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Sommario del 16/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Fao: fame nel mondo è scandalo, per vincerla serve coscienza solidale
  • Udienza generale. Il Papa: una Chiesa chiusa in sé e nel passato tradisce la propria identità
  • Dal Papa la mamma affetta da sla. Il marito: nel dare alla luce Alessia ci ha sostenuto la fede
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Usa, rischio "default". L'economista Carlà: c'è ancora margine per un accordo
  • Giornata mondiale dell’alimentazione. AciotnAid: serve una "democrazia del cibo"
  • Sindacati divisi sulla legge di stabilità. Confindustria: no agli scioperi
  • Aumentano le famiglie che non arrivano a fine mese, cresce sfiducia nel futuro prossimo
  • 70 anni fa i nazisti nel ghetto di Roma. Il ricordo di Elvira Di Cave e dello storico Pezzetti
  • "Bra Day 2013": esperti e chirurghi informano su tumore al seno e ricostruzione mammaria
  • In pellegrinaggio a Roma la reliquia di S. Camillo de Lellis a 400 anni dalla morte
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine: al via la Conferenza sulla Nuova evangelizzazione
  • Sisma nelle Filippine: oltre 140 morti il bilancio provvisorio delle vittime
  • Giappone. Il tifone Wipha colpisce Tokyo: almeno 13 vittime
  • India. Ciclone Phailin: la Caritas chiede acqua potabile per i 100 mila sfollati dell’Orissa
  • Iraq: sono quasi mezzo milione i civili morti tra il 2003 e il 2011
  • Siria. Mons. Marayati: le politiche della comunità internazionale incentivano la fuga dei cristiani
  • Centrafrica: per operatori umanitari "violenza senza precedenti"
  • Congo. La società civile: nel Nord Kivu truppe ugandesi e rwandesi sostengono ribelli dell’M23
  • Libia in balia di islamisti e criminali. Il governo chiede alla Chiesa di lasciare il Paese
  • Brasile. Giornata del professore: feriti e scontri a Rio de Janeiro e San Paolo
  • India: centinaia di bambini sopravvivono dietro la stazione di Varanasi, vittime di abusi
  • India: le date dell'ostensione delle reliquie di San Francesco Saverio a Goa
  • Nicaragua: una città isolata dai minatori. Mons. René Sándigo mediatore nel conflitto
  • Panama: la Chiesa pronta a mediare tra governo e medici in sciopero
  • Paraguay: famiglia e comunicazione temi della Consiglio permanente dei vescovi
  • Terra Santa: incontro tra patriarca di Gerusalemme e ministro israeliano del Turismo
  • Usa: uno studio conferma il carattere sempre più multiculturale delle parrocchie statunitensi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Fao: fame nel mondo è scandalo, per vincerla serve coscienza solidale

    ◊   Fame e denutrizione non possono essere considerati “un fatto normale”: così Papa Francesco parla dell’emergenza cibo, “una delle sfide più serie per l’umanità". Il Papa denuncia individualismo, cultura dello scarto e indifferenza in materia, nel messaggio inviato alla Fao in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, che ricorre oggi con lo slogan “Le persone sane dipendono da sistemi alimentari sani. A leggere il messaggio del Papa alla Plenaria è stato mons. Luigi Travaglino, osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (Fao, Ifad e Pam) Il servizio di Fausta Speranza:

    “E’ uno scandalo che ci sia ancora fame e malnutrizione nel mondo!”. Non usa mezzi termini Papa Francesco chiedendo non solo di “rispondere ad emergenze immediate, ma di affrontare insieme, a tutti i livelli, un problema che interpella la nostra coscienza personale e sociale, per giungere ad una soluzione giusta e duratura”. E lancia un appello in particolare: “Nessuno sia costretto a lasciare la propria terra e il proprio ambiente culturale – dice – per la mancanza dei mezzi essenziali di sussistenza!”. Francesco riflette sul paradosso di una società segnata dalla globalizzazione che “permette di conoscere le situazioni di bisogno nel mondo e di moltiplicare gli scambi e i rapporti umani”, ma tendente all’individualismo e alla chiusura, a un certo atteggiamento di indifferenza, a livello personale, di Istituzioni e di Stati, verso chi muore per fame o soffre per denutrizione, “quasi fosse – afferma Papa Francesco – un fatto ineluttabile”.

    “Ma fame e denutrizione non possono mai essere considerati un fatto normale al quale abituarsi quasi si trattasse di parte del sistema”, ribadisce il Papa affermando: “Qualcosa deve cambiare in noi stessi, nella nostra mentalità, nelle nostre società”. E il Papa chiede: educazione alla solidarietà, spiegando che è una “parola scomoda e messa molto spesso in disparte”. E chiede un cambio di mentalità: il Papa torna a parlare di “cultura dello scarto” e di “globalizzazione dell’indifferenza”. E poi mette denuncia quella che definisce la “schiavitù del profitto a tutti i costi” che – sottolinea – troviamo non solo nelle relazioni umane, “ma anche nelle dinamiche economico-finanziarie globali”. Per tutti vale riscoprire il valore della solidarietà – raccomanda il Papa – che non si deve ridurre all’assistenza ma deve “rendere le persone economicamente indipendenti”. Papa Francesco chiede inoltre che “diventi atteggiamento di fondo nelle scelte a livello politico, economico e finanziario, nei rapporti tra le persone, tra i popoli e tra le nazioni”. In sostanza significa – spiega il Papa – “mettere al centro sempre la persona e la sua dignità e mai svenderla alla logica del profitto”.

    Papa Francesco ricorda che il 2014 sarà l’Anno internazionale della famiglia rurale per iniziativa della Fao. E dunque chiede di sostenere la famiglia perché è la prima comunità educativa, dove si può imparare “ad avere cura dell’altro, del bene dell’altro, ad amare l’armonia della creazione e a godere e condividere i suoi frutti, favorendo un consumo razionale, equilibrato e sostenibile”. Sostenere e tutelare la famiglia dunque “per camminare verso una società più equa e umana”.

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    Udienza generale. Il Papa: una Chiesa chiusa in sé e nel passato tradisce la propria identità

    ◊   “La Chiesa è apostolica”, avete mai riflettuto sul significato di questa espressione che pronunciamo nel Credo? Cosi il Papa stamane rivolto ai fedeli e turisti – circa 70 mila dai cinque continenti - raccolti in Piazza San Pietro per l’udienza generale. Consueto bagno di folla per Francesco, che ha invitato tutti a riscoprire tutta la bellezza di essere una Chiesa che predica, custodisce e porta il Vangelo a tutto il mondo. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Professare che la Chiesa è "apostolica" significa – ha spiegato Papa Francesco – sottolineare il suo “legame costitutivo” con gli Apostoli, quei dodici uomini che Gesù un giorno chiamò a se, per nome, perché rimanessero con lui e per mandarli a predicare. Apostolo in greco vuol dire infatti "mandato" "inviato". E il primo lavoro di un apostolo – ha ricordato il Papa – è pregare e il secondo è annunciare il Vangelo:

    "E quando pensiamo ai successori degli Apostoli – i vescovi: tutti i vescovi, anche il Papa è vescovo – dobbiamo chiederci se questo successore dell’apostolo prega e annuncia il Vangelo".

    Ed anche tutti noi – ha aggiunto Francesco – se vogliamo essere apostoli dobbiamo chiederci:

    “Io prego per la salvezza del mondo, e annuncio il Vangelo?”.

    Una Chiesa apostolica è “fondata sulla predicazione degli Apostoli”:

    "La nostra fede, la Chiesa che Cristo ha voluto, non si fonda su un’idea, su una filosofia, ma su Cristo stesso. E la Chiesa è come una pianta che lungo i secoli è cresciuta, si è sviluppata, ha portato frutti, ma le sue radici sono ben piantate in Lui e l’esperienza fondamentale di Cristo che hanno avuto gli Apostoli, scelti e inviati da Gesù, giunge fino a noi".

    Una Chiesa apostolica “custodisce e trasmette”:

    "E’ come un fiume che scorre nella storia, si sviluppa, irriga, ma l’acqua che scorre è sempre quella che parte dalla sorgente, e la sorgente è Cristo stesso: Lui è il Risorto, il Vivente, e le sue parole non passano, perché Lui non passa, Lui è vivo, Lui oggi è fra noi, qui; Lui ci sente quando noi parliamo con Lui, ci ascolta, Lui è nel nostro cuore: Gesù è con noi, oggi! E questa è la bellezza della Chiesa: la presenza di Gesù Cristo tra noi, che Gesù Cristo è vivo perché è risorto".

    La Chiesa “dono importante che Cristo ci ha fatto”, “dove lo possiamo incontrare”:

    "Pensiamo mai a come è proprio la Chiesa nel suo cammino lungo questi secoli – nonostante le difficoltà, i problemi, le debolezze – che ci trasmette l’autentico messaggio di Cristo? Ci dona la sicurezza che ciò in cui crediamo è realmente ciò che Cristo ci ha comunicato?".

    La Chiesa è “inviata a portare il Vangelo a tutto il mondo”, con la ferma coscienza di essere missionaria:

    "Ancora una volta chiediamoci: siamo missionari con la nostra parola e ma soprattutto con la nostra vita cristiana? Con la nostra testimonianza? O siamo cristiano chiusi nel nostro cuore e nelle nostre chiese? Cristiani di sagrestia? Cristiani solo di parole, ma che vivono come pagani? Ma, dobbiamo farci queste cose, eh? Questo non è un rimprovero: anche io lo dico a me: come sono cristiano? Con la testimonianza, davvero?".

    Il Papa ha quindi concluso:

    "Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato tradisce la propria identità. Allora, riscopriamo tutta la bellezza e la responsabilità di essere Chiesa apostolica!".

    Nei saluti finali, Francesco ha reso omaggio alla memoria di santa Margherita Maria Alacoque ed ha ricordato l’odierna Giornata mondiale dell’Alimentazione indetta dall’Onu e la Giornata del rifiuto della miseria, che ricorre domani, promossa dal Movimento internazionale Quarto Mondo. Un indirizzo particolare è andato anche alle Agostiniane missionarie, che celebrano il Capitolo generale.

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    Dal Papa la mamma affetta da sla. Il marito: nel dare alla luce Alessia ci ha sostenuto la fede

    ◊   Negli ultimi giorni, i media hanno dato molto risalto alla vicenda di Laura Grassi, mamma 31.enne di Rimini che, affetta da Sla (sclerosi laterale amiotrofica), ha deciso di non interrompere la gravidanza. Oggi, la donna, suo marito e la loro piccola Alessia – accompagnati dall’Unitalsi di Roma e di Rimini – sono stati salutati con affetto da Papa Francesco in Piazza San Pietro, al termine dell’udienza generale. Al microfono di, Alessandro De Carolis il marito di Laura, Ugo Morganti, racconta del loro incontro con il Papa:

    R. - Ha salutato sia Laura che Alessia, ha giocato con il ciuccio della bambina, ha scherzato un po’ con la piccola e ci ha dato la sua benedizione.

    D. – In tanti hanno parlato in questi giorni della vostra storia e tutti, indistintamente, hanno usato una parola: “coraggio”. Per voi, mamma e papà di Alessia, darla alla luce ha rappresentato che cosa? Con quale parola definireste questa vostra scelta?

    R. – La scelta di dare alla luce Alessia la definirei con la parola “fede”, più che “coraggio”. Noi ci abbiamo messo tutta la nostra fede, eravamo convinti che andasse tutto bene. Il suo arrivo l’abbiamo interpretato come un enorme dono da parte del Signore.

    D. – Cosa ha portato Alessia nella sua vita e in particolare in quella di sua moglie Laura?

    R. – Ha portato gioia e serenità. Ha incrementato la gioia e la serenità, che c’erano nonostante la patologia. Nella nostra famiglia non mancavano e non mancano, ma sono state comunque incrementate di tanto.

    D. – Quindi, la fede per voi è il pilastro su cui fate ruotare tutta la vostra vita…

    R. – Assolutamente sì.

    D. – Chi vi ha sostenuto in questa scelta, nei momenti che l’hanno preceduta?

    R. – Praticamente tutta la famiglia. Tutte le persone più care, vicine e lontane, che sono tante.

    D. – La "rete" qiundi è importante in situazioni come la vostra. È importante che le famiglie non siano lasciate sole…

    R. – Sì, è importante. Siamo molto fortunati perché abbiamo due famiglie, unita in una, splendide. Abbiamo un gruppo di amici che ci ha sempre supportato in tutto. In più, la parrocchia che ci ha veramente preso per mano.

    D. – Quindi, non solo nella decisione di portare a termine la gravidanza ma anche, immagino, nel sostenere lei e sua moglie dall’esordio della malattia…

    R. – Dall’esordio della malattia fino ad oggi…

    D. – Che esperienza fate con l’Unitalsi che sappiamo esservi vicina?

    R. – Abbiamo partecipato a diverse uscite e pellegrinaggi. La viviamo quotidianamente perché i volontari dell’Unitalsi ci sono vicini.

    D. – Cosa si sente di dire, anche a nome di sua moglie Laura, alle famiglie che vivono situazioni come la vostra?

    R. – Va bene la parola che i media hanno usato: “coraggio”. Ma aggiungerei “fede”: c’è un domani ma pensiamo all’oggi e viviamolo nella speranza del domani.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Oltre la schiavitù del profitto a tutti i costi: nel messaggio per la Giornata mondiale dell’Alimentazione Papa Francesco chiede di modificare gli stili di vita segnati da consumismo e sperpero.

    Come un fiume che scorre nella storia: il Papa all’udienza generale parla della apostolicità della Chiesa radicata in Cristo.

    Quel tragico 16 ottobre 1943: uno degli ebrei sopravvissuti ha assistito stamane alla messa del Pontefice. Nell’informazione internazionale, un articolo dal titolo “Il ricordo antidoto alla negazione della storia”: nel settantesimo della razzia nel ghetto di Roma.

    Una storia fatta di immagini: in prima pagina, il direttore Dario Edoardo Viganò sui trent'anni del Centro televisivo vaticano. In cultura, un articolo di Aldo Grasso, Alessandro Di Bussolo, Barbara Castelli, padre Federico Lombardi e testi di Silvia Guidi.

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    Oggi in Primo Piano



    Usa, rischio "default". L'economista Carlà: c'è ancora margine per un accordo

    ◊   Ultimi tentativi negli Stati Uniti per sbloccare l'impasse sullo shutdown e sull'aumento del tetto del debito. È ripartita la trattativa in Senato, a meno di 24 ore da un possibile default del Paese. Un'intesa a Washington sembra vicina, ma si continua a lavorare sui dettagli dell'accordo che punta ad aumentare il tetto del debito fino al 7 febbraio e a finanziare il governo fino al 15 dello stesso mese, creando contemporaneamente una commissione per la riduzione del deficit. Dopo la marcia indietro della Camera per due volte e la sospensione dei negoziati, nelle casse del Tesoro stanno per rimanere 30 miliardi di dollari. Oggi, è in programma un incontro fra il president,e Barack Obama, e il segretario al Tesoro, Jack Lew. Intanto, l’agenzia Fitch avverte: il rating di "tripla A" potrebbe essere tagliato. Per il momento, comunque, lo mette sotto osservazione. Sulle ragioni dello shutdown, Giada Aquilino ha intervistato l’economista Francesco Carlà:

    R. – La ragione è che c’è uno scontro politico radicale tra repubblicani e democratici, un genere di scontro che avviene molto spesso, si ripete ciclicamente, in particolare quando la presidenza è democratica e il Congresso è repubblicano, come in questo caso tra Obama e i repubblicani.

    D. – Cosa c’è all’origine?

    R. – All’origine, ci sono due visioni completamente diverse su come gestire le finanze pubbliche e naturalmente anche a quali spese pubbliche dare priorità. I democratici sono a favore di un maggiore welfare negli Stati Uniti – in questo caso l’"Obama Care", la riforma della Sanità di Obama, è al centro della questione – e i repubblicani invece sono per una visione di privatizzazione di questo genere di attività. Lo scontro nasce da qui.

    D. – Se non dovesse arrivare l’accordo, gli Stati Uniti – per la prima volta nella storia – non potrebbero più assicurare tutti i pagamenti. Sarebbe deflagrazione mondiale?

    R. – Le conseguenze mondiali sarebbero molto pesanti. In tempi completamente diversi, la crisi del ’29 è arrivata praticamente in tutti gli angoli del mondo, facendosi sentire a distanza di anni e non è stata estranea poi alla Seconda Guerra mondiale. Ma io non credo che si arriverà a questo. Sicuramente, si troverà un accordo, perché c’è più tempo di quello che si pensi. Molti ritengono che la scadenza sia questa settimana, ma in realtà il limite finale è il 15 novembre, quando eventualmente gli Usa non pagherebbero i primi interessi sul debito e quindi farebbero questo famoso default.

    D. – L’impasse politica a Washington rende più forte il timore per un downgrade degli Stati Uniti?

    R. – Teniamo presente che intorno a tutto questo clamore abbiamo un Paese che ha ancora la tripla A. Se consideriamo invece il rating di altri Paesi mediterranei, come l’Italia o la Spagna, lo scenario dovrebbe essere molto più tranquillizzante. Ma negli States ci sono due cose diverse, rispetto a ciò che succede in Europa: da un lato, il tetto, il cosiddetto ceiling del bilancio, del deficit, è stabilito dalla legge e quindi non può essere modificato, se non si modifica la legge. Dall’altro, c’è questo scontro radicale tra la visione delle faccende economiche pubbliche da parte dei repubblicani e da parte dei democratici.

    D. – E quanto valgono gli avvertimenti di Fitch sul possibile taglio della tripla A?

    R. – Poco, perché anche le agenzie di rating hanno dimostrato in questi anni di avere varie visioni di scenari economici e finanziari dei Paesi. Un Paese come l’Italia può essere trattato peggio, viene spesso trattato peggio, di un Paese come gli Stati Uniti.

    D. – E se invece si arrivasse a un accordo, come ripartirebbe la macchina dell’amministrazione americana?

    R. – Da questo punto di vista, l’impatto dello shutdown sull’economia, naturalmente, dipende dalla durata. Potrebbe diventare grave, se dovesse protrarsi ancora per un po’: potrebbe costare un pezzo del Pil degli Stati Uniti. Io credo, invece, che si troverà un accordo in tempi abbastanza brevi. Le conseguenze sui mercati non ci sono state fino ad ora praticamente e anche quelle sull’economia americana sarebbero minime.

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    Giornata mondiale dell’alimentazione. AciotnAid: serve una "democrazia del cibo"

    ◊   “Le persone sane dipendono da sistemi alimentari sani”. Questo il tema dell’odierna Giornata mondiale dell’alimentazione, promossa dalla Fao. L’obiettivo è di porre l’accento sulla necessità di sistemi alimentari sostenibili per la sicurezza alimentare e la nutrizione. Nel mondo, le persone che soffrono la fame sono 842 milioni. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La produzione mondiale di cibo potrebbe sfamare molte più persone di quelle che oggi abitano il pianeta. Ma l’attuale sistema di produzione e di distribuzione alimentare presenta ancora drammatici e pradossali squilibri. Un terzo del cibo prodotto a livello mondiale finisce nella spazzatura, il 75% dei Paesi con gravi problemi legati alla denutrizione sono esportatori di cibo. Questi e altri fattori, tra cui il degrado ambientale e modelli di sviluppo non sostenibili, delineano una situazione inaccettabile: nel mondo, oltre 842 milioni di persone soffrono la fame. Le situazioni più critiche si registrano nell’Asia del Sud (304 milioni) e nell’Africa sub-sahariana (234 milioni), ma questa piaga è presente anche nei Paesi industrializzati (15,7 milioni). Il numero totale delle persone che patiscono la fame è comunque in calo. Nel 2010, erano 870 milioni, nel 2012 si è registrata una riduzione di circa 30 milioni. Ma per centrare il primo Obiettivo del Millennio, dimezzare la percentuale delle persone che soffrono la fame entro il 2015, servono maggiore conoscenza e più consapevolezza. Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia:

    R. – Questi dati sono ancora enormi, se consideriamo che mancano due anni all’obiettivo del 2015 che puntava a un dimezzamento delle persone che soffrono di malnutrizione, ed è un mondo di paradossi. Ricordiamo che il 75% di queste persone vive nelle zone rurali, cioè dove il cibo si coltiva. Altro lato della medaglia è che 1,5 miliardi di persone soffrono per problemi di salute legati all’eccesso di cibo, con costi sociali sui sistemi sanitari nazionali che sono molto rilevanti. Un terzo di tutto il cibo che viene prodotto – valore stimato circa 750 miliardi di dollari, di cui 15-20 in Italia – viene sprecato. In Italia, sono 15-20 miliardi all’anno! Sono paradossi… Il problema della fame è enorme, però è risolvibile. Questa è la prima generazione che ha i mezzi per nutrire l’intero pianeta, nonostante siamo ormai quasi sette miliardi.

    D. – Quali sono gli strumenti giusti proprio per combattere la fame?

    R. – ActionAid ritiene che le soluzione tecnologiche negli anni abbiano portato a produrre più cibo ma non si sono risolti, appunto, alcuni dei paradossi che abbiamo detto prima. Alla fine, quello che conta per risolvere ogni problema legato a sperequazioni di giustizia sociale è cercare di enfatizzare la partecipazione. Noi parliamo della necessità di una nuova democrazia del cibo e la partecipazione alle decisioni che ci riguardano è importante, tanto nel Sud quanto nel Nord del mondo. Così come è importante che i piccoli agricoltori in Brasile, in India, sappiano rivendicare il loro diritto di accesso alla terra, alla capacità di negoziare prezzi giusti, così io dico anche che non vedo perché non devo essere in grado e voler sapere come vengono fatti i bandi di gare, eseguiti i contratti – per esempio – nelle mense scolastiche dove vanno i miei figli, o per le forniture di cibo negli ospedali… Insomma, quei luoghi dove poi si finanzia una catena alimentare con risorse pubbliche. In realtà, i prezzi degli alimenti che vengono considerati ormai solo “merce” si fanno alla borsa di Chicago, con grandi imprese sementiere, produttori di fertilizzanti, grande distribuzione organizzata, pochi che controllano i prezzi e i più – cioè noi consumatori, milioni e miliardi di consumatori, e milioni di famiglie di piccoli agricoltori – paradossalmente schiacciati ai lati: gli uni costretti a comprare alimenti magari anche con proprietà nutrizionali più scarse, perché standardizzati nei supermercati, e gli altri tagliati fuori dalle logiche delle economie di scala dei grandi distributori. Insomma, si immettono e si tolgono grandi quantità di cibo sul mercato come si può fare con qualunque prodotto. Questo, per essere sovvertito e rimodellato, ha bisogno di conoscenza e partecipazione delle persone.

    D. - La Fao ricorda che se la comunità internazionale riuscisse ad investire 1,2 miliardi di dollari l’anno per cinque anni, i benefici derivanti dal miglioramento della salute e quindi dalle conseguenti migliori prospettive di lavoro, porterebbero ad un guadagno di 15,3 miliardi di dollari. Eppure, sembra difficile reperire queste risorse…

    R. – Sembra difficile, ma basta pensare alle proporzioni: bisogna guardare l’orizzonte e non il dito davanti al naso. Si tratta di scelte. Certamente, parliamo anche di Paesi occidentali: ci sono costi enormi nei quali si incorre a livello di sistemi sanitari nazionali per curare le patologie legate all’eccesso di cibo. Quindi, una vita sana, uno stile di vita alimentare più adeguato attraverso la promozione e la conoscenza costerebbe agli Stati, quindi alle nostre tasche di contribuenti, molto di meno. Bisogna però essere in grado di guardare l’orizzonte, non la punta delle proprie scarpe…

    Ricordiamo l’impegno di ActionAid con la campagna di informazione e raccolta fondi “Operazione fame”. Quest’anno la campagna è incentrata su progetti in Brasile. Di che cosa si tratta? Ancora Marco De Ponte:

    R. – “Operazione fame” in effetti è uno sforzo di lungo periodo: abbiamo preso, ad esempio, il Brasile anche se lavoriamo in circa 50 Paesi del mondo, perché il Brasile è un Paese nel quale le politiche pubbliche per sconfiggere la fame sono state messe in opera dallo Stato, e noi sottolineiamo il fatto, quindi, che quando vengono fatte le scelte giuste, esistono le possibilità di fare progressi. Noi continueremo a fare il nostro lavoro. Chi vuole donare anche specificamente per il Brasile, lo può fare sul nostro sito www.operazionefame.it.

    In Italia, nonostante la crisi, la catena dello spreco presenta numeri impressionanti. In base a un rapporto di "Last Minute Market", società spin-off dell'Università di Bologna, il 2,47% della produzione agricola italiana non è stata raccolta. Nell’industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6% della produzione finale totale. Nel settore distributivo, gli sprechi riguardano sia i mercati all’ingrosso sia il sistema distributivo. Nei centri agroalimentari, in particolare, ogni anno dall’1 all’1,2% dell’ortofrutta viene gestita come rifiuto. Gli sprechi continuano anche in casa. Ogni anno, le errate abitudini domestiche costano agli italiani 8,7 miliardi di euro. Lo spreco settimanale medio è di circa 213 grammi di cibo.

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    Sindacati divisi sulla legge di stabilità. Confindustria: no agli scioperi

    ◊   Cgil e Uil pronte allo sciopero sulla legge di stabilità. La Cisl dice che si aspettava di più, ma anche che è soddisfatta per il taglio delle tasse. E Confindustria ribadisce che passi in avanti sono stati fatti anche se era necessario più coraggio. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Cgil e Uil chiedono che la legge di stabilità cambi radicalmente. Non piacciono soprattutto le misure che riguardano il pubblico impiego: dal blocco dei contratti a quello del turn over, dal taglio degli straordinari alle misure sulla liquidazione. Più cauta la Cisl, che apprezza il taglio delle tasse ma che invita l’esecutivo a intervenire sui rami secchi della spesa. Il presidente di Confindustria, Squinzi, afferma che bisognava tagliare di più il cuneo fiscale, in tre anni circa 10 miliardi, ma ribadisce che con gli scioperi i problemi non si risolvono. Ma l'economista Giacomo Vaciago come risponde a chi dice che serviva un maggiore intervento sul fronte delle tasse?

    "I tagli al cuneo fiscale li devi finanziare con i tagli alla Sanità e così via. E’ chiaro, allora, che è come dare pugni all’avversario e sperare che ringrazi. Questa strategia non paga, l’abbiamo visto negli anni scorsi. La strategia dell’emergenza, comunque, spaventa il consumatore e le famiglie, e induce anche quello che non ha perso reddito a non andare a fare la spesa. Entriamo, quindi, in un circolo vizioso".

    Per l’esperto di fisco e diritto, Nunzio Bevilacqua, servono politiche di lungo periodo per far ripartire il Paese:

    "Vi è stata comunque una razionalizzazione della spesa, ma anche l’introduzione di nuove imposte. Ad esempio, arriva la 'Trise', che prende nominalmente il posto della 'Service Tax', divisa in quota 'Tari' per i rifiuti in base alla superficie della proprietà, e 'Tasi' per i servizi indivisibili con un’aliquota di partenza all’1 per mille con la stessa base imponibile dell’Imu. Dovrebbe essere diviso appunto il calcolo del patto di stabilità interno con gli enti locali – una richiesta da molti effettuata – e dovrebbe portare gli stessi enti locali a uno sblocco fino a 1,5 miliardi di nuove risorse. Non dimentichiamo il fatto che molti punti dovranno affrontare le forche caudine della discussione parlamentare e che comunque per rianimare un’economia in trend depressivo bisogna fare un’inversione ad 'U' con coraggio e misure straordinarie di periodo".

    I consumatori calcolano che la "Trise" potrebbe costare anche 365 euro a famiglia.

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    Aumentano le famiglie che non arrivano a fine mese, cresce sfiducia nel futuro prossimo

    ◊   In Italia, il 19% delle famiglie non copre le spese con il proprio reddito e per 1 famiglia su 4 è difficile pagare le tasse. Lo rende noto “Outlook Italia. Clima di fiducia e aspettative delle famiglie italiane nel 2° semestre 2013”, realizzato da Confcommercio e Censis e presentato oggi in conferenza stampa a Roma. Il servizio di Adriana Masotti:

    Sono aumentate, rispetto al 2012, le famiglie che in Italia non riescono più a far fronte alle spese con il proprio reddito e quasi il 50% per affrontare la crisi prevede di tagliare i consumi. E' quanto rivela lo studio Censis-Confcommercio presentato oggi. Nell'anno in cui i consumi pro-capite tornano ai livelli del 2000, il peggioramento delle capacità di spesa è diffuso ovunque, con punte superiori al 70% tra le famiglie del Sud Italia. Una famiglia su 4, poi, ha difficoltà a pagare le tasse e oltre il 72% ad affrontare spese impreviste. Quasi raddoppiate le famiglie che si sono rivolte alle banche per un prestito, mentre oltre il 30% ha dovuto posticipare alcuni pagamenti come bollette, rette scolastiche, spese condominiali. Riguardo al prossimo futuro cresce il senso di sfiducia: gli ottimisti sono passati dal 37 al 30%. E c’è poco da stare allegri infatti considerando che, secondo le stime di Confcommercio, nel 2014 gli italiani dovranno far fronte a ben 6,5 miliardi di euro di imposte in più rispetto al 2013, compresa la "Trise" cioè la nuova tassa sulla casa. Infine, più del 50% delle famiglie indica le misure contro la disoccupazione, e quasi la metà la riduzione delle tasse, gli interventi prioritari che il governo dovrebbe affrontare.

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    70 anni fa i nazisti nel ghetto di Roma. Il ricordo di Elvira Di Cave e dello storico Pezzetti

    ◊   Sono trascorsi 70 anni da quando, 16 ottobre del 1943, 1022 ebrei romani, tra cui oltre 200 bambini, vennero rastrellati nel Ghetto di Roma e in altri quartieri della capitale, dai soldati nazisti e deportati ad Auschwitz. Solo in 16 tornarono, tra loro una donna. Oggi, nel ricordare l’ennesimo tragico atto di un periodo storico carico di violenza e vergogna, le più alte cariche dello Stato italiano hanno ricordato quanto avvenuto. Il presidente, Giorgio Napolitano, recatosi in Sinagoga e davanti ai sopravvissuti, ha elogiato l’approvazione del reato di negazionismo approvato in Senato. "E' una grande giornata di coesione e unità di tutte le fedi e tutte le religioni", ha aggiunto il capo dello Stato. Nel Tempio Maggiore, è stato letto un messaggio del Papa indirizzato alla comunità ebraica, nel quale Francesco invita a non abbassare la guardia contro l’antisemitismo. Questa commemorazione – si legge – è un appello alle nuove generazioni a "non lasciarsi trascinare da ideologie, a non giustificare mai il male”. Quel 16 ottobre del 1943, fu solo l’ultima tappa di un triste itinerario iniziato con le leggi razziali. Lo racconta Marcello Pezzetti, storico, direttore della fondazione Museo della Shoah, intervistato da Francesca Sabatinelli:

    R. - Il ’38 è il momento della grande cesura tra l’Italia e la sua minoranza ebraica, è il momento in cui si dice: voi non appartenete più a questa comunità nazionale, dal momento in cui la comunità nazionale deve essere ariana e voi non lo siete. Qui, c’è già il baratro. Ma, nonostante ciò, fino al 1943 gli italiani non danno retta alla volontà nazista di deportazione della sua minoranza ebraica. Cioè, gli ebrei sono cittadini di “serie B”, sono ritenuti inferiori da un punto di vista biologico, non possono più fare determinati mestieri, non possono più stare all’interno della società, ma non sono deportati. Fino a quando i tedeschi non prendono il controllo della situazione e non occupano il Paese, non c’è deportazione degli ebrei.

    D. - Quindi, probabilmente gli ebrei romani, quel 16 ottobre - in realtà a pochissimo tempo dall’armistizio - forse non se lo aspettavano neanche…

    R. - Non se lo aspettavano soprattutto per due motivi. Primo: c’erano stati 50 chili d’oro (durante l'occupazione di Roma i tedeschi obbligarono la comunità ebraica a raccogliere e consegnare 50 chili d'oro - ndr) e quindi avevano pensato che si fosse placata la sete nazista di violenza antiebraica attraverso quel ricatto dell’oro. Tutti convinti che i tedeschi sono di parola, di conseguenza anche i nazisti hanno detto che non avrebbero deportato, dunque non lo avrebbero fatto. Secondo motivo: perché convinti che "Roma città aperta", e soprattutto città del Papa, non avrebbe subito questa violenza tedesca.

    D. - Dunque, gli ebrei a quel punto si sentirono traditi dai loro stessi concittadini?

    R. – Ma nemmeno questo. Hanno capito che neanche Roma li avrebbe protetti e hanno capito che nessuno, a quel punto, sarebbe stato in grado di farlo e che forse si erano fidati troppo. Ma sono così. Un ebreo romano, come tutti gli alti romani "doc", difficilmente abbandona la sua città. Gli ebrei romani, quelli sopravvissuti, hanno la percentuale più alta di ritorno nel luogo d’origine. In genere, i sopravvissuti dell’Est dell’Europa non ritornano più, anche in Francia fanno fatica a ritornare. Gli ebrei italiani ritornano quasi tutti in Italia, in particolare gli ebrei romani ritornano a Roma.

    D. - Però, la città che legami aveva con loro? Come fu la reazione degli altri romani?

    R. - Secondo me, possiamo dividere i cittadini italiani in genere, ma i romani in particolare, in tre categorie: gente che capisce il problema e aiuta, ed è un numero consistente che va preso in considerazione. Poi, abbiamo un numero che, diciamo, è il più alto dal punto di vista numerico, di quelli che non fanno nulla, che sono indifferenti, non hanno coraggio e non si può chiedere coraggio a tutti. E infine, c’è l’ultima parte, la più piccola a livello numerico e purtroppo la più negativa, quella che invece collabora con la politica di sterminio.

    D. – 1.022 le persone che finirono nelle mani dei tedeschi, compreso colui che morì di infarto al momento dell’arresto, compreso il bambino che nasce il giorno dopo nel collegio militare e compresa anche una donna che non volle abbandonare la persona anziana che accudiva. Chi era questa donna?

    R. - Era una sorta di badante, cattolica, condotta ad Auschwitz con gli altri. Questo io vorrei ricordare: la figura di questa donna il cui nome è stato inserito insieme a quello degli ebrei vittime. Questa donna straordinaria rimase con la signora che stava curando amorevolmente, non l’abbandonò, nemmeno nella camera a gas.

    D. - Cos’è il ghetto oggi per la comunità ebraica romana?

    R. - È la storia dell’ebraismo romano, è la storia della più antica comunità della diaspora. E’ difficile addirittura per me capirlo, che vengo da un’altra tradizione, quella ashkenazi. É lo sforzo di integrazione che poi viene brutalmente bruciato dai fascisti e dai nazisti, è la storia di un pezzo di Roma che appartiene a tutti noi.

    D. - Questo significa che la comunità ebraica romana, in Italia, è quella più identificata con la città?

    R. - Sì, in assoluto, in assoluto! Secondo me, se fossero tedeschi, scriverebbero “Wir sind hier”, “Noi siamo qui”, come hanno detto alcuni ebrei tedeschi dopo la fine della guerra. Ossia: noi siamo parte, noi siamo questa storia, e vogliamo continuare ad esserlo.

    D. - I giovani, i ragazzi ebrei romani, sono dentro questa storia?

    R. – Sì, sì. Sono dentro, ma tutti dovrebbero stare dentro questa storia, perché questa non è solo la storia degli ebrei. E’ la storia che riguarda la nostra cittadinanza, il nostro essere civili.


    Ma ripercorriamo la tragedia di 70 anni fa attraverso le parole di Elvira Di Cave, presidente della Consulta della Comunità ebraica di Roma e primario all’Ospedale israelitico della Capitale. L’intervista è di Adriana Masotti:

    R. - Il 16 ottobre del 1943, era l’ultimo giorno di Sukkot, la “Festa delle capanne”, ed era Shabbat, il sabato ebraico. Alle 5.15 di quel mattino, una giornata piovosa, i tedeschi arrivarono con i camion e bloccarono tutte le vie di accesso e quindi di uscita dal Portico di Ottavia, l’antico ghetto. Cominciarono a sparare in aria e alle 5.30 fecero irruzione e quindi cominciò la vera e propria razzia. In Via della Luce, numero 3, che è poco lontano dal Portico di Ottavia, la mia famiglia - tranne mio papà - è stata completamente deportata, nelle persone di mio nonno, mia nonna, le mie zie e le mie cugine, peraltro una neonata e una bambina di tre anni. Questo tipo di problema che c’è stato nella mia famiglia ha fatto in modo che mio padre, ogni volta che si presentava il 16 ottobre, entrava in un mutismo che cominciava qualche giorno prima e finiva qualche giorno dopo. Mio papà, al quale era stato vietato naturalmente di andare a scuola e quindi tutti quei diritti che vengono dati a persone normali e che i tedeschi avevano tolto, cominciando dal lavoro, con la chiusura delle attività commerciali ecc…

    D. - Quindici uomini e una donna tornarono dai campi di sterminio dopo quella razzia. Come avvenne il loro reinserimento nella città?

    R. - Il reinserimento dei sopravvissuti è stato una cosa abbastanza drammatica. Quando tornarono non raccontarono subito, perché con tutto quello che avevano visto non potevano pensare che qualcuno lo avrebbe creduto. E’ la grande preoccupazione che hanno i negazionisti: cioè il racconto, la testimonianza, perché una volta finiti i nostri testimoni, rimarrà soltanto a chi ha raccolto queste testimonianze e quindi figlie, nipoti e tutti gli storici, portare avanti quello che è la memoria della Shoah, cioè di una tragedia che ha colpito 6 milioni di ebrei e non soltanto di ebrei, ma ha colpito l’intero mondo, l’intero mondo dei discriminati e dei diversi.

    D. - Quest’anno la comunità di Roma celebra con uno spirito un po’ diverso questo anniversario? Mi riferisco alla recente morte di Priebke, che ha forse riacutizzato tante cose, tanti ricordi, dolori.

    R. - Guardi, assolutamente no. Il percorso storico per il 70.mo non è variato per quanto riguarda Priebke. Per noi, è morto uno dei boia che hanno tentato la distruzione del popolo ebraico, al quale non sono riusciti a dare la parola fine. Il popolo ebraico è ancora presente, i giovani sono assolutamente presenti e ricordano il passato per poter avere un futuro. Noi viviamo nel presente tutto quello che è stato nel passato, con la gioia però - ed è questo il nostro paradosso - di portare avanti quella che è la memoria dei nostri nonni, dei nostri padri. Noi li chiamiamo testimoni, perché sono testimoni della memoria.

    D. - Anche Papa Francesco ha mandato un Messaggio per questo 70.mo anniversario, in cui scrive che “la commemorazione potrebbe essere definita come una memoria futuri”. Un appello alle nuove generazioni a non abbassare mai la guardia. E’ anche questo il senso, poi, del ricordare…

    R. – Sono assolutamente d’accordo con Papa Francesco. Mi permetto di esserlo. Ho avuto la fortuna di incontrarlo tre volte ed ogni volta - tra virgolette - non ha mai deluso le mie aspettative. Le parole del Papa sono state le parole di una persona che tiene alla storia quanto noi, che tiene alla memoria quanto noi. Dobbiamo lavorare tutti quanti insieme. Non dobbiamo soltanto non dimenticare, ma dobbiamo fare in modo che quello che è accaduto non accada più per gli ebrei e per chiunque sia discriminato.

    A 70 anni dalla deportazione degli ebrei romani, la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità ebraica di Roma, come ogni anno dal 1994, faranno memoria di questo “tragico momento” della vita della città con un pellegrinaggio della memoria “perché tutti, soprattutto le giovani generazioni, non dimentichino la deportazione avvenuta durante l’occupazione nazista”. La manifestazione è indetta per oggi alle 18.45 e prevede, dopo l’intervento di mons. Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, una marcia silenziosa da piazza S.Maria in Trastevere a Largo 16 ottobre 1943. Un cammino a ritroso lungo il percorso dei deportati che dal ghetto furono condotti al Collegio Militare a Trastevere prima di essere imprigionati nei treni con destinazione Auschwitz. Alla marcia, oltre a centinaia di giovani delle scuole romane e a immigrati, parteciperanno anche: Enzo Camerino, deportato (uno dei 16 superstiti), Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, Renzo Gattegna, presidente delle Comunità ebraiche italiane, Ignazio Marino, sindaco di Roma, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio. (R.P.)

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    "Bra Day 2013": esperti e chirurghi informano su tumore al seno e ricostruzione mammaria

    ◊   Si celebra oggi il "Bra Day Italy" 2013, la Giornata internazionale per la consapevolezza sulla ricostruzione mammaria, un evento che viene organizzato in oltre dieci Paesi. In Italia sono diversi i centri che stanno festeggiando questa giornata. Fra questi, il Policlinico Agostino Gemelli di Roma impegnato in un pomeriggio di incontro fra oncologi, psicobiologi, chirurghi plastici e pazienti, per condividere la propria esperienza vissuta nelle fasi della malattia, dalla diagnosi di cancro al seno alla ricostruzione mammaria. Qual è lo scopo del Bra Day? Eliana Astorri lo ha chiesto alla dottoressa Marzia Salgarello, ricercatore dell’Unità di chirurgia plastica del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

    R. - Anzitutto divulgativo, perché la cosa più importante è che le pazienti possano sapere che la ricostruzione mammaria si può fare e si può fare praticamente in ogni caso. E che siano informate per chiederla, perché non sempre viene proposta. Quindi, uno scopo informativo e divulgativo.

    D. - Ci può spiegare la fase in cui il medico informa la donna dell’asportazione della mammella che subirà e l’ipotesi di ricostruzione?

    R. - Sì, tutto questo avviene nelle strutture dedicate. Nel momento in cui il chirurgo senologo, o comunque il chirurgo che si occupa di mammella, fa la diagnosi, mette la paziente di fronte alla chirurgia terapeutica, che è quella di asportazione della mammella, cosiddetta mastectomia. Dunque, in questo momento, bisogna far sapere alle nostre pazienti, alle signore, che è possibile una ricostruzione. Ma per fare tutto ciò bisogna essere in grado di effettuarla e non tutti gli ospedali hanno questa possibilità, perché è un’opzione ricostruttiva plastica, per cui l’ideale sarebbe che ci fosse il chirurgo plastico. Forse, questa è la limitante, che non in tutte le strutture ospedaliere universitarie in cui si fa la chirurgia della mammella, c’è anche la possibilità dell’integrazione con la chirurgia plastica. Da qui - ripeto - l’importanza delle strutture dedicate, le cosiddette breast unity, in cui il gruppo è multidisciplinare: ci sono, oltre ai chirurghi senologi, gli oncologi, ci sono i radioterapisti, ci sono gli psiconcologi e, appunto, c’è il chirurgo plastico. Questa è - diciamo - la situazione che fa la differenza.

    D. - La mastectomia oggi è sempre più conservativa?

    R. - Sì, per fortuna sì. Ovvero, la mastectomia oggi risparmia quanto più può di pelle della mammella: passiamo dalle mastectomie tradizionali in cui si portava via tanta pelle a quelle in cui si porta via tutto l’interno, ovvero la ghiandola, portando via dell’esterno solo l’areola e il capezzolo o addirittura alle più moderne - si chiamano nipple-sparing - col risparmio dell’areola e del capezzolo. Queste sono, dal punto di vista ricostruttivo, molto più belle perché conservando tutto l’esterno, noi abbiamo solo il problema di riempire questo involucro cutaneo, perché viene portata via la ghiandola, che è appunto il contenuto, rimanendo intatto l’esterno.

    D. - Dottoressa, per la donna è quindi importantissimo sapere prima quale sarà il risultato della ricostruzione, come verrà effettuato, quali saranno i tempi di convalescenza?

    R. - Sì. L’informazione non è solamente dire si può ricostruire, ma è valutare insieme come ricostruirla, perché le opzioni - come abbiamo detto - terapeutiche, ricostruttive e plastiche ricostruttive sono più di una. Ci sono parecchie possibilità. Decidere in ogni caso cosa fare con la singola persona vuol dire calibrare l’intervento sulla paziente. Quindi, parlare con lei, spiegarle e vedere cosa vuole fare, perché non sempre quello che il medico ha in mente è in realtà quello che la paziente desidera o quello che lei è disposta a fare. Perché alcune possibilità terapeutiche sembrano molto semplici - come la protesi - però poi a distanza di tempo la paziente dovrà fare altri interventi, perché la protesi un pochino si modifica nel tempo, mentre se scegliesse un’opzione con i tessuti propri - per esempio con i tessuti della pancia - nell’immediato avrà un intervento un pochino più complesso, però alla lunga avrà una intervento che è più definitivo, che poi non deve ritoccare. Sono quindi tutte cose che bisogna mettere sul piatto della bilancia e verificarle con le pazienti. Non è solo informare su cosa si può fare, ma informare sul come si può fare e vedere la paziente che cosa ha voglia di fare in quel momento, perché tutto è perfettibile. Tutto questo - lo ripeto - va calibrato sulla paziente, perché è la paziente che deve decidere. Non le deve essere imposta né la ricostruzione, né la metodica di ricostruzione. E’ molto importante entrare in sintonia con le persone, perché tutto questo è un mondo che è difficile affrontare. E’ un impatto molto forte: la diagnosi, la cura che si propone e poi la ricostruzione… Alcune persone non ce la fanno. E’ un grosso peso psicologico oltre che fisico. Quindi, bisogna stare molto attenti a come si dicono le cose per farle accettare nella maniera giusta.

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    In pellegrinaggio a Roma la reliquia di S. Camillo de Lellis a 400 anni dalla morte

    ◊   Proseguono le cerimonie per il quarto centenario della morte di San Camillo de Lellis. Oggi, il cuore del Gigante della carità ha fatto tappa all’Ospedale "Madre Giuseppina Vannini" di Roma. Il servizio di Davide Dionisi:

    Il cuore di San Camillo de Lellis nel cuore della sofferenza. Oggi, la reliquia dell’Apostolo di Bucchianico ha fatto tappa nell’Auditorium del nosocomio romano tenuto dalle sue Figlie, l’Ospedale “Madre Giuseppina Vannini”. Attorno ai sacri resti si è riunito in preghiera il personale sanitario, le religiose, gli ammalati e i ragazzi che frequentano il corso di Laurea in Infermieristica della Scuola “Padre Luigi Tezza”. La riflessione ha evidenziato che a quattrocento anni dalla scomparsa di San Camillo, primo grande riformatore del servizio nei confronti di chi soffre, il malato continua a essere una scuola di teologia e di spiritualità. Insegna ad amare Cristo così come ad amare il prossimo. Per questo, è importante assicurare un trattamento eccellente non solo sotto il profilo sanitario, ma anche sotto l’aspetto umano. La Santa Messa è stata presieduta dal superiore generale dei Ministri degli Infermi, padre Renato Salvatore. A lui abbiamo chiesto se il messaggio di San Camillo può essere considerato ancora attuale.

    R. – E’ un messaggio certamente molto attuale, poiché la sofferenza, la malattia in un modo o in un altro, direttamente o indirettamente, tocca qualsiasi persona, e in quel momento siamo particolarmente fragili e bisognosi della solidarietà e della presenza di qualcuno accanto a noi.

    D. – A 400 anni dalla morte dell’Apostolo di Bucchianico, che messaggio ha lasciato ai Camilliani ma anche a chi è particolarmente vicino al letto della sofferenza?

    R. – Di lottare: lottare per il bene, unendo, coinvolgendo tutte le forze positive che ci sono, e sono veramente tante. E l’Italia, in particolar modo, si distingue per la forza del volontariato, della solidarietà, soprattutto nei momenti del bisogno. Occorre anche però che questa battaglia per il bene all’interno delle strutture sanitarie sia fatta con il coinvolgimento di tutte le persone.

    D. – Si parla sempre più spesso di umanizzazione degli ospedali, della sanità: che contributo danno i Camilliani in questo senso?

    R. – San Camillo diceva ai suoi religiosi, e quindi lo ripete un po’ a tutti gli operatori sanitari: “Più cuore in quelle mani!”. Ossia, certamente serve la professionalità, ma occorre anche tanta umanità.

    D. – Ha senso parlare di "100 braccia" della carità in un momento di spending review, in un momento in cui la sanità sta soffrendo così tanto, perché non può contare su sostegno economico da parte delle istituzioni?

    R. – "100 braccia" significa anche che se tutti ci coinvolgiamo soprattutto nella fase preventiva di tante malattie, certamente ci sarà un risparmio enorme, tenendo conto che nel mondo dell’economia e della finanza il valore fondamentale e ciò che fa risparmiare di più è proprio l’etica.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine: al via la Conferenza sulla Nuova evangelizzazione

    ◊   Un confronto sulla riscoperta e l'approfondimento della fede, la missione di evangelizzazione affidata alla Chiesa e l'opera di annuncio del Vangelo ai tempi moderni, grazie anche all'uso delle nuove tecnologie. Sono questi alcuni fra i molti punti che verranno affrontati dalla prima Conferenza filippina sulla Nuova evangelizzazione, che si è aperta oggi (e durerà fino al 18 ottobre) all'università di San Tommaso a Manila. All'evento - riferisce l'agenzia AsiaNews - partecipano oltre 5mila persone fra locali e delegazioni straniere, la maggior parte delle quali provenienti da tutte le Chiese dell'Asia e un rappresentante Vaticano. Nel corso dell'omelia il cardinal Tagle ha rivolto un pensiero alle vittime del sisma, che ha colpito ieri il centro delle Filippine. Al centro della tre giorni l'invito alla conversione rivolto a ciascun fedele, il quale è poi chiamato "al compito di evangelizzare" all'interno della propria famiglia, della comunità, dei luoghi di lavoro. Particolare attenzione è dedicata al ruolo dei laici, perché non è riservata solo a sacerdoti e religiosi l'impegno di testimoniare la parola di Dio e annunciare il Vangelo. Fra i temi oggetto della Conferenza i canali per l'incontro con Dio, la devozione popolare e la Nuova evangelizzazione, le vie di comunione e rinnovamento, la dimensione missionaria dell'evangelizzazione. Introducendo l'evento l'arcivescovo di Manila card Luis Antonio Tagle ha sottolineato che sarà funzionale "non solo per rafforzare la fede dei cattolici filippini, ma anche la missione della Chiesa al servizio degli elementi poveri della società". La tre giorni si è aperta oggi con la messa celebrata dal cardinale di Manila, usando la lingua, i gesti e i simboli caratteristici della cultura cristiana filippina. A seguire un confronto con i laici e i membri del clero sulle storie di fede fra le nuove generazioni. Nel pomeriggio approfondimenti sul rapporto con Dio e le esperienze di preghiera per stabilire un dialogo profondo con il Signore. Fra i vari aspetti trattati l'analisi della Bibbia, la musica e le arti, i nuovi media, la giustizia e la pace. La giornata si conclude con un'adorazione eucaristica secondo la preghiera di Taizé. Durante l'omelia, il card Tagle ha ricordato le vittime del terremoto di ieri nelle Filippine che ha seminato morti e causato la distruzione di molte chiese storiche e centenarie del Paese. "Spezza il cuore - ha dichiarato l'arcivescovo di Manila - vedere chiese antiche, pietre miliari di una fede centenaria, polverizzate... e non sappiamo nemmeno se potranno essere ricostruite". Il porporato ha quindi auspicato che la Conferenza stessa possa contribuire a "ricostruire" il mondo "nell'unico modo possibile", attraverso il Cristo e la sua "parola di vita". Questa è "la fede in mezzo alle rovine", ha quindi aggiunto, e segno di un amore che è più forte della morte e della rovina. Nel corso della cerimonia è stata effettuata una raccolta fondi che verrà destinata alle vittime del sisma. (R.P.)

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    Sisma nelle Filippine: oltre 140 morti il bilancio provvisorio delle vittime

    ◊   Le Filippine centrali contano i danni del sisma di ieri mattina in una situazione che continua ad aggravarsi, resa ancora più precaria dalle continue scosse di assestamento: quasi 900 finora, di cui una quindicina nettamente percepibili, che hanno seguito il sisma principale di magnitudine 7.2. Le ultime - riferisce l'agenzia Misna - alle 9.36 di questa mattina (le 3.36 in Italia) e alle 10.42, con epicentro nella stessa area della scossa principale di ieri, l’area metropolitana di Tagbilaran, sull’isola di Bohol. 140 i morti accertati e 276 i feriti, ma ci sono dispersi, mentre altre persone ancora in vita sono state individuate sotto le macerie. Le municipalità di Tagbilaran, Loon e Carmen, nella provincia isolana di Bohol, restano le più colpite, sia come danni, sia come vittime. Proprio a Tagbilaran è atterrato poche ore fa il presidente Benigno Aquino II per una breve visita prima di partire per la Corea del Sud. L’intera isola, posta come quella di Cebu sotto lo stato di calamità naturale, manca di energia elettrica e al dramma delle vittime e dei sopravvissuti si affiancano le massicce distruzioni che hanno coinvolto una buona parte delle antiche chiese locali, eredità storica del passato coloniale ma anche delle radici della cattolicità nell’arcipelago, al centro di devozione e dell’industria turistica locale insieme alle spiagge e alle colline ondeggianti dell’interno. Sulla vicina Cebu, sensibili i danni al centro abitato di Cebu City, seconda città delle Filippine come importanza, e alle comunicazioni dell’isola. Conseguenze anche per le isole di Sequijor, Leyte, Samar e Negros, separate da stretti bracci di mare. Ovunque gravi danni e vittime per le frane e gli smottamenti, che hanno colpito soprattutto le maggiori vie di comunicazione poste a ridosso della costa, ma anche strade e ponti dell’interno. Nella notte, il numero delle persone ufficialmente colpite dal sisma è salito a 2,8 milioni in 879 centri abitati nell’intera regine centrale delle Filippine, quella delle Visayas. Come comunicato dalla responsabile della protezione civile per le Visayas, Minda Morante, il numero delle vittime continuerà a salire, perché ci sono ancora regioni isolate o appena raggiunte dalle squadre di soccorso e altre dove mezzi e personale sono inadeguati. (R.P.)

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    Giappone. Il tifone Wipha colpisce Tokyo: almeno 13 vittime

    ◊   Il tifone Wipha ha colpito questa mattina la zona nei pressi di Tokyo, capitale del Giappone, uccidendo almeno 13 persone e causando frane e smottamenti nell'isola Isu Oshima. Le vittime sono decedute a causa del crollo di diverse abitazioni. Cancellati i voli da e per Tokyo, il servizio ferroviario ultra-veloce e quello scolastico. Al momento - riferisce l'agenzia AsiaNews - le autorità hanno evacuato circa 20mila persone, mentre iniziano i lavori di primo soccorso per le zone colpite. Wipha è il 26mo tifone della stagione in Asia, si sposta alla velocità di 35 chilometri orari in direzione nord-est, accompagnato da raffiche di vento che sfiorano i 200 km/h. Le immagini trasmesse dalla tv pubblica Nhk mostrano uno scenario catastrofico. Decine di case sono state distrutte. "Non abbiamo idea di quale possa essere l'entità reale dei danni", ha dichiarato Hinani Uematsu, uno dei responsabili dell'amministrazione locale. Hiroyuki Uchida, funzionario dell'Agenzia meteorologica nazionale, dice: "È il più violento tifone degli ultimi dieci anni a colpire la regione di Kanto, dove si trova la capitale Tokyo". La Tokyo Electric Power (Tepco), compagnia che gestisce gli impianti nucleari colpiti dal disastro di Fukushima, ha subito dichiarato che metterà in sicurezza gli impianti e aumenterà la sorveglianza. (R.P.)

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    India. Ciclone Phailin: la Caritas chiede acqua potabile per i 100 mila sfollati dell’Orissa

    ◊   Almeno 30morti accertati; oltre 100mila persone senza casa; 500mila ettari di campi danneggiati; 14.500 villaggi e 39 città colpite in modo grave; 300mila case distrutte; il 15% del raccolto di riso perduto: è il bilancio fornito dalla Caritas India sui danni causati dal ciclone Phailin in Orissa. L'associazione cattolica - riferisce l'agenzia AsiaNews - è impegnata nelle attività di soccorso e recupero insieme al governo centrale e locale. Secondo stime del governo, il tifone è il peggiore che abbia colpito lo Stato indiano negli ultimi 14 anni. Phailin (dal thailandese "zaffiro") si è abbattuto sulle coste dell'Orissa lo scorso 12 ottobre con una velocità di 250 km/h, per poi spostarsi sull'Andhra Pradesh. I danni più gravi si sono avuti nei villaggi lungo la costa dell'Orissa. Secondo la Caritas, il problema più urgente è quello di fornire acqua potabile ai sopravvissuti, per evitare lo sviluppo e la diffusione di malattie. Il governo dell'Orissa ha allestito 1.073 campi di soccorso per ospitare profughi ed evacuati. Le autorità hanno portato in salvo prima che il ciclone si abbattesse circa 873mila persone. In Andhra Pradesh sono stati aperti 135 campi e 129mila persone sono state invitate ad evacuare dalle loro case. Queste precauzioni hanno consentito di limitare il numero di vittime: quasi tutti i morti infatti hanno perso la vita per colpa degli alberi sradicati da Phailin, e non intrappolati nelle loro case. Il primo ministro Manmohan Singh ha annunciato un risarcimento di 200mila rupie (2.392 euro) per le famiglia di ciascuna persona uccisa, e 50mila rupie (600 euro) per i feriti gravi. (R.P.)

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    Iraq: sono quasi mezzo milione i civili morti tra il 2003 e il 2011

    ◊   Sono quasi mezzo milione i civili che hanno perso la vita in Iraq tra il 2003 e il 2011. Lo afferma uno studio condotto negli Stati Uniti, che eleva notevolmente la cifra dei 115mila morti civili calcolati da "Iraq Body Count", autorevole sito britannico che tiene conto dei dati forniti da ospedali, media, fonti governative e Ong. La cifra fornita dal nuovo studio, condotto da universitari statunitensi e canadesi in collaborazione col Ministero della sanità iracheno - riferisce l'agenzia AsiaNews - guarda non solo alle vittime provocate direttamente dal conflitto - compresi gli attentati - ma anche dai morti causati dalle conseguenze sociali seguite alla guerra, come, ad esempio, i problemi igienici. Ma un articolo che accompagna lo studio, Salman Rawaf, dell'Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che i risultati della ricerca "sono segnati dall'incertezza". La ricerca, pubblicata da PLoS Medicine, è stata condotta tra gli abitanti di duemila centri di una ventina di regioni irachene ai quali sono state chieste le circostanze della morte delle persone del loro ambiente. Secondo tali dati, rapportati all'intero Paese, i cercatori stimano in 461mila gli iracheni deceduti tra marzo 2003 e la metà del 2011 per le violenze e le loro conseguenze. Combattimenti, attentati e omicidi sono la causa del 70% di tali morti, mentre il restante 30% va attribuito ai fattori indiretti conseguenti al conflitto. Nel 35% dei casi, gli intervistati attribuiscono la morte alle forze della coalizione e nel 32% ai gruppi di militanti. Quando non è la violenza a essere chiamata direttamente in causa, le cause dei decessi sono attribuite alle carenze del sistema sanitario, disastrato dalla guerra. (R.P.)

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    Siria. Mons. Marayati: le politiche della comunità internazionale incentivano la fuga dei cristiani

    ◊   “Negli ultimi tempi tra la gente è girata la voce che 17 Paesi hanno aperto le porte ai profughi siriani. Questa notizia ha riacceso con più forza anche tra i cristiani l'impulso a lasciare la Siria”. Lo dichiara all'agenzia Fides l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati, aggiungendo che “per ora non si tratta di un esodo di massa, ma il fenomeno coinvolge un numero crescente di famiglie”. L'arcivescovo armeno cattolico conferma che i cristiani più ricchi sono già partiti, mentre per gli altri “rimane pericoloso e anche molto costoso ogni tentativo di uscire dal Paese, perchè servono tanti soldi. Ma quelli che hanno già raggiunto il Libano adesso sottoporranno agli organismi dell'Onu le loro richieste di espatrio, confidando che siano accolte con prontezza”. Secondo l'arcivescovo Marayati “la situazione siriana diventa sempre più complicata, e ogni sua banalizzazione appare fuoviante”. Ad esempio, accanto ai cristiani che fuggono ce ne sono altri che ritornano a Aleppo dopo essersi rifugiati nell'area costiera di Lattakia, perché “non avevano soldi per pagare l'affitto dell'alloggio e qui possono mandare anche i figli alle scuole, che hanno riaperto”. Anche l'idea di un fronte unico delle milizie d'opposizione che combattono contro il regime appare ormai da accantonare in via definitiva, perchè tra i ribelli “ci sono tante fazioni che sul campo si combattono tra loro”. Nei giorni scorsi l'esercito di Assad ha riaperto la strada che univa Aleppo a Homs. L'allentamento dell'assedio ha consentito di far arrivare in città derrate alimentari che mancavano da mesi. Ma l'arcivescovo Marayati assicura che il sollievo concreto percepito dalla popolazione è stato finora minimo: “Il cibo diventa sempre più caro, mancano corrente e acqua in molti quartieri. Passiamo il tempo a distribuire aiuti alimentari e beni di prima necessità, e le famiglie che li chiedono aumentano sempre. Nei quartieri periferici e nei sobborghi le esplosioni e i bombardamenti continuano. Anche ieri, nel giorno della festa musulmana del Sacrificio, hanno segnato l'intera giornata, senza alcuna tregua”. (R.P.)

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    Centrafrica: per operatori umanitari "violenza senza precedenti"

    ◊   Sta peggiorando di giorno in giorno la sorte di più di 30.000 persone costrette alla fuga dopo l’ultima ondata di violenza “senza precedenti” nella regione di Bossangoa (nord-est), teatro di attacchi ed esecuzioni sommarie da parte di gruppi armati e forze governative. A denunciarlo - riporta l'agenzia Misna - è l’organizzazione non governativa Medici senza frontiere (Msf), chiedendo alle parti rivali di “rispettare la sicurezza dei civili e degli operatori umanitari” e auspicando “l’invio di aiuti urgenti”. Il primo motivo di preoccupazione riguarda l’aumento esponenziale dei casi di malaria, prima causa di mortalità nel Paese. “La gente si rifugia nella foresta e vive in condizioni di grande promiscuità. Cucinano, mangiano, dormono e si lavano tutti nello stesso posto. Le condizioni igienico-sanitarie disastrose aumentano il rischio di un’epidemia” ha detto Ekkeb Van der Velden, capo missione di Msf in Centrafrica, sottolineando che “sul terreno non è ancora presente un numero sufficiente di operatori per rispondere a tutte le necessità”. L’altra emergenza riguarda il cibo. Molti depositi di cereali, pubblici e privati, sono stati saccheggiati dall’ex coalizione ribelle Seleka, con il risultato che le riserve alimentari sono quasi inesistenti. Per timore di essere attaccati, molti contadini non hanno nemmeno seminato e quindi il prossimo raccolto si attesterà su livelli molto bassi. Secondo l’Ufficio di coordinamento degli Affari umanitari (Ocha), nel nord-est del Paese almeno 45.000 persone sono a rischio carestia. Lo scenario è ulteriormente complicato dall’insicurezza diffusa, che rallenta o impedisce la consegna degli aiuti umanitari, ma anche dal fatto che molte località sono situate in zone remote del Paese dotate di poche infrastrutture. Alcuni osservatori locali e esterni hanno, inoltre, anche lanciato l’allarme di fronte al rischio che la crisi possa degenerare in conflitto interreligioso tra cristiani – la maggioranza dei cinque milioni di abitanti – e musulmani. A quasi sette mesi dal colpo di stato della ribellione Seleka, che ha portato al potere Michel Djotodia, il Paese è in preda al caos alimentato dall’ex coalizione ufficialmente sciolta e da innumerevoli uomini armati, per lo più stranieri, con rischi di destabilizzazione nell’intera regione dell’Africa centrale. La scorsa settimana il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione di pieno sostegno alla missione panafricana che si sta dispiegando nel Paese (Misca). Non è esclusa la possibilità dell’invio di Caschi blu e la Francia ha annunciato un prossimo potenziamento del suo contingente a Bangui. (R.P.)

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    Congo. La società civile: nel Nord Kivu truppe ugandesi e rwandesi sostengono ribelli dell’M23

    ◊   “Diversi battaglioni dell’esercito rwandese e di quello ugandese sono entrati nel territorio della Repubblica Democratica del Congo, per rafforzare le ribellione dell’M23, in preparazione di nuove ostilità contro il nostro esercito nazionale” denuncia un memorandum inviato al Presidente congolese Joseph Kabila dal Coordinamento della società civile del Nord Kivu. Il documento, giunto all’agenzia Fides, evidenzia i movimenti dettagliati delle truppe inviate da Kampala e Kigali nell’est della Rdc. In particolare l’11 ottobre “9 camion pieni di militari rwandesi e ugandesi sono entrati per il posto di frontiera di Bunagana (nel territorio di Rutshuru) accompagnati da un carro da combattimento, da diversi lanciarazzi e da un’imponente artiglieria”. Queste truppe si sono ripartite su 4 roccaforti detenute dall’M23 nell’area. Il 13 ottobre altri due battaglioni rwandesi hanno attraversato la frontiera nel Parco di Virunga. Secondo le testimonianza raccolte, in almeno uno dei due battaglioni sono presenti un centinaio di bambini soldato. In altre aree i militari rwandesi hanno installato armi pesanti su alcune colline strategiche in supporto dei ribelli dell’M23. Il memorandum denuncia inoltre che una riunione per coordinare la prossima offensiva nel Nord Kivu si è tenuta in un hotel di Gisenyi (in Rwanda) alla presenza degli alti comandi dell’esercito rwandese e del movimento M23. La società civile chiede alle autorità di Kinshasa di adottare le misure necessarie per scongiurare una nuova aggressione alle popolazioni che vivono nell’area e all’esercito nazionale incaricato di difenderle. (R.P.)

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    Libia in balia di islamisti e criminali. Il governo chiede alla Chiesa di lasciare il Paese

    ◊   Insicurezza, minacce a chi aiuta i migranti, rapine e violenze, stanno rendendo la Libia, soprattutto la Cirenaica, una terra senza legge, dove le bande armate islamiste hanno preso il posto della polizia. Tale situazione è un rischio per l'esistenza della Chiesa cattolica nel Paese. Invece di prendere provvedimenti il governo preferisce invitare i religiosi a fuggire. Nei giorni scorsi mons. Vincent Landel, arcivescovo di Rabat (Marocco) e presidente della Conferenza episcopale dell'Africa settentrionale, ha denunciato la situazione della Chiesa in Libia dove "le autorità hanno chiesto alle comunità religiose di lasciare il Paese, a causa del clima di insicurezza". Suore, medici e infermiere, la maggior parte di nazionalità filippina, lavorano da anni negli ospedali libici, curando infermi e anziani. Durante la guerra gli ambulatori e gli ospedali gestiti dai religiosi erano gli unici operativi. Fonti dell'agenzia AsiaNews, anonime per motivi di sicurezza, sostengono che la Libia è divisa in due: "A Bengasi la Chiesa riceve continue minacce ed è ormai quasi impossibile lavorare. La situazione è molto rischiosa". A inizio 2013 diversi Ordini hanno abbandonato i loro conventi, dopo 40 anni di missione. Ora un'altra ondata potrebbe lasciare la Cirenaica senza presenza cattolica. Secondo le fonti, la situazione è ormai al limite. L'unica area dove si può ancora lavorare è Tripoli. "La città è per il momento sicura - affermano - ciò consente a suore e operatori di carità di aiutare le centinaia di migranti che ogni giorno giungono in città, in attesa di trovare il denaro per fuggire in Europa. Tuttavia occorre lavorare con molta prudenza. Anche nella capitale si aggirano bande armate e non ci si può fidare di nessuno. I migranti si nascondono nei conventi e in case private, per evitare di essere rapinati o uccisi". (R.P.)

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    Brasile. Giornata del professore: feriti e scontri a Rio de Janeiro e San Paolo

    ◊   Quattro poliziotti feriti, 256 persone arrestate e sette filiali di banche date alle fiamme è il bilancio fornito stamane dalle principali testate brasiliane dopo la nottata di scontri, tra agenti del battaglione anti-sommossa e militanti di matrice anarchica, scoppiati nelle città di Rio de Janeiro e San Paolo, a margine dei cortei di protesta organizzati nel pomeriggio di ieri dagli insegnanti. Secondo quanto riferisce l’agenzia di notizie Misna riportando quanto divulgato dai media brasiliani: la marcia organizzata dai docenti per chiedere un adeguamento degli stipendi e migliori condizioni di lavoro, si stava svolgendo pacificamente, quando, verso la fine del percorso, sono scoppiati i disordini. Gas lacrimogeni e spray urticanti sono stati utilizzati dalle forze di polizia per disperdere i manifestanti. Come la settimana scorsa, in migliaia erano tornati a contestare, nel giorno della ‘Giornata del professore’, che in Brasile viene celebrata ogni anno il 15 ottobre, il piano del governo dello Stato di Rio che prevede incrementi retributivi del 15% solo a beneficio di una ristretta minoranza dei docenti. Le proteste di ieri seguono di alcuni mesi una massiccia mobilitazione popolare. A giugno decine di migliaia di manifestanti erano scesi in piazza per chiedere alla presidente Dilma Rousseff un ridimensionamento dell’eccessiva spesa pubblica legata ai Mondiali di calcio e le Olimpiadi, in programma in Brasile rispettivamente nel 2014 e nel 2016, e di investire invece di più nella scuola, nella sanità e nei trasporti pubblici. (C.S.)

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    India: centinaia di bambini sopravvivono dietro la stazione di Varanasi, vittime di abusi

    ◊   Centinaia di bambini vivono e vagano ogni giorno dietro la stazione ferroviaria di Varanasi, nell’Uttar-Pradesh, centro nevralgico nel nord del Paese attraversato quotidianamente da oltre 300 mila passeggeri. Alle spalle si trova Charbhuja Shahid, una mostruosa baraccopoli immersa nel fango dove vivono 200 famiglie in casupole costruite di spazzatura su spazzatura e dove l’abuso, il maltrattamento e lo sfruttamento dei minori - riferisce l'agenzia Fides - sono all’ordine del giorno. Lo racconta suor Manju, religiosa del Servizio Indiano delle Missioni e cofondatrice, insieme a padre Abhishiktanand, di 'Dare', la prima e unica Ong entrata in questo slum urbano dove vivono nella miseria più estrema, tra veicoli rubati e semi rimorchi che utilizzano come rifugio, i bambini che si perdono o che sono soli, abbandonati, fuggiti, ripudiati perché affetti da qualche disabilità o per il solo fatto di essere femmine. Sono i piccoli delle strade, del treno, si guadagnano da vivere raccogliendo spazzatura e detriti, chiedendo l’elemosina, rubando o sottoponendosi ad abusi sessuali da parte di turisti nazionali e visitatori occasionali nei bagni dei vagoni del treno. Alcuni lo fanno per ordine dei genitori, altri di adulti nelle cui mani sono caduti in un modo o nell’altro. A Charbhuja Shahid, racconta suor Manju, le piccole mani vuote di queste povere vittime servono per spegnere le sigarette e per questo i bambini salgono sui treni ancora in movimento per raccattare qualsiasi cosa rivendibile. Raccolgono spazzatura, riempiono bottiglie di acqua e le rivendono nei vagoni, ma a volte questo non basta e finiscono per subire violenze nei bagni. Attualmente il Centro 'Dare', aperto nel 2010 ad 8 chilometri da Varanasi, accoglie solo bambine, sono una trentina. Gli altri possono stare lì a giocare, imparare, riposare per qualche ora. La religiosa non è vista di buon occhio soprattutto dai genitori che sfruttano i piccoli, che lei invece cerca di salvare, solo per comprare alcool. L’obiettivo di 'Dare', comunque, è quello di costruire un nuovo Centro che consenta di riscattare anche i maschi e avere più posti. (R.P.)

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    India: le date dell'ostensione delle reliquie di San Francesco Saverio a Goa

    ◊   Si terrà dal 22 novembre 2014 al 4 gennaio 2015 la tradizionale ostensione a Goa delle reliquie di San Francesco Saverio, il grande missionario gesuita spagnolo patrono delle Missioni. Le date – riporta l’agenzia Ucan - sono state annunciate in un decreto dall’arcivescovo di Goa Damman e Diu, mons. Filipe Neri Ferrao. I resti del Santo saranno quindi traslate dalla cinquecentesca Basilica “Bom Jesus” alla più spaziosa cattedrale di Goa Antica dove resteranno esposte alla venerazione dei fedeli per 44 giorni. A breve sarà costituito un comitato organizzativo per l’evento che, come nelle precedenti edizioni, comprenderà una serie di iniziative parallele. L’ostensione, giunta alla sua 17ª edizione, si tiene ogni dieci anni, attirando centinaia di migliaia di fedeli anche da altri Paesi. L’ultima, avvenuta nel 2004, registrò il record di 2,25 milioni di pellegrini, quasi il doppio di quelli del 1994. San Francesco Saverio è annoverato tra i grandi missionari dell'epoca moderna ed è una figura fondamentale per il dialogo fra Oriente e Occidente. Nato in Navarra nel 1506, fu tra i fondatori della Compagnia di Gesù e cominciò la sua missione in Oriente proprio da Goa, nel 1542, adattando il messaggio evangelico con sapiente senso apostolico all'indole delle varie popolazioni. Nei suoi viaggi missionari toccò l'India, il Giappone e morì nel 1552, mentre si accingeva a portare il Vangelo in Cina. Fu canonizzato nel 1622 da Papa Gregorio XVI. I suoi resti sono conservati in un’urna d’argento salvata da un incendio nel 2004. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Nicaragua: una città isolata dai minatori. Mons. René Sándigo mediatore nel conflitto

    ◊   Per due giorni i minatori della zona mineraria di "Cafetal" hanno chiuso completamente la strada che porta alla cittadina di Santo Domingo, Chontales (circa 120 km ad est di Managua, la capitale del Nicaragua) per manifestare contro la compagnia mineraria canadese B2Gold. Forse oggi, dopo un primo intervento di mons. René Sócrates Sándigo Jirón, vescovo di Juigalpa, si spera di poter liberare il passaggio ed iniziare un dialogo fra le parti. Mons. René Sándigo, che è anche il presidente della Conferenza episcopale, come riferisce una nota inviata all’agenzia Fides, dietro richiesta dei piccoli gruppi dei minatori è riuscito a contattare le parti con diverse telefonate, come ha detto lui stesso, così "stiamo riuscendo a chiarire e a dialogare, e così ad arrivare ad un accordo e mettere fine al conflitto". In questa zona del Nicaragua ci sono piccoli gruppi di minatori (riuniti sotto l’unico nome di "Cafetal") che lavorano a diversi progetti dell'impresa canadese B2Gold. Da circa un mese questi gruppi hanno chiesto un indennizzo per diverse ragioni (materiale strumentale, mezzi di trasporto, contaminazione…) che però è stato rifiutato. La B2Gold, per mostrare la sua disponibilità, ha presentato la situazione al Centro Nicaraguense de Derechos Humanos (Cenidh), ma i gruppi dei minatori chiedono un intervento del governo per chiarire legalmente la situazione di tutti i lavoratori, in quanto non si conosce il numero preciso di quanti lavorano nella zona. In Canada l’Organizzazione cattolica per lo sviluppo e la pace (Occdp) ha recentemente promosso una campagna di educazione e di azione in seguito alle preoccupazioni espresse dalla Chiesa locale e dai vescovi dei Paesi del Sudamerica circa i lavori di estrazione mineraria condotti da alcune compagnie petrolifere canadesi. Nei giorni scorsi i rappresentanti delle Conferenze episcopali di Perú, Filippine e Repubblica Democratica del Congo, hanno incontrato i vescovi e la società civile canadese per illustrare esperienze e problemi dei rispettivi Paesi causati dall’attività di alcune compagnie minerarie e di multinazionali che si sono dimostrate insensibili alle esigenze della popolazione. (R.P.)

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    Panama: la Chiesa pronta a mediare tra governo e medici in sciopero

    ◊   Il Presidente del Panama, Ricardo Martinelli, ha ringraziato pubblicamente l’arcivescovo di Panama, mons. José Domingo Ulloa, perché la Chiesa cattolica ha accettato di partecipare come mediatrice nella disputa tra governo e medici, in sciopero da qualche settimana, e con le altre associazioni per la salute. Motivo della protesta è la legge 69, che autorizza l'assunzione di medici stranieri soprattutto per le zone più interne della nazione, e che, secondo gli scioperanti, avvierà una graduale privatizzazione del sistema sanitario. “La legge 69 mira ad accelerare un processo che deve risolvere l'urgente bisogno di nominare specialisti necessari nelle zone più interne della Repubblica" ha detto il Presidente Martinelli. "Si tratta di una legge per aiutare le persone, non contro i medici panamensi. Pertanto, come espressione di un governo che non ha mai chiuso la porta al dialogo, il Ministro della Sanità ha sempre mantenuto la comunicazione con i sindacati dei medici per integrare le loro osservazioni sul progetto. La prova di questo è data dal fatto che delle loro 14 osservazioni, 11 sono state incluse nel progetto" ha detto il Presidente alla stampa locale. Mons. José Domingo Ulloa Mendieta ha improvvisato una conferenza stampa durante la quale ha confermato l'intervento della Chiesa per un primo contatto fra le parti. “Siamo in un momento critico – ha sottolineato l’arcivescovo -, dove non dobbiamo cercare chi ha la colpa di cosa, ma cambiare atteggiamento ed essere capaci di dialogare. Dobbiamo, ancora una volta, fidarci degli altri, poiché si è persa la credibilità fra noi, e con gli altri. Ma tutto questo deve cambiare". Dalle ultime informazioni si apprende che gran parte dei medici è tornata al lavoro, ma la situazione rimane critica e, in qualche centro sanitario, molto tesa. (R.P.)

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    Paraguay: famiglia e comunicazione temi della Consiglio permanente dei vescovi

    ◊   Nella sede della Conferenza episcopale del Paraguay si conclude oggi la 5° riunione annuale del Consiglio episcopale permanente la cui agenda prevede la pianificazione dell’ultimo anno del Triennio dedicato alla famiglia, il funzionamento e i progetti sulle piattaforme delle comunicazioni e l’agenda definitiva per la Assemblea plenaria, prevista dal 4 all'8 novembre prossimi. La riunione ha visto la partecipazione del direttore della pastorale digitale della Conferenza episcopale argentina, Tadeo Russo che ha presentato ai vescovi, il sistema di digitalizzazione dei documenti della Chiesa argentina. Russo, ha anche partecipano alla riunione dei responsabili della Pastorale della comunicazione di tutte le diocesi che hanno riflettuto sull’importanza della piattaforma episcopo.net e della digitalizzazione dei documenti, per rendere più agibile la comunicazione interna della Chiesa, cosi da renderli accessibili ai fedeli e alla intera società. Oggi, parallelamente alla riunione del Consiglio permanente dell’episcopato avrà luogo la riunione dei responsabili della pastorale della famiglia per presentare il programma dell’ultimo anno del Triennio della Famiglia, iniziato nel 2012, che ha per tema “Famiglia e vita”. Inoltre, sarà presentato il rapporto sui risultati ottenuti dagli anni precedenti. (A.T.)

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    Terra Santa: incontro tra patriarca di Gerusalemme e ministro israeliano del Turismo

    ◊   Promuovere insieme il turismo religioso e il pellegrinaggio, “privilegiato ponte di dialogo e di pace”. Questa l’iniziativa sposata congiuntamente dalla Chiesa di Terra Santa e dal ministero del Turismo dello Stato di Israele, in un incontro avvenuto lunedì scorso a Gerusalemme, tra il Patriarca latino di Gerusalemme, anche presidente dell’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, mons. Fouad Twal, e il ministro israeliano del Turismo, Uzi Landau. Secondo quanto reso noto dall’agenzia di notizie Sir, tra i punti toccati dai due riuniti allo stesso tavolo, anche la prossima celebrazione della messa di chiusura dell’Anno della Fede, prevista a Nazareth, sul Monte del Precipizio, per il prossimo 17 novembre. A tal proposito il ministro del Turismo ha espresso la speranza che questo appuntamento possa segnare “l’inizio di una cooperazione rafforzata e prolungata tra il ministero e la Chiesa cattolica, in quanto il pellegrinaggio funge da ponte per la pace, che riunisce i popoli e le culture di tutto il mondo”. Idea condivisa anche dal patriarca Twal che ha sottolineato lo “spirito di cooperazione autentica e di grande, sincera e reciproca intesa; condividiamo entrambi l’interesse comune a far si che l’esperienza di un soggiorno in questa terra sia tale da trasformare pellegrini e turisti in nuovi ambasciatori della Terra Santa”. Alla riunione era presente il sindaco di Nazareth, Ramiz Jaraisy. (C.S.)

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    Usa: uno studio conferma il carattere sempre più multiculturale delle parrocchie statunitensi

    ◊   Le comunità parrocchiali negli Stati Uniti sono sempre più multiculturali: è quanto conferma uno studio condotto dal Centro per la Ricerca Applicata nell’Apostolato della Georgetown University (Cara). La ricerca evidenzia che più di un terzo delle comunità parrocchiali statunitensi sono composte da fedeli appartenenti a comunità di origine straniera dove le liturgie sono celebrate regolarmente anche in lingue diverse dall’inglese e dallo spagnolo. Il 'Cara' stima in circa 6.700 il numero di comunità parrocchiali che possono definirsi multiculturali, molte delle quali si trovano nel nord e nel sud del Paese. Si tratta anche di piccole comunità situate in aree remote, spesso guidate da un solo sacerdote: le cosiddette Home Missions. Tra le messe non in inglese, l’81% sono in lingua spagnola. Secondo lo studio, nel periodo compreso tra il 2005 e il 2010, si è registrata una ulteriore crescita del numero di fedeli ispanici pari all’1,5%, mentre quelli di origine asiatica sono cresciuti dello 0,5%. L’aumento dei fedeli nelle parrocchie americane di questi ultimi anni è da attribuire proprio alla crescita degli ispanici. Questo contesto multiculturale spiega la crescente attenzione della Chiesa statunitense per le tradizioni e festività delle comunità straniere, come è il caso della Solennità di Nostra Signora di Guadalupe. Al fine di offrire un servizio spirituale adeguato alle esigenze delle comunità ispaniche, la Conferenza episcopale ha, tra l’altro, adottato nel 2011 la traduzione spagnola di una serie di aggiunte al Messale Romano per includere le feste dei santi ispanici. Secondo lo studio gli ispanici cattolici sono circa trenta milioni, il 59% del totale. Circa 3,6 milioni sono quelli di origine asiatica o pacifica, mentre gli afro-americani sono tre milioni. (L.Z.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 289

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.