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Sommario del 04/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Pace di Cristo in Medio Oriente e nel mondo, l'appello del Papa dalla città di San Francesco
  • Papa Francesco: la Chiesa si spogli dalla mondanità spirituale che uccide l’anima e le persone
  • Assisi. Il Papa abbraccia i ragazzi disabili: ascoltiamo le loro piaghe, sono quelle di Gesù
  • Assisi. Il Papa al clero: bisogna camminare insieme, senza nostalgie o fughe in avanti
  • La visita del Papa nella Basilica di Santa Chiara: l'attesa delle clarisse
  • Il custode della Porziuncola: la rivoluzione di Francesco, iniziare a cambiare se stessi
  • Messaggio del Papa ai vescovi europei: i cattolici promuovano fede e ragione, verità e libertà
  • In Svizzera, la rinuncia ad abate ordinario dell’Abbazia territoriale di Maria Einsiedeln
  • La visita del card. Filoni in Corea: non perdere di vista il ruolo della preghiera
  • Pacem in terris. Mons. Toso: utopia in cammino verso il bene comune
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Assisi, appello di pace del Papa. Mons. Hobeika: grati per la sua attenzione al Medio Oriente
  • Nuove manifestazioni in Egitto. La Turchia impegnata nella mediazione
  • Lampedusa, recuperati 111 corpi. Alfano: potrebbe non essere l'ultima volta
  • Napolitano su Lampedusa: reagire all'orrore, verificare se norme ostacolano accoglienza
  • A Roma in mostra "I tesori di San Francesco a Ripa"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • India. In aumento i casi di violenza anticristiana nel Karnataka
  • Kenya. Chiesa protestante incendiata da fondamentalisti islamici a Mombasa
  • Il Wcc scrive al premier pakistano: sicurezza delle minoranze religiose
  • Mons. Bertin sul dramma di Lampedusa: fermare i trafficanti di esseri umani
  • Iraq: 5 seggi su 111 ottenuti dai cristiani nel parlamento del Kurdistan
  • Corea del Sud. Il centro “Casa di Anna” a Suwon per accogliere i nuovi poveri
  • Perù. Scoperti laboratori di droga che impiegavano donne e bambini
  • Unicef: 5-6 ottobre si rinnova l’iniziativa "Orchidea" contro la mortalità infantile nel mondo
  • Messico. Effetti dell'uragano "Ingrid": impennata casi di dengue
  • Madagascar. Tensione dopo il linciaggio di 3 persone accusate di traffico d’organi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Pace di Cristo in Medio Oriente e nel mondo, l'appello del Papa dalla città di San Francesco

    ◊   Da Assisi il Papa prega San Francesco: “Insegnaci a rivestirci di Cristo, ad essere strumenti di pace e ottienici da Dio l’armonia nel mondo”. Così, durante la Messa nella splendida cornice della piazza inferiore della Basilica di San Francesco, dove il Papa è giunto a bordo della macchina scoperta fermandosi più volte tra la folla festosa e colorata da migliaia di bandiere. Quindi l’ingresso nella Basilica superiore tra i magnifici affreschi di Giotto e Cimabue, e la discesa alla Tomba del Santo a cui il Papa offre un mazzo di rose. Poi la preghiera silenziosa: intorno a lui la famiglia francescana del Sacro Convento col Custode e il Ministro generale dei Frati minori conventuali. Quindi l’uscita sul piazzale per la Messa a cui ha assistito anche il capo del governo italiano Enrico Letta nel giorno della festa del Santo Patrono. Il servizio della nostra inviata Gabriella Ceraso:

    E’ una vista mozzafiato quella che si gode dalla piazza della Basilica inferiore di Assisi sulle pendici del Subasio: da qui, l’orizzonte sembra non avere confini, ed è da qui che si leva verso l’umanità e il creato la preghiera del Papa rivolta al Santo che, incontrato Cristo, scelse di imitarlo in “modo radicale” sposando Madonna Povertà. Ma prima il Papa saluta, come fanno i frati da oltre ottocento anni, migliaia di fedeli che lo hanno atteso cantando e pregando:

    "Pace e bene a tutti! Con questo saluto francescano vi ringrazio per essere venuti qui, in questa Piazza, carica di storia e di fede, a pregare insieme".

    Cosa testimonia oggi con la sua vita San Francesco? si interroga il Pontefice:

    "La prima cosa che ci dice, la realtà fondamentale che ci testimonia è questa: essere cristiani è un rapporto vitale con la Persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è assimilazione a Lui".

    Francesco lo ha fatto a partire da quando, davanti al Crocifisso di San Damiano, si è “lasciato guardare da Gesù in Croce”. Un Gesù che in quell’icona bizantina, ricreata dalla scenografia proprio alle spalle dell’altare, sul palco ligneo, non “appare morto, ma vivo”, non ci “parla di sconfitta” ma dell’“Amore di Dio incarnato”:

    "Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso viene ri-creato, diventa una «nuova creatura». Da qui parte tutto: è l’esperienza della Grazia che trasforma, l’essere amati senza merito, pur essendo peccatori. Per questo Francesco può dire, come san Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo»".

    E allora, “ San Francesco”, prega il Papa, “insegnaci a rimanere davanti al Crocifisso, a lasciarci guardare e perdonare da Lui, ricreare dal suo amore”.

    Ma Francesco, prosegue il Pontefice, è anche colui che ha accolto e vissuto la pace. Ecco la sua seconda testimonianza all’uomo di oggi. “Ti chiediamo”, invoca nuovamente Bergoglio, “insegnaci ad essere strumenti della pace”, ma quella che “solo Cristo e non il mondo, ci può dare”:

    "La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo San Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di San Francesco è quella di Cristo, e la trova chi 'prende su di sé' il suo 'giogo', cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore".

    E con la pace, “Francesco, tu che sei stato testimone del rispetto per il Creato e per ogni essere umano”, “ottienici da Dio il dono che in questo mondo ci sia armonia”. E’ questa la terza forte invocazione del Papa, che si fa monito:

    "Da questa Città della Pace, ripeto con la forza e la mitezza dell’amore: rispettiamo la creazione, non siamo strumenti di distruzione! Rispettiamo ogni essere umano: cessino i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l’odio ceda il posto all’amore, l’offesa al perdono e la discordia all’unione. Sentiamo il grido di coloro che piangono, soffrono e muoiono a causa della violenza, del terrorismo o della guerra, in Terra Santa, tanto amata da San Francesco, in Siria, nell’intero Medio Oriente, in tutto il mondo".

    Ma il Papa non dimentica l’Italia: e nella festa del Santo patrono chiede che ciascuno lavori al bene comune e all’unità. All’Italia è rivolta anche la cerimonia alla fine della Messa della consegna e della benedizione dell’Olio offerto dall’Umbria per alimentare la lampada votiva sulla Tomba di San Francesco. Nei discorsi delle autorità e del presidente della Conferenza episcopale umbra, il ricordo della tragedia di Lampedusa e l’affidamento al Santo Patrono perché continui a benedire le sorti della nazione e a donarle pace e prosperità.

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    Papa Francesco: la Chiesa si spogli dalla mondanità spirituale che uccide l’anima e le persone

    ◊   Spogliarsi della mondanità spirituale che uccide l’anima, le persone e la Chiesa. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha levato, stamani, nella Sala della Spoliazione dell’arcivescovado di Assisi, un luogo che evoca il gesto dirompente dello spogliamento di San Francesco, un luogo che mai un Papa aveva visitato prima. Il Pontefice, parlando ai poveri assistiti dalla Caritas locale, ha ribadito che “è triste trovare un cristiano mondano” e ha ricordato la tragedia di Lampedusa, sottolineando che oggi è un giorno di pianto. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Per la prima volta un Papa, e un Papa che si chiama Francesco, visita il luogo in cui il Poverello d’Assisi si spogliò di tutto per seguire Gesù. Basterebbe già questo per definire storica l’occasione. Lo sa bene il vescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, che nel suo saluto iniziale coglie la portata di questo evento salutando il Papa con queste parole:

    “Benvenuto in questa Sala della Spogliazione. Sei il primo Papa che visita questo luogo! Qui il gesto sconvolgente dello spogliamento del giovane Francesco: rinunciò a tutto per possedere tutto, mettendosi, come Cristo, dalla parte degli umili e dei poveri”.

    Papa Francesco, che ha davanti a sé i poveri assistiti ogni giorno dalla Caritas diocesana, decide dunque di lasciare il testo preparato per il discorso e di parlare a braccio, anzi forse sarebbe più giusto dire di parlare “da cuore a cuore”. E subito confida, sorridendo, di essere consapevole che da parte dei media c’era grande attesa per quello che avrebbe detto in un luogo così simbolico:

    “Questi giorni scorsi sui giornali, sui mezzi (di comunicazione ndr), si facevano fantasie… ‘Il Papa andrà a spogliare la Chiesa, lì!’. ‘Di che spoglierà la Chiesa?’. ‘Spoglierà gli abiti dei vescovi, dei cardinali; spoglierà se stesso…’”.

    Questa, ha ripreso, “è una buona occasione per fare un invito alla Chiesa a spogliarsi”. Ma, ha aggiunto, “la Chiesa siamo tutti”, “dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa”. E, ha avvertito, “tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha fatto una strada di spogliazione, lui stesso”. Gesù, ha detto il Papa, è “diventato servo, servitore”, “ha voluto essere umiliato, fino alla Croce”. "E se noi vogliamo essere cristiani - ha ammonito - non c’è un’altra strada”:

    “Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano, dicono, ‘senza Croce, senza Gesù, senza spogliazione?’ E diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci… Bellissimo, ma non cristiani davvero!”.

    “Qualcuno – ha dunque aggiunto - dirà: ‘Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?’”:

    “Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. E’ un idolo! E l’idolatria è il peccato più forte, eh!”.

    Quando nei media, ha proseguito, “si parla della Chiesa: credono che la Chiesa siano i preti, le suore, i vescovi, i cardinali e il Papa”. Ma, ha evidenziato, “la Chiesa siamo tutti noi” e “tutti noi dobbiamo spogliarci di questa mondanità: lo spirito contrario allo spirito delle Beatitudini; lo spirito contrario allo spirito di Gesù”:

    “La mondanità ci fa male. E’ tanto triste trovare un cristiano mondano, sicuro di quella sicurezza che gli dà - sicuro secondo lui! - la fede e sicuro della sicurezza che gli dà il mondo. Non si può lavorare dalle due parti. La Chiesa, tutti noi, deve spogliarsi della mondanità, che la porta alla vanità, all’orgoglio che è l’idolatria”.

    Il Papa ha ricordato che Gesù stesso dice che non si possono “servire due padroni”. O servi Dio o servi il denaro. Nel denaro, ha detto, c’è “tutto questo spirito mondano”: “Denaro, vanità, orgoglio”. “E’ triste – ha soggiunto - cancellare con una mano quello che scriviamo con l’altra. Il Vangelo è il Vangelo! Dio è l’unico! E Gesù si è fatto servitore per noi e lo spirito del mondo non c’entra qui”. Oggi, ha detto ancora rivolgendosi direttamente ai poveri nella Sala, tanti di voi, sono stati spogliati da “questo mondo selvaggio che non dà lavoro, che non aiuta”. A questo mondo, è stata la sua denuncia, “non importa se ci sono bambini che muoiono di fame nel mondo; non importa se tante famiglie non hanno da mangiare, non hanno la dignità di portare pane a casa”:

    “…non importa che tanta gente debba fuggire dalla schiavitù, dalla fame e fuggire cercando la libertà e con quanto dolore, tante volte, vediamo che trovano la morte, come è successo ieri a Lampedusa. Ma oggi è un giorno di pianto!”.

    “Queste cose – ha detto ancora – le fa lo spirito del mondo”. Una considerazione corredata da una vibrante denuncia:

    “E’ proprio ridicolo che un cristiano, un cristiano vero, che un prete, che una suora, che un vescovo, che un cardinale, che un Papa vogliano andare sulla strada di questa mondanità, che è un atteggiamento omicida. La mondanità spirituale uccide! Uccide l’anima! Uccide le persone! Uccide la Chiesa!”.

    Quando Francesco ha fatto il gesto di spogliarsi, ha poi osservato il Papa, “era un ragazzo giovane, non aveva forza”; “è stata la forza di Dio che lo ha spinto a fare questo”. Oggi, ha concluso, “chiediamo la grazia per tutti i cristiani” che il Signore ci salvi dallo spirito del mondo:

    “Che il Signore ci dia a tutti noi il coraggio di spogliarci, ma non da 20 lire, no, no… Spogliarci dello spirito del mondo, che è la lebbra, il cancro della società! E’ il cancro della Rivelazione di Dio! Lo spirito del mondo è il nemico di Gesù! Chiedo al Signore che, a tutti noi, ci dia questa grazia di spogliarci”.

    Nel discorso non pronunciato ma dato per letto, Papa Francesco sottolinea che la scelta di essere povero di Francesco “non è una scelta sociologica, ideologica, è la scelta di essere come Gesù” di “seguirlo fino in fondo”. La spogliazione di Francesco, osserva, ci dice che bisogna mettere Gesù al primo posto e spogliarsi “dall’io orgoglioso”, “dalla brama di avere, dal denaro che è un idolo che possiede”. Tutti, avverte, “siamo chiamati ad essere poveri” a “condividere con chi è privo del necessario, toccare la carne di Cristo”. Il cristiano, soggiunge, “non è uno che si riempie la bocca coi poveri”, è “uno che li incontra che li guarda negli occhi, che li tocca”. Sono qui, aggiunge il Papa, “non per fare notizia, ma per indicare che questa è la via cristiana, quella che ha percorso San Francesco”.

    “Di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?”, è l’interrogativo che il Papa pone a sé e a tutti i cristiani. “Spogliarsi – risponde - di ogni mondanità spirituale, che è una tentazione per tutti”. Spogliarsi, aggiunge, “di ogni azione che non è per Dio, non è di Dio; dalla paura di aprire le porte e di uscire incontro a tutti, specialmente dei più poveri, bisognosi, lontani, senza aspettare”. Certo, avverte il Papa, “non per perdersi nel naufragio del mondo, ma per portare con coraggio la luce di Cristo, la luce del Vangelo, anche nel buio, dove non si vede, dove può succedere di inciampare”. E incalza: “Spogliarsi della tranquillità apparente che danno le strutture, certamente necessarie e importanti, ma che non devono oscurare mai l’unica vera forza che porta in sé: quella di Dio”. Spogliarsi, avverte ancora il Papa, “di ciò che non è essenziale, perché il riferimento è Cristo; la Chiesa è di Cristo!” E conclude: “Tanti passi, soprattutto in questi decenni, sono stati fatti. Continuiamo su questa strada che è quella di Cristo, quella dei Santi”.

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    Assisi. Il Papa abbraccia i ragazzi disabili: ascoltiamo le loro piaghe, sono quelle di Gesù

    ◊   Nelle piaghe della malattia si nasconde il dolore stesso di Gesù, che va ascoltato e accolto con un amore opposto all’indifferenza tipica della “cultura dello scarto”. È stato questo il pensiero dominante del primo appuntamento di Papa Francesco ad Assisi. Poco prima delle 8.00, in anticipo sul programma, il Papa ha fatto ingresso nell’Istituto Serafico, che dal 1871 accoglie e assiste giovani di tutta Italia, affetti da disabilità plurime anche molto gravi. Papa Francesco ha scelto di parlare a braccio e prima di congedarsi si è affacciato da una finestra dell’Istituto per salutare la folla assiepata all’esterno. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Siamo tra le piaghe di Gesù” e queste piaghe chiedono di essere ascoltate “da quelli che si dicono cristiani”. Papa Francesco non legge una riga del discorso d’esordio della sua visita ad Assisi. Stringe i fogli preparati tra le mani, ma i suoi occhi sono solo per gli occhi dei molti bambini e ragazzi disabili, che dialogano con lui in una lingua fatta di fonemi sconosciuti ma chiarissima a chi usa il vocabolario della solidarietà cristiana:

    “Qui è Gesù nascosto in questi ragazzi, in questi bambini, in queste persone. Sull’altare adoriamo la Carne di Gesù, in loro troviamo le piaghe di Gesù. Gesù nascosto nell’Eucaristia e Gesù nascosto in queste piaghe… Hanno bisogno di essere ascoltate. Forse, non tanto sui giornali, come notizie… Quello è un ascolto che dura uno, due, tre giorni, poi viene un altro, un altro… Devono essere ascoltati da quelli che si dicono cristiani”.

    Nella chiesa dell’Istituto Serafico, luogo preposto all’Adorazione del Corpo di Cristo, il parlare di Papa Francesco ha l’incedere della preghiera. Una preghiera essenzialmente francescana, una preghiera semplice, che ruota con sommessa insistenza attorno a un unico cardine:

    “Il cristiano adora Gesù; il cristiano cerca Gesù; il cristiano sarà riconoscere le piaghe di Gesù. E oggi tutti noi, qui, abbiamo la necessità di dire: ‘Queste piaghe devono essere ascoltate!’. Ma c’è un’altra cosa che ci dà speranza. Gesù è presente nell’Eucaristia, qui è la Carne di Gesù; Gesù è presente fra voi: e la Carne di Gesù sono le piaghe di Gesù in queste persone”.

    Alle spalle dei giovani disabili vi sono gli assistenti, i primi a riconoscere e a curare ogni giorno le piaghe di Gesù sui visi e sui corpi dei loro ragazzi. “Qui – aveva detto poco prima la direttrice dell’Istituto, Francesca Di Maolo – la caritas è un privilegio e un dono”. E in quell’amore gratuito e quotidiano, il Papa che porta il nome del Santo che ha ispirato il luogo di cura coglie, tra le stimmate della malattia, il segno di una bellezza trasfigurata:

    “Ma è interessante: Gesù, quando è Risorto era bellissimo. Non aveva nel suo corpo dei lividi, le feriti… Niente! Era più bello! Soltanto ha voluto conservare le piaghe e se le è portate in Cielo. Le piaghe di Gesù sono qui e sono in Cielo davanti al Padre. Noi curiamo le piaghe di Gesù qui e Lui, dal Cielo, ci mostra le sue piaghe e ci dice a tutti noi, a tutti noi: ‘Ti sto aspettando!’”.

    Ma le piaghe di Gesù, evidenti nella carne dei più deboli di ogni società, sono le ferite spesso ignorate dalla “cultura dello scarto”, che inquina il mondo contemporaneo. Nel discorso non pronunciato, ma comunque considerato come letto, Papa Francesco ringrazia invece l’Istituto Serafico, esempio di una casa dove è “in azione – dice – la cultura dell’accoglienza”. Questo “è il segno della vera civiltà umana e cristiana”, afferma Papa Francesco, che rilancia: “Mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate! A volte invece le famiglie si trovano sole nel farsi carico di loro. Che cosa fare? Da questo luogo in cui si vede l’amore concreto, dico a tutti: moltiplichiamo le opere della cultura dell’accoglienza, opere anzitutto animate da un profondo amore cristiano, amore a Cristo Crocifisso, alla carne di Cristo, opere in cui si uniscano la professionalità, il lavoro qualificato e giustamente retribuito, con il volontariato, un tesoro prezioso”.

    La conclusione del discorso rimasto sulla carta ha però la forza di rendere lucidi gli occhi. Papa Francesco cita le righe della lettera che gli ha inviato Nicolás, un 16.enne di Buenos Aires, disabile dalla nascita. Righe, sottolinea, dove c’è la “bellezza, la poesia di Dio”. Raccontando, attraverso la penna dei suoi genitori (“perché – spiega – ancora non parlo, né cammino”), Nicolás annuncia dapprima al suo “caro Francesco” di aver ricevuto la Prima Comunione e tra poco, a novembre, la Cresima. Quindi, prosegue: “Tutte le notti, da quando tu me l’hai chiesto, io domando al mio Angelo Custode, che si chiama Eusebio e che ha molta pazienza, di custodirti e di aiutarti. Stai sicuro che lo fa molto bene perché ha cura di me e mi accompagna tutti i giorni!! Ah! E quando non ho sonno… viene a giocare con me!! Mi piacerebbe molto venire a vederti e ricevere la tua benedizione e un bacio: solo questo!! Ti mando tanti saluti e continuo a chiedere ad Eusebio che abbia cura di te e ti dia forza. Baci. NICO».

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    Assisi. Il Papa al clero: bisogna camminare insieme, senza nostalgie o fughe in avanti

    ◊   Terminata la celebrazione eucaristica intorno alle 13.20, Papa Francesco si è trasferito in auto al centro di prima accoglienza della Caritas vicino la stazione ferroviaria di Santa Maria degli Angeli per pranzare con una cinquantina di ospiti in rappresentanza delle fasce più disagiate di tutta la regione. Carcerati, disoccupati e senza tetto, assieme al Papa, per un momento di “condivisione semplice”, come hanno spiegato gli organizzatori. Poi, il primo appuntamento del pomeriggio, una visita privata all’Eremo delle carceri e l’incontro con il clero, le persone di Vita Consacrata e i membri dei consigli pastorali della diocesi nella cattedrale di San Rufino, dove Francesco e Chiara furono battezzati. Il servizio della nostra inviata Gabriella Ceraso:

    Papa Francesco arriva alla Cattedrale di San Rufino che una bellissima infiorata rende ancor più preziosa: questo è il luogo in cui, col Battesimo, Francesco è nato come figlio della Chiesa. Ed è un’esplosione di gioia anche tra le centinaia di persone che lo attendono all’esterno e con le quali il Pontefice si sofferma a lungo. Poi, il canto e il lungo applauso: è la Chiesa che lo accoglie, sono i diversi volti della diocesi. “Benvenuto, Santo Padre”, dice mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, presentando il percorso di tutta la comunità. “Benedici il nostro cammino sinodale e insegnaci il tuo sorriso contagioso”. Poi, Papa Francesco prende la parola e subito sottolinea l’importanza dei Consigli pastorali in supporto al vescovo e al parroco e si sofferma quindi sul valore del Battesimo e la Chiesa come “comunione delle diversità” di cui vescovo è il custode.

    Brevemente, poi, il Papa consegna a tutti i presenti tre aspetti chiave per la vita comunitaria. Il primo è ascoltare la Parola di Dio che, dice, “suscita la fede, la nutre, la rigenera”. Un aspetto “su cui tutti possiamo migliorare”, secondo il Pontefice, per essere “meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle Sue Parole”. Questo riguarda i sacerdoti, i genitori e i catechisti:

    “Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse, bisogna essere antenne che ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere antenne che trasmettono! Si riceve e si trasmette. E’ lo Spirito di Dio che rende vive le Scritture, le fa comprendere in profondità”.

    Il secondo aspetto che il Papa spiega è il “camminare”. Il Sinodo che voi state tenendo, sottolinea, è un cammino. Noi siamo parte dell’unico gregge di Cristo, prosegue, rivolgendosi in particolare ai preti. A loro chiede:

    “Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro popolo?”.

    Occorre stare avanti, dentro e dietro al gregge per tenerlo unito anche perché, osserva,“ il popolo ha fiuto nel trovare nuove idee per il cammino, ha il sensus fidei”:

    “Ma la cosa più importante è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma anche accettare le scuse degli altri perdonando – quanto è importante questo! Alle volte penso ai matrimoni che dopo tanti anni si separano. ‘Eh, no, non ci intendiamo, ci siamo allontanati…’. Forse non hanno saputo chiedere scusa a tempo. Forse non hanno saputo perdonare a tempo. E sempre io, ai novelli sposi, do questo consiglio: ‘Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la giornata senza fare la pace! Mai!’. E se i coniugi imparano a dire: ‘Ma, scusa, ero stanco’, o soltanto un piccolo gesto, è questa la pace. E riprendere la vita il giorno dopo. Questo è un bel segreto, e questo evita queste separazioni dolorose. Quanto è importante camminare uniti, senza fughe in avanti, senza nostalgie del passato. E mentre si cammina si parla, ci si conosce, ci si racconta gli uni agli altri, si cresce nell’essere famiglia”.

    Papa Francesco interroga dunque la realtà diocesana che ha di fronte sulle modalità del cammino comune che compie, raccomandando di evitare le chiacchiere che sono pericolose.
    Infine, il terzo aspetto importante per la comunità è annunciare fino alle periferie, che sono, spiega il Santo Padre, zone delle diocesi ma anche” realtà umane”, persone emarginate, lontane anche solo spiritualmente. E qui, Papa Francesco ricorda di Buenos Aires le periferie rappresentate da bambini che non sanno fare il segno della croce e che denotano l’assenza di Gesù. Dunque, il suo incoraggiamento è...

    ”...non abbiate paura di uscire e andare incontro a queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal 'si è sempre fatto così!'. Ma si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è il Signore che lo salva!”.

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    La visita del Papa nella Basilica di Santa Chiara: l'attesa delle clarisse

    ◊   In una visita sulle orme di San Francesco, non poteva mancare la sosta alla Basilica di Santa Chiara che custodisce le spoglie della prima discepola di Francesco, che il Papa venererà, e che conserva il crocifisso di San Damiano che parlò al giovane assisiate convertendolo. Proprio nella cappella del Crocifisso il Papa incontrerà la piccola comunità che da oltre settecento anni vive l’amore a Dio in povertà e clausura e che lo attende con particolare emozione, come spiega al microfono di Gabriella Ceraso, la vicaria del proto monastero, suor Chiara Agnese:

    R. – Ci stiamo preparando innanzitutto con un senso di grande gratitudine e di gioia. Siamo in attesa anche di sentire che cosa il Papa vorrà dire a noi proprio come figlie di Chiara. Pensiamo che sarà una parola forte, anche molto esigente. Sinceramente è poi fonte di grande emozione pensare alla gioia che Chiara, che è presente nelle sue sacre spoglie, proverà nell’incontrare il primo Papa che nella storia porta il nome del suo padre Francesco. Pensare a questo, per noi, è come un sogno e credo che lo sia anche per lei.

    D. – Suor Agnese, che idea vi siete fatte di questi primi mesi di Pontificato di Papa Francesco?

    R. – Mi sembra che Papa Francesco stia mostrando alla Chiesa e al mondo il volto misericordioso di “Dio Padre”, come ha detto, un Padre che vuole curare le ferite dei suoi figli. E poi ci sta ricordando, in modo molto efficace, che nella sua semplicità il Vangelo è veramente la forma di vita.

    D. – Cosa – lo vogliamo ricordare – rappresenta Chiara nel francescanesimo?

    R. – Chiara ha espresso in una modalità tutta femminile la conoscenza di Gesù povero e crocifisso appresa da Francesco. Possiamo dire che se in Francesco prevale la dimensione dell’andare, in Chiara – invece – prevale la dimensione del rimanere, dello stare. Ma sappiamo bene che sono due dimensioni che non si escludono, l’una ha bisogno dell’altra.

    D. – C’è un’altra cosa molto preziosa che voi custodite, che è il Crocifisso di San Damiano. Il Papa si fermerà a pregare davanti a questo Crocifisso. Che cosa significa per voi custodire questo Crocifisso che per Francesco è stato l’inizio di tutto?

    R. – Più che noi custodiamo il Crocifisso di San Damiano, è lui che custodisce noi. Francesco si sentì preso totalmente dal Signore e quello – come dicevi – fu l’inizio della storia vocazionale: fu come una scintilla di amore che non lo lasciò mai più. Quindi per noi custodire il Crocifisso di San Damiano significa custodire la memoria di questo incontro, di questo incontro d’amore tra Francesco e il Crocifisso. Nello stesso tempo è anche custodire il mandato che il Crocifisso affidò a Francesco: “ Va e ripara la mia casa”. Quindi è per noi anche una missione. Penso che la prima casa del Signore da riparare è la vita di ognuna di noi, dove anche noi sperimentiamo quelle – come dice il Papa – “periferie esistenziali” del cuore, che attendono di essere evangelizzate, risanate dall’amore di Cristo. La nostra prima missione come contemplative penso sia proprio quella di lasciarci amare dalla misericordia di Dio e accogliere fino in fondo, in noi, il dono della salvezza.

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    Il custode della Porziuncola: la rivoluzione di Francesco, iniziare a cambiare se stessi

    ◊   Il Papa concluderà la visita ad Assisi in un luogo simbolo del francescanesimo come la Porziuncola, a Santa Maria degli Angeli. Lì, dopo una sosta di preghiera nella Basilica, sorta intorno alla piccola chiesa dove il Santo morì, il Papa incontrerà i giovani di tutta la regione. Del significato di questa tappa, Gabriella Ceraso ha parlato con il custode della Porziuncola, padre Fabrizio Migliasso:

    R. - La Porziuncola, nella vita di Francesco, è l’inizio, con la vocazione missionaria, possiamo dire. Quando, ascoltando il Vangelo cosiddetto della Porziuncola di San Matteo - “Quando andate per il mondo non portate con voi né calzari, né bisacce, né sandali” - Francesco risponde: “Questo io bramo, questo io voglio, questo io farò”. Il luogo dell’esperienza del perdono, quindi dell’indulgenza della Porziuncola, sarà poi il luogo della morte. E’ un luogo, infatti, benedetto, soprattutto dalla Vergine Maria, cui Francesco era molto devolto. Allora che senso ha questa tappa nella lunga visita di Papa Francesco qui ad Assisi? I giovani ci stanno bene, perché senz’altro sarà il luogo in cui Francesco ridarà questo mandato ai giovani, come Francesco l’ha ascoltato dal Vangelo. Papa Francesco vuole ripartire dal Vangelo e, quindi, senz’altro ridarà ai giovani questo mandato. Loro sono la speranza, come sta richiamando molte volte, ultimamente. Secondo me, però, può essere anche una bella tappa di riflessione sul senso della vita e anche della riconciliazione. Io spero che questa tappa sia anche un’occasione per ripercorrere questo, secondo me, grande valore, che ci insegna Francesco d’Assisi: vivere la vita intensamente, per non avere paura della morte.

    D. - Quanto è viva, quanta presa ancora la vita di Francesco sui giovani?

    R. - Assolutamente viva, non solo sui giovani, ma su tutti. Il segreto, se vogliamo usare questa parola, è la radicalità del Vangelo. Francesco in quella risposta al Vangelo “Questo io voglio, questo io bramo, questo io farò”, riassume un po’ tutto il Vangelo. Non ha fatto niente di speciale, se non incominciare a viverlo, lui, in prima persona. La radicalità quindi, la rivoluzionarietà. La rivoluzione di Francesco è stata l’obbedienza alla Chiesa. Francesco ripara la Chiesa che nel 1200 era una Chiesa ferita, era una Chiesa lacerata da divisioni, da lotte politiche e materiali e Francesco la ripara incominciando da se stesso. Ci insegna, quindi, oggi, a ripartire da noi stessi, stando dentro la Chiesa, per esempio. Il fascino di Francesco, dunque, è proprio questo: un uomo che ha incominciato a vivere quello in cui credeva, senza puntare il dito verso gli altri, ma ripartendo da se stesso. Questo dà una grande serenità.

    D. - Il Papa risponderà a quattro domande dei giovani e lei vive nella realtà giovanile. Quali sono gli interrogativi e quindi quali sono le risposte di cui hanno bisogno?

    R. - Senz’altro speranza in generale. In una società, in cui si mettono in evidenza solo e sempre le cose che non vanno, c’è il bisogno che qualcuno faccia vedere e annunci qualcosa di bello; che non va tutto male, che non è tutto finito; la voglia di gioia, una ricerca di un Vangelo che apra alla speranza, che apra anche alla vita eterna. Spesso, anche personalmente, mi hanno detto: “Parlateci del Paradiso, oltre che parlarci del Vangelo”. E questo, credo, sia un altro dei bisogni che hanno i nostri giovani di una parola di verità e anche di indicazioni per la vita: il sentirsi ascoltati, il sentirsi amati, soprattutto incontrare un Dio, che prima di puntare il dito, ti abbraccia e poi ti indica la via.

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    Messaggio del Papa ai vescovi europei: i cattolici promuovano fede e ragione, verità e libertà

    ◊   Si è aperta ieri a Bratislava e proseguirà fino a domenica 6 ottobre la plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa, Ccee, sul tema “Dio e lo Stato. L’Europa tra laicità e laicismo”. Obiettivo principale è di verificare come la religione e Dio siano realtà riconosciute, rispettate e attive nella costituzione, nel sistema giuridico e nella società dei Paesi del continente europeo. Non sono mancati poi dibattiti su tematiche di stretta attualità come il lavoro e l'immigrazione. Ad introdurre i lavori il presidente della Ccee, il cardinale Péter Erdő che ai partecipanti ha letto anche il messaggio di Papa Francesco. Il servizio di Cecilia Seppia:

    Ai vescovi riuniti a Bratislava nel 1150.mo anniversario dell’arrivo di San Metodio in quelle terre, giunge subito l’apprezzamento e la vicinanza del Papa che si dice grato per il contributo di riflessione che le Conferenze episcopali d’Europa offrono sul tema della laicità. Ma il Pontefice ringrazia anche "per il servizio che le Chiese rendono alle popolazioni del continente promuovendo una cultura che coniughi in costante armonia, fede e ragione, verità e libertà". Parole queste che ritornano nel discorso di introduzione del presidente della Ccee il cardinale Péter Erdő che sottolinea subito come lo stile di Francesco abbia introdotto nuove proposte e sfide alla missione della Chiesa soprattutto nell’Europa di oggi, divisa tra una forte cultura della fede e della tradizione e un crescente rifiuto dell’eredità cristiana. Questa frattura – ha spiegato il porporato – ha come conseguenza l’inevitabile deriva della crisi dei valori, colpa pure del relativismo morale e di un crescente laicismo, che si riflette nella famiglia, nei rapporti commerciali nella stessa relazione tra popolo e governanti sempre più confusa. “Noi crediamo, ha detto il cardinale Erdő, che Stato e società non possano ignorare la dimensione religiosa, anzi il potere politico dovrebbe garantire la libertà religiosa delle persone e delle comunità per poter costruire una società unita e plurale”. Poi il monito a non perdere mai di vista il compito supremo della Chiesa, che è quello di essere vicina agli ultimi, a tutti coloro che come ricorda il Papa sono vittime di una “cultura dello scarto”: i disoccupati, i bambini lasciati soli, gli anziani abbandonati e tutti coloro che stanno perdendo la speranza, le tante vittime di guerre e persecuzioni in Siria, in Iraq, come in nord Africa. Missione della Chiesa però è anche evangelizzare la modernità con nuovi sforzi concreti di dialogo ecumenico, gli stessi più volte chiesti dal Santo Padre. Sentiamo le parole del card. Péter Erdő al microfono del nostro inviato a Bratislava Mario Galgano:

    “Guardando la ricca personalità della Santo Padre, vediamo sempre nelle sue parole delle luci. Sono delle brevi indicazioni che però arrivano al cuore della gente di oggi. Sarebbe difficile ricavare una teoria dettagliata dalle parole e dai discorsi del Santo Padre perché la sua intenzione è quella di richiamare l’attenzione - su punti concreti - a ciò che vuole Gesù Cristo. Penso che le sue parole, le sue indicazioni possano darci sempre luci per risolvere casi concreti. E così man mano si delineerà un quadro di insieme in questa speranza, guardando al Santo Padre e ascoltando le sue parole”.

    Dunque promotori di ecumenismo per combattere ogni individualismo, ma anche presenza nel mondo di quel riflesso della luce delle genti, che è Cristo per condividere le gioie e le speranze i dolori e le angosce dei fratelli uomini. Così anche di fronte a tragedie immani e inspiegabili come il naufragio a Lampedusa, costato la vita a decine di innocenti. Ancora il cardinale Péter Erdő:

    “Auspichiamo che questa tragedia porti ad una presa di coscienza più profonda del grave problema dei profughi”.

    Dell’emergenza immigrazione Mario Galgano ha parlato anche con il vescovo maltese di Gozo, mons. Mario Grech:

    R. - È un incidente che spero ci aiuti ad aprire il nostro cuore verso questa gente. Mi auguro che tutte quelle persone che ancora non hanno accettato di aprirsi per aiutare questa gente, almeno con questa ennesima tragedia, si rendano conto che siamo corresponsabili di fronte alla morte di queste persone.

    D. - Da un punto di vista anche maltese cosa chiedete all’Europa che forse è un po’ più lontana geograficamente da questi luoghi dove accadono queste tragedie?

    R. – Basta con la nostra cecità e con la nostra irresponsabilità! Io mi ricordo le parole che ci ha rivolto il Santo Padre quando ha detto che purtroppo l’uomo, oggi, non è più capace di piangere di fronte a queste tragedie.

    “La Chiesa – aveva detto ieri il segretario generale della Ccee, mons. Mario Duarte da Cunha, vuole il bene della persona, e desidera quanto è bene per il suo sviluppo integrale e quello delle società in cui vive”. Da qui la necessità, e la proposta dei vescovi, di dar vita a una “sana laicità” o “laicità positiva”, che non teme Dio, e garantisce la presenza delle religioni nella sfera pubblica pur rispettando il principio della separazione fra Stato e Chiesa.

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    In Svizzera, la rinuncia ad abate ordinario dell’Abbazia territoriale di Maria Einsiedeln

    ◊   In Svizzera, Papa Francesco ha accettato la rinuncia ad Abate Ordinario dell’Abbazia territoriale di Maria Einsiedeln, presentata dal padre Abate, Dom Martin Werlen, alla scadenza prestabilita del suo mandato.

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    La visita del card. Filoni in Corea: non perdere di vista il ruolo della preghiera

    ◊   Prosegue la visita pastorale del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, in Corea del sud. Oggi il porporato – riferisce la Fides – si è recato a Chojinam, dove si trovano le tombe dei cinque servi di Dio considerati il primo nucleo della Chiesa nascente in Corea. Qui, ha benedetto la statua di Nostra Signora della pace e ha presieduto la celebrazione cui hanno partecipato religiosi e laici membri della Società di Vita apostolica della Corea: “La vita religiosa ha due caratteristiche indissolubili – ha detto durante l’omelia – la prima è che non può non essere cristologica; la seconda, conseguentemente, è che non può non essere anche ecclesiologica”. Il porporato ha poi indicato che anche la missionarietà “che deriva dalla risposta che diamo a Cristo e dall’invio, avviene nella dimensione ecclesiale”. Nella sua omelia, il cardinale Filoni ha poi sottolineato la crisi odierna che coinvolge alcune Congregazioni, causata “dall’aver anteposto o sminuito il ruolo della preghiera e dello spirito per l’attività pratica, divenendo ben presto attivismo, e di aver sottovalutato anche l’orazione comunitaria”. Infine, l’invito “ad avvalersi nelle parrocchie e nelle associazioni, dei carismi spirituali e pastorali di cui i religiosi e le religiose sono portatori e portatrici, perché solo da una visione integrata potrà derivare il miglior bene per la Chiesa”. (R.B.)

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    Pacem in terris. Mons. Toso: utopia in cammino verso il bene comune

    ◊   “Non ci può essere vera pace e armonia se non lavoriamo per una società più giusta e solidale, se non superiamo egoismi, individualismi, interessi di gruppo e questo a tutti i livelli”. Sono le parole di Papa Francesco, ieri ai partecipanti alle Giornate per il 50.mo della Pacem in terris, l‘Enciclica con cui l’11 aprile del 1963 il Beato Giovanni XXIII lanciò un drammatico e accorato appello di pace, proprio quando ormai si era “sull’orlo di un conflitto atomico mondiale”. Ebbene, ha aggiunto il Santo Padre, “il richiamo della Pacem in terris rimane fortemente attuale”. Sul valore storico dell’Enciclica, Antonella Palermo ha intervistato mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:

    R. - E’ quello di essere una pietra miliare della riflessione sulla pace. Con la Pacem in terris si ha la presentazione di una nuova concezione della pace. La tradizione pensava alla pace in negativo, come assenza di guerra; la mentalità era: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Il Beato Papa Giovanni XXIII, Santo a breve, insegna a riflettere e ad agire, rispetto alla pace, in positivo: a partire dalla pace. Se vuoi la pace, costruisci la pace. E questa non è un’utopia astratta, meramente immaginaria, senza fondamento nella realtà. E’ anzitutto un’esperienza profonda di ogni essere umano e della società. E’ desiderio innato, insopprimibile aspirazione del cuore umano, dei popoli. In definitiva, il valore storico della Pacem in terris è quello di presentare un’utopia in cammino, che convochi le persone alla realizzazione comunitaria del bene comune, alla speranza.

    D. – Quale aspetto contenuto in questa Enciclica è oggi più urgente mettere in pratica, perché disatteso finora, ovvero non ancora adeguatamente recepito dalle società civili, dai governanti delle Nazioni, dai leader dei Paesi più sviluppati?

    R. – In un contesto internazionale, ma anche europeo, in cui lo stato di diritto si sta frantumando perché si giunge a codificare spesso l’arbitrio, l’aspetto oggi più urgente appare essere quello del radicamento dei diritti e dei doveri, considerati simultaneamente, nell’integralità della persona umana, nella sua coscienza, prima ancora che sul pur necessario consenso sociale. Solo il collegamento dei diritti e dei doveri con l’ordo ad Deum, riconosciuto e specificato nelle scelte, garantisce ad essi esigibilità e cogenza certe, riservando e promuovendo lo stato di diritto, lo ius internationale, la cittadinanza universale.

    D. – Il digiuno e la veglia di preghiera per la pace in Medio Oriente e in Siria, voluti da Papa Francesco, che così grande adesione hanno riscontrato in varie parti del mondo, secondo lei hanno inciso sul raffreddamento dei venti di guerra paventati nella regione?

    R. – E’ un fatto che l’iniziativa di Papa Francesco ha avuto grande eco, capacità di mobilitazione e ha ridestato l’attività diplomatica che appariva sopita e rinunciataria. La diplomazia e la politica sono tornate ad operare con più determinazione al servizio del bene e della pace, a intercettare l’anelito profondo di tutti alla pace. L’azione eminentemente religiosa di Papa Francesco è apparsa come paradigma anche per l’azione della politica, il cui compito specifico è quello di vivere in comunione con il sentire e con l’aspirazione più intrinseci dell’anima della gente. Vi è stato chi ha proposto la candidatura di Papa Francesco al Premio Nobel per la pace; altri hanno scritto che Papa Francesco ha fatto arrossire la politica. Sicuramente, Papa Francesco ha sollecitato tutti all’alta e nobile arte della costruzione della pace.

    D. – In riferimento, ancora, alla situazione siriana: quanto è effettivamente rassicurante, sul piano internazionale, la recente risoluzione Onu sullo smantellamento dell’arsenale chimico?

    R. – La misura della sicurezza, garantita dalla recente risoluzione Onu, è data dal coinvolgimento non di un privato o di un singolo Stato, ma di un’entità istituzionale sovrannazionale che, nonostante tutti i limiti intrinseci che conosciamo bene, rappresenta sempre un ‘form’ di responsabilità a raggio mondiale. Il fatto che l’Onu stessa si renda garante dello smantellamento dell’arsenale di armi chimiche in Siria, offre al mondo un numero maggiore di ragioni rispetto alla sicurezza.

    D. – La ripresa del dialogo Usa-Iran, secondo lei, quanto sarà capace di aprire nuovi scenari nello sblocco dei nodi politici in Medio Oriente?

    R. – In base alla sua effettiva attuazione. Un dialogo sincero ed efficace Usa-Iran potrebbe rappresentare una causa esemplare o il fermento per altri dialoghi di pace, altrettanto fruttuosi, nello scacchiere della regione mediorientale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa ad Assisi.

    Tutti salvi ad Assisi: Gaetano Vallini spiega come il vescovo Giuseppe Placido Nicolini e don Aldo Brunacci sottrassero oltre trecento ebrei alla persecuzione nazifascista.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la tragedia consumatasi ieri al largo di Lampedusa.

    Un articolo di Silvina Perez dal titolo “Al numero 3121 di via Calvo”: suor Geneviève e il corpo ritrovato della zia Léonie, trucidata dai militari argentini nel 1977.

    “Che dice Massera?”, così il giovane prete sfidò l’ammiraglio: stralci dal libro di Nello Scavo “La lista di Bergoglio. I salvati di Papa Francesco” (che verrà presentato il 7 ottobre).

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    Oggi in Primo Piano



    Assisi, appello di pace del Papa. Mons. Hobeika: grati per la sua attenzione al Medio Oriente

    ◊   Vasta eco ha avuto in tutto il Medio Oriente l’appello alla pace lanciato questa mattina da Papa Francesco, durante l’omelia della Messa celebrata ad Assisi. “Sentiamo il grido di coloro che piangono – ha detto il Pontefice – soffrono e muoiono a causa della violenza, del terrorismo o della guerra, in Terra Santa tanto amata da san Francesco, in Siria, nell’intero Medio Oriente, nel mondo”. Salvatore Sabatino ha raccolto il commento di mons. Mansour Hobeika, vescovo di Zahleh dei Maroniti, in Libano, Paese che sta soffrendo della vicina guerra siriana:

    R. – Siamo tutti molto grati al Santo Padre. Capiamo quanto sia importante la sua visita ad Assisi. Papa Francesco si serve di questa speciale occasione per parlare della situazione in Siria e nel Medio Oriente: insiste nei suoi discorsi così ricchi di espressività e così ci mostra la sua preoccupazione, la sua vigilanza riguardo al nostro futuro. Gli siamo grati anche per l’interesse che mostra verso la Chiesa in Medio Oriente.

    D. – San Francesco è stato in Medio Oriente e la sua è stata una figura di grande conciliazione. Quale il valore di questo nuovo appello di pace che giunge dalla città di San Francesco?

    R. – Il Papa sta seguendo le orme di San Francesco e in questo modo indica la giusta via a tutti. C’è però l’impressione che gli estremisti non ascoltino i suoi insegnamenti, ma questo non deve farci paura, perché la maggioranza della popolazione in Medio Oriente crede in questi valori positivi. Normalmente, ascoltano l’appello del Papa e si sentono appoggiati dalle sue parole, perché il Papa cerca di perseguire gli interessi di tutti quanti e la pace in favore di tutti. Questo per dare una continuità all’azione e alla spiritualità di San Francesco.

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    Nuove manifestazioni in Egitto. La Turchia impegnata nella mediazione

    ◊   Una delegazione di alto livello dell'Unione Africana è attesa oggi in Turchia per discutere degli ultimi sviluppi della crisi in Egitto. Ankara si propone come mediatore tra la Fratellanza musulmana ed esercito, mentre sono attese per oggi nuove manifestazioni in favore del deposto presidente Morsi. Preoccupazione per la protesta convocata per domenica, data in cui ricorre il 40esimo anniversario della guerra arabo-israeliana. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Azzurra Meringolo dell’Istituto Affari Internazionali:

    R. – L’Egitto continua ad essere un Paese polarizzato tra i pro-Morsi, quindi islamisti, e le tante diverse anime che ritengono la deposizione dell’ex presidente – seppur eletto democraticamente nel 2012 – legittima, perché, secondo queste forze, lui non avrebbe avuto un comportamento democratico nei 12 mesi al potere. Queste realtà ritengono che l’intervento militare sia stato legittimato dalla volontà popolare di deporlo e riavviare la transizione con il piede giusto.

    D. – Una delegazione di alto livello dell’Unione Africana è oggi attesa in Turchia per discutere degli ultimi sviluppi della crisi in Egitto...

    R. – Ricordiamo innanzitutto che la Turchia ha scommesso sul progetto democratico della Fratellanza Musulmana e anche che il Consiglio per la pace e la sicurezza dell'Unione Africana ha sospeso l'Egitto dopo la deposizione di Morsi lo scorso 3 luglio. Siamo quindi di fronte a questi due soggetti che oggi si trovano a parlare e la Turchia può avere un ruolo importante, che ha cercato e sta cercando di avere. Anche l’Unione Europea ha a cuore questo sforzo di mediazione. Ricordo che Catherine Ashton è tornata per la seconda volta in Egitto per cercare punti di contatto e favorire la rappresentanza dei Fratelli musulmani e degli islamisti nel processo di transizione in corso. Bisognerà ovviamente vedere anche quanto l’animo islamista della Fratellanza musulmana vorrà realmente essere parte di questa transizione e non autoescludersi. E questo ulteriore aspetto dipendere molto dalle dinamiche interne alla Fratellanza, dove convivono tante anime e dove la leadership è quasi tutta dietro le sbarre.

    D. – Quindi, tutta la situazione è in totale divenire...

    R. – Sì, le scadenze principali sono il varo della Costituzione – che adesso sta per essere completata e a cui dovrà seguire un referendum popolare per approvarla – e poi le elezioni parlamentari e presidenziali. Dalla bozza costituzionale – non esiste ancora un testo definitivo – sembra anche ci siano novità sul quadro istituzionale. L’Egitto potrebbe diventare una Repubblica semipresidenziale. Ovviamente, sono cose che non si possono ancora confermare, ma sono scenari possibili.

    D. – Anche la redazione della Costituzione presenta comunque qualche problema proprio per chi la sta redigendo...

    R. – L’Assemblea costituente che sta redigendo il testo è composta da 50 membri di cui soltanto uno islamista, che per lo più non appartiene alla Fratellanza musulmana ma al movimento salafita, quello più radicale. Gli islamisti, però, hanno ottenuto finora circa i due terzi dei voti alle ultime elezioni e sono esclusi dal processo costituzionale, quindi allo stato attuale non si sta andando verso un processo di inclusione democratica.

    D. – Una delle proteste pro-Morsi è stata organizzata per domenica prossima, quando ricorrerà di fatto il 40.mo anniversario della guerra arabo-israeliana...

    R. – Quello che si percepisce al Cairo è che si tratta di una data molto attesa. C’è un clima di montante tensione, è il giorno verso il quale stanno guardando gli egiziani e la piazza. C’è timore da parte dei militari che ci siano atti di violenza. Ovviamente, noi ci auguriamo che non succeda niente. Questa però è la data da guardare nel breve periodo.

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    Lampedusa, recuperati 111 corpi. Alfano: potrebbe non essere l'ultima volta

    ◊   Sono proseguite per tutta la notte le ricerche di eventuali sopravvissuti al naufragio di ieri al largo di Lampedusa. Poi le cattive condizioni del tempo hanno imposto uno stop. Al momento, sono stati recuperati 111 corpi, ma numerose decine sono ancora intrappolate nel relitto ed anche il mare agitato ostacola le operazioni. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il bilancio di 111 morti è purtroppo parziale, nell’isola sono arrivate infatti 140 bare. Uno dei sub ha raccontato di una “massa di corpi incastrati nella stiva” ed altri “aggrappati alla fiancata del peschereccio”. Alla Camera, di ritorno da Lampedusa, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha detto che sono state salvate 155 persone, ma che oltre ai 111 morti vi sono decine di vittime incagliati tra le lamiere del peschereccio, chiedendo poi di assegnare il Nobel per la pace a Lampedusa. Per Alfano, serve “agire in Europa e in Africa per contrastare i flussi di immigrazione illegale”. Uomini e mezzi dell'agenzia Frontex devono vigilare di più sul Mediterraneo. Insomma bisogna pensare a lungo termine:

    "Non c'è ragione per pensare e per sperare che sara' l'ultima volta".

    Tra poco, arriverà anche il presidente della Camera, Laura Boldrini. Oggi, è lutto non solo a Lampedusa, ma in tutta Italia, e nelle scuole è stato osservato un minuto di silenzio.

    La maggioranza dei migranti era originaria della Somalia e dell’Eritrea, la prima in guerra dal 1994 e la seconda sconvolta dalla dittatura. Davide Pagnanelli ha approfondito il dramma umano di queste persone intervistando don Mussie Zerai, presidente dell’Associazione per la cooperazione e lo sviluppo “Habeshia”:

    R. – Stando unicamente alle statistiche delle Nazioni Unite, ogni mese solo dall’Eritrea arrivano duemila nuovi richiedenti asilo nei campi profughi in Sudan. Da lì, si spostano verso la Libia e dalla Libia verso l’Europa, quindi anche verso l’Italia.

    D. – Da cosa scappano queste persone?

    R. – I somali scappano dalla situazione di guerra che si protrae dal ’94. Gli eritrei sfuggono dalla dittatura, dall’assenza di qualsiasi libertà, sono costretti ad una vita militare infinita e a vivere quindi uno stato di schiavitù legalizzato nel Paese in cui vivono. Fuggono per trovare la libertà e ricostruire un futuro. C’è chi fugge anche dalla fame, specialmente quest’anno che c’è una forte carestia.

    D. – Quali pericoli incontrano durante il cammino?

    R. – Vengono sequestrati, maltrattati e devono spesso pagare riscatti per la loro liberazione. Moltissime persone, prima ancora di arrivare sulle coste libiche, rimangono paralizzati, mutilati, feriti... Quindi, i pericoli che devono superare sono tantissimi. Una volta arrivati in Libia, nei centri di detenzione la situazione non cambia. Sappiamo che tipo di vita fanno: maltrattamenti, abusi...

    D. – Perché non sono stati ancora creati “corridoi umanitari” che facciano migrare queste persone in sicurezza?

    R. – Soltanto perché manca la volontà politica di agire e accogliere queste persone. Spesso si specula, si fanno campagne elettorali sulla pelle di queste persone e si preferisce guardare agli interessi particolari dei partiti senza tener conto che stiamo parlando di vite umane.

    D. – Cosa può fare dunque la comunità internazionale per rispondere a questo problema?

    R. – Iniziare intanto a risolvere i conflitti ed i problemi che li spingono a lasciare il proprio Paese: questa sarebbe la miglior soluzione da proporre a queste persone. Creare la possibilità che possano vivere liberamente, in modo dignitoso nel proprio Paese. Nel frattempo, però, una soluzione provvisoria è anche quella di garantire un accesso legale, protetto, verso un Paese dove possano trovare asilo e la protezione internazionale. Un programma di accoglienza, di reinsediamento anche di un corridoio umanitario che permetta a queste persone di arrivare legalmente nel Paese di destinazione, senza doversi affidare ai trafficanti mettendo in pericolo la loro vita.

    Il giorno dopo l’orrore per l’ennesima tragedia di migranti, la comunità di Lampedusa vive oggi una giornata di sconforto ma anche di speranza, come ha affermato il parroco dell’isola, don Stefano Nastasi, intervistato da Elvira Ragosta:

    R. – C’è tanta rabbia, tanto sconforto, anche perché la comunità ha pensato fin dal primo momento che era qualcosa che si doveva e si poteva probabilmente evitare.

    D. – I lampedusani continuano la staffetta di solidarietà, nonostante le scene terribili di ieri, ma cosa resterà alla popolazione di questa esperienza?

    R. – Non possono nascondere uno scoraggiamento, che quindi non è solo mio, ma anche della comunità. Questo è un dramma troppo grande per noi, che incide nella carne di una comunità, perché se da un lato c’è la perdita di questi fratelli, il dolore atroce delle loro famiglie, dall’altro lato c’è una sofferenza che s’iscrive nella storia di questa comunità e che entra nelle nostre carni.

    D. - Lei si è unito all’appello del sindaco Giusi Nicolini e alle istituzioni italiane ed europee. Quale potrebbe essere, secondo lei, la soluzione più efficace per evitare l’ennesima tragedia di migranti?

    R. – Penso che la risposta sia di realizzare un corridoio umanitario, in modo tale da poter dare la possibilità a chi riceve lo status di rifugiato di poter essere custodito, senza essere travolto dal mare.

    D. – Di cosa maggiormente ha bisogno in questo momento la comunità dei lampedusani?

    R. – Non credo ci sia un bisogno di qualcosa di materiale. Quello che serve per i giorni futuri è una solidarietà fattiva, attraverso la quale Lampedusa si senta parte viva dell’Italia e non si senta ancora una volta un’appendice dell’Italia o dell’Europa. Ci aiuta sicuramente riunirci in preghiera, ma anche il sostegno che è venuto prima da Papa Francesco e poi anche da altri. Bisogna ripartire da lì per alimentare di nuovo quella speranza di cui abbiamo bisogno, per ridare consolazione a questa comunità come anche alle famiglie e ai migranti.

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    Napolitano su Lampedusa: reagire all'orrore, verificare se norme ostacolano accoglienza

    ◊   La tragedia di Lampedusa ha profondamente impressionato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In un collegamento con la stazione spaziale internazionale, il Capo dello Stato ha detto che ''molte cose dobbiamo fare tutti insieme, ciascuno nel suo ambito di responsabilità''. Ma Napolitano ha voluto approfondire questi temi ai microfoni della nostra emittente. Sentiamolo intervistato da Alessandro Guarasci:

    D. – Signor presidente, a Lampedusa, una tragedia tremenda. Le norme europee e italiane mostrano dei limiti, secondo lei, in questo momento? Bisogna guardare oltre?

    R. – Innanzitutto, bisogna reagire e agire. Non ci sono termini abbastanza forti per indicare anche il nostro sentimento di fronte alla tragedia di questa mattina. Papa Francesco ha detto: “Vergogna”, io posso aggiungere: “Vergogna e orrore”, e tuttavia assolutamente non si può soltanto, di volta in volta, restare a questa denuncia o a questa espressione di sentimenti profondi di rifiuto del possibile ripetersi cronicamente di queste tragedie. C’è una questione di norme, lei domanda: credo che una delle verifiche che vadano rapidamente fatte è quali norme di legge ci sono che fanno ostacolo ad una politica dell’accoglienza, degna del nostro Paese e rispondente a principi fondamentali di umanità e solidarietà. Se ci sono state negli anni delle scelte che hanno introdotto nel nostro ordinamento norme che impediscono un più chiaro dispiegamento di questa azione di salvataggio e di solidarietà umana, queste debbono essere modificate. Però, non è solo questione di norme: è questione di mezzi, è questione di interventi, è questione di responsabilità ed è un discorso che non può assolutamente essere solo italiano, deve essere allo stesso tempo almeno europeo.

    D. – I lampedusani hanno dato una grande prova di accoglienza. Lei è rimasto impressionato?

    R. – Io sono rimasto molto impressionato da tutte le prove di accoglienza che ha dato la popolazione di Lampedusa, da tutte le prove di accoglienza che hanno dato anche altre comunità quando, per esempio, abbiamo avuto questo moto generoso di bagnanti che sono scesi in acqua a raccogliere profughi che rischiavano di perdere la vita… E’, poi, fondamentale l’impegno della nostra Marina Militare e della nostra Guardia costiera, della nostra Guardia di Finanza, cioè delle forze dello Stato che si impegnano con tutti i mezzi a loro disposizione. Intanto, possiamo anche accrescere i mezzi da mettere a disposizione di queste forze: si tratti di più elicotteri, si tratti di più mezzi navali. Poi, ripeto, non può bastare soltanto l’impegno italiano, ci vuole almeno un impegno europeo. Dico almeno perché è una questione tale da toccare tutta la comunità internazionale. C’è un tale intreccio tra questi flussi di emigranti e di richiedenti asilo che arrivano in Italia e in altri Paesi europei, e il quadro internazionale, il quadro delle situazioni e dei conflitti in varie aree – noi siamo soprattutto vicini, oggi, sia all’area del Nord Africa, sia all’area della Siria e dei Paesi confinanti con la Siria, che occorre una visione globale che non può che avere il suo centro nelle Nazioni Unite. Occorre una politica europea dell’immigrazione e dell’asilo: penso che si confondano troppo spesso questi due aspetti. Una cosa è chi cerca di raggiungere l’Italia e l’Europa per trovare un lavoro e vivere meglio – quindi, certamente sfugge a condizioni di vita difficili – ma è cosa diversa da chi fugge drammaticamente da Paesi un guerra o da regimi oppressivi.

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    A Roma in mostra "I tesori di San Francesco a Ripa"

    ◊   Inaugurata a Roma alla presenza del cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del Vaticano, la mostra “I tesori di San Francesco a Ripa”. L’esposizione allestita in occasione dell’Anno della Fede ha sede nell’unica casa del Poverello d’Assisi a Roma, che oltre alla Cella del Santo custodisce un ricco e antico patrimonio di oggetti sacri, tra cui 293 autentiche di reliquie e preziosi paramenti sacri restaurati per l’occasione. Ne abbiamo parlato con lo storico dell’arte, Gianfrancesco Solferino, conservatore della chiesa di San Francesco a Ripa:

    R. – San Francesco a Ripa è stata la prima casa romana del Santo di Assisi ed è uno tra i più importanti insediamenti francescani nella storia. Il Santo fu qui dal 1209 in poi. Era un luogo molto povero, abbandonato, dove san Francesco in realtà curava i lebbrosi. Qui, sorse la prima cellula dell’ordine a Roma e lentamente, con il passare dei secoli, divenne uno dei conventi più importanti anche perché, nella seconda metà del ‘500, fu destinato a Procura generale della riforma dei Frati minori. Tutta la Chiesa è un gioiello che parla di arte, di pietà e di fede fioriti intorno alla figura di Francesco e dei suoi figli più illustri.

    D. – Questo patrimonio, in particolare quello che concerne gli oggetti sacri, viene esposto in mostra in questi giorni…

    R. – Siamo riusciti a restaurare delle opere molto importanti che erano in stato di deperimento da molto tempo. Mi riferisco, in particolare, ad un parato molto prezioso; un parato del ‘700 ricamato in Calabria. Pur essendo aniconico - un ricamo senza immagini, senza figure -, racconta però, attraverso la ricchissima simbologia floreale, il rapporto strettissimo che c’è tra Cristo e la Vergine Maria nella storia della salvezza e quindi inneggia alla figura di Maria Immacolata. Abbiamo potuto restaurare anche una serie di autentiche, che vanno a testimoniare l’autenticità delle reliquie poste alla devozione dei fedeli. San Francesco a Ripa è, per tradizione, la terza chiesa dell’urbe che custodisce il maggiore quantitativo di reliquie illustri della cristianità dopo il Vaticano e il Gesù. Queste carte, molte delle quali sciupate, rovinate dal passare del tempo, sono state restaurate e rimesse insieme alle teche originali delle reliquie. Quindi è stato un recupero importantissimo!

    D. – Il visitatore della mostra “I tesori di san Francesco a Ripa”, oltre ad un’esperienza estetica, è anche chiamato a vivere un’esperienza spirituale, attraverso la venerazione di queste reliquie…

    R. – Lei dice molto bene. Questo è forse il grande segreto della mostra. È anche un modo per rimandare non soltanto al sublime valore dell’arte, che è uno strumento potentissimo e meraviglioso per avvicinarsi a Dio, ma è anche un modo per suggerire un itinerario spirituale, quindi leggere la grandezza della fede attraverso le testimonianze ispirate dalla fede per dire che la santità è una cosa che si può sperimentare quotidianamente. Potrebbe essere un modo, anche per chi non crede, di accostarsi - se vogliamo - a questa realtà meravigliosa, spettacolare della fede cattolica.

    D. – Puntate al restauro della cella dove il poverello di Assisi soggiornò più volte a Roma?

    R. – Sì, questo è un piccolo grande sogno perché qui san Francesco curava gli appestati, ma soprattutto i lebbrosi. Aveva questo rapporto, questo legame fondamentale con i malati, attraverso i quali vedeva Gesù Cristo. Qui san Francesco ha sperimentato ancora una volta quello che fu poi l’inizio della sua vocazione: l’abbraccio con il sofferente, con il lebbroso. Tant’è vero che questo è un luogo che, da qualche anno a questa parte, si è aperto all’accoglienza delle persone più disagiate. C’è un percorso, un cammino avviato dalla comunità francescana per ridare, seppur temporaneamente, una casa attraverso la cui ospitalità ripartire per ridare un vita normale a chi è svantaggiato, a chi è in difficoltà, a chi è senza casa da tempo. Pensare di restaurare questa cella, che è l’ultima grande testimonianza della sua presenza a Roma, è un po’ come riportare all’antico splendore questa memoria viva di san Francesco nell’urbe.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    India. In aumento i casi di violenza anticristiana nel Karnataka

    ◊   Si moltiplicano i casi di aggressione ai danni dei cristiani nello Stato indiano del Karnataka, dove negli ultimi giorni – stando a quanto riferito all’agenzia Fides dalla "Evangelical Fellowship of India" – sono stati presi di mira diversi incontri di preghiera e molti pastori sono stati aggrediti e malmenati ad opera di gruppi di fondamentalisti indù. La comunità attiva nel distretto di Mandya, ad esempio, è stata attaccata il 28 settembre scorso e nello stesso giorno il pastore a capo della chiesa domestica del distretto di Tumkur è stato picchiato e la struttura incendiata da estremisti che contestavano l’uso di un’abitazione per la preghiera cristiana. Il giorno dopo, ancora un atto di violenza nel distretto di Chikmagalur, dove il capo della comunità è stato assalito con l’accusa di operare conversioni forzate e poi, trascinato dalla polizia, costretto a fermare una dichiarazione in cui s’impegnava a interrompere la predicazione cristiana. (R.B.)

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    Kenya. Chiesa protestante incendiata da fondamentalisti islamici a Mombasa

    ◊   La chiesa protestante appartenente all’Esercito della Salvezza nel quartiere di Majengo a Mombasa, in Kenya, è stata data alle fiamme oggi da alcuni dimostranti scesi in piazza per manifestare contro l’uccisione, avvenuta ieri, di un religioso islamico considerato vicino agli Shabaab somali. Nell’area, secondo testimoni, sono stati avvertiti colpi di arma da fuoco e le forze di sicurezza in tenuta antisommossa sono state schierate davanti alla chiesa della Pentecoste per paura di ulteriori ripercussioni. L’uomo ucciso la notte scorsa è lo sceicco Ibrahim Ismail, un predicatore integralista considerato il successore di Aboud Rogo Mohammed, assassinato anche lui nell’agosto 2012. Ismail era solito tenere i suoi sermoni nella moschea cittadina di Masjid Moussa, frequentata da fondamentalisti del movimento jihadista al-Mujaheddin, responsabile, il 21 settembre scorso, dell’assalto al centro commerciale Westgate di Nairobi, in cui hanno perso la vita decine di civili. (R.B.)

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    Il Wcc scrive al premier pakistano: sicurezza delle minoranze religiose

    ◊   Una ferma condanna agli atti di terrorismo e un’espressione commossa di solidarietà alle vittime e alle loro famiglie, cui è assicurato il ricordo nelle preghiere, è il contenuto di una lettera inviata dal segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), reverendo Olav Fykse Tveit, al primo ministro del Pakistan, Nawaz Sharif, dopo l’ennesimo attentato contro i cristiani nel Paese, avvenuto la settimana scorsa nella chiesa di Tutti i Santi a Peshawar. L’invito alle istituzioni – riferisce l’agenzia Fides – è anche quello di farsi carico della situazione garantendo la sicurezza alle minoranze religiose più vulnerabili, come quella cristiana appunto, in un Paese in cui si registra una forte impennata dell’estremismo islamico. Secondo gli ultimi dati forniti dal Centro per la ricerca e gli studi sulla sicurezza, da gennaio ad agosto 2013 in Pakistan sono state uccise per motivi religiosi ben 4286 persone. Sulla questione, è intervenuta anche l’ong Asian Human Rightts Commission, che ha sede a Hong Kong: “In Pakistan il diritto alla vita ha perso ogni significato – scrive in una nota – urge intervenire sul sistema della giustizia penale, ma è necessaria la volontà politica del governo di controllare la militanza nel Paese”. (R.B.)

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    Mons. Bertin sul dramma di Lampedusa: fermare i trafficanti di esseri umani

    ◊   “Mettere sotto controllo le organizzazioni di trafficanti di esseri umani che sono una vera e propria piaga e sono i responsabili di così tante morti”: questa la priorità delle istituzioni, secondo mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti, uno dei Paesi del Corno d’Africa più soggetti all’emigrazione, intervistato dall’agenzia Fides sulla tragica vicenda avvenuta ieri a Lampedusa, in cui il naufragio di un barcone di migranti provenienti proprio da quella parte del continente africano, potrebbe aver causato fino a 300 vittime. “Io ho scelto di venire in questi Paesi come missionario – ha aggiunto il presule – e ho compreso che la risposta vera a questa tragedia si trova non nel Mar Mediterraneo o nel Golfo di Aden, ma nell’affrontare i problemi economici, politici e culturali dei Paesi d’emigrazione”. Il vescovo segnala, comunque, anche le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani come obiettivo da combattere nell’immediato: sono loro, infatti, ad attirare potenziali migranti allettandoli con false prospettive di una vita migliore e li incoraggiano a intraprendere questi viaggi della speranza estremamente pericolosi: “Occorre favorire lo sviluppo del rispetto dei diritti umani in questi Paesi – ha concluso mons. Bertin – è questa la risposta vera al problema”. (R.B.)

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    Iraq: 5 seggi su 111 ottenuti dai cristiani nel parlamento del Kurdistan

    ◊   Sono cinque i seggi vinti dai cristiani nel parlamento della regione autonoma del Kurdistan, la ricca area petrolifera a nordovest di Baghdad, durante queste ultime elezioni che hanno segnato uno spostamento importante nella politica della regione. Il partito democratico del Kurditan, riporta l'agenzia Fides, ha ottenuto la maggioranza, con 38 seggi, ed è risultato vincitore sull’Unione patriottica nazionale, al governo ormai da decenni nella regione, che ha conquistato solamente 18 seggi. Intanto, non si fermano le violenze nel paese: cinque persone sono morte e altre 11 sono rimaste ferite in un due attacchi contro le forze di sicurezza del Paese. Il primo attentato ha avuto luogo a Hit, nella provincia occidentale di Anbar, dove un attentatore suicida ha fatto esplodere un’autobomba nei pressi di un comando delle forze di sicurezza causando tre vittime e cinque feriti. Il secondo attacco è avvenuto ad Ameriya, 15 km a sud di Falluja, dove gruppi di miliziani hanno fatto esplodere le case di alcuni esponenti della polizia locale uccidendo due persone e ferendone altre sei. (D. P.)

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    Corea del Sud. Il centro “Casa di Anna” a Suwon per accogliere i nuovi poveri

    ◊   Ventuno anni fa, padre Vincenzo Bordo ha fondato la “Casa di Anna”, un centro di accoglienza per aiutare i nuovi poveri di una città ricca come Suwon, in Corea del Sud, dove gli anziani soli, i ragazzi abbandonati, gli uomini senza fissa dimora e i disoccupati rientrano in quella classe di persone dimenticate, pur vivendo in uno dei Paesi più sviluppati del mondo. Dichiara padre Bordo all’agenzia Fides: “Ogni giorno, 500 persone senza fissa dimora usufruiscono della cena e della doccia. Poi, abbiamo un dormitorio. Offriamo assistenza sociale, psicologica e medica. Il fine è reinserire le persone nel tessuto sociale. Per questo, abbiamo creato un laboratorio di formazione professionale, dove si confezionano borse artigianalmente”. Per i ragazzi, il progetto ha assunto delle caratteristiche particolari, spiega padre Bordo: “I ragazzi sono accolti per circa 9 mesi, in cui si cerca di capire i loro problemi. In questo periodo, contattiamo i genitori per conoscere le realtà familiari speso disagiate e difficili. A quel punto, per i ragazzi vi sono tre strade: o tornano in famiglia, o vanno in un nostra casa-famiglia per studiare, o si trasferiscono in un’altra casa-famiglia per inserirsi nel mondo del lavoro”. L’organizzazione è composta da 25 impiegati laici e diversi volontari e da vent’anni va avanti grazie alle elemosine. Padre Bordo afferma: “Non ci è mai mancato nulla: la Provvidenza ci aiuta”. (D.P.)

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    Perù. Scoperti laboratori di droga che impiegavano donne e bambini

    ◊   In un’incursione delle forze militari nel territorio colombiano del Trapezio Amazzonico – una parte di terra stretta tra i confini con Brasile e Perù – sono state scoperte 28 fabbriche clandestine e sequestrate 123 tonnellate di composti chimici vietati e 10.500 tonnellate di foglie di coca. Ne dà notizia l’agenzia Fides, riferendo che sono stati trovati anche molti bambini che per una paga miserabile lavoravano a stretto contatto con sostanze tossiche che si usano per elaborare la cocaina, quali l’acetone, l’etere etilico, la benzina o il cherosene. Si tratta per lo più di ragazzini di età compresa tra gli 8 e i 13 anni, originari di Ticuna Cushillo Cocha, al lavoro nelle regioni di Santa Rosa e Caballococha. zone da dove la droga viene poi esportata dai narcotrafficanti per via aerea e fluviale. Secondo le indagini dei militari, inoltre, si è scoperto che anche molte donne native della zona hanno lasciato il lavoro nei campi, preferendo la più remunerativa attività della lavorazione delle sostanze stupefacenti. Nell’area del Trapezio Amazzonico, secondo i dati, vengono prodotte ogni anno 30 tonnellate di droga. (R.B.)

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    Unicef: 5-6 ottobre si rinnova l’iniziativa "Orchidea" contro la mortalità infantile nel mondo

    ◊   Si rinnova il 5-6 ottobre l’iniziativa "Orchidea", promossa dall’Unicef per contrastare la mortalità infantile. Con una donazione minima di 10 euro, sarà possibile portare a casa una lattina di semi di orchidea, insieme con un tazza, avendo la certezza che questi soldi verranno impiegati in progetti contro la mortalità infantile nei Paesi meno agiati. “Siamo giunti quest’anno al sesto appuntamento con l’Orchidea dell’Unicef”, ha dichiarato Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia, che ha spiegato: “Vogliamo chiedere a tutti di fare un gesto simbolico attraverso una lattina di semi di orchidea e far crescere così idealmente la vita di un bambino”. Secondo i dati Unicef, ogni giorno muoiono nel mondo 18 mila bambini sotto i cinque anni per cause prevenibili o curabili, i progetti dell’Unicef si propongono di attivare: programmi di vaccinazione, distribuzione di zanzariere, visite prenatali e assistenza al parto, insieme con programmi alimentari come distribuzione di sale iodato e vitamina A, terapie di reidratazione e prevenzione e cura della malnutrizione. (D.P.)

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    Messico. Effetti dell'uragano "Ingrid": impennata casi di dengue

    ◊   Il passaggio dell’uragano "Ingrid2 ha favorito in Messico il dilagare di una nuova epidemia di dengue. Nell’ultima settimana, si registrano 100 nuovi casi, che salgono a quasi 2.000 considerando l’intero mese di settembre. Il Ministero della sanità messicano, riporta l’agenzia Fides, ha emesso un comunicato in cui si parla di 1.888 nuovi casi di dengue, di cui 54 di tipo emorragico, con l’invito alla popolazione a curare l’igiene delle abitazioni e stare particolarmente attenti. Si tratta di un dato nove volte superiore rispetto a quello registrato nel 2010, dopo il passaggio dell’uragano "Alex" che, aumentando l’umidità dell’aria, aveva fatto proliferare le zanzare responsabili della malattia, favorendo il contagio di 226 persone. L’azione congiunta di Ingrid e della tempesta tropicale Manuel, ha scaricato sul Messico una quantità impressionante d’acqua che, oltre alle inondazioni e ai crolli che già hanno causato 155 vittime, ha favorito il dilagare del virus dengue causando quest’impennata di contagi. (D.P.)

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    Madagascar. Tensione dopo il linciaggio di 3 persone accusate di traffico d’organi

    ◊   Resta alta la tensione a Nosy Be, una delle località turistiche più note del Madagascar, dove ieri la folla in delirio ha linciato tre uomini – un italiano, un francese e un malgascio – accusati di aver rapito e ucciso un bambino di otto anni, omicidio che potrebbe essere legato al traffico d’organi. “Le manifestazioni della popolazione continuano e le autorità hanno decretato il coprifuoco notturno”, spiega all’agenzia Fides don Luca Treglia, direttore dell’emittente Radio Don Bosco di Antananarivo. Il sacerdote riferisce che Nosy Be si trova nella zona a più alto rischio di turismo sessuale dell’isola, ma rimane cauto sull’ipotesi investigativa del traffico d’organi, al quale sarebbero stati dediti i tre torturati, ipotesi avvalorata dal ritrovamento del cadavere mutilato della piccola vittima: “È un fatto ancora da verificare – dice – anche se a più riprese nel Paese si sono diffusi allarmi su presunte esportazioni di organi umani”. Oggi, le autorità malgasce hanno fatto sapere di aver arrestato sei persone sospettate di essere legate al linciaggio avvenuto ieri e hanno precisato che, essendo stato già sepolto il corpo del bambino, sarà impossibile effettuare l’autopsia e verificare l’effettiva presenza delle mutilazioni. (R.B.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 277


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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.