Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 22/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: serve solidarietà nel mercato, urgente dare lavoro ai giovani
  • Il Papa riceve i rugbisti di Italia e Argentina: verso la meta si corre insieme
  • Dal Papa il premier della Bosnia-Erzegovina, colloquio su crisi e diritti umani
  • Papa Francesco: nel tempio non si va a celebrare un rito ma ad adorare Dio
  • In udienza dal Papa il presidente della Fifa, Blatter
  • Tweet del Papa: Il Regno dei cieli è per chi confida in Dio non nelle cose materiali
  • Il Papa alle Benedettine: Maria, icona più espressiva della speranza cristiana
  • Il Papa alla comunità filippina: nei momenti di dolore non stancatevi di chiedere perché al Padre
  • Chiese orientali. Cristiani dell'area "fortemente penalizzati" da guerre e instabilità
  • Conferenza in Vaticano sull'Alzheimer. Il dott. Carbone: fondamentale sostenere le famiglie dei malati
  • Clima. Stallo a Varsavia, ong lasciano i lavori. Mons. Migliore: ambiente è questione di giustizia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • 50.mo morte JFK. Giovagnoli: interpretò un’epoca, dando speranza a una generazione
  • L'Ucraina sospende le trattative per l’accordo con l’Ue
  • Letta: l'Europa non sia solo rigore, puntare sulla crescita
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine: è di oltre 5.200 morti il bilancio del tifone Haiyan
  • Dottrina sociale: per il card. Maradiaga lo sviluppo sia "umano, non solo sostenibile"
  • Card. Ravasi: "E' necessaria una riflessione sul comunicare della Chiesa"
  • Varsavia: nuova tappa di riconciliazione delle Chiese di Polonia e Russia
  • Dialogo interreligioso: Assemblea mondiale a Vienna di "Religions for peace"
  • Nepal: alle elezioni sconfitti i maoisti. Vincono i democratici del Congress
  • Cina: la Corte suprema dice "no" alle confessioni sotto tortura
  • Sri Lanka. La Chiesa denuncia: minoranza tamil non ha nè diritti nè giustizia
  • Myanmar. Mons. Bo: il dialogo interreligioso è l'unica via per risolvere il dramma Rohingya
  • Card. Onaiyekan: il fiorire di comunità pentecostali non ostacola la Chiesa cattolica in Nigeria
  • Congo. la società civile del Nord Kivu chiede al presidente di consolidare la presenza dello Stato
  • Giordania. Ministro del Turismo alle Chiese: promuovete i pellegrinaggi ai Luoghi Santi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: serve solidarietà nel mercato, urgente dare lavoro ai giovani

    ◊   Troppo spesso la solidarietà è quasi percepita come una “parolaccia” nel mondo dell’economia. E’ quanto affermato da Papa Francesco in un videomessaggio al Festival della Dottrina Sociale, iniziato ieri sera a Verona con un intervento del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga. Il Papa mette l’accento sull’esigenza di uno sviluppo armonico della società che non dimentichi giovani e anziani. Quindi, ribadisce che lavoro e dignità della persona camminano assieme e incoraggia, infine, a sostenere le forme cooperative per creare occupazione. Il tema del Festival, giunto alla sua terza edizione, è “Meno disuguaglianze, più differenze”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    La sfera e il poliedro. Papa Francesco fa un paragone con la geometria per parlare di disuguaglianze e differenze: laddove infatti la sfera può rappresentare l’omologazione come una certa globalizzazione, il poliedro, con le sue sfaccettature, rappresenta invece l’umanità nella sua pluralità. Il Papa rivolge dunque il pensiero ai giovani e agli anziani, osservando che “il riconoscimento delle differenze valorizza le persone, a differenza dell’omologazione” che rischia di scartarle come vorrebbero “logiche produttive” di una “visione funzionalista della società”. Non dobbiamo dimenticare, avverte, che “i giovani e i vecchi portano ciascuno una loro grande ricchezza: ambedue sono il futuro di un popolo”:

    “Non ci può essere sviluppo autentico, né crescita armonica di una società se viene negata la forza dei giovani e la memoria dei vecchi. Un popolo che non ha cura dei giovani, dei vecchi, non ha futuro. E’ per questo che dobbiamo fare tutto quanto è possibile per evitare che la nostra società produca uno scarto sociale e dobbiamo impegnarci tutti per tenere viva la memoria, con lo sguardo rivolto al futuro”.

    Il Papa ricorda il dramma della disoccupazione giovanile, evidenziando che in alcuni Paesi si parla del 40% di giovani senza lavoro:

    “Questa è un’ipoteca, è un’ipoteca per un futuro. E se questo non si risolve presto, è la sicurezza di un futuro troppo debole o un non-futuro”.

    Papa Francesco rivolge così il pensiero al contributo che la Dottrina Sociale della Chiesa può dare in un tempo di crisi economica. E avverte che gli operatori economico-finanziari devono stare attenti a non mettersi a “servire il profitto”, diventando schiavi del denaro:

    “La Dottrina sociale contiene un patrimonio di riflessioni e di speranza che è in grado anche oggi di orientare le persone e di conservarle libere. Occorre coraggio, un pensiero e la forza della fede per stare dentro il mercato, per stare dentro il mercato, guidati da una coscienza che mette al centro la dignità della persona, non l’idolo denaro”.

    E annota che se ci si aiuta a vicenda, “perseguire il bene comune diventa la scelta che trova riscontro anche nei risultati”. “La Dottrina sociale – sottolinea – quando viene vissuta genera speranza” e genera la forza “per promuovere con il lavoro una nuova giustizia sociale”. L’applicazione della Dottrina sociale, soggiunge il Papa, “contiene in sé una mistica”. All’inizio sembra togliere qualcosa, portando fuori dalle regole del mercato. Ma poi crea invece “un grande guadagno”, perché “richiede di farsi carico dei disoccupati, delle fragilità, delle ingiustizie sociali e non sottostà alle distorsioni di una visione economicistica”:

    “La Dottrina sociale non sopporta che gli utili siano di chi produce e la questione sociale sia lasciata allo Stato o alle azioni di assistenza e di volontariato. Ecco perché la solidarietà è una parola chiave della Dottrina sociale. Ma noi, in questo tempo, abbiamo il rischio di toglierla dal dizionario, perché è una parola incomoda, ma anche – permettetemi – è quasi una 'parolaccia'. Per l’economia e il mercato, solidarietà è quasi una parolaccia”.

    Il Papa dedica quindi la parte finale del suo videomessaggio al mondo delle cooperative. Una realtà, confida, che lo appassiona fin da quando a 18 anni, nel 1954, aveva sentito suo padre svolgere una conferenza sul cooperativismo cristiano. Quella delle cooperative, afferma, “è proprio la strada per una uguaglianza” nelle “differenze”, anche se è una strada “economicamente lenta”. Ma, ricorda il Papa, come diceva mio padre “va avanti lentamente, ma è sicura”:

    “Il lavoro è troppo importante. Lavoro e dignità della persona camminano di pari passo. La solidarietà va applicata anche per garantire il lavoro; la cooperazione rappresenta un elemento importante per assicurare la pluralità di presenze tra i datori del mercato”.

    “Oggi – è la riflessione del Papa – essa è oggetto di qualche incomprensione anche a livello europeo”. E tuttavia, afferma, “ritengo che non considerare attuale questa forma di presenza nel mondo produttivo costituisca un impoverimento che lascia spazio alle omologazioni e non promuove le differenze e l’identità”:

    “Oggi, questo è di estrema attualità e spinge la cooperazione a diventare un soggetto in grado di pensare alle nuove forme di Welfare. Il mio auspicio è che possiate rivestire di novità la continuità. E così imitiamo anche il Signore, che sempre ci fa andare avanti con sorprese, con le novità”.

    inizio pagina

    Il Papa riceve i rugbisti di Italia e Argentina: verso la meta si corre insieme

    ◊   Nel rugby, come nella vita, si corre verso la meta. Pregate affinché io e i miei collaboratori possiamo formare una buona squadra e arrivare alla meta. E’ quanto ha affermato stamani Papa Francesco incontrando le nazionali di rugby di Italia e Argentina, alla vigilia della partita in programma domani allo Stadio Olimpico di Roma. Il vostro sport – ha aggiunto il Papa – è “faticoso” e “molto simpatico”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Papa Francesco, tracciando un efficace ritratto del rugby, ricorda il senso autentico di questo sport, una palestra per temprare il carattere:

    “E’ uno sport duro, c’è molto scontro fisico, ma non c’è violenza, c’è grande lealtà, grande rispetto. Giocare a rugby è faticoso, non è una passeggiata! E questo penso che sia utile anche a temprare il carattere, la forza di volontà”.

    Nella personale e appassionata interpretazione del rugby, il Papa non trascura anche dettagli tecnici che sintetizzano le principali dinamiche di questo sport:

    “Ci sono le famose ‘mischie’, che a volte fanno impressione! Le due squadre si affrontano, due gruppi compatti, che spingono insieme uno contro l’altro e si bilanciano. E poi ci sono le azioni individuali, le corse agili verso la meta”.

    La meta, un traguardo nel rugby, anche nella vita diventa un obiettivo raggiungibile se l’impegno individuale si unisce a quello dei "compagni di squadra":

    “Ecco, nel rugby si corre verso la ‘meta’! Questa parola così bella, così importante, ci fa pensare alla vita, perché tutta la nostra vita tende a una meta; e questa ricerca, ricerca della meta, è faticosa, richiede lotta, impegno, ma l’importante è non correre da soli! Per arrivare bisogna correre insieme, e la palla viene passata di mano in mano, e si avanza insieme, finché si arriva alla meta. E allora si festeggia”.

    Dopo aver ricordato il significato della meta, non solo nel rugby, il Pontefice ha aggiunto:

    “Forse questa interpretazione non è molto tecnica, ma è il modo in cui un vescovo vede il rugby”.

    Il Papa ha poi augurato ai rugbisti di Italia e Argentina di mettere in pratica anche fuori dal campo, nella vita, i valori del rugby:

    “Io prego per voi, vi auguro il meglio. Ma anche voi pregate per me, perché anch’io, con i miei collaboratori, facciamo una buona squadra e arriviamo alla meta”.

    L’udienza con le nazionali di rugby di Italia e Argentina segue l’incontro del Papa, lo scorso 13 agosto, con le delegazioni delle squadre di calcio dei due Paesi prima della partita amichevole giocata a Roma:

    “Vedo con piacere che tra l'Italia e l'Argentina ci sono diversi incontri sportivi! Questo è buono, buon segno, segno anche di una grande tradizione che continua tra queste due Nazioni”.

    I capitani delle due squadre hanno consegnato in dono al Papa una pianta di ulivo che domani, all'inizio della partita, sarà piantata simbolicamente sul campo dello stadio Olimpico prima di essere trasferita nei giardini vaticani.

    inizio pagina

    Dal Papa il premier della Bosnia-Erzegovina, colloquio su crisi e diritti umani

    ◊   La situazione attuale e le prospettive della Bosnia Ezegovina hanno impegnato in un cordiale colloquio Papa Francesco e il presidente del Consiglio del Paese slavo, ricevuto questa mattina in udienza e poi intrattenutosi con il segretario di Stato, l’arcivescovo Pietro Parolin, segretario di Stato, da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

    “Gli incontri, svoltisi in un’atmosfera di cordialità, hanno fornito l’occasione – informa un comunicato della Sala Stampa Vaticana – per uno scambio di opinioni sull’attuale situazione in Bosnia ed Erzegovina, sui principali traguardi che attendono il Paese, come pure sugli sforzi per promuovere una società sempre più aperta e rispettosa dei diritti di tutti i cittadini e sulle sfide che l’attuale crisi economica impone di affrontare”. Inoltre, prosegue la nota, è stata “espressa soddisfazione per le buone relazioni bilaterali, di cui l’Accordo di Base del 2006 è un’importante espressione, favorendo la collaborazione fra la Chiesa e lo Stato per il bene comune e lo sviluppo del Paese”. Quindi, conclude il comunicato, la conversazione ha toccato “alcuni temi relativi all’applicazione del suddetto Accordo, come pure al contributo dei cattolici nella società”.

    inizio pagina

    Papa Francesco: nel tempio non si va a celebrare un rito ma ad adorare Dio

    ◊   Il tempio è un luogo sacro in cui ciò che più importa non è la ritualità, ma “adorare il Signore”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina a Casa S. Marta. Il Papa ha posto l’accento anche sull’essere umano che in quanto “tempio dello Spirito Santo” è chiamato ad ascoltare dentro di sé Dio, a chiederGli perdono e a seguirlo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Il Tempio è la casa di pietra dove un popolo custodisce la sua anima davanti a Dio. Ma Tempio sacro è anche il corpo di un singolo individuo, in cui Dio parla e il cuore ascolta. Papa Francesco sviluppa l’omelia su queste due dimensioni, che corrono parallele nella vita cristiana. Lo spunto è venuto dal brano liturgico dell’Antico Testamento, in cui Giuda Maccabeo riconsacra il Tempio distrutto dalle guerre. “Il Tempio – osserva il Papa – come un luogo di riferimento della comunità, un luogo di riferimento del popolo di Dio”, dove ci si reca per molti motivi uno dei quali – spiega – supera tutti gli altri:

    “Il Tempio è il luogo dove la comunità va a pregare, a lodare il Signore, a rendere grazie, ma soprattutto ad adorare: nel Tempio si adora il Signore. E questo è il punto più importante. Anche, questo è valido per le cerimonie liturgiche: in questa cerimonia liturgica, cosa è più importante? I canti, i riti – belli, tutto…? Più importante è l’adorazione: tutta al comunità riunita guarda l’altare dove si celebra il sacrificio e adora. Ma, io credo – umilmente lo dico – che noi cristiani forse abbiamo perso un po’ il senso della adorazione, e pensiamo: andiamo al Tempio, ci raduniamo come fratelli – quello è buono, è bello! – ma il centro è lì dove è Dio. E noi adoriamo Dio”.

    Dall’affermazione scaturisce la domanda, diretta: “I nostri templi – si chiede Papa Francesco – sono luoghi di adorazione, favoriscono l’adorazione? Le nostre celebrazioni favoriscono l’adorazione?”. Gesù – ricorda il Papa, citando il Vangelo odierno – scaccia gli “affaristi” che avevano preso il Tempio per un luogo di traffici piuttosto che di adorazione. Ma c’è un altro “Tempio” e un’altra sacralità da considerare nella vita di fede:

    “San Paolo ci dice che noi siamo templi dello Spirito Santo. Io sono un tempio. Lo Spirito di Dio è in me. E anche ci dice: ‘Non rattristate lo Spirito del Signore che è dentro di voi!’. E anche qui, forse non possiamo parlare come prima dell’adorazione, ma di una sorta di adorazione che è il cuore che cerca lo Spirito del Signore dentro di sé e sa che Dio è dentro di sé, che lo Spirito Santo è dentro di sé. Lo ascolta e lo segue”.

    Certo, la sequela di Dio presuppone una continua purificazione, “perché siamo peccatori”, ribadisce Papa Francesco. Che insiste: "Purificarci con la preghiera, con la penitenza, con il Sacramento della riconciliazione, con l’Eucaristia". E così, “in questi due templi – il tempio materiale, il luogo di adorazione, e il tempio spirituale dentro di me, dove abita lo Spirito Santo – in questi due templi – conclude il Papa – il nostro atteggiamento deve essere la pietà che adora e ascolta, che prega e chiede perdono, che loda il Signore”:

    “E quando si parla della gioia del Tempio, si parla di questo: tutta la comunità in adorazione, in preghiera, in rendimento di grazie, in lode. Io in preghiera con il Signore, che è dentro di me perché io sono ‘tempio’. Io in ascolto, io in disponibilità. Che il Signore ci conceda questo vero senso del Tempio, per potere andare avanti nella nostra vita di adorazione e di ascolto della Parola di Dio”.

    inizio pagina

    In udienza dal Papa il presidente della Fifa, Blatter

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo Henrik Josef Nowacki, nunzio apostolico in Svezia, Islanda, Danimarca, Finlandia e Norvegia, l’arcivescovo Giovanni D’Aniello, nunzio apostolico in Brasile, e il presidente della Fifa, Joseph S. Blatter. Nel pomeriggio, a Casa S. Marta, è prevista l’udienza con il cardinale Fernando Filoni, prefetto per la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: Il Regno dei cieli è per chi confida in Dio non nelle cose materiali

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Il Regno dei cieli è per quelli che pongono la loro sicurezza nell’amore di Dio, non nelle cose materiali”.

    inizio pagina

    Il Papa alle Benedettine: Maria, icona più espressiva della speranza cristiana

    ◊   Maria è la madre della speranza e da Lei nasce l’insegnamento a guardare al domani con speranza, e a non fermarsi all’oggi. E’ il messaggio che Papa Francesco ha consegnato ieri pomeriggio alle Monache benedettine camaldolesi all’Aventino, in occasione della sua visita al monastero di Sant’Antonio Abate, nella Giornata delle Claustrali, dedicata a tutte le comunità di contemplativi. Ad accoglierlo, l’abbadessa suor Michela Porcellato. Dopo la celebrazione dei Vespri, il Papa ha avuto un colloquio privato con le monache. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Maria: icona più espressiva della speranza cristiana. Papa Francesco si rivolge alle Camaldolesi, che lo accolgono nel loro monastero, celebrando la Madonna, Colei che ha conosciuto e amato Gesù come nessun’altra creatura, con il quale ha instaurato un legame di parentela ancora prima di darlo alla luce:

    "Diventa discepola e madre del suo Figlio nel momento in cui accoglie le parole dell’Angelo e dice: 'Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola'. Questo 'avvenga' non è solo accettazione, ma anche apertura fiduciosa al futuro: è speranza! Questo 'avvenga' è speranza!".

    Maria è la madre della speranza. Alle monache che lo ascoltano, e alla loro abbadessa, il Papa ricorda tutti i sì della vita della Vergine, a partire da quello dell’annunciazione, che ne fanno appunto “l’icona più espressiva della speranza cristiana”:

    "Maria non sapeva come potesse diventare madre, ma si è affidata totalmente al mistero che stava per compiersi, ed è diventata la donna dell’attesa e della speranza".

    Il Papa racconta la Maria a Betlemme per la nascita di Gesù, la Maria a Gerusalemme per la presentazione al tempio, la Maria consapevole di come la missione e l’identità di quel Figlio, divenuto Maestro e Messia, superino il suo essere madre e allo stesso tempo possano generare apprensione, così come le parole di Simeone e la sua profezia di dolore. “Eppure – ci dice il Papa – di fronte a tutte queste difficoltà e sorprese del progetto di Dio, la speranza della Vergine non vacilla mai!”:

    "Questo ci dice che la speranza si nutre di ascolto, di contemplazione, di pazienza perché i tempi del Signore maturino".

    Anche nel momento in cui Maria diviene donna del dolore ai piedi della croce, la sua speranza non cede, ma la sorregge nella “vigilante attesa di un mistero, più grande del dolore che sta per compiersi”:

    "Tutto sembra veramente finito, ogni speranza potrebbe dirsi spenta. Anche lei, in quel momento, avrebbe potuto dire, se avesse ricordato le promesse dell’Annunciazione: 'Questo non è vero! Sono stata ingannata!'. E non lo ha fatto".

    Maria ha creduto, la sua fede le ha fatto aspettare con speranza il domani di Dio. Ciò che evidentemente, è la riflessione alla quale conducono le parole di Papa Francesco, oggi l’uomo non riesce a fare:

    "Tante volte io penso: 'Noi sappiamo aspettare il domani di Dio o vogliamo l’oggi, l’oggi, l’oggi?'. Il domani di Dio è per Lei l’alba di quel giorno, primo della settimana. Ci farà bene pensare, a noi, nella contemplazione, all’abbraccio del Figlio con la Madre".

    In conclusione, guardando a quell’unica “lampada accesa al sepolcro di Gesù” che “è la speranza della Madre” e in quel momento anche “la speranza dell’umanità”, il Papa domanda:

    "Nei Monasteri è ancora accesa questa lampada? Nei monasteri si aspetta il domani di Dio?".

    Maria è quindi la testimonianza solida di speranza, presente in ogni momento della storia della salvezza:

    "Lei, Madre di speranza, ci sostiene nei momenti di buio, di difficoltà, di sconforto, di apparente sconfitta, nelle vere sconfitte umane. Maria, speranza nostra, ci aiuti a fare della nostra vita un’offerta gradita al Padre celeste, un dono gioioso per i nostri fratelli, un atteggiamento sempre che guarda al domani".

    Ultimo aggiornamento: 22 novembre

    inizio pagina

    Il Papa alla comunità filippina: nei momenti di dolore non stancatevi di chiedere perché al Padre

    ◊   Nei momenti di dolore, non stancatevi di chiedere “perché” al Signore. E’ quanto ha detto Papa Francesco ieri pomeriggio incontrando, nella Basilica di San Pietro, i pellegrini filippini giunti a Roma da diverse parti del mondo in occasione della benedizione del mosaico di San Pedro Calungsod, Santo filippino canonizzato lo scorso anno da Benedetto XVI. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Ci sono eventi tragici, come il tifone nelle Filippine, che non hanno spiegazioni. Ma in questi momenti di sofferenza – ha detto Papa Francesco - non bisogna stancarsi, come i bambini, di chiedere perché:

    “Quando i bambini incominciano a crescere non capiscono le cose e incominciano a fare domande al papà o alla mamma: 'Papà, perché? Perché? Perché?'… Perché il bambino non capisce. Ma se noi stiamo attenti vedremo che il bambino non aspetta la risposta del suo papà o della sua mamma… Il bambino ha bisogno in quell’insicurezza che il suo papà e la sua mamma lo guardino. Ha bisogno degli occhi dei suoi genitori, ha bisogno del cuore dei suoi genitori”.

    Chiedere perché, non spiegazioni, ma soltanto che il Padre ci guardi. E’ questa, nei momenti di dolore, la domanda centrale di quella che il Papa definisce la “preghiera del perché”:

    “In questi momenti di tanta sofferenza non stancatevi di dire: 'Perché?'. Come i bambini… E così attirerete gli occhi del nostro Padre sul vostro popolo. Attirerete la tenerezza del papà del cielo su di voi. Come fa il bambino quando chiede: 'Perché? Perché?'”.

    Il Papa ha infine ribadito la propria vicinanza al popolo delle Filippine:

    “Anche io vi accompagno, con questa preghiera del perché”.

    Prima del discorso del Santo Padre, il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, ha ricordato la figura di San Pietro Calungsod e insieme la devastazione provocata dal tifone che ha flagellato le Filippine. Il popolo – ha affermato il porporato - è rimasto saldo nella fede, mosso dalla preghiera e dalla solidarietà:
    “Vediamo la fede sorgere dalle rovine. La speranza dalle calamità non può essere distrutta. E vediamo l’amore che è più forte dei terremoti e dei tifoni”.

    Ultimo aggiornamento: 22 novembre

    inizio pagina

    Chiese orientali. Cristiani dell'area "fortemente penalizzati" da guerre e instabilità

    ◊   La geografia dei cristiani in Medio Oriente ha i confini del dramma, dovunque la si guardi in questo momento storico. Lo evidenzia la Congregazione per le Chiese Orientali, nel comunicato conclusivo dei lavori iniziati martedì scorso e terminati oggi, alla presenza dei massimi responsabili dei vari riti dell’Oriente cattolico. I cristiani in Medio Oriente, si legge nel comunicato del dicastero, sono “fortemente penalizzati dagli effetti della guerra in Iraq, dall’attuale situazione in Siria, senza dimenticare l’irrisolta questione israelo-palestinese e il travaglio per la rinascita di un Egitto plurale”. La loro condizione di sofferenza si intreccia con il fenomeno migratorio che oggi e nel passato ha portato molti cattolici del Medio Oriente a radicarsi in Nord e Sud America, in Canada e in Australia, imponendo la necessità che i capi delle Chiese Patriarcali e Arcivescovili maggiori possano esserlo, si sottolinea, “realmente ovunque siano i loro figli, oggi ben oltre i confini considerati ‘propri’, e con le proprie rispettive tradizioni e discipline”. Una situazione che ha posto in rilievo, durante la Plenaria, il bisogno che siano “pensate e progressivamente sviluppate strutture amministrative ecclesiali proprie che, nel contesto della nuova evangelizzazione, animino secondo la propria tradizione spirituale e liturgica la vita delle numerose comunità nei Paesi di occidente”.

    Nel comunicato conclusivo, si fa cenno anche alla dimensione ecumenica, nel cui contesto si auspica possa essere sempre presente un “atteggiamento fecondo di autentica fraternità” e di “paziente riconciliazione in presenza di ferite storiche o più recenti (si pensi ai Paesi dei regimi ex-sovietici)”. Circa il dialogo interreligioso, invece, le Chiese orientali notano come esso sia vissuto “testimoniando la carità nel campo dell’assistenza e della formazione, per il bene di tutte quelle Nazioni nelle quali i cristiani sono cittadini ab origine, fin dagli inizi dell'evangelizzazione, prima di altri popoli e confessioni religiose”.

    La plenaria aveva avuto al centro dei lavori una riflessione sul Vaticano II a mezzo secolo dalla sua conclusione. A venire alla luce dalla riflessione comune è stato soprattutto “il valore della diversità nell’unità, che ha nella comunione delle Chiese Orientali con il Vescovo di Roma l’esempio di “una ricchezza la cui luce non solo non deve venire offuscata, ma ancora e sempre più in profondità – è l’augurio – va conosciuta dagli stessi loro figli, oltre che da Pastori e fedeli latini”. In un clima “unanimemente apprezzato per la sua armonia”, i lavori della Plenaria hanno pure affrontato il tema della sinodalità. Pur con le dovute differenze dal punto di vista canonico, si può affermare – osserva il comunicato – che “l’esperienza della sinodalità, così radicata nella tradizione orientale, abbia mostrato la sua fecondità come metodo di lavoro, sempre in quella tensione positiva al dialogo con il Pastore Universale”, messa in luce da Papa Francesco nell’udienza di ieri ai partecipanti.


    inizio pagina

    Conferenza in Vaticano sull'Alzheimer. Il dott. Carbone: fondamentale sostenere le famiglie dei malati

    ◊   Secondo giorno di lavori, oggi, alla Conferenza internazionale del Pontifico Consiglio per gli Operatori Sanitari, in corso fino a domani in Vaticano. “La Chiesa al servizio della persona anziana malata: la cura delle persone affette da patologie neurodegenerative”, questo il titolo della riunione che vede la partecipazione di numerosi esperti di tutto il mondo. Debora Donnini ha intervistato il prof. Gabriele Carbone, responsabile del Centro Demenze–Unità Alzheimer presso l’Italian Hospital Group a Guidonia:

    R. – Sicuramente, tra le varie forme di demenza la malattia di Alzheimer è quella più frequente nell’anziano. Nel mondo ne sono colpiti almeno 35-36 milioni; in Europa 7 milioni e mezzo. Sono cifre, queste, destinate ad aumentare poiché la malattia di Alzheimer è strettamente correlata all’età: aumentando il numero di anni di vita più facilmente si può sviluppare questo tipo di demenza. In Italia sono oltre un milione i malati con demenza e almeno la metà è affetta da malattia di Alzheimer. Si è valutato che, nel mondo, viene fatta una nuova diagnosi di demenza ogni quattro secondi. Questo ci fa capire perché questa patologia è stata chiamata l’epidemia silente del terzo millennio e, addirittura, adesso si comincia a parlare di pandemia del terzo millennio per i numeri estremamente alti che sono - come dicevo prima - destinati a raddoppiare e addirittura a triplicare da qui al 2050.

    D. - Si sa qual è la causa della malattia di Alzheimer?

    R. - No. Ancora oggi la causa, in maniera precisa, non è stata identificata. Le ipotesi essenzialmente sono tre: si pensa ad una carenza di acetilcolina, che è l’ipotesi più antica; più recentemente è stata, invece, chiamata in causa la deposizione di una sostanza, che è la sostanza amiloide e di un’altra sostanza, che è la proteina Tau. La malattia è stata definita una malattia da misfolding proteico, cioè da alterata frammentazione di alcune proteine. In una piccola percentuale di casi c’è una ereditarietà, ma la maggior parte sono considerate forme sporadiche. In realtà è una malattia multifattoriale: insieme con la predisposizione genetica, devono poi intervenire una serie di fattori ambientali perché la malattia si verifichi. Oggi si avvicina sempre di più la malattia di Alzheimer, come fattore di rischio, ad altre forme di demenza, come le demenze vascolari. Tant’è che l’ipertensione, il diabete, l’ipercolesterolemia sono considerati fattori di rischio per la malattia di Alzheimer.

    D. - Come aiutare, da un punto di vista medico, questi pazienti?

    R. - Ci sono farmaci, ma sono farmaci sintomatici. E’ ovvio che prima viene iniziata la terapia e più ci sono possibilità che questi farmaci abbiano effetto. Accanto a questi farmaci sintomatici, c’è molto spazio per gli interventi riabilitativi: non nel senso di una restituzione alla salute, ma sicuramente nell’abilitare nuovamente il paziente in attività che lui sta perdendo.

    D. - Quanto è importante per questi malati sentire l’affetto della famiglia, visto che questa è una malattia che poi, di fatto, coinvolge la famiglia?

    R. - E’ il luogo che io ritengo migliore in cui questo malato può stare, perché la patologia comporta disturbi cognitivi, disturbi di memoria, disturbi di orientamento. Quindi, immaginate il malato che viene tolto dai suoi affetti per essere portato anche nella migliore struttura del mondo, ma a lui estranea… E’ importante sostenere la famiglia, perché la famiglia conosce meglio di tutti il malato. E’ importante sostenerla anche perché la malattia è lunga: può avere decorsi anche fino a 15 anni. La famiglia ha bisogno di essere sostenuta sia con attività di formazione, ma anche con supporto psicologico.

    D. - Ma oggi lo Stato supporta le famiglie?

    R. - Purtroppo ancora molto poco, ma non in Italia, nel mondo. A livello di Servizi Sanitari Nazionali c’è una situazione cosiddetta “a macchia di leopardo”: ci sono regioni, asl che sono molto bene organizzate e hanno servizi integrati per questi malati, in modo da poterli seguire in qualsiasi fase della loro patologia. Qui nel Lazio, a Guidonia, dove io lavoro, siamo riusciti a creare un sistema integrato di servizi, che permette il ricovero nelle fasi di scompenso della malattia e la possibilità di seguirli a domicilio per affiancare, appunto, la famiglia nel processo assistenziale.

    inizio pagina

    Clima. Stallo a Varsavia, ong lasciano i lavori. Mons. Migliore: ambiente è questione di giustizia

    ◊   “I cambiamenti climatici sono una questione di giustizia ed uguaglianza”: così mons. Celestino Migliore, nunzio apostolico in Polonia e capo delegazione della Santa Sede alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si chiude oggi a Varsavia. Nel suo intervento, pronunciato ieri pomeriggio, mons. Migliore ha sottolineato la necessità di un’azione immediata e comunitaria per una revisione “profonda e lungimirante dell’attuale modello di sviluppo, in modo da correggerne disfunzioni e deviazioni”. Un’azione necessaria, ha aggiunto il presule, non solo dal punto di vista ecologico ed energetico, ma anche a causa dello “scandalo della fame e della povertà estrema”. Di qui, l’accento posto da mons. Migliore sul “rispetto della dignità di ogni persona umana”, così come su determinati principi etici: la promozione del bene comune, l’attenzione e la tutela dei poveri e dei giovani, lo sviluppo di un autentico spirito di solidarietà.

    In questo mondo, ha detto ancora il rappresentante della Santa Sede, “basandosi sulla centralità della persona umana, la giustizia sociale e l’equità”, sarà possibile “sviluppare politiche adeguate a tutti i livelli”, affinché “l’equità sia la pietra miliare di ogni accordo”. Mons. Migliore ha poi ricordato alcune soluzioni pratiche da attuare concretamente, tra cui la protezione dello stato dell’ozono e la differenziazione degli standard per i Paesi sviluppati e per quelli in via di sviluppo, da assistere anche finanziariamente. Tuttavia, evidenziando come “le soluzioni tecniche siano necessarie, ma non sufficienti”, il presule ha richiamato l’importanza dell’informazione e dell’educazione, insieme alla “salvaguardia delle condizioni morali per un’autentica ecologia umana”. “La tutela del Creato e dell’educazione – ha detto mons. Migliore – sono indissolubilmente legate a un approccio etico nei confronti dell’economia e dello sviluppo sostenibile”. Quindi, il nunzio apostolico ha concluso il suo intervento sottolineando che “i cambiamenti climatici comportano una responsabilità comune nei confronti dell’intera famiglia umana, specialmente verso i poveri ed i giovani”.

    La Conferenza di Varsavia avrebbe dovuto contribuire al raggiungimento, nel 2015, di un accordo globale sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Ma i veti incrociati dei Paesi ricchi e delle nazioni più povere ha portato ad uno stallo. Per questo, ieri sei Ong – Greenpeace, Oxfam, Action Aid,Confederazione internazionale sindacati e Amici della Terra – hanno abbandonato la Conferenza prima della sua conclusione, in segno di protesta. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Uguaglianza nelle differenze: video messaggio di Papa Francesco per il terzo festival della dottrina sociale.

    La preghiera del perché: il Pontefice a un gruppo di filippini.

    Quelli che sanno aspettare: alle monache camaldolesi il Papa indica Maria come modello di speranza.

    Non mi faccio prete per il complimento: Ezio Bolis sul sacerdote secondo Angelo Giuseppe Roncalli.

    “Nello’oceano francescano”: Daniele Solvi riguardo a un nuovo studio delle fonti sul Poverello di Assisi.

    Kiev sospende la firma di associazione all’Ue.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    50.mo morte JFK. Giovagnoli: interpretò un’epoca, dando speranza a una generazione

    ◊   Un “crimine ignobile” che “ci lascia profondamente scioccati”. Con queste parole, Paolo VI accoglieva la notizia dell’uccisione a Dallas del presidente americano John F. Kennedy, il 22 novembre di 50 anni fa. Nelle parole di Papa Montini - che aveva incontrato Kennedy il 2 luglio del ’63 - sono sintetizzati i sentimenti prevalenti in tutto il mondo subito dopo la tragica morte di JFK. “Questo – ha affermato, dal canto suo, Barack Obama – è il giorno in cui celebrare l'impronta indelebile di Kennedy sulla nostra storia”. Il presidente Usa, che martedì aveva deposto una corona di fiori alla tomba di Kennedy ad Arlington, non sarà tuttavia alla commemorazione in programma oggi a Dallas. A mezzo secolo di distanza, nonostante il giudizio contrastante degli storici sulla sua amministrazione, Kennedy resta un esempio di leadership carismatica capace di generare speranza al di là dei confini della politica. Sul significato che assunse all’epoca l’uccisione di Kennedy e l’attualità della sua figura, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Agostino Giovagnoli, docente di Storia Contemporanea all’Università Cattolica di Milano:

    R. – È stato il primo presidente cattolico degli Stati Uniti e questo aveva costituito una sorta di grande novità, di grande speranza, di grande attesa per i cattolici di tutto il mondo. Paolo VI, che aveva incontrato Kennedy pochi mesi prima, rimase profondamente turbato da questo evento che sembrava in qualche modo incrinare quelle speranze dei primi anni ’60, all’interno dei quali si colloca anche l’elezione dello stesso Paolo VI e le speranza che hanno accompagnato l’inizio del suo Pontificato.

    D. – Questo anche perché Giovanni XXIII, come poi Paolo VI, guardavano con simpatia all’azione dell’amministrazione Kennedy rispetto ai diritti civili dei neri. Lo stesso Paolo VI lo aveva detto, nel discorso a Kennedy, il 2 luglio del ‘63…

    R. – Certamente. Proprio in un discorso del giugno ’63, pochi giorni prima di incontrare Paolo VI, Kennedy pronunciò un discorso molto importante sugli studenti neri dell’Alabama che erano stati esclusi dall’università. Fece un radiomessaggio nazionale, molto forte e molto incisivo, in difesa del diritto di questi ragazzi di iscriversi all’università. Si è criticato Kennedy perché è stato “uomo di parola e poco di fatti”, ma - a parte la brevità della sua presidenza - credo che bisogna rivalutare le parole, perché ci sono parole che sono più importanti dei fatti! Kennedy è stato un uomo che ha saputo dire parole importanti per interpretare le attese, le speranze e la volontà di cambiamento del mondo proprio nel suo tempo.

    D. – Poi, ovviamente, c’è quella stagione breve, intensa e drammatica della crisi di Cuba, con questo rapporto a distanza con Giovanni XXIII, che per altro voleva ricevere Kennedy nel luglio del ’63 ma morì a giugno e ci fu il Conclave in mezzo... Fu regalata a Kennedy la Pacem in terris autografata da Papa Roncalli. Questo dono post mortem commosse anche molto lo stesso Kenney…

    R. – Non c’è dubbio. La Pacem in terris è strettamente legata all’evento di Cuba. L’idea di scrivere un’Enciclica interamente dedicata al tema della pace nasce proprio dalla crisi di Cuba. E a questa crisi il Papa non fu estraneo: Giovanni XXIII fu coinvolto in quella crisi, fu coinvolto pubblicamente e le parole che egli disse per la pace sono note. Fu coinvolto anche per via diplomatica, perché proprio a nome di Kennedy fu contattata la Segreteria di Stato, e fu sollecitato l’intervento del Papa e quell’intervento ci fu. Dunque, forse, dobbiamo anche a Giovanni XXIII se poi la guerra non è scoppiata durante la crisi di Cuba. Credo che Kennedy fosse grato al Papa per questo suo intervento.

    D. – Man mano che passano gli anni, escono documenti e le valutazioni degli storici si fa a volte più severo nei confronti dell’amministrazione Kennedy, anche se ovviamente il giudizio rimane sempre incompleto perché è una vita “incompiuta”, quindi anche politicamente “incompiuta”. Tuttavia, il mito, l’immagine di John Kennedy resta quasi intoccabile, intangibile nonostante revisionismi, scandali… Perché secondo lei?

    R. – Perché credo che effettivamente Kennedy abbia rappresentato la voce della speranza. Non è solo merito suo, ovviamente… Ha però saputo interpretare un’epoca, un’attesa, una volontà di cambiamento che era molto forte. Naturalmente, il bilancio della presidenza Kennedy presenta luci ed ombre, ma questo è normale. Qualunque vicenda politica presenta luci ed ombre. Piuttosto, oggi vedo in atto un tentativo “minimalista” che è quello di banalizzare tutto: per cui non si parla tanto di Kennedy come uomo politico, ma della sua vita privata, i gossip… E’ un minimalismo che rispecchia un po’ i nostri tempi, tempi “avari di visioni” come diceva Giovanni Paolo II. Per questo, credo che ci faccia bene ricordare Kennedy, non per farne un mito ma per ricordare che si può anche non essere minimalisti ed avere grandi visioni.

    inizio pagina

    L'Ucraina sospende le trattative per l’accordo con l’Ue

    ◊   Clamore e preoccupazione per la decisione dell’Ucraina di sospendere la preparazione della firma dell'accordo di associazione con l’Ue, a una settimana dalla firma prevista. Il governo di Kiev ha motivato questa scelta con la necessità di “rilanciare i rapporti economici con la Russia”. L'associazione alla Ue è infatti al centro di una partita tra Bruxelles, Mosca e Kiev, con la Russia che minaccia ritorsioni economiche per condizionarne l’esito. Per un’analisi della vicenda, Marco Guerra ha intervisto Fulvio Scaglione, vice-direttore di Famiglia Cristiana ed esperto di questioni dell’Est Europa:

    R. - Sarebbe sbagliato impostare la questione del mancato accordo tra Unione Europea e Ucraina semplicemente come una questione di “politica politicata”. Intanto, ritengo che sia stato un errore abbastanza grave da parte dell’Unione Europea porre come condizione per l’associazione dell’Ucraina la liberazione della Timoshenko, perché la Timoshenko è il simbolo di una stagione politica che non è quella attuale dell’Ucraina. Porre questa precondizione sulla Timoshenko, significava in pratica squalificare in partenza l’attuale regime ucraino. In secondo luogo, credo che non si debba sottostimare il rapporto tra l’Ucraina e la Russia. La Russia recepisce il 23 per cento delle esportazioni dell’Ucraina e contribuisce con il 20-21 per cento alle importazioni dell’Ucraina; quindi c’è un legame economico molto solido, oltre a un legame culturale etnico perché tutta la parte Est dell’Ucraina è in realtà costituita di popolazione russofona. Quindi, secondo me, la partita è complicata e non è solo condizionata dal fatto che Putin minacci o non minacci determinate ritorsioni.

    D. - L’integrazione europea rimane un obbiettivo del governo di Kiev, ma il rilancio delle relazioni con Mosca è una priorità …

    R. - Per l’Ucraina sarebbe un grande risultato collegarsi in qualche modo all’Unione Europea, perché lo stesso ragionamento che si faceva prima si può fare anche al contrario: tutta la parte Ovest dell’Ucraina è molto proiettata verso l’Europa; anche dal punto di vista economico: è la parte più moderna del Paese. La pulsione filoeuropea dell’Ucraina presto o tardi dovrà, in qualche modo, essere considerata e soddisfatta proprio da parte dei dirigenti ucraini. Certamente questa è una partita che non può pretendere di essere giocata senza la Russia. La Russia ha, a sua volta, una partita aperta nei rapporti con l’Unione Europea: c’è tutta la questione delle forniture energetiche … ci sono tanti discorsi complessi. L’Ucraina in questo momento è un po’ il fulcro di tutti questi discorsi che non possono essere dipanati semplicemente con un dialogo bilaterale.

    D. - Quali mosse bisogna aspettarsi da parte di Bruxelles? Resterà a guardare?

    R. - Credo che questa partita non sia chiusa qui. Non viviamo più in un mondo in cui possono essere universi separati. L’Unione Europea ha bisogno di un corretto rapporto con la Russia, e la Russia non può immaginare di "alienarsi la gallina dalle uova d’oro" quanto a commesse, e soprattutto forniture per l’energia, che è appunto l’Unione Europea. L’Ucraina è in mezzo a questi due colossi e dovrà trovare una maniera di convivere con entrambi. Questa è una partita a tre, e come tutte le partite a tre è particolarmente complicata, ma non credo assolutamente che quello che è successo abbia chiuso il discorso.

    inizio pagina

    Letta: l'Europa non sia solo rigore, puntare sulla crescita

    ◊   Enrico Letta rilancia l’idea di un’Europa che non sia solo riforme. Parlando all’assemblea di Fedecarcasse a Roma, il premier italiano ha detto che ''Sul fronte europeo per alcuni ayatollah del rigore questo non è mai abbastanza, ma di troppo rigore l'Europa finirà per morire”. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Prima di volare a Berlino per vedere economisti e uomini della finanza tedeschi, Letta incontra le banche del credito cooperativo. E le ringrazia per “il lavoro di resistenza alla crisi svolto" sul territorio. Poi, sul fonte dei conti pubblici, il presidente del Consiglio ribadisce che non si deve spingere sul debito e che comunque ora i conti dell’Italia sono in ordine:

    "La legislatura europea che inizia con il maggio dell'anno prossimo, con le prossime elezioni europee e con il semestre di presidenza italiana, sia la legislatura della crescita e non la legislatura della sola austerità, quale è stata quella che abbiamo vissuto in questi cinque anni e che stiamo vivendo ancora adesso".

    Il sistema finanziario in questo quadro è fondamentale. Dunque, bisogna dare più potere alla Banca Europea degli Investimenti e, secondo Letta, far sì che il tasso sui bond italiani a dieci anni sia sotto il 3%. Il presidente di Federcasse Alessandro Azzi chiede riforme a 360°:

    "Siamo tutti chiamati a un rinnovato impegno: anche i cittadini, anche le imprese, anche gli intermediari creditizi. Noi, come Banche di credito cooperativo, sentiamo forte questo dovere di cittadinanza verso le nostre comunità e verso il nostro Paese".

    Il sistema del credito cooperativo ha retto bene durante la crisi. Nei primi sei mesi dell'anno, la raccolta complessiva è aumentata del 5,5%.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine: è di oltre 5.200 morti il bilancio del tifone Haiyan

    ◊   Nuovi dati appena diffusi dalle autorità portano a 5.209 il numero dei morti causati dal passaggio del tifone Haiyan sulle Filippine centrali l’8 novembre. Il Consiglio nazionale per la gestione e la riduzione del rischio dei disastri – la protezione civile filippina – ha confermato altresì che la maggior parte delle vittime provengono dall’isola di Leyte, in particolare dalle città di Tacloban e Palo. Un dato - riporta l'agenzia Misna - che non contrasta quello diffuso solo poche ore fa dal ministro dell’Interno Mar Roxas, che aveva indicato 4.919 vittime ma solo per le Visayas orientali. Si tratta dalla regione più colpita dal disastro, ma anche le grandi isole di Mindoro e Palawan, come pure alcune aree di Luzon, dove si trova la capitale Manila, sono state interessate dal super-tifone. Il ministro ha anche confermato che il numero delle vittime continuerà a salire, con sempre nuove notizie di ritrovamenti che provengono dalle squadre di soccorso e recupero in aree via via aperte dai soccorsi. Mentre resta sostanzialmente stabile a 1.582 la conta dei dispersi, salgono i feriti registrati, arrivati a 24.716. Dieci milioni i filippini complessivamente interessati dalla devastazione e di questi quattro milioni sono senzatetto. I filippini colpiti dal tifone Haiyan iniziano con fatica la ricostruzione grazie all'aiuto materiale e morale dei propri concittadini anche quelli più poveri o già colpiti in passato da catastrofi naturali. Intervistato dall'agenzia AsiaNews, Elias Jason Tolentino, responsabile della comunicazione per la Caritas filippina, racconta che "la tragedia non ha distrutto la speranza della popolazione, che in poche ore ha assistito impotente alla morte dei propri familiari, alla distruzione delle proprie abitazioni". Tolentino sottolinea che senza la carità e la fede della gente nessuna ricostruzione sarebbe possibile. (R.P.)

    inizio pagina

    Dottrina sociale: per il card. Maradiaga lo sviluppo sia "umano, non solo sostenibile"

    ◊   A due anni dal 2015, termine previsto per i “Millennium goals”, “la povertà non è stata dimezzata come si era auspicato. D’altra parte la povertà non si può ridurre solo con misure monetarie, non è una questione che riguarda solo il reddito perché questo non può riassumere la somma totale della vita umana”. Così il card. Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, dopo il videomessaggio di papa Francesco, ha iniziato il suo intervento ieri sera in apertura del 3° Festival della Dottrina Sociale, in corso a Verona sul tema “Meno disuguaglianze, più differenze”. “Il Fondo monetario internazionale - ha proseguito il cardinale - dice che lo sviluppo è sostenibile in base a cifre economiche. Ma l’essere umano non è una cifra, dov’è? Lo sviluppo non può essere solo crescita economica ma deve rispondere alla domanda di una vita integrale dignitosa per ogni uomo in ogni luogo”. Si tratta, ad avviso del card. Mariadaga, di realizzare quella giustizia sociale “che risponde a tre valori irrinunciabili per la persona umana: mantenimento della vita, stima e libertà”. In questa prospettiva “la Dottrina sociale della Chiesa ricorda che la giustizia sociale si realizza tenendo conto della dimensione strutturale dei problemi” e operando per la loro soluzione che deve venire da “un permanente e forte legame tra la dimensione etica e la dimensione tecnica dell’economia”. Intervenendo sul tema dell’austerità, di stretta attualità in Europa, Maradiaga ha ricordato che “non è in se stessa una cosa cattiva ma oggi, per l’interpretazione che ne viene fatta in ambiti politici ed economici, è diventata una parolaccia”, complici “le misure di austerità” adottate, che “hanno provocato un’accelerazione della disuguaglianza con un aumento della povertà”. Anche a questo riguardo la Dottrina sociale della Chiesa indica “la direzione e i contenuti” della crescita. Il cardinale ha parlato anche dei problemi dell’America Latina, sottolineando che in questa realtà “non si parla più del prodotto interno lordo, ma di prodotto interno criminale e questo è triste.” A proposito dell’agire della Chiesa, il cardinale ha affermato che “evangelizzare lo sviluppo umano è la grande sfida”. Per concretizzare questo impegno “le associazioni sono fondamentali” e la loro presenza al Festival è un segno molto eloquente della responsabilità che esse si assumono oggi nella società”. Infine un riferimento alla complementarietà tra etica ed economia; al riguardo il cardinale ha richiamato l’esigenza di “riaffermare che la morale è parte costitutiva della vita economica” e “non basta che cresca il Pil che è fondato sulle cifre. Lo sviluppo, infatti, non può essere solo sostenibile, deve essere umano e sostenibile. Solo uno sviluppo umano sostenibile ed equo garantisce il progresso dei popoli e la crescita umana della persona”. (R.P.)

    inizio pagina

    Card. Ravasi: "E' necessaria una riflessione sul comunicare della Chiesa"

    ◊   “È necessaria una riflessione di ordine generale sul comunicare nella Chiesa”. Lo ha detto il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, intervenuto all’incontro con i giornalisti tenutosi questa mattina presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (Lumsa) su “Comunicazione e verità nell’era di Papa Francesco”. L’evento - riferisce l'agenzia Sir - alla presenza del rettore dell’Ateneo Giuseppe Dalla Torre, ha costituito in un certo senso il prodromo della cerimonia di conferimento al cardinale della laurea honoris causa in Scienze della comunicazione, svoltasi poco dopo in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico 2013 - 2014. Nella cultura contemporanea, afferma il porporato, “esiste una crisi della comunicazione” mentre “l’eccesso di comunicazione rischia di diventare negazione della comunicazione”. Per Ravasi “è necessaria una riflessione di ordine generale sul comunicare nella Chiesa” perché “c’è un capitolo critico che bisogna avere coraggio di affrontare”. Con riferimento ai recenti “casi gravi” che hanno coinvolto l’istituzione ecclesiale, “arroccarsi in formule di autodifesa - avverte il cardinale - risulta controproducente”; meglio adottare “chiarezza e trasparenza”. “I canoni comunicativi adottati da Papa Francesco - conclude - possono essere proposti anche in una comunicazione laica”. Il rettore della Lumsa Giuseppe Dalla Torre, nel conferire la laurea honoris causa al card. Ravasi, lo ha definito un “comunicatore brillante” che riesce “a penetrare nel segreto della lingua e sa piegarne gli elementi per una chiara trasmissione del pensiero; che conosce tutti i più moderni mezzi della comunicazione sociale e sa muoversi con sicurezza e padronanza nelle moderne agorá virtuali, di cui è disseminata la nostra età”. Nel suo omaggio al porporato, Dalla Torre osserva che le sue capacità comunicative “sono riuscite a dischiudere alla religione ed alla Chiesa mondi lontani, se non addirittura ostili; hanno vinto freddezze e resistenze, rispetto al fatto religioso, di ambienti largamente secolarizzati; hanno riportato la Parola laddove scorrono le parole ordinarie di una quotidianità spesso banale, che sembra aver perso persino la nostalgia di Dio”. E la “grande esperienza” del “Cortile dei gentili” sta là a dimostrarlo. Brillante comunicatore ma anche illustre biblista; anzi, chiosa Dalla Torre, “grande comunicatore proprio perché biblista profondo e sottile” testimoniando il “nesso strettissimo” tra Scrittura e comunicazione. (R.P.)

    inizio pagina

    Varsavia: nuova tappa di riconciliazione delle Chiese di Polonia e Russia

    ◊   Sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica polacca Bronisław Komorowski, nei giorni 28-30 di novembre 2013 si svolgerà a Varsavia la conferenza “Il Futuro del cristianesimo in Europa. Il ruolo delle Chiese e delle nazioni della Polonia e della Russia”. All'evento prenderanno parte le delegazioni del patriarcato di Mosca, i vescovi della Chiesa cattolica polacca e quelli della Chiesa ortodossa autocefala polacca, i rappresentanti del mondo della cultura e della politica di ambedue i Paesi. La conferenza è un ulteriore e importante passo nell'avvicinamento cattolico-ortodosso e polacco-russo in seguito al Messaggio comune ai popoli della Polonia e della Russia, firmato il 17 agosto del 2012 a Varsavia dal arcivescovo Józef Michalik e dal patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill. Nel documento approvato allora si trova un appello al dialogo delle Chiese e nazioni e si indica ai polacchi e russi la via della riconciliazione. Il Messaggio chiama anche a una testimonianza comune delle Chiese – ortodossa e cattolica - per difendere i valori fondamentali cristiani nell'Europa del XXI secolo. Il programma della conferenza riflette le principali linee del medesimo Messaggio, il quale delinea le prospettive più importanti della cooperazione mutua nel futuro. Pertanto si parlerà di fondamenti teologici e di senso del dialogo e della riconciliazione, di necessità dell’elaborazione di una visione comune della storia polacco-russa e della testimonianza dei valori cristiani nell’Europa secolarizzante, con il riferimento particolare al possibile ruolo delle Chiese: cattolica di Polonia e ortodossa di Russia. Durante la conferenza i chierici e laici, rappresentanti dei vari ambiti e strutture cattoliche e ortodosse, rifletteranno insieme anche sui temi concreti della cooperazione futura, come l’opposizione alla laicità progressiva, il dialogo con i non credenti, le sfide della cultura contemporanea, la promozione della vita e famiglia e la collaborazione tra i movimenti giovanili. Nel quadro dei “workshops” che accompagneranno la conferenza, si incontreranno le pluriformi iniziative civili, religiose e scientifiche di ambedue i Paesi e Chiese. Si prevedono le discussioni di storici, esperti del passato della Polonia e della Russia, che si riferanno alla metodologia del dialog, elaborata dal Gruppo polacco-russo per i problemi difficili. Gli organizzatori sperano che la conferenza potrà essere un'occasione per incominciare una collaborazione diretta tra molti ambiti di ambedue i Paesi e permetterà di rompere gli stereotipi negativi, in modo particolare nella visione della storia comune, come altresì contribuirà all'avvicinamento polacco-russo e cattolico-ortodosso. (R.P.)

    inizio pagina

    Dialogo interreligioso: Assemblea mondiale a Vienna di "Religions for peace"

    ◊   Circa 600 leader religiosi rappresentanti delle diverse tradizioni di fede sono riuniti a Vienna per affrontare il crescente clima di ostilità verso “l’altro” che si registra nel mondo. “Accogliere l’altro” è infatti il tema della IX Assemblea mondiale di “Religions for Peace”, la più ampia coalizione mondiale delle religioni alla quale fanno parte delegati baha’i, buddhisti, cristiani, ebrei, giainisti, hindù, religioni aborigeni e tradizionali, musulmani, sikh, shintoisti e zoroastriani. Tra i numerosi partecipanti figurano il pastore luterano Olav Fykse Tveit, segraterio generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec); il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I; il pastore riformato Thomas Wipf, moderatore della sezione europea di Religions for Peace; Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari. È presente anche il card. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria). Nella lista dei relatori figura anche il metropolita Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, arcivescovo della Chiesa siro-ortodossa di Aleppo, rapito in Siria il 22 aprile insieme al vescovo Paul Yazigi, arcivescovo della Chiesa Greco-Ortodossa di Aleppo. Per i due vescovi e per la Siria, il segretario generale di Religions for peace William Vendlay ha chiesto ai delegati membri di pregare. Nel corso dei lavori sono previste sessioni plenarie sulla prevenzione dei conflitti e i processi di riconciliazione, sulla protezione delle minoranza religiose, le migrazioni e la coesione sociale ed sulla lotta alla povertà. L’Assemblea si è aperta mercoledì con un messaggio del Segretario generale delle Nazioni Unite Ban-ki Moon che ha sottolineato l’importanza dell’impegno delle religioni per i diritti umani. “Il potere delle religioni di promuovere la riconciliazione attraverso il perdono - ha detto - può favorire in modo significativo il nostro lavoro per affrontare le cause profonde dei conflitti e raggiungere una pace duratura”. Ed ha subito aggiunto: “Mentre mi congratulo per l’enorme progresso compiuto grazie alle religioni e alle persone di fede, dobbiamo anche riconoscere che sussistono conflitti inquietanti all’interno e tra le comunità religiose. Queste divisioni minacciano la sicurezza per la quale stiamo lavorando”. Ban-ki Moon ha assicurato i leader religiosi del sostegno delle Nazioni Unite per tutti gli sforzi che saranno compiuti per “migliorare la comprensione tra le culture e le religioni” ed ha concluso: “Insieme metteremo a frutto l’enorme potenziale delle religioni per favorire la vera pace”. (R.P.)

    inizio pagina

    Nepal: alle elezioni sconfitti i maoisti. Vincono i democratici del Congress

    ◊   Da più grande partito del Paese a esigua minoranza: i maoisti dello Unified Communist Party of Nepal (Ucpn-m) perdono le elezioni dell'Assemblea costituente. Secondo i risultati provvisori, il Congress Party (partito socialista e democratico) ha ottenuto la maggioranza in quasi tutte le circoscrizioni, seguito dal Communist Party of Nepal (Unified Marxist-Leninist, Uml). L'Ucpn-m di Pushpakamal Dahal, detto Prachanda, fatica a conquistare la terza posizione. In una conferenza stampa, Prachanda ha annunciato di non accettare il risultato: "Contro i maoisti è stata organizzata una cospirazione". Il leader politico - riporta l'agenzia AsiaNews - ha chiesto anche di fermare la conta dei voti, minacciando di boicottare la stesura della nuova Costituzione democratica. Nonostante le violenze dei giorni scorsi, in Nepal si respira un clima di calma. Nilkantha Upreti, presidente della Commissione elettorale, spiega ad AsiaNews che "le elezioni si sono svolte in modo pacifico, e questo è un bene. Indagheremo per controllare eventuali errori, ma non fermeremo il processo e dichiareremo i risultati non appena la conta dei voti sarà completata". Anche la comunità internazionale si è complimentata per la "condotta pacifica delle elezioni". "La nuova Assemblea costituente - ha dichiarato il portavoce di Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite - avrà la storica responsabilità di completare una nuova costituzione, basandosi sui successi impressionanti avuti finora, e promuovendo così il dialogo nazionale e una genuina riconciliazione". Le elezioni sono avvenute dopo cinque anni di caos politico e quattro governi di coalizione, i quali hanno rimandato di continuo la stesura di una Costituzione democratica, dopo secoli di monarchia indù. (R.P.)

    inizio pagina

    Cina: la Corte suprema dice "no" alle confessioni sotto tortura

    ◊   La Corte suprema cinese ha deciso di invalidare le confessioni estorte con una qualche forma di tortura. Così una delle tante pratiche in uso nel sistema legale cinese, oggetto di attenzione e condanne della conmunità internazionale, potrebbe presto diventare illegale. “Devono essere eliminati l’interrogatorio sotto coercizione per ottenere una confessione, come pure l’uso di freddo, fame, disidratazione, eccessivo calore, affaticamento o altri metodi illegali per ottenere confessioni”, ha comunicato la Corte sul suo microblog ufficiale. Un invito indirizzato ai tribunali di ogni livello in tutto il Paese. Contemporaneamente, sono state anche definite regole più severe per i casi di condanna a morte, chiedendo che siano fornite prove adeguate e che i casi possano essere affidati soltanto ai giudici più esperti. “Devono essere valutate le prove. Il concetto e la pratica tradizionali che indicano la prevalenza delle testimonianze devono essere cambiati a favore dell’esame e dell’utilizzo di prove circostanziate”. La decisione dei giudici supremi si associa all’impegno governativo espresso la scorsa settimana di ridurre il numero dei reati che oggi richiedono la pena capitale e anche di chiudere, entro il 2020, i campi di rieducazione attraverso il lavoro, simboli della volontà repressiva della dirigenza comunista. (R.P.)

    inizio pagina

    Sri Lanka. La Chiesa denuncia: minoranza tamil non ha nè diritti nè giustizia

    ◊   Mentre il Sud dello Sri Lanka festeggia, il Nord piange. Mentre la parte singalese della società trionfa, la minoranza tamil non ha né giustizia né diritti e la nazione risulta spaccata in due. E’ la denuncia che giunge all’agenzia Fides da un network di associazioni che include gruppi missionari, Commissioni “Giustizia e pace” delle diocesi, congregazioni religiose, organizzazioni per i diritti umani, vari enti della società civile. Il network, che intende “promuovere giustizia e riconciliazione nel Paese”, nei giorni scorsi ha sottoposto ai leader del “Commonwealth” britannico, in visita nello Sri Lanka – ex possedimento coloniale – un Memorandum sullo urgenze sociali e politiche nazionali. Il Memorandum, che i missionari Oblati di Maria Immacolata in Sri Lanka hanno inviato all’agenzia Fides, è stato consegnato al Primo Ministro britannico David Cameron e si intitola “I tamil in Sri Lanka anelano alla pace”. A oltre quattro anni dalla fine della guerra che ha devastato il Paese – si afferma nel documento – “i tamil non hanno né giustizia nè diritti”. Il testo ricorda che, con l’indipendenza di Ceylon (altro nome dello Sri Lanka, ndr) nel 1948, il potere su trasferito ai singalesi. Si attuò gradualmente “un sabotaggio della cultura, identità, costumi, lingua tamil, a favore della maggioranza singalese della popolazione”. Il conflitto civile che ne derivò ha visto migliaia di persone tamil, perlopiù civili disarmati, uccisi e scomparsi. Ai tamil non è mai stata concessa l’autonomia promessa e, nell’ultima fase del conflitto civile, la più cruenta, molti abusi sono stati compiuti a danno della popolazione civile indifesa. Il Memorandum invita il governo e la comunità internazionale a “garantire misure trasparenti per cercare la verità sulle morti e sulle sparizioni”. Si chiede, inoltre all’Alto Commissario Onu per i diritti umani di svolgere un ruolo incisivo sulla questione e ai leader del “Commonwealth” di coinvolgersi per giungere alla verità e alla giustizia. Nelle ultime due settimane, attivisti, osservatori, esperti delle Nazioni Unite e leader politici dei Paesi del Commonwealth hanno visitato le vittime di violazioni dei diritti umani e i parenti di persone scomparse. Proteste e cortei dei tamil sono stati bloccati dalla polizia srilankese e alle famiglie tamil dal Nord è stato raggiungere la capitale Colombo. Durante la protesta, che intendeva richiamare l' attenzione dei leader internazionali, p. Jude Nixon, parroco della Chiesa cattolica di San Michele a Urumpirai, nella diocesi di Jaffna, è stato aggredito e percosso dalla polizia. (R.P.)

    inizio pagina

    Myanmar. Mons. Bo: il dialogo interreligioso è l'unica via per risolvere il dramma Rohingya

    ◊   "Il dialogo interreligioso sarebbe la soluzione migliore per risolvere la questione Rohingya. Un confronto fra i leader religiosi avrebbe un peso maggiore di qualsiasi decisione politica". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, su uno dei fronti di maggior tensione del Myanmar post dittatura militare. La situazione è molto delicata e al centro di un vasto dibattito. In particolare dopo il richiamo delle Nazioni Unite, che con la risoluzione del 20 novembre scorso premono su Naypyidaw perché conceda la cittadinanza alla minoranza musulmana. Pressioni peraltro rispedite al mittente dalle autorità birmane, che ritengono i Rohingya "immigrati irregolari" provenienti dal Bangladesh; un giudizio del resto condiviso dal principale partito di opposizione, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Aung San Suu Kyi. È opportuno astenersi dal fare dichiarazioni avventate, riflette il prelato, perché in questi casi "il silenzio è d'oro". Al contempo è necessario promuovere una "seria riflessione - avverte - per capire quali strade percorrere per risolvere la questione". L'escalation di violenze fra buddisti e musulmani nello Stato occidentale di Rakhine ha acuito il clima di tensione fra le diverse etnie e confessioni religiose che caratterizzano il Myanmar, teatro lo scorso anno di una lotta sanguinaria fra Arakanesi e Rohingya musulmani. Lo stupro e l'uccisione nel maggio 2012 di una giovane buddista ha scatenato una spirale di terrore, che ha causato centinaia di morti e di case distrutte, almeno 160mila sfollati molti dei quali hanno cercato riparo all'estero, per sfuggire agli attacchi degli estremisti buddisti del gruppo 969. "La situazione dei Rohingya è molto delicata e al centro di un vasto dibattito" sottolinea ad AsiaNews mons. Bo, secondo cui "sarà difficile che le Nazioni Unite possano esercitare reali pressioni sul Myanmar". È vero che i musulmani sono "vittime e più soggetti a persecuzioni in Myanmar" piuttosto che in altre parti del mondo, prosegue, ma cosa possiamo dire "dei non-musulmani nei Paesi islamici?! E questa è la domanda che si pongono sempre i monaci buddisti qui, in Myanmar". L'arcivescovo di Yangon spiega che "Rohingya significa popolazione Rakhine: essi si definiscono abitanti dello Stato di Rakhine, tuttavia, non vi sono Rohingya ma solo Bangali". "Il punto è che in molti, tempo fa, un centinaio di anni fa, hanno fatto il loro ingresso in Myanmar. Essi - aggiunge mons. Bo - hanno il diritto di cittadinanza e le restrizioni nei loro confronti andrebbero rimosse. Al contempo, vi è una larga parte che solo di recente ha fatto il suo ingresso nello Stato di Rakhine... alcuni anni fa. Per quanto concerne la cittadinanza, bisogna valutare caso per caso. Non si può certo generalizzare". Per il prelato è necessaria "la buona volontà di tutti": "La paura che i cittadini nutrono verso i musulmani - sottolinea - è in un certo modo comprensibile. E la comunità musulmana internazionale deve sforzarsi di capire la situazione. Detto questo, provo compassione per i musulmani del Paese. Vivono ogni giorno in situazioni di costante preoccupazione e minaccia per la loro sicurezza. Ogni momento è buono per un attacco nei loro confronti". La soluzione? Per l'arcivescovo di Yangon è basata sul dialogo interreligioso. Per questo egli chiede che le scuole insegnino la religione, perché gli alunni "possano cogliere gli aspetti positivi delle altre fedi". E gli stessi monaci buddisti, conclude mons. Bo, dovrebbero imparare "quanto di bello vi è anche nel cristianesimo e nell'islam". Secondo le stime delle Nazioni Unite in Myanmar vi sono almeno 800mila musulmani Rohingya. (R.P.)

    inizio pagina

    Card. Onaiyekan: il fiorire di comunità pentecostali non ostacola la Chiesa cattolica in Nigeria

    ◊   La presenza di diverse chiese pentecostali in Nigeria non è un ostacolo alla missione evangelizzatrice della Chiesa cattolica nel Paese, né un motivo di panico. Lo ha affermato il card. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, in una relazione intitolata “Note sul fenomeno delle chiesa pentecostali nella Nigeria contemporanea”, presentata ad un incontro con la Conferenza episcopale tedesca e il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani tenutosi alla Casa Pastor Bonus a Roma. Il cardinale ha sottolineato che “la crescita delle chiese pentecostali è essa stessa discutibile. Ci sono alti e bassi. E le scissioni continue significano che non possiamo essere sicuri dove stanno andando, e quale futuro hanno. In effetti, dobbiamo ancora vedere quello che accade quando i fondatori muoiono e i loro successori ne prendono il posto. Alcuni casi hanno dimostrato che è un problema non ancora risolto”. “Quindi - ha sottolineato il cardinale - non dobbiamo cedere al panico o pensare che prima o poi diventeremo o dobbiamo diventare pentecostali”. Nella sua relazione il cardinale ha tracciato la genesi delle chiese pentecostali nigeriane dalle prime comunità di origine inglese o statunitense ai gruppi odierni, nati nel Paese e diffusi molto spesso in ambiente universitario. Descrivendo la capacità di attrazione delle chiese pentecostali, il card. Onaiyekan ha riconosciuto che “queste hanno una forte presa sui membri della Chiesa cattolica, specialmente i giovani che sono insicuri e sono alla ricerca di una svolta nella vita in particolare per quel che concerne il lavoro”. Ma ha concluso: “si fa un gran parlare della perdita di nostri membri a favore di queste chiese. Non vi sono però statistiche sulla questione né abbiamo cercato di ottenerne. Quello che possiamo dire è che se la Chiesa cattolica sta perdendo dei membri, le altre chiese ne perdono molte di più di noi”. (R.P.)

    inizio pagina

    Congo. la società civile del Nord Kivu chiede al presidente di consolidare la presenza dello Stato

    ◊   L’annunciata visita del Presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila nel Nord Kivu è stata salutata dalla società civile locale con un comunicato inviato all’agenzia Fides. “La visita che avviene dopo la sconfitta dell’M23 (il principale movimento ribelle della regione) era attesa dalla popolazione all’indomani della liberazione dei Territori di Nyiragongo e Rutshuru da parte delle Fardc (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo)” sottolinea il comunicato nel quale la società civile avanza al Presidente congolese una serie di richieste per pacificare la regione. In primo luogo il disarmo degli altri gruppi armati operanti nell’est della Rdc. Alcuni di questi, secondo quanto riporta la stampa locale, hanno iniziato a deporre le armi (soprattutto nel Sud Kivu), ma altri continuano invece a minacciare la popolazione. Si chiede inoltre di consolidare l’autorità dello Stato nella Provincia, di avviare programmi per il reinserimento di sfollati e rifugiati e per ricostruire le infrastrutture (ponti, strade, edifici pubblici) distrutti o danneggiati da 20 anni di guerra o lasciati per tutto questo tempo senza manutenzione. Particolarmente delicato è il capitolo dell’assistenza alle donne e ragazze vittime degli stupri di guerra, un crimine odioso al quale non sono estranei neanche i soldati delle Fardc. Il comunicato infatti conclude affermando che “nel quadro della lotta all’impunità e per rafforzare la disciplina militare, è importante che il Capo dello Stato non ignori il processo contro i militari accusati di violenze sessuali e di altri crimini contro i civili lungo l’asso Minova nel novembre 2012. Potrebbe a questo proposito raccomandare il comandante e la truppa, allo stretto rispetto dei diritti umani al fine di evitare incriminazioni giudiziarie”. (R.P.)

    inizio pagina

    Giordania. Ministro del Turismo alle Chiese: promuovete i pellegrinaggi ai Luoghi Santi

    ◊   Un appello forte a promuovere e sostenere concretamente i pellegrinaggi ai Luoghi della memoria cristiana presenti in Giordania è stato rivolto ieri dal Ministro giordano per il Lavoro e il Turismo Nidal Katamine ai capi delle Chiese cristiane locali. L'invito - riferisce l'agenzia Fides - è stato espresso durante una riunione convocata ad hoc a Amman, presso la sede dell'arcieparchia greco ortodossa. Il turismo religioso nella parte di Terra Santa che si trova di là dal fiume Giordano – ha sostenuto il Ministro - è penalizzato anche dalla scarsa informazione veicolata dai media riguardo a siti abbondantemente citati nell Bibbia e in particolare nei racconti della vita di Gesù. Il confronto ha permesso di mettere a fuoco le problematiche concrete connesse a una auspicabile valorizzazione dei Luoghi della Giordania che rivestono un significato particolare per i cristiani di tutto il mondo. All'incontro hanno partecipato anche l'arcivescovo Maroun Laham, vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato di Gerusalemme dei Latini, e padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media. Secondo padre Bader, l'incontro del Ministro Katamine con i capi delle Chiese cristiane può rappresentare “l'inizio di una coordinamento serio” e favorire la creazione di un tavolo operativo che coinvolga tutti i soggetti interessati a promuovere il turismo religioso in Giordania. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 326

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.