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Sommario del 27/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: chi apre la porta al povero avrà il cielo aperto alla fine della vita
  • Commovente incontro di Papa Francesco con bambine affette dalla sindrome di Rett
  • Mons. Bruno Forte: "Evangelii Gaudium", una Chiesa che accorcia le distanze, amica degli uomini
  • Rinuncia e nomina episcopale in Madagascar
  • Siria: donati dalla Chiesa 78 milioni di dollari. Missione umanitaria in Libano per i bimbi rifugiati
  • Cortile dei Gentili a Berlino. Il card. Ravasi: atei e credenti, sempre in ricerca
  • Venezuela. Il card. Filoni al IV Congresso Missionario Americano: "mettiamo al centro Cristo"
  • Cometa Ison: attesa per il passaggio, forse per Natale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Belgio. Primo sì a eutanasia per i minori. Rammarico dei vescovi. Il card. Sgreccia: decisione inumana
  • Germania: dopo due mesi di trattative, sì alla "grande coalizione" tra Cdu e Spd
  • L'Onu approva risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti: aumentano le vittime tra i reporter
  • Ue, piccole e medie imprese riunite a Vilnius per trovare nuove ricette anticrisi
  • Il ministro Giovannini sul reddito minimo: un vero programma di inclusione sociale
  • Emergenza freddo: Sant'Egidio apre spazi di accoglienza ai senza dimora
  • Rapporto Istat: 12 mila nascite in meno in Italia nel 2012 rispetto all'anno prima
  • Modifiche al Codice Deontologico medico: in pericolo l'obiezione di coscienza
  • Radio Vaticana: compie 75 anni il Programma in lingua polacca
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine. I morti del tifone Haiyan saliti a 5.500. Iniziata la ricostruzione
  • Card. Maradiaga: per la lotta all'Aids calo delle donazioni. 18 milioni di malati senza cure
  • Appello dei vescovi dell’Africa australe per la pace in Mozambico
  • Pax Christi International: l'Europa non chiuda le porte ai profughi siriani
  • Libia: nuovi scontri a Bengasi. Situazione incerta
  • Malaysia: appello Onu al governo in nome della libertà di religione sul termine "Allah"
  • Egitto: niente “quote” per i cristiani nel futuro Parlamento
  • Uganda: laurea honoris causa a suor Nyirumbe, che aiuta le donne vittime delle violenze dell’Lra
  • Haiti: battello carico di migranti naufraga nelle Bahamas
  • Bolivia: preoccupazione della Chiesa per le misure economiche impreviste del governo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: chi apre la porta al povero avrà il cielo aperto alla fine della vita

    ◊   “Chi pratica la misericordia non teme la morte”. Questa affermazione è risuonata più volte questa mattina in Piazza San Pietro. Papa Francesco l’ha fatta ripetere alle circa 50 mila persone che hanno partecipato all’udienza generale, dopo aver spiegato, a partire dalla preghiera del Credo, la differenza dell’approccio cristiano all’ultimo momento della vita, rispetto alla visione atea, che non credendo in un orizzonte più ampio, nega la morte perché ne ha paura. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Lo diciamo insieme per non dimenticarlo: chi pratica la misericordia non teme la morte. Un’altra volta: chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo”.

    Nel gelo di una Piazza piombata in un precoce inverno, la verità cristiana senza eguali, riaffermata da Papa Francesco e ripetuta in coro dalla folla, ha il potere di scaldare i cuori prima ancora che le membra intirizzite. Chi apre la porta ai fratelli che hanno bisogno vedrà a sua volta aperta la porta del cielo alla fine della vita: il Papa suggella con questo pensiero una catechesi che con chiarezza esplora il tabù per eccellenza. “Fra noi, comunemente c’è un modo sbagliato di guardare alla morte”, osserva, affrontando subito, con delicatezza, un punto che rende la morte “scandalosa”:

    “A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse”.

    “Questa concezione della morte – afferma Papa Francesco – è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla”:

    “Ma esiste anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi, vivere solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura”.

    Per il cristiano, la morte è un doloroso passaggio che non spezza nulla, non sfocia nel nulla. E questo perché, spiega il Papa:

    “Se guardiamo ai momenti più dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara – i genitori, un fratello, una sorella, un coniuge, un figlio, un amico –, ci accorgiamo che, anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile. C’è un istinto potente dentro di noi, che ci dice che la nostra vita non finisce con la morte. E questo è vero: la nostra vita non finisce con la morte!”.

    Una persona, sottolinea Papa Francesco, “tende a morire come è vissuta”. Se ha camminato con Gesù, ha imparato ad avere “fiducia nella sua immensa misericordia”, sarà anche preparata “ad accettare il momento ultimo” della sua vita. E essere di Cristo, prosegue, “insegna che la vita in questo mondo ci è data anche per preparare l’altra vita”, quella con Dio:

    “E per questo c’è una via sicura: prepararsi bene alla morte, stando vicino a Gesù. Quella è la sicurezza. Io mi preparo alla morte stando vicino a Gesù. E come si sta vicino a Gesù? Con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità. Ricordiamo che Lui è presente nei più deboli e bisognosi (...) Pertanto, una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo”.

    Al termine delle catechesi in sintesi nelle altre lingue, Papa Francesco ha salutato i vari gruppi in Piazza San Pietro, i pellegrinaggi diocesani e ha ricordato ai giovani, ai malati e ai nuovi sposi il prossimo inizio dell’Avvento. “Cari giovani – ha concluso – preparate i vostri cuori ad accogliere Gesù Salvatore; cari ammalati, offrite la vostra sofferenza affinché tutti riconoscano nel Natale l’incontro del Cristo con la fragile natura umana; e voi cari sposi novelli, vivete il vostro matrimonio come il riflesso dell’amore di Dio nella vostra storia personale”.

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    Commovente incontro di Papa Francesco con bambine affette dalla sindrome di Rett

    ◊   Prima dell’udienza generale, si è tenuto nell’Aula Paolo VI un commovente incontro scandito dalla fede e dalla preghiera. Papa Francesco ha incontrato un gruppo di bambine affette dalla sindrome di Rett, accompagnate dai loro familiari. Si tratta di una terribile patologia progressiva dello sviluppo neurologico che colpisce quasi esclusivamente le bambine. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    E’ commovente il sorriso delle bambine con la sindrome di Rett, prigioniere di una malattia rara che provoca gravi disturbi neurologici, ma che non spegne il desiderio di aprirsi alla vita. Ad ognuna il Papa ha manifestato affetto con carezze ed abbracci. Toccante anche l’incontro con i familiari delle bambine, preceduto dalla benedizione e dalla preghiera a Maria. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte nell’Aula Paolo VI:

    R. – Soprattutto per loro, che sono bambine speciali, questo incontro è stato veramente emozionante. Sicuramente, c’è sempre una speranza; però, noi vediamo che soffrono molto, le nostre bambine … Sicuramente la preghiera è un ottimo mezzo, anche se la sofferenza in loro si legge, e giorno dopo giorno ci danno la forza per andare avanti e vediamo che sono comunque felici, nella sofferenza … hanno sempre il sorriso stampato sul volto … A volte nemmeno noi che – tra virgolette – stiamo bene, riusciamo a sorridere tutti i giorni; invece loro, come aprono gli occhi, ci sorridono, come per dire: “Noi anche se soffriamo, però sorridiamo alla vita e siamo contente di esserci”.

    R. – E’ sicuramente un rafforzamento nella fede. E’ stata una giornata molto importante per noi, per la nostra bambina e per tutte le bambine con la sindrome di Rett. Si dà un valore molto diverso alla vita, si vede tutto da un’altra prospettiva: basta il suo sorriso per renderci felici, e poi le piccolezze non contano più. Loro si esprimono con il sorriso e con gli occhi: le chiamo le bambine dagli occhi belli. Solo con lo sguardo riescono ad esprimere quello che vogliono.

    R. – E’ come se questi bambini fossero prigionieri all’interno del loro corpo, però hanno un cuore e un’anima assolutamente superiori e talmente sensibili da porli sicuramente al di sopra di qualsiasi altro essere umano. Ci vuole sicuramente molto coraggio, molta fede perché per superare situazioni di questo genere bisogna avere un grande cuore. Bisogna superarle con la fede di Dio.

    R. – E’ una malattia brutta perché è invalidante per la bambina, però loro danno solo gioia e amore, veramente. Era un’aspirazione per noi venire dal Papa e chiedere un aiuto anche a lui, con la preghiera; e noi pregheremo per il Papa …

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    Mons. Bruno Forte: "Evangelii Gaudium", una Chiesa che accorcia le distanze, amica degli uomini

    ◊   Grande risonanza ha avuto in tutto il mondo la pubblicazione, ieri, dell’Esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium”, sul tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Sergio Centofanti ha raccolto il commento di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale del Sinodo che si terrà nell’ottobre 2014 su “Le sfide della famiglia nel contesto della evangelizzazione”:

    R. – Siamo di fronte ad un manifesto programmatico: alcuni punti mi sembrano di grande importanza. Il primo è questo motivo della gioia: la Chiesa ha un tesoro e questo tesoro è l’amore di Dio offertoci in Gesù Cristo. Ecco perché comunicare questa gioia è l’atto d’amore più grande che si possa compiere verso gli esseri umani. Naturalmente per far questo occorre avvicinarsi agli uomini con un senso di grande, profonda umanità: ecco il secondo aspetto. Papa Francesco si pone come qualcuno che sta accanto, che capisce, che ascolta, che vuole assumere le gioie e le speranze, i dolori e le angosce dell’altro: uno stile di cui la Chiesa ha bisogno. Dunque, una Chiesa amica degli uomini. E poi, in questa luce, il Papa non esita a dire che c’è bisogno di una Chiesa che rinnovi se stessa, di una Chiesa in uscita – come egli dice – in esodo: non una Chiesa autoreferenziale, ma una Chiesa che si metta accanto e al servizio degli uomini senza escludere nessuno e creando ponti di vicinanza e di amicizia con tutti. Una Chiesa che accorcia le distanze … Un altro tema che torna è che bisogna anche saper centrare l’annuncio sul cuore del Vangelo: in altre parole, il Papa riprende la dottrina della gerarchia delle verità del Vaticano II, nel suo senso più squisitamente pastorale. Cioè: non si può insistere in maniera parziale, soltanto su alcuni temi, e dimenticarne altri. Occorre soprattutto che qualunque annuncio del Vangelo ci faccia sentire il cuore pulsante del Vangelo stesso, cioè la bellezza e la gioia che il Vangelo dona. Poi, ci sono molte ricadute sui temi anche di carattere sociale: il “no” ad un’economia dell’esclusione e dell’ineguaglianza, che privilegia alcuni e considera scarti altri, soprattutto i più deboli, in una impressionante globalizzazione dell’indifferenza; il “no” all’idolatria del denaro, un denaro che governa, che domina e schiavizza invece di servire …

    D. – Il Papa pensa anche ad una conversione del papato …

    R. – Ecclesia semper reformanda: ce lo ricorda il Concilio, anche in questo. E il Papa estende questo bisogno di riforma, di conversione pastorale anche al papato stesso, perché – dice – egli crede nella collegialità.

    D. – Papa Francesco invita la Chiesa ad avere le porte aperte, e nemmeno le porte dei Sacramenti – scrive – si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi …

    R. – Questo mi sembra che sia un aspetto bellissimo del primato della misericordia. La Chiesa deve preoccuparsi di guardare gli uomini con lo stesso sguardo con cui li guarda Dio, ed è uno sguardo di misericordia, di tenerezza, di amore. Come esprimere questo sguardo nell’atteggiamento concreto da avere nei riguardi delle persone che si trovano in situazioni ferite, in situazioni difficili? Ecco la grande domanda a cui il Papa sta cercando risposta anche con l’impegno collegiale di tutta la Chiesa e di tutti i vescovi, attraverso lo strumento del Sinodo a cui mi sembra stia dando una grande rilevanza, proprio per la vita ecclesiale.

    D. – Il Papa chiede che la Chiesa sia voce profetica, una Chiesa povera per i poveri. Poi dice: non è progressista chi vuole l’aborto e che certa cultura odierna snatura vincoli familiari …

    R. – Questo è un punto chiaro che naturalmente l’annuncio del Vangelo non può ignorare, cioè vivere la misericordia non significa dimenticare le esigenze di Dio, che sono esigenze d’amore.

    D. – Infine, i Papa crede nella forza rivoluzionaria della tenerezza …

    R. – Questo è un aspetto molto umano e molto bello, perché ci fa capire che il Papa è convinto che non sia la violenza a convincere gli uomini, la sopraffazione, il potere, ma è l’irradiazione della gioia e dell’amore. Tenerezza significa dare con gioia: chi dà, ma non dà con gioia, non ha la tenerezza; crea la dipendenza. Chi invece dando, dà con gioia, e dimostra proprio con la sua gioia di ricevere da colui a cui dà e perciò il suo cuore si riempie di gioia, sta vivendo questa relazione con tenerezza. Il Papa ci invita a non aver paura della tenerezza anche nell’annuncio del Vangelo, che è poi la Buona Novella dell’infinita tenerezza di Dio.

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    Rinuncia e nomina episcopale in Madagascar

    ◊   In Magadascar, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Antsiranana, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Michel Melo, dell’Istituto Del Prado. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Benjamin Marc Balthason Ramaroson, finora Vescovo di Farafangana.

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    Siria: donati dalla Chiesa 78 milioni di dollari. Missione umanitaria in Libano per i bimbi rifugiati

    ◊   Presentata stamani in Sala Stampa della Santa Sede la missione sanitaria per i bambini siriani in Libano, promossa dal Pontificio Consiglio Cor Unum, dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e da Caritas Libano. Sono intervenuti alla conferenza stampa il cardinale Robert Sarah, presidente del dicastero vaticano, padre Simon Faddoul, presidente di Caritas Libano, il prof. Giuseppe Profiti, presidente del Bambino Gesù, e la dott.ssa Maya El Hachem, libanese, capo progetto e responsabile di Dermatologia dello stesso nosocomio. Il servizio di Giada Aquilino:

    Un esempio di “grande impegno” e “stretta collaborazione” che strutture diverse della Santa Sede hanno saputo sviluppare, “accomunate dalla condivisione della pastorale della carità e dalla testimonianza del Vangelo verso gli ultimi”. È la missione sanitaria per i bambini siriani in Libano nelle parole del cardinale Robert Sarah. Un progetto che partirà i primi di dicembre, con una durata iniziale di tre mesi: con i fondi stanziati nella prima fase, si potranno aiutare tra i 3 e i 4 mila bambini, comprando il medicinale pediatrico necessario. La zona scelta è quella della valle della Bekaa, regione a maggioranza musulmana al confine con la Siria.

    Secondo dati Onu, il Libano ospita al momento oltre 800 mila rifugiati siriani - le autorità di Beirut ne calcolano già 1.200.000, anche se i flussi, legali e illegali, continuano giornalmente - su un totale di più di due milioni riparati anche in Giordania, Turchia, Cipro, Egitto, Iraq: di questi, circa il 52% è composto da bambini e ragazzi sotto i 17 anni. Da non dimenticare poi i 4 milioni di sfollati interni alla Siria. Fin qui, la Chiesa cattolica ha stanziato per la crisi siriana oltre 78 milioni di dollari principalmente per i settori dell’assistenza sanitaria, dell’educazione, dell’aiuto agli anziani, dell’alimentazione, con interventi in 20 città siriane e per le comunità di rifugiati negli Stati confinanti; oltre 60 le istituzioni che operano oggi sul campo e più di 40 gli organismi cattolici che hanno finanziato questi sforzi. Tra loro l’Ordine di Malta, Aiuto alla Chiesa che Soffre, il Jesuit Refugee Service, il Catholic Relief Services, la Società di San Vincenzo de’ Paoli. Su sollecitazione di Papa Francesco, che il 7 settembre scorso ha indetto una Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria, seguita poi da altri appelli e inviti al raccoglimento, la nuova missione sanitaria giunge in un momento particolare, come ha spiegato il cardinale Robert Sarah, che tra qualche giorno visiterà il Libano:

    “Si avvicina il Santo Natale, un periodo nel quale purtroppo il consumismo sopravanza spesso il messaggio dell’Annuncio della Nascita di Gesù: noi crediamo che il regalo più bello che possiamo fare per aiutare i bambini che soffrono a causa della guerra in Siria sia quello di far ritrovare loro il sorriso e di poter continuare a vivere, accompagnandoli in una crescita che deve essere non solo materiale, ma anche e soprattutto spirituale e umana”.

    A Beirut, è nato un ufficio informazioni e comunicazione relativamente alle attività che le organizzazioni stanno svolgendo e agli aiuti distribuiti. Un organismo che, ha detto il porporato, “continuerà a essere centrale anche nella fase, speriamo vicina, nella quale il conflitto sarà terminato”. L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, già attivo in progetti di solidarietà internazionale, è impegnato direttamente nella missione, come ha illustrato il prof. Giuseppe Profiti:

    “In modo particolare vogliamo affiancarci a Cor Unum e, con il supporto di Caritas, riuscire ad arrivare a creare una sorta di ponte, che parte in ragione di quello che è il dimensionamento del bisogno e si sposta in relazione alla visione e agli scenari che sono disegnati da Caritas Libano. Ma è un punto che trova, attraverso l’Ospedale, la capacità di portare quelle ‘specialità cliniche’ che sono le più idonee per questo determinato momento”.

    L’urgenza dell’intervento è stata sottolineata da mons. Simon Faddoul:

    “The joint program announced today…
    Il programma comune annunciato oggi è particolarmente necessario. Mira a ridurre il dolore e la sofferenza di molti bambini che vivono in Libano, siano essi rifugiati siriani o bambini delle comunità ospitanti. Di questa categoria, non si è occupata specificamente alcuna agenzia umanitaria in territorio libanese”.

    In questo contesto, c’è “molto” da fare, ha aggiunto la dottoressa Maya El Hachem, spiegando che l’impegno del Bambino Gesù sarà per il momento di supporto al personale locale. Significativa l’emergenza sanitaria tra i rifugiati:

    “Non avendo acqua, non avendo servizi, vivendo tutti insieme in tende e tenendo presente che adesso ci sono la pioggia e il freddo - e la Bekaa è una zona molto fredda - ci sono ovviamente infezioni. Si tratta di infezioni cutanee, epidemie di scabbia, pidocchi, leishmania. Adesso, si sta diffondendo un’epidemia di poliomielite, un’infezione che non dovrebbe più esserci grazie alle vaccinazioni. Presenti anche delle banalissime gastroenteriti - infezioni ricorrenti causate da un basso livello di igiene - e pleuropolmoniti dovute al freddo. La necessità che emerge è dunque quella della pediatria di base, nonché di dermatologia. Quindi, il nostro progetto sarà incentrato su vaccinazioni e cura dei problemi base di questi bambini. Ovviamente, visitando tanti piccoli, saranno rilevate poi patologie un po’ più complesse per le quali sarà necessario appoggiarsi ad ospedali locali. Per questo, sono stati presi contatti con l’ospedale di Tall Shiha, che è un ospedale della Chiesa greco-cattolica”.

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    Cortile dei Gentili a Berlino. Il card. Ravasi: atei e credenti, sempre in ricerca

    ◊   E’ in corso a Berlino un altro appuntamento del “Cortile dei Gentili” promosso e organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura in collaborazione con i vescovi tedeschi. Sull’evento, il nostro inviato Stefan von Kempis ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero della Cultura:

    R. – L’avvio del Cortile dei Gentili a Berlino ha avuto un significato molto particolare, per me: da una parte, infatti, ci sono state due figure che in maniera molto severa e rigorosa hanno presentato le loro identità: anche l’ateo, il non credente l’ha presentata, ma l’ha presentata anche – ed è questo l’altro aspetto significativo – con tutte le domande che continuamente derivano sia per il credente, sia per il non credente. Cioè: sia credere che non credere non è l’affermazione di una tesi, ma è l’affermazione di una ricerca che ha una strada ma che ha anche tante deviazioni possibili. E’ per questo che abbiamo raggiunto forse il significato del Cortile dei Gentili a livello alto, cioè un dialogo nel quale si vedano le ragioni fondamentali differenti, ma si veda anche come i percorsi sono talmente molteplici da aver bisogno del contributo reciproco.

    D. – Il sindaco Wowereit e un suo collaboratore non erano d’accordo sulla sua visione di Berlino come “deserto religioso” e hanno affermato che qui ci sono più comunità religiose che in qualsiasi altra capitale europea …

    R. – Io parlavo di deserto, però soprattutto con un significato particolare, e cioè quel problema grave che, secondo me, ferisce sia credenti sia non credenti, che è il problema cui ho fatto cenno anche nella mia premessa, cioè il problema dell’indifferenza. Il problema della secolarizzazione in sé – la secolarità può essere anche un elemento positivo – è quando si ha, invece, la perdita di qualsiasi domanda, di qualsiasi interrogazione fondamentale: questo è un deserto che però, paradossalmente, può far costruire anche le religioni. E’ anche per questo che sbocciano tante oasi che sono le religioni: proprio perché la società nel suo insieme si trova senza più grandi capacità di domande e di risposte. Si trova un po’ vuota. E allora, ecco, la figura di Papa Francesco – per esempio – che ha creato interesse; ecco le religioni, anche le correnti mistiche più strane, che creano interesse …

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    Venezuela. Il card. Filoni al IV Congresso Missionario Americano: "mettiamo al centro Cristo"

    ◊   “In questo nostro Congresso mettiamo al centro Cristo e come Maestro intendiamo ascoltarne la voce, raccoglierne il messaggio, farlo entrare in noi e prepararci alla missione. Sì esattamente, come dice il tema di questo Congresso: farsi ‘Discípulos misioneros de Jesuscristo, desde America, en un mundo secularizado y pluricultural’.” E’ l’esortazione che il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Inviato speciale di Papa Francesco, ha rivolto agli oltre tremila partecipanti al IV Congresso Missionario Americano (Cam 4) e IX Congresso Missionario Latino-americano (Comla IX), riuniti nel grande piazzale antistante la basilica di Nostra Signora di Chiquinquirà a Maracaibo, per la solenne celebrazione di apertura che si è svolta ieri pomeriggio. Citanto la Lettera con cui il Pontefice lo ha designato a rappresentarlo - riferisce l'agenzia Fides - il card. Filoni ha evidenziato che in questo modo “il Papa non solo si fa presente in mezzo a voi, ma mi chiede di assicurarvi del Suo affetto e saluta tutti cordialmente”. Papa Francesco scrive, riferendosi al documento conciliare Ad Gentes, “che la natura vera e profonda della Chiesa è quella missionaria. Motivo per cui essa intende dedicarsi anche oggi, con grande entusiasmo, affinché il Vangelo sia annunciato a tutte le genti, seguendo la stessa strada tracciata dal Signore”. Nella sua omelia il prefetto del Dicastero Missionario si è soffermato sulla liturgia della Parola del giorno, che illustrava il disegno di Dio, concepito fin dall’eternità. “Gesù, l’atteso, appare come la luce delle genti, la luce di chi crede, la luce della fede” ha sottolineato, citando poi il brano evangelico della visita di Maria a Santa Elisabetta, dove si evidenzia “la centralità di Cristo nella storia della salvezza”, di conseguenza Cristo “diventi il centro della nostra predicazione, anzi della predicazione della Chiesa”. “Abbiamo bisogno di riflettere, a oltre cinque secoli di evangelizzazione di questo Continente, come la nostra gente che pure ha ricevuto ed accolto la fede, vive e crede” ha proseguito il prefetto del Dicastero Missionario. “Abbiamo bisogno di domandarci che cosa predomina nelle nostre Chiese, se una pastorale di conservazione o di annuncio; se una pastorale centrata solo sulle nostre realtà americane o latino-americane, oppure aperte al mondo; se la nostra pastorale, a volte vicina ai poveri a parole, in realtà non sia da essi distaccata, non ritenendo che essi possano darci nulla. Dobbiamo chiederci se la nostra è una pastorale attenta a mettere Cristo al primo posto ed al centro, oppure, come dice il Papa Francesco, autoreferenziale, politicante, ideologizzante, senza anima e formale”. Concludendo l’omelia, il card. Filoni ha esortato a metterci “alla scuola di Gesù Maestro” per prepararci alla missione, “chiediamo a Cristo di farsi nostro fratello, nostra luce, nostro bene”. Secondo fonti della Fides, più di 3.000 missionari, circa 600 sacerdoti, 100 vescovi e tantissimi fedeli delle parrocchie e delle comunità che circondano la città di Maracaibo, prima dell'Eucaristia hanno accolto le reliquie di Santa Teresa di Lisieux, Patrona delle Missioni, che sono arrivate nel territorio venezuelano il 28 ottobre per la celebrazione di questo grande evento. L'Eucaristia è stata animata dal Coro Interparroquial dell'arcidiocesi di Maracaibo, che ha eseguito canti liturgici locali e altri brani noti a livello universale, come "Pescatore di uomini" e "Alma Missionaria", che hanno provocato una grande emozione e partecipazione tra tutti. Dopo la comunione hanno preso la parola mons. Diego Padron, presidente della Conferenza episcopale venezuelana (Cev), e alcuni rappresentanti politici della regione, che hanno espresso il loro compiacimento per la presenza del Delegato del Papa e ringraziando perché Maracaibo è stata scelta come sede del Cam 4. Terminata la Messa, il gruppo musicale "I Chiquinquireños" ha cantato diverse canzoni al suono del Cuatro, tamburi, Furros e maracas, per onorare Nostra Signora di Chiquinquirá, Madre di Dio e Patrona della regione, mentre il cielo era illuminato da centinaia di fuochi artificiali. (R.P.)

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    Cometa Ison: attesa per il passaggio, forse per Natale

    ◊   Prometteva uno spettacolo luminoso da record, ma si è trasformata in un sorvegliato speciale dal destino decisamente incerto. È la cometa Ison, che domani sfiorerà il Sole e, in caso di sopravvivenza, potrà essere avvistata a occhio nudo ai primi di dicembre. Intanto, a dominare la scena è la cometa Lovejoy, visibile poche ore prima dell’alba guardando verso est con un piccolo telescopio. Sul passaggio della cometa Ison, Antonella Pilia ha intervistato il direttore della Specola Vaticana, padre Josè Gabriel Funes:

    R. – Questa cometa viene dalla nube di Oort ed Oort è l’astronomo olandese che ha dato il nome a questa nube di gas e polveri alla periferia del Sistema Solare. Si trova a circa 30 mila volte la distanza della Terra dal Sole. A questa distanza, dunque, c’è una grande nube di gas e polveri, in cui si formano le comete. Molte volte il passaggio di una stella vicina o la forza di gravità fa sì che questo frammento di nube, che è una cometa, si avvicini al Sole. Ed è quello cui stiamo assistendo adesso. Si calcola che giovedì, più o meno, sarà il momento del "perielio", cioè quando si troverà più vicino al Sole.

    D. – Quali sono le ipotesi più accreditate sul suo destino?

    R. – Questa cometa sarà così vicina al Sole – circa un centesimo della distanza Terra-Sole – che ci sarà anche il rischio di evaporazione. Se riuscisse a sopravvivere a questo passaggio così vicino al Sole, diventerebbe – come ci si aspetta – molto luminosa. Sarebbe visibile a fine novembre, inizi di dicembre. Ci sono tutte le condizioni perché sia una cometa molto luminosa, però bisogna stare a vedere quello che succederà.

    D. – La cometa Ison ha una coda lunga due milioni di chilometri. Ci può spiegare da cosa dipende questa lunghezza?

    R. – Le comete in genere hanno il nucleo dell’ordine di due chilometri e le code possono essere molto più lunghe. La coda di una cometa può arrivare anche a 150 milioni di chilometri: la distanza Terra-Sole, per dire. E questo dipende dalla composizione della cometa, dal nucleo e da quanto sia vicino al Sole. C’è una coda, dovuta alla pressione della radiazione che viene dalla luce del Sole, ma c’è anche un altro pezzettino di coda dovuto ai campi magnetici. La coda quindi si sviluppa quando la cometa si avvicina al Sole nella direzione opposta.

    D. – Come possiamo leggere questo importante evento astronomico?

    R. – Mi sembra che questa sia una grande occasione per rivolgere i nostri occhi verso il cielo. Molte volte ce ne dimentichiamo, no? E in parte c’è la difficoltà dell’inquinamento luminoso, che impedisce la visuale di spettacoli bellissimi, come la Via Lattea. Eventi come questi sono momenti molto belli, perché ci ricordano che siamo tutti un po’ astronomi. Ci permettono, infatti, di guardare in prima persona, direttamente. Manca ancora un po' al Natale, ma certamente ci fa pensare alla stella dei Magi. Al di là dell’aspetto scientifico, che è quello di cui noi ci occupiamo alla Specola, c’è anche un significato di bellezza del Creato, qualcosa che ci parla della bellezza del Creatore e ci fa mettere in cammino.

    Ultimo aggiornamento: 27 novembre

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   «La nostra vita non finisce con la morte»: all’udienza generale Papa Francesco parla dell’orizzonte che va oltre il presente.

    Nel servizio internazionale, in rilievo la crisi tra Ucraina ed Europa: da Mosca la proposta di un tavolo negoziale comune.

    Il Senato vota la decadenza di Silvio Berlusconi: un articolo di Marco Bellizi sulla situazione politica italiana.

    Papa Francesco non ci vuole imbalsamati: in cultura, le reazioni della stampa internazionale alla “Evangelii gaudium”.

    Quel cocciuto di Goethe: stralci dalla lectio magistralis di Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, alla Facoltà Teologica di Napoli, sul tema «Dal Dio dei morti al Dio dei viventi».

    Nella città degli angeli che perdono le ali: il cardinale Gianfranco Ravasi sulla tappa berlinese del Cortile dei Gentili.

    Breve visita di un’abitante della nube di Oort: Robert J. Macke sul passaggio della cometa Ison.

    Sul cammino della riconciliazione: conferenza a Varsavia per proseguire il dialogo fra cattolici polacchi e ortodossi russi.

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    Oggi in Primo Piano



    Belgio. Primo sì a eutanasia per i minori. Rammarico dei vescovi. Il card. Sgreccia: decisione inumana

    ◊   Primo sì del Belgio all'estensione dell'eutanasia ai minori. Le commissioni competenti del Senato hanno adottato a larghissima maggioranza un testo di legge secondo il quale potrà essere praticata l'eutanasia a quei minori, senza limiti di età, che si trovano di fronte a "sofferenze fisiche insopportabili e inguaribili, in fase terminale", se richiesta da loro stessi e "con l'accordo dei genitori". Uno psicologo dovrà certificarne la "capacita' di giudizio". Favorevoli tutte le forze politiche belghe ad accezione dei cristianodemocratici francofoni e fiamminghi e del partito di estrema destra fiammingo. Ora il testo dovrà passare in plenaria. Contrari gli esponenti cristiani, ebrei e musulmani del Paese. “Questa legge offende i diritti umani”, sottolinea il card. Elio Sgreccia, presidente della Fondazione Ut Vitam habeant e presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – E’ un salto. Un salto abissale, sotto il livello di civiltà, di umanità. Questa decisione non tocca soltanto la sensibilità di tutte le religioni che in Belgio hanno fatto sentire la loro voce, ma tocca il senso umano perché il minore, specialmente se fragile, specialmente se malato va aiutato, va sostenuto con le medicine e con l’assistenza morale e psicologica e spirituale. Vorrei ricordare che la Carta dei Diritti dell’Uomo, del 1948, ha dato luogo ad un insieme di diritti di carattere etico-giuridico che appunto protegge il bambino, il minore, anche dalle sperimentazioni. Non consente, soprattutto, la violazione del diritto alla vita. Se si giustifica un intervento umanitario, anche armato, per fermare la lesione dei diritti umani, qui c’è da mobilitare se non altro le coscienze; c’è da indire una speciale preghiera perché Dio provveda a fermare questa decisione che è inumana, mai fino ad ora immaginata, permessa …

    D. – Colpisce, nel testo che è stato approvato dalla Commissione del Parlamento di Bruxelles e che ora passerà all’esame dell’aula, che a certificare il grado di consapevolezza del bambino sia uno psicologo …

    R. – Chiunque sia a certificarlo, non può certificare il diritto alla vita. Io non ho visto mai che ad una persona che sta per suicidarsi buttandosi da un ponte, gli si vada a chiamare lo psicologo …

    D. – Non viene naturale al minore pensare alla soluzione della morte. Quindi, questo testo prevede che il minore venga edotto su questa possibilità …

    R. – Sì: edotto sulle possibilità che la legge gli consente. E’ ispirata questa legge – questa modifica – come del resto tutte le leggi dell’eutanasia in Belgio, in Olanda e altrove, da un utilitarismo dei sani, di quelli che stanno bene, non dal bene del paziente.

    D. – C’è poi un altro paradosso: cioè, il fatto che ad un minore è negata, ad esempio, la possibilità di firmare contratti economici, di contrarre matrimonio, di firmare atti che comunque impegnino il suo avvenire. Invece, in questo caso, gli viene data la possibilità di decidere se vivere o morire …

    R. – Sì: anche per la stessa sperimentazione di farmaci, la firma del minore da solo non basta.

    D. – Certo, poi manca un limite di età …

    R. - … chi ci dice che questa non venga applicata anche a quattro anni, a tre anni, quando i genitori si stancano di un malato grave e vogliono liberarsene?

    D. – In Olanda c’è una legge simile che prevede l’eutanasia dai 12 anni in poi …

    R. – Non aveva proprio bisogno, l’Europa, di fare questo ultimo passo: dopo la denatalità che già si configura come auto-genocidio, perché siamo al di sotto del livello compensativo tra chi nasce e chi muore; ma quest’ulteriore passo è enormemente peggiorativo della situazione: il diritto alla vita va ad essere tolto anche ai bambini, anche agli adolescenti.


    Grande rammarico hanno espresso i vescovi del Belgio, come spiega – al microfono di Olivier Bonnel - padre Tommy Scholtès, portavoce della Conferenza episcopale belga:

    R. – Effectivement, nous sommes assez désoles, tristes de voir que, même si …
    In effetti, siamo desolati e tristi di vedere che, anche se solo in sede di Commissione del Senato, questo dà comunque un orientamento di quello che accadrà magari tra qualche mese al Senato stesso. Noi abbiamo criticato questa legge fin dalla sua nascita e oggi ci rammarichiamo per il fatto che sia stata votata in Commissione.

    D. – Lei ha ricordato che molti medici chiedono il prolungamento e il mantenimento delle cure palliative, medici che secondo lei non sono sufficientemente ascoltati …

    R. – Cela fait partie des débats: il y a des médecins qui sont évidemment pour …
    Questo fa parte del dibattito: è ovvio che ci sono medici a favore dell’eutanasia e medici contrari, secondo il loro orientamento; perfino medici che non necessariamente cattolici affermano che il modo migliore di morire, per un bambino, sia un fine-vita a causa di un tumore, accompagnato da cure palliative e un’eventuale sedazione: quindi, non è necessario introdurre un atto di morte per concludere la vita del bambino, nei limiti in cui si possa parlare in questo modo.

    D. – Come spiega questa sorta di “fretta” da parte dei poteri pubblici nel voler legiferare su questa questione così delicata?

    R. – Je crois que depuis des années déjà en Belgique il y a un phénomène …
    Mi sembra che da alcuni anni in Belgio si sia manifestato un fenomeno secondo il quale, sull’onda di una sedicente democrazia, si possono mettere al voto determinate questioni; dopo aver votato per l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio omosessuale – tutte questioni estremamente delicate che sono indice di una sorta di individualizzazione e di una sorta di autonomia del pensiero (di un mal-pensiero, secondo me) – di conseguenza si arriva ad una mentalità per cui si afferma che “la vita è mia e che quindi ho il diritto di decidere su di essa, che qualcuno che è malato o che si trovi in una situazione molto grave possa dare un orientamento, mentre la vita umana, così come è percepita dal cristiano, è comunque un dono sacro. Noi oggi constatiamo che tutti i capi religiosi del Belgio hanno firmato una dichiarazione sottolineando la loro opposizione e la loro delusione.

    D. – Tutti i capi religiosi sono insorti contro questo progetto di legge: quali ne possono essere le reali conseguenze antropologiche? Si ha l’impressione che siano rimasti soltanto le voci delle religioni ad esprimersi per illustrare i pericoli che questo progetto di legge porta con sé …

    R. – Les responsables religieux se sont exprimés: ils se sont exprimés il y a une …
    I responsabili religiosi si sono già espressi: lo hanno fatto una quindicina di giorni prima di questo voto. La dichiarazione dei responsabili religiosi è stata poco ripresa e riproposta dai media, soprattutto da quelli belgi, mentre invece ha avuto vasta eco nei media stranieri. Quindi, questo fa parte della situazione del Belgio dove un certo numero di persone vive secondo una visione individualista dell’uomo che si dà il “diritto alla vita” e il “diritto ad organizzare la propria vita”. Quindi, noi cerchiamo di inquadrare tutto questo in un contesto di legami sociali, ricordando che noi siamo degli individui che non vivono in modo isolato, ma che siamo una società, e che i medici o gli infermieri o la famiglia che decidano determinate cose vanno non soltanto a spezzare una vita, ma anche i legami sociali: questo è quanto ripetiamo da settimane, lo diciamo e lo ripetiamo ancora.

    D. – Lei pensa che il giusto argomento dei legami sociali possa essere compreso, in Belgio?

    R. – Je pense que nous sommes dans une situation qui est d’une très grande …
    Credo che ci troviamo in una situazione di grande ambiguità. I cittadini pensano che l’eutanasia e la buona morte siano la stessa cosa; comprendo che tutti i cittadini, qualora fosse loro chiesto, domanderebbero di avere una morte che non li faccia soffrire troppo: è normale. Anche io vorrei avere una morte che non mi faccia soffrire troppo, quando sarà … Ma un conto è avere una morte che non ti faccia soffrire, altra cosa è chiedere a qualcuno di provocare un atto che dia la morte. E questo, ovviamente, in quanto cristiani, non possiamo accettarlo.

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    Germania: dopo due mesi di trattative, sì alla "grande coalizione" tra Cdu e Spd

    ◊   Un passo nella giusta direzione. E’ stato il commento della cancelliera tedesca Angela Merkel alla fine della maratona notturna che ha condotto all’accordo di “Grosse Koalition”, di larghe intese, tra il suo partito, la Cdu, i suoi alleati bavaresi della Csu, e i socialdemocratici della Spd, guidati da Sigmar Gabriel. Un’intesa arrivata due mesi dopo le legislative che avevano segnato una forte vittoria della Merkel, ma non la sua maggioranza assoluta. Per avere un governo i tedeschi dovranno ora aspettare il referendum ai primi di dicembre della base socialdemocratica, oltre 470mila iscritti. In caso di luce verde, entro Natale potrebbe esserci il nuovo esecutivo. Soddisfazione è stata espressa da Sigmar Gabriel, della Spd, e dalla stessa Merkel oggi in conferenza stampa. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giovanni Di Lorenzo, direttore del settimanale tedesco Die Zeit:

    R. – Dopo più di 50 giorni di trattative, che per la Germania è un periodo molto lungo, ci mancherebbe altro che non si dimostrassero soddisfatti, dopo questa maratona di discussioni. Adesso, però, tutta la Germania è ostaggio della base del partito socialdemocratico, che andrà a votare il consenso per questa grande coalizione, che voi chiamate coalizione di larghe intese. Questo si prolungherà fino al 14 dicembre. E’ una cosa abbastanza singolare che la quarta potenza mondiale ora debba aspettare più di due settimane, finché i socialdemocratici non metteranno in piedi questo referendum.

    D. – Il leader dei socialdemocratici, Gabriel, si dice positivo circa quella che sarà la scelta della base del Spd. Lei ritiene che questo ottimismo sia giustificato?

    D. – Adesso dobbiamo vedere come saranno le interpretazioni che vengono anche dal partito e dai media, se la base darà il consenso o no. Diciamo che due cose molto importanti per il popolo socialdemocratico sono state realizzate. La prima cosa è che ci sarà un salario minimo garantito (fissato a 8,50 euro l’ora a partire dal 2015 n.d.r.) e la seconda è che dopo aver pagato contributi per 45 anni, si potrà andare in pensione senza avere svantaggi economici. Bisogna ammettere che questo contratto, che ha più di 200 pagine, ha molto del programma socialdemocratico.

    D. – Il fatto che dalla Merkel sia stato conquistato il non aumento della tassazione dei redditi più ricchi come può essere interpretato?

    R. – Il partito socialdemocratico ha fatto il grande errore nella campagna elettorale di puntare molto, soprattutto all’inizio, su questo punto. Ora, certamente, molti glielo rimprovereranno: “Come mai ci non siete riusciti?”. Questa, dall’altra parte, è stata la grande conquista del partito cristianodemocratico: averla fatta franca su questo. Il partito socialdemocratico, comunque, ha perso le elezioni anche perché la gente non si è fidata che questa tassazione avrebbe colpito soltanto quelli che hanno veramente i redditi molto alti.

    D. – Un suo giudizio: che governo uscirà dopo il 14 dicembre?

    R. – Intanto dico che la novità per la Germania è che non sappiamo ancora chi! Quale partito e, soprattutto, quale persona avrà quale ministero. Questa è una cosa nuova, soprattutto per non irritare la base, per non dare il pretesto che la gente dica: “Ah, è una coalizione dove tutti pensano solo alle loro poltrone”. Io penso che potrebbe essere anche una coalizione a breve termine. Questo per l’Italia sarebbe normale, ma per la Germania non lo è, in quanto sia i cristianodemocratici sia i socialdemocratici, forse, tra qualche anno avranno un’altra opzione.

    D. – In che senso?

    R. – Una maggioranza numerica dei tre partiti di sinistra c’è già adesso in Parlamento. I socialdemocratici, insieme ai verdi e al partito di sinistra riuscirebbero ad avere la maggioranza, anche se è una maggioranza molto fragile; e i cristianodemocratici, penso che se in questo momento ci fossero elezioni nuove, anticipate, avrebbero ancora più consenso di quello che hanno avuto il 22 settembre scorso.

    D. – Il premier italiano si è congratulato per questo accordo e ha formulato un auspicio: che questa coalizione converga sull’europeismo, cioè che si rafforzi la tesi europeista dell’Unione. E’ una speranza solida quella di Letta?

    R. – Sì, quando oggi la cancelliera ha iniziato la sua conferenza stampa sull’accordo raggiunto, la seconda cosa che ha detto è stata che meta comune è quella di rafforzare i rapporti all’interno dell’Unione Europea e che la cosa più importante per questa Unione è la stabilità dell’euro. Sicché è stato un chiaro segnale anche a tutti i vicini e agli altri Paesi europei: “Contate su di noi”.

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    L'Onu approva risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti: aumentano le vittime tra i reporter

    ◊   La terza commissione dell'Assemblea Generale dell'Onu, quella sui diritti umani, ha approvato per consenso una risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti. La risoluzione istituisce il 2 novembre come Giornata internazionale per porre fine all'impunità dei crimini contro i giornalisti. Con 89 giornalisti uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro, il 2012 è stato l'anno con più morti dal 1995 e dall’inizio del 2013 già 52 reporter hanno perso la vita. Fausta Speranza ha intervistato Domenico Affinito, vicepresidente di Reporter Senza Frontiere Italia:

    R. – Intanto è importante parlarne sempre, in maniera costante, cercare di seguire tutti i casi che via via si verificano; ma soprattutto, poi, riuscire a costruire un percorso dando centralità al Tribunale penale internazionale dell’Aja, per riuscire poi a perseguire effettivamente chi si macchia di crimini gravi contro i giornalisti; quindi, cercare di costruire un percorso, oltre che di tutele, anche di ammende per chi si macchia di questi crimini.

    D. – Il mondo è cambiato: ci sarebbero tante cose da dire sull’evoluzione dei conflitti, che purtroppo permangono. Ma è sempre più difficile fare il reporter di guerra …

    R. – E’ complicatissimo, perché il mondo si è polarizzato in maniera drammatica: tutti i conflitti sono conflitti sempre più asimmetrici e sempre meno canonici, rispetto a quelli che conoscevamo un tempo. E questo ha cambiato anche il volto dei conflitti stessi. I giornalisti vengono rapiti, cosa che prima non avveniva: vengono visti come parte in causa, cosa che – anche questa – prima non avveniva … Quindi, il rischio è sempre maggiore. Poi c’è il rischio classico di essere coinvolti, invece, e di morire in situazioni di guerra conclamata o di tafferugli o di sommovimenti sociali.

    D. – Ovviamente il valore della vita è il primo in assoluto. Ma poi, magari, ci sono anche altri aspetti da valutare. Per esempio, la possibilità di fare il proprio lavoro bene e di riuscire a raccontare: perché poi, nei conflitti, c’è anche la guerra della propaganda. Penso alla Siria e a quanto sia difficile oggi su un terreno così frammentato …

    R. – Il freelance può essere spinto a fare cose in più, a cedere un po’, rispetto alla propria sicurezza, pur di portare a casa il lavoro, rispetto ad un assunto. Sì: è sempre più complicato riuscire a fare quello che il giornalista dovrebbe fare, cioè la verifica storiografica delle fonti. Questo si è complicato ulteriormente con la velocità dell’informazione e con le nuove tecnologie che diffondono in maniera molto più capillare e ramificata le informazioni. Le informazioni, quindi, arrivano da tantissime parti. Si può incorrere in errori banali: l’altro giorno, un grosso sito di informazioni italiano di uno dei principali quotidiani ha pubblicato il video di un social network dicendo: “Questa è la battaglia di Aleppo di sabato scorso”, e il video, invece, era di ottobre, quindi di un mese e mezzo fa; però, era stato pubblicato da questo social network come un video nuovo. Poi ci sono anche errori più gravi nei quali si può incorrere, creando anche gravi danni alle persone o ai rapporti tra gli Stati. Verificare le fonti sta diventando sempre più difficile, anche perché è sempre più difficile recarsi sul posto perché è aumentata tantissimo la velocità. Questa è una quota importante del lavoro dei giornalisti, e sta diventando sempre più importante.

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    Ue, piccole e medie imprese riunite a Vilnius per trovare nuove ricette anticrisi

    ◊   E' in corso la Settimana europea delle piccole e medie imprese (Pmi), che fino al 30 novembre porterà in 37 Paesi eventi, attività e campagne d'informazione su quello che Unione Europea, Stati membri e autorità regionali offrono a sostegno delle Pmi. Un tessuto economico importantissimo, che rappresenta il 99% dell’economia del Vecchio continente. Di qui, la necessità di “guardare al futuro dell’Europa pensando in piccolo”, come ricorda lo slogan dell’Assemblea generale delle Piccole e medie imprese, appena conclusasi a Vilnius. Un appuntamento di primo piano, che ha portato nella capitale lituana i rappresentanti di tutte le piccole e medie imprese europee. Presente anche Daniel Calleja Crespo, direttore generale per Impresa ed Industria della Commissione Europea. Il nostro inviato a Vilnius, Salvatore Sabatino, lo ha intervistato:

    R. – Siamo a un punto molto importante, perché l’Unione Europea ha fatto un’iniziativa politica importantissima, lo "Small Business Act": dobbiamo pensare prima nel piccolo, dobbiamo fare una politica per il sostegno delle PMI; dobbiamo favorire una politica per il sostegno degli imprenditori; dobbiamo fare uno sforzo enorme per l’economia reale e per la reindustrializzazione dell’Europa.

    D. – Qual è la strategia in questo momento in cui la crisi ha provocato molti danni all’economia europea? Dobbiamo dire che l’economia europea, per la maggior parte, si basa proprio sulla piccola e media impresa, siamo ben oltre il 90%...

    R. – La conclusione è chiara: è impossibile che l’Europa esca dalla crisi senza un’azione forte per il sostegno dell’economia reale, per la semplificazione amministrativa, per favorire l’accesso al finanziamento, per favorire l’accesso ai mercati e per favorire l’internship. Le piccole e medie imprese sono state vittime della crisi. La grande sfida è fare delle Pmi i protagonisti dell’uscita dalla crisi.

    D. – Parlando però con gli attori delle piccole e medie imprese presenti a Vilnius, molto spesso si sente dire: noi siamo piccoli, per cui se andiamo in crisi nessuno ci ascolta. Cosa si può fare per dare maggior rappresentanza alle piccole e medie imprese?

    R. – La prima cosa è che questa riunione è l’espressione della volontà dell’Unione Europea per fare una politica di sostegno alle piccole e medie imprese. In questa riunione ci sono i rappresentanti di tutte le Pmi dell’Unione Europea: 23 milioni di PMI in tutta l’Europa. Dobbiamo ascoltare meglio le loro preoccupazioni; dobbiamo cercare insieme soluzioni ai loro problemi.

    D. – Per l’internazionalizzazione avete fatto delle cose concrete che sono le famose “missioni per lo sviluppo”: voi, Commissione europea, prendete gli industriali e andate a far visita nei Paesi soprattutto in via di sviluppo…

    R. – Questa è un’iniziativa personale del vicepresidente Tajani, è lui che ha lanciato questa iniziativa. Ha cominciato a fare le missioni europee per la crescita, ha accompagnato in prima persona le imprese per favorire l’esportazione, per favorire uno sviluppo economico più forte. Ha visitato 15 Paesi e ha stipulato più di 60 accordi di collaborazione. E’ un atto politico europeo per favorire l’uscita dalla crisi. Questa è un’iniziativa rivoluzionaria.

    D. – L’Europa è sicuramente un attore importantissimo a livello mondiale, anche perché è fondata su principi come la solidarietà, come gli aspetti sociali di sviluppo. L’Europa cosa può portare di valore aggiunto, per esempio in Asia ed in America Latina che sono sicuramente economie importanti, ma che non hanno tutte le garanzie per i lavoratori, così come le abbiamo noi nel Vecchio continente?

    R. – L’Europa propone un modello sociale. Dobbiamo progettare questo modello negli altri continenti. Il modello europeo è un modello di solidarietà, è un modello del rispetto dei diritti fondamentali, è un modello di rispetto alla dignità umana ed anche un modello “solidaristico”. Possiamo lavorare insieme e fare insieme tantissime cose. Questo è il messaggio positivo di Mission for Growth.

    D. – Abbiamo tante cose da insegnare…

    R. – Sì, abbiamo tante cose da insegnare e da condividere con questi Paesi. Il messaggio europeo è un messaggio positivo, non è un messaggio di imposizione ma è un messaggio per progettare il valore della società europea ed il valore del modello europeo di società. Questo è il messaggio fondamentale.

    D. – Il messaggio della Chiesa quanto vi aiuta in questo?

    R. – Penso che il messaggio della Chiesa sia un messaggio convergente con quello dell’Unione Europea, perché l’Unione Europea non è un continente “aggressivo”. È un continente che vuole lavorare insieme.


    La crisi economica si combatte anche attraverso la speranza e la voglia di farcela. A sostenerlo con forza è Madi Sharma, un’imprenditrice anglo-indiana oggi membro a Bruxelles del Comitato Europeo economico e sociale. Donna affermata, dalla grande personalità, a Vilnius ha portato la sua personale esperienza di vita, iniziata in maniera drammatica. Il nostro inviato a Vilnius, Salvatore Sabatino, l’ha intervistata:

    R. – I have a strange past… At the age of 16, my dad told me that business…
    Ho uno strano passato… Quando avevo 16 anni, il mio papà mi disse che il commercio non era giusto per una donna. A 19 anni mi sono sposata. Il matrimonio l’ho organizzato io, perché i miei genitori non erano d’accordo con la scelta del ragazzo. A 23 mi sono sentita dire che ero troppo entusiasta del mio lavoro... Com’è possibile essere troppo entusiasti di un lavoro? A 28 mi sono sentita dire, invece, che non sarei mai riuscita in alcuna cosa che avessi voluto fare, perché ero una donna: questo me lo disse quello che ormai è il mio ex-marito. A 29 anni è successo che il mio ex marito mi ha gettata a terra, mi ha picchiata e per due giorni non sono riuscita ad alzarmi dal pavimento… Non ho alcuna qualifica, non ho una preparazione professionale, non ho alcuna pratica… A quel tempo ero un genitore single e vittima di violenza domestica: a questo punto hai due scelte. O fai la vittima per il resto della tua vita, oppure farai la differenza nella tua vita. E questo è quello che è successo a me: ho deciso che era venuto il momento di cambiare non solo la mia vita ma, mentre diventavo più matura e più forte, impegnarmi per aiutare e sostenere e cambiare la vita di altri.

    D. – E cosa è successo?

    R. – It started in my kitchen, at home. I had no money…
    E’ cominciato tutto nella cucina di casa mia. Non avevo soldi e l’unica cosa che potevo fare, era preparare un po’ di cibo nella mia cucina. Preparai un cibo indiano che si chiama "Samosa" e che assomiglia ai calzoni di pizza. Sono uscita e ne ho venduti quattro. Con il ricavato, sono tornata a casa e ne ho fatti otto, poi sono uscita, ho venduto quegli otto, sono tornata e ne ho fatti 16 e così via finché, otto anni dopo, ci siamo ritrovati a produrne 10 mila a settimana. Ci siamo spostati da casa mia in due fabbriche, tutte e due in zone di riqualificazione e lo staff è passato da un addetto – che ero io – 45 persone. Tutte le persone del mio staff erano persone disoccupate da molto tempo, alle quali – come a me – la società aveva detto che erano inutili. Io invece le ho accolte e loro mi hanno aiutata a far crescere l’organizzazione. Poi ho fatto un errore: in Gran Bretagna ho trovato un amministratore incapace ed è stato per me come se mi avessero picchiato una seconda volta, una sensazione spaventosa! Mi sono chiesta: ma la vita continuerà a riservarmi queste esperienze? E ho applicato una filosofia molto spicciola: quello che non ti uccide, ti fa diventare più forte. Così, mi sono risollevata e ho iniziato ad importare e a vendere generi dall’India, prodotti da donne e da artigiani, in Inghilterra. Abbiamo iniziato con una valigia mezza piena, poi con una valigia piena, poi sono diventate tre, poi mezzo container, poi uno… E questa attività è cresciuta, da allora, e ora conduco un’attività internazionale e dai profitti che ne ricaviamo istituisco imprese sociali per aiutare altre persone ad avviare le loro imprese: su scala molto ridotta, senza investire migliaia e migliaia di euro, ma soltanto 50, 100 euro. Infatti, noi “aiutiamo” la gente, la “guidiamo” e spesso è l’unica cosa di cui le persone hanno bisogno. La maggior parte delle persone ha soltanto bisogno di sapere che c’è qualcuno che crede in loro. Io credo in tutti…

    D. – Ora, lei lavora in Europa: lei pensa che le istituzioni europee siano capaci di ascoltare le richieste delle persone?

    R. – I think the problem with the Eu institutions is... I am…
    Credo che il problema delle istituzioni dell’Ue… Io sono rappresentante nel Comitato economico e sociale europeo, e noi rappresentiamo la società civile. Credo che le persone nelle Commissioni e nelle istituzioni europee abbiano dimenticato come si fa ad ascoltare perché sono convinte di sapere già tutto. Invece, ascoltare – semplicemente – le preoccupazioni delle persone, quello che le persone vogliono – sarebbe sufficiente per trovare le soluzioni. Questo è quello che io faccio nella mia attività. Anzi, io credo che il successo della mia attività si fondi sul fatto che il mio staff ed io stessa, quando andiamo ad incontrare qualcuno, ci fermiamo in ascolto: ma non ascoltiamo soltanto le parole, ma facciamo particolare attenzione al messaggio sotteso. Tutti hanno problemi: il mio scopo è risolvere il tuo problema nel modo a te più congeniale. In questo modo, insieme possiamo condurre attività migliori. E questo è quello che sta accadendo, ma la ragione è che ascoltiamo

    D. – Un’ultima domanda: la sua è una storia di speranza. E possibile combattere la crisi economica attraverso la speranza?

    R. – Yes: the hope is believing in yourself. So, actually there is…
    Sì, ma la speranza consiste nel credere in te. Ora, noi sappiamo una cosa: che c’è un alto potere che ci aiuta... Quell’alto potere sei tu, la tua voglia di credere in te stesso.


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    Il ministro Giovannini sul reddito minimo: un vero programma di inclusione sociale

    ◊   Tra le novità della Legge di Stabilità, passata ieri al Senato, c’è una forma di reddito minimo. Una fase sperimentale, per affrontare il tema della povertà partendo dalle grandi aree metropolitane. Alessandro Guarasci ha sentito il ministro del Lavoro Enrico Giovannini:

    D. – Parte finalmente il reddito minimo, quantomeno una prima sperimentazione. Come risponde a chi dice che, tutto sommato, le risorse impiegate sono limitate?

    R. – E’ qualcuno che non ha letto bene i testi in modo coordinato. Quello che ieri il Senato ha definito è un’aggiunta di 40 milioni all’anno per i prossimi tre anni al Fondo per la povertà, che è stato utilizzato in passato con la social card tradizionale per circa 250 milioni, e oltre alle risorse che noi avevamo già stanziato – circa 170 milioni per il Mezzogiorno e altri 50 milioni per i grandi comuni. In altre parole, quello che è stato deciso ieri è proprio di allargare la sperimentazione della carta di inclusione sociale, che non è soltanto la vecchia social card, a tutto il territorio nazionale: questo è un passo propedeutico all’introduzione piena del sostegno per l’inclusione sociale che abbiamo sviluppato nei mesi scorsi. Complessivamente, parliamo di circa mezzo miliardo.

    D. – Concretamente, a chi sarà rivolto?

    R. – Già adesso abbiamo visto che, nelle sperimentazioni dei grandi Comuni, questo tipo di sostegno va a famiglie in particolare difficoltà economica, quindi con un reddito, con un Isee particolarmente basso. Ma c’è un impegno ad avere non solo il trasferimento monetario di sostegno alla famiglia, ma da un punto di vista della famiglia c’è un impegno a cercare un lavoro in modo attivo, a mandare i figli a scuola regolarmente, a far fare le visite mediche regolari… E’ un vero programma di inclusione sociale, analogo a quello sviluppato in altri Paesi europei.

    D. – Diciamo che però ci vuole una forte collaborazione da parte degli enti locali, per far sì che non ci siano truffe…

    R. – Esattamente. Ed è per questo che parliamo di sperimentazione. Già con i grandi Comuni abbiamo visto una serie di comportamenti che non necessariamente sono stati limpidi, da parte di chi ha fatto domanda per ricevere questo sussidio. Questo è il modo corretto di fare le politiche: procedere con sperimentazioni e poi, sulla base dei risultati di queste sperimentazioni, fare la misura definitiva.

    D. – Il contributo sulle "pensioni d’oro" in qualche modo può essere considerato un’operazione di ridistribuzione del reddito?

    R. – Certamente sì, perché il contributo che era già stato inserito nella proposta del governo con un contributo straordinario per i prossimi tre anni, per le pensioni oltre 150 mila euro annue – e adesso è stato portato a 90 mila euro – è un modo per ridistribuire da chi riceve di più, spesso non avendo versato quei contributi corrispondenti alle pensioni, a chi invece è in maggiore difficoltà economica: questo è esattamente uno dei modi per superare alcune delle difficoltà che la Corte costituzionale aveva segnalato nei precedenti interventi sulle pensioni d’oro. Quindi, abbiamo fatto tesoro di questa esperienza per disegnare una misura più corretta sul piano istituzionale e giuridico.

    D. – Però, diciamo che le pensioni di media entità saranno rivalutate solo parzialmente. Questo non è un ostacolo anche alla ripresa dei consumi, in Italia?

    R. – In parte, questo è ancora in discussione – è stato detto chiaramente anche dal viceministro Fassina – per un confronto alla Camera su questi aspetti. Teniamo però anche presente che l’inflazione è straordinariamente bassa, quindi la mancata rivalutazione per le fasce intermedie riguarda poche decine di euro, o addirittura pochi euro. Quindi, vorrei ricordare la discussione che è stata lanciata quando con la proposta del governo si parlava di dare una riduzione delle imposte sui lavoratori che avrebbero portato nelle tasche circa 14 euro mediamente ai lavoratori e si è scatenato l’inferno perché era troppo poco. In questo caso, invece, poiché la mancata rivalutazione riguarda cifre molto contenute, vorrei che ci fosse lo stesso atteggiamento di minimizzare la perdita di queste fasce di pensionati, che pure vanno tutelate in vario modo.

    D. – Per chiudere: lei, in passato, ha parlato di una crescita, seppur moderata, senza occupazione – quantomeno questo è il rischio e anche i sindacati lo paventano. Ad oggi, secondo lei, questo è ancora possibile? Insomma, nel 2014 ci sarà una crescita del pil senza lavoro?

    R. – E’ uno dei rischi, ed è per questo che il governo ha messo in campo delle azioni proprio per aumentare l’intensità occupazionale fin dall’inizio della ripresa. Con un aumento della flessibilità buona – quella dei contratti a termine – sulla base di un accordo tra imprese e sindacati, e accanto a questo, invece, un’incentivazione delle assunzioni a tempo indeterminato di giovani soprattutto – ricordo che tra giovani, donne e over-50, le incentivazioni in questi mesi hanno prodotto circa 30 mila posti di lavoro in più a tempo indeterminato – tutti questi strumenti devono essere varati insieme, utilizzati insieme perché non c’è un solo strumento da utilizzare. In questo senso, anche il varo del piano per la "garanzia-giovani" dovrebbe aiutare proprio ad avere un’immissione di giovani all’interno del sistema produttivo, nella fase di recupero della produzione.

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    Emergenza freddo: Sant'Egidio apre spazi di accoglienza ai senza dimora

    ◊   Neve, gelate e bufere di vento si sono abbattute in queste ore, come un flagello, su diverse regioni nel nord e nel centro-sud dell’Italia. Si tratta della prima grande ondata di freddo di un inverno che si annuncia durissimo per chi si trova sprovvisto di una fissa dimora. Sulla situazione drammatica di quanti in queste notti di gelo hanno dormito all’aperto, sui cartoni o su materassi di fortuna, Cecilia Sabelli ha intervistato Augusto D’Angelo, della Comunità di Sant’Egidio:

    R. - La situazione in questo momento è naturalmente molto dura, perché negli ultimi anni c’è stato un impoverimento generale in Italia. Questo significa che il popolo della strada è aumentato. Le difficoltà sono tante. A livello italiano, abbiamo rafforzato le visite nelle stazioni e nei luoghi dove i senza fissa dimora vivono portando pasti, cose calde da bere, coperte. A Roma, abbiamo aperto un luogo che per il momento accoglierà 12 persone che vivono per strada e che si trovano in situazioni precarie di salute e di età. Il che vuol dire concretamente salvare alcune persone dalla possibilità di morire di freddo.

    D. - A volte, l’ospitalità è anche la prima tappa di un percorso di reinserimento che evita il ritorno di queste persone sulla strada…

    R. - Devo dire che i risultati degli anni scorsi sono stati molto incoraggianti. Lavorando sulla salute, sulla ricerca del lavoro, sulle dipendenze da alcol e altro, più dell’80% delle persone che abbiamo accolto con la primavera hanno poi visto risorgere la vita e non sono più tornate in strada. Ciò, a mio giudizio, significa soprattutto che questo problema va affrontato non con la logica dell’emergenza, ma con la logica di un progetto a lunga scadenza. Anche perché spendere dei soldi soltanto per far dormire al caldo delle persone è un’ottima cosa, ma se si accompagna a questo un percorso di recupero, naturalmente l’anno successivo questi soldi possono essere destinati ad altre persone o ad altre cose.

    D. - Il freddo può essere letale per i senza dimora, la cui salute è già indebolita dalle condizioni precarie a cui costringe la vita di strada. Quale contributo può offrire un cittadino comune?

    R. - Intanto, c’è un modello istituzionale. Dal 25 novembre, è attivo un numero verde che si può trovare su Internet e che collega alla Sala operativa del Comune di Roma. Qualsiasi cittadino che incontrasse una persona in difficoltà, può chiamare questo numero per richiedere l’intervento di alcune unità operative che possono trovare loro dove dormire. Per tutti gli altri, invece, il consiglio è questo: al momento dei cambi di stagione, si può pensare di rinunciare a una coperta, a un cappotto o a qualche altra cosa, e recarsi nei diversi centri romani del volontariato dedicato alla raccolta per lasciare queste cose. Per quello che riguarda la Comunità di Sant’Egidio, un centro si trova in Via del Porto Fluviale 2 ed è aperto tutti i sabati pomeriggio proprio per raccogliere tutte le cose che i romani volessero donare.

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    Rapporto Istat: 12 mila nascite in meno in Italia nel 2012 rispetto all'anno prima

    ◊   Nascite ancora in calo in Italia: il dato emerge dal bilancio Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente nel 2012, presentato oggi a Roma. Si conferma, dunque, un orientamento cominciato nel 2009 e che registra 42 mila unità in meno in quattro anni. In aumento le nascite al di fuori del matrimonio: condizione che lo scorso anno ha riguardato un bambino su quattro. Il servizio di Adriana Masotti:

    Sono stati 534.186 nel 2012 gli iscritti in anagrafe, 12 mila in meno rispetto al 2011. Secondo l’Istat, il calo delle nascite è riconducibile in parte a un effetto "strutturale", meno donne italiane in età fertile rispetto al passato, e le cittadine straniere hanno finora compensato questo squilibrio. Inoltre, le straniere hanno in media più figli delle italiane ma, avverte l’Istat, negli ultimi anni si nota una diminuzione della fecondità anche nelle donne straniere. Per loro si parla di 2,37 figli per donna, a fronte di 1,29 che riguarda le italiane. Una congiuntura economica sfavorevole, ricorda l’Istat, incide senz’altro sulla decisione di rimandare la nascita di un figlio. In generale comunque si diventa madri in età più matura: 32 anni per le italiane; 28,4 per quelle straniere. I livelli di fecondità sono lievemente più elevati nelle regioni del Nord e del Centro e anche questo è dovuto al diverso contributo delle donne straniere in quelle regioni. E sono le rumene al primo posto per numero di figli (19.415 nati nel 2012), al secondo troviamo le marocchine (12.829), vengono poi le albanesi (9.843) e le cinesi (5.593 nati). Infine, un dato rilevante: nel 2012, un bambino su quattro è nato all'interno di una coppia non sposata. Al Centro-nord, in particolare, i nati da genitori non coniugati supera il 30% con picchi del 44% nella Provincia autonoma di Bolzano. Un fenomeno che tocca anche una delle aree caratterizzate storicamente da comportamenti familiari più tradizionali come il Veneto e che risulta più accentuato tra le coppie miste. In questo caso, circa il 35% dei bambini nasce al di fuori del matrimonio: si tratta infatti spesso di una seconda unione per almeno uno dei due genitori.

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    Modifiche al Codice Deontologico medico: in pericolo l'obiezione di coscienza

    ◊   I limiti all’obiezione di coscienza nel nuovo Codice di Deontologia medica. Questo il tema del dibattito di ieri all'Università Campus Bio-Medico di Roma cui hanno partecipato, tra gli altri, mons. Lorenzo Leuzzi, medico e vescovo ausiliare di Roma, e Riccardo di Segnim medico e rabbino capo della Comunità ebraica romana. Il problema su cui è importante scuotere l’opinione pubblica potrebbe segnare il futuro della medicina, ma sta passando inosservato sui principali organi di stampa. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    E’ in corso la revisione del Codice di Deontologia Medica, che vedrà la luce nel 2014. Ma le bozze di riforma che circolano preoccupano. In particolare, al centro dell’attenzione è l’art. 22, che – se modificato – limiterebbe la libertà del medico all’obiezione di coscienza, come spiega Renato Caviglia, medico e vicepresidente dell’Associazione Medica Ebraica- Italia:

    “La modifica prevede l’eliminazione della possibilità di scegliere tra scienza o coscienza, imponendo di attenersi scrupolosamente a quelle che sono le linee guida delle società scientifiche internazionali, seguendo pedissequamente i dettami dell’etica e della tecnologia scientifica. Si tende ad inquadrare il medico all’interno di paletti, lasciando pochissima libertà di scelta”.

    Preoccupato è il fronte clinico, ma anche quello etico-religioso. Mons. Andrea Manto, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della Conferenza episcopale italiana:

    “Il medico in scienza certo, ma anche in coscienza e cioè in una visione dell’umano, del senso del suo agire, del rispetto della dignità della persona, è chiamato ad intervenire prendendosi cura e non a esaudire la volontà del paziente, quasi che fosse sempre e soltanto un 'tecnico' della salute.

    Tra le motivazioni che spingono a riformare il Codice, anche quelle economiche, ma non solo. Ancora mons. Andrea Manto:

    “Pian piano, ci sono slittamenti negli strumenti normativi che si aprono a un’idea di libertà malintesa e a una idea di coscienza precaria, dove un certo soggettivismo e individualismo finisce per diventare un danno non solo per la coscienza del medico, ma in fondo anche per il bene del paziente”.

    Al dibattito, prendono parte anche esponenti della comunità ebraica, perché l’obiezione di coscienza non è solo questione cattolica. Ancora mons. Manto:

    “Questo non ha un carattere confessionale. E’ un’idea di riflessione, certo a partire dalla tradizione giudaico-cristiana, ma è un’idea di riflessione che nasce dalla possibilità di comprendere più profondamente l’umano. Credo che in questo modo possiamo davvero fare emergere in maniera piena il valore della vita e della dignità della persona, che spesso viene minacciato proprio quanto le si promette una libertà senza confini, che è illusoria, e una possibilità di guarigione o una possibilità di intervento tecnico sulla salute di tipo miracolistico o – se vogliamo – addirittura capace di evitare sofferenze, evitare ogni genere di angoscia, che invece possono essere comprese e vissute - proprio perché ineliminabili - solo nell’autenticità di un rapporto umano e nella visione più profonda della relazione medico-paziente".

    Ultimo aggiornamento: 27 novembre

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    Radio Vaticana: compie 75 anni il Programma in lingua polacca

    ◊   La Radio Vaticana festeggia oggi i 75 anni del suo programma in lingua polacca con una Santa Messa presieduta da mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. La sezione polacca della Radio Vaticana nasce in un periodo storico particolarmente drammatico per la Polonia, che dal 1939 con l’occupazione nazista al 1989 con la caduta del Muro di Berlino, vive 50 anni di oppressione dittatoriale. Stefano Leszczynski ha intervistato per l’occasione padre Tadeusz Cieslak della sezione polacca della nostra emittente:

    R. - L’intuizione di Papa Pio XI, di avere uno strumento di comunicazione, si può dire che è stata “geniale”: uno strumento come quello della radio, che non parla solo in latino ed in italiano ma anche in varie lingue europee. Un anno dopo, proprio questo strumento è servito tantissimo per comunicare il messaggio del Papa: un messaggio di pace per tutto il mondo “immerso” nella guerra. Preso atto che la Polonia è stato il primo Paese coinvolto nella Seconda guerra mondiale, fu molto importante trasmettere queste parole della speranza cristiana.

    D. - Il programma polacco raggiunge un momento storico importantissimo con l’elezione di Giovanni Paolo II e tutto il suo lungo Pontificato. Si può dire che la sezione polacca della Radio Vaticana diventa un po’ la protagonista di questo lungo periodo storico…

    R. - E’ stato proprio così. Fu molto importante proprio nel momento in cui Karol Wojtyla è diventato Papa e poi con tutta la sua missione “abbondante”, piena di viaggi e di messaggi. La sua presenza in tutto il mondo, nel momento in cui la Polonia era di nuovo oppressa dallo stato di guerra, si è ripetuta la missione di portare speranza alla gente che si sentiva oppressa, imprigionata nel proprio Paese.

    D. - Come cambia la missione della sezione polacca oggi?

    R. - Il primo cambiamento è avvenuto proprio nel 1990, quando i nostri programmi sono andati in onda non solo attraverso le onde corte ma anche sulle onde del primo programma della Radio statale polacca. Così, la presenza “diretta” della voce del Vaticano è stata il primo cambiamento. Poi bisognava adattare anche il linguaggio, adattarsi un po’ alle situazioni tecniche e con modalità tecniche adeguate alla trasmissione in Polonia. Noi serviamo un po’ come punto di informazione vaticana molto “pratica” per alcuni aspetti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine. I morti del tifone Haiyan saliti a 5.500. Iniziata la ricostruzione

    ◊   I dati aggiornati diffusi oggi dal Consiglio nazionale per la gestione e la riduzione del rischio nei disastri segnalano un ulteriore aumento nel numero delle vittime di Haiyan. Sono 5.500 i morti ufficiali, ma salgono drasticamente i feriti a 26.136 e i dispersi, oggi a 1.757. La maggior parte delle nuove vittime, come le precedenti, sono state ritrovate sulle isole di Leyte e di Samar, nella sfortunata municipalità di Tacloban (207), ma anche altrove (67). Il super-tifone Haiyan (Yolanda per la classificazione locale) ha colpito le regioni centali delle Filippine l’8 novembre, lasciando una scia di devastazione senza precedenti. L’azione prevista della pioggia e del vento e quella invece sottovalutata delle onde sollevate da raffiche superiori ai 300 chilometri orari hanno devastato in particolare le isole di Leyte e Samar. Hanno tuttavia portato pesanti conseguenze anche su quelle di Bohol, Cebu, Iloilo, Bantayan, Negros già devastate in parte dal terremoto del 15 ottobre. I servizi di prevenzione hanno funzionato relativamente bene, data la situazione, promuovendo l’evacuazione di oltre 700.000 abitanti dalle aree più esposte, ma in troppi hanno preferito restare vicini alle proprie cose. Secondo le valutazioni ufficiali, nove milioni di abitanti sono stati interessati dall’evento (13 milioni per le Nazioni Unite) e oltre quattro milioni sono rimasti senzatetto. Quasi 400.000 quelli ospitati nei Centri di raccolta. 650.000 le abitazioni inagibili o distrutte. I danni potrebbero superare i 4,5 miliardi di euro, ma le conseguenze su comunità locali, agricoltura e pesca nazionali dureranno a lungo, con ricadute anche economiche e occupazionali. Mentre inizia un limitato rientro della popolazione nelle sedi abituali in concomitanza con riapartura di strade, porti e aeroporti e la riattivazione delle linee elettriche e telefoniche, il Paese fa i conti con i propri limiti di strutture e fondi, ma anche con le difficoltà e potenzialità della ricostruzione. L’arrivo massiccio di soccorsi nell’emergenza, che per giorni ha costituito un incubo logistico dato il blocco delle comunicazioni e delle infrastrutture essenziali, sta infatti gradualmente sfumando verso la fase di riabilitazione e di ricostruzione. Una situazione anch’essa nuova come dimensioni che metterà alla prova non tanto la risposta globale, che è stata massiccia, quanto le capacità d gestione e l’onestà delle autorità e delle strutture governative, ora sotto lo sguardo attento della comunità mondiale. (R.P.)

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    Card. Maradiaga: per la lotta all'Aids calo delle donazioni. 18 milioni di malati senza cure

    ◊   La lotta all’Aids, a pochi giorni dalla Giornata mondiale che si celebra ogni anno il 1° dicembre, non è stata ancora vinta, anzi “alcuni donatori internazionali hanno cominciato a diminuire i loro sostegni ai programmi di trattamento, evocando altre priorità”, tra cui “la crisi economica mondiale”. Lo afferma - riferisce l'agenzia Sir - il card. Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, presidente di Caritas internationalis, ricordando l’azione diretta dell’organismo ecclesiale in 116 Paesi del mondo e l’intenzione della comunità internazionale di “arrivare a zero nuove infezioni da virus Hiv-zero discriminazioni-zero decessi dovuti all’Aids”. L’obiettivo “zero decessi dovuti all’Aids”, scrive il card. Maradiaga, “può essere raggiunto grazie alla prevenzione e al trattamento precoce delle infezioni da Hiv”, un tema su cui Caritas è molta attiva grazie alla campagna “Haart per i bambini”. “In questi ultimi anni - afferma - tanti progressi sono stati raggiunti, per estendere questi trattamenti a 10 milioni di persone che vivono nei Paesi più poveri. Ma non è abbastanza: altre 18 milioni di persone ne hanno bisogno. Invece l’obiettivo “zero nuove infezioni”, precisa, “può essere raggiunto solo tramite relazioni interpersonali responsabili e comportamenti individuali, tra cui la limitazione dell’attività sessuale ad un matrimonio permanente e fedele tra uomo e donna, evitando inoltre ogni ricorso a droghe/farmaci non prescritti da professionisti sanitari”. (R.P.)

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    Appello dei vescovi dell’Africa australe per la pace in Mozambico

    ◊   Cauta apertura del governo mozambicano alla richiesta della Renamo (Resistenza Nazionale del Mozambico) di coinvolgere osservatori nazionali nel dialogo per risolvere la grave crisi che ha visto l’esercito nazionale attaccare il 21 ottobre il quartiere generale dell’ex movimento di guerriglia nelle foreste di Sadjunjira, nella provincia centrale di Sofala. Il leader della Renamo, Afonso Dhlakama, è riuscito a sfuggire alla cattura e si nasconde in un luogo imprecisato. Da allora, in attacchi commessi dagli uomini della Renamo a istituzioni del governo e lungo le vie di comunicazione, decine di persone hanno perso la vita. José Pacheco, Ministro dell'Agricoltura e capo della commissione governativa per il dialogo con il maggior partito di opposizione, ha affermato che il governo è pronto a riconoscere la partecipazione nelle discussioni con la Renamo di Lourenco do Rosario, rettore dell'Università privata “A Politecnica”, e di mons. Dinis Sengulane, Vescovo anglicano di Lebombo, ma ha respinto l’ipotesi di coinvolgere mediatori stranieri, affermando che “gli affari interni possiamo risolverli noi mozambicani”. Nel frattempo nelle elezioni amministrative boicottate dalla Renamo, il partito al governo, il Frelimo, è stato riconfermato alla guida dell’amministrazione della capitale Maputo. La grave crisi mozambicana è stata ricordata dall’Assemblea dell’Imbisa (Associazione Interregionale dei Vescovi dell’Africa Australe), l’organismo che riunisce i Vescovi di Angola, Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia, Sao Tomé e Principe, Sudafrica, Swaziland e Zimbabwe, che si è tenuta a metà novembre a Gaborone (Botswana). “Seguiamo con preoccupazione - afferma il messaggio dell’Imbisa - quanto sta accadendo in Mozambico negli ultimi tempi. Sembra che le armi si stiano sostituendo, portando sofferenza e morte, al dialogo e alla collaborazione di tutti per il consolidamento della pace”. Facendo riferimento agli accordi di pace del 1992, che hanno messo fine ad una guerra di 17 anni, il messaggio sottolinea che “il Mozambico e i sui leader sono portati come esempio su come porre fine a una lunga guerra attraverso il dialogo”. “Il Mozambico svolge un ruolo molto importante nella nostra regione. Il suo progresso e la sua stabilità sono di vitale importanza per i nostri Paesi per consolidare il loro sviluppo. Invitiamo quindi i nostri governi ad unire la loro voce a quella del popolo del Mozambico per chiedere la cessazione di tutte le azioni di violenza e l’uso delle armi e per incoraggiare tutti gli sforzi di dialogo” conclude il documento. (R.P.)

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    Pax Christi International: l'Europa non chiuda le porte ai profughi siriani

    ◊   Pax Christi International rivolge un appello urgente al governo di Damasco e alle forze coinvolte nel conflitto siriano affinché siano aperti i confini del Paese e sia consentito ai soccorsi umanitari di raggiungere le popolazioni assediate nelle zone martoriate dallo scontro armato. In un comunicato, pervenuto all'agenzia Fides, Pax Christi International accoglie positivamente l'annuncio della Conferenza di pace “Ginevra 2” convocata per il prossimo 22 gennaio, nella convinzione che un tentativo di soluzione politica del conflitto è improrogabile e dovrà coinvolgere rappresentanti del governo siriano e una delegazione rappresentativa dell'opposizione. In vista di Ginevra 2, Pax Christi International richiama l'urgenza di un cessate il fuoco che garantisca accesso umanitario alle aree assediate prima dell'inizio dei colloqui. Nel comunicato, l'organizzazione esprime preoccupazione per le notizie sugli ostacoli posti da alcuni Paesi europei davanti alle richieste di asilo avanzate da persone che fuggono dal conflitto siriano. Pax Christi International richiama tutte le istanze nazionali e internazionali a garantire ai siriani in fuga lo status di rifugiati. L'alzare barriere davanti a chi cerca salvezza dalla guerra – ammonisce Pax Christi – costringe i profughi a intraprendere viaggi pericolosi e li pone alla mercé dei trafficanti di uomini. (R.P.)

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    Libia: nuovi scontri a Bengasi. Situazione incerta

    ◊   Dopo ore di ‘tregua’ ieri, nuovi scontri sarebbero in corso dalle prime ore del giorno a Bengasi tra l’esercito regolare e miliziani di Ansar al Sharia, causando alcuni feriti: lo riferiscono fonti di stampa panaraba, ma senza fornire alcun bilancio delle ultime violenze. Per il quotidiano Libya Herald le ostilità sarebbero riprese già da ieri sera, quando i miliziani hanno attaccato tre posizioni dell’esercito nella città orientale: il quartier generale, l’ingresso occidentale a Bengasi e un check-point nel distretto di Keesh. Esplosioni e colpi d’arma da fuoco - riferisce l'agenzia Misna - si sono sentiti anche nei pressi dell’ospedale di Al Jalaa, dove si è contato un numero imprecisato di feriti fra i militari. Tuttavia la situazione che prevale a Bengasi appare incerta e poco chiara. Alcune fonti di stampa occidentale hanno riferito che Ansar al Sharia si sarebbe ritirato dal centro città e che ora i jihadisti circonderebbero la località “pesantemente armati e con l’intenzione di rientrare”, ha scritto Radio France Internationale. Non è escluso che la potente milizia possa contare su rinforzi in arrivo da Derna, Ras Lanouf e Ajdabiya. Nel contempo continua il movimento di disubbidienza civile indetto dal Consiglio locale di Bengasi (municipio) per esercitare pressioni sulla milizia ma anche sul potere centrale, per ottenere la ‘liberazione’ della città e maggiori impegni da Tripoli a garanzia della sicurezza dei locali. Lo sciopero generale dovrebbe continuare fino a domani sera, mentre proseguono trattative dei capi delle tribù locali e attivisti della società civile per placare le tensioni tra le forze armate governative e la potente milizia. E’ in questo contesto sempre più instabile che la Libia si prepara ad andare alle urne per le elezioni municipali: un voto a più tappe che si concluderà il 21 dicembre. Il quotidiano Libya Herald ha precisato che le prime località che hanno appuntamento con le urne sono Beida, Bint Baya, Shahat e Tazerbu. La settimana successiva a votare saranno gli aventi diritto di Awjila, Traghen, Wadi Itba e Zintan. (R.P.)

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    Malaysia: appello Onu al governo in nome della libertà di religione sul termine "Allah"

    ◊   Il governo malaysiano dovrebbe consentire l’uso della parola “Allah” sulle colonne del settimanale cattolico “Herald”, in nome della libertà di espressione e di religione: lo afferma un team di osservatori delle Nazioni Unite, intervenendo sulla disputa che ha visto confrontarsi in tribunale il governo malaysiano e la Chiesa cattolica. Come riferisce una nota Onu inviata a Fides, Frank La Rue, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione ha detto: “Il Ministero degli affari interni dovrebbe prendere immediatamente misure necessarie per garantire il diritto alla libertà di opinione e di espressione dell’Herald e recedere in modo incondizionato dal contenzioso aperto su questo tema”. Secondo il comunicato dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, il caso giudiziario, infatti potrebbe avere “un potenziale impatto di vasta portata sulle minoranze religiose in Malaysia”, limitando la libertà di espressione e di religione. “La libertà di religione o di credo è un diritto di tutti gli esseri umani, non un diritto concesso dallo Stato”, ha rimarcato Heiner Bielefeldt, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione. “Non può essere un affare dello Stato modellare le tradizioni religiose, né lo Stato può pretendere di essere una autorità vincolante nell'interpretazione delle fonti religiose o nella definizione dei dogmi di fede”, spiega Bielefeldt nella nota. Secondo Rita Izsak, esperto delle Nazioni Unite sui problemi delle minoranze, il divieto imposto all’Herald “viola la libertà della comunità cristiana locale nella pratica della fede” ed è preoccupante perché “potrebbe influenzare negativamente le relazioni interreligiose nella nazione”. “La discriminazione per motivi di religione o per convinzioni personali – afferma nel testo inviato a Fides – costituisce una violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali dell’uomo. In tal caso è lampante una violazione dei diritti di una comunità religiosa di minoranza”. Il mese scorso, la Corte d'Appello di Kuala Lumpur, ribaltando una sentenza di primo grado, ha stabilito che è legittima la decisione del Ministero degli Interni di vietare l'uso della parola nella pubblicazione del settimanale “Herald”, affermando che tale termine non è “parte integrante della pratica della fede cristiana”. (R.P.)

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    Egitto: niente “quote” per i cristiani nel futuro Parlamento

    ◊   Il comitato incaricato di riscrivere la Costituzione egiziana non intrudurrà nel nuovo testo costituzionale articoli miranti a garantire quote di seggi riservati ai cristiani copti nel futuro Parlamento. Lo ha confermato nel corso di una conferenza stampa l'artista egiziano Mohamed Abla, membro del comitato di revisione costituzionale che raccoglie 50 rappresentanti della popolazione egiziana, compresi 3 delegati delle Chiese cristiane presenti in Egitto. “Nelle sessioni del comitato” ha spiegato Abla “c'è stato consenso nel non riservare una quota per gruppi minoritari nelle Camere di rappresentanza”. Solamente negli organi di rappresentanza municipali quote del 25% dei seggi verranno riservati alle donne e ai candidati giovani. Nei giorni scorsi dal comitato costituente erano filtrate voci sulla possibile introduzione di quote parlamentari riservate a fasce specifiche della popolazione, ma poi risultano aver prevalso le contrarietà verso ogni forma di “discriminazione positiva”. All'interno delle comunità cristiane, le reazioni davanti alle ipotesi di una quota di rappresentanza parlamentare a loro riservata su base confessionale erano state contrastanti. “La soluzione delle quote” fa notare all'agenzia Fides Botros Fahim Awad Hanna, vescovo copto cattolico di Minya “può favorire i disegni di chi mira a lacerare il Paese su linee di divisione settaria. Per valorizzare il contributo dei cristiani copti alla costruzione del nuovo Egitto occorre trovare nuove strade. Come, ad esempio, inserire nei primi posti delle liste elettorali politici cristiani preparati e autorevoli, in grado di raccogliere consenso popolare”. La nuova carta costituzionale dovrebbe essere sottoposta a referendum popolare dopo la metà del gennaio 2014. (R.P.)

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    Uganda: laurea honoris causa a suor Nyirumbe, che aiuta le donne vittime delle violenze dell’Lra

    ◊   “Suor Nyirumbe aiuta le donne e le ragazze a tessere un nuovo inizio attraverso l’educazione. La sua visione e la sua azione di patrocinio a favore dei più vulnerabili riecheggia profondamente l’eredità di San Vincenzo de Paoli, che ha operato a favore dei poveri e degli emarginati”. Così il rev. Dennis H Holtschneider, preside della DePaul University di Chicago, la più grande università cattolica degli Stati Uniti, ha annunciato il conferimento della laurea honoris causa a suor Rosemary Nyirumbe, una religiosa ugandese che aiuta le donne a superare i traumi delle violenze. Suor Rosemary, a capo del Centro di sartoria per ragazze “Santa Monica”, ha rivisto il programma di insegnamento del suo istituto per rispondere alle crescenti esigenze delle donne, delle ragazze e dei loro bambini che sono sopravvissuti al rapimento, allo stupro e al trasferimento forzato durante decenni di guerra civile in Uganda, ad opera dell’Lra (Esercito di Resistenza del Signore). Grazie agli sforzi di suor Nyirumbe, le donne e le ragazze del laboratorio ricevono sostegno psicologico e una formazione scolastica, oltre ad apprendere le competenze professionali sartoriali e agricole. Dal 2002, le iscrizioni annuali al laboratorio “Santa Monica sono salite da 31 a più di 300, e la maggior degli studenti dopo essersi diplomati trovano un lavoro durevole. Secondo quanto riferisce l’agenzia Cisa, ripresa dalla Fides, suor Rosemary riceverà la laurea in Lettere durante una cerimonia che si terrà il 7 dicembre presso il Tangaza College di Nairobi, in Kenya. (R.P.)

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    Haiti: battello carico di migranti naufraga nelle Bahamas

    ◊   Sono almeno una trentina i migranti haitiani morti al largo delle coste di Staniel Cay, nell’arcipelago delle Bahamas, nel naufragio dell’imbarcazione su cui viaggiavano tentando di raggiungere gli Stati Uniti. La Guardia Costiera americana aveva localizzato il battello, una barca a vela di 12 metri, adagiato su un fianco nella serata di lunedì: “I migranti si aggrappavano allo scafo della barca quando sono arrivate le squadre dei soccorritori” ha riferito una fonte. Oltre un centinaio di persone sono state tratte in salvo e inizialmente si contavano solo dieci vittime, ma col passare delle ore sono aumentati i corpi senza vita restituiti dal mare. I tentativi di raggiungere le coste statunitensi da parte di migranti haitiani - riferisce l'agenzia Misna - sono frequenti: la maggior parte dei battelli parte dal nord-ovest di Haiti, una delle zone più povere di un Paese devastato nel gennaio 2010 che conta ancora 170.000 senza tetto a causa del sisma. Secondo fonti dell’Ufficio nazionale delle migrazioni di Port-au-Prince ogni mese vengono recuperate in mare fra le 100 e le 150 persone; altre centinaia sono espulse a scadenza regolare dalla confinante Repubblica Dominicana. Proprio il vicino Paese ha da poco irrigidito le sue norme migratorie decidendo di revocare la nazionalità dominicana concessa ai figli degli immigrati ‘irregolari’, per la maggior parte haitiani; una misura che potrebbe colpire fino a 200.000 persone. Ieri i 15 Paesi della Comunità Caraibica (Caricom) hanno sospeso la richiesta di aderire al blocco regionale avanzata da Santo Domingo fino a quando non saranno prese misure adeguate per risolvere l’annosa questione migratoria con Haiti. (R.P.)

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    Bolivia: preoccupazione della Chiesa per le misure economiche impreviste del governo

    ◊   “Come Chiesa comprendiamo e siamo solidali con le legittime aspirazioni di tutta la popolazione ad aumentare il proprio reddito e migliorare il tenore di vita, ma proprio per il rispetto di tali aspirazioni è molto importante che queste misure siano effettuate in modo pianificato, garantendo l'equità e la sostenibilità nel tempo, e non in modo inaspettato e senza prevederlo”: così si esprime la Conferenza episcopale della Bolivia in un comunicato inviato all’agenzia Fides, esprimendo la sua preoccupazione per la decisione del governo di concedere una tredicesima mensilità (bonus) doppia a tutti i lavoratori in servizio, sia del settore pubblico che privato. “Dal momento che – prosegue il comunicato -, secondo le autorità, ci sono sufficienti risorse per realizzare questa misura, allora lo Stato stesso dovrebbe pagare il bonus ai dipendenti delle organizzazioni senza scopo di lucro”. Su questo tema, che è diventato una discussione nazionale fra i diversi gruppi sociali, le istituzioni e i membri del governo, è intervenuto anche il cardinale Julio Terrazas, che ha lamentato il fatto che il doppio bonus non sia pagato anche ai pensionati, solo perché si suppone non contribuiscano più all'economia del Paese. La Conferenza episcopale boliviana ha espresso la propria preoccupazione anche per le istituzioni sociali: “Vogliamo richiamare l'attenzione in particolare sulla situazione di molte istituzioni di servizio sociale senza scopo di lucro, che appartengono alle Chiese e ad altre istituzioni, che svolgono un importante servizio di supplenza ai doveri dello Stato in settori principali come la sanità, l'istruzione e la protezione sociale. Queste opere, che già fanno tanto per rimanere a galla nei loro conti finanziari e soddisfano ai loro obblighi fiscali, si troveranno con grosse difficoltà per attuare questo decreto, con una chiara possibilità di lasciare il loro servizio con gravi danni alla popolazione che ne beneficia". (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 331

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.