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Sommario del 21/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: non mi rassegno ad un Medio Oriente senza cristiani, continuiamo a pregare per la pace
  • Tweet del Papa: essere santi non è privilegio di pochi, ma vocazione per tutti
  • Benedettine Camaldolesi in attesa del Papa. L'abbadessa: claustrali dentro la storia dei nostri giorni
  • Nomine episcopali di Papa Francesco
  • Mons. Zimowski: l'eutanasia, una vergogna del nostro tempo
  • Esce il sesto volume dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger, che riunisce la trilogia del “Gesù di Nazaret"
  • "Una Buona Notizia per te!": la Parola di Dio, mistero di luce, al centro del nuovo libro del card. Comastri
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ripresi a Ginevra all'insegna dell'incertezza i colloqui sul nucleare iraniano
  • Afghanistan: Karzai propone la proroga della presenza straniera
  • Ancora allerta maltempo sulle regioni tirreniche. Domani lutto nazionale per le vittime in Sardegna
  • Al presidente Napolitano la medaglia d'onore della Lateranense
  • Il premier Letta: verso il ripristino dei fondi per i malati di Sla e non autosufficienti
  • La speranza kennediana, 50 anni dopo Dallas: convegno Ucsi alla Radio Vaticana
  • Operazione Colomba nei Territori occupati: una presenza che sostiene scelte di nonviolenza
  • Scomparso Marcello D'Orta, autore di "Io speriamo che me la cavo". Il ricordo del figlio sacerdote
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq: attentato a Saadiyah, 30 morti
  • Siria: per l'opposizione, dal 2011 sarebbero morti oltre 8700 bambini
  • Nigeria, prorogato lo stato d’emergenza contro Boko Haram
  • Ucraina: la Chiesa greco-cattolica festeggia tre anniversari
  • Ucraina: no al ricovero all’estero per i detenuti. La Timoshenko resta in patria
  • Filippine. La Chiesa in prima linea negli aiuti alla popolazione colpita da Hayan
  • Madagascar. I Vescovi: “guarire le ferite provocate dalla crisi politica”
  • India. Il 30 novembre grande preghiera ecumenica per la giustizia e la riconciliazione
  • Centrafrica: tensione a Bangui, la testimonianza di un missionario
  • Messico: appello dell’arcivescovo di Morelia contro le violenze nella città
  • I vescovi dell’Africa centrale riaffermano l’importanza della famiglia nella società
  • Cina, nel Sichuan corso di formazione per catechisti
  • Libano: al via le trasmissioni di NourKids, nuova tv cristiana per ragazzi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: non mi rassegno ad un Medio Oriente senza cristiani, continuiamo a pregare per la pace

    ◊   Non mi rassegno a pensare a un Medio Oriente senza cristiani. E’ uno dei passaggi forti del discorso che Papa Francesco ha rivolto, stamani, ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali. Il Papa ha inoltre esortato tutti i fedeli a continuare a pregare per la pace nella regione mediorientale, specialmente in Siria e Terra Santa. Nella prima mattinata, il Papa aveva incontrato i Patriarchi delle Chiese orientali cattoliche ai quali aveva detto di privilegiare sempre la sinodalità e la concertazione sulle questioni di grande importanza per la Chiesa. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto al Papa dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Dopo le udienze di stamani, il Papa ha accolto i partecipanti alla Casa Santa Marta per il pranzo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    I cristiani vivano in pace nella Terra di Gesù. Papa Francesco ha colto l’occasione dell’udienza alla plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali per rinnovare il suo accorato appello per i cristiani del Medio Oriente che, ha osservato, “subiscono in maniera particolarmente pesante le conseguenze delle tensioni e dei conflitti in atto”. Vivono come “piccolo gregge”, ha soggiunto, “in ambienti segnati da ostilità, conflitti e anche persecuzioni nascoste”. La Siria, l’Iraq, l’Egitto e la Terra Santa, ha poi rilevato, “talora grondano di lacrime”:

    “Il Vescovo di Roma non si darà pace finché vi saranno uomini e donne, di qualsiasi religione, colpiti nella loro dignità, privati del necessario alla sopravvivenza, derubati del futuro, costretti alla condizione di profughi e rifugiati. Oggi, insieme ai Pastori delle Chiese d’Oriente, facciamo appello a che sia rispettato il diritto di tutti ad una vita dignitosa e a professare liberamente la propria fede. Non ci rassegniamo a pensare il Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù, inseriti quali cittadini a pieno titolo nella vita sociale, culturale e religiosa delle nazioni a cui appartengono".

    Ed ha sottolineato che “ogni cattolico” ha “un debito di riconoscenza verso le Chiese che vivono in quella regione”:

    “Da esse possiamo, fra l’altro, imparare la pazienza e la perseveranza dell’esercizio quotidiano, talvolta segnata dalla fatica, dello spirito ecumenico e del dialogo interreligioso. Il contesto geografico, storico e culturale in cui esse vivono da secoli, infatti, le ha rese interlocutori naturali di numerose altre confessioni cristiane e di altre religioni”.

    Ma il pensiero del Papa non è andato solo ai cristiani, ma a tutti i popoli del Medio Oriente che soffrono, e in particolare ai “più piccoli” e i “più deboli”. Continuiamo, ha detto, “a vigilare come la sentinella biblica, sicuri che il Signore” non farà mancare il suo aiuto:

    “Mi rivolgo, perciò, a tutta la Chiesa per esortare alla preghiera, che sa ottenere dal cuore misericordioso di Dio la riconciliazione e la pace. La preghiera disarma l’insipienza e genera dialogo là dove il conflitto è aperto. Se sarà sincera e perseverante, renderà la nostra voce mite e ferma, capace di farsi ascoltare anche dai Responsabili delle Nazioni”.

    Il Papa ha dunque rivolto il pensiero alla dimensione della diaspora, “notevolmente cresciuta in ogni continente”, tema in primo piano nella plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali:

    “Occorre fare tutto il possibile perché gli auspici conciliari trovino realizzazione, facilitando la cura pastorale sia nei territori propri sia là dove le comunità orientali si sono da tempo stabilite, promuovendo al tempo stesso la comunione e la fraternità con le comunità di rito latino. A ciò potrà giovare una rinnovata vitalità da imprimere agli organismi di consultazione già esistenti tra le singole Chiese e con la Santa Sede”.

    Il pensiero del Papa è andato anche a Gerusalemme, laddove, ha constatato, “tutti siamo spiritualmente nati” augurando pace e chiedendo l’intercessione in particolare dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II come anche della Vergine Maria. D’altro canto, il Papa ha messo l’accento sulla “rifiorita vitalità” di diverse Chiese Orientali, “a lungo oppresse sotto i regimi comunisti” ed ha espresso apprezzamento per l’impegno della Plenaria di “riappropriarsi della grazia del Concilio Vaticano II e del successivo magistero sull’Oriente cristiano”. Papa Francesco ha così ribadito che la varietà “ispirata dallo Spirito, non danneggia l’unità, ma la serve; il Concilio ci dice che questa varietà è necessaria all’unità”. E del patrimonio spirituale dell’Oriente cristiano il Papa aveva parlato anche nell’udienza riservata ai Patriarchi della Chiese Orientali Cattoliche e agli arcivescovi maggiori. Da parte sua, anche un richiamo all’importanza dell’unità ecclesiale:

    “Essere inseriti nella comunione dell’intero Corpo di Cristo ci rende consapevoli del dovere di rafforzare l’unione e la solidarietà in seno ai vari Sinodi patriarcali, ‘privilegiando sempre la concertazione su questioni di grande importanza per la Chiesa in vista di un’azione collegiale e unitaria’”.

    Il Papa ha rinnovato l’esortazione ai vescovi affinché la loro testimonianza sia credibile, perché siano vicini ai loro sacerdoti e si impegnino per la “trasparenza nella gestione dei beni”. Il tutto, ha concluso, “nella più convinta applicazione di quell’autentica prassi sinodale, che è distintiva delle Chiese d’Oriente”.

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    Tweet del Papa: essere santi non è privilegio di pochi, ma vocazione per tutti

    ◊   “Essere santi non è un privilegio di pochi, ma è una vocazione per tutti”: è il tweet lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex, seguito da oltre 10 milioni di follower.

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    Benedettine Camaldolesi in attesa del Papa. L'abbadessa: claustrali dentro la storia dei nostri giorni

    ◊   Nella Giornata delle Claustrali, dedicata a tutte le comunità di clausura, Papa Francesco si reca al Monastero di Sant’Antonio Abate delle Monache Benedettine Camaldolesi, situato sul colle Aventino a Roma. La visita inizia alle 17, durerà circa un'ora, e comprenderà una sosta di preghiera con le monache ed un colloquio privato con la comunità. Ma quale clima si respira nel Convento alla vigilia di questo evento carico di attese? Roberta Gisotti lo ha chiesto all’abbadessa, madre Michela Porcellato:

    R. – E’ il clima di ogni giorno, ritmato dalla preghiera e dal lavoro, ma certamente c’è qualcosa in più: questa gioiosa attesa di un evento che è arrivato come di sorpresa.

    D. – C’è qualche iniziativa particolare che avete in programma?

    R. – L’iniziativa che abbiamo messo in programma in questo tempo è proprio di intensificare di più la nostra preghiera, il nostro raccoglimento, per gustare questo momento di gioia.

    D. – Madre Michela, la vita di clausura in ogni epoca è stata vista come una scelta radicale, a volte incomprensibile perfino per i credenti. Come vi rapportate, oggi, con il mondo fuori dalle mura del vostro convento, in tempi – dobbiamo dire – di grande, ricercata visibilità attraverso i media, di ogni attività umana?

    R. – Devo dire che il concetto di clausura dopo il Concilio è stato anche cambiato secondo le Costituzioni di ciascun monastero. Certamente ci sono separazioni più forti rispetto al mondo esterno, e separazioni più interiori. Il concetto di clausura riguarda la custodia del cuore, particolarmente, e quindi noi abbiamo ritenuto che fosse stato necessario, in questi anni, anche un aggiornamento sulla clausura del nostro monastero, pur mantenendo saldi i valori fondamentali del significato della clausura, della separazione. Quindi, non per essere fuori dal mondo ma per essere maggiormente dentro la storia dei nostri giorni, proprio attraverso la custodia di se stessi, del proprio cuore, togliendo la radice del male che ci inabita con la grazia del Signore, per poter poi essere anche testimonianza di luce più autentica. Senza peraltro avere quella separazione così forte, perché pensiamo che anche un servizio del monastero all’esterno possa essere importante, come per esempio far conoscere maggiormente la Parola di Dio, accogliere gli ospiti per la preghiera liturgica, servire i poveri, accogliere i pellegrini e soprattutto, accogliere ogni necessità dell’uomo di oggi.

    D. – Papa Francesco, appena salito al soglio pontificio, ha chiesto preghiere. Ecco, il valore della preghiera a volte non viene abbastanza valutato anche dalla comunità dei credenti...

    R. – Bè, perché la preghiera è una realtà difficile: implica la fede. La preghiera è la radice, l’inizio, l’origine di ogni forma di annuncio del Vangelo. Non è sempre facile, perché molto spesso vogliamo esporre noi stessi piuttosto che la realtà del Regno Dio. Allora, la tradizione monastica, proprio mettendo insieme la preghiera e il lavoro e soprattutto il silenzio e la solitudine, fa capire quanto sia necessario prima di ogni iniziativa di evangelizzazione, custodire se stessi, imparare a purificare la propria vita. La luce è qualcosa che brilla da dentro, non che viene da fuori. Quindi, questa realtà di Cristo che deve essere maggiormente accolta di giorno in giorno, poi da se stessa brilla di fronte al mondo. Ecco, importante è capire che non è un cammino facile, il cammino della preghiera, perché implica una radicale spoliazione di sé. La preghiera implica l’amore, la relazione profonda con il Signore e questo ci toglie, appunto, tutto quello che può essere la nostra ombra, il nostro egoismo. Quindi la preghiera custodisce il nostro amore, la preghiera implica veramente anche un momento di fiducia, di fede profonda.

    D. – Madre Michela, nel vostro convento ha vissuto suor Nazarena Crotta, che ha passato – lo sappiamo – 45 anni, ultima reclusa in una cella. Domani è l’anniversario della sua entrata nel monastero, il 21 novembre del 1945. Ecco, ad oltre 20 anni dalla sua morte, nel 1990, quale eredità ha lasciato questa donna, questa suora?

    R. – Certamente, la sua scelta è stata una scelta radicale. L’immagine che aveva preferito della sua vita era proprio il seme, il chicco di grano caduto a terra che se non muore non porta frutto, ma il chicco rimane nascosto. Lei ha voluto essere nascosta nella sua vita ma anche dopo la sua morte, secondo il suo desiderio. Certamente, l’eredità che noi raccogliamo è la sua autenticità: per lei, ogni forma di vocazione, ogni forma di relazione con il Signore era innanzitutto un essere autentici, l’esserci con la propria verità. Per lei era anche togliere queste maschere che ci portiamo, che abbiamo dai nostri condizionamenti. E quindi, un primo valore era proprio la grande autenticità, e il secondo era questo immenso amore che lei nutriva per la Chiesa in particolare, ma per tutto il mondo: per ogni persona, per tutti coloro che soffrivano. E’ un amore vivo, non un amore formale. Io ho avuto la grazia di poterla visitare una volta e farmi dire una parola, e sono rimasta sorpresa perché da una reclusa mi aspettavo magari una parola ascetica; e invece, la parola era proprio l’amore, questa realtà, questa vocazione di ogni uomo e di ogni donna all’amore...

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    Nomine episcopali di Papa Francesco

    ◊   In Germania, Papa Francesco ha accettato la rinuncia di mons. Rainer Klug all’ufficio di Ausiliare dell’arcidiocesi di Freiburg im Breisgau, per sopraggiunti limiti d’età.

    In Indonesia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Bogor, presentata da mons. Cosmas Michael Angkur, O.F.M., per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Bogor il rev.do P. Paskalis Bruno Syukur, O.F.M., Definitore Generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori a Roma.

    In Malawi, il Papa ha nominato Arcivescovo di Blantyre mons. Thomas Luke Msusa, S.M.M., finora Vescovo di Zomba.

    In Ecuador, il Papa ha nominato Vicario Apostolico di San Miguel de Sucumbíos mons. Celmo Lazzari, C.S.I., finora Vicario Apostolico di Napo.

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    Mons. Zimowski: l'eutanasia, una vergogna del nostro tempo

    ◊   “La Chiesa al servizio della persona anziana malata: la cura delle persone affette da patologie neurodegenerative”: è il titolo della XXVIII Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, che si è aperta oggi nell'Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, e durerà fino a sabato. Vi partecipano oltre 400 persone, fra cui molti specialisti provenienti da tutti i continenti. Questa mattina la Messa presieduta da mons. Zygmunt Zimowski, presidente dello stesso Pontificio Consiglio, che ha anche tenuto il discorso di apertura. Il servizio di Debora Donnini:

    “Le trasformazioni della società, nella seconda parte del secolo scorso, in particolare nei Paesi più ricchi, con l’invecchiamento delle popolazioni, la riduzione del ruolo di supporto sociale assicurato dalla famiglia, e la frequente emarginazione delle persone anziane – afferma mons. Zygmunt Zimowski - hanno fatto sì che la sorte delle persone anziane malate sia paradossalmente peggiorata, aumentando la tentazione di ricorrere all’eutanasia”:

    “Oggi, durante la Santa Messa, abbiamo veramente pregato e gridato al mondo ‘no all’eutanasia’, perché è una vergogna del nostro tempo”.

    Mons. Zimowski ricorda che mentre prima la vecchiaia era considerata come “un periodo di sapienza” , oggi viene invece spesso considerata come “fase di declino” e che in una società che pone al primo posto la “produttività”, gli anziani stessi possono essere spinti a domandarsi “se la loro esistenza sia ancora utile” e dunque cadere nelle tentazione di considerare l’eutanasia come una liberazione. E’, quindi, molto importante l’accompagnamento che familiari e amici possono offrire agli anziani. Centrale è anche un accompagnamento spirituale per scoprire nella sofferenza “una partecipazione alla passione di Cristo e, perciò, alla redenzione”, sottolinea mons. Zimowski richiamandosi al Beato Giovanni Paolo II. La persona anziana malata può, dunque, essere “un efficace predicatore del Vangelo”, che si manifesta nella gioia e nella pazienza dell’anziano malato malgrado il suo dolore e l’infermità.

    La sofferenza spinge a porsi anche la domanda sul senso delle proprie tribolazioni e questo è il momento in cui “può portare alla disperazione…. o all’avvicinarsi al Signore”. Chi fa accompagnamento spirituale deve quindi restituire un orizzonte di speranza:

    “Finalmente, l'avvicinarsi della persona anziana malata al Signore può sfociare nell'apertura agli altri e a Dio. Esso rende fecondo l'accompagnamento e porta il paziente alla speranza attiva, cioè all'adempimento della propria vocazione di anziano malato. Si tratta perciò, per l'anziano malato, di arrivare a 'riconoscere la mano di Dio nella prova'".

    Il discorso di mons. Zimowski si concentra quindi sulla risposta della Chiesa. Si ricorda il Sacramento della Riconciliazione, il Sacramento dell’Unzione degli Infermi, l’importanza di portare speranza.

    Nella fase terminale, la persona anziana malata si trova poi esposta a due pericoli opposti: l’accanimento terapeutico e l’eutanasia. Il primo oggi accade più raramente per ciò che riguarda gli anziani malati. “La Chiesa non è mai stata a favore d'un tale eccesso terapeutico che va contro la dignità della persona umana - dice il presule - e toglie a questa persona il grado di libertà necessario alla preparazione alla morte”. Contro la tentazione del “suicidio assistito”, la Chiesa offre due risposte, evidenzia mons. Zimowski: da una parte ricorda “ai medici o operatori sanitari che prendono su di loro il diritto di eliminare fisicamente le persone anziane malate valutate ‘inutili’”, “il principio inalienabile della sacralità e inviolabilità della vita" . Quindi la Chiesa ricorda anche che la richiesta d’eutanasia esprime spesso “uno stato di afflizione profonda” e la risposta a questo non viene dalla tecnica ma dal cuore. La Chiesa richiama, dunque, ai doveri della famiglia e allo sviluppo di cure palliative. Si incoraggiano, poi, le famiglie a prendersi cura dei loro anziani, accogliendoli e facendosene carico. “Quando la famiglia non può o non vuole assicurare l’accoglienza della persona anziana, la cura pastorale delle persone anziane malate si orienta verso l’accompagnamento nelle strutture sanitarie” e qui non si tratta solo di alleviare il dolore fisico ma anche di seguire le persone con competenza e amore. E, in conclusione, mons. Zimowski sottolinea, ancora, il senso di questo accompagnare:

    “Si tratta di accompagnare umanamente e spiritualmente queste persone lungo la loro malattia, facendogli realizzare il valore della loro vita, e la loro propria missione, per la Chiesa e il mondo. Questo accompagnamento mira a portare queste persone alla speranza, malgrado la loro sofferenza, e, infatti, dentro la loro sofferenza, una speranza illuminata da Cristo, ‘piena di immortalità’”.

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    Esce il sesto volume dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger, che riunisce la trilogia del “Gesù di Nazaret"

    ◊   Prosegue presso la Libreria Editrice Vaticana la pubblicazione dei volumi di Joseph Ratzinger inseriti nell’Opera omnia. Dopo il volume XI, “Teologia della liturgia” (2010), e il XII, “Annunciatori della Parola e Servitori della vostra gioia” (2013), esce il primo dei due tomi che compongono il sesto volume. S’intitola “Gesù di Nazaret – La figura e il Messaggio” e presenta riuniti i tre volumi su Gesù di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, apparsi nel 2007, nel 2011 e nel 2012, in “ultima edizione riveduta e corretta”. Il secondo tomo, in fase di traduzione, conterrà ulteriori contributi di Joseph Ratzinger sulla cristologia e avrà il sottotitolo “Scritti di cristologia”. “Nell’assumere, nell’Opera omnia, i tre volumi su Gesù di Nazaret, pubblicati nel corso del pontificato di papa Benedetto XVI – annota nella Prefazione l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e curatore dell’Opera omnia –, si vuole rendere omaggio a questa inesausta ricerca che ha guidato Joseph Ratzinger nella stesura del suo manoscritto. Da sessant’anni i vari temi della cristologia stanno al centro della sua attività e del suo insegnamento come professore universitario, come vescovo e come Papa”. “L’ordine temporale adottato nel raccogliere e presentare i tre libri – è specificato nelle indicazioni editoriali – non corrisponde all’effettivo ordine cronologico della loro pubblicazione; segue, bensì, la cronologia dei Vangeli. In tal senso, il libro più recente, ‘L’Infanzia di Gesù’, è posto all’inizio del presente tomo. Segue ‘Dal battesimo al Giordano fino alla Trasfigurazione’ e, infine, ‘Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione’”. “La trilogia su Gesù di Nazaret è stata assunta nell’Opera omnia di Joseph Ratzinger benché la pubblicazione dei singoli libri sia avvenuta durante il pontificato di Benedetto XVI. È lo stesso autore, nella premessa al primo di essi, a chiarire la motivazione alla base della genesi dei tre volumi. Essi «in alcun modo sono un atto magisteriale, ma unicamente espressione della mia ricerca personale del ‘volto del Signore’»”. Inoltre, è ancora precisato nelle indicazioni editoriali, “rispetto alle precedenti edizioni dei singoli libri della trilogia, tutte le citazioni della Bibbia in lingua italiana sono state aggiornate alla traduzione ufficiale della Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana 2008”. “Con i suoi tre libri sulla figura centrale della nostra fede – si legge nella Prefazione –, Joseph Ratzinger/Benedetto XVI ha stimolato un dibattito durevole su Gesù di Nazaret”. E in un altro passaggio monsignor Müller scrive: “Lo sguardo a sei decenni di intenso approfondimento spirituale e scientifico degli ambiti tematici della cristologia, rivela, nell’opera teologia di Joseph Ratzinger, la continuità del suo pensiero. Traspare, dai suoi scritti, quel prolungato confronto con la figura di Gesù cui egli stesso fa riferimento nel primo volume della sua trilogia su Gesù di Nazaret pubblicato nel 2007. (…) Egli si oppone con decisione a un’epoca intrisa di scetticismo, che non crede che Dio si è manifestato definitivamente nel suo Figlio”. “Con la chiarezza che deriva dal credo della Chiesa – continua il curatore –, egli sviluppa, a partire dalle acquisizioni storiche e dai racconti dei Vangeli, una visione complessiva sulla persona di Gesù di Nazaret tanto invitante quanto stimolante per l’ulteriore riflessione”.

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    "Una Buona Notizia per te!": la Parola di Dio, mistero di luce, al centro del nuovo libro del card. Comastri

    ◊   Si intitola "Una Buona Notizia per te!" il nuovo libro del cadinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e arciprete della Basilica di San Pietro. Nel volume, edito dalla Libreria Editrice Vaticana e da Elledici, e presentato a Roma, sono raccolte le omelie per tutte le domeniche e le feste principali dell'anno liturgico. L'opera nasce dal cuore e dalla preghiera, più che dalla penna, come ha ricordato l'autore al microfono di Elvira Ragosta:

    R. – Un libro sulla Parola di Dio non può nascere se non in ginocchio. La Parola di Dio non è un prodotto commerciale: la Parola di Dio è un mistero di luce. Bisogna, pertanto, aprire il cuore, in modo che ci entri dentro e noi possiamo diventare un ostensorio che trasmette la luce. La Parola di Dio si può preparare soltanto in ginocchio.

    D. - L’importanza di questo libro sia per un lettore cristiano sia per un sacerdote che lo utilizzi come guida per scrivere le sue omelie è, appunto, l’attualità del Vangelo sempre, in ogni anno e in ogni epoca...

    R. – Nei commenti che vengono riportati in questo libro, la mia prima preoccupazione è stata questa: far capire l’attualità della Parola di Dio. Noi oggi camminiamo in un mondo in cui tante luci sono spente: è spenta la luce della bontà; è spenta la luce dell’onestà; è spenta la luce della generosità; è spenta la luce del perdono. La Parola di Dio può riaccendere tutte queste luci. Incontrando la Parola di Dio si entra in una vita veramente nuova, che è poi la vita che tutti sogniamo: la vita pulita, la vita bella e quindi anche la vita felice. Come diceva Madre Teresa di Calcutta, infatti, “bontà e felicità sono sinonimi”.

    D. – A proposito di Madre Teresa, lei ha avuto incontri molto importanti con lei. Ce n’è qualcuno che ricorda con emozione particolare?

    R. – Quello che mi ha colpito è un incontro con un gruppo di giornalisti, dopo l’assegnazione del Premio Nobel. La Madre ricevette il Nobel nel dicembre del 1979. E ricordo che un giornalista disse alla Madre: “Lei, ormai, Madre, ha 70 anni, il più della vita l’ha vissuto e non è cambiato un gran che nel mondo; non si affatichi tanto, tanto non vale la pena”. Mi ricordo che la Madre rimase stupita, e poi rispose: “Ma io non ho la pretesa di cambiare il mondo; il mondo lo cambierà il Signore; io cerco di essere soltanto una goccia di acqua pulita, nella quale si possa riflettere il volto bello di Dio”. E guardandolo aggiunse: “Le pare poco?”. Io vedo ancora il giornalista, che rimase silenzioso, a cui la Madre disse ancora: “Lo faccia anche lei, saremo in due. E’ sposato? Lo faccia anche con sua moglie, saremo in tre. Ha dei figli?”. “Sì, tre figli”. “Lo insegni anche ai suoi figli, e saremo in sei. Più mettiamo gocce di acqua pulita nel mare e più puliamo il mare”.

    D. – Questo libro è una raccolta di omelie. Lei ha spiegato come la storia della predica nasca il giorno della Pentecoste, quando Pietro esce dal precipizio del rinnegamento e inizia la predicazione...

    R. – Certo, Pietro diventa un trasmettitore del Vangelo, che è una buona notizia, nel momento in cui si accorge che la buona notizia gli entra dentro. Pietro si accorge di avere bisogno della misericordia di Dio, e nel momento in cui si consegna alla misericordia di Dio e piange, e quel pianto lo lava, in quel momento Pietro diventa capace di raccontare agli altri la misericordia di Dio. E così inizia l’annuncio del Vangelo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Libertà per qualsiasi religione: l'appello di Papa Francesco, insieme a patriarchi e arcivescovi maggiori delle Chiese Orientali cattoliche, per la pace in Medio Oriente.

    Tra Camelot e Gerusalemme: in prima pagina, un editoriale di Robert Imbelli sui cinquant'anni dalla morte di John Fitzgerald Kennedy.

    Nel servizio internazionale, in rilievo il dossier nucleare iraniano: segnali contrastanti nel dialogo a Ginevra.

    Un'Africa a misura di bambine: Pierluigi Natalia sull'aumento della frequenza scolastica nel continente nero.

    Per ricordare il martirio degli apostoli Pietro e Paolo: un inedito di Paolo VI, un brano di Jean Guitton, un articolo di Carlo Carletti dal titolo “Su questa pietra” e un profilo di Margherita Guarducci.

    Identità nazionale e integrazione europea: parte della prolusione pronunciata da Vincenzo Buonomo in occasione della visita del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla Pontificia Università Lateranense.

    Il canto del sangue: Inos Biffi su Santa Cecilia nella poesia di Paul Claudel.

    Per la pace in Mozambico: messaggio dell’Inter-Regional Meeting of Bishops of Southern Africa.

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    Oggi in Primo Piano



    Ripresi a Ginevra all'insegna dell'incertezza i colloqui sul nucleare iraniano

    ◊   Segnali contraddittori hanno caratterizzato ieri a Ginevra la prima delle tre giornate del nuovo round negoziale fra l'Iran e le potenze del gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza - Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia - più la Germania) sullo spinoso dossier nucleare. L'obiettivo resta quello di un accordo preliminare in grado di rassicurare il mondo che il programma iraniano non punti alla bomba atomica, in cambio di un primo allentamento delle sanzioni su Teheran. Ma i tempi appaiono incerti. Ieri a freddare gli entusiasmi ci sono state le dichiarazioni dell’Ayatollah Khamenei, guida spirituale del Paese, che sostiene che Teheran “non cederà di una virgola”. Per una valutazione del suo intervento e del possibile accordo sulla questione nucleare iraniana, Fausta Speranza ha intervistato Giorgio Alba, dell’Archivio Disarmo:

    R. – Possiamo valutare le dichiarazioni come un messaggio politico, che non cambia la sostanza dei negoziati tecnici e finanziari in corso. La questione è rimuovere le sanzioni, parte delle sanzioni, e bloccare parte del programma tecnico-scientifico in corso in Iran. Questo scambio, questo accordo ha una base politica e il messaggio generale è che se c’è un accordo che può trovare apprezzamento nei gruppi di interesse dei rispettivi Paesi, questo accordo ci può essere, altrimenti la situazione è soddisfacente così com’è: le sanzioni cioè non stanno danneggiando né il programma di ricerca, di sviluppo industriale e scientifico iraniano, né stanno danneggiando gli interessi economici di chi detiene il potere.

    D. – Sembra un po’ per certi aspetti che gli Stati Uniti siano un po’ soli nel volere questo accordo con l’Iran, che è un punto fermo dell’amministrazione Obama...

    R. – Certamente. Obama ha raccolto il ruolo storico degli Stati Uniti di garante della stabilità del Medio Oriente, un ruolo guadagnato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo ruolo può essere portato avanti in diversi modi: sia attraverso l’azione militare sia attraverso accordi diplomatici. Obama ha tentato principalmente la seconda strada e questo comporta però che gli interessi degli Stati Uniti siano di una superpotenza, che si è fatta carico appunto di proteggere la stabilità e gli interessi di tutti i Paesi dell’area; mentre altri Paesi sia dell’area sia in Europa possono avere degli interessi regionali più specifici, più connessi con le proprie industrie, più connessi con le commesse, gli acquisti di armi o quantomeno per il ruolo, l’aspirazione ad essere una potenza nell’area. C’è, quindi, un contrasto di interessi, c’è una difformità di interessi, ma questo è riconducibile al ruolo storico. Non sono isolati gli Stati Uniti, ma ci sono delle scelte specifiche che non sempre trovano il pieno appoggio da parte degli alleati.

    D. – Parliamo di Israele, sembra proprio netta la decisione di essere contro questo accordo...

    R. – La decisione di Israele di essere contro questo accordo risale ad una situazione geopolitica. Israele è l’unico Paese in Medio Oriente ad avere armi nucleari, anche se non le ha dichiarate ufficialmente. Questo ha fatto sì che Israele scegliesse in passato l’azione militare – penso all’Iraq – e l’azione militare anche contro la Siria e altri Paesi, per impedire che ci fosse un secondo Paese interessato ad acquisire questa tecnologia. Fino a quando, quindi, Israele non deciderà di rinunciare alle armi nucleari e quindi favorire la creazione di un’area libera, l’area per le armi nucleari in Medio Oriente - e ci sono negoziati in corso anche per questo – finché non verrà presa questa decisione, sarà nell’interesse di Israele impedire la nascita di questo secondo Paese. Di questo passo, il secondo Paese è l’Iran. In futuro ci potrebbero essere altri Paesi. Il percorso che sta facendo l’Iran è molto sofisticato: sta lentamente avvicinandosi ad una capacità tecnologica ed industriale. Questo mette in estrema difficoltà Israele ed anche gli Stati Uniti, perché non è una sfida aperta, cui può essere data facilmente una risposta militare, ma è una sfida che si basa su delicati equilibri, e questi delicati equilibri spesso pongono Israele in contrasto con gli Stati Uniti.

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    Afghanistan: Karzai propone la proroga della presenza straniera

    ◊   I militari americani potrebbero rimanere in Afghanistan anche dopo il 2014 e questo in base ad un preaccordo dei giorni scorsi tra Kabul e Washington. Ne ha parlato oggi il presidente afghano, Karzai, all’apertura della Loya Girga, la grande assemblea di leader tribali, esperti religiosi e personaggi influenti della società. L’assise dovrà ora dare il suo parere su questa ipotesi, che sta creando opposti commenti all’interno e fuori del Paese. Sulla fattibilità del prolungamento della permanenza straniera, Giancarlo La Vella ha intervistato Marco Lombardi, esperto di Afghanistan dell’Università Cattolica di Milano:

    R. – La fattibilità operativa non la discuterei: c’è di sicuro! Diciamo che, forse, il discorso, più che sulla fattibilità, è sulla opportunità e il senso di questo prolungamento. La permanenza da parte delle truppe io la do per scontata, sotto forme diverse, in genere di collaborazione per quanto riguarda la formazione – per esempio – dell’esercito, della polizia, dell’impianto giudiziario e quant’altro. Qui stiamo, però, parlando di 10-15 mila uomini. Sicuramente la permanenza di un gruppo così folto di militari ha un ritorno economico: nell’Afghanistan si è costruito un sistema economico fondato sugli aiuti diretti, che arrivano per la presenza sul terreno delle truppe e soprattutto perché così tanti militari creano un indotto economico rilevante per il Paese. In termini politici è da vedere in che modo questo si pone con un Paese che è altamente frammentato al suo interno. Il presidente Karzai non rappresenta tutti: c’è una rappresentanza forte, che è quella dei talebani, con i quali si era aperto un dialogo, ma che oggi risulta un pochino impantanato. Quindi, la discussione è aperta in termini di convenienza.

    D. – Che ricaduta avrebbe questa decisione – se approvata – rispetto ai Paesi limitrofi?

    R. – L’Afghanistan è al centro di una situazione geopolitica altamente problematica. Il grande vicino è – da una parte – l’Iran e – dall’altra – il Pakistan. Con l’Iran ci sono una serie di discussioni che hanno a che fare con la vecchia questione nucleare: l’Iran non è certo favorevole a una permanenza delle truppe americane, in veste di controllori del suo territorio. Quindi in termini di stabilità regionale questo rinvio potrebbe aprire dei problemi. Dall’altra, molto probabilmente l’interesse americano anche a restare in Afghanistan è finalizzato a mantenere una finestra aperta anche sul Pakistan. Il Pakistan è un enorme problema: è un Paese fuori controllo, dove sicuramente ha sede oggi buona parte del terrorismo; un Paese mal governato e con una bomba atomica costruita e finanziata dagli americani. A livello globale dico che, se si resta lì, bisogna restarci cambiando evidentemente il modo di guardare alle cose. Quindi rifondare sia i patti tra le truppe internazionali che restano su una prospettiva diversa, sia soprattutto con Karzai e il popolo afghano su una prospettiva completamente nuova. Troppe volte in questo ultimo anno mi sono sentito dire dagli afgani: “Non sappiamo più chi sono i cattivi: i talebani o le truppe internazionali? Perché tutti si stanno comportando allo stesso modo nei nostri confronti!”.

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    Ancora allerta maltempo sulle regioni tirreniche. Domani lutto nazionale per le vittime in Sardegna

    ◊   Il Consiglio dei ministri ha deciso di indire per domani il lutto nazionale in ricordo delle 16 vittime dell'alluvione in Sardegna. Due le inchieste aperte dalla magistratura: una a Tempio Pausania per disastro colposo, l'altra a Nuoro per omicidio colposo. Dalla legge di stabilità invece arrivano i fondi per l'emergenza. Ieri la giornata dei primi funerali: presente a Olbia il sostituto della Segreteria di Stato, mons. Angelo Becciu: "il Papa è presente in mezzo a noi - ha detto - per condividere la vostra angoscia, per invitare tutti a sperare senza cedere allo sconforto ". Intanto è nuova allerta maltempo tra oggi e domenica con nubifragi in Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e ancora la Sardegna, mentre la Calabria ha chiesto al governo lo stato d’emergenza. Paolo Ondarza:

    Il maltempo continua a colpire l’Italia. Solo una tregua in Sardegna, nuove precipitazioni sono previste entro domenica. Intanto si moltiplicano le iniziative di solidarietà. La Protezione Civile invita a interrompere l'invio di aiuti perché al momento sono sufficienti. Diminuiscono gli sfollati: circa 730, mentre si cerca ancora l’ultimo disperso in provincia di Nuoro. Strade e ponti danneggiati, ma – spiega – il capo della Protezione Civile Gabrielli – solo nei prossimi giorni sarà possibile fare una stima dell’alluvione. Ingenti i danni all’economia: decine di milioni di euro secondo la Coldiretti. Morti centinaia di animali da allevamento, sommersi frutteti, dilavati terreni appena seminati, danni poi a case rurali e fabbricati. Michele Zannini, presidente di Acli Terra:

    R. - È stata dissipata una capacità economica fondamentale. Quel comparto è la vita di gran parte dell’economia agricola di quei territori; non c’è molta alternativa. Il mio timore è che non si trovi un modo anche snello, agile, sul piano amministrativo, burocratico, affinché le persone, le imprese possano tornare a riprendere la loro vita.

    D. - Fate riferimento a situazioni passate in cui la burocrazia ha preso praticamente il sopravvento sull’effettivo bisogno?

    R. - Quasi normalmente si registra questa difficoltà che complica e a volte arresta persino i processi di ripresa. Su un piano più generale, questa vicenda verifica l’assoluta assenza nel nostro Paese di una politica di tutela del territorio.

    D. - Anche perché il discorso si può effettivamente estendere a livello nazionale …

    R. - Sì. Mi pare che ancora non sia deciso lo stato di calamità per la Calabria. Anche lì, in questo momento c’è un disagio che ha provocato degli effetti devastanti per l’economia calabra che è un’economia povera. Gli agricoltori della Calabria sono coloro che si occupano della custodia vera del territorio. Se non lo facessero loro, chi lo farebbe? Se non c’è l’uomo, se non c’è un’agricoltura attiva, se non c’è un pastore in Sicilia che si preoccupa di controllare gli argini dei torrenti dove far abbeverare le pecore … Se non c’è questo, chi lo fa? E adesso questo disastro peggiora ulteriormente la capacità di controllo del territorio perché tanta gente, che ha perso tutto, ora scapperà, cercherà altre opportunità di reddito…

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    Al presidente Napolitano la medaglia d'onore della Lateranense

    ◊   "E' un periodo che comporta anche amarezze, comunque ampiamente risarcite da riconoscimenti come questo". Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al termine di una cerimonia alla Pontificia Università Lateranense, dove gli è stata conferita la medaglia d'onore dell'ateneo da parte del rettore, il vescovo Enrico dal Covolo. Alessandro Guarasci:

    Una visita speciale, in un ateneo speciale. L'Università Lateranense accoglie il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che inaugura la nuova sala multimediale dedicata a Papa Francesco e riceve la medaglia d'onore dell'ateneo. La motivazione: "per il generoso e sacrificato impegno nella promozione dei diritti della persona”. Il pensiero del capo dello Stato va alla situazione del Paese:

    "Proseguire in un cammino tutt'altro che facile, che va percorso con il massimo di coerenza, di fermezza, di apertura anche alle incognite del periodo che stiamo vivendo, che comporta anche non poche amarezze in qualche momento".

    A ricevere Napolitano, tra gli altri, il cardinale vicario Agostino Vallini che mette in luce la grande responsabilità di chi qui insegna. Viviamo "un tempo di crisi di cultura e di identità, un tempo di grande emergenza educativa per le crescenti difficoltà nel trasmettere alle nuove generazioni i valori base dell'esistenza e di un retto agire - dice il poporato - Il lavoro di docenza e di ricerca nelle aule universitarie -sottolinea Vallini- è in qualche modo una sfida, se la trasmissione dei saperi non si limita a comunicare nozioni, dati storici o ipotesi di ricerca ma è intesa e condotta allo scopo di accompagnare gli studenti ad affrontare lo studio come un libero avvicinarsi alla verità":

    "Si tratta certamente di un'opera educativa ardua, in un tempo di grande emergenza educativa per le crescenti difficoltà nel trasmettere alle nuove generazioni i valori base dell'esistenza e di un retto agire".

    Insomma, bisogna ribadire la "relazione stretta" tra "verità e libertà", come disse Benedetto XVI, perché "non si può vivere l'una senza l'altra".

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    Il premier Letta: verso il ripristino dei fondi per i malati di Sla e non autosufficienti

    ◊   Il Consiglio dei ministri ha deciso di presentare un emendamento alla legge di stabilità che riguarda il "ripristino completo delle somme legate alla non autosufficienza" e fra queste quelle per i malati di Sla. Lo ha annunciato il premier Enrico Letta, dicendo di comprendere le proteste, ma ricordando anche che era già previsto un "completamento del percorso". Si registra così un significativo passo in avanti nella trattativa tra le associazioni dei malati di Sla e il Governo, dopo i sit-in e le dure manifestazioni dei giorni scorsi. Marco Guerra ha raccolto il commento del dott. Mauro Pichezzi, presidente di Vivalavita, una delle associazioni di malati di sclerosi laterale amiotrofica che siedono al tavolo interministeriale sull’assistenza:

    R. - In questo momento di gravissima crisi, soprattutto economica e sociale, i malati di Sla sono i più deboli, i più fragili e rappresentano altri che come loro sono deboli e fragili pur avendo altre patologie ed altre condizioni. In sostanza, sono i gravissimi disabili che in Italia sono migliaia e che hanno diritto ad essere aiutati, sostenuti, e insieme a loro, i loro nuclei familiari.

    D. - Nei prossimi giorni si chiuderà la manovra finanziaria. La politica riuscirà ad offrire delle risposte concrete?

    R. - Finora le risposte della politica, almeno negli ultimi anni, sono state risposte che hanno sempre più impoverito quella parte di risorse dello Stato che erano destinate al fondo sociale. Adesso speriamo che questa tendenza si inverta, si ricominci a considerare il sociale come il punto da cui ripartire proprio per la crescita e per il superamento della crisi in uno spirito di solidarietà.

    D. - Avete alcune proposte concrete che state portando avanti? Si richiedono alcuni servizi specifici per questo tipo di malattia?

    R. - Sì, quello che serve davvero per affrontare una gravissima disabilità è un sistema che funzioni: un sistema socio-sanitario. Quello sardo è un modello che in parte sta funzionando, soprattutto nella fase di “ritorno a casa”, cioè di quella domiciliazione di cui la persona ha tanto bisogno dopo aver attraversato una fase acuta della malattia per rientrare nella sua vita quotidiana, nella sua famiglia. Anche altre regioni hanno dei modelli che possono essere utilizzati. Il problema è che sono modelli sporadici, non organizzati a livello nazionale. Molte regioni hanno enormi difficoltà. Quindi in questi anni si è verificata una sperequazione: alcuni hanno dei buoni modelli assistenziali, altri non ne hanno affatto. Alla diagnosi, le persone con Sla di solito sono persone normali che in età adulta vengono colpite da una malattia degenerativa che toglie loro varie facoltà: la capacità di muoversi, la capacità di respirare, la capacità di deglutire e quindi di nutrirsi naturalmente, e infine anche la capacità di comunicare con gli altri. Tutto questo, rende questa patologia un po’ l’emblema della complessità. Per le patologie complesse il nostro sistema sanitario e il nostro sistema sociale non hanno un modello efficace da mettere in campo; per cui non c’è una presa in carico né del malato, né della sua famiglia in tutti i momenti della malattia. Questo è ciò di cui si ha bisogno: di un sistema capace in maniera organica e uniforme sul territorio nazionale di assistere, di farsi carico di queste persone, dei loro problemi non soltanto clinici, ma anche e soprattutto sociali.

    D. - Quindi ancora una volta la famiglia ha un ruolo fondamentale nell’assistenza del malato …

    R. - Abbiamo fatto uno studio come associazione “Vivalavita” per definire quanto effettivamente è il carico che le famiglie devono - purtroppo - sostenere in mancanza di modelli assistenziali. Si tratta di una cifra enorme che va dai duemila ai cinquemila euro di spesa al mese. Ma è anche uno sforzo enorme che si paga in termini di costi sociali: i cari, i congiunti che assistono la persona con Sla, devono rinunciare al proprio lavoro, alla propria vita. Il rischio si chiama esclusione, si chiama povertà. Qualcuno potrà dire: “Perché soltanto i malati di Sla?”. Noi siamo i primi a dire che siamo rappresentativi! Stiamo facendo una battaglia che cerca di rappresentare le difficoltà in cui tutto il mondo della disabilità si trova in questo momento, in particolare quello della gravissima disabilità. È anche una battaglia di disperazione da una parte, che però dall’altra spera che finalmente lo Stato si renda conto che esiste un fabbisogno che deve essere stimato. Poi, al quel fabbisogno bisogna dare una risposta, ovviamente, prima di tutto in termini di risorse economiche.

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    La speranza kennediana, 50 anni dopo Dallas: convegno Ucsi alla Radio Vaticana

    ◊   John Fitzgerald Kennedy “ha incarnato il carattere del popolo che ha guidato: resistente, risoluto e senza paura”. Così il presidente statunitense Obama ha ricordato, ieri, il suo predecessore, di cui domani ricorre il 50.mo anniversario dell’assassinio, avvenuto il 22 novembre 1963. E JFK è stato ricordato, ieri, anche alla Radio Vaticana, nel convegno “La grande speranza kennediana 50 anni dopo”, organizzato dall’Ucsi, Unione Cattolica Stampa Italiana. Il servizio di Davide Maggiore:

    Ricordare Kennedy per quello che ha fatto da vivo, e non per la sua morte. È stato questo il filo conduttore del convegno, che ha messo a confronto vari giudizi storici sulla sua figura, partendo dal punto di vista della Chiesa sul primo e unico presidente cattolico della storia degli Stati Uniti d'America. Solo con la disponibilità di tutti i documenti storici si potrà dare una valutazione completa di questo aspetto, ha ricordato il prof. Matteo Luigi Napolitano, delegato del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l’International Committee for the Second World War, e docente di Storia contemporanea all'Università del Molise. Senza dubbio, però, ha sottolineato Napolitano, la Chiesa guardava con attenzione al mandato di Kennedy con un particolare sguardo ai Paesi del Terzo Mondo alla luce dei processi di decolonizzazione in corso nel mondo in quella fase storica e alla questione dei diritti civili all’interno degli Stati Uniti. Sul giudizio storico della figura di Kennedy, 50 anni dopo la morte, il pensiero di Germano Dottori, docente di Studi Strategici all’università Luiss di Roma:

    “Il dibattito è in corso. Siamo passati da un periodo nel quale dell’eredità 'kennediana' si conservavano e valutavano soprattutto gli aspetti più positivi ed eclatanti, ad un periodo – quello che stiamo attraversando – in cui sta prevalendo una valutazione più sobria del personaggio. Per quello che riguarda il mio punto di vista sulla politica estera, non ho alcun dubbio che Kennedy debba essere collegato al tempo in cui è vissuto e debba essere considerato come un tipico presidente della Guerra Fredda: un presidente impegnato a conservare agli Stati Uniti una posizione forte e di supremazia, sia nei confronti dell’Unione Sovietica, che nei confronti del mondo libero di cui l’America era una guida e lo è tuttora”.

    La morte prematura di Kennedy ha contribuito certamente a crearne il ‘mito’, ma all’eredità kennediana si richiama oggi tutta la politica americana. Lo spiega da New York, Paolo Mastrolilli, inviato negli Usa del quotidiano “La Stampa”:

    “Da una parte ci sono naturalmente i liberal, i democratici che dicono che Kennedy era un presidente liberal - nonostante poi fosse realista su molte questioni - e che soprattutto ha ispirato gli americani insegnando loro che il governo può essere utile alla soluzione dei problemi dei cittadini, in particolare dei cittadini più deboli. I repubblicani però cercano di rivendicarlo come un loro alleato. In sostanza dicono che in realtà Kennedy non era un liberal, ma era un conservatore e le cose più importanti che ha fatto sono state ad esempio la riduzione delle tasse...”

    Anche Daniele De Luca, docente di storia delle relazioni internazionali all’università del Salento, sottolinea quello che ha accomunato Kennedy ad altri presidenti americani, dal punto di vista della politica estera:

    “Kennedy vive in un momento di particolare durezza della Guerra Fredda, di confronto con l’Unione Sovietica. Non può fare passi indietro e quindi ha un atteggiamento di forte supporto alla politica di contenimento “trumaniana”, anzi, rafforzandola in alcuni punti. Come si comporta sul campo - nel caso di alcune crisi, la guerra del Vietnam o quella di Cuba - dimostra chiaramente che il presidente Kennedy è un presidente che non può fare un passo indietro perché questo serve alla protezione della sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dei suoi alleati”.

    Con riferimento anche alla crisi di Cuba, durante il convegno - moderato dai giornalisti di Radio Vaticana, Fausta Speranza, che è anche vicepresidente dell'Ucsi Lazio, e Alessandro Gisotti - è stato ricordato il ruolo svolto in quei giorni da Papa Giovanni XXIII con il messaggio-appello alla pace inviato ai leader di Usa e Russia, per poi ricordare la lettera scritta, nel settembre scorso, da Papa Francesco in occasione del summit del G20 dedicato alla crisi siriana con un ennesimo appello per evitare un conflitto internazionale. Oltre al cattolico e all’uomo politico va infine ricordato il Kennedy ‘comunicatore’. Una molteplicità di aspetti in cui anche chi non si è riconosciuto pienamente nella figura di JFK può trovare un lascito ancora valido. Del resto, ricorda il prof. Daniele De Luca, l’assassinio del presidente:

    “…come è stato detto, è stato la morte dell’innocenza americana, cioè la morte di una possibile speranza”.

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    Operazione Colomba nei Territori occupati: una presenza che sostiene scelte di nonviolenza

    ◊   Prosegue in Cisgiordania l’impegno ormai decennale dei volontari di Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Dai 4 agli 8 i volontari che risiedono stabilmente in un piccolo villaggio di quel territorio e che, oltre alle attività quotidiane di sostegno alla popolazione locale hanno promosso, di recente, un incontro sul dialogo e la riconciliazione. Ma che cosa c’è alle origini di Operazione Colomba? Adriana Masotti lo ha chiesto a Marco Ramigni, responsabile del progetto in corso nei Territori occupati:

    R. – Alle origini c’è una volontà, che nasce sicuramente dalla Comunità Papa Giovanni, di condividere la vita con gli ultimi. Operazione Colomba individua in questi ultimi le vittime dei conflitti armati. Nasce nel 1992 con la guerra in Jugoslavia.

    D. – Come siete arrivati, invece, nei Territori Occupati?

    R. – Siamo arrivati su richiesta della comunità locale e dal 2004 Operazione Colomba è nel villaggio di At-Tuwani, che si trova nelle colline a sud di Hebron, e quindi in territorio palestinese, però sotto controllo civile e militare israeliano. Poco distante dal villaggio si trovano due insediamenti israeliani, che sono abitati da coloni nazional-religiosi. Gli insediamenti sono in continua espansione e annettono terre dei vicini villaggi palestinesi. La cosa straordinaria è che i pastori delle colline a sud di Hebron hanno scelto di rispondere a queste violenze con metodi non violenti e si sono riuniti nel “Comitato popolare delle colline a sud di Hebron”. Questo comporta anche vedere al villaggio, per esempio, tanti israeliani che sostengono la causa di questi pastori. Per cui è facile, non so, vedere nel villaggio israeliani e palestinesi che mangiano assieme.

    D. – Ogni anno voi organizzate localmente un workshop, un incontro, sui temi del dialogo e della non violenza…

    R. – L’ambito in cui nasce il workshop è una richiesta degli stessi pastori palestinesi. Hanno fatto questa scelta non violenta e ci dicono: “Una volta all’anno, ci aiutate a nutrire questa non violenza?”. Quindi noi portiamo lì delle persone esterne che hanno avuto un’esperienza personale di dialogo e di riconciliazione. Quest’anno sono venuti due ospiti legati alla nostra storia italiana, agli Anni di Piombo. E’ venuta una persona che ha commesso delle violenze e il figlio di un vittima della violenza terroristica.

    D. – Per dire che cosa?

    R. – Per portare una testimonianza che ha attraversato, intanto, il profondissimo dolore personale ed è arrivata a raggiungere il dolore dell’altro. In particolare per chi ha partecipato ad un gruppo terroristico, si è trattato di una testimonianza di rottura col passato: il fatto di testimoniare che la lotta armata non è servita a cambiare il mondo in meglio. Mentre l’altra testimonianza è stata quella di combattere un odio lacerante e riuscirsi a spingere più in là, a protendersi con assoluto coraggio verso l’incontro e il confronto con chi aveva ucciso il proprio padre.

    D. – Quali sono le altre attività e iniziative che i volontari di Operazione Colomba portano avanti nella quotidianità?

    R. – Accompagnano i pastori palestinesi nelle loro terre, dove c’è il rischio di essere attaccati e il fatto che ci sia la presenza di volontari internazionali fa diminuire il livello di violenza. Dopodiché monitorano una scorta israeliana che accompagna a scuola dei bambini palestinesi: questi bambini palestinesi, in passato, erano stati attaccati dai coloni israeliani e noi controlliamo che la scorta faccia bene il suo lavoro. Monitoriamo poi tutte le situazioni dal punto di vista dei diritti umani e in più – dove è possibile – cerchiamo di mettere dei semi che magari in un futuro si potranno trasformare in un dialogo tra le parti.

    D. – Che speranze avete che il vostro lavoro possa servire davvero a una pace futura?

    R. – Abbiamo delle speranze concrete, perché vediamo nel piccolo dei segni di pace. Io ho ben presente quali siano le esigenze di questi pastori palestinesi che dicono: “Noi tutto quello che vogliamo è poter vivere in pace qua, poter coltivare le nostre terre”. Da parte israeliana è necessario prima un processo di riconoscimento verso i palestinesi. Gli israeliani che noi vediamo venire al villaggio, quando vengono, scoprono che quei palestinesi non sono dei nemici per loro. Ecco, prima di questo passaggio io vedo con fatica la possibilità di una pace duratura.

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    Scomparso Marcello D'Orta, autore di "Io speriamo che me la cavo". Il ricordo del figlio sacerdote

    ◊   Dopo una lunga lotta contro il cancro, si è spento, a 60 anni, Marcello D’Orta, il maestro elementare e scrittore partenopeo divenuto famoso con il libro “Io speriamo che me la cavo”. A celebrare le esequie, a Napoli, è stato il figlio Giacomo, giovane sacerdote dell’Ordine religioso dei Minimi di San Francesco di Paola. Antonella Pilia ha raccolto la sua testimonianza:

    R. - Mio padre era una persona colta, era un intellettuale; ma era prima di tutto un uomo meraviglioso, un cristiano autentico. Quello che desidero è che sia ricordato come un uomo che ha veramente creduto ed è stato figlio della Chiesa, un cattolico modello, come si potrebbe dire. Proprio perché si era lasciato plasmare dal Signore in tutte le sue vie, in un progresso sempre costante, ha cercato di mettere in pratica i talenti che il Signore gli aveva offerto nell’ascolto delle parole del Maestro divino.

    D. - Quanto è stata importante l’educazione ricevuta nella sua scelta vocazionale?

    R. - Mio padre e mia madre hanno contribuito alla mia formazione cristiana, come è giusto che i genitori facciano, perché sono coloro che ti devono guidare sulla via del bene senza nessun relativismo, e questo Benedetto XVI tanto volte ce lo ha ricordato. In realtà, nel mio caso personale, di sacerdote, loro non mi hanno mai spinto, ma è stata la naturale condizione nella quale la chiamata di Dio si è potuta esprimere.

    D. - Al centro dei suoi libri ci sono scuola e abbandono scolastico, camorra, emergenza rifiuti; temi sempre affrontati attraverso la voce innocente dei bambini …

    R. - Papà ha sempre amato i bambini ed è andato anche oltre lo stretto dovere di maestro elementare; per farlo bene bisogna essere maestri di vita. Papà anche dopo la scuola andava a casa loro per cercare di non limitare il rapporto maestro-scolaro a un solo discorso cattedratico. Proprio perché maestro - non con la “m” maiuscola perché ce n’è uno -, ma maestro di quelli veri, sapeva che il discorso doveva innanzi tutto essere improntato su criteri umani, di amore umano.

    D. - Si ricorda di qualche alunno di suo padre che grazie al suo esempio ha cambiato strada?

    R. - Personalmente non sono a conoscenza delle storie di vita degli alunni. Ma, quando con papà ho avuto occasione di parlare di questo argomento, mi ricordava che, essendosi sentito con alcuni di loro, era sollevato per la strada che avevano intrapreso.

    D. - Nel 2010 la scoperta della malattia. Come ha affrontato questa prova?

    R. - Molto semplicemente, da cristiano vero. Mio padre, certamente, ha potuto elevare a Dio la sua preghiera con tanto dolore magari; si pregava in famiglia con il Rosario, si commentava la Parola del Signore … É idilliaco quello che sto descrivendo, ma se non ne fossi stato testimone, quasi quasi non mi crederei neanche io.

    D. - Insieme a lei suo padre stava lavorando ad un ultimo libro …

    R. - Sempre più conscio di questa importanza di portare la figura di Gesù tra i bambini, decise di scrivere questo libro che è diviso in due parti: nella prima parte è composta da temi, e nella seconda aveva intenzione di descrivere ai bambini gli aspetti della vita del Signore. Il suo libro è stato fatto a tre mani, non a quattro, nel senso che io in qualità di teologo ho concorso per controllare l’esattezza di alcune sue descrizioni, e qualche volta abbiamo lavorato insieme sul testo. Quindi un libro che parla di Gesù, perché se si formano i bambini al Signore e si fa comprendere loro l’importanza, allora veramente tutto può cominciare a cambiare.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq: attentato a Saadiyah, 30 morti

    ◊   Ennesimo attentato oggi in Iraq: un’autobomba è esplosa in un mercato a Saadiyah, a nordest di Baghdad, causando una trentina di morti e una quarantina di feriti. Ma il bilancio è ancora provvisorio. L’esplosione è avvenuta, intorno alle 12, nel quartiere a maggioranza sciita di Fayli. Salgono così a 5800, dall’inizio dell’anno, i morti in Iraq: solo ieri, in una terribile serie di attentati nella capitale avevano perso la vita 59 persone. La situazione è talmente grave che il premier iracheno, Nuri al-Maliki, ha chiesto in merito l’aiuto degli Stati Uniti. Intanto, al confine tra Iraq e Turchia, 13 ribelli del Pkk, alcuni dei quali minorenni, sono stati arrestati oggi al valico di Habur: da poco, meno di un anno il governo di Ankara ha avviato trattative con il leader storico del movimento, Ocalan, con l’obiettivo di trovare una soluzione politica al conflitto nel Kurdistan iracheno che in 30 anni ha fatto oltre 35mila morti. Dal marzo scorso, è in vigore una tregua, ma a settembre il Pkk ha congelato il processo di pace denunciando il mancato rispetto degli impegni presi da parte del premier turco Erdogan. (R.B.)

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    Siria: per l'opposizione, dal 2011 sarebbero morti oltre 8700 bambini

    ◊   Almeno sette persone sono rimaste uccise questa mattina a Homs, nella Siria centrale, in un attacco a colpi di mortaio riferito dall’emittente al-Mayadeeri, ritenuta vicina al governo di Damasco. Nel nord, inoltre, nei pressi di Aleppo, quattro cittadini britannici legati ad al Qaeda e ai gruppi di opposizione, sarebbero morti nel corso di scontri avvenuti nell’area. A scriverlo è il quotidiano inglese Times che lancia l’allarme sul pericolo dei giovani – tra i 200 e i 300 secondo le stime – che sarebbero andati in Siria per combattere contro le forze di Damasco. Intanto la Coalizione nazionale siriana oggi, all’indomani della Giornata mondiale per l’infanzia e l’adolescenza, ha reso nota una stima sui bambini vittime della guerra che imperversa nel Paese dal 2011: sarebbero 8759 finora i piccoli rimasti uccisi, ma non è specificato il grado di aggiornamento dei dati. La maggior parte di loro, secondo il rapporto, sarebbe caduta vittima dei bombardamenti, ma molti sarebbero morti per le torture e gli abusi perpetrati dai fedelissimi di Assad e per il virus della poliomielite tornato ad affacciarsi nel Paese dove manca la possibilità di vaccinarsi. Infine, una veglia di pace per la Siria è stata organizzata dal Centro per la Cooperazione missionaria tra le Chiese e dall’Ufficio per la Pastorale delle Migrazioni della diocesi di Roma mercoledì 27 novembre alle ore 18 nella chiesa di Santa Maria dell’Orto a Trastevere. A presiederla sarà il vescovo ausiliare per Roma Centro, mons. Matteo Zuppi, che ricorda come nell’occasione i romani avranno la possibilità di pregare per il loro concittadino, il gesuita padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria nel luglio scorso. (R.B.)

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    Nigeria, prorogato lo stato d’emergenza contro Boko Haram

    ◊   Dopo l’approvazione del Senato, l’8 novembre scorso, anche la Camera dei deputati della Nigeria ha ratificato la proroga di sei mesi dello stato di emergenza in vigore nel nordest del Paese dal maggio scorso e diretto contro gli attacchi del gruppo terroristico Boko Haram. Il testo – precisa Misna - coinvolge in particolare gli Stati di Borno, Yobe e Adamawa dove sono più frequenti gli attentati del gruppo che si pone l’obiettivo di rovesciare il governo di Abuja e di imporre la legge islamica sia nel nord a maggioranza musulmana, sia nel sud in prevalenza cristiano. Boko Haram ha particolare seguito nelle sacche più povere del Paese, nonostante la Nigeria sia l’ottavo Paese al mondo tra i produttori di petrolio. A maggio, l’entrata in vigore dello stato di emergenza ha coinciso con l’avvio di una nuova offensiva da parte dell’esercito, che però non è riuscita ad arrestare le violenze e ha causato molte vittime tra la popolazione civile. In pochi mesi, infine, decine di migliaia di persone hanno lasciato il Paese per i vicini Niger e Camerun e sono ora ospitate nei campi profughi. (R.B.)

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    Ucraina: la Chiesa greco-cattolica festeggia tre anniversari

    ◊   La Chiesa dell’Ucraina si appresta a celebrare diversi anniversari nei prossimi giorni, le cui commemorazioni si svolgeranno principalmente a Roma dal 23 al 27 novembre. Tra i più importanti c’è l’80.mo dell’Holodomor, la terribile carestia degli anni 1932-1933 pianificata dal regime staliniano nella stessa Ucraina e in altre regioni dell'Unione Sovietica in nome della collettivizzazione forzata, che causò milioni di morti. Per l’occasione, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, celebrerà una Messa nella basilica di Santa Sofia a Roma in memoria delle vittime. Il giorno successivo, inoltre, i vescovi ucraini, presenti in città, parteciperanno alla solenne cerimonia di chiusura dell’Anno della Fede in Vaticano con Papa Francesco. Con una celebrazione e una visita alla tomba di San Giosafat, martire dell’unità della Chiesa ucraina, che si trova nell’altare di San Basilio il Grande in San Pietro, invece, saranno commemorati i 50 anni dalla traslazione delle reliquie del Santo nella Basilica vaticana il prossimo 25 novembre. Il giorno successivo, è previsto il trasferimento delle reliquie del Beato Omelyan Kovch nella Basilica di San Bartolomeo e verrà assegnato il premio a lui dedicato, che ogni anno viene conferito a personalità impegnate nell’ambito del dialogo ecumenico e culturale tra i popoli, della comprensione interetnica e interreligiosa, o a chi si è distinto in opere di carità e solidarietà. Infine, il 27 novembre, per il 50.mo della fondazione dell’Università cattolica ucraina, ci sarà una celebrazione all’Istituto San Clemente con un premio consegnato ai dottorati. (R.B.)

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    Ucraina: no al ricovero all’estero per i detenuti. La Timoshenko resta in patria

    ◊   Il Parlamento ucraino, ha bocciato oggi tutti i ddl che prevedevano il ricovero all’estero dei detenuti in patria: nessuno dei sei progetti di legge, infatti, ha ricevuto i 226 voti necessari all’approvazione, raggiungendone al massimo 195. Nulla di fatto, dunque, neppure per la leader dell’opposizione Iulia Timoshenko, condannata a sette anni di reclusione e molto malata, per la quale avrebbero potuto aprirsi le porte di cure in Germania. La condizione della sua liberazione, però, è stata posta dall’Unione Europea come fondamentale per la sigla dell’accordo con Kiev previsto per fine novembre. (R.B.)

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    Filippine. La Chiesa in prima linea negli aiuti alla popolazione colpita da Hayan

    ◊   È ancora molto grave l’emergenza nelle Filippine dove, secondo l’ultima stima del National Disaster Risk Reduction and Management Council, il tifone Hayan ha colpito almeno 10 milioni di persone, di cui quattromila in modo letale. Ci sono, inoltre, almeno 400mila persone senza casa ospitate nei centri per sfollati e oltre quattro milioni, invece, che hanno trovato rifugio presso amici e parenti. Tra le testimonianze che arrivano all’agenzia Fides c’è quella, toccante, di una religiosa delle Missionaries of Hope a Cebu, suor Mary Joaquim, che racconta come la Chiesa tutta si sia mobilitata e come sia confortante vedere tanti interventi di solidarietà. Al tempo stesso, però, denuncia gli sprechi dei “mezzi di soccorso carichi di aiuti distribuiti solo per metà” e la difficile situazione di alcuni posti, come la periferia di Tacloban, dove vivono almeno 9.500 famiglie ancora isolate. Secondo la suora, che invita tutti a pregare per la popolazione filippina, “occorre valorizzare maggiormente la presenza delle congregazioni religiose maschili e femminili che vivono nei territori in cui si verificano le emergenze. "Credo, afferma, che soprattutto i religiosi, con il loro voto di povertà e la loro dedizione a Cristo, raggiungerebbero in modo più efficace i più bisognosi e li aiuterebbero a far fronte alle tante difficoltà”. Un esempio virtuoso di quanto espresso dalla religiosa, si sta verificando in alcune aree remote come la cittadina di San Remigio nell’isola di Bantayan, dove una delegazione della Comunità di Sant’Egidio proveniente da Hong Kong unitamente con alcuni membri residenti a Cebu, ha portato tre camion di cibo e acqua potabile che sono stati consegnati al parroco locale. “Quello che colpisce – ha raccontato a Fides don Paolo Cristiano, sacerdote della Sant'Egidio che segue le realtà asiatiche – sono la dignità e la compostezza del popolo filippino nell’affrontare questo dramma”. A San Remigio su 11.500 abitanti il 90% è rimasto senza casa e la chiesa di San Juan Nepomuceno è andata distrutta. “Il nostro obiettivo è dare un segno tangibile di solidarietà – ha aggiunto il sacerdote – ma è necessario anche dare sostegno con la preghiera”. (R.B.)

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    Madagascar. I Vescovi: “guarire le ferite provocate dalla crisi politica”

    ◊   La popolazione è divisa in due categorie: i ricchi e poveri che sprofondano nella povertà estrema. L’insicurezza cresce e il popolo non è più protetto, si va dunque verso uno Stato di non diritto e verso uno Stato dove solo i più forti hanno il diritto dalla loro parte” affermano i vescovi del Madagascar nel messaggio pubblicato in occasione della fine dell’Anno della Fede e del 75.mo anniversario della Bibbia cattolica in lingua malgascia, La disparità tra ricchi e poveri, afferma il messaggio inviato all’Agenzia Fides, è stata evidenziata nel corso della campagna elettorale per le elezioni presidenziali. “A causa del potere del denaro, durante la campagna elettorale, si è abbondato purtroppo in calunnie, in esclusioni tribali e la compravendita di voti è stata effettuata su larga scala. La popolazioni povere rurali sono rimaste intimorite dall’opulenza smisurata di potenti fuoristrada, dello spiegamento di elicotteri e di diversi apparecchi sofisticati. Di fronte a tutto questo, più di una persona ha sottolineato che il denaro c’è ma che non è utilizzato per il bene della popolazione” affermano i Vescovi che rivolgono un appello ai politici perché operino per il bene della nazione e non “svendano la Patria” ad interessi stranieri. Il Madagascar sta cercando di uscire da una grave crisi politica scoppiata dopo le dimissioni del presidente Marc Ravalomanana nel 2009. Il 25 ottobre si è tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali che ha registrato un tasso di partecipazione del 61,85% degli elettori. Il secondo turno si terrà il 20 dicembre e vedrà confrontarsi Robinson Jean Louis (appoggiato da Ravalomanana) e Hery Rajaonarimampianina (sostenuto dal presidente della transizione Andry Rajoelina). La crisi politica ha avuto gravissime conseguenze sociali ed economiche sulla popolazione; per questo i vescovi affermano che la “priorità delle priorità” della classe dirigente che uscirà dalle elezioni dovrà essere quella di “guarire le diverse ferite causate delle molteplici crisi successive”.

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    India. Il 30 novembre grande preghiera ecumenica per la giustizia e la riconciliazione

    ◊   Una grande preghiera, ecumenica e simultanea, in oltre 6.000 chiese cristiane, in tutta l’India: è l’iniziativa programmata per il 30 novembre dall’Unione. Come riferisce una nota inviata a Fides dalla Chiesa di Delhi, “il focus della preghiera è la giustizia, la riconciliazione nazionale, la giustizia economica. Pregheremo per tutte le persone e le comunità indiane, per stabilità, pace e prosperità della nazione”. “Chiediamo a tutti i cristiani nella nazione di unirsi in questo sforzo di preghiera, per benedire la nazione”, spiega mons. Anil Couto, arcivescovo di Delhi, presidente del comitato organizzatore della preghiera. “La nostra nazione sta attraversando un periodo di incertezza, soprattutto per le difficoltà relative alle condizioni sociali, economiche e religiose della popolazione. Tutto questo richiede un contributo esplicito delle Chiese cristiane, impegnate a costruire la nazione”, spiega il rev. Richard Howell, pastore protestante, nel comitato esecutivo dello “United Christian prayer for India” (UCPI), organismo ecumenico che cura l’iniziativa. A Delhi è previsto un grande evento: migliaia di membri delle chiese a Delhi pregheranno per l'India. “Abbiamo invitato i leader della nostra nazione: il presidente, il primo ministro, il presidente della Corte Suprema dell'India, i capi delle forze armate. E’ una occasione di grazia anche per loro”, dice il rev. Howell. La Chiesa indiana intende ribadire che è in prima linea nella dare un contributo alla nazione. L’India oggi si ritrova in una fase critica della sua storia. “La crisi politica, economica e morale sociale, richiama tutti a impegnarsi e a perseverare nella preghiera, perché il paese possa continuare sulla strada del progresso, della pace e della giustizia”, afferma la nota giunta a Fides. L’idea di una preghiera ecumenica nazionale è nata nel 2012 da un meeting fra diversi leder cristiani indiani. L’iniziativa ha riscosso subito l’appoggio di leader cristiani di diverse confessioni appartenenti a 130 organizzazioni, diocesi e parrocchie in numerosi Stati come Himachal Pradesh, Punjab, Jharkhand , Maharashtra , Tamil Nadu , Andhra Pradesh, Karnataka e Kerala.

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    Centrafrica: tensione a Bangui, la testimonianza di un missionario

    ◊   La tensione è altissima a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana dove giornalmente avvengono sparatorie per strada e violenze di ogni genere: è appena tornato da lì padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano da anni a Bozoum – altra città del Centrafrica – che offre a Fides la sua testimonianza diretta: “La sensazione generale è che si stia preparando un intervento dall’esterno che sta mettendo in agitazione i ribelli di Seleka”, ha detto. In effetti, secondo fonti militari francesi, una nave della Marina nazionale sarebbe in navigazione verso il porto camerunense di Douala con a bordo rinforzi per le truppe francesi già schierate, mentre gli Stati Uniti hanno dato il loro appoggio alle sanzioni Onu contro i responsabili di crimini contro i civili nel Paese e hanno annunciato che devolveranno 40 milioni di dollari alla forza di pace africana inviata in Centrafrica. Infine, il presidente della Repubblica, Michel Diotodia, ha annunciato che sta trattando la resa di Joseph Kony, il leader dell’Esercito di Resistenza del Signore, gruppo di guerriglia di origine ugandese che da anni imperversa nella zona. (R.B.)

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    Messico: appello dell’arcivescovo di Morelia contro le violenze nella città

    ◊   Un appello alla popolazione a mettersi al sicuro dal moltiplicarsi di episodi di violenza in strada, è giunto alla Fides dall’arcivescovo della diocesi messicana di Morelia, mons. Alberto Suárez Inda, durante una pausa dei lavori della IX Assemblea diocesana di Pastorale in corso presso il Seminario minore della città. Da qualche giorno, infatti, sono rinfocolati gli scontri tra la coalizione dei gruppi di autodifesa cittadina Tepalcatepec e Tacámbaro, e membri della banda criminale dei cavalieri Templari nell’area della Terra Caliente. Due i morti e otto i feriti, ma nelle ultime settimane, sempre a causa di disordini di questo tipo, si sono registrati tre morti ad Arguililla, nove a Pareo e uno a Zirimbo, oltre a diverse donne sequestrate a Tancitaro. “Se riusciremo a costruire la fiducia nelle famiglie, allora si potrà invertire questo movimento di violenza che è tristemente presente in quasi tutte le città del Michoacán”, ha affermato il presule. (R.B.)

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    I vescovi dell’Africa centrale riaffermano l’importanza della famiglia nella società

    ◊   “Porre la volontà di Dio al centro di ogni iniziativa familiare”. Con questo appello si è concluso un convegno sulla famiglia organizzato nei giorni scorsi a Libreville, in Gabon, dall’associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Centrale (Acerac). All’incontro – riporta l’agenzia Apic - hanno partecipato vescovi, sacerdoti e religiosi di Camerun, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Ciad che si sono confrontati sulle sfide e le minacce alla famiglia in Africa oggi: l’aumento dei divorzi, la crescente visibilità dell’omosessualità nella società, le gravidanze precoci, la diffusione della droga tra i giovani e il venir meno del ruolo educativo dei genitori come anche la mancanza di strutture per formare e preparare le coppie al matrimonio. Ricordando l’importanza della famiglia nella Bibbia, i partecipanti hanno evidenziato che, come luogo privilegiato di comunione, essa non deve escludere nessuno, in particolare i bambini, le vedove, i malati e le persone anziane. Si è inoltre parlato delle responsabilità dell’attuale processo di disgregazione della famiglia che tocca anche la società africana. La sessione si è conclusa con la decisione di istituire in seno all’Acerac una speciale commissione per la Famiglia con il compito di coordinare le varie iniziative sul tema in Africa centrale. (L.Z.)

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    Cina, nel Sichuan corso di formazione per catechisti

    ◊   “Aprire la porta della fede” e “vivere la fede nella vita concreta”: saranno questi i frutti che porteranno con sé, nella loro missione, i 90 catechisti che hanno appena partecipato ad un corso intensivo – svoltosi dal 10 al 17 novembre scorsi – nel Seminario maggiore della provincia di Sichuan, promosso in occasione della chiusura, ormai prossima, dell’Anno della Fede. Come riferito da Fides, all’evento hanno preso parte catechisti provenienti dalle cinque diocesi di tutta la provincia della Cina sudoccidentale e, in particolare, dalla diocesi di Wan Zhou. Nel corso della settimana, i partecipanti hanno potuto condividere le loro esperienze, ripercorrere il cammino di fede intrapreso nelle varie realtà e affrontare alcuni temi tratti dalla Sacra Scrittura, sottolineando l’importanza della figura di Maria per l’evangelizzazione. (R.B.)

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    Libano: al via le trasmissioni di NourKids, nuova tv cristiana per ragazzi

    ◊   È stato inaugurato ieri, in occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, NourKids, il nuovo canale arabo dedicato ai bambini fra i 3 e i 15 anni del gruppo arabo cristiano Tele Lumière-Noursat, molto seguito in tutto il Medio Oriente. Per 24 ore al giorno la nuova rete manderà in onda programmi educativi e d’intrattenimento intelligente, cartoni animati e trasmissioni musicali ispirati ai valori della famiglia e della pace, come ha spiegato a Fides la direttrice del palinsesto, Marie-Therese Kreidy, che ha sottolineato l’obiettivo di “aiutare i più piccoli a percepire l’amore di Dio per loro e l’amoroso disegno divino sulle loro vite”. Sulla stessa linea anche il direttore generale di Tele Lumière, Jacques Kallassi: “La tv contribuirà ad aumentare nei ragazzi l’amore per la Patria, la conoscenza dei propri diritti e insegnerà loro che non c’è differenza tra un bambino cristiano e uno musulmano”. Alla cerimonia, svoltasi a Beirut, hanno partecipato la Premiere dame, Wafaa Sleiman, rappresentanti dell’ufficio Onu e delle Chiese locali. (R.B.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 325

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.