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Sommario del 23/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: assistenza a malati anziani sia ricca di spazi di dignità lontani dalla "tortura dei silenzi"
  • Il Papa ai dirigenti olimpici europei: lo sport costruisca ponti non muri, gli atleti non sono mercanzia
  • Chiusura dell'Anno della Fede. Mons. Fisichella: Papa Francesco ci richiama alla cultura dell'incontro
  • Il Papa incontra i catecumeni. La testimonianza di Francesca: “Con Dio vedo la vita con altri occhi”
  • Nomina di vicario apostolico in Colombia
  • Tweet del Papa: nei Sacramenti c'è Gesù in noi, per questo è importante confessarsi e comunicarsi
  • Siria, morti ad Aleppo per un raid aereo. Gregorio III Laham: la riconciliazione, unica via per uscire dalla crisi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Clima: vertice di Varsavia lontano da un accordo. Stallo sui fondi per la riduzione di emissioni
  • Obama ricorda l’impronta indelebile di Kennedy sulla storia americana
  • A Roma Ndc e Italia Popolare. Mazzotta (Sturzo): sì a esperienza politica riferita alla Dottrina sociale
  • Le fragilità di chi ha patito il suicidio di un congiunto al centro di una speciale Giornata
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine: è salito a 5.235 il bilancio dei morti del tifone Haiyan
  • L’Honduras al voto tra sfiducia, minacce e rischio di astensionismo
  • Nicaragua: per i vescovi il Paese non ha bisogno di nessuna riforma costituzionale
  • Africa australe: la famiglia colpita dalla povertà ma anche dai nuovi mass media
  • Cile: la Chiesa in difesa dell’ambiente minacciato dal progetto Pascua Lama
  • Sri Lanka: a Colombo si chiude l’Anno della Fede e si apre l’Anno Mariano diocesano
  • Singapore. Sfida della Caritas: per capire i poveri, vivete come loro
  • Spagna. Appello dei vescovi: svegliare le coscienze per affrontare la crisi di fede
  • Dottrina sociale. Mons. Crepaldi: per superare la crisi, una seria riflessione sul lavoro
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: assistenza a malati anziani sia ricca di spazi di dignità lontani dalla "tortura dei silenzi"

    ◊   “La Chiesa deve dare esempio a tutta la società” del fatto che gli anziani sono “indispensabili”. E’ questo uno dei passaggi centrali del discorso che Papa Francesco ha rivolto stamani in Aula Paolo VI, in Vaticano, ai partecipanti alla Conferenza Internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. “La Chiesa al servizio della persona anziana malata: la cura delle persone affette da patologie neurodegenerative” è il titolo del convegno che si è aperto giovedì scorso e al quale hanno preso parte oltre 400 persone, fra cui molti studiosi di tutto il mondo. Ieri all’interno della Conferenza è stato poi presentato il Sussidio "La pastorale Sanitaria e la Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede”. Il servizio di Debora Donnini:

    Oggi, come sempre, gli anziani sono protagonisti nella Chiesa. Da qui parte il discorso di Papa Francesco per ricordare che la Chiesa deve, dunque, dare l’esempio a tutta la società del fatto che le persone anziane malgrado gli “acciacchi”, anche seri, sono “indispensabili”:

    “Esse portano con sé la memoria e la saggezza della vita, per trasmetterle agli altri, e partecipano a pieno titolo della missione della Chiesa. Ricordiamo che la vita umana conserva sempre il suo valore agli occhi di Dio, al di là di ogni visione discriminante”.

    Con il prolungamento delle aspettative di vita nel corso del 20.mo secolo, è cresciuto il numero di persone che va incontro a patologie neurodegenerative, anche con un deterioramento delle capacità cognitive. Si tratta di patologie che investono il mondo sociosanitario, delle strutture socio-assistenziali e della famiglia “che – dice il Papa – resta il luogo privilegiato di accoglienza”. E’ quindi importante “il supporto di aiuti e servizi adeguati”, rivolti alla persona assistita ma anche a coloro che la assistono come familiari e operatori professionali. “Ciò è possibile solo in un contesto di fiducia”, afferma Papa Francesco ricordando che “così vissuta, quella della cura diventa un’esperienza molto ricca sia professionalmente sia umanamente”, altrimenti diventa molto più simile alla “fredda ‘tutela fisica’”:

    “Si rende necessario, pertanto, impegnarsi per un’assistenza che, accanto al tradizionale modello biomedico, si arricchisca di spazi di dignità e di libertà, lontani dalle chiusure e dai silenzi. Quella tortura dei silenzi! Il silenzio, tante volte, si trasforma in una tortura! Queste chiusure e silenzi che troppo spesso circondano le persone in ambito assistenziale”.

    Il Papa sottolinea quindi “l’importanza dell’aspetto religioso e spirituale”. “Anzi – afferma – questa è una dimensione che rimane vitale anche quando le capacità cognitive sono ridotte o perdute”. Serve, dunque, un particolare approccio pastorale, “con forme e contenuti diversificati”, per accompagnare la vita religiosa delle persone anziane con gravi patologie degenerative, “perché comunque – sottolinea il Papa – la loro mente e il loro cuore non interrompono il dialogo e la relazione con Dio”.

    Papa Francesco ricorda agli anziani che non sono solo destinatari dell’annuncio del messaggio del Vangelo ma “a pieno titolo” anche “annunciatori”, in forza del Battesimo:

    “Ogni giorno voi potete vivere come testimoni del Signore, nelle vostre famiglie, in parrocchia e negli altri ambienti che frequentate, facendo conoscere Cristo e il suo Vangelo, specialmente ai più giovani. Ricordatevi che sono stati due anziani a riconoscere Gesù al Tempio e annunziarlo con gioia, con speranza”.

    Prima dell’udienza con il Pontefice, i presenti hanno preso parte a un incontro di preghiera sempre in Aula Paolo VI . A loro, il presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, mons. Zygumunt Zimowski, ha rivolto un discorso ricordando che “anche se la sofferenza non può essere eliminata, la fede cristiana può aiutare a darvi un senso” e la forza per viverla.

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    Il Papa ai dirigenti olimpici europei: lo sport costruisca ponti non muri, gli atleti non sono mercanzia

    ◊   Per i suoi valori di amicizia e lealtà, lo sport crea ponti che hanno la forza di unire le persone, purché non ceda a interessi di tipo mercantile. Lo ha affermato Papa Francesco nel ricevere questa mattina i delegati dei Comitati olimpici europei. Ai dirigenti e alle istituzioni del settore, il Papa ha chiesto un impegno a favorire tra i giovani “la funzione educativa dello sport”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Lo sport ha una forza innata di tendere verso l’alto, anche se sovente forze poco limpide lo trascinano nella direzione opposta. Davanti ai dirigenti olimpici europei, Papa Francesco esalta le luci e addita le ombre che inquinano il mondo dell’agonismo, professionale e non. Le luci sono note perché antiche, al punto che il Papa definisce “una bella realtà” consolidata da tempo il “legame tra la Chiesa e lo sport”, poiché il secondo è ritenuto dalla prima “un valido strumento per la crescita integrale della persona umana”:

    “La pratica sportiva, infatti, stimola a un sano superamento di sé stessi e dei propri egoismi, allena allo spirito di sacrificio e, se ben impostato, favorisce la lealtà nei rapporti interpersonali, l’amicizia, il rispetto delle regole. È importante che quanti si occupano di sport, a vari livelli, promuovano quei valori umani e religiosi che stanno alla base di una società più giusta e solidale”.

    L’idealità dello sport finisce invece per soccombere quando nel suo grande mondo si moltiplicano personaggi che nell’atleta vedono non l’umanità ma una macchina da soldi:

    “Quando lo sport viene considerato unicamente secondo parametri economici o di conseguimento della vittoria ad ogni costo, si corre il rischio di ridurre gli atleti a mera mercanzia da cui trarre profitto. Gli stessi atleti entrano in un meccanismo che li travolge, perdono il vero senso della loro attività, quella gioia di giocare che li ha attratti da ragazzi e che li ha spinti a fare tanti sacrifici e a diventare campioni. Lo sport è armonia, ma se prevale la ricerca smodata del denaro e del successo questa armonia si rompe”.

    L’universalità del linguaggio sportivo, che – nota Papa Francesco – “supera confini, lingue, razze, religioni e ideologie” e “possiede la capacità di unire le persone, favorendo il dialogo e l’accoglienza” è viceversa una “risorsa molto preziosa”. E il simbolo più evidente e conosciuto di questo “spirito di fratellanza” è proprio quello che sventola con i cinque cerchi olimpici intrecciati. Cerchi, osserva il Papa, che indicano una precisa responsabilità:

    “Desidero incoraggiare le istituzioni e le organizzazioni, come la vostra, che propongono, specialmente alle giovani generazioni, itinerari sportivi di formazione alla pace, alla condivisione e alla convivenza tra i popoli. È tipico dell’attività sportiva unire e non dividere! Fare ponti, non muri! (...) Voi, come dirigenti olimpici, siete chiamati a favorire la funzione educativa dello sport. Tutti siamo consapevoli della grande necessità di formare sportivi animati da rettitudine, rigore morale e vivo senso di responsabilità”.

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    Chiusura dell'Anno della Fede. Mons. Fisichella: Papa Francesco ci richiama alla cultura dell'incontro

    ◊   Papa Francesco presiederà questa domenica in Piazza San Pietro, a partire dalle 10.30, la Santa Messa per la chiusura della Anno della Fede. Prima dell’inizio della celebrazione verranno esposte le reliquie di San Pietro e sarà effettuata la colletta in favore delle popolazioni colpite dal tifone nelle Filippine. Al termine della Messa, il Papa consegnerà simbolicamente l’Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium” a vari rappresentanti della Chiesa e della società e della cultura. Il documento sarà presentato e pubblicato martedì prossimo. Per un bilancio dell’Anno della Fede, Sergio Centofanti ha sentito mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione:

    R. – E’ stata, direi, innanzitutto un’esperienza di grazia che abbiamo ricevuto. La fede, intanto, è Dio che ci viene incontro e chiede la nostra risposta. Penso che quest’anno abbia mostrato che c’è stata una grande risposta positiva, entusiasta e carica di significato, che è stata data a questo momento. Noi, normalmente, siamo abituati a sottolineare gli aspetti più negativi, gli aspetti della crisi. Non che non ci sia una crisi di fede: c’è ed è anche profonda. Però, quest’anno ci ha fatto anche comprendere e ci ha reso visibile che insieme ad essa c’è ugualmente tanto entusiasmo, tanto desiderio di riprendere il cammino che il Signore ci ha affidato.

    D. – E’ stato un anno particolare, anche perché è stato aperto da Benedetto XVI e chiuso da Papa Francesco …

    R. – Sì: certamente è stato pensato e voluto da Papa Benedetto che, con la sua Lettera “Porta fidei” ci diceva che l’incontro con il Signore è un cammino, è una porta sempre aperta. Papa Francesco ci ha detto che questa porta dev’essere anche varcata. Io penso che il cammino tra Papa Francesco, che lo ha segnato con la sua testimonianza, e Papa Benedetto che lo ha desiderato, in quest’Anno della Fede sia proprio questo: la dimensione, cioè, di un coraggio nel non venire meno nella fede.

    D. – Papa Francesco sta chiedendo una Chiesa più accogliente, una Chiesa con le porte aperte. In questo senso, sta scuotendo noi cristiani e sta avvicinando tanti cosiddetti lontani…

    R. – Questa è la testimonianza che ci sta dando e che provocherà ancora di più la riflessione e l’azione pastorale con la Lettera apostolica “Evangelii gaudium” che consegnerà in rappresentanza ad alcune categorie di persone: da un vescovo fino ai ragazzi che hanno ricevuto la Cresima. Devo dire che non solo il Papa ci dice che dobbiamo attraversare quella porta, ma ci dice che dobbiamo anche fattivamente, concretamente, andare incontro agli altri. Papa Francesco ci richiama alla cultura dell’incontro: io credo che questo sia molto importante.

    D. – E questo cambierà anche l’atteggiamento di noi cristiani …

    R. – Ma, credo che questo debba provocare ancora di più noi credenti. La nostra storia – dobbiamo essere anche sinceri, in questo – è la storia di venti secoli di un annuncio e anche di una prassi permanente dell’avere riconosciuto l’apporto che noi potevamo dare a questo mondo. Lo abbiamo fatto con le nostre contraddizioni, ma lo abbiamo fatto anche con tanti segni che esprimono la santità della Chiesa e la sua azione di carità, di vero amore e anche di solidarietà. La storia dei Santi, dopotutto, ma non solo la storia dei Santi: forse quella dei Santi emerge di più perché vengono ricordati nel corso dei secoli e sono stati in tanti momenti una vera rivoluzione culturale; ma la storia di tanti cristiani il cui nome è conosciuto soltanto da Dio, è quella di un impegno quotidiano a favore dei più poveri, a favore degli emarginati, dei sofferenti … Quindi, una testimonianza di fede genuina.

    D. – Le rimane qualche immagine di quest’Anno, che magari i mass media non hanno sottolineato?

    R. – Mi rimangono veramente tante immagini che mi fanno commuovere realmente. L’immagine che personalmente porto nel cuore è quella che per un’ora, il giorno del Corpus Domini, in tutti i continenti, in tutti i luoghi il Cristo è stato davvero il cuore del mondo, quando c’è stato il sincronizzarsi sull’ora di Roma, dalle 17 alle 18, con l’adorazione dell’Eucaristia. L’Eucaristia, per noi cristiani, è il fondamento della fede, è il cuore dell’evangelizzazione, è – direi così – la provocazione prima e ultima, perché parte da lì e ritorna di nuovo lì per annunciare che abbiamo incontrato Gesù Cristo: lì lo avevamo davanti, lì la fede significava tenere fissi i nostri occhi sul Suo Volto, benché nascosto nella specie eucaristica; lì noi abbiamo scoperto che da qualsiasi parte del mondo, possiamo essere distanti nel tempo e nello spazio, ma c’è stato un momento in cui eravamo tutti uniti. Perché Cristo ci teneva uniti, perché la contemplazione, l’adorazione del suo Volto ci teneva uniti!

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    Il Papa incontra i catecumeni. La testimonianza di Francesca: “Con Dio vedo la vita con altri occhi”

    ◊   “Pronti a varcare la Porta della Fede”: è questo il tema dell’incontro di oggi pomeriggio tra Papa Francesco e circa 500 catecumeni provenienti da tutto il mondo in rappresentanza delle persone che da adulte hanno scelto di intraprendere il cammino che le porterà un giorno a ricevere il Sacramento del Battesimo. Roberta Barbi ha raggiunto al telefono Francesca Fiscarelli, una catecumena di Foggia, che ci racconta la sua storia e le emozioni che la accompagnano in questa giornata:

    R. - Sono molto emozionata! Non vedo l’ora di incontrare il Papa. Tre anni fa, insieme a mia sorella, abbiamo deciso di intraprendere questo percorso, così siamo andate dal nostro parroco e abbiamo chiesto se potevamo. Lui ha accettato. Ci ha spiegato che era un percorso lungo, ma è stato molto bello. Mi spiace che sia finito, perché ho scoperto tantissime cose che non conoscevo; mi ha cambiata nel rapporto con la famiglia e con le persone.

    D. - Quando riceverai il Battesimo?

    R. - La notte di Pasqua. È la fine di un percorso, però è l’inizio di una vita nuova come cristiana. Sento già di esserlo, però ovviamente ho bisogno dei Sacramenti.

    D. - Questo incontro con Papa Francesco è un segno. L’Anno della Fede si conclude, ma il Signore ci manda nel mondo ad annunciare il Vangelo e a testimoniare con gioia la nostra fede. Come vivi tutto questo?

    R. - Lo vivo bene. Per me è un segno essere qui, oggi. Io non dovevo neanche esserci, perché ho una bambina che sta poco bene, ma volevo essere qui a tutti i costi. Volevo incontrare il Papa, perché credo mi possa aiutare nel mio cammino e a continuare ad avere fede, a credere nella vita nuova.

    D. - Le domande che domani il Santo Padre farà a 35 di voi riguardano: cosa chiedi a Dio e qual è il dono principale che la fede ti dà…

    R. - Vorrei avere molta fede. Ho una bambina malata a casa, dovevo essere aiutata da qualcuno. E chi, più di Dio, mi può aiutare? Se non sei credente, se non hai fede, non puoi andare avanti... Avendo fede, credendo in Dio, io vedo la vita con altri occhi.

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    Nomina di vicario apostolico in Colombia

    ◊   In Colombia, Papa Francesco ha nominato vicario apostolico di Mitú padre Medardo de Jesús Henao del Río, dell'Istituto per le Missioni Estere di Yarumal, finora maestro dei novizi della sua famiglia religiosa. Mons. de Jesús Henao del Río, M.X.Y., è nato l’8 giugno 1967 a Liborina (Diocesi di Santa Rosa de Osos, Antioquia). Dopo aver frequentato la scuola elementare a Liborina, ha svolto gli studi liceali e quelli filosofici nel Seminario Diocesano San Tommaso d'Aquino a Santa Rosa de Osos. È entrato nell'Istituto per le Missioni Estere di Yarumal il 1° febbraio 1993, proseguendo la formazione nel Seminario del medesimo Istituto. Ha emesso la prima professione religiosa il 3 dicembre 1994. È stato ordinato sacerdote il 4 dicembre 1999 a Medellín. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi pastorali ed amministrativi: (2000) Missionario nella Parrocchia dell’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine a Mitú, (2000-2002) Studi per la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Javeriana a Bogotà, (2000-2006) Cancelliere del Vicariato Apostolico di Mitú e Coordinatore dell'educazione, (2007-2010) Vice Maestro dei Novizi, dal 2010: è Maestro dei Novizi.

    Il Vicariato Apostolico di Mitú (1996), ha una superficie di 54.000 kmq e una popolazione di 40.000 abitanti, di cui 37.000 sono cattolici. Ci sono 9 parrocchie servite da 5 sacerdoti e 8 religiosi, appartenenti all’Istituto per le Missioni Estere di Yarumal , 8 suore e 4 seminaristi maggiori. Il Vicariato Apostolico di Mitú, è vacante dal 2009, a seguito delle dimissioni dal governo pastorale per raggiunti limiti di età di S.E. Mons. Ángel Ramìrez.

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    Tweet del Papa: nei Sacramenti c'è Gesù in noi, per questo è importante confessarsi e comunicarsi

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un nuovo tweet dal suo account @Pontifex: “I Sacramenti sono la presenza di Gesù Cristo in noi. Per questo è importante confessarsi e fare la Comunione”.

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    Siria, morti ad Aleppo per un raid aereo. Gregorio III Laham: la riconciliazione, unica via per uscire dalla crisi

    ◊   Almeno 29 persone sarebbero morte a causa di un'ondata di bombardamenti aerei lealisti su Aleppo e i suoi dintorni: lo denuncia l'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione dell'opposizione in esilio con sede a Londra. Le sanguinose crisi che travagliano la ragione mediorientale sono state, intanto, al centro della Plenaria della Congregazione delle Chiese Orientali che si è conclusa ieri in Vaticano. Nel documento finale si evidenzia la sofferenza e le speranze delle comunità cattoliche, la cui permanenza in Medio Oriente è fortemente penalizzata dagli effetti della guerra in Iraq, dall’attuale situazione in Siria, senza dimenticare l’irrisolta questione israelo-palestinese. Autentica fraternità e paziente riconciliazione devono essere al centro dell’azione delle Chiese cattoliche in vista di un proficuo processo di pace. Ai lavori ha assistito anche Papa Francesco. Xavier Sartre ha intervistato il Patriarca siriano greco-cattolico di Antiochia, Gregorio III Laham:

    R. - Con il Santo Padre abbiamo avuto una conversazione molto semplice, diretta, chiara, aperta, franca. Il Santo Padre ascoltava e ha detto: “non posso immaginare il mondo arabo senza la presenza cristiana”. I cristiani debbono avere un ruolo in questo mondo ed è per questo che noi vogliamo aiutare i cristiani a rimanere, ad essere presenti in Medio Oriente, in Terra Santa, dove l’islam, il cristianesimo e il giudaismo sono a casa e sono nel loro luogo di nascita. I cristiani hanno una presenza e un ruolo. L’altro aspetto affrontato è stato quello dell’apporto degli orientali in Vaticano e come questa attività si possa continuare oggi.

    D. – Cosa ha caratterizzato questa plenaria?

    R. – E’ stata proprio l’apertura totale: si poteva dire tutto, con franchezza, con fratellanza, con amicizia, con affetto. E questo è importante! Possiamo dire che tutti gli aspetti della vita della Chiesa, come l’abbiamo vista proprio in questi giorni, è già impregnata dallo spirito di Papa Francesco. Perciò ringraziamo per questo affetto e per questa cura e attenzione del Santo Padre per la Siria e per la pace in Medio Oriente specialmente. Sentiamo che c’è veramente una reale comprensione delle problematiche vissute in questa regione. Purtroppo alcuni Paesi d’Europa non hanno la nostra visione cristiana e non vogliono ascoltare quello che noi diciamo come cristiani, come capi delle Chiese di Terra Santa, Libano, Siria: non vogliono ascoltarci e vedere come noi capiamo questa crisi e quale possa esserne la soluzione.

    D. – Qual è la vostra posizione al riguardo?

    R. - Noi siamo per la riconciliazione: siamo una Chiesa che deve avere il ministero della riconciliazione. Questa è la garanzia della nostra presenza attuale e anche per il futuro. Quando finirà la crisi e la guerra saremo presenti perché abbiamo lavorato affinché tutti i siriani e tutti gli altri in Medio Oriente siano più aperti gli uni con gli altri.

    D. – Qual è il senso della presenza dei cristiani in Medio Oriente oggi?

    R. - La presenza cristiana in Medio Oriente è una presenza che ha un ruolo e una missione: una presenza cristiana senza missione non ha alcun valore; ma, al contrario, una presenza cristiana con una missione e con un ruolo speciale rappresenta il futuro della presenza stessa di questo gregge piccolo che ha una missione grande per essere luce, sale e lievito nella società del mondo arabo, a maggioranza musulmana, in cui noi abbiamo questo ruolo di essere una presenza cristiana con il mondo arabo e per il mondo arabo, affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Spazi di dignità e libertà: il Papa chiede sostegno e servizi adeguati per gli anziani.

    Un cammino che continua: intervista di Mario Ponzi all'arcivescovo Rino Fisichella sulla conclusione dell'Anno della fede.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, i progressi nel negoziato sul nucleare iraniano.

    Solo la fede vede oltre: in cultura, Inos Biffi sulla regalità schernita di Cristo.

    Atelier dell'anima: Timothy Verdon riguardo al volume "Santa Maria Assunta di Praglia. Storia, arte, vita di un'abbazia benedettina".

    I tanti modi di accogliere l'altro: nell'informazione religiosa, le conclusioni dell'assemblea generale di Religions for Peace svoltasi a Vienna.

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    Oggi in Primo Piano



    Clima: vertice di Varsavia lontano da un accordo. Stallo sui fondi per la riduzione di emissioni

    ◊   Si chiude oggi a Varsavia il vertice sul clima delle Nazioni Unite. Si continua dunque a negoziare, anche se sembra sfumare l’ipotesi di un accordo-quadro in vista della conferenza di Parigi del 2015, nella quale dovrà essere varata la strategia per la riduzione dell'effetto serra che entrerà in vigore nel 2020. Permane, infatti, una spaccatura tra i Paesi europei e quelli in via di sviluppo sui finanziamenti per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Per un’analisi delle ragioni che complicano il negoziato, Marco Guerra ha sentito Antonio Ballarin Denti, professore di Fisica dell’Ambiente all'Università Cattolica del Sacro Cuore:

    R. - Ci sono due ragioni: una è di ordine strutturale, l’altra è legata alla contingenza della crisi. Partendo da quest’ultima, in questi ultimi cinque anni le disponibilità economiche dei Paesi occidentali si sono fortemente ridotte perché è aumentato il debito, è aumentato il deficit e perché al tempo stesso c’è una crisi finanziaria ed economica. Quindi un investimento di risorse per la cosiddetta “mitigazione” - ovvero il taglio delle emissioni che comporta dei sacrifici, degli investimenti da parte del settore industriale e dei trasporti - sta venendo meno e c’è una maggiore difficoltà a prendere degli accordi vincolanti e impegnativi. Il secondo motivo è che ci si sta accorgendo che un’azione concertata di ampio respiro, come richiederebbe il controllo dei fattori che regolano il clima - essenzialmente le sue emissioni nell’atmosfera - richiederebbe un’autorità di governo sovranazionale, e al punto in cui sono le cose, questa autorità manca palesemente. Le Nazioni Unite li possono mettere intorno ad un tavolo e discutere. Ma i singoli Paesi hanno interessi divergenti: i Paesi delle economie emergenti hanno interessi diversi da quelli dell’Europa che a sua volta ha interessi diversi dagli Stati Uniti. E quindi, se non c’è nessuno che impone una soluzione, l’accordo appare lontano.

    D. - Lei conferma che c’è una spaccatura tra Paesi sviluppati che premono per accordi più stringenti e Paesi in via di sviluppo, che in sintesi dicono: “Voi avete inquinato per decenni. Adesso è il nostro momento di crescita…"

    R. - Direi che sostanzialmente questo panorama che si trascina da Kyoto in poi è rimasto invariato. Paesi ed economie emergenti chiedono di poter recuperare il terreno perduto con una maggiore indulgenza verso di loro per ciò che riguarda le tecnologie e quindi la quantità di emissioni. C’è da dire, però, che c’è un aspetto positivo in questo quadro che sembrerebbe abbastanza sconfortante: in linea di principio tutti i Paesi sono d’accordo su due punti chiave. Il primo, che il clima sta realmente cambiando: ormai questo dato è universalmente accettato. Il secondo, che è l’uomo il maggiore responsabile di questa deriva del clima con le sue emissioni. Quindi di fronte a queste due evidenze, in qualche modo, tutti sono chiamati ad esercitare una responsabilità, che in linea di principio dichiarano, ma che nei fatti è difficile da concretizzare in azioni di governo.

    D. - I cambiamenti climatici possono essere fermati o piuttosto ormai bisogna puntare ad un progressivo adattamento della società e dei territori a quelli che sembrano fenomeni sempre più frequenti …

    R. - Il problema dell’adattamento diventa un problema centrale, ma non sostitutivo del problema della mitigazione, quindi della riduzione delle emissioni, e a questo punto un problema di emergenza che tocca soprattutto le aree più vulnerabili del pianeta: l’Africa con la desertificazione, le zone influenzate dai monsoni, l’ambiente montano come quello alpino … Tutte situazioni che richiedono misure di adattamento di tutti i fattori di vulnerabilità - l’ambiente naturale costruito, l’ambiente antropico, la salute dell’uomo, l’agricoltura - in modo che si trovino degli accorgimenti per fare i conti con un clima che comunque cambierà.

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    Obama ricorda l’impronta indelebile di Kennedy sulla storia americana

    ◊   Celebriamo "l'impronta indelebile di Kennedy sulla storia americana": così, si è pronunciato Barack Obama nel giorno del 50.mo anniversario dell’uccisione di John Fitzgerald Kennedy, 35.mo presidente degli Stati Uniti. Obama ha visitato la tomba del suo predecessore ad Arlington, mentre cinquemila persone hanno partecipato alle cerimonie di Dallas, la città dove Kennedy fu assassinato il 22 novembre 1963. Fausta Speranza ha intervistato Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – Diciamo che, nella storia americana, dopo la morte del presidente Kennedy e quindi la morte della speranza, dell’innocenza, gli americani e molti europei sono stati alla ricerca di un nuovo Kennedy e di quello che avrebbe rappresentato. Obama non avrebbe mai potuto dire una cosa diversa da quello che ha detto di Kennedy anche perché il presidente Obama è forse quello che nella storia è stato maggiormente identificato come continuatore della vita e degli ideali di Kennedy. Ideali che, però, alla fine – diciamolo chiaramente – sono stati realizzati non da lui ma dal suo successore, e cioè dal presidente Johnson: molti, però, dimenticano questo "piccolissimo" particolare.

    D. – Ricordiamo questi ideali?

    R. – Gli ideali della "nuova frontiera" si sono trasformati nella "grande società" johnsoniana, cioè i diritti civili per tutti, la difesa della sicurezza nazionale, nel tentativo però sempre di non ledere i diritti dei singoli all’interno degli Stati Uniti. Ciò che Kennedy ha detto, nel suo famoso discorso – e cioè di non pensare a quello che l’America può fare per i cittadini ma l'opposto – é più che altro pensare alla difesa individuale dei cittadini. E questa è una cosa che è stata rilanciata da Kennedy, ma poi sviluppata ed approvata dal presidente Johnson, soprattutto con la legge sui diritti civili e con il diritto di voto ai neri.

    D. – Obama ha reso omaggio alla tomba di Kennedy, nei giorni scorsi, e nel giorno stesso dell’anniversario, però, ha scelto di non essere a Dallas, dove quest’anno si celebra il 50.mo anniversario della morte, mentre ha scelto di incontrare rappresentanti dell’Associazione di volontariato “Peace Corps”. Vogliamo commentare questa scelta?

    R. – Questo è stato forse l’organismo di volontari per la diffusione del benessere nel mondo che rappresenta il segno indelebile, la vera eredità del presidente Kennedy: far sì che i giovani prendessero magari un anno sabatico impegnandosi per almeno un anno per aiutare le popolazioni in difficoltà. Diciamo che quello che fanno le ong oggi sono un po’ le emanazioni dei discorsi pronunciati dal presidente Kennedy.

    D. – Se è vero che Kennedy ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del dopo-John Fitzgerald Kennedy, è anche vero che lui stesso era in continuità con la storia americana, ne era un "prodotto"…

    R. – Assolutamente sì. Lui non è uscito dai canoni della storia americana, né in politica interna né in politica estera, soprattutto in politica estera. Non dimentichiamo che il presidente Kennedy non è stato quello che definiamo un progressista in politica estera, anzi. Ara un cold warrior, un convinto “guerriero” della Guerra fredda, che in più occasioni – ricordo il Vietnam, ricordo Cuba – ha saputo fronteggiare fermamente l’Unione Sovietica come un qualsiasi altro presidente, soprattutto come il suo predecessore, il generale Eisenhower, che sicuramente veniva da una tradizione politica molto diversa da quella di Kennedy, in quanto repubblicano.


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    A Roma Ndc e Italia Popolare. Mazzotta (Sturzo): sì a esperienza politica riferita alla Dottrina sociale

    ◊   Trenta senatori, 29 deputati, sette europarlamentari. E poi il presidente della Regione Calabria, Scopelliti, 16 assessori regionali e 88 consiglieri regionali. Angelino Alfano ha presentato a Roma i numeri del Nuovo centrodestra, riunito per la prima volta dopo la scissione da Forza Italia. Il ministro Lupi ha detto che il 7 dicembre nella Capitale nascerà il nuovo partito. Sempre a Roma, l’assemblea di “Italia Democratica e Popolare”. Per il ministro Mauro, "nascerà certamente una forza politica concepita non come scialuppa ma come cantiere per una nave aperta a tutti coloro che scommettono su un'Italia popolare e non populista, di destra o di sinistra". Alessandro Guarasci ha sentito il parere di Roberto Mazzotta, presidente dell’Istituto Sturzo:

    R. – Al di là dell’utilità di seguire i vari movimenti, che sono poi legati anche a posizioni personali, varrebbe la pena di porsi una domanda e di lavorarci su. In un periodo così duro della vita italiana, non sarebbe un dovere per tutto quel mondo che si richiama alla Dottrina sociale cristiana, che è un corpus organico, dare un contributo in maniera ordinata alla possibilità di tenere insieme questa società che si sta disfacendo? Ecco, io credo che il problema oggi sia questo: far qualcosa di più, di diverso e di dissimile dall’ultimo ventennio.

    D. – Questo vuol dire ricostruire, in qualche modo, una post -Democrazia cristiana o cosa?

    R. – Cercare di vedere se la realtà che ci richiama a quella cultura non è in grado di dare risposte ai problemi più grossi di ordine civile, istituzionale, economico, sociale, quindi di dare un contributo sui problemi e sui comportamenti. E poi vedere quali ricadute politiche può avere tutto questo: se quella di rimettere insieme un’esperienza come quella fatta nel passato, o invece di portare avanti un’esperienza aperta, che non ha una qualificazione limitata al nostro mondo, ma che ha l’anima culturale e concettuale che viene dalla nostra cultura, senza limiti. La Democrazia cristiana ha dato un contributo immenso alla vita di questo Paese, ma in una situazione internazionale e di conflitto politico interno, che oggi non c’è più. Quindi, oggi, bisogna fare qualcosa di diverso, ma bisogna fare qualcosa, perché continuare a guardare in maniera apparentemente distaccata, come se non c’entrassimo niente, un Paese che va alla malora, secondo me qualche responsabilità ce la dà.

    D. – Il bipolarismo, dunque, come l’abbiamo inteso finora, secondo lei, è finito?

    R. – Il bipolarismo per esistere deve avere i poli. Uno sta dichiarando di essere arrivato in porto, se possiamo chiamare “porto” la conclusione. Sull’altro, non scommetterei tantissimo: con il dibattito interno che si sta svolgendo, un certo orientamento della futura segreteria che, peraltro, andrà a una persona molto interessante, quel polo può avere le caratteristiche opportunistiche per restare insieme, ma le caratteristiche politiche no. Francamente, credo siano anche loro alla vigilia della scomposizione. O vogliamo che il sistema politico si disgreghi in gruppuscoli e prevalgano le posizioni di protesta e di disperazione o, se si vuole ricostruire qualcosa di positivo, bisogna ricostruirlo non su una memoria, non su un’aspirazione, ma su dei valori, su dei principi, su dei progetti.

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    Le fragilità di chi ha patito il suicidio di un congiunto al centro di una speciale Giornata

    ◊   Si stima che per ogni suicidio ci siano almeno sei persone coinvolte nel lutto, con conseguenze devastanti e una maggiore predisposizione a compiere a loro volta il gesto estremo. Sono i cosiddetti survivors, i “sopravvissuti”: una popolazione ampia e variegata, ma per lo più sconosciuta, che non sempre trova assistenza. Sensibilizzare su questa tematica e fornire un aiuto concreto, è uno degli obiettivi del Servizio per la prevenzione al suicidio dell’Ospedale romano Sant’Andrea guidato da Maurizio Pompili. In occasione della Giornata internazionale dedicata ai survivors, Antonella Pilia lo ha intervistato su una realtà che affligge anche i più piccoli:

    R. – Ovviamente, portandosi dietro un dramma così importante, possono anche loro ritenere il suicidio una chiave di lettura per porre fine alla loro sofferenza che può divenire insopportabile. Soprattutto, laddove non si può contare sulla comprensione dei servizi sociali e dei servizi di assistenza alla salute.

    D. – Quindi, c’è una diversità di trattamento rispetto a persone colpite da altre tipologie di lutti…

    R. - Ci sono sentimenti molto forti che prevalgono. Per primo, la colpa: “Se solo avessi fatto questo o quest’altro, forse avrei salvato la vita alla persona cara”; poi, c’è la rabbia, la necessità di trovare un sollievo, le immagini ricorrenti dell’evento traumatico. Inoltre, un senso di vergogna perché in qualche modo si è vissuta quell’esperienza del suicidio che la società cerca sempre di nascondere. Poi, lo stigma, un marchio peggiorativo posto su queste persone come se si avesse paura del contagio. Dunque, dall’esterno non c’è la solidarietà. Infine, vi è la ricerca infinita dei perché si è arrivati a questo dramma. Tutti questi elementi sono specifici del lutto riferito al suicidio e dovrebbero essere trattati con massima consapevolezza anche da coloro che devono veicolare l’assistenza.

    D. – Quando ad affrontare questo trauma sono i bambini, cosa può succedere se manca la presenza ed il sostegno dei genitori?

    R. – Non poter contare su una coesione familiare efficace, o sulla presenza di una figura genitoriale appropriata, rende le cose estremamente più difficili. Molte volte i genitori non hanno quella maturità affettiva, anche loro sono traumatizzati dagli eventi esterni. Risentono delle difficoltà dei figli e non sanno apportare un “contenimento” affettivo. In questo caso, se il bambino ha uno scompenso affettivo non riuscirà a superare quella difficoltà, non riuscirà a guardare il domani con fiducia.

    D. – A livello scientifico, la fede può aiutare a superare un evento doloroso come la perdita di un caro?

    R. – Penso fermamente di sì. Credere è sicuramente un sollievo e una chiave di lettura che altrimenti lascerebbe l’individuo in una situazione molto più disastrosa.

    D. – Che tipo di aiuto offrite a queste persone?

    R. – Molte volte cercano una sponda sicura sulla quale riversare la loro drammaticità. Ci raggiungono anche da diverse regioni. Noi li ascoltiamo e forniamo risposte per i cari che hanno perso un loro congiunto nel suicidio. È un momento di sollievo per poter essere compresi e quindi essere anche avviati a percorsi di breve durata, ma di sostegno in cui si rimane in contatto. Percorsi in cui loro stessi partecipano a manifestazioni - come la Giornata internazionale dei survivors - e portano il loro contributo alla prevenzione del suicidio.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nell’ultima Domenica del Tempo ordinario, Solennità di Cristo Re, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù crocifisso viene insultato e deriso. Ma uno dei malfattori appeso alla croce accanto al Signore, gli dice: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». E Gesù risponde:

    «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Dopo aver celebrato nel corso dell’anno liturgico tutto il mistero di Cristo, per far crescere il desiderio del suo ritorno, la Chiesa ci pone davanti, a corona del mistero della Pasqua, una realtà impressionante: un Re e Signore messo in croce, sbeffeggiato e deriso, provocato a scendere per mostrare il suo potere divino, mentre proprio su quello strumento di tortura sta mostrando a tutti la misura del dono di Dio, sta gridando al mondo non solo che Dio c’è, ma cosa sia veramente Dio, di cosa Egli sia capace per amore all’uomo. Dio è questo dono. Dio è questo perdono. Infinitamente dimentico di sé per accogliere l’uomo, anche il più peccatore, l’ultimo, tra le sue braccia. Proprio sulla croce Egli viene con il suo Regno ad aprire quel paradiso che il peccato dei progenitori aveva chiuso. Al malfattore che, crocifisso con lui, gli grida: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”, risponde con libertà ed autorità divina: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. Questa croce, questo atto d’amore infinito, che con tanta superficialità e presunto civismo abbiamo tolto dai luoghi pubblici e dalle scuole, continua ad essere l’unica risposta vera alla sofferenza profonda dell’uomo, continua ad essere la chiamata definitiva di Dio all’uomo a farsi dono, a farsi, come Dio, offerta all’altro. Senza di essa rimane solo l’amarezza degli ultimi, dei poveri, degli sconfitti. Se l’uomo non si fa dono per l’altro, si fa, anche non volente, strumento di tortura. Perché: o sotto la croce ne siamo schiacciati, o sulla croce regniamo con Cristo (come canta la liturgia: “Dio regna dal legno della croce”).

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine: è salito a 5.235 il bilancio dei morti del tifone Haiyan

    ◊   A due settimane dal suo catastrofico passaggio, il tifone Haiyan e' diventato ufficialmente il piu' grave disastro naturale nella storia delle Filippine. Il bilancio delle vittime e' stato oggi portato a 5.235 e promette di peggiorare ulteriormente: oltre 1.600 persone sono infatti ancora disperse, mentre i feriti sono 23.500. Per i sopravvissuti - riferisce l'agenzia Ansa - la situazione sta lentamente migliorando, ma 2,5 milioni di persone continuano a dipendere dagli aiuti alimentari, e la ricostruzione promette di essere lunga. Secondo le cifre fornite dalle autorita' filippine, oltre tre quarti delle vittime riguardano la provincia di Leyte, di cui la capitale Tacloban costituisce il "ground zero" simbolo della strage. Le strade della citta' sono state ripulite dai detriti, ma vaste aree - il 48% del territorio cittadino - sono ancora sotto le macerie, il che fa temere per nuove scoperte di cadaveri. In particolare sulle isole di Leyte e Samar, centinaia di migliaia di persone hanno perso le proprie case. Nell'emergenza, dopo tanta disperazione, si intravedono i primi segnali di luce: nelle aree colpite, molti abitanti hanno iniziato a ricostruire le proprie abitazioni e diversi esercizi commerciali hanno gia' riaperto in un modo o nell'altro. Tuttavia - sottolinea l'Ansa - l'area - tra le piu' povere dell'arcipelago anche prima di Haiyan - rimane devastata in tutta la fascia costiera, dove le onde portate dal tifone hanno spazzato interi quartieri e allagato i terreni agricoli, senza contare che molti di essi sono ancora ricoperti di macerie spazzate dai venti a oltre 300 km/h. Oltre alla perdita di vite, le stime attuali sui danni materiali hanno gia' raggiunto i 274 milioni di dollari. Secondo la Fao, la regione provvede a un terzo della produzione nazionale di riso, e serve uno sforzo di assistenza urgente per garantire una nuova semina prima della fine della stagione adatta. Il governo di Manila ha gia' annunciato che per quest'anno il Paese sara' costretto ad importare riso. La gestione dell'emergenza da parte delle autorita' ha provocato polemiche nelle Filippine, colpite da una ventina di tifoni e tempeste tropicali all'anno ma colte impreparate dalla violenza di Haiyan. Il capo della polizia regionale Elmer Soria, che aveva stimato un bilancio di 10 mila vittime a neanche 48 ore dalla tragedia e prima che arrivassero i soccorsi, e' stato rimosso dal suo incarico dopo le critiche del presidente Benigno Aquino, che ha attaccato anche le autorita' locali. (M.L.)

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    L’Honduras al voto tra sfiducia, minacce e rischio di astensionismo

    ◊   Domani 5 milioni e 300mila honduregni saranno chiamati alle urne per partecipare alla mega tornata di elezioni presidenziali, legislative e amministrative, in cui, oltre al Presidente e ai vari parlamentari, quindi, saranno rinnovati anche diversi Consigli comunali, ma soprattutto la popolazione sarà chiamata a scegliere se proseguire con l’attuale bipartitismo o cambiare decisamente strada. I due partiti favoriti, infatti, sono anche le due forze conservatrici che hanno guidato il Paese negli ultimi 40 anni: il Partido Nacional – attualmente al governo – con Juan Orlando Hernandéz Alvarado, e il Partido Liberal con Mauricio Villeda. I seggi apriranno alle 7 del mattino per chiudersi alle 16 e già due ore dopo il Tribunale supremo elettorale potrà fornire i primi risultati, ma fortissimo è il rischio di astensionismo, sia per il generale clima di sfiducia che si respira, sia perché nella scorsa tornata elettorale, nel 2009, l’affluenza alle urne fu appena del 49.88%. Per questa volta, però, onde evitare che ci siano brogli, il voto sarà monitorato da 12mila osservatori nazionali e 786 stranieri, alcuni anche provenienti dall’Unione Europea. La Chiesa locale ha chiesto più volte alla popolazione – anche attraverso una lettera pastorale firmata dai vescovi - di recarsi alle urne senza paura e di dare il proprio voto non per minaccia né per abitudine, ma con la consapevolezza che serva a cambiare davvero le cose. “Gli honduregni sono stanchi di promesse – ha detto all'agenzia Misna il direttore di Caritas Honduras, padre Gérman Càlix – vogliono risposte concrete a problemi come la povertà o la violenza: il 60% della popolazione, infatti, non riesce a mettere insieme neppure un pasto decente al giorno e abbiamo il tasso di criminalità più alto del mondo”. Nonostante la diffusione della paura e della sfiducia istituzionale, quindi, “è importante votare per trasformare il Paese; è un’opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire”. Le elezioni di domani sono le none nel Paese dal 1980, da quando in Honduras tornò la democrazia dopo quasi un ventennio di dittatura militare. (R.B.)

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    Nicaragua: per i vescovi il Paese non ha bisogno di nessuna riforma costituzionale

    ◊   “Il Nicaragua non ha bisogno di nessun riforma della Costituzione... Non sono riforme necessarie", hanno detto i vescovi del Nicaragua in una comunicato inviato alla agenzia Fides. La dichiarazione pubblicata da mons. Sócrates René Sándigo Jirón, vescovo di Juigalpa e presidente della Cen e da mons. Silvio José Báez, vescovo ausiliare di Managua e segretario generale della Cen precisa: "le attuale proposte sono orientate a favorire lo stabilimento e il perpetuarsi di un potere assoluto a lunga scadenza, esercitato da una persona o da un partito, in modo dinastico oppure tramite un'oligarchia politica ed economica". Nel documento, che è stato consegnato ai parlamentari, si ribadisce che le riforme proposte non comportano per il Paese "nessun beneficio" quindi sarebbe molto più utile e urgente "purificare e rettificare la mentalità e la pratica con le quali si esercita il potere". I vescovi citando la Centesimus Annus, (n.46), ricordano che “una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. In base alla proposta di riforma costituzionale, il presidente Ortega potrebbe cercare la rielezione indefinita e vincere le elezioni al primo turno con un semplice voto di maggioranza, oltre a potere rilasciare decreti esecutivi con forza e validità di legge. L'emendamento concede inoltre maggiori poteri all'esercito, che avrebbe il totale controllo della radio e delle telecomunicazioni, e prevede perfino che gli ufficiali generali potranno ricoprire cariche pubbliche senza rinunciare alla loro carriera militare. Le riforme parziali costituzionali in Nicaragua richiedono per essere accolte due votazioni e l’approvazione di almeno il 60% dei 92 deputati dell'Assemblea nazionale, cioè 56 voti. (R.P.)

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    Africa australe: la famiglia colpita dalla povertà ma anche dai nuovi mass media

    ◊   Anche in Africa i mass media e i social network rischiano di frammentare la vita familiare in tante piccole enclave separate e non comunicanti. È quanto avvertono i vescovi della Inter-regional Meeting of Bishops of Southern Africa (Imbisa), che si sono incontrati nella capitale del Botswana, Gaborone, per la loro 10.ma Assemblea plenaria dedicata quest’anno alla famiglia nell’Africa australe. Nel messaggio conclusivo, inviato all’agenzia Fides, i membri dell’Imbisa ricordano l’importanza per la vita di fede della famiglia “piccola Chiesa”. Dalla loro analisti emerge un quadro composito della famiglia in Africa meridionale, con elementi positivi e negativi. “Dal lato positivo - afferma il documento - “si nota un aumento dei momenti di preghiera familiari e la partecipazione delle famiglie alla Messa” e un incremento del supporto reciproco tra nuclei familiari. Le profonde trasformazioni delle società africane però stanno mettendo in crisi i tradizionali valori africani, notano i vescovi. La disoccupazione e l’inadeguata remunerazione dei lavoratori ha aumento la povertà della popolazione e sta avendo effetti deleteri sulla vita di molte famiglie. Sul piano culturale inoltre, si nota “la distruzione della vita familiare attraverso l’esposizione eccessiva, che in alcuni casi diventa dipendenza, alla televisione e ai sempre più numerosi social media. Si vive in famiglia come in spazi non comunicanti nella stessa casa”. A questo si aggiunge, denuncia l’Imbisa, “la crescente secolarizzazione e la svalutazione del matrimonio attraverso un linguaggio e pratiche legislative e politiche non conformi al matrimonio come sana manifestazione dell’unione di Cristo con la sua sposa, la Chiesa”. Per far fronte a queste sfide l’Imbisa ha adottato un piano d’azione familiare triennale che prevede tra l’altro un’azione di pressione sui governi e le istituzioni per far adottare politiche familiari adeguate, incrementare i posti di lavoro, e migliorare la fornitura di servizi sociali, come sanità e istruzione. (R.P.)

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    Cile: la Chiesa in difesa dell’ambiente minacciato dal progetto Pascua Lama

    ◊   Il vescovo della diocesi di Copiapó, mons. Gaspar Francisco Quintana Jorquera, ha partecipato alla riunione della Commissione incaricata d'investigare sul progetto Pascua Lama e ha evidenziato la mancanza di etica nel comportamento della società canadese Barrick Gold, nella gestione di una iniziativa che ha già generato un danno ambientale irreversibile. A questo riguardo, mons. Quintana ha dato il suo appoggio alle denunce dei cittadini sugli effetti sociali generati da questa società nella Valle del Huasco, situata nella regione di Atacama. "Certamente questo progetto ha diviso la gente. Ha causato una divisione molto dolorosa delle persone che fino adesso hanno vissuto uno stile di vita profondamente aperto e cordiale, ed ora la comunità si è divisa in due gruppi. In pratica, un gruppo ha ricevuto regali dalla società e l'altro, che non è stato mai d'accordo con il progetto Pascua Lama, è stato isolato dalla vita sociale. L’ho constato di persona durante le mie visite alla Valle", ha spiegato il presule in una nota inviata all'agenzia Fides. Il 25 settembre 2013, la Corte suprema cilena ha emesso una sentenza che bloccava i lavori della Barrick Gold, il più grande produttore mondiale di oro. In particolare, in coerenza con la decisione della Corte di appello di Copiapo, è stato richiesto alla Barrick Gold di completare il sistema di gestione idrico di Pascua Lama al fine di rientrare nei criteri imposti dalla Soprintendenza all'ambiente cilena. La decisione della Corte conclude un'azione legale avviata nel settembre del 2012 su istanza di quattro comunità indigene. Barrick Gold si era detta soddisfatta perché la decisione consente il riavvio del progetto Pascua Lama e ha depositato presso le autorità cilene un progetto di gestione delle acque che potrebbe essere completato entro la fine del 2014. Pascua Lama è un progetto minerario situato al confine tra Cile e Argentina a un'altezza variabile tra i 3.800 e i 5.200 metri per sfruttare una delle più grandi riserve mondiali di oro e argento. Le riserve stimate di oro sono di 17.900.000 once e quelle di argento di 676 milioni di once. Questo significa che la miniera potrà essere sfruttata per almeno 25 anni. (R.P.)

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    Sri Lanka: a Colombo si chiude l’Anno della Fede e si apre l’Anno Mariano diocesano

    ◊   Con una Messa solenne nella cattedrale di Santa Lucia a Colombo, i cattolici dello Sri Lanka si apprestano a celebrare la conclusione dell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, ma anche a iniziare, il 30 novembre prossimo, l’Anno Mariano organizzato dall’arcidiocesi. “Maria è il migliore esempio possibile di come si vive una vita nelle fede”, ha detto l’arcivescovo della città, cardinale Malcolm Ranjith, spiegando come questo nuovo Anno dedicato a Maria sia il naturale prolungamento del precedente, in quanto proprio la Vergine, con il suo sì, ha consentito che il piano divino divenisse realtà. L’obiettivo principale dell’iniziativa è un vero rinnovamento spirituale, come ha illustrato il porporato ad AsiaNews: “Aumentare la consapevolezza dei singoli e delle famiglie sulla preghiera, in modo particolare sulla preghiera del Rosario e sui misteri dell’amore di Dio nei confronti dell’uomo”. In proposito l’arcivescovo ha scritto una lettera da inviare in tutte le parrocchie e perciò tradotta nelle tre lingue parlate nel Paese – singalese, tamil e inglese – in cui si annuncia anche l’organizzazione di un pellegrinaggio diocesano nel 2014, dal 14 al 17 maggio, mese mariano per eccellenza, al santuario di Madhu. (R.B.)

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    Singapore. Sfida della Caritas: per capire i poveri, vivete come loro

    ◊   Come si vive con 5 dollari singaporesi (3 euro) al giorno? E voi, sareste capace di farlo? È il senso della nuova campagna lanciata dalla Caritas della città-Stato, che ha chiesto alla popolazione di provare a vivere come la fascia più povera della popolazione. E che in pochi giorni ha raccolto 600mila dollari (circa 350mila euro) in donazioni da parte di chi ci ha provato e ha scoperto "come si vive quando non si è ricchi". Secondo il Dipartimento di statistica, a Singapore vivono più di 105mila famiglie che guadagnano all'incirca 1.500 dollari al mese. Si tratta di 387mila persone che - dopo aver pagato affitti, bollette e rette scolastiche - hanno a disposizione 3 euro al giorno per mangiare, bere e spostarsi. Per aiutarli, la Caritas ha deciso di "provocare" il 90% dei residenti che vive con guadagni ben più alti: "Qualunque cosa pensiate di chi ha meno di voi, sospendete il giudizio. E provateci!". La campagna, grazie anche all'ampia diffusione della stampa locale, è divenuta un successo. Alcune fonti Caritas sostengono che in circa due settimane siano stati raccolti più di 600mila dollari da dare in beneficienza, donati da alcuni che avevano "provato" e raccolto la sfida. Nel testo pubblicato dalla Chiesa si legge: "Quando i singaporesi conoscono una problematica in presa diretta, allora in molti dimostrano di avere cuore. Troppi fra noi vivono chiusi nel proprio mondo: vi invitiamo a uscirne, unitevi a noi contro la povertà. Sarete sorpresi e ispirati, sarete in grado di fare la differenza". (R.P.)

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    Spagna. Appello dei vescovi: svegliare le coscienze per affrontare la crisi di fede

    ◊   “L’Anno della Fede raggiungerà i suoi obbiettivi se ci ha aiutato a svegliare la nostra coscienza sulla grande sfida rappresentata dalla crisi di fede in tante persone, una crisi che colpisce anche noi pastori, consacrati e laici quando veniamo sommersi dalla “mondanità spirituale”, quella che con frequenza è evidenziata da Papa Francesco per ribadire il bisogno di una “conversione pastorale”. Queste le parole del presidente della Conferenza episcopale spagnola, l’arcivescovo Antonio Rouco Varela durante l’Assemblea plenaria che si è conclusa ieri a Madrid. I vescovi spagnoli hanno riflettuto su due eventi di grande rilievo per la Chiesa: la beatificazione dei 522 martiri del XX secolo in Spagna, celebrata ad ottobre, a Tarragona e la prossima pubblicazione del Catechismo “Testimoni del Signore”. Nell’ultima Assemblea di quest'anno, l’episcopato spagnolo ha fatto un analisi della situazione attuale della società, dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, della crisi economica e del grande impegno della Chiesa nel sostenere alle persone più bisognose, soprattutto, in questo periodo di difficoltà per tante famiglie vittime della disoccupazione e le sue conseguenze su ogni aspetto della vita personale e sociale. I vescovi hanno eletto mons. José María Gil Tamayo, nuovo Segretario generale e portavoce della Conferenza episcopale per il quinquennio 2013-2018 e hanno approvato il bilancio del 2013 e le nuove Norme per la formazione dei diaconi permanenti che sono state presentate dalla Commissione episcopale del Clero. Inoltre, hanno incluso nell’agenda della prossima Assemblea Plenaria il progetto di traduzione delle Litanie di Nostro Signore Gesù, Sacerdote e del Santissimo Sacramento; e la richiesta di introdurre nel calendario liturgico spagnolo, l'invocazione di Santa Maria della Mercede. (A cura di Alina Tufani)

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    Dottrina sociale. Mons. Crepaldi: per superare la crisi, una seria riflessione sul lavoro

    ◊   “Le problematiche economiche e finanziarie legate alla crisi non sono solo di carattere economico e finanziario, ma hanno un carattere morale e pongono una domanda di senso”. Lo ha dichiarato l’arcivescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, intervenendo al terzo Festival della Dottrina sociale in corso a Verona. “Per superare questo momento critico - ha precisato - bisogna ripartire da una seria riflessione sul lavoro non per ripetere quanto già affermato dalla Dottrina sociale della Chiesa, ma per applicare quanto essa, con precisione, afferma al riguardo”. Il presule – riporta l’agenzia Sir - ha quindi indicato quattro piste d’azione. Innanzitutto “muoversi verso una contrattazione non più nazionale ma locale per rispondere meglio alle esigenze dei lavoratori e del territorio”; quindi “uscire dalle strettoie dello Statuto dei lavoratori per arrivare a una flessibilità che tenga conto delle trasformazioni del mercato del lavoro e dei diritti di tutti”, “ridurre il cuneo fiscale avendo presente l’urgenza della riforma complessiva del welfare”, “muoversi verso la riduzione della pressione fiscale e della burocrazia”. “In questa prospettiva l’impresa deve sentirsi chiamata a una maggior responsabilità sociale nel territorio”, e “i cattolici in questo contesto - ha concluso - sono chiamati ad agire valorizzando il principio di sussidiarietà con scelte politiche più coraggiose, puntuali ed efficaci”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 327

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.