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Sommario del 25/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: i cristiani facciano scelte definitive, come testimoniano i martiri di ogni tempo
  • Papa Francesco: i cristiani portino amore e speranza ai tanti poveri di fede
  • Costruite ponti di fraternità con le altre Chiese: così il Papa ai fedeli greco-cattolici ucraini
  • Lotta alla povertà e alla corruzione al centro dei colloqui tra il Papa e il presidente del Paraguay
  • Nel pomeriggio Papa Francesco riceve il presidente russo Vladimir Putin
  • Tweet del Papa: vivere la carità significa non cercare il proprio interesse, ma portare i pesi dei più deboli
  • Il prof. Felice: Papa Francesco ci insegna che il denaro deve servire, non governare
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Accordo sul nucleare iraniano: Teheran accetta limitazioni, 5+1 allentano le sanzioni
  • Libia: scontri a Bengasi tra filogovernativi e jihadisti. Londra e Washington pronti ad aiutare Tripoli
  • Ucraina. Ancora scontri tra polizia e manifestanti pro-Ue
  • Dossier Ispi: Sudamerica, sviluppo in aumento ma restano disuguaglianze sociali
  • Sardegna, lento ritorno alla normalità dopo l'alluvione. Parroco di Olbia: volontari, segno di speranza
  • Giornata contro la violenza sulle donne: il 70 per cento nel mondo ha subito abusi
  • Manifestazione pro Stamina a Roma. I commenti del dott. Andolina e del prof. Vescovi
  • In Italia, 8.7 miliardi di euro in cibo buttati all'anno. Lanciata strategia anti-spreco
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: l'Onu fissa al 22 gennaio la Conferenza "Ginevra 2"
  • Filippine: gli interventi della Chiesa per la popolazione colpita dal tifone
  • Siria. Occupato dagli islamisti il villaggio Deir Atieh: cristiani identificati e trattenuti
  • Ucraina: il card. Vegliò condanna migrazioni irregolari e traffico di esseri umani
  • Panama: al via la Conferenza mondiale contro la corruzione
  • Thailandia: l'opposizione paralizza Bangkok. Governo in bilico
  • Mauritius: documento sulle minacce contro la famiglia in Africa
  • Mali: in corso lo spoglio del voto. Bassa affluenza alle urne
  • Egitto: per la Chiesa la legge sul divieto di manifestare evita le violenze
  • Nigeria. Card. Onaiyekan: prudenza su donne cristiane rapite e costrette a convertirsi all'islam
  • Panama: appello di tutti i leader religiosi per fermare la violenza contro bambini e adolescenti
  • Turchia: pastore protestante arrestato con false accuse di traffico di esseri umani
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: i cristiani facciano scelte definitive, come testimoniano i martiri di ogni tempo

    ◊   Affidarsi al Signore, anche nelle situazioni limite. E’ l’esortazione di Papa Francesco, nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che i cristiani sono chiamati a scelte definitive, come ci insegnano i martiri di ogni tempo. Anche oggi, ha osservato, ci sono fratelli perseguitati che sono da esempio per noi e ci incoraggiano ad affidarci totalmente al Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Scegliere il Signore, “in una situazione al limite”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sulle figure che ci presentano la Prima Lettura, tratta dal Libro di Daniele, e il Vangelo: i giovani ebrei schiavi alla corte di Nabucodonosor e la vedova che va al Tempio ad adorare il Signore. In entrambe i casi, ha osservato il Papa, sono al limite: la vedova in condizione di miseria, i giovani in quella di schiavitù. La vedova getta tutto quello che aveva sul tesoro del Tempio, i giovani restano fedeli al Signore a rischio della vita:

    "Tutti e due – la vedova e i giovani – hanno rischiato. Nel loro rischio hanno scelto per il Signore, con un cuore grande, senza interesse personale, senza meschinità. Non avevano un atteggiamento meschino. Il Signore, il Signore è tutto. Il Signore è Dio e si affidarono al Signore. E questo non l’hanno fatto per una forza – mi permetto la parola – fanatica, no: 'Questo dobbiamo farlo Signore', no! C’è un’altra cosa: si sono affidati, perché sapevano che il Signore è fedele. Si sono affidati a quella fedeltà che sempre c’è, perché il Signore non può mutarsi, non può: sempre è fedele, non può non essere fedele, non può rinnegare se stesso”.

    Questa fiducia nel Signore, ha soggiunto, li ha portati “a fare questa scelta, per il Signore”, perché sanno che Lui “è fedele”. Una scelta che vale nelle piccole cose come nelle scelte grandi e difficili:

    “Anche nella Chiesa, nella storia della Chiesa si trovano uomini, donne, anziani, giovani, che fanno questa scelta. Quando noi sentiamo la vita dei martiri, quando noi leggiamo sui giornali le persecuzioni contro i cristiani, oggi, pensiamo a questi fratelli e sorelle in situazioni limite, che fanno questa scelta. Loro vivono in questo tempo. Loro sono un esempio per noi e ci incoraggiano a gettare sul tesoro della Chiesa tutto quello che abbiamo per vivere”.

    Il Signore, ha rammentato il Papa, aiuta i giovani ebrei in schiavitù ad uscire dalle difficoltà e anche la vedova viene aiutata dal Signore. C’è la lode di Gesù per lei e dietro la lode c’è anche una vittoria:

    “Ci farà bene pensare a questi fratelli e sorelle che, in tutta la nostra storia, anche oggi, fanno scelte definitive. Ma anche pensiamo a tante mamme, a tanti padri di famiglia che ogni giorno fanno scelte definitive per andare avanti con la loro famiglia, con i loro figli. E questo è un tesoro nella Chiesa. Loro ci danno testimonianza, e davanti a tanti che ci danno testimonianza chiediamo al Signore la grazia del coraggio, del coraggio di andare avanti nella nostra vita cristiana, nelle situazioni abituali, comuni, di ogni giorno e anche nelle situazioni limite”.

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    Papa Francesco: i cristiani portino amore e speranza ai tanti poveri di fede

    ◊   La fede è “il cardine” dell’esperienza di un cristiano, che è chiamato a testimoniarla verso chiunque non abbia ricevuto questo dono e abbia bisogno di speranza. È l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto questa mattina in udienza ai circa 300 volontari che hanno prestato servizio durante l’Anno della fede, terminato ieri. Soprattutto nella sofferenza, ha detto il Papa, un cristiano dà prova di fede “lasciandosi prendere in braccio da Dio”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    In un’epoca in cui la parola povertà evoca scenari di crisi e miserie diffuse e spesso laceranti, Papa Francesco fa emergere dall’angolo quella che, soprattutto in un’ottica cristiana, è la povertà delle povertà, quella della fede. Davanti a lui, sotto gli affreschi della Sala Clementina, sono seduti i volontari che hanno collaborato col dicastero della Nuova Evangelizzazione negli eventi dell’Anno della fede. “Prezioso servizio”, lo definisce il Papa, e generoso che, a voi prima di tutto – sottolinea – ha insegnato ad aprirvi all’incontro con gli altri, specie ai “poveri di fede e di speranza”:

    “Questo è importante, direi essenziale! Soprattutto aprirsi a quanti sono più poveri di fede e di speranza nella loro vita. Parliamo tanto di povertà, ma non sempre pensiamo ai poveri di fede: ce ne sono tanti… Sono tante le persone che hanno bisogno di un gesto umano, di un sorriso, di una parola vera, di una testimonianza attraverso la quale cogliere la vicinanza di Gesù Cristo. Non manchi a nessuno questo segno di amore e di tenerezza che nasce dalla fede”.

    “Insieme – riconosce poco prima Papa Francesco – dobbiamo veramente lodare il Signore per l’intensità spirituale e l’ardore apostolico suscitati da tante iniziative pastorali promosse in questi mesi, a Roma e in ogni parte del mondo”. Noi, prosegue, “siamo testimoni che la fede in Cristo è capace di scaldare i cuori, diventando realmente la forza motrice della nuova evangelizzazione”. E oggi più che mai “c’è bisogno di comunità cristiane impegnate per un apostolato coraggioso, che raggiunga le persone nei loro ambienti, anche in quelli più difficili”, testimoniando la fede in Gesù:

    “Essa è la vena inesauribile di tutto il nostro agire, in famiglia, al lavoro, in parrocchia, con gli amici, nei vari ambienti sociali. E questa fede salda, genuina, si vede specialmente nei momenti di difficoltà e di prova: allora il cristiano si lascia prendere in braccio da Dio, e si stringe a Lui, con la sicurezza di affidarsi ad un amore forte come roccia indistruttibile. Proprio nelle situazioni di sofferenza, se ci abbandoniamo a Dio con umiltà, noi possiamo dare una buona testimonianza”.

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    Costruite ponti di fraternità con le altre Chiese: così il Papa ai fedeli greco-cattolici ucraini

    ◊   “Il modo migliore di celebrare San Giosafat è amarci fra noi” e “servire l’unità della Chiesa”. Lo ha ricordato stamani Papa Francesco ai circa 5 mila pellegrini greco-cattolici riuniti nella Basilica Vaticana. L’occasione del pellegrinaggio è stato il 50.mo anniversario della traslazione delle reliquie del Martire ucraino nella stessa Basilica di San Pietro. Prima dell’arrivo del Papa, i pellegrini, provenienti da Bielorussia e Ucraina, hanno preso parte ad una Liturgia eucaristica presso l'altare della Confessione della Basilica Vaticana, presieduta dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, insieme all'arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk. A concelebrare, i vescovi del Sinodo della Chiesa Greco-cattolica ucraina, che accompagnano il pellegrinaggio. Il servizio di Debora Donnini:

    La “comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo” è una “realtà che ci fa pregustare la vita eterna”, della quale un aspetto importante è infatti la “gioiosa fraternità di tutti i santi”. Papa Francesco nel discorso ai pellegrini greco-cattolici venuti in pellegrinaggio alla tomba del vescovo San Giosafat ricorda come sia proprio questo Martire ucraino a parlarci della comunione dei santi. Lui che abbracciò la vita monastica secondo la Regola basiliana e si impegnò per la riforma del suo Ordine, che – ricorda il Papa – portò alla nascita dell’Ordine Basiliano di San Giosafat. E Paolo VI nel 1963 volle infatti che il corpo del Santo fosse collocato sotto l’altare dedicato a San Basilio Magno, nei pressi della tomba di San Pietro. San Giosafat impegnò poi tutte le sue forze - da semplice fedele, così come da monaco e poi da vescovo di Polotsk - “per l’unione della Chiesa sotto la guida di Pietro, Principe degli Apostoli”. E, dunque, se questa è la comunione della Chiesa – afferma Papa Francesco – “ogni aspetto della nostra vita cristiana può essere animato dal desiderio di costruire insieme”, “di testimoniare la fede insieme”:

    “Ci accompagna in questo cammino, ed è il centro di questo cammino, Gesù Cristo, il Signore Risorto. Questo desiderio di comunione ci spinge a cercare di capire l’altro, a rispettarlo, e anche ad accogliere e offrire la correzione fraterna. Cari fratelli e sorelle, il modo migliore di celebrare san Giosafat è amarci tra noi e amare e servire l’unità della Chiesa”.

    Di sostegno è anche “la testimonianza coraggiosa di tanti martiri dei tempi più recenti” che costituiscono – afferma – “un grande conforto per la vostra Chiesa”. L’invito del Papa è quindi a costruire “ponti di fraternità”:

    “Auguro che la comunione profonda che desiderate approfondire ogni giorno all’interno della Chiesa cattolica, vi aiuti a costruire ponti di fraternità anche con le altre Chiese e Comunità ecclesiali in terra ucraina e altrove, dove le vostre comunità sono presenti”.

    Al termine della Messa, il cardinale Leonardo Sandri aveva rivolto un saluto ricordando l’importanza della comunione con Pietro. L’esortazione del porporato è a “mai offuscare la precisa realtà che – dice - ha spinto i vostri antenati ad essere Chiesa cum Petro et sub Petro, senza che questo, come ci ha insegnato il Concilio Ecumenico Vaticano II, sia stato a svantaggio del vostro essere Chiesa Orientale”. Una “profezia di unità anche nell’oggi” che – sottolinea - “non va osteggiata né temuta, bensì conosciuta e promossa”.

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    Lotta alla povertà e alla corruzione al centro dei colloqui tra il Papa e il presidente del Paraguay

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani il presidente della Repubblica del Paraguay, Horacio Manuel Cartes Jara, che poi ha incontrato mons. Pietro Parolin, segretario di Stato, e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Nel corso dei cordiali colloqui – rileva un comunicato della Sala Stampa vaticana - dopo aver rilevato i buoni rapporti bilaterali esistenti tra la Santa Sede e il Paraguay, sono stati affrontati temi di comune interesse attinenti alla situazione del Paese e della Regione, come la lotta alla povertà e alla corruzione, la promozione dello sviluppo integrale della persona umana ed il rispetto dei diritti umani. Non si è mancato, inoltre, di sottolineare il ruolo e il contributo della Chiesa nella società, come anche la collaborazione del Paraguay con la Santa Sede a livello internazionale”.

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    Nel pomeriggio Papa Francesco riceve il presidente russo Vladimir Putin

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata l’ambasciatore della Costa d’Avorio in visita di congedo, Joseph Tebah-Klah. Alle 17 è in programma l’udienza del Papa con il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin.

    In Ungheria, il Pontefice ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Eger per raggiunti di età limiti da parte di mons. István Katona.

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    Tweet del Papa: vivere la carità significa non cercare il proprio interesse, ma portare i pesi dei più deboli

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “Vivere la carità – scrive - significa non cercare il proprio interesse, ma portare i pesi dei più deboli e poveri”.

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    Il prof. Felice: Papa Francesco ci insegna che il denaro deve servire, non governare

    ◊   Al via domani, alla Pontificia Università Lateranense, il Colloquio annuale di Dottrina Sociale della Chiesa, promosso dall’Area internazionale di ricerca “Caritas in Veritate”. Il tema di quest’anno è: “Il denaro deve servire, non governare”, tratto da un discorso di Papa Francesco. Proprio sul tema del Colloquio si sofferma il direttore dell’Area di ricerca, l’economista della Lateranense, Flavio Felice, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - Dopo aver ascoltato il discorso di Papa Francesco, in cui ha pronunciato questa frase, ho avuto modo di parlare con i collaboratori dell’Area di ricerca "Caritas in veritate" della Lateranense e abbiamo pensato di adottarla per il prossimo colloquio che terremo proprio domani. Si tratta di una delle sintesi di Papa Francesco più belle che ormai abbiamo imparato ad apprezzare un po’ tutti e che ha la capacità, il merito di evidenziare il primato dell’umana creatura su tutto quanto è stato creato. E dunque anche il denaro e le istituzioni con denaro: intendiamo, ovviamente, le istituzioni economiche e quelle finanziarie.

    D. – La centralità della persona, ovviamente, viene declinata in un modo diverso ma c’è una costante nella Dottrina Sociale della Chiesa…

    R. – Sì. Abbiamo riflettuto su questo tema, che è poi anche in continuità con il magistero sociale di Papa Benedetto XVI: l’essere umano compie se stesso, compie la propria vocazione di essere immagine e somiglianza di Dio soltanto quando usa le cose del mondo nella prospettiva ultima della sua comunione con Dio; cioè ricevendo proprio dal Padre il significato ed il retto ordinamento dei beni di questo mondo. Le istituzioni servono esattamente a questo. Di qui il tema del denaro, delle istituzioni finanziarie e di come anche le istituzioni politiche si relazionino con le istituzioni finanziarie in un mondo globale che necessita di una governance, necessità di un principio di ordine che sia ispirato ai principi di solidarietà, di sussidiarietà e di poliarchia.

    D. – Quale contributo di diffusione, anche a livello “popolare”, tra la gente, della Dottrina sociale della Chiesa può dare una figura come Papa Francesco…

    R. – Sicuramente la sua pastorale, che è nel contempo alta ed ordinaria. È quotidiana perché passa per le omelie di Santa Marta tutti i giorni e perché è facilmente raccolta dagli operatori in ambito locale, parrocchiale, diocesano; ma pure dagli operatori nel campo delle istituzioni politiche, economiche e da tutti coloro che vogliono farsi ispirare dalla Dottrina sociale della Chiesa, dal messaggio evangelico. Quindi, mi sembra che l’aspetto più interessante del Magistero sociale di Papa Francesco sia proprio questa quotidianità e la possibilità che sia vissuta nel quotidiano e nelle istituzioni. Mi sembra che ci sia questo elemento caratteristico del Magistero sociale di Papa Francesco.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, in apertura, "Cristo è il centro": domenica, solennità di Cristo Re dell’universo, alla presenza dei capi delle Chiese orientali cattoliche il vescovo di Roma ha chiuso l’Anno della fede venerando le reliquie attribuite all’apostolo Pietro, rivolgendo un pensiero di affetto e riconoscenza per Benedetto XVI che ha voluto e indetto l’iniziativa. Accanto, l'editoriale del direttore, "Il cammino della fede".

    A fondo pagina, "A Ginevra solo un inizio"; entro i prossimi sei mesi dovrà essere raggiunta un’intesa definitiva sul nucleare tra il gruppo cinque più uno e Teheran.

    Nello spazio dedicato alla cultura, a pagina 4, "Un cappellano a Togliattigrad": Oddone Camerana ricorda la testimonianza di don Galeazzo Andreoli, inviato in Unione Sovietica nel 1969 come sostegno per gli operai dello stabilimento Vaz costruito sul Volga su licenza della Fiat. Sotto, "Tra sacro e profano. Mostra a Londra per il centenario della nascita di Emilio Greco" di Simona Verrazzo e "Esame di coscienza per le avanguardie" di Chiara Barbato.

    Nella pagina seguente, un'anticipazione dal settimale "Pagine ebraiche": il rabbino Abraham Skorka, intervistato da Adam Smulevich, parla dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo e della visita di Papa Francesco in Israele prevista per la prossima primavera; accanto, l’editoriale della rivista scritto dal presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna. Sotto, "Come diventare sale" di Silvia Guidi, omelie e non solo in un libro del cardinale Angelo Comastri; a fondo pagina, "Obiettivo meravigliare" di Antonio Paolucci, dedicato al libro curato da Maria Antonietta de Angelis e Marta Bezzini che ripercorre la storia e gli interventi di restauro a cui è stata sottoposta la Fontana della Galera nei Giardini Vaticani.

    In ultima pagina, è riportata integralmente l’omelia della messa presieduta in piazza San Pietro nella mattina di domenica 24, e il saluto del Papa ai volontari che hanno offerto la loro collaborazione durante le celebrazioni per l’Anno della fede, ricevuti in udienza il giorno successivo, lunedì 25 novembre.

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    Oggi in Primo Piano



    Accordo sul nucleare iraniano: Teheran accetta limitazioni, 5+1 allentano le sanzioni

    ◊   L'accordo a Ginevra è stato firmato ieri: l'Iran ha accettato di limitare il suo controverso programma nucleare e di farlo verificare alla comunità internazionale, mentre gli Stati Uniti e le altre cinque potenze mondiali (Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania), hanno accettato di allentare le sanzioni imposte a Teheran. L’Alto rappresentante della Ue, Catherine Ashton, parla di accordo storico mentre Israele parla di tragico errore. Il servizio di Fausta Speranza:

    L'Iran interrompe l'arricchimento alle concentrazioni superiori al 5% e neutralizza, diluendole, le riserve di uranio arricchito al 20%, cioè ad una soglia molto vicina a quanto necessario per la realizzazione di ordigni atomici. Inoltre, congela la costruzione del reattore ad acqua pesante di Arak. E apre i suoi impianti alle verifiche quotidiane degli ispettori internazionali. In cambio, l’Iran ottiene lo scongelamento di 4,2 miliardi di dollari derivanti dalla vendita di greggio, bloccati in banche asiatiche, la ripresa del commercio di oro e metalli preziosi e prodotti petrolchimici. Complessivamente, un recupero tra i 6 e i 7 miliardi di dollari. Obama, che esprime tutta la soddisfazione della particolare vittoria in politica estera, di fronte alle resistenze dei repubblicani afferma si tratti di un allentamento leggero delle sanzioni e che in qualunque momento potrebbero riprendere. Il capo della Casa Bianca dice anche di comprendere Israele e i Partner degli Stati Uniti nel Golfo che si dicono scettici, ma ribadisce l’importanza della via diplomatica e la drammaticità dell’ipotesi di un conflitto. Il punto è che l’accordo c’è ma scadrà tra sei mesi. Nel frattempo si deve negoziare una intesa definitiva. Per capire quanto sia impegnativa la fase che si apre ora, ecco l'opinione di Giorgio Alba, dell’Archivio Disarmo:

    R. - La fase che si apre ora è impegnativa. Negli ultimi mesi, i diplomatici degli Stati Uniti e dell’Iran si sono incontrati in segreto. Da adesso in poi, tutto è alla luce del sole, esposto alle critiche sia dei governi, come Israele, sia degli oppositori politici, come possono essere i repubblicani. Questo è l’aspetto più problematico. Da un punto di vista finanziario, quindi delle sanzioni, e da un punto di vista tecnico, le soluzioni esistono. Fino ad oggi, il problema è stato politico. Quindi, se questo accordo rimarrà e sarà esteso di sei mesi, un anno e così via, sarà principalmente per la capacità dei governanti in Iran e negli Stati Uniti di risolvere gli ostacoli politici.

    D. - C’è da aspettarsi un calo del prezzo del petrolio? Nelle prime ore di questa mattina c’è stato già un calo del prezzo …

    R. - La variazione del prezzo del petrolio non sarà fortemente influenzata da questo accordo. Possiamo invece aspettarci un effetto sul prezzo del petrolio qualora si arrivi a una successiva fase dell’accordo in cui venga accettato da parte dell’Iran - una volta poste le condizioni - l’ingresso di società statunitensi, europee, occidentali, della tecnologia per sviluppare i pozzi petroliferi in Iran. Attualmente, il Paese ha alcuni problemi tecnologici per quanto riguarda l’aumento dell’estrazione. Se avrà l’aiuto esterno, avrà la capacità di aumentare la capacità di esportazione e quindi questo avrà un impatto sulla disponibilità di petrolio: più petrolio disponibile significherà costi più bassi e quindi un effetto positivo per la ripresa economica mondiale e europea.

    D. - Secondo la sua valutazione, si tratta di un allentamento leggero delle sanzioni - come ha detto Obama più che altro ai repubblicani - oppure di un passo veramente importante? Si stima un recupero immediato di sei-sette miliardi per l’Iran, ma in un tempo più lungo, addirittura cento miliardi di dollari…

    R. - Sì, le cifre sono ancora nella fase di studio, perché dovranno essere stabiliti, soprattutto dall’Unione Europea, i dettagli sulla quantità e sugli importi delle sanzioni che verranno rimossi. Quello che possiamo osservare è l’estrema cautela da parte del presidente Obama - e di questo bisogna fargli merito - nel dare all’Iran il minimo possibile. Questo non significa che Obama non sarà criticato all’interno degli Stati uniti dai repubblicani. Ma, il fatto che noi discutiamo di cifre - cinque miliardi, sette miliardi, 80 miliardi, cento miliardi di dollari - significa che è un approccio molto numerico e molto debole alla critica. L’approccio è stato quello di dare delle concessioni, delle sanzioni minori per un breve periodo e un breve importo; questo è il passo fondamentale. In cambio, si hanno notevoli concessioni da parte dell’Iran. Il Paese che ha assicurato maggiori concessioni in questa fase - almeno iniziale - è l’Iran. Sicuramente in futuro - in una fase successiva all’accordo - se le sanzioni diminuiranno in maniera più consistente, il vantaggio principale sarà per l’Iran e la sua economia.

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    Libia: scontri a Bengasi tra filogovernativi e jihadisti. Londra e Washington pronti ad aiutare Tripoli

    ◊   Non si placano gli scontri in Libia. E' di circa 14 morti e 50 feriti il bilancio delle violenze, di oggi, a Bengasi tra soldati filo-governativi e miliziani di Ansar al-Sharia. Proclamato nella città lo stato di allerta. Ieri, a Londra l’incontro tra i rappresentati di Regno Unito, Stati Uniti e Tripoli in cui si è assicurato l’aiuto al governo e al popolo libico. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    La Libia piomba nuovamente nel caos. A Bengasi, nella parte nordorientale, sono morte 14 persone e 51 sono rimaste ferite negli scontri tra truppe governative e miliziani jihadisti del gruppo Ansar al-Sharia. La città, in cui nel 2011 ebbe inizio la rivolta contro Muammar Gheddafi, continua ad essere, dunque, nella sostanza fuori controllo, in un Paese dove le milizie armate agiscono quasi indisturbate. Solamente ieri l’incontro a Londra tra il segretario di Stato Usa, John Kerry, il premier libico Ali Zeidan e il ministro degli Esteri britannico William Hague, per fare il punto della situazione e tracciare nuove strategie di aiuto. Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno garantito sostegno per “la stabilità” e un impegno concreto per il "governo e il popolo libico". Secondo molti osservatori internazionali, però, la fragilità nel Paese e la lentezza nella stabilizzazione, rischiano di essere un detonatore pericoloso per altre situazioni instabili nella regione come: Ciad, Algeria, Tunisia ed Egitto. A conferma le difficoltà, negli ultimi sei mesi, del governo libico a far applicare la legge che prevede in particolare l'evacuazione delle milizie dalle grandi città, ed il loro totale disarmo.

    Sulla situazione Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente a Londra, il prof. Franco Rizzi, esperto dell’area e Segretario Generale di Unimed, l’Unione delle Università del Mediterraneo:

    R. – Le rivoluzioni arabe si stanno oggi confrontando con la transizione e la Libia è uno dei Paesi più violenti rispetto a quanto sta accadendo in altri Stati. Questo gruppo Ansar al-Shari'a, di derivazione qaedista, porta avanti tutto un discorso di rottura che si inserisce in un contesto clanico specifico, che ancora domina la scena politica libica.

    D. - Dunque la Libia continua a rimanere divisa, diciamo, in sostanza tra la Cirenaica, il Fezzan e la stessa Tripolitiana?

    R. – Questa è la realtà. La necessità della ricostruzione dello Stato si scontra non solo con i problemi generali che questo comporta, ma anche con problemi particolari: la composizione sociale e la composizione politica, la dialettica politica e la dialettica sociale che passano, ancora una volta, attraverso una definizione clanica, tribale. Il discorso di come si possa vincere questo stato di cose, secondo me, è legato al tempo.

    D. – Qual è il futuro della Libia, dunque, secondo lei?

    R. – Sarà molto duro, ma sono ottimista. Io credo che le violenze qaediste potranno frastagliare il discorso verso la modernità: ma la gente vuole vivere e certo non potrà vivere in una dimensione di violenza che la proposta qaedista porta avanti. Quindi io sono convinto che questo sarà un lungo, un lunghissimo processo, ma è un processo – almeno questa è la speranza – che vedrà la sconfitta di queste forze estremiste.

    D. – Professore, in un contesto dove però modernità e democrazia devono svilupparsi in modo proprio…

    R. – Noi non possiamo certo garantire, oggi come oggi, l’esportazione della democrazia: chi ha preso le armi e chi si è ribellato sono stati loro, autonomamente. E questo ha significato il fatto che hanno voluto, in una maniera anche oscura e in una maniera contraddittoria, una loro democrazia. Quale sarà poi questa democrazia non lo si sa bene. Perché da questo punto di vista gli esperimenti che hanno fatto – a cominciare dall’Egitto per finire alla Turchia – non sono molto riusciti. Bisogna però sottolineare che anche l’islam si sta confrontando con questa realtà, su quale tipo di modello costruire. Dei nodi stanno venendo al pettine anche all’interno dell’islam stesso per quanto riguarda l’organizzazione dello Stato e l’organizzazione del vivere civile.

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    Ucraina. Ancora scontri tra polizia e manifestanti pro-Ue

    ◊   Scontri tra polizia e manifestanti si sono verificati oggi a Kiev, dopo che decine di migliaia di persone si sono riversate per le strade per protestare contro la decisione del parlamento di non approvare la legge che avrebbe consentito la scarcerazione dell’ex premier, Yulia Timoshenko, e il conseguente Patto di associazione con l’Unione Europea. Sulle origini di queste proteste, che ricordano quelle della Rivoluzione arancione del 2004, Cecilia Sabelli ha intervistato il prof. Antonello Biagini, docente di Storia dell’Europa Orientale presso l’Università La Sapienza di Roma:

    R. – La realtà dell’Ucraina è una realtà duplice, perché c’è una forte componente di cultura, chiamiamola “polacca” per comodità, e una forte componente di cultura russa. E nei momenti cruciali della storia di questo Paese, queste due anime riemergono. La Russia ancora oggi può operare una forte pressione sul governo ucraino, perché detiene – come dire – il potere economico e soprattutto quello energetico. Il governo ucraino, quindi, si è trovato in una strettoia e, non liberando la Timoshenko, di fatto mette in discussione la stessa adesione all’Unione Europea.

    D. – A proposito del mancato accordo con l’Unione Europea, si poteva evitare questo epilogo?

    R. – L’Unione Europea ha posto alla base per l’adesione del Paesi una serie di norme estremamente vincolanti, che sono sì il sistema democratico, il sistema pluripartitico, l’economia di mercato, ma soprattutto il rispetto dei diritti umani, delle minoranze sia etniche che politiche. Da questo punto di vista, quindi, al di là di come oggi sia il giudizio che si può dare sul funzionamento dell’Unione Europea, rimane il fatto che questi sono elementi estremamente importanti e sui quali non bisogna derogare. Giustamente si tende a non derogare, per lo meno fino a quando è possibile. L’atteggiamento dell’Unione Europea, dunque, nel caso in oggetto dell’Ucraina, è perfettamente logico, è perfettamente consequenziale, rispetto a quelli che sono i presupposti per poter fare l’adesione. Ovviamente, e qui torna un problema storico, di lunga durata potremmo dire, probabilmente il segreto sarebbe stato non entrare in questo meccanismo di contrapposizione. Bisognava vedere questo territorio come un ponte nei rapporti tra la Russia e l’Unione Europea. E’ una soluzione, però, più ideale, teorica che concreta.

    D. – Quale sarà l’atteggiamento di Bruxelles? Si profila una fine delle trattative con il governo ucraino?

    R. – In questi giorni, stiamo vivendo un fatto estremamente interessante, le trattative con l’Iran e così via, che sembravano cose risolvibili e in cui poi proprio il rappresentante della diplomazia europea è quello che ha avuto un ruolo fondamentale. Pian piano, alcuni aspetti della ragione sono prevalsi. E la diplomazia questo deve fare, deve far prevalere gli aspetti della ragione. Credo ci sarà certo uno stallo probabilmente – penso che ci saranno delle polemiche ovviamente – ma sono trattative che non s’interrompono mai. Non è volontà né dell’Unione Europea né del governo ucraino e forse nemmeno di quello russo di spingere fino al punto di rottura.

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    Dossier Ispi: Sudamerica, sviluppo in aumento ma restano disuguaglianze sociali

    ◊   Sviluppo sostenibile, lotta alla povertà e rispetto dei diritti civili e politici delle minoranze sono le sfide del futuro per un Sud America ancora troppo vulnerabile. E’ quanto emerge dal dossier dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, che analizza delicati passaggi politici come le elezioni in Cile a novembre e le decisioni in Venezuela sui poteri speciali del presidente, insieme al futuro incerto della Kirchner in Argentina e al proseguimento delle proteste in Brasile. Fausta Speranza ha parlato di opportunità e sfide per il Sud America con Giuseppe Dentice, che ha curato il dossier Ispi:

    R. – I principali Paesi latinoamericani, a causa anche di storture del proprio sistema economico, hanno subito delle regressioni dovute a una mancanza di riforme. Lo abbiamo notato maggiormente in Brasile, con le proteste che ci sono state la scorsa estate, e che potrebbero esserci anche in previsione dei prossimi Mondiali di calcio, che sono una vetrina importantissima. Lo stiamo vedendo soprattutto in Venezuela, dove la situazione a livello politico è molto confusa e a livello economico notiamo un Paese che è sempre più a rischio di default finanziario. In Argentina, c’è una situazione meno preoccupante dal punto di vista politico, ma dal punto di vista economico è particolarmente fragile, perché il Paese in questi anni è cresciuto tanto, però, non avendo imparato dai propri errori, rischia di ritornare nuovamente in una situazione di crisi come quella che c’è stata nel 2001, con il famoso crack finanziario e i tango bond di cui abbiamo tanto sentito parlare. Infine, abbiamo preso come spunto anche il Cile che tra questi Paesi è quello più stabile, però ha bisogno di crescere e per crescere ha bisogno di fare riforme: riforme che fino ad adesso non sono state fatte o non sono state incrementate. E queste riforme servono appunto per garantire continuità e crescita.

    D. – Il Sudamerica nell’ultimo decennio ha segnato indubbiamente una crescita economica: quali le sfide, in questa fase?

    R. – Le sfide provengono soprattutto dal piano interno, come si può intuire: sviluppo sostenibile e lotta alla povertà. Per garantire crescita economica, è necessario anche garantire una crescita del livello sociale di tutte le categorie.

    D. – Ma in quale direzione si sta muovendo in questo momento, il Sudamerica?

    R. – Se prendiamo come Paese di riferimento il Brasile, notiamo che anche l’atteggiamento conciliante che la presidente Rousseff ha avuto durante le proteste nei confronti dei contestatori, dei manifestanti, sembra improntato al dialogo e ad accogliere la richiesta di riforme sociali, di implementare le riforme sociali. Allo stesso modo, lo abbiamo visto anche in Cile, soprattutto dopo le manifestazioni dei giovani studenti che chiedevano un sistema dell’educazione gratuito e più equo. In Venezuela, per esempio, abbiamo visto che l’intervento dello Stato è sempre maggiore e il rischio che il Paese non riesca ad avere una sua direzione ben chiara è molto forte. E’ un Paese che è cresciuto tantissimo, soprattutto grazie alle rendite petrolifere, e che oggi non riesce più a sostenere quel modello, e soprattutto non riesce a garantire sviluppo, quello sviluppo che può essere dato attraverso le riforme che in questo momento non sembrano essere all’ordine del giorno.

    D. – Abbiamo parlato di Sudamerica guardando ai fattori di omogeneità. Vogliamo però accennare anche ad alcuni elementi che segnano, invece, differenze, forti differenze? Penso alla Bolivia e alla Colombia …

    R. – Sì, questi sono due Paesi molto interessanti che, in un certo senso, sono in controtendenza. La Colombia è un Paese neoliberista, molto simile al Cile dal punto di vista delle istituzioni e del sistema politico-economico. La Bolivia, invece, è un Paese che fa parte di quella corrente appunto bolivariana, che lo accomuna a Paesi come l’Ecuador e il Venezuela. Sono quindi Paesi tendenzialmente opposti, però in questi anni hanno conosciuto un forte sviluppo, uno sviluppo che sembra poter continuare anche negli anni a venire grazie, appunto, alla capacità di creare un modello ad hoc per il proprio Paese. In Bolivia, con un sistema basato sulla rendita petrolifera, in Colombia invece sull’attrazione degli investimenti. Quindi, due Paesi effettivamente diversi che hanno dimostrato, però, come possano essere due modelli da seguire.

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    Sardegna, lento ritorno alla normalità dopo l'alluvione. Parroco di Olbia: volontari, segno di speranza

    ◊   In Sardegna, quasi tutti i 60 Comuni colpiti dall'alluvione, che lunedì scorso ha seminato morte e distruzione, stanno lentamente ritornando alla normalità. Ad Olbia sono state riaperte alcune scuole. Problemi ancora alla viabilità. Intanto, proseguono incessantemente le ricerche dell'allevatore ancora disperso. Sulla situazione, Luca Collodi ha sentito don Oscar Casùla, parroco di San Michele Arcangelo ad Olbia:

    R. - Noi stiamo cercando di infondere alle persone, insieme a tutti i volontari che si stanno muovendo nella nostra città di Olbia, un segnale forte di speranza, speranza che viene da quello che è l’impegno nel farsi prossimi a coloro che in questo momento sono nel bisogno, nell’emergenza più grave. La normalità - anche da noi - sta ritornando molto lentamente devo dire, perché hanno aperto solo alcune scuole, molte restano ancora chiuse a causa dell’alluvione. Anche i servizi delle parrocchie sono attualmente sospesi come la catechesi, i sacramenti, la Messa e tutti i nostri esercizi spirituali che le parrocchie offrono.

    D. - La Parrocchia di San Michele Arcangelo, e non solo, sta continuando a distribuire pasti per gli sfollati …

    R. - La nostra comunità parrocchiale, che è una comunità anche abbastanza giovane dal punto di vista di fondazione perché è attiva solo dal 2010, si trova in questo momento ad essere la più colpita come popolazione. Noi stiamo provvedendo a quella che è la distribuzione di tutti i beni di prima necessità, per cui stiamo servendo ogni giorno circa cinquemila pasti caldi tra pranzo e cena.

    D. - Molte persone sono riuscite a rientrare nelle case?

    R. - Ancora no. Molti sono ancora ospitati in alberghi, in case di amici, e in appartamenti messi a disposizione per l’emergenza. Quindi, purtroppo, le case che hanno subito i maggiori danni, di fatto, restano ancora vuote. Penso che passeranno ancora tanti giorni prima che le famiglie che hanno dovuto abbandonare le loro case possano rientrare nella loro abitazione.

    D. - Quindi il problema degli sfollati resta?

    R. - Sì, il problema degli sfollati resta - anche se tamponato fortunatamente con quella che è la solidarietà da parte di tante persone - e resterà per molto tempo, perché le case prima di essere nuovamente abitabili vanno risanate. Pensiamo comunque che nel giro di 15 giorni le persone possano ritornare nella propria abitazione.

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    Giornata contro la violenza sulle donne: il 70 per cento nel mondo ha subito abusi

    ◊   Circa il 70% delle donne nel mondo ha subito violenza almeno una volta nel corso della propria vita. A ricordarlo è il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione dell’odierna Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Sull’importanza di questa iniziativa Cecilia Sabelli ha intervistato Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea, impegnata in progetti in tutto il mondo per la difesa dei diritti umani e delle donne:

    R. – Queste donne non vengono considerate come accesso alla giustizia, come accesso ai diritti; di loro si abusa fisicamente, psicologicamente e sessualmente. Questo vuol dire proprio che è la considerazione dell’essere umano-donna che non è al pari dell’essere umano-uomo, ed è una mentalità che si trasmette per generazioni e che continua ad esserci. Quindi, è assolutamente fondamentale, in questo momento, in tutto il mondo, averne una coscienza per potere in qualche modo attuare un cambiamento culturale.

    D. – A quali Paesi in particolare ci si riferisce quando si parla del problema della violenza contro le donne?

    R. – Parliamo di Afghanistan, dove la giustizia non è assolutamente paritaria tra uomini e donne, soprattutto perché ci sono sistemi di giustizia informali che non si attengono ai diritti umani come principio, e che quindi poi non danno la possibilità, effettivamente, di appellarsi a una parità di diritti. Penso all’India, dove in alcune comunità i matrimoni forzati sono all’ordine del giorno. Oppure penso ai casi di aborto selettivo dei feti femminili, che è assolutamente vietato per legge ma comunemente eseguito in moltissime regioni, sempre dell’India; oppure, mi viene in mente l’Italia: come Fondazione Pangea, abbiamo moltissime richieste di donne italiane che hanno difficoltà a denunciare, che a volte non vengono prese sul serio rispetto alle accuse che presentano, oppure non arrivano al processo perché vengono scoraggiate. Qui le donne troppo spesso non arrivano nemmeno a ottenere, quindi, il giusto riconoscimento di quello che hanno subito e quindi la reale punizione dell’uomo che ha commesso l’abuso.

    D. – La Fondazione Pangea come interviene in soccorso delle donne vittime di violenza? Ricorda un caso particolare in cui siete riusciti a cambiare la vita di una di queste donne?

    R. – A seconda di dove si è, le modalità di lavoro sono diverse. Per esempio, in Italia ci sono i Centri antiviolenza; in Afghanistan, invece, ce ne sono pochissimi: non si riesce a garantire questo percorso a molte donne. Il nostro modo, in generale, consiste nell’aiutarle ad accedere alla giustizia e a recuperare le relazioni familiari, perchè non si ritrovino più nella solitudine. In particolare ricordo Samìa. Questa ragazza è riuscita a rinascere attraverso un percorso interno alla sua famiglia, e poi è diventata una piccola imprenditrice: grazie ad un prestito del microcredito di Pangea, è diventata una fornaia che oggi mantiene la sua famiglia di cinque persone, e il marito non è più un uomo violento.

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    Manifestazione pro Stamina a Roma. I commenti del dott. Andolina e del prof. Vescovi

    ◊   “Stamina funziona, anche tu senza laurea lo puoi capire”. “Non abbiamo più voglia di morire”. Mostrando cartelli con queste scritte, diverse famiglie di malati affetti da gravi patologie, hanno manifestato stamani nel centro di Roma, dove si sono vissuti anche forti momenti di tensione, chiedendo di poter accedere al trattamento e lo sblocco delle liste di attesa, istituite presso gli Spedali Civili di Brescia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Hanno manifestato di fronte a Palazzo Chigi famiglie e malati sulle carrozzelle chiedendo il via libera al metodo Stamina che prevede la conversione di cellule staminali in neuroni per il trattamento di malattie rare. Per i suoi sostenitori, questo trattamento consente la guarigione o il rallentamento di malattie neuro-degenerative. Per il dottor Marino Andolina, vice presidente di “Stamina Foundation”, le prove sono evidenti:

    R. – Sì, ormai sono sovrabbondanti. Io sono uno scettico: quattro anni fa ho visto un mio paziente moribondo migliorare chiaramente dopo la terapia di Vannoni. Non credo mai a quello che vedo perché penso di sbagliare io stesso e, quindi, ho bisogno di controprove. Ma qui ormai i dati sono così chiari! Abbiamo dei pazienti che dalla paralisi completa e progressiva, che dovevano morire e peggiorare di giorno in giorno, sono regrediti ad una situazione non di guarigione, ma di chiaro miglioramento con comparsa di movimenti che prima non c’erano.

    D. – Perché gran parte della comunità scientifica sembra disconoscere queste prove? E oltre a lei chi sostiene questo metodo o richiede ulteriori verifiche?

    R. – Io sono stato il primo in Italia a fare trapianti nei bambini, il primo nel mondo a fare terapie con staminali. Con me ci sono il professor John Bach, massimo esperto di Sma nel New Jersey, il professor Villanova di Bologna, massima autorità di Sma in Italia, il professor Ricordi di Miami che vuole che sperimentiamo nel suo laboratorio la terapia. Quelli che non hanno un conflitto di interessi, per motivi diversi, sono con noi. Quindi, io mi sento parte della comunità scientifica e la comunità scientifica, per quello che mi riguarda, ha constato i miglioramenti.

    D. – In base ai vostri riscontri è anche da escludere che il metodo presenti rischi, o gravi effetti collaterali, tra cui l’insorgere di patologie tumorali?

    R. – Sì è da escludere. Questa è la bufala più grossa che è uscita dalla cosiddetta “commissione di esperti” del Ministero. Sono testimone di circa 250 iniezioni di cellule staminali, a parte le mille che ho fatto negli anni precedenti con cellule diverse. Non c’è stato uno starnuto o una linea di febbre dopo la terapia. Come si fa a dire che una terapia è pericolosa se nessuno si è mai sentito neanche un po’ “maluccio”? Questo è veramente facile da accertare e non serve una laurea in medicina. Inoltre, i cosiddetti “esperti” hanno detto che è pericoloso in quanto si può trasmettere l’Aids, come in ogni trasfusione di sangue; quindi, le trasfusioni sarebbero da evitare perché cellule ricevute da un’altra persona sono pericolose. Questo si poteva dire nel Medio Evo ma non oggi. Hanno detto che, siccome preleviamo le cellule dall’osso, potrebbero contenere frammenti ossei. Però, questi esperti - non avendo mai visto una cellula staminale - non sanno che noi coltiviamo cellule aderenti alla plastica per quasi un mese e le laviamo dalle sei alle nove volte e quindi sono filtrate, purissime. Sono cose così ingenue da meritare veramente un’indagine da parte della magistratura. Non è possibile mentire oltre certi livelli.

    D. – La sperimentazione del metodo Stamina è stata bloccata dal Ministero della Salute. Nei giorni scorsi, comunque, il tribunale di Roma ha accolto il ricorso di una donna di 46 anni, malata di sclerosi multipla, e ha ordinato la somministrazione del trattamento. Ma a parte questo caso i giudici, ultimamente, sembrano seguire, sempre di più, le indicazioni del Ministero della Salute…

    R. – Anche i giudici sono esseri umani e leggono i giornali: leggono che esperti dicono che la terapia sia pericolosa; non hanno la cultura per dire che questi hanno torto. Quindi, adesso la maggior parte dei giudici purtroppo - dopo un periodo in cui ci davano sempre ragione - comincia a darci torto e a dare torto alle famiglie. È andata bene a Roma, ma è andata bene a più o meno sette pazienti consecutivi ad Asti. E così via. La faccenda non è chiusa. Il problema è che la legge viene violata in diversi modi; l’ultimo riguarda credo l’articolo del codice penale 388 secondo cui: “l’ordine del giudice se disatteso porta conseguenze penali”. L’ospedale di Brescia ha 100 pazienti in lista di attesa e da tre mesi non ne ha reclutato neanche uno, dichiarando che 10 minuti di intervento semi-ambulatoriale sono troppo per il più grande ospedale di Italia. Io credo che prima o poi giustizia dovrebbe esserci.

    Ma secondo diversi medici ed esperti, mancano evidenze scientifiche e i necessari presupposti di efficacia e di sicurezza. Il prof. Angelo Vescovi, genetista:

    R. - Ci siamo dati delle regole nella comunità medica e scientifica per evitare che si ripetessero casi di sperimentazione sull’uomo che, francamente, non avevano ragione d’essere e che hanno spesso procurato danni ai malati. Per far comprendere chi ci ascolta: sono le regole che ci siamo dati che ci hanno portato ai trapianti di organi che oggi salvano la vita. Quindi, sono regole rispettabilissime che implicano che si faccia vedere e si dimostri quali metodi vengono utilizzati, riproducibilmente; che quello che si sostiene con questi metodi è vero e dimostrato scientificamente; nella massima sicurezza del paziente, e alla presenza di un riscontro di qualche vantaggio per il paziente. Tutto questo in questa situazione manca e, francamente, non riesco a capire perché continuiamo a parlare di qualcosa che, evidentemente, ha un problema di carattere generale, emotivo, sociale ma che nulla ha a che fare con la scienza. Questo metodo, in questo momento, non soddisfa i criteri richiesti per una sperimentazione sicura ed anche solo vagamente efficace. Non è una questione di opinione, ma una questione di fatti.

    D. – Secondo lei appartiene proprio alla sfera dell’emotività la speranza anche di genitori che ravvisano miglioramenti nei loro figli?

    R. – Questo è proprio il problema che le regole hanno cercato di prevenire: in presenza di patologie e malattie gravi come queste - in cui c’è un’enorme fragilità psicologica - queste persone vanno comunque comprese; va compresa la loro rabbia, la loro disperazione. Ma in situazioni di questo genere - con patologie che hanno un andamento spesso ciclico, altalenante - è facile, essendo direttamente coinvolti, interpretare come miglioramenti delle fasi passeggere, o dei possibili miglioramenti di tipo sintomatologico, legati a terapie palliative che, magari, i pazienti fanno negli ospedali. Quindi, non può essere né il paziente né il genitore del paziente a riportare l’effetto benefico; è per questo che ci deve essere una corte di medici che obiettivamente valutano il miglioramento, altrimenti non è possibile fare questo. Ci troviamo in presenza di persone onestamente disperate – io ho situazioni simili anche in famiglia – per cui c’è veramente da affrontare il problema con delicatezza nei loro confronti. Al momento, non possono essere loro a dire che il metodo funziona, deve essere la comunità scientifica la quale non ha nessun interesse personale, se non quello del paziente. Faccio anche presente una cosa: io devo capire ancora per quale motivo si devono trasformare delle cellule del sangue in cellule nervose, quando le cellule nervose sono già disponibili per i trapianti e le stiamo usando. Si crea una grande confusione in cui, poi, si innestano l’emotività e la disperazione delle persone e poi evidentemente si viaggia sulle ali di questi discorsi per mantenere vivo un argomento che non ha ragione di essere vivo. Per quanto mi riguarda, questo caso è chiuso.

    D. – Un caso chiuso; allo stato attuale anche in base alle valutazioni della comunità scientifica: non ci sono assolutamente neanche le condizioni per una sperimentazione?

    R. – Credo che i colleghi che erano nella commissione abbiano fatto un eccellente lavoro: quando si propone una richiesta di sperimentazione - è un percorso difficile e stiamo cercando di migliorare le regole – si presentano dati oggettivi, un protocollo chiaro su una patologia e non su cinque patologie contemporaneamente e si sostiene la propria tesi dimostrandola. Non c’è nessuno che è contro, ma semplicemente è lì a valutare che questo sia efficace. Se viene bocciata, si ripresenta la domanda – lo dico con il massimo rispetto anche per i signori di Stamina – seguendo però le regole che tutti gli altri rispettano. Io ho il massimo rispetto della Stamina, però qualcuno mi deve spiegare perché deve avere il diritto di derogare a tutte le regole che la comunità scientifica, quella clinica e la comunità medica mondiale – sottolineo mondiale e non italiana – ha stabilito come sicure per i pazienti e per la sperimentazione clinica stessa per dare risultati riproducibili.

    Sul metodo Stamina il dibattito scientifico presenta, dunque, pareri contrapposti. Intanto, è stata ricoverata d’urgenza all’ospedale di Chieti Noemi, la bimba di 18 mesi affetta da Sma, l’atrofia muscolare spinale, che si era vista sospendere la cura con questo metodo. Le sue condizioni, al momento, sono sotto controllo. Lo scorso 6 novembre, la bimba e la sua famiglia hanno incontrato, in Vaticano, Papa Francesco. Il Santo Padre, durante l’udienza generale, aveva chiesto di pregare per Noemi.

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    In Italia, 8.7 miliardi di euro in cibo buttati all'anno. Lanciata strategia anti-spreco

    ◊   Nasce in Italia il gruppo di lavoro per attuare la Strategia contro lo spreco alimentare: promosso dal Ministero dell’ambiente e coordinato da Andrea Segrè, presidente di "Last Minute Market", il board che ha lo scopo di coinvolgere tutti gli attori della filiera per combattere questa piaga così come auspicato dal Papa. Sono 8,7 i miliardi di euro in cibo finiti nell’immondizia ogni anno in Italia. "Occorre coniugare solidarietà e sostenibilità, - sottolinea Segrè - perché sprecare cibo vuol dire anche sprecare risorse come terra, acqua e lavoro umano”. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. - Nel 2013 lo spreco domestico di cibo ancora buono che finisce nella spazzatura conta in Italia mezzo punto del Prodotto interno lordo: 8,7 miliardi di euro. Se li confrontiamo ai nove milioni di cittadini italiani che vivono sotto la soglia di povertà relativa, ci rendiamo conto dell’assurdità: sarebbero mille euro a testa di cibo ancora buono gettato via.

    D. - Questo vuol dire che cambiare abitudini, per quanto riguarda l’utilizzo del cibo, significherebbe un notevole risparmio e anche un atto di solidarietà nei confronti di chi non ha cibo …

    R. - Riprendiamo quella che una volta chiamavamo “economia domestica” e se c’è qualche avanzo ricicliamolo! Quanto poi ha sottolineato il Papa (“Il cibo sprecato è cibo rubato ai poveri”; ndr) è straordinario nella sua forza, ma dentro c’è ancora di più: ci sono delle risorse naturali limitate - seppure rinnovabili nel tempo - che finiscono nel bidone della spazzatura. Tra l’altro, questo bidone ha un costo perché dobbiamo pagare una tassa, una tariffa: è un costo economico ed un costo ambientale. Non possiamo davvero più permettercelo! Dobbiamo andare avanti coniugando due premesse importanti che sono la sostenibilità, che significa usare meglio le risorse naturali, e la solidarietà.

    D. - Perché le famiglie italiane sprecano cibo? Quali sono le cause?

    R. - Non sappiamo fare bene la spesa, non programmiamo i nostri acquisti, neanche i nostri consumi, siamo confusi dalle etichette, dalle scadenze, poi quel “preferibilmente entro” pensiamo sia la scadenza ultima …

    D. - Quanto si potrebbe aspettare ancora?

    R. - Dipende dal prodotto, ma in realtà te lo garantiscono al massimo delle sue condizioni organolettiche, di qualità, entro quel periodo, ma si può andare oltre. Poi dipende anche dal buonsenso: basta aprire la confezione e verificare; la stessa cosa può essere fatta con il prodotto fresco.

    D. - Lei diceva, lo spreco alimentare avviene sostanzialmente in ambito domestico. Non si può tuttavia dimenticare quello spreco a cui assistiamo, tante volte impassibili, da parte delle grandi catene di fast food o delle grandi catene di supermercati che sono “obbligate” a cestinare prodotti integri, in buono stato, per ragioni igieniche …

    R. - Lo spreco che riscontriamo nella piccola e grande distribuzione, nella ristorazione, è di 2,3 miliardi circa. Questi obblighi di sicurezza alimentare - non sono uno scherzo, dobbiamo stare attenti - possono essere superati usando delle logistiche e normative che per altro già ci sono: il pasto cotto non consumato si può recuperare; il consumo dovrà avvenire con molti accorgimenti per salvaguardare la salubrità di quel prodotti soprattutto per chi lo consuma, in particolare se andiamo a nutrire gli indigenti. Dobbiamo stare tre volte attenti! Per noi l’importante - lo dico a fronte dell’esperienza alla "Last Minute Market" - è promuovere un recupero sostenibile. È inutile trasportare il cibo in eccesso facendogli fare lunghe percorrenze, magari dovendolo immagazzinare perché poi il costo del recupero diventa più alto del beneficio … Ecco, l’innovazione che noi abbiamo proposto è una sorta di “chilometro zero dello spreco”: consumi l’eccedenza, l’invenduto, la perdita, il surplus laddove si “forma”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: l'Onu fissa al 22 gennaio la Conferenza "Ginevra 2"

    ◊   È convocato per il prossimo 22 gennaio il primo incontro nell’ambito della Conferenza internazionale di pace sulla Siria ‘Ginevra 2’. Lo ha annunciato il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon aggiungendo che l’incontro porterà il governo siriano e l’opposizione a un tavolo negoziale per la prima volta dall’inizio del conflitto. “La conferenza di Ginevra 2 si sarebbe potuta fissare molto prima, se l’Occidente non avesse avanzato condizioni come l’uscita di scena di Assad” ha affermato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, nel suo intervento al media Forum Italia-Russia in corso a Roma, spiegando che - riferisce l'agenzia Misna - queste condizioni non “rappresentano la preoccupazione per la popolazione siriana, ma sono un atto di egoismo politico”. Alla data – l’ennesima annunciata – mancano due mesi. Un lungo lasso di tempo a fronte di una situazione del tutto instabile: secondo le informazioni in circolazione – difficilmente verificabili con fonti terse – nel solo fine settimana almeno 160 tra ribelli e soldati sono stati uccisi in violenti combattimenti nella regione della Ghouta orientale, a est di Damasco. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh), in seguito all’avanzata delle truppe governative nella provincia di Damasco, i ribelli avrebbero perso l’accesso alle vie di rifornimento e sono ora in difficoltà. E il conflitto non risparmia minorenni e bambini: sono oltre 11.000 quelli morti dall’inizio delle violenze, la maggior parte nella zona di Aleppo, spesso uccisi da bombe ma anche finiti nel mirino di cecchini e a volte torturati. Lo rivela un rapporto dell’Oxford Research di Londra, che cita anche “esecuzioni sommarie” da parte di cecchini. (R.P.)

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    Filippine: gli interventi della Chiesa per la popolazione colpita dal tifone

    ◊   Secondo gli ultimi aggiornamenti ricevuti dall’agenzia Fides dal coordinatore della Camillian Task Force (Ctf), padre Aris Miranda, aiuti diversi e di generi alimentari sono stati distribuiti nei diversi villaggi di Bohol rimasti colpiti ed emarginati a lungo dal tifone che ha causato oltre 5.200 morti. Sia padre John Jay che padre Aris sono partiti da Bohol verso Samar e Leyte per organizzare la fase di recupero del programma della Ctf. “Attualmente – ha raccontato padre Aris - le strade, i porti e gli aerporti principali diretti a Samar e Leyte da Cebu, Manila e Mindanao hanno riaperto e i beni di soccorso stanno raggiungendo le aree colpite. Anche le telecomunicazioni e i servizi internet si stanno lentamente riavviando. Tuttavia, per quanto riguarda l’elettricità sono previsti almeno 3 mesi di attesa per il ripristino. Inoltre, e operazioni di pronto intervento alle barangay di Basey, Samar occidentale sono state concluse con il supporto del St. Camillus Hospital di Calbayog City. Tramite la Ctf sono state organizzate diverse reti di distribuzione ad opera di ong, alcune delle quali hanno provveduto ai medicinali, altre ai generi alimentari e diversi, ai trasporti, ai collegamenti con servizi speciali e ai gruppi di assistenza tecnica, insegnanti, personale medico e psicosociale. Il St. Camillus Hospital è uno dei servizi sanitari in prima linea che fornisce assistenza medica ai sopravvissuti di Samar e Leyte. La settimana scorsa era quasi pieno. Tuttavia, il gruppo elettrogeno si è impantanato e siamo stati costretti ad inviare i pazienti in altri ospedali di altre province, lontani da Samar e Leyte”, ha detto il coordinatore della Ctf. “A Calbayog ci sono 4 ospedali e solo uno è del tutto operativo ma è molto piccolo così come tutti gli altri. Il Dipartimento della Salute ha prestato un gruppo elettrogeno che verrà consegnato a breve, nel frattempo, il consiglio provinciale ha deciso di acquistarne uno nuovo che si spera sarà disponibile in 15 giorni. Gli interventi medici e psicosociali per circa 1500 famiglie sono stati appena avviati in 4 barangay di Basey: una intera giornata dedicata a clinica medica, Eucarestia, pranzo per 3 mila persone e distribuzione di beni di prima necessità che dovrebbero durare per un mese o due. Un team di 60 persone raggiungeranno questa missione oltre a benefattori nazionali e internazionali. Tanti sono i volontari a Manila e Calbayog”, ha aggiunto padre Aris, compreso un primo incontro con il responsabile di Caritas Italiana Asia a Intramuros. A dicembre è previsto un ulteriore incontro di pianificazione degli interventi. (R.P.)

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    Siria. Occupato dagli islamisti il villaggio Deir Atieh: cristiani identificati e trattenuti

    ◊   Facendosi strada con due attentati suicidi, militanti di fazioni islamiste hanno invaso nella cittadina di Deir Atieh, a Nord di Damasco seminando terrore, morte e distruzione. Come informano fonti di Fides nella Chiesa greco ortodossa, l’attacco è avvenuto il 22 novembre. I militanti sono entrati il nell’ospedale municipale e hanno preso in ostaggio i malati. Il museo di Deir Atieh che accoglieva migliaia di opere e preziosi reperti archeologici è stato devastato. Moschee e chiese sono state colpite e danneggiate. Numerose case sono state saccheggiate e i civili catturati e usati come scudi umani. La situazione - riferisce l'agenzia Fides - risulta particolarmente preoccupante per i cristiani. La popolazione, circa 25mila persone, ha iniziato a fuggire. I miliziani esaminano i documenti di identità di chi intende lasciare la città e trattengono quanti hanno nomi cristiani. Per poter uscire dal villaggio, un prete greco-ortodosso ha dovuto dire di essere sposato e presentarsi con una donna: è stato lasciato andare solo perché il suo nome era arabo e non aveva nessuna ascendenza o riferimento cristiano. Non è chiaro, nota la fonte di Fides, cosa abbia spinto le bande armate a penetrare nel villaggio. A Deir Atieh si erano rifugiati anche centinaia di abitanti di Qara, altro villaggio siriano sulle montagne del Qalamoun, a 90 km da Damasco. Nelle scorse settimane Qara era stata attaccata da combattenti islamici provenienti dalla città di Arzal. Tra i rifugiati di Qara, spostatisi a Deir Atieh, vi sono anche il sacerdote greco-cattolico padre George Luis e tutti i suoi parrocchiani. (R.P.)

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    Ucraina: il card. Vegliò condanna migrazioni irregolari e traffico di esseri umani

    ◊   “La migrazione per motivi economici è un fenomeno in costante aumento, al punto che l’Ucraina occupa il quinto posto nell’elenco dei Paesi da cui partono i migranti (dopo Messico, India, Federazione Russa e Cina)”. È uno dei passaggi del discorso che il card. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha tenuto a docenti e studenti dell’Istituto Teologico di Lviv, in occasione della visita pastorale in Ucraina, che si è conclusa ieri - riferisce l'agenzia Sir - su invito dell’arcivescovo metropolita di Lviv dei Latini, mons. Mieczyslaw Mokrzycki. “Il numero attuale dei cittadini ucraini emigrati all’estero per motivi di lavoro - ha ricordato il porporato - supera di gran lunga le statistiche ufficiali del ministero del Lavoro ucraino”. Secondo stime ufficiali, “attualmente sono circa 6.600.000 i cittadini ucraini che sono andati all’estero, soprattutto verso la Federazione Russa, Polonia, Stati Uniti d’America, Kazakistan, Israele, Germania, Moldova, Italia, Bielorussia e Spagna”. Considerevole, poi, è “l’emigrazione femminile”, il che provoca “spesso la disgregazione della famiglia”. D’altra parte, “si calcola che 5.258.000 persone di origine straniera siano oggi presenti in Ucraina, provenienti soprattutto dai Paesi limitrofi”. “È largamente riconosciuto - ha sottolineato il card. Vegliò - che la migrazione verso, da e attraverso l’Ucraina è in gran parte irregolare e proviene soprattutto da Moldova, Georgia, Afghanistan, Russia e Pakistan. Anzi, quelli che provengono dalla Moldova, dalla Georgia e dall’Afghanistan rappresentano più del 50% della migrazione irregolare”. In realtà, “non si conosce il numero esatto degli irregolari in Ucraina, ma sono approssimativamente almeno 100.000. Si tratta di persone che tentano di entrare nell’Unione Europea varcando le frontiere dell’Ucraina con la Polonia, la Slovacchia e l’Ungheria”. Purtroppo, dunque, “l’Ucraina si trova al centro di una delle rotte principali della migrazione irregolare che, nello stesso tempo, comprende anche preoccupanti canali utilizzati per il traffico di esseri umani per povera gente che arriva da Vietnam, Pakistan, India, Sri Lanka, Bangladesh, Afghanistan, Cina, Kurdistan, Uzbekistan, Tagikistan e Cecenia”. Secondo il Consiglio d’Europa, ha evidenziato il porporato, “questa rotta migratoria, anche se non è la più battuta tra quelle utilizzate per entrare nei Paesi dell’Unione Europea, pone tanti problemi proprio per l’Ucraina”. (R.P.)

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    Panama: al via la Conferenza mondiale contro la corruzione

    ◊   Promuovere il rispetto della legge e la cultura della trasparenza: è l’obiettivo di quello che è considerato il più grande evento internazionale contro la corruzione, piaga che ogni anno costa ai paesi del Sud del mondo fino a 40 miliardi di dollari secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc). Una trentina di ministri e 1200 esponenti politici e rappresentanti della società civile provenienti da diversi Paesi - riporta l'agenzia Misna - si riuniranno a partire da oggi a Panamá per la V Conferenza degli Stati parte della Convenzione dell’Onu contro la corruzione (Uncac). “Dobbiamo mettere in chiaro che la responsabilità dei conti e la trasparenza sono elementi fondamentali per ottenere uno sviluppo sostenibile” ha sottolineato Yuri Fedotov, direttore esecutivo di Unodc. Secondo cifre dello stesso ufficio, ogni anno fra i 20 e i 40 miliardi di dolalri vengono perduti nei paesi in via di sviluppo per quella che l’Onu definisce “il principale ostacolo per lo sviluppo economico e sociale”. La corruzione “non si limita a rubare il denaro laddove più è necessario, ma porta a un governo debole, il che a sua volta alimenta le reti della criminalità organizzata e favorisce crimini come il traffico di esseri umani e di armi” ha osservato l’Undc in una nota diffusa alla vigilia dell’incontro di Panamá. Per questo motivo, la lotta alla corruzione è per l’Onu “una priorità politica”. Ma la corruzione ha anche un forte impatto sull’ambiente: si calcola che ogni due secondi venga abbattuta in modo illegale un’area boschiva della grandezza di un acmpo di calcio, crimine che minaccia la sopravvivenza di un miliardo di poveri che dipendono dalle risorse forestali. Adottata 10 anni fa, la Convenzione Uncac è l’unico strumento legale di lotta contro la corruzione su scala planetaria giuridicamente vincolante; è stata ratificata da 168 nazioni. (R.P.)

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    Thailandia: l'opposizione paralizza Bangkok. Governo in bilico

    ◊   Bangkok semi-paralizzata oggi dalle 13 marce di protesta dell’opposizione al governo che hanno come obiettivo le sedi delle forze armate, della polizia, ministeri ma anche di reti televisive considerate ostili. Ultima iniziativa del partito Democratico ma anche delle altre forze della protesta (radicali buddhisti e nazionalisti, intellettuali e studenti più altre rappresentanza della società civile) che da sabato si sono unificate per dare la spallata al governo guidato da Yingluck Shinawatra e evitare il rischio, che ritengono concreto, che in Thailandia si imponga un regime a carattere familiare con il rientro dall’esilio di Thaksin Shinawatra, ex premier condannato in contumacia per abuso di potere ma considerato dai suoi sostenitori oggi al potere un “perseguitato politico”. Ieri - riferisce l'agenzia Misna - con la più folta manifestazione che abbia interessato la capitale dalla Primavera 2010, centinaia di migliaia di manifestanti si sono raccolti attorno al Monumento alla Democrazia, nella grande arteria dedicata alla Costituzione (Ratchadamnoen Avenue) e nei viali circostanti, estendendosi otre i limiti delle ultime settimane. Di fatto la folla ha posto sotto assedio parlamento e palazzo del governo e una vasta area di ministeri e uffici pubblici presidiati da settimane da migliaia di poliziotti in assetto antisommossa e, in teoria, resa off-limits ai manifestanti dall’imposizione della legge d’emergenza. Come espresso ormai chiaramente da Suthep Thaugsuban, vice-premier nel precedente governo guidato dai Democratici (che tradizionalmente esprimono le classi medie urbane, ma anche i sentimenti nazionalisti e filo-monarchici) e da altri leader della protesta, il movimento ha superato di slancio la richiesta iniziale di evitare una legge di amnistia che avrebbe graziato tutti i responsabili di abusi, uccisioni, repressione tra il 2004 e l’agosto di quest’anno (ma non le centinaia di intellettuali, blogger o semplici cittadini incarcerati per le loro idee o per semplici accuse di sentimenti anti-monarchici e quanti – in maggioranza Camicie Rosse filo-Thaksin e anti-elitarie – sono stati già incarcerati per terrorismo). Un atto – in seguito cancellato dal Senato l’11 novembre – proposto dall’esecutivo come strumento di pacificazione, ma avversato dall’opposizione politica che lo vede motivato da un rientro di Thaksin Shinawatra, di cui è sorella l’attuale premier e a cui sono legati molti in parlamento, nella polizia e nelle forze armate. Un rientro osteggiato dalla società civile, soprattutto nella capitale, ma anche da elementi nel movimento delle Camicie Rosse che sostengono il governo ma non accettano un’amnistia che coinvolga vertici militari e responsabili politici della repressione del loro movimento nel maggio 2010. Il numero record di partecipanti ai grandi raduni di domenica (400.000 secondo gli organizzatori, tra 100.000 e un milione secondo altre fonti) ha convinto l’opposizione unita a tentare la prova di forza e procedere con tre giorni di iniziative avviate stamattina che nelle intenzioni dei promotori dovrebbero segnare la sorte del governo e avviare una riforma del sistema politico. Prima conseguenza, la paralisi del traffico cittadino, già abitualmente caotico. (R.P.)

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    Mauritius: documento sulle minacce contro la famiglia in Africa

    ◊   “La famiglia è attualmente minacciata da diverse forze potenti e si trova in crisi. Nel corso degli ultimi due decenni, c’è stato un incremento del potente supporto finanziario e delle pressioni esterne sull’Africa per negare i valori fondamentali della vita e demolire il senso della famiglia e del genere” denuncia il documento finale del Terzo Congresso della Federazione Africana di Azione Familiare (Faaf) che si è tenuto nell’Isola Maurizio dal 10 al 13 novembre. Al Congresso, che aveva come tema “La famiglia come bene comune, proteggiamola”, hanno partecipato i rappresentanti di 28 associazioni provenienti da 22 Paesi, che si sono riuniti insieme al card. Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, e a mons. Gabriel Mbilingi, Arcivescovo di Lubango (Angola). Le pressione sulla famiglia, afferma il documento inviato all’agenzia Fides, “si sono maggiormente accentuate dopo il 1994 con la Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo, tenutasi al Cairo, e con il Protocollo di Maputo del 2006”. “La loro agenda - prosegue la dichiarazione - prevede l’accesso universale ai preservativi; pressione per introdurre leggi sul diritto alla salute sessuale e riproduttiva che consentono l’aborto, la permissività sessuale e l’ideologia di genere; l’imposizione di “servizi conviviali per i bambini” che implicano la fornitura di contraccettivi ai bambini e di aiuto all’aborto senza informare e chiedere il consenso dei genitori”. Nel ribadire il proprio impegno per difendere il valore della famiglia, la Faaf conclude affermando di “rigettare categoricamente ogni forma di pressione o di aggressione alla vita e alla famiglia. Facciamo così appello a tutti i governanti e dirigenti africani, cristiani e non, perché si impegnino a promuovere i valori, la dignità e il vero senso della famiglia africana come santuario dell’amore e della vita, e come avvenire della società”. (R.P.)

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    Mali: in corso lo spoglio del voto. Bassa affluenza alle urne

    ◊   In ogni seggio elettorale è in corso lo spoglio delle schede delle legislative di ieri, un voto cruciale per riportare il Mali all’ordine costituzionale. In base alle prime valutazioni degli osservatori, lo scrutinio si è svolto nella calma ma l’affluenza sarebbe stata molto bassa, anche se non ci sono ancora stime ufficiali. Circa 6,5 milioni di aventi diritto erano attesi alle urne per scegliere 147 deputati tra più di mille candidati. Tra i fatti più salienti della giornata elettorale, tenutasi in un clima pacifico diversamente da quanto temuto - riferisce l'agenzia Misna - c’è stato il furto di urne nella città di Bajakary, nella regione di Timbuctù (nord), mentre nella località di Takoubao ad alcuni aventi diritti sono stati confiscati i certificati elettorale. Sempre al nord, nella regione di Kidal, tafferugli tra un candidato del Raggruppamento per il Mali (Rpm, al potere) e ribelli tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azwad (Mnla) hanno causato un ferito. In entrambi i casi, dopo una breve interruzione, le operazioni di voto sono tornate regolari. L’altro aspetto evidenziato dalla missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea sarebbe un tasso di affluenza molto basso, persino inferiore a quelli delle presidenziali dello scorso agosto, quando si era attestata attorno al 50%. Secondo alcuni esponenti della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni) nei seggi dei capoluoghi settentrionali di Gao e Timbuctù “c’erano più agenti elettorali che aventi diritto”. Nell’Azawad il tasso di affluenza potrebbe essere anche inferiore al 30%. “La natura delle elezioni, presidenziali e legislative, è molto diversa. Quello di ieri era un voto meno personalizzato nel senso che si è trattato di uno scrutinio maggioritario tra liste” ha spiegato Louis Michel, a capo della missione Ue, sottolineando che “qualunque sia stata l’affluenza, non è un argomento da utilizzare per squalificare lo scrutinio”. Gli osservatori europei hanno salutato gli sforzi compiuti dalle autorità elettorali maliane in termini di organizzazione, valutando anche positivamente la folta presenza di delegati dei partiti nei seggi. L’obiettivo per il presidente Ibrahim Boubacar Keita è quello di ottenere una solida maggioranza in parlamento. Il suo rivale Soumaila Cissé, sconfitto alle presidenziali, e la sua Unione per la Repubblica e la Democrazia (Urd) ambiscono a diventare capofila dell’opposizione. Dopo lo spoglio in ciascun seggio, i dati vengono centralizzati alla sede della Ceni a Bamako: ci vorranno alcuni giorni prima di avere i risultati completi. Laddove nessun candidato dovesse ottenere la maggioranza assoluta, un secondo turno si svolgerà il 15 dicembre. (R.P.)

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    Egitto: per la Chiesa la legge sul divieto di manifestare evita le violenze

    ◊   Il governo egiziano ha varato una controversa legge per regolamentare le proteste, dopo settimane di manifestazioni violente organizzate dagli studenti affiliati ai Fratelli Musulmani. In protesta contro il governo,19 fra associazioni per i diritti umani e attivisti politici salafiti hanno diffuso un comunicato congiunto contro il nuovo provvedimento definendolo un paravento per dare ulteriori poteri alla polizia e bloccare sul nascere qualsiasi tipo di manifestazioni comprese quelle pacifiche. Padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, puntualizza che il nuovo provvedimento non limita il diritto a manifestare, ma tenta di evitare scontri e violenze. "In Egitto - spiega il sacerdote all'agenzia AsiaNews - non vi è alcuna regolamentazione riguardo a proteste e sit-in, che spesso si trasformano in violenti scontri. Con questa nuova legge, il Paese si adegua alle norme già vigenti nei Paesi occidentali, dove gli organizzatori hanno l'obbligo di avvisare la polizia sulla data e il luogo della protesta". Padre Greiche sottolinea che la legge vieta inoltre la propaganda politica nelle moschee e altri luoghi di culto. "Nella maggior parte dei casi - nota - le proteste più violente vengono organizzate proprio dopo prediche e discorsi pronunciati da autorità religiose islamiste all'interno'interno delle moschee". Firmato ieri da Adly Mansour, presidente ad interim, il nuovo provvedimento offre la possibilità agli organizzatori di avvisare le autorità tre giorni prima dell'evento, invece di sette come previsto dai precedenti regolamenti, ma dà alla polizia il potere di disperdere sul nascere le manifestazioni ritenute violente utilizzando idranti, gas lacrimogeni e pallini di piombo. La legge prevede per i manifestanti trovati in possesso di armi illegali pene detentive fino a sette anni di carcere e multe di oltre 30mila euro. Il governo impone sanzioni anche per gli organizzatori di manifestazioni illegali con multe dai 1000 fino a 3mila euro. Gamal Eid, avvocato e attivista per i diritti umani fra i protagonisti delle manifestazioni del 2011 contro Mubarak, punta il dito contro il provvedimento del governo: "L'obiettivo di questa legge è bandire le proteste dalle strade, diritto che gli egiziani si sono guadagnati versando sangue e con grandi sforzi". Eid sostiene che "la legge è incostituzionale e viola la Convenzione internazionale per i diritti civili e politici". In questi giorni gli islamisti hanno bloccato le principali università del Paese, compresa al-Azhar, incendiato auto e lanciato molotov contro un bus per turisti al Cairo. Questa mattina un gruppo di ignoti ha lanciato una granata contro una postazione della polizia a Hadaeq Al-Qubbah, facendo tre feriti. Fonti di AsiaNews, anonime per motivi di sicurezza, notano che tali atti non possono rientrare all'interno della voce manifestazioni. Università e strade sono in balia di piccoli gruppi di giovani, spesso fra i 14 e i 17 anni, che impongono con la forza la loro ideologia, impedendo alla maggior parte degli studenti di entrare negli atenei e di partecipare alle lezioni. (R.P.)

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    Nigeria. Card. Onaiyekan: prudenza su donne cristiane rapite e costrette a convertirsi all'islam

    ◊   “Ho sentito parlare di questi casi, ma è difficile valutarli perché vi sono tante “voci” in giro” dice all’agenzia Fides il card. John Olorunfemi Onaiyekan arcivescovo di Abuja, sui presunti casi di donne cristiane rapite dalla setta islamica Boko Haram e costrette a sposare uomini appartenenti al movimento dopo essere stata convertite a forza all’islam “Non sono a conoscenza di casi concreti e provati. Anche la stampa nigeriana ha dedicato poco spazio a notizie di questo tipo, evidentemente perché non ha trovato, almeno finora, prove solide” afferma il cardinale. “Che vi siano dei rapimenti lo sappiamo, ma non mi risulta che vi sia una campagna sistematica per rapire le donne cristiane al fine di farle convertire a forza e farle sposare a membri di Boko Haram. Questo non significa che non vi siano stupri di guerra. Sono cose che purtroppo accadono in zone di conflitto” continua il card. Onaiyekan che aggiunge: “Mi spiace dirlo ma vi sono persone che diffondono voci non controllate per accentuare il senso di persecuzioni dei cristiani che vivono nelle zone più a rischio della Nigeria. Non penso che questo ci aiuti. È sempre meglio dire la verità”. Secondo il cardinale infine Boko Haram “ha subito colpi molto duri” inferti dall’esercito nigeriano che a maggio ha lanciato una vasta offensiva in tre Stati nel nord della Federazione. “Boko Haram non è più quella che era solo 7 mesi fa. Questo non significa che sia annientata ma ormai ci troviamo di fronte ad un insieme di gruppi di banditi dediti alle rapine più che ad un’organizzazione di guerriglia strutturata” conclude il cardinale. (R.P.)

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    Panama: appello di tutti i leader religiosi per fermare la violenza contro bambini e adolescenti

    ◊   L'arcivescovo di Panama, mons. José Domingo Ulloa, ha lanciato un appello a tutta la popolazione, senza distinzione di credo religioso, per fermare la violenza, i maltrattamenti e gli abusi contro bambini e adolescenti. La nota inviata all’agenzia Fides dalla diocesi di Colon-Kuna Yala riferisce che il più alto rappresentante della Chiesa cattolica a Panama, insieme ai leader di altre comunità religiose (come l'Imam Mohammed El-Sayyed, del Centro Islamico di Colon; il vescovo Julio Murray, presidente del Comitato ecumenico e vescovo della Chiesa episcopale; la signora Aurora Carrasco, della Comunità Baha'i), hanno esortato a riconoscere la dignità dei bambini e degli adolescenti nel Paese come un modo per proteggerli contro la violenza. I leader religiosi hanno lanciato insieme questo messaggio al Paese, invitando a formulare una preghiera particolare in tutte le funzioni religiose che si sono celebrate domenica scorsa, 24 novembre, al fine di aumentare la consapevolezza sull'importanza di prendersi cura e proteggere bambini e adolescenti. La principale celebrazione cattolica è stata presieduta dallo stesso arcivescovo Ulloa presso la parrocchia Santa Rita di Cascia e trasmessa in diretta TV in tutto il Paese. Erano presenti delegazioni delle comunità cattoliche di tutto il Panama che hanno aderito alla Giornata di preghiera per i diritti dei bambini e hanno mostrato il loro lavoro svolto da una settimana a questo proposito, nelle case, nelle scuole, nei quartieri e nelle diverse comunità. Alla Giornata Internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, celebrata il 20 novembre scorso in tutto il mondo, si è associata dal 2009, anche la Giornata Mondiale di Preghiera e Azione per i Bambini, le Bambine e i Giovani del Mondo. (R.P.)

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    Turchia: pastore protestante arrestato con false accuse di traffico di esseri umani

    ◊   Il Pastore protestante turco Orhan Picaklar, 42 anni, della “Agape Church” è stato arrestato dalla polizia nella località di Samsun, sul Mar Nero, con l’accusa di organizzare traffico di esseri umani e prostituzione. La comunità cristiana in Turchia, riferisce una nota inviata all'agenzia Fides dai fedeli turchi della comunità “Agape”, chiede preghiere e sostegno per poter dimostrare la sua innocenza. Le accuse, si afferma, sono del tutto strumentali, in quanto il Pastore era sotto osservazione per sospette “attività missionarie illegali”. L'11 novembre il Pastore è stato convocato al quartier generale della polizia locale a Samsun per un interrogatorio con altre sette persone. Accusato di esser coinvolto in attività di tratta di esseri umani, è stato trattenuto agli arresti, in attesa che un tribunale formalizzi le accuse a suo carico. L’episodio ha destato scandalo anche sui mass-media. Secondo il quotidiano turco “Milliyet”, le accuse sono basate sulla testimonianza di una 19enne iraniana. La Chiesa Agape aveva fornito alloggio alla ragazza insieme ad altri rifugiati cristiani, sostenendoli nelle loro esigenze materiali e negli studi. Il Pastore e la sua congregazione hanno dovuto affrontare false accuse già in passato: i fedeli le definiscono “tentativi i screditarlo” e “calunnie”. Come riferito a Fides, i cristiani turchi pregano per il Pastore, fiduciosi che la sua innocenza sarà presto provata. Le false accuse potrebbero avere perfino “un effetto positivo sulla Chiesa e sulla sua purezza della sua testimonianza di Cristo”, si afferma. Intanto la chiesa dove si riunisce la comunità “Agape” a Samsun è stata danneggiata da vandali. Orhan Picaklar manda avanti la comunità “Agape” a Samsun dal 2003. La Chiesa si è sempre messa a servizio dell’accoglienza dei rifugiati. La congregazione ha ottenuto lo status formale di “associazione” nel 2005 dato che, come altre comunità cristiane in Turchia, il governo non concede il riconoscimento ufficiale di “chiesa” alle nuove comunità. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 329

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.