziale dal 9 al 14 marzo per gli esercizi spirituali della Quaresima
  • Tweet del Papa: non si può avere un rapporto con Dio un'ora la domenica ma tutti i giorni
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Usa, accordo per evitare il "default". L'economista Guerrieri: intesa fragile
  • A Ginevra progressi sul programma nucleare iraniano. Usa: "colloqui seri"
  • Mondiali, Bosnia-Erzegovina. Mons. Sudar: bene, ma attenzione a facili entusiasmi
  • Le famiglie dell’AiBi pronte ad accogliere i piccoli migranti di Lampedusa
  • Giornata contro la povertà: un miliardo e mezzo di persone è in miseria estrema
  • I Giuristi per la Vita chiedono un avvocato per gli embrioni minacciati di morte
  • Rapporto Svimez: il sud Italia a rischio deserto produttivo
  • Marcia di S.Egidio nel 70.mo del rastrellamento del ghetto. Interviste con Riccardi e Di Segni
  • Milano. Convegno teologico su religioni, libertà e pace
  • Presentato il film “Curato don Wojtyla a Niegowić”
  • "Nelle vene d'America": l'ultimo libro di p. Spadaro. L'autore: non un manuale, ma un percorso personale
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Conferenza di pace sulla Siria il 23 e 24 novembre a Ginevra
  • Siria: il patriarca Gregorios III denuncia le violenze contro la minoranza cristiana
  • 30 milioni nel mondo vivono in stato di schiavitù
  • Terremoto nelle Filippine: oltre 150 morti, Caritas in prima fila nei soccorsi
  • Vietnam. Lettera pastorale dei vescovi: evangelizzare le famiglie
  • Madrid: le conclusioni del Comitato internazionale di collegamento ebraico-cattolico
  • Myanmar: esplosioni non rivendicate. Sale la tensione
  • Pakistan: un Pastore protestante e due fedeli accusati di blasfemia, altri leader minacciati
  • India. Testimonianza ed evangelizzazione: i religiosi in chiusura dell’Anno della Fede
  • Colombia: sei sacerdoti minacciati dalla guerriglia trasferiti per motivi di sicurezza
  • Malta: dichiarazione dei vescovi sul progetto di legge per le unioni civili
  • Africa: assegnato premio per la libertà d’informazione a giornalista etiope in carcere
  • Africa: in un libro l’impegno della Chiesa nella lotta contro l’Aids
  • Terra Santa: liturgie itineranti a Naim, Tabgha e Cafarnao per fare memoria dei passi evangelici
  • Università Europea di Roma: incontro del Laboratorio di Comunicazione “Non sei un nemico!”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: “cristiani ideologici” sono malattia grave, chiudono la porta che conduce a Gesù

    ◊   Se un cristiano “diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede”. E’ quanto sottolineato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia i cristiani da un atteggiamento da “chiave in tasca e porta chiusa” ed ha ribadito che quando non si prega si abbandona la fede e si cade nell’ideologia e nel moralismo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Guai a voi, dottori della legge, che avete portato via la chiave della conoscenza!”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, muovendo dall’avvertimento di Gesù, di cui parla il Vangelo odierno. Il Papa ha attualizzato questo monito. “Quando andiamo per strada e ci troviamo davanti una chiesa chiusa – ha affermato – sentiamo qualcosa di strano”, perché “una chiesa chiusa non si capisce”. A volte, ha sottolineato, “ci dicono spiegazioni” che non sono tali: “sono pretesti, sono giustificazioni, ma la realtà è che la chiesa è chiusa e la gente che passa davanti non può entrare”. E, ancora peggio, “il Signore che è dentro non può uscire”. Oggi, ha detto il Papa, Gesù ci parla di questa “immagine della chiusura”, è “l’immagine di quei cristiani che hanno in mano la chiave, ma la portano via, non aprono la porta”. Anzi peggio, “si fermano sulla porta” e “non lasciano entrare”, e così facendo “neppure loro entrano”. La “mancanza di testimonianza cristiana – ha osservato – fa questo” e “quando quel cristiano è un prete, un vescovo o un Papa è peggio”. Ma, si chiede Papa Francesco, come succede che un “cristiano cade in questo atteggiamento di chiave in tasca e porta chiusa?”:

    “La fede passa, per così dire, per un alambicco e diventa ideologia. E l’ideologia non convoca. Nelle ideologie non c’è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre. Di ogni segno: rigide. E quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero, di questo... E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza’. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica, perché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”.

    Gesù, ha proseguito il Papa, ce l’ha detto: “Voi caricate sulle spalle della gente tante cose; solo una è necessaria”. Questo è, dunque, il processo “spirituale, mentale” di chi vuole la chiave in tasca e la porta chiusa:

    “La fede diventa ideologia e l’ideologia spaventa, l’ideologia caccia via la gente, allontana, allontana la gente e allontana la Chiesa dalla gente. Ma è una malattia grave, questa dei cristiani ideologici. E’ una malattia, ma non è nuova, eh? Già l’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, parlava di questo. I cristiani che perdono la fede e preferiscono le ideologie. Il suo atteggiamento è: diventare rigidi, moralisti, eticisti, ma senza bontà. La domanda può essere questa, no? Ma perché un cristiano può diventare così? Cosa succede nel cuore di quel cristiano, di quel prete, di quel vescovo, di quel Papa, che diventa così? Semplicemente una cosa: quel cristiano non prega. E se non c’è la preghiera, tu sempre chiudi la porta”.

    “La chiave che apre la porta alla fede – ha aggiunto il Papa – è la preghiera”. E ha avvertito: “Quando un cristiano non prega, succede questo. E la sua testimonianza è una testimonianza superba”. Chi non prega è “un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione”. Invece, ha affermato, “quando un cristiano prega, non si allontana dalla fede, parla con Gesù”. E, ha precisato, “dico pregare, non dico dire preghiere, perché questi dottori della legge dicevano tante preghiere” per farsi vedere. Gesù, invece, dice: “Quando tu preghi, va nella tua stanza e prega il Padre di nascosto, da cuore a cuore”. “Una cosa – ha detto ancora il Papa – è pregare e un’altra cosa è dire preghiere”:

    “Questi non pregano, abbandonano la fede e la trasformano in ideologia moralistica, casuistica, senza Gesù. E quando un profeta o un buon cristiano li rimprovera, fanno lo stesso che hanno fatto con Gesù: ‘Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile – questi ideologici sono ostili – e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie – sono insidiosi – per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca’. Non sono trasparenti. Eh, poverini, sono gente sporcata dalla superbia. Chiediamo al Signore la grazia, primo: non smettere di pregare, per non perdere la fede, rimanere umili. E così non diventeremo chiusi, che chiudono la strada al Signore”.

    inizio pagina

    Il Papa incontra Abu Mazen: urgente ripresa negoziati israelo-palestinesi, grave preoccupazione per la Siria

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza il presidente dello Stato di Palestina, Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen. Nel corso del colloquio, informa un comunicato della Sala Stampa vaticana, “si è parlato sulla situazione in Medio Oriente, e in particolare sulla ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi". Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Papa Francesco ed Abu Mazen hanno espresso "l’auspicio" che il processo di pace tra israeliani e palestinesi "produca i frutti desiderati per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente”. A tale scopo, si legge nella nota della Sala Stampa vaticana, ci si è augurati che “le Parti prendano con determinazione decisioni coraggiose a favore della pace con il sostegno della Comunità internazionale”. “Grave preoccupazione”, prosegue il comunicato, desta invece "ancora la situazione in Siria, per la quale si auspica che alla logica della violenza subentri quanto prima quella del dialogo e della riconciliazione”. Per quanto riguarda le relazioni bilaterali, si sottolinea ancora, “è stata manifestata soddisfazione per i progressi fatti nell’elaborazione di un Accordo Globale su alcuni aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina”. Infine, si è parlato “della situazione delle comunità cristiane nei Territori Palestinesi e, più in generale, in Medio Oriente, rilevando il contributo significativo che esse offrono al bene comune della società”. A margine dell'incontro, parlando con i giornalisti, il presidente Abu Mazen ha riferito di aver invitato il Papa in Terra Santa.

    inizio pagina

    Il Papa riceve in udienza il presidente dei vescovi tedeschi, mons. Robert Zollitsch

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza mons. Robert Zollitsch, arcivescovo emerito di Freiburg im Breisgau, e presidente della Conferenza episcopale tedesca. Al termine, il presule ha rilasciato la seguente dichiarazione:

    Oggi ho avuto la possibilità, che mi era stata accordata già alcune settimane fa, di incontrare Papa Francesco per un colloquio più lungo. Dopo esserci conosciuti personalmente nel luglio scorso, ho potuto informare dettagliatamente il Santo Padre sulla Chiesa in Germania.

    Nel nostro colloquio abbiamo parlato soprattutto degli esiti delle consultazioni nell’Assemblea plenaria di autunno della Conferenza episcopale tedesca, che si è svolta poche settimane fa a Fulda. Ho parlato con Papa Francesco anche della situazione nella diocesi di Limburg.

    Per quanto riguarda gli altri contenuti del mio colloquio fraterno con Papa Francesco, che mi ha rafforzato e incoraggiato, preferisco non rilasciare alcuna dichiarazione, perché questo colloquio ha avuto un carattere confidenziale.

    Per quanto riguarda la diocesi di Limburg, sono contento che la commissione d’esame da me istituita inizi il suo lavoro domani. Per quanto riguarda i tempi di lavoro della commissione, attualmente non sono in grado di fare previsioni fondate.

    Confido – anche dopo il mio incontro odierno con Papa Francesco – che tutte le parti siano interessate ad una soluzione rapida e valida, per riportare la diocesi di Limburg alla tranquillità e trovare una via d’uscita da questa situazione difficile”.

    inizio pagina

    Nomina episcopale in India

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e il cardinale Francisco Robles Ortega, Arcivescovo di Guadalajara, in Messico.

    In India, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Allahabad, mons. Raphy Manjaly, finora vescovo di Varanasi.

    inizio pagina

    Il Papa ad Albano Laziale dal 9 al 14 marzo per gli esercizi spirituali della Quaresima

    ◊   Papa Francesco si trasferirà con la Curia Romana dalla sera di domenica del 9 marzo prossimo fino al venerdì successivo, 14 marzo, nella cittadina romana di Albano Laziale, per gli esercizi spirituali della Quaresima. Il luogo scelto per il soggiorno è la “Casa Divin Maestro” dei Paolini. Le meditazioni saranno tenute da don Angelo De Donatis, del clero di Roma. Lo scopo – comunica la Segreteria di Stato – è di poter risiedere in modo riservato e silenzioso, lontano dagli uffici del lavoro abituale, per potersi dedicare con maggiore raccoglimento agli Esercizi Spirituali.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: non si può avere un rapporto con Dio un'ora la domenica ma tutti i giorni

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “La nostra preghiera non può ridursi ad un'ora, la domenica; è importante avere un rapporto quotidiano con il Signore”.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, "Schiavi moderni" sul traffico di esseri umani che coinvolge 30 milioni di persone, in un mondo in cui tuttora muoiono ventimila bambini ogni giorno.

    Il primo Obiettivo del Millennio per lo sradicamento della povertà estrema è ben lontano dall'essere raggiunto, si legge nell'articolo di apertura.

    Di spalla, "Decisioni coraggiose per la pace in Medio Oriente" sull'udienza del Papa al presidente dello Stato di Palestina.

    A pagina 4, "Oltre la superficie. Come cinque registi hanno indagato il mistero", l’intervento del cardinale Gianfranco Ravasi che ha inaugurato il convegno «La mirada de la fe en el cine» presso l’università San Dámaso a Madrid.

    "Servizio e non carriera. La diplomazia della Santa Sede" del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e "Rabbini in Vaticano" l’incontro con Papa Francesco raccontato da Moked.it, il portale dell'ebraismo italiano.

    Sempre nello spazio dedicato alla cultura, a pagina 5, "L’amicizia è come un lungo viaggio", un'intervista di Silvina Pérez al rabbino capo di Buenos Aires Abraham Skorka.

    "Di fronte agli abissi che dividono poveri e ricchi" di Juan Carlos Scannone.

    E, a fondo pagina, "Due italiani atipici"; in un libro di Paolo Poponessi la storia poco nota di Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia fondatori e primi direttori dell’Osservatore Romano.

    A pagina 8, la sintesi dell'omelia della Messa celebrata giovedì 17 ottobre a Santa Marta. «Quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede e non è più discepolo di Gesù». E l’unico antidoto contro tale pericolo è la preghiera, ha detto il Papa commentando il brano evangelico di Luca (11, 47-54) che riporta il monito di Gesù ai dottori della legge: «Guai a voi che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito»

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Usa, accordo per evitare il "default". L'economista Guerrieri: intesa fragile

    ◊   Negli Stati Uniti, Senato e Camera hanno approvato ieri a larga maggioranza l'intesa che evitare il default finanziario. Lo shutdown, durato 16 giorni, è costato al Paese almeno 24 miliardi di dollari, come conferma l’economista, Paolo Guerrieri al microfono di Fausta Speranza :

    R. - Ha avuto un costo altissimo e sono stime, per ora, che riguardano quelli che possono essere i costi visibili. Ma, in realtà, quelli che sono i costi più pesanti riguardano il clima di fiducia - per le imprese, i consumatori, le famiglie - che in qualche modo hanno risentito pesantemente di questa incertezza. Per ora, sappiamo che il tasso di crescita dell’economia americana si è abbassato di un punto, ma si teme che possa essere anche di più.

    D. - C’è poi da dire che la questione debito non è di certo risolta…

    R. - Non è risolta, perché in realtà quello che è avvenuto è una sorta di armistizio. A gennaio e a febbraio, ci ritroveremo nella stessa situazione. È vero che è stato deciso di riaprire un negoziato sul debito, ma in realtà se il clima è quello che abbiamo visto questi giorni, credo ci sia seriamente da temere che questo negoziato che si andrà a sviluppare da qui alla fine dell’anno, non porterà da nessuna parte. Ormai, la situazione dell’economia americana sembra quasi endemica, così come appare quella del confronto politico americano.

    D. - Ci spiega meglio la situazione che attraversano gli Stati Uniti?

    R. - In realtà, da sempre, la questione debito è un pretesto. Da circa un secolo, l’economia americana funziona con questo debito al quale viene fissato un tetto. Ora, in epoche passate c’era un accordo bipartisan per cui questo tetto veniva di comune accordo rimosso e aggiornato nuovamente. Nel momento in cui si è avuto questo “imbarbarimento” - chiamiamolo così - del confronto politico su questo tema tra repubblicani e democratici, questo tetto, che viene fissato costituzionalmente, è diventato una specie di “arma” che i repubblicani usano per chiedere forti tagli e in particolare, lo sappiamo, sulla sanità. Quindi, il problema del debito in realtà è l’effetto non certo la causa di quello che sta succedendo. La causa è ormai un confronto politico che non ha più regole.

    D. - Che cosa dire dell’ammontare del debito americano nell’economia globale?

    R. - Il debito americano non è un problema che può preoccupare, perché se l’economia americana continua a crescere, così come sta facendo, le proiezioni naturalmente non di parte, ma quelle del fiscal council - quindi il budget office del parlamento - fanno vedere che c’è una necessità di correzione, in qualche modo, assolutamente alla portata della politica americana dello 0,2 % da qui al 2025 - 2030. Quindi, in realtà, il problema del debito sarebbe risolvibile se la politica economica americana potesse essere portata avanti così come avveniva in passato. In questa situazione, il problema del debito può diventare un problema di difficile soluzione proprio perché va incontro a situazioni estreme come quella che abbiamo visto.

    inizio pagina

    A Ginevra progressi sul programma nucleare iraniano. Usa: "colloqui seri"

    ◊   Significativo passo avanti ieri a Ginevra nel negoziato sul programma nucleare iraniano tra Teheran e i rappresentanti del gruppo cinque più uno, ovvero i Paesi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e la Germania. “Mai colloqui con gli iraniani sono stati tanto diretti, concreti e seri”. Così i commenti da parte americana, mentre Israele invita alla cautela e alla verifica concreta di quanto Teheran metterà realmente in pratica. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Riccardo Redaelli, geopolitologo dell’Università Cattolica di Milano:

    R. - Dopo anni di ambiguità, di marce indietro, di cose dette e non dette gli iraniani sembrano veramente voler raggiungere un accordo. Il presidente Rohani e il primo ministro Zarif, che conosce benissimo il file nucleare, sembra vogliano chiudere un accordo che rassicuri l’Occidente. Però è evidente che - come dire - si debbano offrire delle contropartite, riducendo le sanzioni, e soprattutto non si possa pretendere la chiusura totale del programma civile nucleare iraniano. Questo verrebbe visto come una grande umiliazione a Teheran e non sarebbe politicamente possibile per Rohani portare avanti questo discorso in patria.

    D. - Il programma nucleare iraniano era uno dei punti di maggiore tensione tra Teheran e la comunità internazionale: queste nuove aperture sono un cambiamento reale, secondo lei, o serve soprattutto a Rohani per allentare le sanzioni internazionali che, oggettivamente, stavano strozzando l’economia iraniana?

    R. - Le sanzioni iraniane colpiscono duro l’Iran, anche se colpiscono tutta la popolazione più che il regime, ma al di là delle sanzioni i vincitori delle elezioni - Rohani e questa nuova corrente di conservatori pragmatici, molto moderati - vogliono riaprirsi all’Occidente, anche perché l’Iran è una società profondamente più vicina all’Occidente rispetto a molte delle popolazioni dei vicini arabi. Quello che è importante capire è che sia in Iran, sia in Occidente vi sono gruppi che tenteranno - come hanno già fatto in passato, con successo - di sabotare ogni apertura e ogni compromesso. Quindi dobbiamo aspettarci, da ambo le parti, provocazioni, tensioni. Bisognerà aver i nervi saldi e non cedere alla retorica.

    D. - Su una cosa non ci sono dubbi: Rohani è il primo presidente cui viene data direttamente la responsabilità del programma nucleare, in genere di competenza invece dell’Ayatollah. Anche questa può essere considerata una novità importante?

    R. - Sì. Rohani, in realtà, proprio per conto del leader supremo Khamenei aveva gestito per molti anni - fino al 2005, fino all’avvento di Ahmadinejad - le trattative nucleari: conosce profondamente l’Occidente, conosce le trattative sul nucleare e conosce il file nucleare. E’ anche una persona non sempre in perfetta sintonia con Khamenei, che è molto più conservatore. Ma è un uomo di cui Khamenei si fida. Al momento è poi anche l’uomo migliore per gestire queste trattative. Preoccupano alcuni accenni e velate minacce, alcuni marcamenti da parte del Fronte dei Pasdaran e degli ultraconservatori in Iran.

    inizio pagina

    Mondiali, Bosnia-Erzegovina. Mons. Sudar: bene, ma attenzione a facili entusiasmi

    ◊   “Una notizia che difficilmente cambierà la complessa situazione del Paese”. Così mons. Pero Sudar, ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di Sarajevo, commentando l’ottimismo riportato da molte testate giornalistiche per la prima qualificazione della Bosnia-Erzegovina ai Mondiali di calcio che si svolgeranno del prossimo anno, in Brasile. Per mons. Sudar, nel Paese, dilaniato dalla guerra degli anni Novanta, e dove è in corso un articolato processo di integrazione tra serbi, bosniaci e croati, è necessaria l’attenzione della comunità internazionale e rinegoziare gli Accordi di Dayton, che misero fine alla guerra civile Jugoslava. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso mons. Pero Sudar:

    R. – E’ una cosa che sicuramente alla gente dà sollievo, però - nello stesso momento - molti sono coscienti che questa classificazione ai mondiali è un fatto che non inciderà troppo, purtroppo, su quella che è la nostra situazione sia economica, sia politica. E poi anche il calcio a volte ci divide, perché purtroppo la nostra nazionale non del tutto è una rappresentanza delle componenti della Bosnia-Erzegovina.

    D. – Chi non è rappresentato?

    R. – Mi riferisco a due popoli costituitivi, cioè a quello croato e quello serbo. Purtroppo é cosi! Sicuramente lo sport, i mondiali sono un’occasione per festeggiare e vedere qualcosa di positivo, però, questa qualificazione non è stata festeggiata in tutte le parti della Bosnia-Erzegovina: molti dicono: “Calma!, perché non cambierà la situazione di questo Paese”.

    D. – Un Paese dilaniato dai conflitti degli anni ’90. Qual è la situazione oggi?

    R. - Quasi di rassegnazione, perché purtroppo la situazione politica non cambia in meglio. L’Accordo di Dayton è difficilmente realizzabile in questo Paese. Non c’è lavoro, non c’è avvicinamento a questo processo di integrazione nella Comunità Europea e la gente dispera. La gente vede come unica speranza l’andare via. Questa è la contraddizione presente nell’euforia innescata dalla qualificazione della nostra nazionale.

    D. – Che cosa servirebbe?

    R. – La volontà di dire che Dayton è una realtà che impedisce la vera pace, la collaborazione tra i popoli. Bisogna rivedere quest’accordo e creare uno Stato che possa funzionare e dare speranza a tutti. Ogni volta, quando si parla di Dayton, c’è però qualcuno che dice: “Dayton non si tocca!”. Ma mentre si continua a non toccare Dayton, la Bosnia-Erzegovina non ha la possibilità di uscire da questo circolo vizioso.

    D. – I cattolici sono diminuiti del 50% rispetto alla guerra…

    R. – Purtroppo sì. E poi non è solo questo il fatto negativo. Quello che è ancor più negativo è che coloro che sono rimasti non hanno speranza. Sono rimasti maggiormente gli anziani, mentre i giovani cercano di andar via in tutti i modi.

    D. – Voi siete impegnati nel dialogo cristiano-musulmano. C’è chi dice, però, che cresce il fondamentalismo. E’ così?

    R. – Qui cresce l’estremismo dei poveri, prima di tutto, di quelli che sono privi della speranza di vita. E quella è la cornice in cui crescono poi tutte le tensioni e tutti i fondamentalismi. Non sono d’accordo che qui ci sia un unico problema, che è quello del fondamentalismo islamico: non è vero.

    inizio pagina

    Le famiglie dell’AiBi pronte ad accogliere i piccoli migranti di Lampedusa

    ◊   Sono già oltre un centinaio le famiglie pronte ad accogliere i minori sopravvissuti ai naufragi di Lampedusa. Ad annunciarlo è l’Associazione "AiBi-Amici dei bambini" che, grazie alla campagna “Bambini in alto mare”, viene in soccorso dei minori stranieri non accompagnati e delle mamme sole. In queste ore, si stanno censendo e verificando tutte le richieste di famiglie candidatesi all’ospitalità. “Perché – spiegano gli operatori di AiBi – è il calore di una famiglia che può permettere a un bambino di lenire le ferite e i traumi e tornare di nuovo alla vita”. Le parole di Marco Griffini, presidente della ong, al microfono di Giada Aquilino:

    R. – L’obiettivo è molto semplice: tentare di dare una risposta all’appello che anche il Papa ha rivolto recentemente a non rimanere a guardare le tragedie che stanno capitando in questi giorni, ma a dare una risposta.

    D. – Come si sta muovendo quindi l’associazione?

    R. – Come ong, come movimento di famiglie adottive e affidatarie, abbiamo sempre cercato di dare risposte a qualsiasi emergenza che si è verificata: da Haiti allo Sri Lanka, dalla Bosnia all’Albania. Ci sembrava, quindi, automatico dare una risposta anche ad una tragedia che sta capitando fra l’altro in Italia. Abbiamo preso quello che è il "dna" dei nostri movimenti, l’accoglienza familiare, e abbiamo deciso di fare un appello alle famiglie italiane per dare un’accoglienza dignitosa alle due categorie più deboli dell’emergenza profughi, cioè i bambini non accompagnati e le mamme con minori. Siamo partiti e ora siamo a Lampedusa. Stiamo raccogliendo disponibilità da tutta Italia. In pochissimi giorni, abbiamo superato di slancio le 120 famiglie – ma stanno continuamente aumentando – che si sono dichiarate disponibili ad accogliere questi minori e queste donne. C’è però un problema grave: rispetto alle altre emergenze, non c’è un tavolo di regia attorno al quale le varie istituzioni, le varie ong, i vari movimenti si possano sedere per risolvere i problemi di natura burocratica, di natura giuridica, per sveltire al massimo i procedimenti. Ci è per esempio dispiaciuto sapere che sei bambini che purtroppo hanno perso i genitori nella tragedia del 3 ottobre – bambini piccoli da 0 a tre anni – sono stati inseriti in una comunità educativa, quando già tante famiglie si sono dette pronte ad ospitarli.

    D. – Qual è la situazione a Lampedusa in queste ore?

    R. – Purtroppo, gli sbarchi continuano ad avvenire. Fra questi profughi, tantissimi sono i minori non accompagnati. E sta sorgendo un grave sospetto. Questo progetto che abbiamo lanciato, “Bambini in alto mare” è infatti a largo spettro e si rivolge alla prevenzione e opera nei Paesi di origine, quindi nei campi profughi della Somalia, dell’Eritrea e della Siria, dove stiamo tentando di entrare con i nostri volontari per capire le situazioni locali. Il sospetto che abbiamo è che molti di questi minori non accompagnati, che vengono sulle coste italiane, siano di fatto già stati abbandonati nei loro Paesi di origine e siano entrati in contatto con esponenti della criminalità organizzata, i quali pagano loro il viaggio clandestino e li portano in Europa per poi inserirli nelle reti organizzative della criminalità. Il minore abbandonato chiaramente è quello più esposto, è quello più debole. Ecco allora che, intervenendo localmente, si potrebbe fare un monitoraggio e, laddove si incontrassero minori abbandonati, questi potrebbero essere assolutamente affidati a famiglie italiane ed europee.

    inizio pagina

    Giornata contro la povertà: un miliardo e mezzo di persone è in miseria estrema

    ◊   Ricorre oggi la Giornata internazionale contro la povertà e la miseria. Il 21% della popolazione mondiale vive ancora con meno di 1,25 dollari al giorno. Il primo degli Obiettivi del millennio, ovvero dimezzare entro il 2015 la popolazione che vive in condizioni di povertà estrema, è lungi dall'essere raggiunto, anche se è possibile rilevare qualche miglioramento di tendenza. Elvira Ragosta ha chiesto un giudizio sull’impegno internazionale contro la povertà a Paolo Beccegato, responsabile area internazionale Caritas Italia:

    R. – Se, da un punto di vista statistico, la tendenza complessiva è positiva – pensiamo alla grande opera di uscita dalle fasce di povertà estreme, soprattutto nel subcontinente indiano, cinese, alla situazione dell’America Latina e anche ad alcune zone consistenti dell’Africa – non bisogna dimenticare che le persone che soffrono la fame nel mondo, a livello di numero assoluto, restano attorno agli 850 milioni, e che per l’accesso soprattutto all’acqua potabile, per i temi ambientali, per la correlazione con i disastri procurati dalle guerre, per tutta una serie di aspetti la situazione della povertà del mondo non è migliorata, e in alcune zone del pianeta è anche peggiorata, soprattutto nei contesti di guerra.

    D. – La soglia di povertà estrema è calcolata in base a quella dei Paesi più poveri del mondo: si parla di 1,25 dollari al giorno. C’è da fare, però, delle differenze da Paese a Paese, ma soprattutto all’interno degli stessi Paesi...

    R. – Sì, quella soglia è considerata come una soglia media e di riferimento. Poi, ci sono dei gap di valori a seconda dei Paesi e in relazione al costo della vita. Il dato complessivo è quello per cui, appunto, la povertà estrema nel mondo resta una condizione che affligge quasi un miliardo e mezzo di persone, che o non hanno il sufficiente per alimentarsi quotidianamente, godono di un’alimentazione molto parziale e molto limitata in quantità o qualità oppure non hanno accesso a tutta una serie di servizi in modo adeguato. Il secondo problema è altrettanto vero, e cioè nella media non si tiene conto delle norme cosiddette a varianza, cioè ci sono fasce della popolazione che vedono peggiorare la propria condizione e la distanza, per dirla con una battuta, tra ricchi e poveri, anche all’interno dei singoli Paesi, è in tendenziale aumento in tutto il mondo.

    D. – In occasione della Giornata internazionale per lo sradicamento della povertà, Caritas Italia ha diffuso un documento di analisi del fenomeno della povertà economica in Italia e di valutazione delle politiche nazionali di contrasto. Che cosa emerge da questo documento?

    R. – Abbiamo ora qui portato i dati relativi fino al primo semestre 2013, relativi proprio agli utenti dei nostri centri d’ascolto. Un campionamento mette in evidenza come sostanzialmente aumentino le persone, che si rivolgono ai nostri centri di ascolto delle Caritas parrocchiali diocesane, chiedendo sempre di più. Quindi, persone che prima non si erano mai viste, nuove persone con tutta la loro dignità in qualche modo lesa, ferita. Aumenta il numero degli italiani: più del 16,7% in più. Sicuramente, c’è una forte componente femminile: più del 53% sono donne. Aumentano certamente i disoccupati. Questi sono dei numeri che, però, sono i volti delle persone che abbiamo incontrato ai nostri centri di ascolto, chiedendo sempre di più – e questo è un altro dato preocuppante – beni e servizi materiali di prima necessità. C’è l’auspicio che adesso nel dibattito parlamentare, nella nuova Legge di stabilità, vi siano delle normative più incisive, perché appunto questo quadro, che continua ad aggravarsi, in qualche modo possa essere affrontato con strumenti nuovi, strumenti più efficaci. Non è che bisogna spendere tanto di più, quanto spendere meglio.

    inizio pagina

    I Giuristi per la Vita chiedono un avvocato per gli embrioni minacciati di morte

    ◊   Embrione: soggetto di diritto o grumo di cellule? La Corte costituzionale è chiamata in questi giorni a esprimersi sulla costituzionalità del diritto del concepito tutelato dalla Legge 40. A sollevare la questione è stato il caso di una coppia di Firenze, che ricorsa a fecondazione artificiale ha chiesto la revoca del consenso all’impianto di nove embrioni e l’utilizzo di questi per attività scientifica o di ricerca. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    Un banco di prova per l’applicazione della Legge 40. Questo rappresenta secondo l’associazione Giuristi per la Vita il parere che la Corte costituzionale, sollecitata dal Tribunale di Firenze, dovrà esprimere circa il caso di una coppia che ha chiesto la revoca del consenso all’impianto di nove embrioni soprannumerari malati o non biopsabili, creati nell’ambito di un procedimento di fecondazione assistita e l’utilizzo di questi per attività scientifica o di ricerca. Il presidente di Giuristi per la Vita, Gianfranco Amato:

    R. – Ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di assalto per via giudiziaria della Legge 40. In questo caso, si tratta dell’art. 13 – il quale prevede un divieto assoluto di qualunque tipo di ricerca clinica o sperimentale sull’embrione, che non risulti finalizzata alla tutela dello stesso embrione; e l’art. 6 – che vieta la revoca del consenso all’impianto, dopo la fecondazione dell’ovulo.

    D. – Cioè, una volta avviata la fecondazione non si può revocare il consenso all’impianto...

    R. – Certo, certo. Questi sono due capisaldi della Legge 40, che hanno fatto sì che ci fosse la mobilitazione della campagna referendaria.

    D. – Diceva che si tratta dell’ennesimo assalto, per via giudiziaria, ai divieti posti dalla Legge 40. In questo caso, però, non si sta parlando in termini ipotetici. Infatti, per la prima volta gli embrioni sono già tutti vivi e quindi per legge, non importa se malati o no, soggetti di diritto al pari dei genitori...

    R. – Esattamente questo è il punto fondamentale. E’ la prima volta che si è di fronte a una controversia legale su questa delicata materia, dopo la produzione degli embrioni e, come si è detto, quando sono già in vita. In tutte le cause, infatti, precedentemente affrontate, sia la domanda che la contestazione, sotto vari profili della legittimità costituzionale della Legge 40, erano state sempre proposte da coppie che non avevano ancora prodotto gli embrioni o che chiedevano di produrli in numero superiore a quello previsto, oppure che chiedevano di ricorrere alle tecniche di fecondazione eterologa, anche queste vietate dalla legge.

    D. – Proprio perché la Legge 40 tutela il concepito come un soggetto di diritto, quindi non un grumo di cellule, voi avete chiesto la nomina di un curatore speciale, che possa difendere i diritti di questi nove embrioni...

    R. – Certo, giacché siamo di fronte a un evidente conflitto d’interesse fra il genitore e il concepito, perché la sperimentazione implica la soppressione dell’embrione. E’ chiaro che ci troviamo di fronte a uno di quei casi di conflitto, che normalmente la legge regola attraverso la possibilità di nomina di un curatore speciale. Chiediamo che quindi qualcuno rappresenti l’embrione in questo procedimento, anche per garantire il principio dell’art. 111 della Costituzione, il quale impone che ogni processo si debba svolgere nel contraddittorio tra le parti. Come ricordavamo, la Legge 40 dispone che i diritti di tutti i soggetti debbano essere assicurati, a cominciare appunto dal concepito.

    D. – A prescindere dallo stato di salute dell’embrione, nel senso sia esso malato o sano...

    R. – Non c’è dubbio. La Legge 40 non fa distinzione. Davvero allora prevarrebbe la logica dello scarto e questa sarebbe un’aberrazione.

    D. – Qualora la vostra richiesta non venisse accolta?

    R. – Giacché noi non siamo una parte costituita in questo procedimento, il nostro è un appello, un suggerimento, un sollecito. Presenta quattro possibilità: la Corte può accogliere l’istanza, quindi nominare un curatore speciale – e noi lo abbiamo indicato nella persona del prof. Pino Noia – può respingere l’istanza, e in questo caso motiverebbe il perché, ma potrebbe anche teoricamente non rispondere o potrebbe anche utilizzare una soluzione un po’ “pilatesca”, attraverso una decisione di carattere formale, procedurale.

    inizio pagina

    Rapporto Svimez: il sud Italia a rischio deserto produttivo

    ◊   In Italia, la crisi si sente soprattutto al Sud. Nel 2013, il Pil a livello nazionale calerà dell’1,8%, ma nel Mezzogiorno la flessione sarà addirittura del 2,5%. Lo afferma l’ultimo Rapporto dell’istituto Svimez sull’economia del Sud reso noto oggi. A farne le spese i consumi, ma anche l’apparato produttivo che rischia di essere smantellato. Alessandro Guarasci:

    La fuga dei giovani dal Sud è inaccettabile, dunque serve un nuovo modello di sviluppo. Lo scrive il presidente, Giorgio Napolitano, in un messaggio alla Svimez. Nel 2012, il calo del Pil ha fatto sì che i senza lavoro siano nei fatti il 28% della popolazione. Sempre lo scorso anno, i consumi sono calati del 4,2%. E il Mezzogiorno è tornato ad essere terra di emigrazione: in 20 anni due milioni e 700 mila persone hanno lasciato quelle terre. Nel primo trimestre 2013, il sud ha perso 166 mila posti di lavoro rispetto all'anno precedente, scendendo sotto la soglia dei 6 milioni. Non accadeva dal 1977. Nel 2012, il tasso di occupazione in età 15-64 è stato del 43,8% nel Mezzogiorno, a fronte di un 63,8% nel Centro-Nord. Per il ministro della Coesione Territoriale, Carlo Trigilia, non ci può essere ripresa senza Sud:

    "Un uso più incisivo dei fondi europei e del Fondo per lo sviluppo e la coesione che è sto appena stanziato nella Legge di stabilità - altri 50 miliardi per i prossimi sette anni. Il problema è usare bene queste risorse che ci sono in questo momento; dobbiamo riuscire a usarle meglio che nel passato, ma dobbiamo usare meglio anche le politiche ordinarie".

    Possibilità di ripresa ci sono. Il Sud presenta a livello nazionale un vantaggio competitivo in termini di potenza prodotta dalle nuove rinnovabili già oggi del 55%. E non solo. Il presidente della Svimez, Adriano Giannola:

    “Partire dalla rigenerazione urbana - che è tanto di moda in tutto il mondo e così via - per l’Italia vorrebbe dire tanti lavori pubblici, integrati con una strategia energetica e ambientale e concentrare in queste aree, soprattutto del Mezzogiorno, una risposta strategica ai problemi italiani”.

    Insomma, serve innovare per risalire la china.

    inizio pagina

    Marcia di S.Egidio nel 70.mo del rastrellamento del ghetto. Interviste con Riccardi e Di Segni

    ◊   “Senza memoria non c’è futuro” è la scritta che campeggiava ieri sera su uno striscione portato durante la marcia nel centro di Roma, in ricordo del 70.mo del rastrellamento degli ebrei a opera dei nazisti. L’iniziativa è stata organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e ha visto la partecipazione di centinaia di persone e di autorità istituzionali e civili, tra cui il presidente della Camera, Laura Boldrini, e il sindaco della capitale, Ignazio Marino. Al microfono di Alessandro De Carolis, il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, riafferma il dovere di perpetuare la memoria, nonostante il passare degli anni rischi di sbiadirla:

    R. – Io credo che la distanza allontani tutto, questo è inevitabile. E c’è da chiedersi perché quell’evento sia rimasto così sentito, tanto sentito. Credo che quell’evento sia molto sentito, innanzitutto perché la comunità ebraica porta quel dolore come un dolore delle proprie famiglie. Io credo sia stata importante anche questa marcia, cui la Comunità di Sant’Egidio e anche la comunità ebraica hanno lavorato molto, proprio perché ha associato questo ricordo in tanti uomini, tante donne e anche tanti immigrati, tante persone, che possono avere anche dei pregiudizi nei confronti degli ebrei, provenienti dai Paesi di origine. Io credo si stia costruendo una memoria di popolo e questo permette di liberarci dalla ritualità.

    D. – Come le è risuonata l’esclamazione di Papa Francesco, quando ha detto “Un cristiano non può essere antisemita?”

    R. – Credo che il Papa senta molto questo e noi tutti lo sentiamo con lui. La sua storia è una storia di amicizia con gli ebrei. Papa Wojtyla ci ha insegnato a essere amici degli ebrei e Papa Bergoglio ha vissuto in Argentina questa amicizia e l’ha continuata qui. E’ stato nostro ospite, durante la preghiera della pace, il rabbino Skorka di Buenos Aires, che è proprio testimone di quest’amicizia. Un cristiano non può essere antisemita, non solo perché gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori e c’è un legame imprescindibile, ma anche perché un cristiano non può praticare l’odio, il razzismo e la persecuzione.

    D. – Agli avvenimenti di cui ieri si faceva memoria, lei ha dedicato un libro, che viene presentato oggi in Campidoglio: “L' inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma”. Dal suo studio, cosa dice la Roma di 70 anni fa alla città e ai romani di oggi?

    R. – Io ho dedicato questo libro, pubblicato da Laterza, cui ho dato il titolo “L’inverno più lungo”, alla ricostruzione di quegli eventi. Non è, infatti, bianca e nera quella vicenda. È una vicenda complessa: è una vicenda di traditori, di gente che ha venduto gli ebrei, di una massa grigia, di gente coraggiosa, generosa, di molti religiosi, dell’atteggiamento del Papa che non può essere semplificato. E’ una vicenda di umanità e anche una vicenda triste. Credo che quella vicenda mostri, secondo me, che allora la comunità ebraica fu isolata: fu isolata nel ’38 e poi nella tragedia si dovettero ricostruire i legami. Ho scritto quel libro con molta passione, con molta commozione, e presentarlo oggi in Campidoglio per me è importante, perché a ridosso di quegli eventi – oggi è il 17 ottobre, il giorno dopo la celebrazione dei 70 anni. Ci insegna parecchio.

    D. – Che cosa in particolare?

    R. – Ci insegna che mai bisogna lasciare sola la comunità ebraica, che mai bisogna isolare nessun gruppo e ci insegna che tante volte la nostra vita dipende dall’andare a destra o a sinistra, come quegli ebrei che se imboccavano una strada trovavano i tedeschi e se ne imboccavano un’altra la via della salvezza. Ci insegna, soprattutto, che noi possiamo fare molto per gli altri, perché dietro ad ogni scampato c’è sempre un giusto, un uomo che è stato generoso.

    La testimonianza di uno dei sopravvissuti ha fatto rivivere ieri sera il dramma di quel 16 ottobre 1943. Una giornata di angoscia e di orrore per l’antica comunità degli ebrei romani. E un’eco di quelle ore torna nelle parole del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, intervistato da Fabio Colagrande:

    R. – In 22 secoli di permanenza, a Roma era stata la giornata più drammatica: più di mille persone strappate alle loro case, chiuse in vagoni piombati e portati ad Auschwitz… 800 gassati subito, all’arrivo. Quindi, qualcosa che non era mai successo nella storia, una storia di sofferenze e di umiliazioni, ma mai di massacri collettivi. Il segno malefico di un tempo micidiale. Conservare allora la memoria di questo, capire perché è successo – senza negare responsabilità, senza dimenticare i gesti eroici e di solidarietà – tutto questo è una lezione importantissima. Per noi, è una ferita aperta ancora, ovviamente…

    D. – Posso chiederle se ha ricordi personali o familiari legati al quel 16 ottobre?

    R. – Io sono nato dopo. I miei genitori, con due bambini, fecero in tempo a scappare da Roma pochi giorni prima, rifugiandosi in montagna, dove mio padre e mia padre si unirono a una banda di partigiani e mi padre fu il medico della banda dei partigiani, decorato per questo anche al valor militare. Mia madre, tale era stata precipitosa la fuga da Roma, pensò di ritornare a Roma per prendere un po’ di coperte: era il giorno prima del 16 ottobre. Fatte le valigie si chiese se era il caso di riposare per un notte a Roma, prima di ripartire… Poi, ebbe chissà quale ispirazione e disse: “No, ma è meglio che me ne torno via”. Se fosse rimasta se la sarebbero portata via”.

    inizio pagina

    Milano. Convegno teologico su religioni, libertà e pace

    ◊   Una società diventata ormai plurale deve favorire la pluralità delle fedi. Un chiaro appello a garantire libertà religiosa per tutti è venuto dal primo dei tre giorni del Convegno milanese che segna la conclusione delle celebrazioni dell’Anno costantiniano, nel 1700.mo anniversario dell’Editto di Milano del 313, ritenuto il primo riconoscimento della libertà religiosa. Il servizio di Fabio Brenna:

    Libertà religiosa come libertà fondamentale dell’uomo che precede e garantisce tutte le altre forme di libertà, ma al contempo negata e minacciata in molte parti del mondo, come ha sottolineato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso:

    “Ci sono anche delle persecuzioni fatte in modo non violento, ma subdolo, come ad esempio la privatizzazione della religione in Europa. Questa è una forma di discriminazione e quindi noi dobbiamo sempre sottolineare che la religione non è un problema, ma è una ricchezza”.

    Nel suo intervento, l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha evidenziato come lo sviluppo della libertà di coscienza e la distinzione tra religione e potere politico “è stato pagato al prezzo della messa in ombra e della rimozione della religione dalla sfera civile”. Il risultato è quello di una riduzione della religione a fatto privato, senza rilevanza e liceità pubblica. Auspicabile dunque un’inversione di tendenza, anche perché il riconoscimento della rilevanza pubblica della religione è strada imprescindibile per un futuro di pace della nostra società:

    “Oggi, noi cristiani siamo consapevoli, come gli uomini delle religioni, che viviamo in una società plurale contro la quale dobbiamo fare la nostra proposta, dialogare con tutti, non cercare egemonie, far vedere che la sequela di Cristo esalta l’umano e quindi maturare sul campo la possibilità che una libertà religiosa effettiva sia praticata”.

    Il Convegno ha quindi traslocato per la seconda giornata di lavori all’Università statale. Al centro dell’attenzione, il rapporto fra le religioni e le istituzioni pubbliche. Sotto la presidenza di rav Giuseppe Laras, presidente emerito dell’Assemblea rabbinica italiana, si è analizzato il caso del rapporto fra Stato e Chiesa nelle diverse declinazioni nazionali ortodosse. Un secondo focus è stato invece dedicato alla genesi e ricezione della Dignitatis Humanae, la Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa. Il rapporto fra libertà religiosa e cultura civile è protagonista invece di un dialogo fra due docenti della Boston University e dell’Università di Nottingham. A chiudere la giornata di oggi una panoramica su laicità, pluralismo odierno e religioni.

    inizio pagina

    Presentato il film “Curato don Wojtyla a Niegowić

    ◊   “Curato don Wojtyla a Niegowić”: è il film che racconta la vita di don Karol nella cittadina polacca, vicino Cracovia, dove venne inviato come vice parroco al suo primo incarico per circa un anno, dal luglio del 1948 all’agosto del 1949. La pellicola scritta e diretta da mons. Jaroslaw Cielecki, direttore di Vatican Service News, è stata presentata stamani presso la sede della nostra emittente. C’era per noi Debora Donnini:

    E’ un giovane sacerdote il don Karol Wojtyla che viene presentato nel film: giovane, ma con quei tratti distintivi che si ritroveranno sempre nella sua personalità. Sentiamo quale è l’aspetto di Giovanni Paolo II ad aver colpito di più mons. Jaroslaw Cielecki:

    “Lui ha sempre voluto essere vicino alle persone, essere così vicino come se fosse un vero padre, andava a trovarle… E poi aveva quel cuore grande. A me ha colpito sempre questa cosa: appena arrivato, la gente gli regalò un cuscino; il giorno dopo bruciò una casa in un villaggio e la gente andò da lui a dire che c’erano difficoltà per la famiglia. Allora tirò fuori quel cuscino e disse: ‘Portate questo e domani andrò subito a trovarli’. Nel film vediamo questa scena che sicuramente tocca il cuore. E poi anche quel momento molto commovente quando arriva nel territorio della parrocchia, con una valigia in mano, si inginocchia e bacia la terra. Quel bacio che lui ha scritto anche nel libro ‘Dono e mistero’: un bacio che poi è continuato in diversi Paesi del mondo. Sono stati tanti i Paesi baciati dal Santo Padre”.

    Il film “Curato don Wojtyla a Niegowić” è stato tratto dall’omonimo libro di don Cielecki, che in passato ha lavorato a stretto contatto con Giovanni Paolo II. Quale il ricordo che porta con sé?

    “Diversi incontri, ma uno che porto sempre nel cuore è stato quello del 1999, quando è stato costituito in Italia un Comitato internazionale e, per il suo sacerdozio, gli abbiamo fatto omaggio di una statua di bronzo di tre metri, che lo rappresentava come giovane sacerdote. Poi ho deciso di portarla alla Basilica di San Pietro per farla vedere al Santo Padre. Quando mi sono avvicinato, lui era davanti alla statua, la guardava e gli ho detto: ‘Santo Padre, ho voluto portare un ricordo della tua giovinezza’. Lui si è girato verso di me e mi ha risposto: ‘Come giovinezza? Come ricordo?’. Allora pensai che mi fossi sbagliato… Ma dopo mi ha guardato e mi ha detto: ‘Non lo sai che io sono sempre giovane? E tu devi dire non solo oggi, ma anche domani e sempre: chi ama Gesù e Maria è sempre giovane!’”.

    Il viaggio nella vita di don Karol Wojtyla viene narrato attraverso i ricordi di Eleonora Mardosz, una donna di 87 anni che fu la perpetua nella parrocchia di Niegowić, anche attraverso aneddoti inediti sulla sua vita quotidiana. Nella pellicola appaiono anche alcuni oggetti appartenuti realmente a Karol Wojtyla, come la stola e la tunica che l’attore protagonista indossa durante la scena del matrimonio girato proprio nella chiesa di legno dove celebrava la Messa. Un’occasione, dunque, per conoscere più da vicino Giovanni Paolo II, che sarà proclamato Santo il prossimo 27 aprile.

    inizio pagina

    "Nelle vene d'America": l'ultimo libro di p. Spadaro. L'autore: non un manuale, ma un percorso personale

    ◊   Esce oggi in libreria “Nelle vene d’America” di padre Antonio Spadaro, edito da Jaca Book. Il volume si sofferma su alcune grandi figure della letteratura americana, da Walt Whitman a Jack Kerouac, ma anche su autori considerati minori ma non per questo meno significativi per comprendere il panorama letterario americano. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Antonio Spadaro quali contenuti e quali spunti i lettori troveranno nella lettura del suo ultimo libro:

    R. – Troveranno certamente un percorso personale, legato a figure significative con le quali ho cercato di stabilire una sorta di doppio rapporto: un rapporto da un lato critico, evidentemente, cioè di critica letteraria, ma dall’altro di forte empatia. Quindi, il mio obiettivo è stato quello di far fare ai lettori un’esperienza personale degli autori, quindi di entrare nelle vene della loro ispirazione, della loro visione della vita. Non è un manuale, in nessun modo, anche perché la selezione degli autori non è affatto canonica. Certo, sono presenti i grandi classici come Walt Withman, Emily Dickinson, Jack London; ma sono presenti anche autori molto amati in Italia, più di quanto lo siano negli Stati Uniti: per esempio, Edgar Lee Masters e l’“Antologia di Spoon River”; Raymond Carver … Ma ho cercato anche di fare emergere dall’oblio autori come Pascal D’Angelo ed Emanuel Carnevali, che sono gli autori dell’immigrazione italiana: una vicenda sia biografica, sia letteraria, davvero folgorante.

    D. – Si può dire che la frontiera è il tema, la dimensione che accomuna questi poeti, questi scrittori così diversi tra loro?

    R. – Certamente! Ho seguito un filo conduttore, che è questo della frontiera. In fondo, l’eroe americano è una figura in perenne movimento, e con il passare del tempo – della storia, anche – il nuovo mondo, inteso come “terra promessa”, “terra vergine” era destinato a scomparire in quanto tale. Ma la frontiera ha continuato a resistere nel tempo, fino ad oggi, come simbolo e come metafora. Quindi, la frontiera è metafora di un mondo alternativo, fluido, sempre in divenire. Per uno storico americano di fine Ottocento, è proprio l’esistenza della frontiera ad aver reso davvero unica e irripetibile la storia americana. Nella letteratura statunitense esiste un territorio esteriore, quindi una frontiera esteriore, ma anche un territorio interiore che è specchio di quello esteriore. Intendo dire che il movimento locale, cioè il viaggio, da quello nelle praterie a quello sulle autostrade, diventa dunque una figura dell’anima. Quindi, esiste una prateria dell’anima – l’ignoto e il selvaggio, se vogliamo, dello spirito umano – ed esiste una prateria interiore, un viaggio interiore.

    D. – Da ultimo, anche la spiritualità vissuta a volte anche come tensione e confronto, è un altro aspetto che, si vede, accomuna molti degli autori se non tutti, di “Nelle vene d’America” … Questo aspetto, pure, merita una riflessione particolare …

    R. – Sì. Innanzitutto, Flannery O’Connor, che è una scrittrice grandissima: lei ha descritto un mondo che è “work in progress”, non finito, in attesa di compimento, dove la grazia lavora: ma lavora secondo categorie che non sono quelle alle quali noi siamo abituati. E la sua grazia – direi – non è graziosa: spesso, anzi, proprio nel dramma della libertà e della violenza, è al limite del grottesco che la si riconosce. Jack Kerouac, a sua volta, direi che sia incomprensibile senza il cattolicesimo. Lui una volta disse: “I am not a beatnik, I am a Catholic”. Le dinamiche dei suoi personaggi sono tutte segnate profondamente dal cattolicesimo: direi, un cristianesimo paolino. Lui, ad un certo punto, divenne buddista, come era anche di moda nei suoi anni, provando a vivere una vita ascetica. Il cristianesimo, invece, gli diceva che c’è un mondo reale, fatto di santità e di peccato, e il buddismo gli faceva vedere il mondo come privo di realtà, come illusione. Quindi, ad allontanare, di fatto, Kerouac dal buddismo fu paradossalmente proprio l’esperienza di vita dissipata e sregolata, cioè il peccato che è quel diavolo che, secondo Flannery O’Connor, spesso getta le basi necessarie affinché la grazia sia efficace.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Conferenza di pace sulla Siria il 23 e 24 novembre a Ginevra

    ◊   Si terrà il prossimo 23 e 24 novembre a Ginevra la Conferenza internazionale di pace sulla Siria. Lo ha annunciato il vice premier di Damasco, Qadri Jamil, durante una visita a Mosca. Nonostante l’annuncio, atteso da giorni e arrivato in seguito ad una delicata opera diplomatica - riferisce l'agenzia Misna - sulla reale portata dell’incontro pesano le incertezze derivanti dalle dichiarazioni delle parti in causa. L’opposizione in particolare, non ha ancora dato il suo assenso e il Consiglio nazionale siriano, movimento principale all’interno della più ampia Coalizione omonima ha annunciato che non intende parteciparvi. Molti combattenti ribelli nel Paese rifiutano categoricamente di poter negoziare con il regime del presidente Bashar al Assad, il cui governo a sua volta, rifiuta di impegnarsi in colloqui con l’opposizione armata. Sul terreno intanto l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Oiac) ha già controllato la metà dei siti di stoccaggio delle armi chimiche parte dell’arsenale di Damasco e distrutto materiale per la produzione degli armamenti proibiti in sei di questi. L’Organizzazione, a cui la scorsa settimana è stato assegnato il Nobel per la pace, ha inoltre sorvegliato la distruzione di munizioni per armi chimiche non caricate, riducendo ulteriormente l’abilità del regime del presidente Assad di usare gas nervini nella guerra civile in corso. La situazione nel Paese, intanto rimane tesa e un gruppo di ribelli ha sferrato un attacco alla prigione centrale di Aleppo, scatenando scontri con le forze del regime che gestiscono il penitenziario. Lo riferisce l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo (Osdh) sottolineando che l’assalto è stato condotto, in particolare, da membri di gruppi jihadisti. (R.P.)

    inizio pagina

    Siria: il patriarca Gregorios III denuncia le violenze contro la minoranza cristiana

    ◊   "I cristiani sono una grande risorsa per la fine del conflitto e non hanno bisogno di Assad per sopravvivere". È quanto afferma in una intervista alla Bbc Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia. Per il vescovo - riporta l'agenzia AsiaNews - i cristiani devono testimoniare un nuovo modo di vivere e nuovi valori per il mondo arabo in crisi. "La nostra missione - spiega - è cercare di cambiare la visione del mondo arabo". Il prelato loda la recente iniziativa per la distruzione delle armi chimiche che ha riportato nuova speranza nel Paese, ma sottolinea che per fermare la guerra occorre la volontà della riconciliazione e organizzare una conferenza di pace. Gregorio III sostiene che una soluzione stabile si avrà quando tutti i combattenti stranieri torneranno un patria. Solo in questo modo si potrà realizzare un governo di unità nazionale composto da membri dell'opposizione e del regime. Per Gregorio III la guerra e le violenze hanno raggiunto un livello tale che l'uscita di scena di Assad è passata in secondo piano. La fame, la povertà e gli attacchi degli islamisti hanno infatti costretto alla fuga oltre 450mila cristiani siriani. Prima della rivoluzione la comunità contava circa 1,75 milioni di persone, circa il 7,8% della popolazione. Nonostante l'esodo, il vescovo melchita è convinto che "la comunità cristiana sopravvivrà". La frammentazione dell'Esercito libero siriano, unico gruppo laico a combattere contro Assad, ha permesso l'entrata nel conflitto di jihadisti di ogni nazionalità che al momento controllano diverse aree del Paese, fra cui la provincia di Aleppo. Fino al 2012 la guerra si è mantenuta sul piano politico militare e non di odio confessionale e la minoranza cristiana ha goduto di una certa protezione sia da parte dell'esercito che dei ribelli. La crescita dei gruppi estremisti, come ad esempio Jabat al-Nousra e i miliziani dell'Islamic State of Iraq and the Levant, considerati dagli stessi islamisti il gruppo più radicale presente in Siria, ha portato il conflitto anche sul piano interconfessionale con un aumento esponenziale delle violenze contro i cristiani. (R.P.)

    inizio pagina

    30 milioni nel mondo vivono in stato di schiavitù

    ◊   Circa 30 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di schiavitù: lo denuncia il Global Slavery Index, uno studio condotto in 162 Paesi compilato dall’organizzazione australiana Walk Free Foundation (Wff) e che comprende tra le altre la pratica dei matrimoni forzati e il traffico di esseri umani. Con 14 milioni di schiavi, è l’India a guidare la lista stilata dal Wff, anche se in assoluto – con il 4% della sua popolazione privata della libertà individuale – è la Mauritania che detiene ancora oggi il triste primato di Paese con la più alta concentrazione di vittime al mondo. “Molti governi non apprezzeranno quello che abbiamo scritto su questo rapporto” ha detto il presidente dell’organizzazione Nick Gromo, “ma la nostra speranza è che si rendano conto che il problema va affrontato e noi possiamo aiutarli”. India, Cina, Pakistan, Nigeria Etiopia, Russia, Thailandia, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar e Bangladesh - riferisce l'agenzia Misna - sono tra i più interessati dal fenomeno e insieme raccolgono sul loro territorio circa il 76% degli schiavi moderni. Gli autori dello studio hanno smentito inoltre che le pratiche di riduzione in schiavitù siano collegate al tasso di povertà, sottolineando che tra le cause principali c’è la corruzione e l’impunità dei gruppi criminali che lucrano dalla tratta degli esseri umani. Pur con percentuali minori neanche l’Europa è ‘libera dalla schiavitù’ secondo il rapporto, che rivela come il continente ospiti al suo interno alcune ‘centrali’ del traffico e della tratta di esseri umani. Secondo uno studio della Commissione per la criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio di denaro in Europa (Crim) sono almeno 800.000 le persone residenti in Paesi europei “in condizioni di schiavitù” e 270.000 quelle sfruttate sessualmente. (R.P.)

    inizio pagina

    Terremoto nelle Filippine: oltre 150 morti, Caritas in prima fila nei soccorsi

    ◊   "Abbiamo lanciato un appello per l'assistenza [alle vittime] tra i nostri partner della Caritas, ma bisogna fare in fretta. Fra i beni più urgenti il cibo, da distribuire fra quanti sono ospitati nei Centri di accoglienza". È quanto racconta all'agenzia AsiaNews padre Edwin A. Gariguez, del segretariato nazionale di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale filippina (Cbcp-Nassa), in prima linea nell'opera di soccorso ai terremotati. Martedì scorso un potente sisma di magnitudo 7,2 ha colpito il centro dell'arcipelago filippino, uccidendo finora 144 persone; stime ufficiose parlano oltre 158 morti e, ancora oggi, mancano all'appello molti dispersi. Gli esperti dello US Geological Survey hanno spiegato che il sisma si è propagato al di sotto dell'isola di Bohol (Central Visayas), una regione popolosa e fra le mete turistiche più apprezzate del Paese. Esso ha rilasciato un'energia pari a "32 bombe atomiche sganciate a Hiroshima" ed è stato avvertito anche a Mindanao. Padre Edwin, segretario esecutivo Nassa e responsabile del coordinamento delle operazioni di soccorso dell'ente cattolico, ha inviato ad AsiaNews un primo rapporto, dal quale traspare in tutta la sua portata la gravità dei danni provocati dal terremoto. Oltre al movimento principale, nelle ore successive si sono registrate 725 scosse di assestamento a Cebu, Negros Orental, Davao, Cotabato e nel nord di Mindanao. Intanto il governatorato di Bohol ha dichiarato lo stato di calamità. Ad oggi risultano ancora 23 dispersi, mentre il numero dei feriti è di circa 300. Le persone colpite dal sisma sono più di tre milioni, sparse in 39 fra città e municipalità. Sono 5.992 le famiglie ospitate in 51 Centri profughi, mentre una prima stima parla di danni a infrastrutture, ospedali, case e siti di interesse archeologico per un totale di 75,2 milioni di pesos (circa 1,8 milioni di dollari). Fra i siti più colpiti le centenarie chiese cattoliche della regione, testimonianza del passato coloniale spagnolo e dal grande valore storico e architettonico. Sono almeno dieci i luoghi di culto che hanno subito danni gravissimi a Cebu e Bohol, risalenti al XVI secolo. Fra questi il campanile in pietra calcarea della più antica chiesa filippina, la basilica minore del Santo Bambino di Cebu. In molte aree manca l'energia elettrica ed è sospeso il rifornimento di acqua potabile, in particolare a Bohol. Stanno finendo le scorte di cibo e molti mercati sono chiusi per mancanza di prodotti. Gli operatori Caritas avvertono anche del bisogno urgente di psicologi ed esperti in traumi, per lenire le ferite (anche psicologiche) inferte dal sisma alla popolazione. Il governo ha stanziato esercito e polizia per contribuire alle operazioni di soccorso e agli interventi immediati in attesa di programmi di lungo periodo per il ripristino delle attività. Ad oggi Manila non si è ancora rivolta alla comunità internazionale per aiuti stranieri, volendo contare sulle proprie forze. I vertici di Nassa-Caritas Filippine coordinano gli interventi di emergenza in collaborazione con i vertici delle due diocesi più colpite dal sisma, Bohol e Talibon. Finora sono stati usati i fondi locali a disposizione, ma non sono più sufficienti. Per questo Nassa ha già stanziato 400mila pesos, mentre varie diocesi del Paese - fra cui l'arcidiocesi di Manila - sono pronte a intervenire con un contributo all'opera di assistenza. (R.P.)

    inizio pagina

    Vietnam. Lettera pastorale dei vescovi: evangelizzare le famiglie

    ◊   L’evangelizzazione della vita familiare è il tema della Lettera pastorale diffusa dalla Conferenza episcopale vietnamita (Cev), al termine della 12.ma Plenaria, svoltasi ad Hôchiminhville dal 7 all’11 ottobre. Nel documento, i presuli partono da una considerazione: la nuova evangelizzazione richiede una revisione della metodologia pastorale e tale revisione va realizzata in tempi rapidi, altrimenti – scrivono i vescovi – “la Chiesa del Vietnam potrebbe trovarsi a vivere un inverno della fede”. In particolare per l’anno pastorale del 2014, la Cev punta sulla “evangelizzazione della vita familiare”, anche in relazione al Sinodo straordinario indetto dal Papa per il prossimo anno e dedicato al tema de “Le sfide della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. “La Chiesa – si legge nel documento episcopale – è chiamata ‘famiglia di Dio’ ed ogni famiglia cristiana è chiamata ‘Chiesa domestica’, quindi il rinnovamento della Chiesa deve cominciare proprio dalle famiglie”. Di qui, l’esortazione dei vescovi a “edificare i nuclei familiari in modo tale che diventino comunità di preghiera che vivono nell’amore, unite fedelmente e annunciando il Vangelo”. Particolare attenzione viene rivolta ai genitori, affinché “prendano coscienza della loro responsabilità di primi educatori, di modelli insostituibili”; altrettanto accento viene posto sul tema delle “vocazioni sacerdotali e religiose”, che spesso nascono proprio in famiglia e che vanno accompagnate. In quest’ottica, dal punto di vista dell’azione pastorale, i vescovi del Vietnam insistono sulla necessità di “preparare i giovani alla vita coniugale e familiare” e sul bisogno di rimarcare che “la famiglia ha per fondamento l’unione tra l’uomo e la donna”, “in spirito di responsabilità ed a servizio della vita, accordando l’amore familiare con la responsabilità di edificare la Chiesa, la società ed il Paese”. Quanto alle coppie il cui matrimonio è in crisi, la Chiesa vietnamita sottolinea che “bisogna, da una parte, continuare ad evidenziare l’ideale della vita coniugale cattolica e, dall’altra, accompagnare tali coppie in difficoltà per sostenerle, piuttosto che condannarle ed escluderle”. Per questo, i vescovi esortano le diocesi “alla formazione di sacerdoti, religiosi e laici che si occupano di pastorale familiare, così da organizzare e promuovere programmi specifici in materia”. Infine, la Cev annuncia gli anni pastorali 2015 e 2016 saranno incentrati, rispettivamente, sull’evangelizzazione delle parrocchie e della società. La lettera pastorale si conclude con una preghiera ai Santi martiri del Vietnam, “modelli di riferimento per la missione evangelizzatrice” dei fedeli. Da ricordare che nell’ambito della 12.ma Plenaria, mons. Paul Bui Van Doc è stato eletto nuovo presidente della Conferenza episcopale per il prossimo triennio. Nominato il 28 settembre Amministratore apostolico di My Tho e coadiutore di Hôchiminhville, arcidiocesi che conta circa 700mila cattolici, mons. Van Doc subentra a mons. Pierre Nguyên Van Nhon, arcivescovo di Hanoi, che ha completo il suo secondo mandato. Nato 68 anni fa, il nuovo presidente della Cev è conosciuto, nella Chiesa locale, per la sua formazione teologica e per il suo incoraggiamento al dialogo tra Chiesa, società e autorità civili, con una particolare attenzione per i poveri, le altre religioni e le diverse culture. La cerimonia di insediamento è prevista per il 19 ottobre, giorno di chiusura dell’Anno della fede in Vietnam. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Madrid: le conclusioni del Comitato internazionale di collegamento ebraico-cattolico

    ◊   Con un appello ai leader politici e religiosi e alle istituzioni a tutelare la libertà religiosa e l’impegno comune ad una più stretta collaborazione per contrastare le persecuzioni contro i cristiani nel mondo e la preoccupante ripresa dell’antisemitismo, si è conclusa oggi a Madrid la 22ª riunione del Comitato internazionale di collegamento ebraico-cattolico, dedicato al tema “Le sfide per la fede nelle società contemporanee”. A rappresentare la Chiesa cattolica c’erano, tra gli altri, il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ed il card. Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, mentre per parte ebraica erano presenti numerosi rabbini, tra cui David Rosen, consigliere del Gran Rabbinato di Israele e direttore dell'Istituto Heilbrunn per la comprensione religiosa internazionale. Al centro della sessione, iniziata il 13 ottobre, il punto sui rapporti tra cattolici ed ebrei a 50 anni dalla storica svolta del Concilio e il contesto sociale, culturale, etico e religioso nel quale uomini e donne cercano oggi di esprimere la propria fede seguendo gli insegnamenti delle rispettive tradizioni religiose. Nel corso dei dibattiti sono state evidenziate, in particolare, le difficoltà con cui devono confrontarsi oggi cristiani ed ebrei nel mondo, quali la violenza, la discriminazione, la povertà e il terrorismo. A questo proposito, la dichiarazione finale esprime “profondo dolore” per l’uso strumentale della religione che, sottolinea, “profana il nome di Dio”. Partendo dalla comune fede nella dignità donata da Dio a ogni essere umano, nella dichiarazione si ribadisce che essa implica che a ogni persona venga riconosciuta“ piena libertà di coscienza e di espressione della propria fede a livello individuale e istituzionale e nella sfera privata come in quella pubblica”. Di qui l’appello ai leader e alle istituzioni a tutelare questa libertà fondamentale, che comprende anche quella di cambiare religione e di educare liberamente i figli secondo il proprio credo. I partecipanti hanno espresso anche la comune volontà di intensificare la loro collaborazione contro il preoccupante dilagare delle persecuzioni contro le minoranze cristiane in diversi Paesi e il rinascente anti-semitismo, citando in proposito le parole di Papa Francesco per cui “un cristiano non può essere anti-semita”. Quindi, in conclusione, la dichiarazione sottolinea l’importanza di educare le nuove generazioni di ebrei e cattolici a questi principi, facendo conoscere la dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane e i documenti che ne sono seguiti. Creato nel 1970, proprio sulla scia dello storico documento giovanneo, il Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico tiene incontri periodici. L’ultimo risale al marzo 2011 e si è svolto a Parigi, sul tema “Quarant’anni di dialogo: riflessioni e prospettive future”. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    Myanmar: esplosioni non rivendicate. Sale la tensione

    ◊   Continua la misteriosa serie di attentati dinamitardi di modesta intensità in Myanmar, non rivendicati. Altri tre ordigni sono esplosi oggi nella parte orientale del Paese. Una ha provocato un morto, un lavoratore nei pubblici servizi, nella città di Namkham, nello stato Shan, una regione interessata dal conflitto tra truppe governative e milizie locali, ma al momento la polizia non ha avanzato alcun collegamento tra l’esplosione omicida e le tensioni locali. Le diplomazie occidentali - riferisce l'agenzia Misna - hanno avvisato i loro cittadini di prestare la massima attenzione dopo la morte, lunedì, di una cittadina americana nello scoppio di un ordigno nel lussuoso Traders Hotel nella capitale commerciale Yangon. Oggi gli Stati Uniti hanno definito i nuovi attentati “atti terroristici” e chiesto alle autorità di indagare nel pieno rispetto della legge ma anche dei diritti. Riguardo all’attentato che è costato la vita alla cittadina statunitense e il ferimento di una connazionale martedì la polizia ha fermato nello stato di Mon un sospetto di nazionalità birmana che aveva pernottato nell’albergo colpito dall’attentato. Altri individui sarebbero sotto interrogatorio. Una serie di eventi dinamitardi simili per potenziale e per modalità a quelli abituali durante il regime e di cui le autorità incolpavano abitualmente milizie etniche o oppositori democratici. Comunque eventi che alzano la tensione in un Paese che si appresta per la prima volta a ospitare un evento sportivo internazionale, la 27ma edizione dei Giochi dell’Asia Sud-orientale (South-East Asian Games), dall’11 al 22 dicembre e che solo due settimane fa ha ricevuto dal Vietnam il testimone della presidenza dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean). Anche in questa prospettiva, il governo che da due anni persegue una linea riformista, ha accelerato i contatti con le minoranze ancora in conflitto, la liberazione di detenuti per motivi d’opinione e liberalizzazione dell’informazione e dell’economia, non senza resistenze da parte di gruppi e personalità del vecchio regime militare o da fazioni ribelli. Il rinnovarsi delle tensioni verso i musulmani di etnia Rohingya ma anche quelli di cittadinanza birmana, ha acceso un nuovo fronte di ostilità verso il governo, accusato di connivenza con gli estremisti buddhisti e di disinteresse verso la loro condizione. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: un Pastore protestante e due fedeli accusati di blasfemia, altri leader minacciati

    ◊   Il Pastore cristiano protestante Adnan e due fedeli, Arfan e Mushtaq Masih, residenti a Lahore, sono stati formalmente accusati e denunciati per "blasfemia". Come appreso dall'agenzia Fides, la denuncia è stata depositata dal musulmano Abid Mehmood che accusa i tre di aver scritto e pronunziato commenti sprezzanti sull’islam parlando del testo “Perché siamo diventati musulmani”, scritto da Maulana Ameer Hamza dei più importanti leader dell’organizzazione estremista pakistana “Jamaat-ud-Dawah” (JuD). Secondo la denuncia, l’episodio di blasfemia ha avuto luogo l’8 ottobre scorso nel negozio di Mushtaq Masih, che si trova nel quartiere della “Lala zar Colony”, a Lahore. I cristiani residenti nel quartiere sono attualmente, “preoccupati e terrorizzati”, temendo atti di ritorsione da parte di militanti islamisti, nota a Fides l’Ong Lead, soprattutto dopo i recenti attacchi di Peshawar. Proseguono, intanto, gli atti di intimidazione contro i leader cristiani dell’organizzazione “All Pakistan Christian League” (Apcl), impegnata per la difesa delle minoranze cristiane in Pakistan: lo riferisce a Fides una nota del leader della Apcl, Nawaz Salamat, che si dice “molto preoccupato per la sicurezza dei nostri membri, nelle diverse province”. Alcuni mesi fa, alcuni attivisti della Apcl sono stati sequestrati e malmenati a Karachi, e successivamente Zeeshan Joseph e Almas Bhatti, attivisti Apcl in Punjab, hanno ricevuto gravi minacce. La scorsa settimana un altro membro della Apcl, Maqbool Khokhar, è stato attaccato e percosso da estremisti in piena notte. “I leader della Apcl – informa Salamat – continuano a ricevere telefonate minatorie che intimano la chiusura di tutte le attività dell’organizzazione. Altrimenti, si dice, saranno bruciati vivi con le loro famiglie”. Secondo Nawaz Salamat, “le maggiori attenzioni” degli estremisti alla Apcl sono motivate dalla rapida crescita politica e di visibilità ottenuta dal movimento. Molti attivisti della Apcl negli anni scorsi hanno dovuto lasciare il paese per motivi di sicurezza. (R.P.)

    inizio pagina

    India. Testimonianza ed evangelizzazione: i religiosi in chiusura dell’Anno della Fede

    ◊   “L’India ha bisogno di Cristo. Nel contesto socio-politico indiano noi religiosi siamo chiamati a testimoniare il Vangelo. Magari potrebbe non esserci consentito battezzare, ma possiamo promuovere dei ‘Christa-bhakta’ cioè dei ‘devoti di Cristo’ fra gli indù, che non accettano il rito del battesimo in quanto comporta un rifiuto pubblico della loro religione e casta”: come afferma una nota inviata all'agenzia Fides dalla “Conferenza dei Religiosi dell’India”, è quanto ha detto padre Mahendra Paul, Superiore generale della “India Missionary Society”, ordine religioso molto diffuso nel subcontinente indiano, intervenendo a un meeting dei Superiori maggiori delle congregazioni religiose, maschili e femminili, organizzato nei giorni scorsi ad Agra in occasione della chiusura dell’Anno della Fede. Come appreso da Fides, a conclusione di un tempo dedicato alla riflessione, i religiosi indiani ritrovano le motivazioni profonde per la loro opera di “testimoni ed evangelizzatori”. Padre Mahendra Paul ha rimarcato: “L'India sostiene di avere una cultura religiosa, ma in termini di etica, è una delle società più corrotti del mondo. Vi sono ingiustizie e violenze, atrocità sulle donne ed i bambini, divisioni di casta. In India, la religione non trasforma la vita. I mass media sono pieni di propaganda religiosa e incoraggiano pratiche superstiziose che spesso sono solo atti di vuoto ritualismo”. E’ la fede il “generatore” dell’evangelizzazione, ha rimarcato in modo energico il relatore. “La fede non è statica, ma conduce ad una vita attiva in linea con gli ideali e i valori di Gesù: la fede genera il cambiamento”. In particolare, invitare gli indù a diventare “Christa-bhakta” è una possibile “strada propedeutica” o una “strategia alternativa” che, ha ricordato il Superiore, “è quello di cui parlava Madre Teresa: la conversione del cuore”. Nel confronto che ne è seguito, i religiosi indiani, certi che “che persone che hanno fatto una autentica esperienza di Dio possono condividerla”, hanno espresso il desiderio di “ravvivare il fuoco divino in noi per riempire il mondo con la luce della sua bontà”. (R.P.)

    inizio pagina

    Colombia: sei sacerdoti minacciati dalla guerriglia trasferiti per motivi di sicurezza

    ◊   Il vescovo della diocesi colombiana di Mocoa-Sibundoy, Mons. Luis Alberto Parra Mora, ha confermato la notizia di aver trasferito sei dei suoi sacerdoti minacciati dalla guerriglia, che lavoravano nella zona rurale di Puerto Guzmán e Puerto Leguizamón. La nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale colombiana riporta le parole del vescovo: "Attraverso degli stampati che vengono lasciati nelle parrocchie, si intima di lasciare la regione a tutti i pastori protestanti e ai sacerdoti cattolici, si chiede anche di chiudere tutte le cappelle, di non amministrare i sacramenti e di non predicare. Se vogliono possono restare lì, ma senza compiere alcun atto religioso. Data questa situazione, e per la loro sicurezza, abbiamo deciso di spostare i sacerdoti nella zona di Mocoa, Sibundoy e Puerto Asis". La situazione di tensione non è nuova ma ora, secondo quanto denuncia mons. Parra Mora, le minacce sono diventate più frequenti e con una determinazione propria della guerriglia: "In un primo momento non erano minacce dirette, poi a poco a poco, in alcuni villaggi i sacerdoti non sono stati autorizzati nemmeno ad entrare" Evidentemente la guerriglia considera la Chiesa come un avversario nella formazione e nell’istruzione della popolazione della zona, mons. Parra Mora ha detto energicamente: "Noi non portiamo la guerra o la violenza, ma invitiamo le famiglie e la popolazione a vivere in comunità, in modo da raggiungere lo sviluppo della zona". Il vescovo ha anche annunciato che il prossimo 27 ottobre incontrerà i vescovi delle diocesi vicine per decidere come agire dinanzi a questa situazione creata dalla guerriglia. (R.P.)

    inizio pagina

    Malta: dichiarazione dei vescovi sul progetto di legge per le unioni civili

    ◊   Rispetto della persona, tutela dei minori, attenzione al bene comune, rafforzamento della famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna: sono i principi cardine ribaditi dai vescovi maltesi, in una nota ufficiale diffusa ieri. Il documento, a firma di mons. Mario Grech, presidente della Conferenza episcopale locale, si contrappone al progetto di legge sulle unioni civili presentato in Parlamento nei giorni scorsi. La bozza di normativa mira a permettere alle coppie dello stesso sesso di procedere all'unione civile, e concede loro gli stessi diritti e doveri delle coppie sposate, compresa l’adozione di bambini; si prevede inoltre che l'unione civile, come il matrimonio civile, sia sancita da un funzionario o dal sindaco e si chiede il riconoscimento dei matrimoni gay contratti all'estero. “Noi vescovi – si legge nella nota – vogliamo offrire la nostra riflessione, poiché il nostro dovere è quello di proclamare la Buona Novella nella convinzione che, come scrive Papa Francesco nell’Enciclica Lumen Fidei, la fede non evoca soltanto una solidità interiore, ma illumina anche i rapporti tra gli uomini, perché nasce dall’amore e segue la dinamica dell’amore di Dio”. I presuli chiedono, quindi, “una profonda e ponderata riflessione” sul progetto di legge in esame, in particolare sulla possibilità di registrare, come unione civile, l’unione tra persone dello stesso sesso: “Dobbiamo tenere a mente – spiega la Chiesa di Malta – che attraverso questo progetto di legge si discute delle persone e delle loro vite”. Di conseguenza, “al fine di avviare una discussione matura, bisogna avere un profondo rispetto nei confronti delle persone stesse”. E come il Papa ha detto recentemente, parlando degli omosessuali nell’intervista rilasciata a La Civiltà Cattolica, “nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione”. L’insegnamento della Chiesa è chiaro su questo punto, sottolineano i presuli, esortando poi ad una continua “formazione e catechesi” sulla dottrina della Chiesa. Al contempo, i membri del Parlamento vengono richiamati a “tenere in considerazione il bene comune”. Inoltre, guardando al diritto all’adozione che la proposta di normativa vuole introdurre per le coppie omosessuali, la Chiesa di Malta afferma: “Un tema di natura così delicata, così come tutti quelli che riguardano i bambini, necessita di molta saggezza da parte del legislatore e di tempo affinché si raggiunga la giusta decisione”. “I bambini – ribadiscono i vescovi maltesi – dovrebbero essere cresciuti, preferibilmente, dai loro genitori, un uomo e una donna”. Di qui, l’appello al governo affinché “continui a prendere misure che rafforzano la famiglia costruita sul matrimonio tra un uomo e una donna”, poiché tale famiglia “rimane il primo e principale cardine della società”. Infine, i presuli incoraggiano “tutti coloro che sono convinti di questa verità a custodire la famiglia ed a continuare ad esprimere il massimo riguardo nei confronti di questa istituzione naturale”. (I.P.)

    inizio pagina

    Africa: assegnato premio per la libertà d’informazione a giornalista etiope in carcere

    ◊   E’ andato a Woubshet Taye, giornalista etiope in carcere, il premio ‘African Journalist Award 2013’, dedicato ai reporter distintisi per il loro contributo alla libertà d’informazione in Africa. Come riferisce l’agenzia di notizie Misna, lo speciale riconoscimento, assegnato da una commissione composta da dieci giornalisti africani che ogni anno dal 1995 selezionano i candidati al premio, è stato ritirato dalla moglie e il figlio di Taye, nel corso di una cerimonia tenutasi a Città del Capo, in Sudafrica. Woubshet, vicedirettore dell’ormai estinto Awramba Times, è detenuto in cella dal giugno 2011 con l’accusa di terrorismo. Il tribunale di Addis Abeba lo ha condannato a scontare una pena di 14 anni dopo averlo giudicato colpevole sulla base della controversa legge anti-terrorismo in vigore nel Paese. Dopo il suo arresto, il direttore del giornale è stato costretto a fuggire all’estero e la pubblicazione è stata sospesa. Allo stesso modo altri due giornalisti di spicco, Reeyot Alemu e Eskinder Nega, stanno scontando attualmente 5 e 18 anni di prigione. Secondo quanto reso noto dal Cpj, il Comitato per la protezione dei giornalisti, tra gli sponsor del riconoscimento, la domanda di grazia per Woubshet presentata al presidente è stata bocciata a settembre. L’Etiopia è al 137° posto su una lista di 179 Paesi per lo stato della libertà di espressione e il suo governo è considerato, assieme a quello della vicina Eritrea, uno dei più repressivi nei confronti di oppositori e giornalisti. (C.S.)

    inizio pagina

    Africa: in un libro l’impegno della Chiesa nella lotta contro l’Aids

    ◊   Dimostrare l’impegno spesso misconosciuto della Chiesa nella lotta contro l’Aids in Africa attraverso le storie delle comunità che vivono questo dramma e le testimonianze di chi lavora nelle organizzazioni cattoliche impegnate in questo ambito. E’ quanto si propone il libro “Aids 30 Years Down the Line…Faith-based Reflections about the Epidemic in Africa”, curato dall’Ajan, la rete dei gesuiti africani contro l'Aids istituita dalla Conferenza dei Superiori Maggiori dell'Africa e del Madagascar (Jesam) nel 2002 per coordinare la risposta della Compagnia di Gesù alla pandemia nel continente. Il volume, presentato a Ginevra, dove è in corso la riunione del Chan, il network cattolico contro l’Hiv e l’Aids, raccoglie una varietà di testimonianze e contributi di esperti e volontari di varie ong cattoliche, che raccontano l’impatto dell’epidemia nei Paesi africani, ma anche la complessità del problema in Africa. Un dramma che non è solo una sfida sanitaria, ma che chiama in causa i mali endemici del continente quali la povertà, le guerre e le disuguaglianze sociali. Il libro evidenzia quindi l’esigenza di un approccio integrale all’Aids che, alla luce degli insegnamenti della Chiesa, consideri non solo gli aspetti strettamente sanitari, ma anche quelli umani, sociali, economici, culturali e spirituali. Ed è questo l’assunto alla base del lavoro svolto dall’Ajan, attiva oggi in una trentina di Paesi africani dove sostiene oltre 150 progetti, promuovendo lo scambio di esperienze e conoscenze tra i Gesuiti coinvolti in questo apostolato. Al centro del suo impegno c’è la difesa della dignità e dei diritti dei malati e quindi la lotta contro la loro discriminazione; la battaglia per l’accesso alle cure e la denuncia degli squilibri socio-economici che favoriscono la diffusione del virus. Non meno importante l’opera di prevenzione attraverso l’educazione a diversi modelli di comportamento e la responsabilizzazione delle persone nel rispetto delle culture e fedi locali. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    Terra Santa: liturgie itineranti a Naim, Tabgha e Cafarnao per fare memoria dei passi evangelici

    ◊   La Custodia di Terra Santa ha inserito nel calendario delle liturgie itineranti Naim, Tabgha, Cafarnao. A Cafarnao si potranno celebrare tre memorie: l’Annuncio dell’Eucaristia il terzo venerdì di Pasqua, la solennità di San Pietro apostolo il 29 giugno, la solennità del Villaggio di Cafarnao, il secondo sabato di ottobre. Proprio quest’ultima memoria, riferisce il portale della custodia di Terra Santa www.custodia.org, è stata celebrata la scorsa settimana dal Custode di Terra Santa padre Pierbattista Piazzaballa e da numerosi francescani venuti da Gerusalemme e da altre cittadine della Galilea. Tanti fedeli si sono riuniti nella piazza tra il Convento e la Chiesa che sovrasta la Casa di Pietro, per assistere, all’aperto, alla celebrazione dell’Eucaristia. Una processione è partita dalla riva del lago di Tiberiade, ha oltrepassato i resti dell’antico villaggio, i cui ruderi sono stati valorizzati da diversi studi archeologici, quindi ha raggiunto la piazza. Nella preparazione della liturgia, la custodia ha voluto porre l’accento su tre aspetti della vita di Gesù a Cafarnao: Gesù che predica e insegna il Vangelo del Regno di Dio; Gesù che chiama i primi apostoli; Gesù che guarisce malattie e perdona i peccati. Fra Feras Hejazin, parroco di Gerusalemme, che ha tenuto l’omelia si è soffermato su questi episodi ed ha esortato i fedeli a farsi missionari per scoprire, aldilà delle occupazioni quotidiane (casa, lavoro, sicurezza sociale, ecc.), la reale felicità offerta dal regno di Dio. Al termine della celebrazione, il custode di Terra Santa ha benedetto grandi ceste di frutta poi distribuita all’assemblea. Un gesto per esprimere lode al Signore per questa stagione dell’anno, che segna la fine dei lavori della terra, ringraziando per tutti i frutti da essa prodotti. La città di Cafarnao oggi ha anche un sito web www.capharnaum.custodia.org pubblicato dalla custodia di Terra Santa che consente di conoscere i luoghi citati nei Vangeli. (T.C.)

    inizio pagina

    Università Europea di Roma: incontro del Laboratorio di Comunicazione “Non sei un nemico!”

    ◊   Si è tenuto all’Università Europea di Roma, il primo incontro del Laboratorio di comunicazione “Non sei un nemico!”, diretto dal giornalista Carlo Climati. Il corso ha l’obiettivo di sensibilizzare i giovani ad una nuova forma di comunicazione, che non veda nell’altro un nemico. Gli studenti sono incoraggiati a vedere gli altri con uno sguardo nuovo, a creare linguaggi che possano rappresentare un ponte verso tutti, contribuendo all’abbattimento di muri, ostacoli, sospetti e diffidenze. “Siamo in un’epoca di grandi comunicazioni”, ha spiegato Carlo Climati nell’incontro introduttivo del Laboratorio. “Basta spingere un tasto del computer per entrare facilmente in contatto con Parigi, Londra e New York. Tutto sembra più facile. Ma quando comunichiamo dovremmo chiederci: come sto comunicando? Che cosa sto comunicando? Qual è la qualità della mia comunicazione?”. “Troppo spesso, oggi, il linguaggio della comunicazione utilizza toni esasperati e aggressivi”, ha detto il giornalista. “A volte assistiamo ad un approccio troppo emotivo nei confronti dell’altro, che impedisce il dialogo e non lascia spazio alla riflessione. Per questa ragione è utile tenere sempre in testa l’idea che l’altro non è un nemico, anche se può avere idee diverse dalle nostre. In qualunque tipo di comunicazione il primo passo da fare è l’accoglienza, la ricerca degli aspetti positivi che possano favorire la nascita di un’amicizia. Io esisto. Tu esisti. Cerchiamo di trovare, prima di tutto, quel terreno comune di valori che è scritto nel cuore di ogni essere umano”. “Lo sforzo da fare – ha concluso Climati – è quello di uscire dal guscio del nostro micromondo e cercare un’autentica cultura dell’incontro”. Il laboratorio “Non sei un nemico!”, teorico e pratico, esplorerà le diverse forme di comunicazione del mondo di oggi: dal giornalismo ai social network, dalla musica alla radio, dalla televisione al dialogo nella vita quotidiana. Fa parte delle attività di responsabilità sociale proposte agli studenti dell’Università Europea di Roma, che ha tra i suoi obiettivi principali la formazione della persona. Una formazione che consenta non solo l’acquisizione di competenze professionali, ma che orienti anche i giovani ad una crescita personale e ad uno spirito di servizio per gli altri. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 290

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.