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Sommario del 28/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: nel dialogo interreligioso non serve “fraternità finta”, ognuno porti sua identità
  • Il Papa: la fede non è un fatto privato, adorare Dio fino alla fine, nonostante apostasia e persecuzioni
  • Tweet del Papa: siamo docili alla Parola di Dio pronti alle sorprese del Signore
  • Chiara Amirante: “Evangelii Gaudium”, urgente rivalutare carisma della donna
  • Mons. Xuereb nominato delegato per Commissioni referenti su Ior e struttura economica Santa Sede
  • Altre udienze di Papa Francesco
  • Il card. Filoni al Congresso Missionario Americano: "Evangelizzare è un atto d'amore"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Grecia: un disoccupato nel 40 per cento delle famiglie. Caritas Hellas in prima linea negli aiuti
  • Vilnius: l'economia europea riparte dalla piccola e media impresa
  • Berlusconi fuori dal Parlamento: prosegue dibattito nel Paese. Il commento del prof. Baggio
  • In Thailandia continua la protesta antigovernativa
  • Alfano: niente tagli sulla sicurezza, attenzione ai flussi di immigrati
  • In Sardegna è ancora emergenza: l'impegno della Caritas per lenire ferite morali e materiali
  • Presentata la campagna per i senza dimora di Roma: "Casa dolce caritas"
  • "Giuristi per la vita" propone agli enti locali un ordine del giorno a tutela della famiglia naturale
  • La mostra "100 presepi". Mons. Celli: le famiglie abbiano il presepe al loro centro
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Usa: anche il mondo ebraico americano plaude alla “Evangelii Gaudium”
  • Siria: un parroco denuncia l’esodo dei civili cristiani da Qara, invasa da jihadisti stranieri
  • Libano: oltre 800 mila profughi siriani vivono in baracche o all'aperto
  • Pakistan. Allarme tra i cristiani: si acuisce la piaga della blasfemia, quattro casi in un mese
  • Angola: appello alla pace dei vescovi dopo la morte di un oppositore
  • Camerun: i vescovi chiedono di pregare per il sacerdote francese rapito due settimane fa
  • Burundi: la società civile dei Grandi Laghi a convegno per consolidare la pace
  • Albania: grande preoccupazione dei vescovi per la proposta del matrimonio gay
  • Brasile: nota dei vescovi sul contenzioso tra coloni agricoli e indios
  • Turchia: il più antico luogo di culto cristiano a Istanbul diventerà una moschea
  • Terra Santa: le difficoltà dei migranti al centro dell'annuale serata in memoria di Daniel Rossing
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: nel dialogo interreligioso non serve “fraternità finta”, ognuno porti sua identità

    ◊   Il futuro dell’umanità “sta nella convivenza rispettosa delle diversità”. E’ uno dei passaggi chiave del discorso che Papa Francesco ha rivolto stamani ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Il Papa ha sottolineato che “non è possibile pensare ad una fratellanza da laboratorio”. Quindi, ha ribadito con forza che va tutelata la libertà religiosa in tutte le sue dimensioni. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dal cardinale Jean-Louis Tauran. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    In un mondo diventato più piccolo è sempre più importante il dialogo e l’amicizia tra persone di diverse religioni. Papa Francesco è partito da questa considerazione per svolgere un appassionato discorso in favore del dialogo interreligioso. E’ una realtà e una sfida, ha detto, che “interpella la nostra coscienza di cristiani” e che ha un’incidenza sulla “vita concreta delle Chiese locali, delle parrocchie, di moltissimi credenti”. Del resto, ha constatato con amarezza, “non mancano nel mondo contesti in cui la convivenza è difficile”:

    “Spesso motivi politici o economici si sovrappongono alle differenze culturali e religiose, facendo leva anche su incomprensioni e sbagli del passato: tutto ciò rischia di generare diffidenza e paura. C’è una sola strada per vincere questa paura, ed è quella del dialogo, dell’incontro segnato da amicizia e rispetto”.

    Dialogare, ha precisato il Papa, “non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana”:

    “È per questo motivo che dialogo interreligioso ed evangelizzazione non si escludono, ma si alimentano reciprocamente. Non imponiamo nulla, non usiamo nessuna strategia subdola per attirare fedeli, bensì testimoniamo con gioia, con semplicità ciò in cui crediamo e quello che siamo. In effetti, un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede, fingesse di rinunciare a ciò che gli è più caro, non sarebbe certamente una relazione autentica. In tale caso si potrebbe parlare di una fraternità finta”.

    Al contempo, ha soggiunto, come cristiani “dobbiamo sforzarci di vincere la paura, pronti sempre a fare il primo passo, senza lasciarci scoraggiare di fronte a difficoltà e incomprensioni”. Il dialogo interreligioso, quando è “costruttivo”, ha poi evidenziato serve anche a superare “la paura verso le diverse tradizioni religiose e verso la dimensione religiosa in quanto tale”, fenomeno “in aumento nelle società più fortemente secolarizzate”.

    “La religione è vista come qualcosa di inutile o addirittura di pericoloso; a volte si pretende che i cristiani rinuncino alle proprie convinzioni religiose e morali nell’esercizio della professione”.

    Il Papa ha osservato che è “diffuso il pensiero secondo cui la convivenza sarebbe possibile solo nascondendo la propria appartenenza religiosa, incontrandoci in una sorta di spazio neutro”. Ma, è il suo interrogativo, “come sarebbe possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere?”:

    “Non è possibile pensare a una fratellanza da laboratorio. Certo, è necessario che tutto avvenga nel rispetto delle convinzioni altrui, anche di chi non crede, ma dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro l’un l’altro per quello che siamo. Il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale. Diventa perciò imprescindibile il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà religiosa, in tutte le sue dimensioni”.

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    Il Papa: la fede non è un fatto privato, adorare Dio fino alla fine, nonostante apostasia e persecuzioni

    ◊   Ci sono “poteri mondani” che vorrebbero che la religione fosse “una cosa privata”. Ma Dio, che ha vinto il mondo, si adora fino alla fine “con fiducia e fedeltà”. È il pensiero che Papa Francesco ha offerto durante l’omelia della Messa celebrata questa mattina in Casa S. Marta. I cristiani che oggi sono perseguitati – ha detto – sono il segno della prova che prelude alla vittoria finale di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Nella lotta finale tra Dio e il Male, che la liturgia di fine anno propone in questi giorni, c’è una grande insidia, che Papa Francesco chiama “la tentazione universale”. La tentazione di cedere alle lusinghe di chi vorrebbe averla vinta su Dio, avendo la meglio su chi crede in Lui. Ma proprio chi crede ha un riferimento limpido cui guardare. È la storia di Gesù, con le prove patite nel deserto e poi le “tante” sopportate nella sua vita pubblica, condite da “insulti” e “calunnie”, fino all’affronto estremo, la Croce, dove però il principe del mondo perde la sua battaglia davanti alla Risurrezione del Principe della pace. Papa Francesco indica questi passaggi della vita di Cristo perché – sostiene – nello sconvolgimento finale del mondo, descritto nel Vangelo, la posta in gioco è più alta del dramma rappresentato dalle calamità naturali:

    “Quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo: sarà la abominazione, sarà la desolazione della abominazione. Cosa significa quello? Sarà come il trionfo del principe di questo mondo: la sconfitta di Dio. Lui sembra che in quel momento finale di calamità, sembra che si impadronirà di questo mondo, sarà il padrone del mondo”.

    Ecco il cuore della “prova finale”: la profanazione della fede. Che tra l’altro è ben evidente – osserva Papa Francesco – da ciò che patisce il profeta Daniele, nel racconto della prima lettura: gettato nella fossa dei leoni per aver adorato Dio invece che il re. Dunque, “la desolazione della abominazione” – ribadisce il Papa – ha un nome preciso, “il divieto di adorazione”:

    “Non si può parlare di religione, è una cosa privata, no? Di questo pubblicamente non si parla. I segni religiosi sono tolti. Si deve obbedire agli ordini che vengono dai poteri mondani. Si possono fare tante cose, cose belle, ma non adorare Dio. Divieto di adorazione. Questo è il centro di questa fine. E quando arrivi alla pienezza – al ‘kairos’ di questo atteggiamento pagano, quando si compie questo tempo – allora sì, verrà Lui: ‘E vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria’. I cristiani che soffrono tempi di persecuzione, tempi di divieto di adorazione sono una profezia di quello che ci accadrà a tutti”.

    Eppure, conclude Papa Francesco, nel momento in cui i “tempi dei pagani sono stati compiuti” è quello il momento di alzare il capo, perché è “vicina” la “vittoria di Gesù Cristo”:

    “Non abbiamo paura, soltanto Lui ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno. Così ha promesso il Signore. Questa settimana ci farà bene pensare a questa apostasia generale, che si chiama divieto di adorazione e domandarci: ‘Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo, il Signore? O un po’ metà e metà, faccio il gioco del principe di questo mondo?’. Adorare fino alla fine, con fiducia e fedeltà: questa è la grazia che dobbiamo chiedere questa settimana”.

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    Tweet del Papa: siamo docili alla Parola di Dio pronti alle sorprese del Signore

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi questo tweet dal suo account @Pontifex: “Impariamo ad essere docili alla Parola di Dio, pronti per le sorprese del Signore che ci parla”.

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    Chiara Amirante: “Evangelii Gaudium”, urgente rivalutare carisma della donna

    ◊   “Una nuova tappa evangelizzatrice” caratterizzata dalla gioia: è quanto chiede Papa Francesco nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”. Sergio Centofanti ha raccolto il commento di Chiara Amirante, fondatrice della Comunità Nuovi Orizzonti:

    R. - È bellissimo questo voler sottolineare, da parte di Papa Francesco, l’aspetto della gioia come un aspetto fondamentale della vocazione di ogni cristiano. A volte, dimentichiamo questo grande dono della pienezza e della gioia di Cristo Risorto che siamo chiamati a testimoniare in una società dove la depressione e la tristezza del non aver riempito la vita di senso continuano a moltiplicarsi in maniera esponenziale.

    D. - L’Esortazione parla di evangelizzatori con Spirito che pregano e lavorano …

    R. - Sì, credo che non possa esserci evangelizzazione se non ci lasciamo, in qualche modo, condurre dallo Spirito, perché è Lui il vero agente dell’evangelizzazione. Basti pensare alla nascita delle prime comunità cristiane e a come i discepoli hanno avuto bisogno del fuoco della Pentecoste per uscire anche dai loro timori e dalle loro paure.

    D. - Il Papa chiama tutta la Chiesa a rinnovarsi con creatività e audacia …

    R. - Questo punto che lui sottolinea è molto bello: la creatività, che è tipica dello Spirito Santo, e l’audacia; lui preferisce una Chiesa incidentata perché esce nelle strade, piuttosto che una Chiesa malata perché ripiegata su se stessa e rinchiusa in se stessa. Questo invito continuo ad una Chiesa aperta, con le porte aperte, soprattutto quelle del cuore, e la creatività dello Spirito che ci imprime a fuoco nel cuore quel “Guai a me se non testimoniassi il Vangelo!”, che con tanto ardore ripete San Paolo che dovrebbe essere un po’ il cuore della vita di ogni cristiano.

    D. - Sottolinea anche la necessità di far crescere la responsabilità dei laici e di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa …

    R. - Questo è sicuramente un aspetto molto bello! Anche l’attenzione all’importanza dell’impegno di tutti i laici, perché siamo tutti chiamati ad essere missionari ed evangelizzatori in qualche modo. A volte noi laici siamo un po’ presi da una tentazione, quella che lui chiama “l’accidia spirituale”. E poi c’è questa attenzione che lui dà al ruolo della donna, proprio guardando Maria che è stata Regina degli Apostoli: il Signore ha voluto veramente conferire alla donna una dignità altissima che forse troppe volte viene in qualche modo svalutata, svilita, quando c’è un carisma fondamentale, proprio il carisma mariano, il carisma della donna, che porta il suo contributo specifico di maternità, di amore, di accoglienza, che è proprio della figura femminile. Penso sia urgente valorizzare di più questo aspetto, perché anche la psicologia della donna ci aiuta sempre a ritornare al cuore. In più punti Papa Francesco ha sottolineato l’importanza del cuore dell’evangelizzazione, di metterci in ascolto di quanto Gesù attraverso la sua Parola dice al cuore per poterlo comunicare non tanto come un insieme di pensieri o di idee, ma qualcosa che ci tocca profonda mentre il cuore ce lo rinnova e rinnova la nostra vita perché tutto ciò che è amore porta un grande rinnovamento e un grande fuoco meraviglioso nella nostra vita.

    D. - Nel testo c’è anche l’invito recuperare la freschezza originale del Vangelo, a concentrarsi sul primo annuncio il “kerygma”: “Gesù Cristo ti ama - scrive il Papa - ha dato la sua vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno per illuminarti, rafforzarti e liberarti”….

    R. - Questa credo che sia l’esperienza che poi ci porta ad esser impegnati nel portare questa meravigliosa notizia a chiunque incontriamo, perché quando fai l’esperienza che Gesù ti ama personalmente, che Gesù ha dato la sua vita per te, è un annuncio che ti cambia veramente la vita. Quindi fai l’esperienza di questo amore di sete, quella sete del nostro cuore sempre inquieto finché non riposa in Gesù, come ci ricorda Sant’Agostino.

    D. - Il Papa conclude l’Esortazione guardando verso la Madre di Dio e dice: “Guardando Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”…

    R. - Certamente Maria è la stella dell’evangelizzazione! Per tutti noi è il modello come madre dell’amore, della tenerezza. Questa figura meravigliosa di Colei che serbava nel cuore ogni parola di Gesù e la viveva. È una riscoperta fondamentale che credo tutti siamo chiamati a fare: guardare Maria per imparare davvero cos’è l’amore e come incarnare pienamente il meraviglioso messaggio che Gesù ci ha portato, la meravigliosa buona notizia, e farla scoprire a tutto il mondo.

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    Mons. Xuereb nominato delegato per Commissioni referenti su Ior e struttura economica Santa Sede

    ◊   Il Papa ha nominato mons. Alfred Xuereb delegato per la «Pontificia Commissione referente sull'Istituto per le Opere di Religione» e per la «Pontificia Commissione referente di studio e di indirizzo sull'organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede», con l'incarico di vigilare e di tenerlo informato, in collaborazione con la Segreteria di Stato, sulle procedure di lavoro e sulle eventuali iniziative da intraprendere.

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    Altre udienze di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: mons. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; mons. Diego Causero, arcivescovo tit. di Grado, nunzio apostolico in Svizzera e nel Principato di Liechtenstein; mons. Luigi Pezzuto, arcivescovo tit. di Torre di Proconsolare, nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina e in Montenegro e Frère Alois, Priore di Taizé.

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    Il card. Filoni al Congresso Missionario Americano: "Evangelizzare è un atto d'amore"

    ◊   “Sono convinto che questo Congresso susciterà nelle Chiese dell’America una grande passione per la missione universale, convinti come siamo che la missio ad Gentes, ed in particolar modo quella ad extra, sia anche il mezzo più efficace per ridare vitalità ed entusiasmo alle nostre comunità cattoliche”. Lo ha ribadito il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, inviato speciale di Papa Francesco, parlando ieri ai partecipanti al IV Congresso Missionario Americano (Cam 4) e IX Congresso Missionario Latino-americano (Comla IX), all’apertura del Congresso a Maracaibo in Venezuela. Nella sua relazione - riferisce l'agenzia Fides - il cardinale ha evidenziato anzitutto come l’elezione di Papa Francesco, il primo Papa latino-americano, tocchi “in particolare il Continente americano e latino-americano da cui egli proviene, per cultura, per formazione e per esperienza pastorale”, quindi ha sottolineato che “fin dai primi momenti del suo Pontificato, Papa Francesco ha parlato della missionarietà e della testimonianza anche eroica, che a volte arriva al martirio. Una Chiesa missionaria che ha come compito primo l’annuncio del Vangelo e della misericordia di Dio, senza limiti, manifestata nella Persona di Gesù. Una Chiesa al servizio nelle periferie esistenziali, dei poveri e tra le piaghe della società. Una Chiesa che sa essere compassionevole, tenera, di comunione e di fraternità”. Papa Francesco si è ancora soffermato con forza sulla missionarietà nel suo viaggio in Brasile, parlando ai giovani riuniti per la Giornata Mondiale della Gioventù e ai vescovi del Coordinamento del Celam, richiamando la Conferenza di Aparecida. Su questa scia si innesta il IV Congresso Missionario Americano, ha sottolineato il card. Filoni, infatti “lo scopo e l’orientamento della celebrazione di questo Congresso, che si mette sulla linea pastorale-missionaria che ha caratterizzato il continente in questi decenni, è di lanciare in modo specifico la missio ad Gentes”. Il prefetto del Dicastero Missionario si è quindi soffermato sull’evangelizzazione ad Gentes e, in modo particolare, su quella cosiddetta ad extra, “intesa come responsabilità che tutte le Chiese particolari hanno verso l’annuncio del Vangelo in territori ove il Vangelo o non è ancora arrivato, oppure lo è da poco, oppure non si è ancora consolidato”. Del resto, ha ribadito il cardinale, “la missio ad Gentes ad extra è ciò che giustifica i congressi missionari”. “La fede e la missio ad Gentes si trovano oggi di fronte ad un mondo costretto a misurarsi e ad affrontare nuove sfide” ha proseguito l’inviato speciale del Papa, ricordando tuttavia che “l’evangelizzazione è una missione in fieri, costantemente aperta alle indicazioni dello Spirito e al contesto storico dei gruppi umani”. Quindi ha messo in luce “la partecipazione di tutte le Chiese alla missione universale… rimessa in moto dalla riflessione del Vaticano II e dalla prassi ecclesiale di questi ultimi 50 anni”. Nella parte conclusiva della sua relazione, il card. Filoni ha ribadito che “anche oggi, anzi maggiormente nel nostro tempo, c’è la necessità e l’urgenza di evangelizzare, perché l’annuncio del Vangelo è sempre una buona novella che porta la salvezza a tutti gli uomini e tende a creare pace e rispetto tra le persone e i popoli. Evangelizzare, in breve, è un atto di amore”. Infine l’appello: “La Chiesa di questo continente può dare e fare di più, perché anche qui, dove esistono pure tante povertà e la speranza ha ancora un ruolo e un vigore, nessuno è tanto povero da non condividere nemmeno la propria fede! Coraggio America, coraggio America Latina, puoi dare e fare di più, per questo chiedo ai tanti discepoli missionari di Gesù Cristo di emergere e venir fuori! Coraggio America, «comparte tu fe»!”. In apertura dei lavori del Congresso, il padre Andrea Bigotti, direttore delle Pontificie Opere Missionarie del Venezuela, ha letto la lettera inviata da Papa Francisco per la celebrazione del Cam 4, nella quale invita a dare nuovo slancio alla missione continentale promossa ad Aparecida. Dopo dell'intervento del cardinale Filoni, Lucas Cervino, laico argentino ha parlato sul tema "Il mondo di oggi, multiculturale e secolarizzato", seguito da mons. Silvio Baez, vescovo ausiliare di Managua in Nicaragua, che ha parlato della Parola di Dio, fonte di significato per il mondo di oggi, alla luce dell’Esortazione apostolica "Evangelii Gaudium" di Papa Francesco. Nel pomeriggio si sono tenuti i 22 forum tematici, istituiti in occasione del Congresso. (R.P.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per vincere la paura: il Papa sottolinea la necessità di venirsi incontro l'un l'altro per superare le incomprensioni.

    Dinamismo del rinnovamento: in prima pagina, l'arcivescovo metropolita di Perugia - Città della Pieve, Gualtiero Bassetti, sull'annuncio del Vangelo nel mondo di oggi.

    La strada umana: in prima pagina, Ferdinando Cancelli sulla proposta di legge belga che vorrebbe estendere l'eutanasia ai minori.

    L'arcivescovo Bruno Forte e Mauro Magatti sul convegno, ad Assisi, "Custodire l'umanità. Verso le periferie esistenziali".

    Libertà a più dimensioni: Frederick Lawrence sul ruolo dei sentimenti nella riflessione del gesuita Bernard Lonegren, tra i più acuti filosofi del ventesimo secolo.

    Un articolo di Marcello Filotei dal titolo: "Si ridesta il leon di Castiglia": uno strepitoso '"Ernani" diretto da Riccardo Muti apre la stagione dell'Opera di Roma.

    L'Uomo nuovo e l'Osservatore: il giornale della Santa Sede sarà pubblicato anche in Ungheria.

    Strumento della misericordia: il decano Pio Vito Pinto sul servizio alla Chiesa universale del Tribunale della Rota romana.

    Cameron chiude la porta: limitazioni all'ingresso degli immigrati nel Regno Unito.

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    Oggi in Primo Piano



    Grecia: un disoccupato nel 40 per cento delle famiglie. Caritas Hellas in prima linea negli aiuti

    ◊   Il 40% delle famiglie greche ha al proprio interno un disoccupato, l’11% ben due. Molti nuclei vivono con la pensione di un anziano che tengono in casa. Quattro famiglie su dieci non pagano le bollette alla scadenza e il 60,8% non paga le tasse nei termini dovuti. Il 70% ha deciso di tagliare le spese anche di cibo, l’83,2% quelle del riscaldamento. Sono i numeri della crisi greca forniti da Caritas Hellas, in prima linea nell’aiuto alle famiglie più colpite, e ripresi dall’Agenzia Sir. Per l’emergenza, proficua la collaborazione con la rete delle Caritas europee. Sulla situazione socio-economica in Grecia, Giada Aquilino ha intervistato padre Andreas Vuccinos, direttore di Caritas Atene e vicepresidente di Caritas Hellas:

    R. - In questo momento, la situazione è molto grave perché i disoccupati - quelli ufficialmente dichiarati - sono 1.345.909. Però sappiamo che ci sono persone che lavorano una, due o tre ore al giorno e, nel conteggio, vengono considerate come persone che lavorano normalmente: invece molti oggi fanno un lavoro e domani non lo fanno più. Quindi, il numero dei disoccupati è più alto. In ogni famiglia ci sono dei disoccupati e questa può vivere perché molti hanno parenti anziani con una pensione, della quale usufruiscono tutti i membri della famiglia. Il 62% dei giovani con meno di 25 anni è disoccupato. Anche in questo caso il dato della disoccupazione ufficiale è del 27,3%, ma in realtà molti giovani non lavorano e non trovano un impiego. La cosa preoccupante è che tanti ragazzi lasciano la Grecia per andare all’estero: in Europa, in America o in Australia. Anche le famiglie degli immigrati che prima lavoravano sono colpite dalla disoccupazione: in passato c’era lavoro, adesso ci sono tante difficoltà. Per questo, cerchiamo di aiutare molte famiglie che si trovano in grave difficoltà.

    D. - In che modo, la Caritas Hellas aiuta queste famiglie?

    R. - Con l’aiuto della Caritas Europa, della Caritas italiana, francese, ma anche degli Stati Uniti, abbiamo un programma per 230 famiglie cui diamo ogni mese dei viveri. Anche le Caritas parrocchiali e le diocesi danno il loro aiuto. Abbiamo un centro per i profughi che prima accoglieva gli immigrati, adesso abbiamo anche molti greci che vengono a mangiare ogni giorno. Alla mensa serviamo quotidianamente più di 300 piatti per gli adulti, ci sono anche 60-70 ragazzini con meno di otto anni che vengono ogni giorno alla mensa della Caritas di Atene. In particolare, poi, con la Caritas italiana stiamo organizzando dei gemellaggi di parrocchie tra i due Paesi per aiutare le famiglie in difficoltà.

    D. - Quali rischi ci sono per queste persone?

    R. - C’è delinquenza, ci sono persone che rubano, che uccidono per rubare. E questa violenza aumenta ogni giorno. I più anziani hanno paura perché per strada possono essere scippati, per esempio.

    D. - Sono episodi legati alla crisi?

    R. - Sì, perché prima non c’era tanta criminalità. C’è la gente che ruba, che cerca qualsiasi modo per poter trovare qualcosa. Non è un momento facile! Poi - da non dimenticare - ci sono quelli che si suicidano, perché non possono pagare, non possono vivere la famiglia. Oramai non si conosce più il numero esatto dei suicidi.

    D. - Questi sono gli aspetti più tragici. Ma c’è una storia di una famiglia, di una persona che adesso è in particolare difficoltà e che però non ha perso la speranza?

    R. - C’è un signore che, quando ha perso il lavoro, era disperatissimo e mi diceva sempre: “Finirò per suicidarmi!”. Grazie a Dio e all’aiuto che diamo come Chiesa, anche a livello psicologico, va avanti. Tutti cerchiamo, anche la Chiesa ortodossa, di fare uno sforzo per dare un aiuto spirituale e morale a chi ha bisogno.

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    Vilnius: l'economia europea riparte dalla piccola e media impresa

    ◊   A Vilnius, nei giorni scorsi, si è tenuta l’Assemblea delle Piccole e Medie imprese europee (Pmi). Delegati dai 28 Paesi dell’Ue hanno fatto il punto sulla tenuta delle Pmi, che rappresentano il 99% dell’economia del Vecchio continente. Presentati anche i risultati annuali delle “missioni per la crescita”, veri e propri viaggi organizzati dalla Commissione Europea per mettere in contatto gli industriali europei con i Paesi in via di sviluppo. Giuseppe Pezzini, imprenditore italiano nell’ambito tessile, ci racconta la sua esperienza. L’intervista è del nostro inviato a Vilnius, Salvatore Sabatino:

    R. - Prima di tutto, il format di questo tipo di missione è molto pratico, pragmatico, concreto, parla il linguaggio dell’imprenditore. E questo è molto importante perché non viaggiamo con dei politici che fanno discorsi che noi imprenditori facciamo fatica a seguire durante queste missioni. Secondo, si incontrano gli altissimi livelli del Paese ospitante; quindi dai ministri, ad altissimi livelli delle istituzioni. Per una piccola azienda, arrivare a questo livello di contatto, è quasi impossibile. E questo torna poi utile nel momento in cui si ha bisogno di assistenza in cui vuoi sviluppare. Terzo, il mix dei partecipanti a queste riunioni, a queste missioni: è un mix tra piccole e grandi multinazionali europee. Non possiamo nascondere che noi piccoli siamo i migliori alleati delle multinazionali, non possiamo nascondere che le multinazionali, per quanto il 99 percento delle aziende sia magari di piccola dimensione, sono quelle che ci danno attraverso l’outsourcing dei loro progetti speciali - presso di noi che siamo piccoli e flessibili - tanto lavoro. Quindi il fatto di essere insieme alle multinazionali, prima di tutto, ti fa prendere due piccioni con una fava, come si dice. Il primo, essere rappresentati in una missione molto importante- e quindi presso il Paese che ti interessa -; il secondo, cogliere delle opportunità di business all’interno del tuo stesso territorio.

    D. - Lei non ha esternalizzato il prodotto, ma ha cercato un vero e proprio link con il territorio dicendo: “Guardate, noi vi esportiamo anche quelle che sono le nostre norme di sicurezza, il nostro agire sociale; tutta la cultura europea”.

    R. - Esatto. Visitando queste controparti e parlando con loro ai massimi livelli - qui è stato strategico il ruolo della commissione - emergevano i loro bisogni, ed emergeva anche il grande - mi riferisco ad esempio al Brasile - gap che c’è con la nostra cultura sociale. Pensiamo all’Art. 3 del Trattato di Lisbona:”… Noi siamo un’economia sociale di mercato ..”, l’unica società che ha all’interno del suo atto costitutivo il temine “sociale”. Quindi intendo dire, noi scopriamo che queste società che sono emergenti - stiamo correndo tutti là a vendere nei mercati emergenti - alla fine sono poveri di cultura sociale, di cultura ambientale, di tutti quei valori che noi in Europa abbiamo fortemente elaborato. E questo emerge nelle riunioni. Quindi ho cambiato il mio approccio e ho detto: “Se invece di cercare di vendere un prodotto in un Paese - che per esempio, tornando al caso del Brasile, è quasi impossibile vendere per via del suo protezionismo molto negativo ovviamente, ma finché ci sarà questo protezionismo dovremmo farci carico di affrontare questo problema - inizio a vendere un prodotto alto di gamma, lasciando a loro il prodotto basso di gamma e innestando nella mia proposta “commerciale” una vendita di know-how e non solo di prodotto - e quindi know-how; e con questo intendo know-how tecnico, expertise, quello che noi sappiamo fare- ma coniugato con la nostra cultura sociale. Nel concreto: ponendo loro degli standard, se vogliono lavorare per noi e produrre su una nostra licenza affinché siano vicino agli standard europei, io offro un qualcosa ad un Paese che è molto interessato a riceverlo. E quindi questo mi ha consentito di iniziare. Oggi, noi stiamo già facendo business in quel Paese con questa formula.

    Nei momenti di crisi è necessario creare una cooperazione tra le piccole e medie imprese, ed aiutarle in politiche di sviluppo che riescano a travalicare i confini nazionali. Ne è convinta Suzana Peixoto Silvera, membro della Confederazione Nazionale dell’Industria brasiliana, intervenuta all’Assemblea delle piccole e medie imprese europee, appena conclusasi a Vilnius. Il nostro inviato nella capitale lituana, Salvatore Sabatino, le ha chiesto un’analisi generale della situazione economica nel suo Paese:

    R. - Brazil is recovering from the crisis …
    Il Brasile si sta riprendendo dalla crisi, ma abbiamo ancora bisogno di ulteriore sviluppo sostenibile per velocizzare la ripresa e per creare lavoro e per stabilizzare l’economia nel futuro.

    D. - Quanto sono importanti le piccole e le medie imprese nel suo Paese?

    R. – Yes, in Brazil Sme are 99 percent of the total …
    In Brasile le imprese di piccole e medie dimensioni rappresentano il 99 per cento del settore industriale nel Paese. Rappresentano il 52 percento dell’occupazione, quindi sono molto importanti per l’economia brasiliana. Come diciamo in portoghese sono “ il metro dell’economia”. Quindi quando c’è una crisi, le piccole e medie imprese rendono la crisi meno dannosa.

    D. - Attraverso le piccole e medie imprese è possibile combattere la crisi?

    R. - Yes, they have to keep on working …
    Si, devono continuare a lavorare. Gli imprenditori brasiliani hanno sempre questa visione ottimistica delle loro imprese. Quindi continuano a lavorare nonostante la crisi, nonostante la situazione economica, le tasse, i tassi di interessi per fare in modo di continuare a mandare avanti la loro attività. Quindi è una caratteristica particolare dell’imprenditore quello di continuare ad andare avanti e lavorare.

    D. - Quanto è stato importante creare una sorta di collegamento tra le industrie brasiliane ed europee in questo momento?

    R. - A cooperation is important for us to access new markets …
    La cooperazione per noi è importante per accedere ai nuovi mercati, accedere alle nuove tecnologie e anche per imparare dall’esperienza degli europei le politiche e i programmi di sviluppo. Quindi è molto importante per noi mantenere una cooperazione con l’Unione Europea.

    D. - Sinceramente, cosa può insegnare l’economia brasiliana a quella europea, e l’Europa cosa può insegnare al Brasile?

    R. - To keep moving and finding better ways to use our nature …
    Continuare ad andare avanti e trovare metodi migliori per utilizzare le risorse naturali, conseguendo uno sviluppo sostenibile. Imparare a confrontarsi con un’altra cultura e fare affari con un altro Paese è qualcosa da cui entrambi possono trarre beneficio.

    D. - È possibile migliorare una globalizzazione dell’economia in questo momento?

    R. - It is. Even during in a crisis we should not close ourselves …
    É possibile. Anche durante una crisi non dobbiamo chiuderci in noi stessi, ma dobbiamo continuare a lavorare e cercare soluzioni. Per questo la globalizzazione è sempre la soluzione giusta per tutto: per un monitoraggio costante della situazione, per imparare, per lavorare, trovare nuovi mercati, trarre beneficio dai nuovi mercati, e viceversa e i nuovi mercati possono trarre beneficio da noi.

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    Berlusconi fuori dal Parlamento: prosegue dibattito nel Paese. Il commento del prof. Baggio

    ◊   La notizia della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore decretata ieri dal Parlamento italiano è rimbalzata con evidenza sulla stampa internazionale per il rilievo della vicenda anche personale del fondatore di Forza Italia, protagonista da quasi un ventennio nella scena politica italiana. Nel Paese prosegue il dibattito sull'intera vicenda. Il primo interrogativo riguarda i rischi per la tenuta del governo guidato da Enrico Letta. Luca Collodi ne ha parlato con il prof. Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica all’Istituto universitario Sophia di Loppiano, in Toscana:

    R. – Alcuni rischi li corre in maniera seria. Il primo rischio è quello di un’azione di logoramento condotta da Berlusconi, con la sua nuova forza politica, perché gli conviene restare all’opposizione in modo da tesaurizzare le difficoltà e suggerire anche l’idea che si potrebbe fare diversamente. Questo certamente non aiuta il governo e gli toglie una parte dei sostegni. Un altro elemento di rischio può venire da una certa spinta di Renzi sul Partito Democratico, una volta diventato segretario, per andare verso elezioni subito. E questo mette in situazione critica – ecco il terzo elemento – il gruppo parlamentare di Alfano, che è destinato in prospettiva ad una alleanza con Berlusconi per rifare – diciamo – un centrodestra, ma in questo momento è al governo. Quindi è una posizione che potrebbe logorarne la presenza. I rischi sono effettivi! Dunque non sappiamo in questo momento se si va ad elezioni, ma presto, oppure se questo governo riesce a terminare il 2014, per onorare anche il semestre europeo condotto dall’Italia.

    D. – Prof. Baggio, una delle conseguenze della decadenza di Berlusconi da Palazzo Madama è che oggi i tre maggiori leader dei tre maggiori partiti più votati – Berlusconi, Grillo e Renzi, che potrebbe essere futuro leader – sono fuori dal Parlamento…

    R. – Sì c’è una coincidenza in questo star fuori, però le cause sono molto diverse: Grillo si è autoescluso per la rigida regola che ha imposto che non ci siano precedenti penali e lui avendone uno, minimo, di una sentenza, coerentemente non è entrato; Renzi fa parte della sua strategia, del suo asse portante continuare il legame con la realtà delle città ben amministrate; Berlusconi non voleva uscire e ne è uscito! Quindi c’è una situazione di casualità, però è anche vero che ci dice quanto sia frastagliato il nostro panorama italiano. In realtà abbiamo a che fare con due aree politiche di centrosinistra e di centrodestra che sono in grande evoluzione. Certamente la cosa importante da fare per il futuro - e quindi ragionando da un punto di vista di sistema e di bene comune - è cercare di arrivare a due coalizioni che possano presentarsi all’elettorato italiano dignitosamente, costituendo ciascuna un’alternativa valida.

    D. – Prof. Baggio, in tutto questo, i cattolici sono fuori gioco?

    R. – Penso proprio di no! Sono profondamente convinto che per la presenza dei cattolici in questo Paese, per la loro attività intelligente e donativa in tutti i campi, vi sia bisogno proprio di loro nel momento in cui si tratta di ricostruire, sì, un quadro politico, ma che non viene disgiunto da un quadro sociale. C’è bisogno dei cattolici e che stiano attivamente, nel modo migliore, in tutti i posti dove stanno. E’ proprio il momento in cui è il corpo sociale che deve rinvigorirsi. Quindi personalmente credo che l’idea di ritentare, per l’ennesima volta, la costituzione di una forza politica marcatamente cattolica - con una tendenza a questo centro che non esiste più, che è inafferrabile - sia veramente tempo perso. Infine, vorrei qui accennare - senza volerlo mescolare con le questioni italiane – al richiamo del Papa a tutto il Popolo di Dio ad un impegno evangelizzatore. Questo significa che tutti hanno un compito da fare: chi fa politica, chi fa società, chi fa volontariato, chi fa scuola, evangelizza parlando il linguaggio della sua professione. Questo mi sembra un compito enorme che hanno i cattolici in questo momento, dovunque siano.

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    In Thailandia continua la protesta antigovernativa

    ◊   Continuano per il quarto giorno le proteste nelle vie della capitale e nelle province del sud della Thailandia contro il governo della premier Shinawatra. L’esecutivo oggi è uscito indenne dalla mozione di sfiducia in parlamento presentata dall'opposizione. Ma nelle piazze si allarga la protesta è anche oggi si contano numerose manifestazioni. Sulle motivazioni di questo stato di tensione in Thailandia, Giancarlo La Vella ha intervistato Francesco Montessoro, docente di Storia dell’Asia all’Università di Milano:

    R. – La crisi, che si è aperta intorno al 2010 e che sembrava essersi risolta con le ultime elezioni con l’affermazione di Shinawatra, in realtà non si è affatto chiusa. Da questo punto di vista, è una situazione che riproduce perfettamente le circostanze in cui negli ultimi anni si era lacerata la società thailandese, in un contesto che è aggravato dalla questione della monarchia. Il sovrano è anziano, malato, e si prevede che nell’arco di poco tempo debba essere pronto per una successione, circostanza che ha larghe incognite, perché la monarchia è in qualche modo l’ago della bilancia, il cemento istituzionale di un Paese come la Thailandia.

    D. – Come a dire che non si sta protestando per ottenere qualcosa, ma in modo più ampio per una revisione radicale dello Stato thailandese...

    R. – Non è tanto una revisione totale dello Stato thailandese, ma è un’opposizione a una componente della elite thailandese, che ha legami con certi ambiti economici e geografici. Nel senso che l’attuale governo è legato agli ambienti contadini poveri della Thailandia settentrionale e ha l’opposizione non solo degli apparati istituzionali, ma di buona parte dei ceti medi e più dinamici, urbani, di Bangkok e degli ambienti meridionali, dove ha radici il Partito democratico che si oppone al populismo di Shinawatra. E da questo punto di vista, è difficile identificare un modello che sia interpretabile, ad esempio, con i criteri europei o comunque occidentali, perché in realtà noi non abbiamo a che fare né con una destra e una sinistra e non abbiamo a che fare neppure con una contrapposizione tra autoritarismo e democrazia. Questo è un po’ il carattere peculiare della crisi thailandese. Ed è su questo che in realtà si sta avvitando un Paese, che è senz’altro in passato è stato additato come un modello di sviluppo, un modello estremamente interessante e positivo, ma che in questo caso, negli ultimi anni appare sempre più appannato, destinato apparentemente a una crisi progressiva, dalla quale non sembra per il momento vi siano speranze di fuoriuscire.

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    Alfano: niente tagli sulla sicurezza, attenzione ai flussi di immigrati

    ◊   La maggioranza cambia, ma il governo conferma il suo impegno per la sicurezza. Lo ha confermato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, intervenendo alla presentazione del "Rapporto internazionale sul terrorismo di matrice jihadista", realizzato dalla fondazione Icsa. Dal '93 a oggi i morti causati da attentati con più di 15 vittime, a livello planetario, sono stati oltre 37 mila. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il terrorismo è sempre più un fenomeno planetario. Negli ultimi quattro anni le vittime di attentati sono state quasi 12 mila. Iraq, Pakistan e Siria i Paesi più a rischio. E’ necessario comunque concentrare l’attenzione sul Mediterraneo, al centro anche di importanti flussi immigratori. Il capo della polizia Alessandro Pansa:

    “Non sto dicendo che sulle barche che arrivano sul nostro territorio si nascondano i terroristi. No. Ma viaggiano persone che possono essere indottrinate”.

    Secondo i Servizi segreti, gruppi jahdisti sarebbero attivi nel traffico di essere umani. Dunque, per il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è necessario puntare sulle politiche per l’immigrazione:

    “Quindi, immaginare che sul tema dell’immigrazione si possa costruire una politica dell’emergenza è una pura illusione di politici miopi, che non hanno capito che anche questa è un’immanenza del nostro tempo”.

    Il ministro dell’Interno dice che è indispensabile puntare sulla cooperazione, per creare condizioni di benessere nei paesi da dove partono i flussi. Ma anche sulla repressione. Dunque, promette che dalla spending review non arriveranno tagli per la sicurezza interna e l’azione di intellingence dell’Italia all’estero.

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    In Sardegna è ancora emergenza: l'impegno della Caritas per lenire ferite morali e materiali

    ◊   In Sardegna, dopo la morte di una donna in un ospedale di Cagliari, è salito a 17 il numero delle vittime provocate dall’alluvione dello scorso 18 novembre. L’emergenza continua: i danni sono ingenti e gli sfollati - rende noto la Protezione civile - sono 636. Sulla situazione nella regione insulare, Amedeo Lomonaco ha intervistato il delegato regionale di Caritas Sardegna, don Marco Lai:

    R. - La maggior parte delle famiglie è rientrata nelle abitazioni. Tuttavia, circa 300 ancora non possono rientrare, in quanto le condizioni di abitabilità non sono state recuperate. Quindi possiamo dire che l’emergenza abitativa continua. Chiaramente, sono danni molto impegnativi, sia alle abitazioni, sia alle infrastrutture, e anche alle piccole aziende agropastorali, del terziario; il 91 per cento dell’attività economica è legata ad imprese di tipo individuale e familiare. È davvero una calamità anche sotto il profilo dell’impresa e del lavoro.

    D. - L’emergenza continua e procede anche la mobilitazione delle Caritas diocesane…

    R. - Assolutamente sì. Domani, tra l’altro, faremo anche un percorso di visita insieme con il direttore della Caritas italiana, mons. Francesco Soddu. La mobilitazione continua. Procede con quella solidarietà che è fatta di operosità legata ancora al ripristino delle condizioni abitative, ma anche quella solidarietà che consiste nel concorrere alle necessità che ancora permangono. Certamente le ferite riguardano le infrastrutture, i costi sono enormi. Poi ci sono danni enormi arrecati alle aziende e alle abitazioni: sono danni enormi. C’è anche quell’affannoso recuperare la posizione di partenza per poter iniziare a curare anche le ferite morali, che vanno a portare sofferenza nel cuore della gente. Traumi non solo materiali ma anche spirituali, psicologici. Ritornare alla vita normale non sarà sicuramente semplice. C’è tanto da rimuovere e anche tanta speranza e positività da recuperare.

    D. - In questo momento prevale il senso di abbandono oppure la gente si sente adeguatamente supportata?

    R. - La gente è piena prima di tutto di dignità, di coraggio. In alcune zone la gente dice: “Ma hai bisogno di qualcosa?”, “No, di nulla”. Poi, di fatto, hanno bisogno di tutto. E’ supportata sicuramente da tanta generosità. Devo dire che anche le istituzioni locali, in maniera marcata e schierata, stanno dalla parte della gente in modo tale che le promesse che vengono dal governo possano essere davvero mantenute. Poi dal punto di vista morale, le famiglie sentono la vicinanza della Chiesa, delle Caritas, del volontariato, del Papa, dei vescovi che, puntualmente, sono stati presenti in mezzo alla gente. Le chiese sono diventate anche "magazzini". Una chiesa di Olbia è diventata il punto di arrivo un luogo, di raccolta di tanti beni importanti e di ridistribuzione di questi beni. Sono segni significativi della vicinanza che la gente ha avuto; anche il luogo del culto è diventato luogo di accoglienza, un luogo di conforto, di sostegno per le prime necessità. Quindi, le persone non si sentono sole ma il rischio è nella misura in cui i riflettori rischiano di spegnersi. E allora sarà ancora un importante momento di vicinanza per far parte della comunità cristiana, della Chiesa. Alcune azioni di prima emergenza legate anche alla protezione civile tenderanno certamente a concludersi; resterà invece, sicuramente, la vicinanza del volontariato e, in modo particolare, della Chiesa.

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    Presentata la campagna per i senza dimora di Roma: "Casa dolce caritas"

    ◊   Una scatolina a forma di casa con all’interno alcuni cioccolatini. E’ il piccolo omaggio della campagna di solidarietà “Casa dolce Caritas”, presentata questa mattina a Roma dalla Caritas diocesana, che dal prossimo 9 dicembre al 12 gennaio 2014 verrà distribuito nella capitale sui treni ad alta velocità. Obiettivo dell’iniziativa, promossa in collaborazione con le Ferrovie dello stato Italiane, è quello di sensibilizzare la raccolta fondi per l’ampliamento dell’ostello Caritas “Don Luigi Di Liegro” di Roma Termini. Marina Tomarro ne ha parlato con mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana:

    R. – L’iniziativa nasce perché abbiamo cominciato i lavori per la riqualificazione dell’Ostello di Via Marsala. Le Ferrovie, per poter arrivare a terminare la raccolta necessaria per la riqualificazione, ci hanno dato la disponibilità di poter mandare volontarie delle Ferrovie dello Stato e i volontari della Caritas sui treni ad alta velocità, dove potranno offrire ai viaggiatori che vorranno questo piccolo gadget, che è a forma di casa: perché quelli che vivono in strada desidererebbero stare in una. E questo per ricordare che non tutti hanno una casa e come Caritas vorremmo offrire non solamente un letto per dormire, ma una casa. E la casa significa relazioni, significa amicizia, significa disponibilità, significa far rivivere la persona con la sua dignità nelle necessità più fondamentali che ha.

    D. – La Caritas ha più ostelli, ha più mense. Facciamo allora il punto sulla situazione proprio di disagio che esiste qui nella capitale…

    R. – Questa notte, a Roma, hanno dormito fuori casa tra le seimila e le settemila persone. Noi, come Caritas, arriviamo a 350 posti. Adesso, stiamo ampliando perché arriva il freddo e cerchiamo di mettere a disposizione tutti i luoghi che abbiamo: ma non arriveremo mai a coprire tutto il bisogno di questa grande città e quindi il nostro diventa anche un appello alla città. Noi abbiamo circa 350 parrocchie a Roma, se ogni parrocchia prendesse cinque persone, noi avremmo aumentato moltissimo la disponibilità per dare risposta a quelli che vivono per la strada, anche perché ora con il freddo diventa anche molto pericoloso.

    D. – Chi sono oggi queste persone disagiate?

    R. – Non c’è una tipologia specifica. Viviamo in una tale precarietà che dall’oggi al domani ci si può trovare in strada, anzi addirittura a vivere dentro la macchina. Ultimamente, mi è arrivata una mail dove mi dicevano che c’è una famiglia – padre, madre e una figlia di 25 anni – che vivono in macchina. Quindi, non è solamente il barbone… Noi oggi abbiamo l’esigenza molto, molto grande di dare risposta a delle domande che sono enormi e non più solamente al barbone che sta per la strada. Oggi, è la famiglia che ci chiede, che ci interroga. E ci sentiamo impotenti davanti a queste grandi domande.

    Su questa iniziativa ascoltiamo il commento del cardinale vicario Agostino Vallini:

    “La comunità cristiana se non vive il Vangelo della carità, rinnega se stessa. Lo si vive come persone, lo si vive anche come comunità. Il Vangelo della carità non è soltanto il Vangelo verso i poveri, ma verso ogni forma di povertà. Papa Francesco invita la Chiesa ad andare alle periferie esistenziali, un’espressione ormai passata per indicare ovunque ci sia qualcuno che soffre, che sta male, che ha bisogno, ci sia qualcuno che gli dia una mano. Questa è vita cristiana, ma è anche una vita cristiana pienamente umana”.

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    "Giuristi per la vita" propone agli enti locali un ordine del giorno a tutela della famiglia naturale

    ◊   Un ordine del giorno a sostegno della famiglia naturale e contro ogni tentativo di limitarne la libertà di opinione, di educazione e di credo religioso. E’ quanto l’Associazione Giuristi per la Vita propone alle assemblee elettive di Comuni, Province e Regioni perché non sia alterato il valore della centralità della famiglia nella società sancito dalla Costituzione e dalla Carta Universale dei Diritti dell’Uomo. Paolo Ondarza ha intervistato Gianfranco Amato, presidente di Giuristi per la Vita:

    R. – La cronaca ci dice quanto urgente sia questa esigenza. E’ arrivato il momento che anche a livello istituzionale si levi una voce forte.

    D. – Voi, quindi, proponete un ordine del giorno che i singoli Consigli comunali, provinciali o regionali potranno adottare. Nel testo, non si dice in realtà nulla di nuovo: si ribadisce la centralità della famiglia, fondata sul matrimonio tra uomo e donna, che tuttavia nuovi orientamenti stanno mettendo in discussione...

    R. – Sì, l’ordine del giorno parte da un riconoscimento ed è quello delle disposizioni quali l’art. 29 della Costituzione, o l’art.16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, per cui il matrimonio, quale fondamento sui cui si basa la famiglia, è quello costituito da un uomo e una donna. Questo è il primo dato ineludibile. Da lì si conferma quale sia la funzione della famiglia, quella procreativa, soprattutto educativa, e si arriva poi a invocare, chiedere che non vengano introdotte nell’ordinamento giuridico disposizioni normative, che possano in qualche modo alterare la struttura naturale della famiglia, comprimere i diritti dei genitori all’educazione dei propri figli e anche violare i diritti della libertà di opinione e di credo religioso, che sono garantiti dalla stessa Costituzione. Sono i diritti di tutti coloro che si dovessero opporre ai vari tentativi di snaturare l’istituto familiare, quali ad esempio quello dell’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, oppure della possibilità di affidamento, adozione di minori da parte di coppie omosessuali.

    D. – Voi scrivete che la famiglia fondata da un uomo e una donna è un dato prepolitico e pregiuridico, in quanto viene prima cronologicamente anche dello Stato. Ha diritto quindi a non essere danneggiata nel suo compito educativo: compito educativo che i genitori sono chiamati a svolgere in conformità alle loro convinzioni morali e religiose. Tale compito educativo oggi è minacciato?

    R. – Oggi, è minacciato soprattutto se consideriamo il tentativo di introdurre, in maniera molto invasiva, l’educazione sessuale fin dalla tenerissima età, un dato che fa inorridire. Ebbene, di fronte a questo tentativo invasivo, l’educazione sessuale, per esempio, è un ambito che deve restare sotto la vigilanza, prudente, dei genitori. Il diritto dei genitori di educare i propri figli, riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, oltre che dalla nostra Costituzione, resta un caposaldo.

    D. – Tra le altre cose, vi opponete a qualunque tentativo di introdurre nell’ordinamento giuridico, disposizioni normative tali da ignorare l’interesse superiore dei minori a vivere...

    R. – In Belgio, si è arrivati all’introduzione addirittura della cosiddetta eutanasia infantile. Siamo in una fase d’imbarbarimento, che fa veramente inorridire. Se si cede su questo fronte, la regressione nella nostra civiltà è inevitabile.

    D. – Avete pubblicato in queste ultime ore l’ordine del giorno. C’è già qualche prima risposta da parte degli enti locali?

    R. – Il dato interessante è che siamo stati contattati da diversi consiglieri comunali, ma devo dire anche da qualche Consiglio regionale. Se dal basso le istituzioni cominciano a pronunciarsi, quanto meno possiamo contare su una possibilità di arginare una deriva a livello normativo nazionale.

    D. – In un momento in cui il dibattito assume talvolta toni esasperati, è bene ribadirlo: questa è un’iniziativa non contro qualcuno, ma a favore della famiglia, nucleo fondante della società...

    R. – Assolutamente sì. Tant’è vero che tutta la prima parte dell’ordine del giorno si traduce in un semplice ribadire concetti, che appartengono alla cultura profonda del popolo italiano.

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    La mostra "100 presepi". Mons. Celli: le famiglie abbiano il presepe al loro centro

    ◊   Entrare nella cultura del presepe secondo le diverse tradizioni del mondo: è l’intento della tradizionale esposizione internazionale “100 presepi” inaugurata oggi e che rimarrà aperta fino al 6 gennaio nelle Sale del Bramante di Piazza del Popolo, a Roma. Alla presentazione stamani c’era per noi Debora Donnini:

    Presepi di ogni grandezza, realizzati con cioccolata e biscotti, piuttosto che con merletti e lino o filo di rame. Si va dai più classici come quello del ‘700 napoletano, con personaggi di terracotta, occhi di vetro e mani e piedi in legno, ai più particolari in plexiglas o costruiti con vari tipi di pasta alimentare. I 183 presepi esposti nella mostra organizzata dalla Rivista delle Nazioni provengono, infatti, da 12 regioni italiane e da 30 Paesi del mondo. Ci sono quelli con personaggi in creta e i colorati abiti tradizionali del Guatemala e quelli portati dall’Associazione “Natale nel mondo” che propone, tra gli altri, il presepe proveniente dal Canada, in cui Giuseppe e Maria indossano gli abiti degli indiani d’America, oppure quello dell’Alaska con i vestiti degli eschimesi e le statuine realizzate in terracotta decorata. Il presidente dell’Associazione “Natale nel mondo”, Giuseppe d’Orsi:

    R. - Vedere questi presepi è come fare un piccolo giro del mondo attraverso l’immagine della Natività. Ci sono delle particolarità, come ad esempio il presepe del Portogallo, tutto in terracotta, fatto a mano, dove si vede proprio il barocco portoghese, il colore predominante che è l’azzurro. Anche quello della Polonia, molto semplice e particolare, che sembra molto ricco, ma che in realtà è costruito interamente con carta stagnola piena di colori.

    D. – Tra l’altro la grotta sembra l’entrata di un castello…

    R. – Sì, infatti. Poi una cosa particolare è che nella sommità c’è sempre la bandiera della Polonia.

    D. – Poi, c’è anche quello della Germania, tutto in legno…

    R. – Questo viene dalla Foresta Nera, dalla zona di Monaco. In questo presepe è anche presente un’elica: ma perché c’è quell’elica? Perché praticamente le quattro candele alla base, quando vengono accese, riscaldano l’aria. La costruzione esterna è formata da piccoli personaggi posti su un piedistallo, a vari piani, e questo piedistallo ha un movimento rotatorio proprio grazie al calore che le candele mandano all’elica in alto.

    Per accrescere l’amore per il presepe, c’è anche un laboratorio organizzato in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma, “Il Presepe Gioco”, nel quale i bambini su prenotazione potranno costruire un personaggio del presepio e poi portarlo a casa. Sull’importanza del fare il presepe per i bambini, il pensiero del presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, l'arcivescovo. Claudio Maria Celli:

    “Mi ricorda la mia vita di bambino. Per noi, era un’allegria grande fare il presepe… Diventava un momento in cui tutta la famiglia veniva coinvolta: mio padre, mia madre e noi figli che cercavamo di vivere questo momento. Vorrei rivolgere un invito grande alle famiglie a riavere il presepio al loro centro, come punto di riferimento. Ma dico pure: non per atteggiamenti sentimentali o emotivi, ma proprio per riassaporare il mistero dell’amore di Dio nella nostra vita”.

    Ad aprire la presentazione stamani anche una rappresentazione del "presepe vivente" realizzata dai bambini della scuola dell’Infanzia “Antonio Maria Giannelli” di Roma. Ancora sull’importanza di questa mostra mons Celli:

    “Il presepe ci ricorda continuamente una cosa particolare: l’amore come sua proprietà ha quella di abbassarsi al livello di chi è amato. Il Mistero dell’Incarnazione ci svela la grandezza e il mistero enorme di quest’amore di Dio per l’uomo. Allora, guardare il presepe credo che aiuti tutti noi a ricordare quanto siamo amati da Dio. Credo che la bellezza della mostra sia proprio questa: l’uomo esprime il Mistero con le dimensioni della propria cultura”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Usa: anche il mondo ebraico americano plaude alla “Evangelii Gaudium”

    ◊   Anche negli Stati Uniti l’Esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium”, sul tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale è stata accolta con entusiasmo e grande interesse, non solo in ambito cattolico. “I vescovi degli Stati Uniti accolgono con gioia questa esortazione e sono felici di poterla condividere con i fedeli nelle proprie diocesi”, afferma, in una nota ripresa dall’agenzia Cns, mons. David L. Ricken, presidente della Commissione per la Catechesi e l’Evangelizzazione della Conferenza episcopale (Usccb). “Papa Francesco è un modello vivente di nuova evangelizzazione. Sta guidando questo mondo a una fede più profonda e sta mostrando come vivere il Vangelo e raggiungere il mondo con quello di cui ogni persona ha bisogno: un rapporto con Dio”. Per il Cavaliere Supremo dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo Carl Anderson si tratta di “un importante e quanto mai opportuno contributo alla causa della nuova evangelizzazione. Se sarà accolta dalla Chiesa in tutto il mondo - ha aggiunto - la ‘Evangelii Gaudium’ rilancerà la nuova evangelizzazione della nostra cultura”. Tra le numerose reazioni positive, quella della comunità ebraica americana. Il rabbino David Rosen, direttore per gli affari interreligiosi del Comitato ebraico americano, ha dichiarato di avere particolarmente apprezzato le parti dell’Esortazione dedicate ai rapporti con l’ebraismo: “L’enfasi data all’importanza dei valori dell’ebraismo per i cristiani – ha dichiarato - è particolarmente significativa per l’evoluzione dell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso il popolo ebraico”. Il rabbino Rosen, che ha già incontrato quattro volte Papa Francesco dalla sua elezione, ha inoltre elogiato il richiamo all’importanza del dialogo interreligioso per la promozione della pace e per imparare ad accettare gli altri e le differenze, come un “efficace incoraggiamento a un maggiore rispetto ed armonia nel nostro mondo”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Siria: un parroco denuncia l’esodo dei civili cristiani da Qara, invasa da jihadisti stranieri

    ◊   I villaggi, cristiani e non, a nord di Damasco, nel massiccio del Qalamoun, sono nel mirino di gruppi armati di jihadisti stranieri che li stanno rastrellando, portando solo morte e distruzione. Lo racconta all’agenzia Fides padre George Louis, parroco greco-cattolico della Chiesa di San Michele a Qara, che è stata devastata e bruciata. Il sacerdote spiega: “Maalula, Sednaya, Sadad, poi Qara e Deir Atieh, ora Nebek. I jihadisti armati applicano un medesimo modello: prendono di mira un villaggio, lo invadono, uccidono, bruciano, devastano. Per i civili, cristiani e non, la vita è sempre più difficile. I miliziani stranieri agiscono fuori controllo dei nostri compatrioti siriani dell’Esercito Libero Siriano (Fsa), che invece sono rispettosi di tutti, e che non vogliono radere al suolo l’intero Paese. Ma questi, purtroppo, in tanti casi hanno dovuto ritirarsi di fronte ai gruppi armati stranieri”. Padre Louis racconta quanto avvenuto a Qara fra il 16 e il 20 novembre. Da mesi il villaggio viveva in un particolare “status quo”, in un regime di “semiautonomia”, con il tacito accordo fra i siriani del Fsa e l’esercito regolare. Non vi era conflitto, pur essendo la cittadina sotto controllo del Fsa. Lo Stato intanto continuava a fornire elettricità, acqua e servizi alla popolazione. L’equilibrio è saltato, racconta padre George, quando “il 16 novembre, oltre 3.000 jihadisti calati dal villaggio sunnita di Arsal, piattaforma dei gruppi armati che penetrano in Siria attraverso il Libano, sono penetrati nel villaggio, trasformandolo in campo di battaglia. I soldati del Fsa, in minoranza, si sono ritirati. La gente ha cominciato a fuggire. Circa 6.000 cittadini sono fuggiti immediatamente verso città e villaggi vicini”. Ma la comunità cristiana di Qara, raccolta nel centro storico, non voleva muoversi. Il prete racconta a Fides: “Sono iniziati lanci di razzi contro le case e per le strade. Con circa 35 famiglie cristiane. ci siamo rifugiati in chiesa a pregare. Il cancello della chiesa è stato colpito ed è saltato. Sono entrati combattenti armati a viso coperto, capelli lunghi, non siriani, non si capiva di quale nazionalità fossero. Hanno detto: vogliamo uccidervi tutti, cani cristiani. E bruceremo questo luogo idolatrico”. A quel punto, uno dei parrocchiani, Emile, parlando in arabo, ha iniziato con coraggio a parlamentare con il capo del gruppo, citando versetti del Corano, dicendo che l’islam rispetta i cristiani e le altre minoranze. “L’uomo ha risposto che avrebbe chiesto al suo capo, per decidere la nostra sorte e conduce i suoi uomini fuori dall’edificio”, prosegue padre George. Nel frattempo il sacerdote e i fedeli escono dalla chiesa da un’uscita secondaria, e tutti fuggono nei vicoli del centro storico. Si dirigono sull’autostrada e si uniscono ad altri profughi, raggiungendo il villaggio di Der Atieh. Qui ricevono calorosa ospitalità dai cristiani locali, di altre confessioni: il parroco e i fedeli greco-ortodossi li accolgono con grande generosità. Intanto anche Der Atieh finisce nel mirino dei jihadisti. I miliziani iniziano una “caccia all’uomo” e tengono i cristiani in ostaggio. “Ci siamo nascosti negli scantinati per 4 giorni e 4 notti, senza acqua, cibo, elettricità”, racconta padre Louis. “Dopo una notte di preghiera, abbiamo deciso di tentare la fuga. Alle 5 del mattino, siamo riusciti a uscire dal viaggio. Con una marcia forzata di sei ore, in gravi condizioni di pericolo, siamo giunti a Sadad, altra città martirizzata. L’arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh e i fedeli che sono rientrati in città ci hanno accolto con amore e benevolenza”. Intanto a Qara la situazione è drammatica. Dopo giorni di combattimenti, vi sono macerie dappertutto. Molte case e strade sono state minate con esplosivi. La Chiesa greco cattolica di San Michele è stata devastata e bruciata. Altre chiese cattoliche ortodosse a Der Athie hanno subito la stessa sorte, come alcune moschee: è un monito ai musulmani moderati. Padre George precisa: “Questi sono combattenti stranieri estremisti, che vogliono solo seminare odio e violenza settaria, distruzione indiscriminata, del tutto privi di rispetto verso i civili. Non sono nel Fsa. A noi non resta altro che pregare. In questo esodo, abbiamo provato la bella esperienza di solidarietà e affetto fra cristiani cattolici e ortodossi”. (R.P.)

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    Libano: oltre 800 mila profughi siriani vivono in baracche o all'aperto

    ◊   La guerra in Siria continua a costringere centinaia di migliaia di persone a varcare i confini con Libano, Giordania, Iraq e Turchia. Entro la fine del 2013 il numero di profughi in fuga dal conflitto potrebbe salire a oltre 3 milioni con l'avvicinarsi dell'inverno. Dal rapporto stilato in novembre dalla Catholic Near East Welfare Association (Cnewa) - ripreso dall'agenzia AsiaNews - emerge che la situazione più drammatica è quella del Libano. Secondo la Banca Mondiale, dal 2011 l'emergenza profughi è costata al governo del Libano almeno 2,6 miliardi di dollari. Oggi Najib Miqati, premier libanese, si è recato a Doha (Qatar) per discutere con le autorità e i Paesi arabi impegnati nel sostegno ai ribelli islamisti, la proposta di realizzare una zona dedicata agli sfollati all'interno del confine siriano. Tale strategia dovrebbe evitare il collasso economico e politico della società libanese, sempre più in balia degli scontri fra sunniti (pro-ribelli) e sciiti favorevoli al regime di Bashar al-Assad. Le stime Onu parlano di 812mila rifugiati in Libano, ma per il governo essi sarebbero oltre 1,3 milioni, circa un terzo della popolazione libanese (4 milioni di persone). Essi provengono soprattutto da Homs, Idlib, Damasco, Aleppo e sono sparsi in 960 campi non ufficiali tra le aree più povere e impervie del Paese. Il 53% dei rifugiati risiede nel nord del Libano, il 42% è concentrato invece nella Bekaa. Il resto dei profughi è distribuito fra Beirut (1%), la zona del Monte Libano (2 %) e il sud del Paese (2 %). Beirut ha scelto di non realizzare campi profughi nel Paese, preferendo ospitare i siriani in abitazioni private o in strutture caritatevoli. A chi è in possesso dei necessari documenti viene riconosciuto lo status di rifugiato, ma secondo le statistiche raccolte dalla Cnewa chi fugge appartiene alle fazioni ribelli ed entra in Libano come clandestino. L'associazione denuncia che queste persone vivono in condizioni disperate, senza riparo o ammassati in tende e baracche. Nella valle della Bekaa la maggior parte delle famiglie non ha nemmeno servizi igienici e la possibilità di cucinare un pasto. I nuovi arrivati si sono stabiliti in radure fangose e hanno costruito le loro baracche da zero, utilizzando i rifiuti. Prima della guerra molti rifugiati lavoravano come medici o insegnanti: ora per sopravvivere raccolgono patate e ortaggi spartendosi le poche aziende agricole della zona in grado di offrire un salario o una paga in natura. La situazione rischia di precipitare con l'arrivo dell'inverno e la Cnewa sta raccogliendo fondi per la distribuzione di materassi, coperte, vestiti caldi, stufe e carburante. Su 2 milioni di siriani rifugiati circa il 52% è composto da bambini e ragazzi di età inferiore ai 17 anni, nel solo Libano sono oltre 400mila. (R.P.)

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    Pakistan. Allarme tra i cristiani: si acuisce la piaga della blasfemia, quattro casi in un mese

    ◊   Sebbene molti musulmani abbiano espresso solidarietà ai cristiani, vittime del tragico attacco kamikaze nella chiesa di Peshawar, il 22 settembre, c’è un netto incremento nelle denunce e nei casi di blasfemia contro i cristiani in Pakistan. Il trend preoccupa non poco le Chiese locali. Come riferito a Fides da attivisti e sacerdoti locali, impegnati nel settore “Giustizia e pace”, quattro casi di blasfemia contro i cristiani sono stati registrati nel giro di un mese. L’incidenza, si afferma, è quattro volte superiore rispetto alla media mensile registrata nel corso degli ultimi due anni e documentata dai rapporto della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi cattolici. Come riferito a Fides, le accuse sono palesemente false, e questo conferma che la blasfemia viene utilizzata come “strumento di vendetta” in controversie private, anche per colpire le minoranze religiose. Gli attivisti hanno comunicato a Fides i casi registrati contro i cristiani negli ultimi tempi. Alla fine di ottobre, hanno subito una denuncia che li ha costretti a nascondersi, Arif Masih e Tariq Masih, proprietari di un negozi di fuochi d'artificio a Wazirabad, in Punjab. Gli accusatori volevano vendicasi perchè un set di fuochi, venduti in occasione del matrimonio del musulmano Muhammad Zahid, non si sono accesi. Pochi giorni prima, a Faisabad due studenti musulmani hanno denunciato una 50enne cristiana per aver bruciato pagine del Corano. In realtà si trattava di un libro di testo in lingua araba. L’8 ottobre, il Pastore cristiano protestante Adnan e due fedeli, Arfan e Mushtaq Masih, residenti a Lahore, sono stati formalmente accusati e denunciati per “blasfemia”. Secondo l'accusa i tre avrebbero scritto e pronunziato commenti sprezzanti sull’islam parlando del testo “Perché siamo diventati musulmani”, scritto da un leader musulmano estremista. Un altro caso è stato registrato contro il cristiano Asif Parvaiz a Lahore il 25 settembre, solo tre giorni dopo le esplosioni di Peshawar. Secondo il rapporto della polizia Asif avrebbe inviato a un conoscente un sms che insultava l'islam, il Corano, i musulmani e il profeta Maometto. Infine va ricordato che il 23 settembre, nella metropoli di Karachi, istigati da una supposta “blasfemia”, migliaia di musulmani hanno saccheggiato il quartiere cristiano “Michael Town”. Le case di oltre 300 famiglie cristiane sono state devastate e bruciate. (R.P.)

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    Angola: appello alla pace dei vescovi dopo la morte di un oppositore

    ◊   Si alza la voce dei vescovi angolani dopo l’uccisione di un manifestante del partito d’opposizione Casa-Ce avvenuta sabato scorso a Luanda e la seguente repressione di una dimostrazione organizzata dall’Unita, lo storico partito di opposizione all’Mpla, il partito al potere dal 1975. Domenica scorsa, durante le cerimonie di chiusura dell'Anno della Fede nella diocesi di Cabinda, mons. Filomeno do Nascimento Vieira Dias, vescovo di Cabinda ha condannato la repressione condotta contro i manifestanti. Il vescovo ritiene che sia grave quello che è successo in molte città dell'Angola e ha sottolineato che non deve essere ostacolata la manifestazione della volontà popolare in modo da assicurare l'unità e la riconciliazione nazionale. Anche mons. António Jaka vescovo di Caxito, nella sua omelia per la chiusura dell'Anno della Fede nella parrocchia di San Giovanni Battista di Cacuaco, ha affermato che la democrazia e la pace in Angola sono ancora fragili. Mons. António Jaka , ha auspicato la costruzione di un mondo nuovo e di una nuova Angola attraverso lo spirito del perdono e ha sottolineato che il dovere dei politici sia quello di cercare tutte le strade per la pace e la riconciliazione. “Noi cristiani siamo i primi ad avere il dovere di pregare e di essere strumenti di pace” ha poi aggiunto. Mons. António Jaka ha infine rivolto un appello ai media di non aprire le ferite della guerra che sono ancora aperte. “La violenza verbale apre la via del confronto violento, della guerra e dell'odio . Occorre imparare da Cristo le vie della pace” ha concluso. (R.P.)

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    Camerun: i vescovi chiedono di pregare per il sacerdote francese rapito due settimane fa

    ◊   La Conferenza episcopale del Camerun ha lanciato un appello ai fedeli di intensificare la preghiera per la liberazione degli ostaggi “detenuti in tutto il mondo” e in particolare di padre Georges Vandenbeusch, il sacerdote “Fidei Donum” francese rapito il 13 novembre nella sua parrocchia di Nguetchewe, una località camerunese che si trova a una ventina di km dal confine con la Nigeria. Di padre Vandenbeusch - riporta l'agenzia Fides - non si hanno notizie certe se non che i rapitori sono dei nigeriani, forse appartenenti a Boko Haram, e che il sacerdote sarebbe detenuto in una località nigeriana sconosciuta. Secondo la stampa camerunese il prefetto del Dipartimento di Mayo-Tsanaga, al quale appartiene la località di Nguetchewe, ha chiesto l’intervento delle autorità tradizionali locali per cercare di entrare in contatto con i rapitori del sacerdote. (R.P.)

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    Burundi: la società civile dei Grandi Laghi a convegno per consolidare la pace

    ◊   Gli attori della società civile della Regione dei Grandi Laghi sono riuniti dal 25 novembre a Bujumbura, capitale del Burundi, per delineare una strategia comune per consolidare la pace nella regione. Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides, l’iniziativa è organizzata con il contributo del Centro Africano per la Risoluzione Pacifica dei Conflitti (Accord), del Partneriato Mondiale per la Prevenzione dei Conflitti Armati e l’Iniziativa di Pace di Nairobi-Africa, con l’appoggio finanziario del Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi. L’incontro ha lo scopo di contribuire al consolidamento della pace in tutta la regione, vale a dire nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), in Rwanda, in Burundi e nell’Uganda, attraverso delle iniziative di sviluppo locale e degli approcci regionali alla gestione dei conflitti. Da almeno due decenni la regione vive nell’instabilità a causa della presenza di diversi gruppi armati. Particolarmente critica è la situazione nell’est della Rdc dove sono presenti gruppi sponsorizzati dagli Stati vicini, come l’M23 (che ha subito una dura sconfitta militare, ma le cui truppe si sono ritirate in Uganda e Rwanda da dove potrebbero tornare a minacciare il territorio congolese), e gruppi armati stranieri come l’Adf-Nalu e l’Lra (di origine ugandese), l’Fnl (di origine burundese) e le Fdlr (di origine rwandese). (R.P.)

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    Albania: grande preoccupazione dei vescovi per la proposta del matrimonio gay

    ◊   “Non possiamo restare indifferenti”. La Conferenza episcopale dell’Albania (Cea) in una dichiarazione, diffusa in questi giorni, esprime “grande preoccupazione” per le recenti dichiarazioni dell’avvocato del popolo, Igli Totozani, che ha affermato: “L’Albania deve diventare il primo Paese nei Balcani a permettere il matrimonio gay”, informando che un disegno di legge è già pronto per essere sottoposto al voto del Parlamento. Come già avvenuto nel 2009, scrivono i vescovi, “spinti non solo dalla nostra fede cristiana, ma anche dal nostro impegno per una società forte e sana, non possiamo tacere di fronte a questo dibattito”. È il “rispetto” verso “la dignità del matrimonio” che “ci obbliga a parlare esplicitamente contro una proposta del genere”. Nella dichiarazione i vescovi analizzano quanto “insegna la Parola di Dio sulla creazione” e ricordano “la legge naturale scritta nel cuore dell’uomo ed espressa chiaramente nelle Sacre Scritture”. È questa, scrivono, la premessa che ha portato a definire il matrimonio, “in ogni epoca, cultura e fede”, come “unione completa tra uomo e donna”. E “nessun Parlamento deve avere la competenza di cambiare questa definizione”. Dunque, “per amore della verità, non possiamo chiamare 'matrimonio’ un’unione tra due persone dello stesso sesso e non possiamo affermare che tale unione sia un diritto”. I vescovi rivolgono, quindi, “un appello ai parlamentari, indipendentemente dalla fede e dall’appartenenza politica”, a “tenere in considerazione, prima di tutto, il bene della società” tenendo ben presente che “il nucleo, che la compone e la costituisce, non è l’individuo, ma la comunità familiare”. Al riguardo bisogna considerare che “non è progresso ogni innovazione”. E “non dobbiamo sbagliare pensando che l’approvazione di una legge a favore del 'matrimonio’ tra persone dello stesso sesso, ci presenterà al cospetto del mondo come un Paese progredito”. Da qui l’impegno a “difendere i valori etici che promuovono la famiglia”: “Solo, allora, avremo una società forte”. Un appello viene rivolto anche all’avvocato del popolo: bisogna “rivolgere un’attenzione più concertata ai problemi reali della società albanese, invece di concentrarsi su questioni che non hanno nulla a che vedere con la tutela delle fasce emarginate della popolazione e il cui unico obiettivo è distrarre l’opinione pubblica da questioni più essenziali per la democrazia e il futuro del Paese”. (R.P.)

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    Brasile: nota dei vescovi sul contenzioso tra coloni agricoli e indios

    ◊   La Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) ha pubblicato una nota in cui esorta il governo a mettere la parola fine all’annosa questione delle terre contese tra i coloni agricoli e gli indios. “Di fronte all’inerzia del Governo Federale e di quelli statali, i vescovi si uniscono alle preoccupazioni dei popoli indigeni e degli agricoltori” in un momento critico in cui, scrivono, “l’Esecutivo dovrebbe difendere la vita, la giustizia e la pace” sociale tra queste due categorie. Secondo l’episcopato una soluzione definitiva a questi conflitti non può prescindere dal riconoscimento del “diritto storico e costituzionale dei popoli indigeni alle loro terre ancestrali, ma neanche da quello dei coloni agricoli che hanno acquistato le terre in buona fede”. Perciò – ribadiscono i presuli – lo Stato brasiliano deve assumersi la responsabilità dell’ambiguità generata da decisioni passate e indennizzare i produttori agricoli che, con l’avallo della legge, hanno comprato le terre. Inoltre, i vescovi considerano “inaccettabili” il silenzio del Governo di fronte al clima di insicurezza alimentato dalla possibilità di nuovi scontri violenti. “Rinviare la soluzione al problema – conclude la nota – aumenterà soltanto l’agitazione di entrambe le parti” vittime di una legislazione che disciplina in modo ambiguo l’occupazione del territorio brasiliano. (R.B.)

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    Turchia: il più antico luogo di culto cristiano a Istanbul diventerà una moschea

    ◊   L'antico monastero di San Giovanni in Studion, attualmente classificato come complesso museale, sarà trasformato in moschea entro il 2014, una volta che saranno terminati i lavori di restauro in corso. Ne danno notizia fonti turche consultate dall'agenzia Fides. L'edificio, nato come luogo di culto cristiano, sembra destinato a seguire il destino già toccato alle antiche chiese di Haghia Sophia (Santa Sofia) a Trabzon e a Iznik. L'imprenditore cristiano greco-ortodosso Lakis Vingas, membro del direttorio generale delle Fondazioni, ha commentato la notizia facendo notare che “l'eredità culturale è universale”, e trasformarla in terreno di antagonismi confessionali finisce per danneggiare su vasta scala la convivenza civile. Il monastero fu fondato a Costantinopoli nel 463 dal console Studio, che lo pose sotto la protezione di San Giovanni Battista. La comunità dei monaci “studiti” rappresentò un baluardo nella difesa dell'ortodossia dottrinale, opponendosi nel tempo alle tesi monofisite, allo scisma di Acacio e all'Iconoclastia. Nel 1204 il complesso fu saccheggiato dai latini nel corso della quarta Crociata. Dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani, la chiesa del monastero fu trasformata nella moschea di Imrahor, per divenire museo nel 1946. (R.P.)

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    Terra Santa: le difficoltà dei migranti al centro dell'annuale serata in memoria di Daniel Rossing

    ◊   I migranti in Israele e la loro vita religiosa: su questo tema si è svolta martedì l’annuale serata in memoria di Daniel Rossing, ebreo praticante che ha dedicato la sua vita al dialogo tra il popolo ebraico e la Chiesa nello Stato di Israele. Morto tre anni fa, da allora una serata in sua memoria viene organizzata annualmente dal Centro di Gerusalemme per le relazioni tra cristiani ed ebrei (Jcjcr) in collaborazione con l’Istituto di Gerusalemme per gli studi israeliani. Quest’anno è stata approfondita la realtà dei lavoratori migranti cristiani. Relatori sono stati il prof. Galia Sabar dell’Università di Tel Aviv, specialista in studi africani, padre David Neuhaus, vicario patriarcale latino e coordinatore della Pastorale per i Migranti nella Chiesa cattolica e suor Monica Navalta, suora francescana dell’Eucaristia, segretaria del coordinamento della Pastorale per i Migranti. Ad aprire la serata un breve discorso del rabbino David Rosen mentre il prof. Sabar ha messo in luce il mondo sociale e culturale dei migranti africani negli anni ’90 sottolinenando la loro dimensione spirituale e religiosa nella lotta per una vita normale in Israele a tutti i livelli. Oggi in Terra Santa i richiedenti asilo dall’Africa sono 55 mila e padre Neuhaus, nel suo intervento si è concentrato sulle sfide della Chiesa locale nell’accoglienza delle migliaia di migranti cattolici, assorbiti in una piccola e fragile comunità locale. Ci sono infatti circa 160 mila cittadini cristiani nello Stato di Israele (tre quarti sono arabi e un quarto vive integrato tra la popolazione ebraica) e il numero dei migranti è di circa 250 mila (di cui circa 200 mila lavoratori migranti e 55 mila richiedenti asilo), prevalentemente cristiani. Padre Neuhaus ha evidenziato quattro sfide: costituire comunità per servire i migranti; occuparsi del loro stato e dei loro diritti; aiutare i migranti a comprendere il mondo in cui vivono quotidianamente; prendersi cura dell’educazione cristiana dei loro figli nati in Israele. La dura vita quotidiana dei migranti, per lo più donne, che hanno lasciato le loro famiglie e la loro patria per sopperire ai bisogni dei loro figli e dei loro genitori, è stata descritta da suor Navalta, che ha anche ricordato l’importanza del ruolo della Chiesa come luogo di conforto e di emancipazione. La manifestazione è stata l’occasione per sensibilizzare il pubblico circa l’esperienza dei cristiani in Israele e per cercare di collaborare con tutti coloro che cercano una società più giusta. (A cura di Tiziana Campisi)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 332

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.