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Sommario del 09/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la Chiesa non è un’élite, ma la casa di tutti dove l'unità non è uniformità
  • Il Papa prega per la pace in Medio Oriente, i cristiani rafforzino la fraternità con i musulmani
  • Il card. Sandri: Papa vicino ai superstiti di Lampedusa; suo elemosiniere nell'isola, mai accaduto prima
  • Il card. Dolan: Papa Francesco amato dal popolo Usa, la sua è una leadership provvidenziale
  • La visita del card. Filoni in Sud Corea: una Chiesa giovane, viva e in crescita
  • Gli auguri del Papa alla presidente argentina De Kirchner dopo l'operazione
  • Nomina pontificia
  • Vaticano. Adottata nuova legge che rafforza trasparenza, vigilanza e informazione finanziaria
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ue pronta ad accogliere i profughi siriani. Usa e Russia lavorano a "Ginevra 2"
  • Afghanistan: ex "signore della guerra" Dostum si scusa per i suoi crimini e si candida a vicepresidente
  • Usa a rischio default. Obama: conseguenze peggio di una bomba atomica
  • Lampedusa, Barroso: 30 mln di euro per gestire l'emergenza immigrazione
  • Rapporto Ocse: flussi migratori in aumento ma con livelli inferiori a quelli pre-crisi
  • Vajont, 50 anni dopo la tragedia. I ricordi di un sopravvissuto
  • Presentato il libro di Andrea Riccardi "La sorpresa di Papa Francesco"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine: la Chiesa riflette sulla “nuova evangelizzazione” in Asia
  • Turchia: nuovo Campo dei Cavalieri di Malta per i rifugiati siriani a Kilis
  • India: violenza sulle donne. Vescovo di Mumbai: ripartire dalla famiglia per cambiare la società
  • Sri Lanka. Leader cattolici: stabilità e sviluppo per i tamil del Nord
  • Partito da Berlino il "treno cristiano per la pace" in Corea
  • Niger: oltre 360 bambini con meno di 5 anni di età morti per denutrizione acuta severa
  • Congo: cresce la tensione nel Nord Kivu
  • Nobel Chimica a un austriaco, un britannico e un israeliano
  • Perù: detenuti marciano contro la criminalità a Chimbote, presente il vescovo
  • Nuova Zelanda. I vescovi: no al suicidio assistito
  • Belgio. Mons. Leonard: "Fermare le leggi sull'eutanasia"
  • Turchia: le proprietà del monastero di Mor Gabriel restituite ai siro-ortodossi
  • Israele: oltre 700 mila ai funerali di Rabbi Ovadia Yosef, padre spirituale dello Shas
  • Germania: i missionari scalabriniani in cammino con i migranti e i rifugiati
  • Spagna: convenzione Caritas catalana per aiutare gli ipovedenti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la Chiesa non è un’élite, ma la casa di tutti dove l'unità non è uniformità

    ◊   Perché la Chiesa è cattolica? È la domanda che Papa Francesco ha posto all’inizio della catechesi dell’udienza generale, tenuta questa mattina in Piazza San Pietro di fronte a oltre 60 mila persone. Il Papa ha ribadito che nella Chiesa unità e diversità convivono in “armonia”, invitando ancora una volta a evitare le “chiacchiere” che seminano discordia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Casa di tutti”, sparsa ovunque nel mondo e che ovunque è chiamata a unire in armonia le sue giuste diversità, che costituiscono la sua ricchezza. C’è tutto questo e molto altro dietro l’aggettivo “cattolica” che ogni cristiano ripete nella formula del Credo riferendosi alla Chiesa. Papa Francesco lo ha ribadito cogliendo nella cattolicità della Chiesa tre aspetti peculiari. La Chiesa è cattolica, ha affermato, anzitutto “perché è lo spazio, la casa in cui viene annunciata tutta intera la fede” e “in cui la salvezza che ci ha portato Cristo viene offerta a tutti". E questo pone delle domande alla coscienza:

    “Quando io vado in chiesa, è come se io fossi allo stadio, a una partita di calcio? E' come se fossi al cinema? No! E’ un’altra cosa! Come vado io, in chiesa? Come accolgo i doni che mi offre, per crescere, per maturare come cristiano? Partecipo alla vita di comunità o vado in chiesa e mi chiudo nei miei problemi, isolandomi dagli altri? In questo primo senso, la Chiesa è cattolica perché è la casa di tutti: tutti sono figli della Chiesa e tutti sono in quella casa”.

    Secondo, la Chiesa è cattolica perché, come casa “aperta a tutti senza distinzioni”, è “universale”, “sparsa in ogni parte del mondo” ad annunciare il Vangelo. Per questo motivo, obietta Papa Francesco:

    “La Chiesa non è un gruppo di élite, non riguarda solo alcuni. La Chiesa non ha chiusure, è inviata alla totalità delle persone, alla totalità del genere umano. E l’unica Chiesa è presente anche nelle più piccole parti di essa (...) La Chiesa non è solo all’ombra del nostro campanile, ma abbraccia una vastità di genti, di popoli che professano la stessa fede”.

    A questo punto, il Papa si appella al cuore dei cristiani, perché questo abbraccio universale lo avvertano sulla loro pelle, comprese le responsabilità che ne derivano:

    “Sentirci in comunione con tutte le Chiese, con tutte le comunità cattoliche piccole o grandi del mondo! E’ bello, quello! E poi sentire che tutti siamo in missione, piccole o grandi comunità, tutti dobbiamo aprire le nostre porte ed uscire per il Vangelo. Chiediamoci allora: che cosa faccio io per comunicare agli altri la gioia di incontrare il Signore, la gioia di appartenere alla Chiesa? Annunciare e testimoniare la fede non è un affare di pochi, riguarda anche me, te, ciascuno di noi!”.

    Terzo punto, la Chiesa è cattolica perché è la casa “dove unità e diversità sanno coniugarsi insieme per essere ricchezza”, né più né meno – spiega Papa Francesco – della sinfonia che risulta da un accordo di strumenti diversi, ognuno dei quali – afferma – “mantiene il suo timbro inconfondibile”, pur concorrendo a una “armonia” della quale il “Maestro” è lo Spirito Santo. Armonia – conclude il Papa – che nulla ha a che fare con personalismi e malelingue:

    “Ci sono chiacchiere? E, se ci sono chiacchiere, non c’è armonia: è lotta. E questa non è la Chiesa: la Chiesa è l’armonia di tutti. Mai chiacchierare l’uno contro l’altro, mai litigare. Accettiamo l’altro, accettiamo che vi sia una giusta varietà, che questo sia differente, che questo la pensa così, la pensa là? Ma, nella stessa fede si può pensare così! O tendiamo ad uniformare tutto? Ma, l’uniformità uccide la vita. La vita della Chiesa è varietà, e quando vogliamo mettere questa uniformità a tutti, uccidiamo i doni dello Spirito Santo!”.

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    Il Papa prega per la pace in Medio Oriente, i cristiani rafforzino la fraternità con i musulmani

    ◊   Dopo la catechesi, il Papa ha salutato i fedeli presenti in Piazza San Pietro per l’udienza generale, continuando a chiedere preghiere per la pace in Medio Oriente e nel mondo. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Un anno fa Benedetto XVI, dopo il suo viaggio in Libano, aveva inserito la lingua araba all’udienza generale, per esprimere a tutti i cristiani del Medio Oriente la vicinanza della Chiesa Cattolica ai suoi figli orientali. Papa Francesco ricorda questo anniversario rivolgendosi ai fedeli di lingua araba. Quindi, lancia questo nuovo appello:

    “Vi chiedo di pregare per la pace nel Medio Oriente: in Siria, in Iraq, in Egitto, in Libano e in Terra Santa, dove è nato il Principe della Pace, Gesù Cristo. Pregate affinché la luce di Cristo arrivi a ogni cuore e in ogni luogo, fino ai confini della Terra”.

    Salutando i vescovi della Conferenza Episcopale regionale del Nord-Africa, presenti all’udienza, li incoraggia a “consolidare i rapporti fraterni con i fratelli di religione islamica”. Poi afferma:

    “Non mancate di pregare lo Spirito Santo, affinché faccia di ciascuno un uomo e una donna di comunione, sempre pronto ad annunciare con gioia, a tutti e ovunque, il Vangelo della salvezza”.

    Infine, incoraggia tutti “a mettersi in ascolto delle ‘piaghe di Gesù’, mediante un’attenzione sollecita verso i più deboli e i più bisognosi” e saluta “con speciale affetto” i vescovi della Chiesa di tradizione alessandrina di Etiopia ed Eritrea, “ai quali – sottolinea - sono particolarmente vicino nella preghiera e nel dolore per tanti figli della loro terra che hanno perso la vita nella tragedia di Lampedusa”.

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    Il card. Sandri: Papa vicino ai superstiti di Lampedusa; suo elemosiniere nell'isola, mai accaduto prima

    ◊   Stamani, prima di partecipare all’udienza generale, i vescovi della Chiesa di tradizione alessandrina di Etiopia ed Eritrea hanno concelebrato con il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, una Messa di suffragio per le vittime del tragico naufragio avvenuto al largo dell’isola di Lampedusa. Il rito si è svolto all’altare del Sepolcro di San Pietro, nelle Grotte della Basilica Vaticana. Sergio Centofanti ha intervistato il cardinale Sandri:

    R. - Nell’omelia ci siamo riallacciati alle parole della lettura di Giona: ad un certo punto si legge: “… sarebbe meglio morire che vivere!”. Ho ripreso questa frase che abbiamo ascoltato anche da un giovane eritreo sopravvissuto a questa catastrofe di Lampedusa. Ci siamo così messi in sintonia con tanti giovani, con tante donne, con tante persone adulte che fuggono dall’Eritrea e dall’Etiopia che, a volte, a causa della situazione che vivono nel loro Paese, si trovano ad esclamare - come si legge nel Libro di Giona – “Sarebbe meglio morire che vivere!”. E invece, dalla Parola di Dio abbiamo richiamato tutto al Padre Nostro del Vangelo, per mettere tutta la nostra fiducia nel Signore che dovrà aiutarci a superare queste situazioni così difficili. Abbiamo pregato per i defunti, per le loro famiglie; abbiamo cercato di diffondere con la nostra preghiera una luce di vicinanza, di amicizia, di carità, di amore per tutti i sopravvissuti.

    D. - Che cosa chiedono i vescovi di queste Chiese alla comunità internazionale?

    R. - Alla comunità internazionale chiedono un aiuto per fare in modo che la gente non debba fuggire dal proprio Paese, che ci sia libertà, democrazia, la possibilità di vivere umanamente in questi Paesi e disporre delle cose che riteniamo minime per poter portare avanti una vita umana, e quindi, che l’Occidente e i Paesi della comunità internazionale possano aiutarli a restare in patria e a non fuggire attraverso questi pellegrinaggi della morte, sia nel deserto, sia nel mare.

    D. - Il Papa sta seguendo da vicino la situazione ed ha inviato il suo elemosiniere a Lampedusa …

    R. – È stato un gesto veramente importante. L’elemosiniere è legato più intimamente alla persona del Papa. Non era mai accaduto che il Papa lo mandasse fuori Roma, perché lui sta qui a Roma per aiutare i poveri che si avvicinano al Papa qui a Roma. Invece, mandarlo a Lampedusa significa che il Papa vuole essere vicino a queste persone sopravvissute e pregare per coloro che sono morti.

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    Il card. Dolan: Papa Francesco amato dal popolo Usa, la sua è una leadership provvidenziale

    ◊   Il Papa ha ricevuto lunedì scorso i membri della presidenza della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, guidati dal card. Timothy Michael Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale. Un incontro importante, come ha detto lo stesso card. Dolan al microfono di Tracey McLure:

    R. – This is important to us...
    Questo è importante per noi: come tutte le Conferenze episcopali della Chiesa, dobbiamo lavorare in buona cooperazione con la Sede Apostolica, con il Vaticano. L’incontro con Papa Francesco per noi è stata una grande emozione. Io non lo vedevo dal Conclave e l’arcivescovo Joseph Kurtz, vicepresidente della Conferenza episcopale statunitense, non lo aveva ancora mai visto. E’ stato davvero emozionante. E’ stata realmente una conversazione amichevole, lontana da una conversazione d’affari. Perché tradizionalmente, quando si va dal Papa è un incontro tra fratelli e così è stato per noi. Abbiamo incontrato anche i prefetti delle Congregazioni, quindi avevamo un’agenda fitta su vari temi, cui loro erano interessati e su cui ci avevano chiesto di essere aggiornati. Con il Santo Padre, invece, no! Siamo stati con lui una mezz’oretta e gli abbiamo portato l’amore e l’ammirazione, la stima e la gratitudine dei cattolici degli Stati Uniti, del popolo statunitense, specialmente dei vescovi. Abbiamo parlato di un meraviglioso nuovo senso di freschezza e creatività all’interno della Chiesa grazie alla sua leadership provvidenziale; lui ci ha chiesto delle ultime questioni che avevamo affrontato nei lavori della Conferenza episcopale. Gli abbiamo detto, ad esempio, dell’immigrazione, e lo abbiamo ringraziato per la sua eroica visita a Lampedusa, e lo abbiamo visto quasi piangere per l’ultima tragedia. Ci ha detto di aver inviato il suo elemosiniere come suo delegato personale a Lampedusa per stare con le famiglie, cercare di aiutare i sopravvissuti e cercare di far sì che questa tragedia non capiti mai più. Poi, ci ha chiesto delle nostre scuole cattoliche, delle vocazioni, della gente latina … Aveva davvero una sana curiosità nei riguardi della Chiesa cattolica negli Stati Uniti.

    D. – Cosa pensano i cattolici americani del Papa, specialmente dopo l’intervista che è stata pubblicata nella rivista dei Gesuiti "America Magazine"? Ci sono state diverse reazioni, ma cosa ha detto la gente?

    R. – I can only tell you…
    Posso solo dirle che, in generale, quando cammino per le strade di New York, come cerco di fare molto, il plauso è universale. Sia i cattolici praticanti, che credenti di altre religioni o anche non credenti mi dicono: “Quanto amo Papa Francesco!”. E io gliel’ho detto, eh? Penso che la maggior parte dei cattolici impegnati ne sanno abbastanza per aver capito quello che il Papa intendesse dire e sanno anche che magari c’era stato qualche errore di interpretazione. Quando c’è un’intervista così lunga, entusiasmante e ispiratrice, ed alcune persone estrapolano una dozzina di parole dal contesto, non è corretto … Quindi, sì, lo amano. Hanno amato anche Papa Benedetto ed hanno amato anche Papa Giovanni Paolo II, ma sembra esserci una nuova “storia d’amore” con Papa Francesco …

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    La visita del card. Filoni in Sud Corea: una Chiesa giovane, viva e in crescita

    ◊   E’ rientrato a Roma il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che si è recato in visita pastorale in Corea del sud la settimana scorsa per la celebrazione del 50° anniversario della creazione della diocesi di Suwon, eretta il 7 ottobre 1963 da Papa Paolo VI. Oltre a presiedere la celebrazione giubilare, il porporato si è recato in visita di cortesia dal Presidente, signora Park Geun-hye, e durante il suo soggiorno ha incontrato i vescovi della Conferenza episcopale sudcoreana, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi ed i laici. Inoltre si è recato al santuario di Chonjinam, il luogo natale della Chiesa cattolica in Corea ed al santuario dei martiri di Choltusan. La Chiesa sudcoreana è in forte crescita passando in 50 anni, da dopo il Concilio, dall’1,1% al 10,2%. Così spiega questa crescita al microfono di Roberto Piermarini lo stesso cardinale Filoni:

    R. - Direi che sostanzialmente potrebbero essere tre i motivi fondamentali. Prima di tutto, perché la Chiesa coreana ha manifestato una vicinanza alla gente e una partecipazione molto intensa alle necessità della gente. Non dimentichiamo che la popolazione usciva da una guerra: quindi i problemi civili, i problemi spirituali e i problemi materiali furono veramente gli aspetti su cui la Chiesa si concentrò, aiutando la gente e questo le creò un grande credito. Il secondo aspetto direi che è la coscienza di non essere una Chiesa imposta, una Chiesa che viene dal colonialismo, quindi una Chiesa che è stata scelta per volontà degli stessi coreani: pensiamo che quando 200 anni fa il Vangelo entrò in Corea furono cinque saggi laici che chiesero di conoscere meglio il Vangelo e invitarono poi Propaganda Fide e la Santa Sede ad inviare i primi missionari. Quindi questo primo nucleo di evangelizzazione è autoctono, è locale, ha molta venerazione e molta comprensione da parte dei coreani a tutti i livelli. Il terzo elemento potrei dire che è il martirio di tanti coreani - direi migliaia di coreani - che sono stati coraggiosi anche nel tempo della persecuzione. Quindi coreani martiri, di cui già un primo gruppo è stato canonizzato; c’è un secondo gruppo pronto e c’è poi l’avvio per un terzo. Sono coreani che appartengono a tutte le categorie: ci sono intellettuali, giovani, bambini, mamme, uomini, ricchi, poveri… Non c’è praticamente categoria che non abbia avuto i suoi martiri e questo naturalmente ha lasciato una traccia e credo che sia anche il seme un po’ della vita della Chiesa, dell’evangelizzazione e della crescita.

    D. - Cosa l’ha colpito di più della Chiesa coreana?

    R. - Direi intanto che è una Chiesa giovane: i sacerdoti sono giovani e sono un bel numero, come i religiosi e le religiose. Molti giovani si avvicinano alla Chiesa e non solo per una curiosità, ma credo anche perché vedono che questa Chiesa risponde alle loro attese, alle loro esigenze, nonostante il secolarismo che anche lì imperversa a tutti i livelli. Quindi giovinezza della Chiesa. Mi ha impressionato molto il senso della partecipazione dei laici. I laici sono veri protagonisti. Diciamo che è una chiesa uscita dalla costola del Vaticano II, quando si discutevano le questioni del ruolo dei laici e i laici qui non solo storicamente - come ho detto prima - ma anche attualmente hanno un ruolo molto importante. Direi anche poi il senso di grande comunione spirituale che hanno con il Papa: più volte ne hanno parlato, anzi i coreani auspicano che il Santo Padre possa fare una vista, magari in occasione della futura beatificazione di un nuovo gruppo di martiri.

    D. - Che risonanza sta avendo in Corea del Sud il pontificato di Papa Francesco?

    R. - E’ molto seguito e direi non per una curiosità, ma perché sentono che nel Papa c’è quella freschezza che fa parte anche un po’ della loro vita. Credo che Papa Francesco, proprio per questo suo nuovo modo e stile di essere e di impostare la Chiesa, susciti una viva attenzione da parte anche dei nostri vescovi: qui siamo in una società - diciamo - strutturata nel senso confuciano, quindi il bisogno anche di avere una risposta un po’ meno formale è molto più essenziale alla vita della Chiesa, all’evangelizzazione e anche nelle relazioni.

    D. - La chiesa sudcoreana come vive la divisione con i fratelli della Nord Corea?
    R. - La questione della Corea del Nord è sempre aperta! La divisione è vissuta quasi - potremmo dire - come un fatto contro natura della nazione coreana: la nazione coreana si sente unita! Non dimentichiamo che una volta nella Corea del Nord c’era una comunità cattolica molto, molto ampia e alcuni dicono anche più numerosa di quella del Sud. Molti di questi hanno poi trovato rifugio nel Sud; hanno anche parenti, hanno amici; hanno lasciato tracce della loro vita passata. Quindi è una ferita aperta, che vivono anche con speranza e che vivono anche come disponibilità: se un giorno si aprissero, loro sono pronti ad aiutare.

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    Gli auguri del Papa alla presidente argentina De Kirchner dopo l'operazione

    ◊   Una preghiera alla Vergine di Luján e un augurio personale per un pronto ritorno in salute. Li esprime Papa Francesco alla presidente argentina, Cristina Fernández De Kirchner, operata ieri alla testa, con esito positivo, in conseguenza di un trauma cranico occorsole nel mese di agosto. Assicurando la sua vicinanza al capo di Stato e ai suoi familiari, il Papa chiede alla Vergine la forza di sostenere la presidente in questa circostanza, perché mantenga “alta la speranza di poter tornare di nuovo alle responsabilità quotidiane”.

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    Nomina pontificia

    ◊   Il Santo Padre ha eretto in diocesi la prelatura territoriale di Coari (Brasile) e ne ha nominato primo vescovo mons. Marek Marian Piatek, finora vescovo prelato. Mons. Marek Marian Piatek è nato il 10 ottobre 1954 nella città di Tuchów, diocesi di Tarnów (Polonia). È membro della Congregazione del Santissimo Redentore (Redentoristi), nella quale ha emesso la prima professione religiosa il 15 agosto 1974. Compiuti gli studi filosofici e teologici nel Seminario dei Redentoristi della sua città, ha conseguito il Dottorato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma. È stato ordinato sacerdote il 5 giugno 1980 e sei anni dopo è stato inviato come missionario in Brasile, precisamente nell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia, dove ha svolto gli incarichi di formatore degli studenti di Teologia (1987-1990) e professore di Teologia Morale presso l’Università Cattolica di São Salvador da Bahia, in quella di São Bento e nell’Istituto Superiore di Studi per il Matrimonio e la Famiglia. Dal 2000-2010 è stato parroco della Parrocchia Ressurreição do Senhor, a Salvador. Il 15 giugno 2011 è stato nominato vescovo prelato di Coari, ricevendo l’ordinazione episcopale il 12 agosto seguente.

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    Vaticano. Adottata nuova legge che rafforza trasparenza, vigilanza e informazione finanziaria

    ◊   La Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano ha adottato oggi la Legge N. XVIII, recante norme in materia di trasparenza, vigilanza ed informazione finanziaria, con la quale sono confermate in legge le disposizioni del Decreto N. XI del Presidente del Governatorato, dell’8 agosto 2013. Lo riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana.

    In attuazione del Motu Proprio di Papa Francesco dell’8 agosto scorso ed in continuità con le norme già vigenti ed introdotte progressivamente a partire dal Motu Proprio di Papa Benedetto XVI del 30 dicembre 2010, per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario, la Legge N. XVIII “rafforza l’attuale sistema interno di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo in linea con i parametri internazionali e, in particolare, con le Raccomandazioni del Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI) e le rilevanti fonti dell’Unione Europea”.

    “In particolare – prosegue il comunicato - la Legge N. XVIII consolida la disciplina esistente in materia di: misure di prevenzione e contrasto del riciclaggio e finanziamento del terrorismo; vigilanza e regolamentazione degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria; collaborazione e scambio di informazioni da parte dell’Autorità di Informazione Finanziaria a livello interno e internazionale; misure contro i soggetti che minacciano la pace e la sicurezza internazionali; dichiarazione di trasporto transfrontaliero di denaro contante”.

    “La Legge N. XVIII chiarisce e consolida le funzioni, i poteri e le responsabilità dell’Autorità di Informazione Finanziaria nell’esercizio della funzione di vigilanza e regolamentazione ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, della funzione di informazione finanziaria, nonché, come stabilito da Papa Francesco con il Motu Proprio dell’8 agosto u.s., della funzione di vigilanza prudenziale”.

    “La nuova normativa, da accostare a quelle recenti in materia di diritto penale sostanziale e processuale ed in materia di sanzioni amministrative, nonché al Motu Proprio di Papa Francesco sulla giurisdizione penale, dell’11 luglio 2013 – conclude il comunicato - costituisce un ulteriore importante passo nella direzione della trasparenza e vigilanza delle attività di natura finanziaria ed un contributo alla stabilità e integrità del settore a livello globale”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, in apertura, "L’orchestra di Dio"; ai fedeli che hanno partecipato all’udienza generale di mercoledì 9 ottobre Papa Francesco ha proposto una riflessione su cattolicità, universalità e unità nella diversità della Chiesa, lanciando un nuovo appello alla preghiera per la pace in Medio Oriente e per le vittime di Lampedusa.

    Di spalla, "Quando lavorare significa morire" sull'incendio in una fabbrica in un sobborgo di Dacca, in Bangladesh.

    Nella pagina della cultura, un articolo di Oddone Camerana dedicato a Sándor Márai e Gyula Krúdy, "Nella Budapest di Sindbad" e "Che bravo quel batterio", di Silvia Guidi, sul biorestauro nei Musei Vaticani, mentre in "Fantascienza adulta" Emilio Ranzato parla di «Gravity» come di un film in cui il 3d diventa finalmente un efficace mezzo espressivo.

    Sempre a pagina 4, "Quando Cuarón raccontava i figli degli uomini", di Giulia Galeotti, sulla pellicola del regista messicano tratta dall’omonimo romanzo di P. D. James.

    Nella pagina seguente, "Un metodo originale e provocatorio": il cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, parla di "Vita di don Giussani", la biografia del sacerdote lombardo scomparso nel 2005 scritta da Alberto Savorana.

    A pagina 8, il testo integrale della catechesi pronunciata durante l’udienza generale, in cui il Papa è tornato a parlare più volte della "sinfonia-Chiesa", in cui l'armonia è assicurata dalla guida dello Spirito Santo.

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    Oggi in Primo Piano



    Ue pronta ad accogliere i profughi siriani. Usa e Russia lavorano a "Ginevra 2"

    ◊   In Siria, si sta smantellando l’arsenale chimico sotto il controllo delle Nazioni Unite, mentre si sta mettendo a punto, per novembre, la Conferenza di pace “Ginevra 2”. L’Iran dichiara che non accetterà condizioni per sedere al tavolo negoziale. E mentre in Siria continuano gli scontri, nove Paesi dell’Unione Europea (Germania, Finlandia, Austria, Danimarca, Svezia Ungheria, Lussemburgo, Olanda e Irlanda) si dicono pronti ad accogliere i profughi della guerra civile in corso. Il viceministro per gli Affari esteri lituano, Vytautas Leskevicius, ha rimarcato che "entro l'anno ci saranno 3,5 milioni di rifugiati" usciti dalla Siria. In questo scenario si colloca l’allarme lanciato dal vicepresidente della Commissione europea responsabile per il Mercato interno, Michel Barnier, che nell’audizione alla plenaria del parlamento ha detto che “l'Europa rischia di subire attacchi terroristici da organizzazioni con base a Damasco e per cui lavorerebbero cittadini europei”. Della situazione in Siria Massimiliano Menichetti ha parlato con il giornalista Lorenzo Trombetta, esperto dell’area, ed autore del libro, edito da Mondadori, “Dagli Ottomani ad Asad. Ed oltre”:

    R. – In questo momento, si celebra la solerzia da parte del regime di Damasco nel cooperare con gli ispettori Onu, incaricati di smantellare l’arsenale chimico. Parallelamente, il regime continua a essere altrettanto solerte nell’usare le armi convenzionali, di tutti i tipi, contro la ribellione armata e non, presente nel Paese. Ricordiamo che ci sono numerose zone civili del Paese solidali con la rivolta, che sono giornalmente colpite dai raid aerei e missilistici del regime. Dall’altra parte, abbiamo un fronte jihadista sempre più presente nelle regioni nord orientali dove si concentrano tra l’altro le principali risorse energetiche. Il regime, però, di fronte a questa avanzata dei terroristi sembra non rispondere.

    D. – Oggi, secondo fonti di intelligence, sono circa mille i gruppi che si oppongono ad Assad, in molti casi in lotta tra loro. Un volto mutato quello della rivolta iniziata nel 2011?

    R. – Un fronte variegato, sempre più variegato anche dal punto di vista delle truppe del regime. Ci sono miliziani sciiti che vengono da tutta l’ecumene sciita a sostenere a vario titolo gli Assad. Lo stesso regime degli Assad si serve di diversi tipi di milizie, non più solo dell’esercito governativo: iraniani, russi… Ormai, anche dalla parte dal fronte lealista abbiamo diverse sigle e anche qui è molto difficile identificarle e capire quali siano le agende finali di questi attori.

    D. – “Baath” significa “resurrezione” e del partito arabo socialista siriano gli Assad ne sono espressione e sono la minoranza alawita regnante sui sunniti. Insomma, un vero e proprio intreccio esplosivo…

    R. – Baath è uno dei partiti ideologici, creatosi a ridosso della Seconda Guerra Mondiale. Il Baath che poi è arrivato al potere nel 1963, però, è noto anche come “neo Baath”, perché non era espressione di quell’ala civile di intellettuali, che si rifacevano ad un socialismo arabo e ad un panarabismo ideologico, ma è espressione di una élite di militari, provenienti da regioni rurali della Siria, di varie confessioni, ma tutti arabi – quindi, la divisione etnica qui non c’entra, più che altro è una divisione confessionale – che hanno preso il potere a partire dall’inizio degli anni ’60 del Noveecento e l’hanno poi reso ancora più granitico dall’avvento, nel 1970-’71, del presidente Hafiz al Asad, padre dell’attuale presidente. Il Baath è rimasto poi nel corso degli ultimi 20-30 anni un potere di facciata, uno strumento che serviva a legittimare, in nome del panarabismo e del socialismo arabo, un potere di fatto dominato da una oligarchia di una famiglia e di alcuni clan alleati.

    D. – Bashar al Asad è il volto di questa crisi internazionale. Aveva intrapreso studi lontani dalla politica ed è succeduto al padre per la morte del fratello, il primo designato da Hafiz al Asad. Bashar da dove viene e chi è oggi?

    R. – Bashar viene da una famiglia abituata a comandare non soltanto in termini politici, ma soprattutto in termini economici. Era il secondogenito del presidente Hafiz al Asad. Ha studiato un anno e mezzo in Gran Bretagna, per specializzarsi in oftalmologia, e dal 1994 fino al 2000 ha percorso velocemente tutti gli scalini della carriera militare, diventando, alla vigilia della morte di Hafiz al Asad, generale e potendosi quindi presentare con tutte le carte formalmente in regola per assumere la carica presidenziale. La Costituzione allora prevedeva che il presidente avesse almeno 40 anni, ma lui ne aveva 34, quindi nell’arco di una notte la Costituzione è stata emendata per far sì che lui fosse il presidente.

    D. – Si parla molto anche della questione delle minoranze, del fatto che il regime le protegga dalla minaccia fondamentalista. E’ così?

    R. – Neli ultimi 30-40 anni, il regime ha soffiato su queste divisioni, anche sulle percezioni che si hanno su "chi protegge chi". Negli ultimi due anni e mezzo, abbiamo visto come cristiani, sunniti, tutte le componenti della Siria siano state a vario titolo minacciate. Ultimamente, la chiesa di Racca, nella regione del Nord, una regione controllata di fatto dai jihadisti, è stata data alle fiamme e bruciata quasi completamente dai jihadisti. Eppure, il regime sa bene dove sono e dove si collocano questi jihadisti a Racca. Non c’è stato alcun tipo di rappresaglia, nemmeno aerea. Poi, il giorno successivo, una scuola di Racca, dove si celebrava il primo giorno di scuola, è stata bombardata dagli aerei del regime. Il regime quindi sa bene chi colpire e chi non colpire. Lo spauracchio jihadista – che non è più uno spauracchio, perché ovviamente è una realtà – serve ad Assad per affermare, per lo più davanti ai media occidentali e alle cancellerie occidentali, “o io o il jihadismo”. Ed è ovvio che si scelga Assad. Sul terreno, sappiamo che esistono e operano da molto tempo, anche prima del 2011, attivisti oppositori dissidenti della società civile, anche non violenti, che lottano contro il regime, ma lottano anche contro il jihadismo, per una Siria veramente libera, plurale e rispettosa dei principi di pari opportunità e di giustizia.

    D. – Secondo lei, quale sarà la Siria di domani?

    R. – E’ ancora presto per dire quale sarà la Siria di domani. Nel breve termine, sarà una Siria estremamente frammentata, anche a livello territoriale. Probabilmente, si andrà verso una Siria di fatto spartita in zone di influenza. E sul terreno, se andiamo a guardare la carta di questi ultimi mesi, già è così in molte zone.

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    Afghanistan: ex "signore della guerra" Dostum si scusa per i suoi crimini e si candida a vicepresidente

    ◊   Abdul Rashid Dostum, ex "signore della guerra" dell’Afghanistan riconvertito ora alla politica, ha pronunciato in questi giorni un inaspettato "mea culpa" pubblico, chiedendo scusa agli afghani per le sofferenze che ammette di aver “potuto causare” durante la guerra civile, soprattutto nei sanguinosi anni '80 e '90 del secolo scorso. Nei giorni scorsi, Dostum aveva formalizzato le proprie ambizioni politiche, con l'inserimento nella corsa alle presidenziali del 2014 della sua candidatura come vice di Ashraf Ghani Ahmadzai, già ministro delle Finanze. In passato, aveva appoggiato sia la presidenza di Hamid Karzai, sia l’opposizione. Sulle ragioni della nuova strategia di Dostum, Giada Aquilino ha intervistato Marco Lombardi, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano e profondo conoscitore dell’Afghanistan:

    R. – Il progetto elettorale che ha Dostum è evidente: visto che sta per correre di fatto contro Karzai nelle prossime elezioni, è chiaro che deve riaffacciarsi al mondo con una veste diversa rispetto a quella con cui è stato conosciuto negli ultimi trent’anni. E’ uno dei "signori della guerra"’, che ha combattuto 30 anni con i mujaheddin, negli anni Ottanta contro i sovietici e poi i talebani. Ha ucciso migliaia di talebani nelle fosse comuni nel nordest del Paese. Quindi, è un personaggio “a tutto tondo” della guerra Afghanistan, per intenderci.

    D. – Tra l’altro, non è la prima volta che in Afghanistan un "signore della guerra" passi alla politica…

    R. – Non è la prima volta in Afghanistan. Abbiamo avuto governatori, abbiamo avuto ministri che da "signori della guerra" hanno occupato posti di prestigio e di rilievo nel governo afghano. Ma direi che cambia la storia, cambiano i ruoli. Poi, però, bisogna anche poter giudicare l’onestà con la quale si fanno queste cose. Inoltre, potranno esserci dei problemi: Dostum è uzbeco e gli uzbechi rappresentano il 9%, più o meno, della popolazione afghana. Sono circa tre milioni e Dostum è il leader del Movimento nazionale islamico, chiamato Junbish (vuol dire “movimento” nella lingua locale). Ora non so quanto una rappresentanza così forte di una minoranza delle 14 principali che costituiscono l’Afghanistan possa essere garanzia di unità nazionale.

    D. – Come appare oggi il panorama politico afghano?

    R. – Estremamente difficile perché, continuando la necessità di una unità del Paese, sono scettico che tale unità ci possa essere. D’altra parte, però, l’Afghanistan non potrà essere uno Stato come quello che noi intendiamo, perché è frammentato appunto in almeno 14 etnie principali differenti. Quindi, probabilmente bisogna pensare a una forma diversa di Stato, non così fortemente centralizzata come quella che abbiamo in mente. Se questa è la linea, in qualche modo Dostum la interpreta, ma la confusione potrebbe essere quella relativa al fatto di interpretarla volendo andare al potere come uomo di uno Stato centralizzato, facendo solo gli interessi di una parte.

    D. – Il processo di disimpegno militare internazionale, iniziato nel 2011, va verso la conclusione, il prossimo anno. Che fase si apre per l’Afghanistan?

    R. – Deve camminare con le sue gambe. Sarà estremamente difficile, perché andando via i militari e andando via tutto quello che sta dietro, cioè i flussi economici che hanno sostenuto il Paese in questo momento, si avrà sicuramente una crisi economica, che non faciliterà l’autonomia politica del Paese.

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    Usa a rischio default. Obama: conseguenze peggio di una bomba atomica

    ◊   Allarme del presidente americano, Barack Obama, sul rischio di default per gli Stati Uniti. Parole forti quelle espresse dal capo della Casa Bianca ieri in conferenza stampa che rilanciano ai repubblicani la responsabilità di non votare la legge di bilancio. Intanto, la Fed ha un nuovo presidente. Da Washington, Francesca Baronio:

    Le conseguenze del default sarebbero come quelle di "una bomba atomica". Il presidente degli Stati Uniti non ha dubbi ed e’ pronto a trattare con chiunque, di qualunque partito. ”E non solo della legge di bilancio, ma anche di come migliorare il sistema sanitario”. Barack Obama torna ad invocare la fine immediata dello shutdown che da una settimana paralizza l’amministrazione federale. In una conferenza stampa alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti si è detto pronto a negoziare, ma non a sottostare a ricatti. Una mano tesa, dunque anche sulla tanto contestata riforma sanitaria, che ha già avuto l’approvazione del Congresso, ma a una condizione: che la Camera, a maggioranza repubblicana, torni a riunirsi e a votare il bilancio federale. Obama ne è certo i numeri ci sarebbero. Manca solo il coraggio, quello dello speaker Repubblicano, John Bahneur, che perderebbe così un’importante battaglia. E un richiamo forte arriva anche dal Fondo monetario internazionale (Fmi), che lancia l’allarme: un default degli Stati Uniti porterebbe dritti verso una recessione. E’ forse da leggersi come un segnale per rassicurare i mercati la nomina, giunta ieri in serata, del nuovo presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, a al posto di Bernanke. Un’"obamiana", che garantisce continuità alla politica monetaria americana.

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    Lampedusa, Barroso: 30 mln di euro per gestire l'emergenza immigrazione

    ◊   Lampedusa è una tragedia europea, si muova l’Ue. Parole autorevoli quelle del presidente italiano Giorgio Napolitano, pronunciate nel giorno in cui il numero dei corpi ripescati è salito a 296. Sull’isola oggi sono arrivate le più alte cariche italiane - il premier, Enrico Letta, e il ministro dell’Interno, Angelino Alfano - ed europee: il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, e la commissaria Ue agli Affari interni, Cecilia Malmstroem. L’indicazione del presidente Giorgio Napolitano va quindi a loro: si metta in atto uno sforzo comune europeo. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    L’Italia e l’Europa piangono i morti del Mediterraneo e lo fanno sulle salme delle vittime dell’ultima, enorme, tragedia. Letta e Barroso a Lampedusa sono andati prima nel cosiddetto Hangar della morte dove sono allineate le centinaia di bare, poi nel centro di accoglienza, l’altra faccia della tragedia, quella dei sopravvissuti, ora vessati dalle inumane condizioni di vita della struttura. Una visita, quella al centro, non prevista dal programma ufficiale, ma richiesta a gran voce soprattutto dai lampedusani che hanno fortemente contestato gli ospiti al loro arrivo. Letta e Barroso, a turno, hanno chiesto scusa, il premier per l’inadempienza dell’Italia davanti a questi drammi, Barroso, seppur indirettamente, per aver lasciato sola l’Italia. Dicendosi scioccato alla vista di tante bare, Barroso ha detto che il problema è di tutta l’Europa, che non può girarsi dall’altra parte. L’Ue, ha aggiunto, sta con la gente di Lampedusa e per questo Barroso ha anche promesso ulteriori 30 milioni di euro d’aiuto all’Italia per far fronte all’emergenza. Per le vittime ci saranno funerali di Stato, ha annunciato Letta, che ha previsto interventi per Lampedusa nella legge di stabilità, di rivedere la contestata Bossi-Fini e di portare il tema dell’immigrazione al prossimo consiglio europeo, il 24 e 25 ottobre. Tutto questo non è degno dell’Europa sono state le parole della Malmstroem, che ha indicato la creazione di una task force che pattuglierà il Mediterraneo da Cipro alla Spagna, una misura che si vorrebbe atta a salvare più vite umane possibile.

    Un presidio stabile a Lampedusa, che possa essere punto di riferimento per le realtà interessate nell’accoglienza ai migranti. E’ nelle intenzioni di Caritas italiana, una cui delegazione ieri ha preso parte ad una riunione sull’isola assieme alle Caritas diocesane della Sicilia. Tra i presenti Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – Questa volta, di fronte a un’immane tragedia che abbiamo vissuto, abbiamo deciso con forza di intervenire su alcuni fronti, che per noi sono fondamentali, almeno come Chiesa. Il primo è quello di garantire nell’immediato una presenza stabile sull’isola, anche fisica. Questo significa avere un locale della Caritas con degli operatori, avvalendoci anche del tanto volontariato. Un presidio permanente, dunque. Poi, siamo in procinto anche, assieme a Save the Children, di aprire un centro per i bambini, attualmente ospitati all’interno del Centro di accoglienza. Sappiamo che la situazione lì è già difficile per gli adulti, immaginate per i bambini cosa significhi dover condividere piccoli spazi con altre 900 persone. Ci stiamo attivando quindi in tale senso. Noi vorremmo, nell’immediato, iniziare con questo, anche dopo aver dato disponibilità al governo – e questo è il terzo punto – i posti in accoglienza. Se il centro è saturo, perché è saturo, si sappia, com’è avvenuto nel passato, che la rete Caritas può mettere a disposizione non solo posti letto e cibo, ma anche competenze specifiche.

    D. – Lei, Forti, che cosa ha visto nelle poche ore che è riuscito a restare a Lampedusa. Ha incontrato i profughi, come delegazione siete andati nel centro di accoglienza?

    R. – C’è un’immagine: quella dell’atterraggio sull’isola. Sono diversi anni che ho l’occasione di recarmi a Lampedusa, ma questa è stata una esperienza diversa dalle altre, perché atterrare e come prima immagine vedere carri funebri parcheggiati all’esterno dell’aeroporto, adiacenti all’hangar, è certamente una scena che probabilmente rimarrà. Così come rimarrà l’immagine, che tutti abbiamo visto in tutto il mondo, di questo tappeto di bare all’interno dell’hangar. Personalmente, forse, la cosa che mi ha fatto più male è, in un sentimento misto tra dolore e rabbia, la condizione in cui i sopravvissuti sono costretti a vivere all’interno del Centro di accoglienza. Persone che hanno vissuto quello che tutti potete immaginare, si sono poi visti riconoscere esclusivamente un’accoglienza fatta in alcuni casi di materassi di gommapiuma, buttati all’esterno sotto la pioggia. Credo che questo, in qualche modo, possa sintetizzare l’immagine di un’isola che è certamente un’isola accogliente, se penso alla popolazione, ma è poco accogliente se penso a quello che le istituzioni stanno riservando a queste persone. Anche per questo motivo, in maniera provocatoria, abbiamo proposto che le persone, soprattutto donne e bambini, potessero essere, anche a spese nostre, ospitate negli alberghi dell’isola.

    D. – Oggi, sono arrivati sull’isola il premier Letta e le massime cariche europee. Letta ha chiesto scusa per le inadempienze italiane...

    R. – Io ho apprezzato le scuse di Letta, perché in qualche modo formalizzano una situazione che a dir poco è fuori controllo. L’Italia, prima di richiamare l’Europa alle proprie responsabilità, deve farsi un esame di coscienza. E’ vero che noi viviamo un’esperienza, un fenomeno, che ha un carattere eminentemente globale, transnazionale, ed è quindi necessario che tutti si sentano responsabili. Viene però veramente difficile pensare che si possa accusare qualcun altro quando noi come Paese non siamo in grado di garantire ad alcune centinaia di profughi arrivati sul nostro territorio un’accoglienza degna di questo nome.

    D. – Letta ha avanzato delle promesse, una tra tutte il cambiamento della Bossi-Fini. Voi da sempre siete contrari a questa legge...

    R. – Se questa deve essere l’occasione per riaprire la questione collegata alla modifica della Bossi-Fini, non possiamo dire che Caritas italiana sia contraria. Mi permetto solo di sottolineare come bisogna sempre saper leggere tra le righe la questione dei morti in mare che abbiamo vissuto: se dovessimo imputare queste morti alla Bossi-Fini saremmo scorretti, tecnicamente parlando. E’ evidente, però, che se deve essere questa l’occasione per portare ulteriormente all’attenzione l’inadeguatezza di un sistema, quello italiano, da un punto di vista normativo, sia per quanto riguarda i migranti economici sia per quanto riguarda i potenziali protetti internazionali, allora dico: bene, ridiscutiamone, perché c’è bisogno di adeguarsi. E mi sembra che anche oggi ci sia stato un impegno rispetto al tema dell’asilo, affinché l’Italia si adegui velocemente anche al recepimento di alcune direttive che, diversamente, ci farebbero rimanere eccessivamente indietro.

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    Rapporto Ocse: flussi migratori in aumento ma con livelli inferiori a quelli pre-crisi

    ◊   I flussi migratori aumentano nei Paesi dell’Ocse ma registrano livelli ben inferiori rispetto a quelli che hanno preceduto la crisi. Registra un incremento anche la mobilità all’interno dell’Unione Europea. Sono alcuni dei dati contenuti nel Rapporto Ocse 2013, “Prospettive sulle migrazioni internazionali”, presentato oggi a Roma. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Nel periodo 2001- 2011 l'immigrazione ha contribuito per il 40% alla crescita totale della popolazione nell'area dell’Ocse. Sul piano economico, i flussi migratori non hanno invece un’incidenza rilevante, in positivo o in negativo, sui bilanci statali. Johnatan Chaloff, analista della Divisione delle Migrazioni Internazionali dell’Ocse:

    R. – Quello che emerge è che l’immigrazione non è un costo per i Paesi di destinazione, non è neanche una cura per un bilancio pubblico in disavanzo. Quindi, l’immigrazione non ha un grosso impatto fiscale. Questo è importante da tenere presente, perché la percezione è spesso quella di un impatto negativo importante oppure che in qualche modo gli immigrati possano risolvere il problema della sostenibilità dei sistemi pensionistici. Il primo risultato di questo rapporto, dunque, è che l’immigrazione non ‘fa male e non fa bene al bilancio’, non cambia molto il quadro. Secondo, l’immigrazione è continua anche in tempi di crisi e comincia a riprendersi. Questa ripresa è legata a delle trasformazioni nel mercato del lavoro e pressioni demografiche in alcuni Paesi.

    D. – Aumenta anche la mobilità all’interno dell’Europa. Polonia e Romania figurano tra i primi Paesi di origine dell’immigrazione verso Stati dell’Ocse…

    R. – Sì, c’è l’aumento della mobilità. Spesso sono disoccupati che tornano a casa ed è un flusso altrettanto importante rispetto a quello di chi parte per cercare lavoro in altri Paesi.

    Il Mediterraneo è diventato un muro che divide popoli e nazioni. Bisogna creare un’area di libero scambio che inglobi Paesi europei e nordafricani. Questa la convinzione espressa dal prof. Antonio Golini, docente di sviluppo sostenibile e flussi migratori presso l'università Luiss di Roma:

    R. – Il muro è evidente, perché divide il benessere dal malessere economico, una piena libertà civile e politica che abbiamo a Nord del Mediterraneo da condizioni sociali e politiche non di pieni diritti, come l’intendiamo noi. Effettivamente è proprio un nuovo muro – io dico – perché è simile a quello che si aveva nella cortina di ferro, quando c’era l’Ovest e l’Est europeo.

    D. – La creazione di un’area di libero scambio ‘Europa-Mediterraneo’ potrebbe far breccia in questo muro?

    R. – Io credo che non solo potrebbe far breccia, ma è assolutamente necessaria, perché aiuterebbe la crescita economica non solo del Nord Africa, ma anche del Mezzogiorno italiano, che così avrebbe nuovi sbocchi. Per di più, la crescita del Nord Africa potrebbe drenare parte della fortissima immigrazione, che inevitabilmente si avrà dall’Africa sub sahariana.

    I flussi migratori in uscita dai Paesi colpiti dalla crisi e in modo particolare dagli Stati dell’Europa del Sud – si sottolinea infine nel rapporto Ocse - hanno fatto registrare, dal 2009 al 2011, un’accelerazione del 45%.

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    Vajont, 50 anni dopo la tragedia. I ricordi di un sopravvissuto

    ◊   "Quell'evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate". Lo scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato in occasione del 50.mo anniversario del disastro del Vajont, il 9 ottobre 1963. Nel rendere omaggio alla memoria di quanti hanno perso la vita, Napolitano ricorda anche “la tenacia di coloro che ne hanno mantenuto fermo il ricordo” e quanti si sono prodigati nei soccorsi e desidera rinnovare, a nome dell'intera nazione, sentimenti di vicinanza a chi ancora soffre. 1917 furono le vittime di quella notte. ''Questo disastro si sarebbe evitato se una maggiore considerazione della vita umana avesse prevalso su interessi economici e strategici”, ribadisce il presidente del Senato, Piero Grasso, oggi a Longarone, uno dei paesi cancellati dall’enorme massa d’acqua che si abbatté sulla valle a seguito di una frana precipitata dai monti sul sottostante lago e favorita dalla costruzione di una diga sul torrente Vajont. Sulla catastrofe, Mara Miceli ha sentito la testimonianza di Gianni Olivier, di Longarone, uno dei pochi sopravvissuti che ha fatto della memoria di quell’evento l’impegno prioritario della sua vita:

    R. – All’epoca, avevo 29 anni e facevo il maestro elementare a Feltre, una cittadina a 50 km da Longarone. Quando sono arrivato il mattino successivo a Longarone, quello che ho visto è stata un’apocalisse, un’esperienza allucinante, traumatica, una cosa che resterà nella mia memoria per sempre. Io sono nato ed ho vissuto a Longarone, per cui era il mio paese. Conoscevo praticamente tutti.

    D. – In quel periodo, ricordo che una giornalista, Tina Merlin, già nel ’61 perorò persino una campagna di informazione contro la diga. Per tutta la durata dei lavori di costruzione fu addirittura denunciata per questi suoi articoli. Voi come cittadini di quegli abitati credevate a quelle diffuse e pressanti preoccupazioni a opera di esperti, giornalisti, oppure vi affidavate alle perizie rassicuranti del genio civile, dello Stato...

    R. – Bisogna fare una precisazione: noi della Valle del Piave, cioè la valle della diga, avevamo una situazione ben diversa dal Comune di Erto che era dirimpettaio alla frana. Gli abitanti del Comune di Erto vedevano la frana e i movimenti che essa aveva, sentivano i boati sotterranei, si accorgevano degli alberi che si inclinavano, ma soprattutto sentivano quelle micro-scosse sismiche, quei crepitii sotterranei che facevano presagire che la montagna si era già messa in movimento. Noi invece a Longarone eravamo all’oscuro di tutto. Infatti, lei sa che in un piccolo paese le maggiori autorità, almeno a quel tempo, erano i carabinieri, il sindaco, i parroci, i medici, i farmacisti… quindi tutta gente che poteva essere a conoscenza di qualche cosa. Il fatto stesso che siano morti tutti con le loro famiglie – il sindaco con la moglie e due bambini, il maresciallo dei carabinieri con la moglie e una ragazzina, i due parroci – fa capire che noi fossimo completamente all’oscuro di quanto stava avvenendo.

    D. – All’indomani del disastro, lei come quasi tutta Italia e gran parte del mondo, vi siete precipitati per dare una mano…

    R. – Io sono arrivato il mattino successivo verso le sette sulla piana di Longarone e il mio paese non c’era più. Non c’erano più la grande chiesa settecentesca, la stazione ferroviaria, le vie, le piazze, la mia casa… Vedevo solamente le montagne circostanti. Erano loro a farmi da riferimento. La gente che stava arrivando era inebetita e nel frattempo arrivavano i primi soccorritori, in primis gli alpini delle caserme vicine, i vigili del fuoco e poi per giorni e giorni è stato un calvario. Passare tutti i cimiteri della valle, le chiese dove venivano portare le salme, cercare di riconoscere i corpi, perché è un dolore nel dolore anche il non riconoscimento di tutte le salme. Io per fortuna ho trovato i miei genitori e mio fratello. Li ho riconosciuti, so dove sono sepolti. Però, non sono riuscito a trovare altri miei parenti, perché quando i soccorritori trovavano un corpo nella stessa bara mettevano altri resti umani, per cui noi sappiamo quante bare sono state portate al cimitero delle vittime, ma non sappiamo quanti corpi ci siano in quelle bare. Si calcola che le vittime, i corpi non trovati, potrebbero essere da 250 a 400 e, ancora oggi, sono sotto le ghiaie del Piave o sotto la frana del Vajont.

    D. – Dopo 50 anni, il dolore si riaccende ed è forte come in quei giorni oppure il tempo è un formidabile guaritore?

    R. – Credo che per il Vajont il tempo non abbia molto lenito il dolore. La nostra è una ferita ancora aperta che rimarrà aperta finché viviamo perché quello che abbiamo visto, quello che abbiamo provato, penso sia un’esperienza che per un essere umano è una cosa allucinante.

    D. – Sono trascorsi 50 anni da quello che lei ha definito un “olocausto”. A oggi, avete fiducia nelle istituzioni?

    R. – Poca. Abbiamo poca fiducia nelle istituzioni.

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    Presentato il libro di Andrea Riccardi "La sorpresa di Papa Francesco"

    ◊   Un ritratto di Papa Francesco nelle varie dimensioni del suo magistero e un’istantanea di questi primi mesi di Pontificato. Queste alcune delle prospettive tracciate dal libro “La sorpresa di Papa Francesco”, edito da Mondadori e scritto da Andrea Riccardi, fondatore nel 1968 della Comunità di Sant’Egidio e, nel governo Monti, ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione. Alla presentazione del volume, a Roma, c’era per noi Amedeo Lomonaco:

    La semplicità di Papa Francesco – sottolinea Andrea Riccardi - nasconde una vera profondità: il popolo, con il suo intuito, lo ha capito e lo segue. Questo il suo commento:

    R. - La sorpresa è grande, grande il cambiamento di clima nella Chiesa e nel rapporto tra la Chiesa e la gente. Questo mi sembra essenziale e fondamentale.

    D. - Una sorpresa che si aggiunge alla rinuncia di Papa Benedetto…

    R. - Una rinuncia che ci aveva lasciato sconcertati, che invece ora noi comprendiamo meglio.

    Perché questo Pontificato è una sorpresa? Risponde padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica:

    R. - Questo Pontificato è una sorpresa nel senso che Papa Francesco ha ben presente il punto di partenza, cioè la storia, l’esperienza che stiamo vivendo. Ma anche per lui, in fondo, questa è un’avventura, una sorpresa. Non ha idee distinte, precise a priori. Un Papato in discernimento alla ricerca della volontà di Dio. E’ un Pontificato aperto, quindi di sorpresa.

    D. - Cosa l’ha sorpresa, in particolare, nell’intervista che le ha rilasciato il Santo Padre?

    R. - Devo dire che, in realtà, faccio ancora fatica a pensare quell’incontro come un’intervista. Per me è stata un’esperienza spirituale. Una cosa che mi ha sorpreso riguarda lo stile che per Papa Francesco non è mai una cosa esteriore. Percepivo l’autorevolezza della persona ma questo si declinava in una mancanza di distanza. Una persona che percepivo vicina durante l’intervista. Lui parla di vicinanza, di incontro. Queste sono le categorie quasi vitali, non semplicemente di pensiero, del Pontificato di Papa Francesco. Certamente questa dimensione della vicinanza, della parola che si accompagna sempre ad un gesto di prossimità, è una delle grandi cifre del Pontificato di Papa Francesco così come in questi sei mesi abbiamo potuto comprendere.

    La sorpresa di Papa Francesco – scrive Andrea Riccardi – “non è l’emozione di un momento”. La Chiesa di Papa Francesco – aggiunge – è un popolo che il Pontefice “intende guidare, ma anche accompagnare e persino seguire”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine: la Chiesa riflette sulla “nuova evangelizzazione” in Asia

    ◊   Con una grande conferenza internazionale, dedicata alla “nuova evangelizzazione” e annunciata dall’arcivescovo di Manila, il card. Luis Antonio Tagle, la Chiesa delle Filippine si ferma a riflettere sul suo peculiare contributo all’opera di “nuova evangelizzazione”, soprattutto in Asia. Come annunciato in una nota inviata all'agenzia Fides, la conferenza, che vedrà presenti circa 5.000 rappresentanti dalle diocesi di tutto il Paese e da altri Paesi asiatici, si terrà dal 16 al 18 ottobre all'Università di Santo Tomas a Manila e sarà strutturata in tre intense giornate, ricche di catechesi, laboratori, discussioni. “Si tratta dell’evento culminate dell’Anno della Fede nell'arcidiocesi di Manila”, ha spiegato il Card. Tagle, che ha ricordato come “la Chiesa nelle Filippine ha sempre avuto un ruolo missionario di primo piano in Asia. Per questo abbiamo invitato vescovi, sacerdoti e rappresentanti di altre chiese asiatiche”. Delegati da Taiwan, Vietnam, Myanmar e Brunei hanno già assicurato la loro adesione. Secondo il calendario delle attività congressuali, il primo giorno (16 ottobre) è intitolato “Venite e vedrete” (da Gv 1, 39) e incentrato sul tema dell’incontro con Dio. I canali per incontrare Dio – come rimarcano i diversi laboratori di discussione – sono la Parola di Dio, la preghiera, le vie della bellezza e dell’arte, ma anche “i nuovi mass media”. La seconda giornata (17 ottobre), titolata “Resta con noi” (Lc 24,29), si focalizza sui luoghi di comunione e rinnovamento nella chiesa, come: formazione integrale, liturgia, responsabilizzazione dei laici, vita consacrata, servizio ai poveri, famiglia, giovani, ecumenismo e il dialogo interreligioso, missio ad gentes. Nel giorno conclusivo del congresso (18 ottobre), il tema è “Duc in altum” (Lc 5,4) e si parlerà specificamente della missione. Il card. Tagle terrà una “lectio magistralis” su “La dimensione missionaria dell’evangelizzazione”, che sarà poi base di partenza nel confronto operato in gruppi, a seconda dell’ambito di impegno pastorale: catechisti e educatori cattolici; laici e comunità ecclesiali; operatori della Caritas; famiglie; parroci e responsabili di comunità; consacrati; giovani. La conferenza si chiude con una solenne Eucaristia, in cui i presenti emetteranno il rinnovo delle promesse battesimali, e una processione per le strade di Manila. Previsto anche un messaggio di Papa Francesco. (R.P.)

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    Turchia: nuovo Campo dei Cavalieri di Malta per i rifugiati siriani a Kilis

    ◊   Il flusso di rifugiati provenienti dalla Siria paralizza i campi al confine con la Turchia, dove ormai mancano non solo beni di prima necessità, ma anche ripari e medicine. In questi giorni Malteser International, organizzazione per gli aiuti umanitaria dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, ha creato vicino alla città di Kilis (Anatolia sud orientale) una nuova area attrezzata in cui accogliere i rifugiati. Da mesi nella regione migliaia di persone vivono in ripari di fortuna e nel suo primo giorno di apertura il campo ha registrato oltre 4mila ingressi. Nei prossimi giorni è prevista l'entrata di altri 1000 profughi. Il campo ha anche un ambulatorio, dove al momento sono ricoverati circa 80 profughi in condizioni critiche. Ci sono soprattutto donne in stato di gravidanza. La Malteser International è attiva in Siria, Turchia e Libano dall'agosto 2012. Al momento fornisce aiuti d'emergenza per più di 30mila persone . Sandra Harlass, consigliere dell'organizzazione, afferma: "Le persone che entrano nel campo hanno trascorso molti giorni e notti in fuga, dormendo all'aperto con temperature notturne che in questa stagione possono scendere al di sotto di 6 gradi. Per mesi hanno vissuto in condizioni ai limiti della dignità umana. Molti pazienti sono affetti da diarrea, malattie respiratorie e della pelle. Chi proviene da aree soggette a scontri o bombardamenti presenta fratture e ferite". Insieme all'organizzazione turca Mezzaluna Blu, la Malteser International ha già distribuito ai rifugiati un kit di soccorso composto da razioni di cibo e medicine, adatte soprattutto per curare i bambini. I casi più gravi vengono inviati nell'ospedale da campo allestito nel centro urbano di Kilis, che con 28 posti letto sostiene il locale policlinico. Nei prossimi mesi l'organizzazione ha in programma di aprire altre due stazioni mediche mobili, che serviranno le aree vicine al confine turco, offrendo ai profughi una prima assistenza sanitaria. Secondo i dati dell'Agenzia Onu per i rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees, Unhcr) sono quasi 2 milioni i profughi in fuga dalla Siria. Di questi almeno 1 milione sono bambini e oltre 740mila hanno meno di 11 anni. Con l'arrivo dell'inverno la situazione rischia di peggiorare e le Nazioni Unite stimano che, già dal prossimo dicembre, il 50% delle popolazione anche residente in Siria non sarà in grado di provvedere a se stessa. (R.P.)

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    India: violenza sulle donne. Vescovo di Mumbai: ripartire dalla famiglia per cambiare la società

    ◊   "Per fermare la violenza contro le donne e inculcare i valori di rispetto, dignità, onestà e moralità nei confronti di tutti gli esseri umani, bisogna ripartire dalla famiglia, che è la base fondamentale della società". Queste le parole riportate dall'agenzia AsiaNews, del vescovo ausiliare di Mumbai, mons. Savio Fernandes, in vista della Giornata internazionale della bambina, che si celebrerà in tutto il mondo il prossimo 11 ottobre. La giornata di solidarietà rappresenta un’occasione di riflessione sugli abusi subiti dalle donne in India, dove, secondo quanto denunciato dal presule, “nonostante i numerosi dibattiti, manifestazioni e dimostrazioni di rabbia e solidarietà - seguiti agli stupri di New Delhi e Mumbai che avevano scosso l’opinione pubblica – si continuano a registrare episodi di violenza”. “Non bisogna solo condannare, ma avviare strategie a lungo termine per portare un vero cambiamento", suggerisce mons. Fernandes, a capo di un’iniziativa a favore della maggiore sicurezza e protezione per le donne indiane, lanciata l’8 settembre scorso - Giornata che l'arcidiocesi dedica alle bambine - che prevede una raccolta firme da presentare proprio l'11 ottobre al chief minister del Maharashtra. "Nell'arcidiocesi – sottolinea infine mons. Fernandes - abbiamo lanciato programmi e attività a vari livelli, dalle scuole alle parrocchie, fino alle omelie della domenica. C'è bisogno di insegnare alle persone che tutti gli esseri umani, in particolare le bambine e le donne, devono essere rispettati e trattati con dignità e giustizia". Ripartire dalla famiglia è dunque quanto ribadisce necessario il vescovo di Mumbai, poiché “quanto accade dentro le mura di casa si riflette su larga scala nella società: se entrambi i genitori insegnano ai propri figli il valore della dignità e dell'uguaglianza, a loro volta li trasmetteranno nella comunità. I genitori devono essere i primi strumenti di cambiamento". (C.S.)

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    Sri Lanka. Leader cattolici: stabilità e sviluppo per i tamil del Nord

    ◊   Portare "stabilità, pace e sviluppo" agli abitanti del nord e dell'est dello Sri Lanka: è quanto chiedono leader cattolici locali al nuovo governatore della Northern Province C.V. Wigneswaran, eletto alla fine di settembre. Una vittoria significativa: erano le prime elezioni provinciali nel Nord del Paese, dopo quasi 30 anni di guerra civile; il politico è membro della Tamil National Alliance (Tna), primo partito tamil della nazione. Il 7 ottobre scorso - riferisce l'agenzia AsiaNews - dopo aver prestato giuramento dinanzi al presidente Mahinda Rajapaksa, il governatore ha dichiarato di voler portare "giustizia e libertà" ai tamil dello Sri Lanka, ribadendo la necessità di "concentrarsi sullo sviluppo per aiutare queste persone a ricostruire le loro vite". Infine ha chiesto ai "miei fratelli e sorelle singalesi (etnia di maggioranza)" di "camminare insieme affinché l'autodeterminazione di tutti i membri della società non divida il Paese ma lo conduca su un cammino di unità". Secondo suor Nichola Emmanuel, religiosa di Mullativu, il nuovo governatore deve "come prima e assoluta cosa rispettare le aspirazioni di questa popolazione. La fine della guerra non ha messo un punto alle loro sofferenze. Non si hanno notizie delle oltre 100mila persone scomparse nel nulla. Almeno 90mila vedove di guerra nel nordest vivono con angoscia e paura, senza sapere cosa ne sarà di loro". Inoltre, aggiunge ad AsiaNews, "le forze dell'ordine continuano ad arrestare gente che non ha nulla a che fare con le Tigri Tamil. Centinaia di persone sono in prigione senza essere mai stati processati. Questo è ciò che ha vissuto e vive ancora oggi la popolazione del Nord". Padre Jeyabalan Croose, sacerdote della diocesi di Mannar, confessa ad AsiaNews: "Non sposo tutte le idee della Tamil National Alliance. Ma il popolo del Nord ha dimostrato in modo chiaro cosa vuole. Il compito del governatore non sarà facile, dovrà ascoltare i bisogni delle persone comuni e comprendere le loro sofferenze". (R.P.)

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    Partito da Berlino il "treno cristiano per la pace" in Corea

    ◊   È partito ieri da Berlino il Treno per la pace e la riunificazione della Corea, iniziativa lanciata dal Consiglio Ecumenico delle Chiese che spera di riportare l'attenzione mondiale sulla "necessità assoluta" di pacificare la penisola coreana. La partenza è stata benedetta alla Porta di Brandeburgo dal pastore coreano Cho Hyun-jung e dal pastore tedesco Christophe Taileman: entrambi sono poi saliti sul treno. Il programma prevede diverse tappe fino al 28 ottobre, data del presunto arrivo a Busan in Corea del Sud. In mezzo ci saranno Mosca, Irkutsk, Pechino e forse Pyongyang. Se le autorità nordcoreane non dovessero concedere il permesso di ingresso al treno - che è piano di volontari cristiani impegnati in una catena di preghiera - il Consiglio nazionale delle chiese coreane prevede di affittare una nave da Dandong (in Cina) fino a Incheon. Il Consiglio nazionale delle chiese è una delle pochissime organizzazioni che, insieme agli organi della Chiesa cattolica e alla Croce Rossa, riesce ancora a intrattenere rapporti umanitari con il regime di Kim Jong-un. Pur riconoscendo la necessità di portare avanti il dialogo, negli scorsi anni il Consiglio ha lanciato alcune campagne - come quella dei volantini contro il regime lanciati da palloni aerostatici - che hanno incrinato ancora di più i rapporti fra Seoul e Pyongyang. (R.P.)

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    Niger: oltre 360 bambini con meno di 5 anni di età morti per denutrizione acuta severa

    ◊   Dal mese di gennaio a settembre di quest’anno nella regione centro orientale di Zinder sono morti per denutrizione centinaia di bambini con meno di 5 anni di età. A Zinder la malattia è endemica, secondo gli ultimi dati sulla situazione epidemiologica diffusi dall’Agenzia per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) di Niamey, dal 1 gennaio al 23 settembre 2013, sono stati registrati 79.087 casi di denutrizione acuta severa e 362 morti di bambini con meno di 5 anni di età. Zinder, vicina alla Nigeria - riferisce l'agenzia Fides - è la seconda regione più popolosa del Niger, viene regolarmente colpita da gravi crisi alimentari, provocate dalla siccità, che danneggiano principalmente donne e bambini. La denutrizione è una patologia causata prevalentemente dalla carenza di nutrienti essenziali per i bambini, che provoca ritardi nella crescita e indebolisce il sistema immunitario contro le malattie infantili più comuni. (R.P.)

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    Congo: cresce la tensione nel Nord Kivu

    ◊   Cresce la tensione nel Nord Kivu (nell’est della Repubblica Democratica del Congo, Rdc) per il trasferimento operato senza alcun coordinamento con le autorità locali di rifugiati provenienti dalla Tanzania. Secondo una nota inviata all’agenzia Fides dal Coordinamento provinciale della società civile nel Nord Kivu, circa “mille famiglie rwandesi” sono entrate nel territorio di Rutshuru sotto scorta dei militari rwandesi e dei loro alleati dell’M23, il movimento di guerriglia che opera nella provincia congolese che da anni destabilizza l’area. La nota denuncia inoltre che dal 3 ottobre i giovani delle famiglie rifugiate sono sottoposti ad un addestramento militare obbligatorio a Chanzu, e che l’M23 ha avviato un censimento delle abitazioni e dei campi abbandonati dalle popolazioni locali costrette alla fuga a causa della guerra. Si teme che queste proprietà vengano cedute ai nuovi arrivati senza alcuna forma di compensazione nei confronti dei legittimi proprietari. Il Coordinamento sottolinea infine che “l’M23 stia cercando di ingannare l’opinione pubblica facendo credere che queste persone siano rifugiati congolesi che stanno rientrando dal Rwanda, mentre l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati non ha rimpatriato nessun congolese dal Rwanda nella Rdc”. Nel frattempo il quotidiano “Le Potentiel” afferma che i negoziati di Kampala (Uganda) tra Kinshasa e Kigali sono di fatto falliti e i due Paesi rischiano un aperto confronto militare. Nella capitale ugandese si cercava di trovare una soluzione al contenzioso che da anni divide la Rdc con i due vicini orientali, Uganda e Rwanda, accusati da Kinshasa di alimentare l’instabilità nelle province congolesi confinanti, appoggiando i diversi gruppi di guerriglia che vi operano. (R.P.)

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    Nobel Chimica a un austriaco, un britannico e un israeliano

    ◊   Sono stati un austriaco, un britannico e un israeliano ad aggiudicarsi il Nobel per la Chimica 2013. Tutti e tre - riferisce l'agenzia Ansa - lavorano da tempo negli Stati Uniti. Martin Karplus, 83 anni, è professore emerito dell'universita' americana di Harvard. Nato a Vienna nel 1930, si è trasferito negli Usa quando aveva 23 anni, per lavorare al California Institute of Technology (Caltech). Ha insegnato anche all'università francese di Strasburgo. Michael Levitt, 66 anni, lavora all'universita' californiana di Stanford. Cittadino britannico, è nato in Sudafrica, a Pretoria, nel 1947 e si è trasferito in Gran Bretagna nel 1971 per lavorare nell'universita' di Cambridge. Arieh Warshel, 73 anni, lavora alla University of Southern California a Los Angeles. E' nato nel 1940 in Israele, nel Kibbutz Sde-Nahum ed ha la cittadinanza Israeliana e americana. In Israele ha lavorato nell'istituto Weizmann, a Rehovot. Karplus,, Levitt e Warshel - riporta l'agenzia Asca - sono stati premiati, si legge nel comunicato dell'Accademia reale, "per lo sviluppo di modelli multiscala per sistemi chimici complessi". Si tratta in sostanza di modelli per l'uso del computer nel simulare i processi chimici, un passo "cruciale per gli avanzamenti della chimica moderna". L'applicazione piu' immediata e' quella dell'industria farmaceutica che, grazie ai nuovi modelli, e' in grado di sviluppare formule e calcoli in una frazione di millisecondo rispetto ai tradizionali algoritmi. I modelli dei tre scienziati, prosegue l'Accademia, posso essere usati in tutti i campi della chimica, dallo studio sulle molecole ai processi industriali. Il trio riceverà la somma complessiva di 8 milioni di corone svedesi, circa 925mila euro. Il Nobel, come da tradizione, verrà consegnato in una cerimonia formale il 10 dicembre a Stoccolma. (R.P.)

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    Perù: detenuti marciano contro la criminalità a Chimbote, presente il vescovo

    ◊   Per il vescovo di Chimbote, mons. Angel Francisco Simon Piorno, la marcia del prossimo 17 ottobre organizzata dai detenuti del carcere ‘Cambio Puente’, contro l’ondata di omicidi che insanguina la cittadina sulla costa settentrionale del Perù, è un gesto degno di essere imitato dalla popolazione. "E' una bella iniziativa che i detenuti hanno promosso”, riferisce nella nota pervenuta all’agenzia Fides, mons. Piorno, al quale i detenuti hanno chiesto di partecipare celebrando l'Eucarestia. “Vogliono lanciare un appello a tutta la comunità civile dall’istituto di pena, perché cessino le morti violente nella nostra città e torni un clima di pace", ha spiegato il prelato. “E’ dovere di tutti lottare, in qualche modo, contro questa ondata di crimini. Ci vuole la volontà del popolo, che deve uscire dall’indifferenza, dinanzi a tanti atti di violenza", ha poi ribadito, riferendosi alla popolazione rimasta invece spesso indifferente al sacrificio di decine di innocenti, vittime della criminalità. Secondo fonti locali, nella città di Chimbote (440 km a nord della capitale Lima, circa 1 milione di abitanti) dall’inizio dell’anno fino a metà agosto si contavano almeno 60 morti per la violenza. Il fenomeno è in crescita dall'anno scorso per la lotta che vede contrapporsi bande criminali, commercianti non troppo onesti o gruppi di quartiere che vogliono il controllo delle diverse zone. (C.S.)

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    Nuova Zelanda. I vescovi: no al suicidio assistito

    ◊   Incrementare l’accesso per tutti alle cure palliative, aumentando l’offerta di servizi sanitari per gli ammalati e le loro famiglie, invece di proporre un disegno di legge sul suicidio assistito o l’eutanasia: è quanto chiede il Comitato bioetico dei vescovi della Nuova Zelanda, in una nota pubblicata sul proprio sito web. In particolare, il direttore del Comitato, John Kleinsman, esprime soddisfazione per il fatto che la proposta normativa sia stata, al momento, ritirata; tuttavia, allo stesso tempo, sottolinea come ciò sia stato fatto “solo per motivi puramente politici, per evitare un dibattito controverso in ambito elettorale, e non per una reale preoccupazione per i pericoli e le conseguenze sociali di un simile disegno di legge”. Il Comitato bioetico dei vescovi neozelandesi nota, inoltre, come la decisione di ritirare la proposta normativa sia coincisa con la pubblicazione, da parte di una rivista scientifica di alto livello, di un rapporto sulla prevenzione del suicidio tra i disabili mentali. “Perché, dunque – si domanda John Kleinsman – si vuole rendere più facile l’accesso alla morte volontaria mentre, allo stesso tempo, se ne riconosce la drammaticità a livello sociale?”. Di qui, l’appello a fermare definitivamente il disegno di legge ed a prendere, invece, decisioni concrete in favore della cura e della tutela della vita umana. Proposto in Parlamento nel maggio 2012 dalla deputata laburista Maryan Street, il disegno di legge, denominato “End of Life Choices Bill”, ha di fatto riaperto una questione già dibattuta in passato, con la proposta normativa sulla “Morte con dignità”, avanzata nel ’95 e nel 2003 e bocciata in entrambi i casi. Attualmente, in Nuova Zelanda, l’eutanasia e il suicidio assistito sono quindi illegali, secondo quanto sancito nel 1961 dal New Zealand Crimes Act. (A cura di Isabella Piro)

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    Belgio. Mons. Leonard: "Fermare le leggi sull'eutanasia"

    ◊   “Bisogna fermarsi” perché “sono proposte che minano i legami sociali, come pure la solidarietà tra le persone. E’ una porta che rischia di allargarsi sempre più”. Risponde così il presidente dei vescovi belgi, l’arcivescovo di Malines-Bruxelles, mons. André-Joseph Léonard, a proposito della proposta di legge in Belgio di estendere la legge sull’eutanasia ai minori e alle persone con demenza. La legge figura tra i temi sensibili della stagione politica. Discussa prima dell‘estate, la legge sarà presto al centro dei dibattiti in commissioni riunite della Giustizia e Affari Sociali del Senato. In un’intervista all'agenzia Sir, l’arcivescovo Léonard solleva il caso della possibilità di estendere l’eutanasia ai minori. “Vorrei a questo proposito ricordare che la legge belga non permette ai minori di firmare contratti economici, di contrarre matrimonio, di firmare atti che impegnano il loro avvenire e invece se la legislazione dovesse passare possono decidere di morire, addirittura senza il consenso dei genitori”. In senso più generale, mons. Léonard osserva: “Ciò che temo di più è questa influenza nascosta e insidiosa, questo clima che si può generare soprattutto sulle persone anziane, su quelle non autosufficienti che possono, in condizioni di difficoltà, decidere di firmare una carta e con la loro morte pensare di risolvere i problemi di tutti. Non essere più a carico di qualcuno. Il procedimento mentale è chiaro: 'sento che invecchio, che comincio a perdere le mie facoltà mentali e fisiologiche, faccio meglio a sparire’. (R.P.)

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    Turchia: le proprietà del monastero di Mor Gabriel restituite ai siro-ortodossi

    ◊   L'Assemblea delle Fondazioni, il più alto organismo deliberativo del cartello di enti che in Turchia gestiscono i beni delle comunità religiose minoritarie, ha deliberato che la proprietà delle terre dello storico monastero di Mor Gabriel sia restituita alla comunità cristiana siro ortodossa. Lo stesso vice-primo ministro Bülent Arınç ha “twittato” la notizia alla fine della seduta assembleare che ha disposto la restituzione. Secondo fonti turche consultate dall'agenzia Fides, il direttore generale dell'Assemblea delle Fondazioni Aidan Nertem ha confermato che la registrazione del passaggio di proprietà potrà essere autorizzata senza problemi. Soltanto lo scorso anno, la Suprema Corte d'appello turca aveva respinto il ricorso di una Fondazione siriaca che chiedeva di rientrare in possesso del Monastero, finora considerato patrimonio dello Stato. Il Monastero di Mor Gabriel, fondato nel 397, si trova nell'Altipiano di Tur Abdin, nella provincia sud-orientale di Mardin, e rappresenta il più antico monastero siro-ortodosso in attività. Il ritorno alla comunità siro ortodossa dei 244mila metri quadri di terre connesse al monastero, rappresenta per estensione fondiaria la più consistente restituzione di beni disposta dalla Turchia a favore dei gruppi religiosi minoritari. Di recente la comunità siro-ortodossa ha visto riconosciuto dal governo turco anche il diritto di stabilire scuole dove i ragazzi della comunità possano essere educati nella propria lingua madre. La sede del patriarcato siro ortodosso di Antiochia nel XIII secolo si era stabilita nei pressi di Mardin, nel monastero di Mor Hananyo, e lì era rimasta fino al 1933, per poi trasferirsi in Siria (prima a Homs e poi a Damasco). (R.P.)

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    Israele: oltre 700 mila ai funerali di Rabbi Ovadia Yosef, padre spirituale dello Shas

    ◊   Più di 700mila persone hanno preso parte ieri sera ai funerali del rabbino sefardita Ovadia Yosef, definito dal premier Netanyahu "una delle persone più sagge della nostra generazione". La bara di Yosef, attorniata da migliaia di ebrei ortodossi vestiti di nero, ha impiegato quasi quattro ore a raggiungere il cimitero. Secondo il Centro di statistiche - riferisce l'agenzia AsiaNews - almeno un ebreo su 10 ha partecipato al suo funerale. Ovadia Yosef, 93 anni, era nato a Baghdad nel 1920. A 4 anni si era trasferito con la sua famiglia a Gerusalemme. Per le sue origini e con le sue permanenze al Cairo (1947-1950), egli è divenuto una delle più alte espressioni dell'ebraismo sefardita, che raccoglie gli ebrei originariamente scacciati dalla Spagna nel 1492 e diffusisi nel Nordafrica e in Medio Oriente. Dal 1973 al 1983 egli è rabbino capo sefardita di Israele (una carica governativa). A differenza dell'altro ramo dell'ebraismo, l'askenazita, i sefarditi non sono critici verso lo Stato di Israele, la cui origine dal sionismo era giudicata da esso come "atea". Anzi, Yosef è stato fra coloro che giustificavano con motivazioni religiose l'esistenza dello Stato israeliano. La sua grandezza è anzitutto basata sulla sua conoscenza della Torà e sulle sue applicazioni rabbiniche, che hanno ispirato molti studiosi. Ma la sua fama è legata soprattutto all'essere fra gli ispiratori e il "padre spirituale" del partito Shas, che fondato nel 1984 era insieme un partito religioso ed etnico, che radunava la popolazione sefardita, di origine medio-orientale, che non trovava molte espressioni nella vita politica e sociale israeliana. Nel '99 lo Shas è divenuto il terzo partito nella Knesset e da allora è divenuto importante per formare ogni alleanza governativa. Oggi lo Shas, con 11 seggi, è all'opposizione, dopo circa 30 anni di governo. Il punto principale del suo programma è sempre stato quello di garantire fondi pubblici alle scuole religiose, anche se molti in Israele le criticano perché esse non preparano le nuove generazioni alla modernità. (R.P.)

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    Germania: i missionari scalabriniani in cammino con i migranti e i rifugiati

    ◊   Forum ‘In esodo per la pace’: il contributo del processo di globalizzazione che ha reso “liquida” - secondo una definizione del sociologo tedesco Zygmunt Bauman - la nostra società, ha fatto del mondo un villaggio globale e ha globalizzato i villaggi locali. In Europa, come in altri continenti, il tessuto sociale è sempre più caratterizzato, anche a motivo delle migrazioni, dal “meticciamento” di lingue, culture e religioni differenti. E’ sorta la necessità di un grandissimo “esodo” culturale e spirituale, che ha comportato uno spostamento radicale di prospettive: da una cultura nazionalistica alla mondialità, dal culto dell’identità locale alla cultura dell’accoglienza e infine da una visione espansionistica delle religioni ad una visione dialogica dei rapporti tra le religioni. La parola pace è diventata oggi sinonimo di convivenza, dialogo empatico e accoglienza. Proprio su tali tematiche e su come questo “esodo” sia possibile solo alla sequela di Gesù, che ci ha rivelato il vero volto di Dio, si è espresso padre Beniamino Rossi, missionario scalabriniano, che, come riferito dall’agenzia Fides, ha guidato durante la Scalabrini-Fest dei Frutti 2013, il Forum di riflessione, “In esodo per la pace… alla quale siamo stati chiamati in un solo corpo (cfr. Col 3,15)”. Secondo padre Rossi, presidente dell’agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo sviluppo, tale sequela si realizza per ciascuno in passi quotidiani di esodo verso gli altri, nell’adesione e obbedienza alla chiamata unica e personale di Dio all’amore, nelle diverse forme di vita cristiana. Nel corso dell’iniziativa durata dal 4 al 6 ottobre, che quest’anno ha riunito a Stoccarda, nel Centro di spiritualità dei missionari scalabriniani, oltre 250 persone di tutte le età e originari di 33 paesi differenti, ha inoltre avuto luogo la professione dei voti di povertà, castità e obbedienza, da parte di una nuova missionaria secolare scalabriniana: la messicana Regina Maria Rosales Medina. (C.S.)

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    Spagna: convenzione Caritas catalana per aiutare gli ipovedenti

    ◊   Sarà l’arcivescovo di Barcellona, card. Lluís Martínez Sistach, a presiedere la stipula di una convenzione tra la Caritas Catalana e l’Istituto di microchirurgia oculare (Imo) della città. Scopo dell’accordo, informa una nota dell’arcidiocesi, è garantire circa 500 interventi chirurgici in un anno a persone con gravi problemi di vista e notevoli difficoltà economiche. Il progetto, intitolato “Operazione vista”, si concluderà nell’ottobre del 2014 e vedrà la cura di cataratte, glaucomi e interventi chirurgici oculari d’urgenza. La parte medica del progetto sarà, naturalmente, portata avanti dall’Imo, mentre alla Caritas spetterà il compito di selezionare i pazienti destinati agli interventi. Ideata sin dal 2010, l’iniziativa “Operazione vista” è frutto di numerose campagne di prevenzione e cura degli occhi, promosse in questi anni dall’Imo. Tuttavia, “nell’attuale contesto di crescente esclusione sociale e di povertà emergente – spiega l’Istituto in una nota – l’Imo e la Caritas avvertono la necessità etica e professionale di impegnarsi sul campo in modo concreto e di impedire che le persone che vivono in situazioni estreme patiscano anche una menomazione della vista e, quindi, della qualità della vita e della possibilità di guarire”. (I.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 282

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.