Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 20/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: la Chiesa è serva del ministero della misericordia
  • La Sardegna lentamente alla normalità. La preghiera del Papa nel giorno dei funerali
  • Il Papa ringrazia la vita claustrale. Mons. Carballo: i monasteri sono sulle periferie dell'umanità
  • Anno Onu delle Famiglie rurali. Il Papa: modelli di fraternità nel lavoro
  • Nomina episcopale in Messico
  • L'incoraggiamento del Papa ai cristiani di Terra Santa: siate testimoni di pace e misericordia
  • Apostolato del mare: pescatori spesso sfruttati hanno bisogno di più tutele
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Iraq. Attentati a Baghdad e nel nord, 33 morti. Don Sacco: sperare è un dovere
  • Egitto. Violenze contro i militari al Cairo e nel nord del Sinai
  • Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia: appello alle istituzioni di Telefono Azzurro
  • Giornata dell’Industrializzazione africana, tra ricchezze e arretratezza
  • Roma, Convegno sul "gender". Mons. Melina: serve una "grammatica dell'amore"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Ginevra: senza "facili" ottimismi si riaprono i colloqui sul nucleare iraniano
  • Filippine: si aggrava il bilancio delle vittime. Impegno a ricostruire
  • Premio Sakarov. Il Presidente del parlamento Schultz: "Malala icona globale dei diritti"
  • Africa: più bambine a scuola, dall'Etiopia all'Angola
  • Sri Lanka: sì a un’indagine governativa sulle violazioni ai diritti umani
  • Myanmar: Commissione Onu chiede di rilasciare tutti i detenuti politici nelle carceri birmane
  • Indonesia. Giakarta: 5 mila giovani accolgono il card. Rylko per la chiusura dell’Anno della Fede
  • Brasile. “Gioca per la Vita”: Campagna contro la tratta di persone per i Mondiali di calcio
  • Tertio Millennio Film Fest. Mons. Celli: "Andare incontro all'uomo"
  • Collevalenza: 30.mo convegno per la formazione alla vita consacrata
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: la Chiesa è serva del ministero della misericordia

    ◊   “Dio non si stanca mai di perdonarci; mediante il ministero del sacerdote ci stringe in un nuovo abbraccio che ci rigenera e ci permette di rialzarci e riprendere di nuovo il cammino”. E’ quanto ha affermato Papa Francesco durante l’udienza generale, in piazza San Pietro, incentrando la catechesi – come mercoledì scorso – sul tema della remissione dei peccati. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Lo Spirito Santo è fonte di pace, di gioia ed è anche sorgente per la remissione dei peccati. Le piaghe di Gesù – ha detto il Papa – sono “ferite che rappresentano il prezzo della nostra salvezza”, di una vita nuova, rigenerata dal perdono:

    “Lo Spirito Santo ci porta il perdono di Dio passando attraverso le piaghe di Gesù. Queste piaghe che Lui ha voluto conservare. Anche in questo momento, nel cielo, Lui fa vedere al Padre le piaghe con le quali ci ha riscattati. E per la forza di queste piaghe i nostri peccati sono perdonati”.

    Gesù dà agli Apostoli “il potere di perdonare i peccati”. La Chiesa – ha aggiunto Papa Francesco – è “depositaria del potere delle chiavi”, un simbolo biblico della missione data da Gesù:

    “Dio perdona ogni uomo nella sua sovrana misericordia, ma Lui stesso ha voluto che quanti appartengono a Cristo e alla sua Chiesa, ricevano il perdono mediante i ministri della Comunità”.

    Attraverso il ministero apostolico, il cristiano sperimenta la misericordia di Dio e il perdono delle colpe. “La Chiesa, che è santa e insieme bisognosa di penitenza – ha spiegato il Pontefice – accompagna il nostro cammino di conversione per tutta la vita”:

    “La Chiesa non è padrona del potere delle chiavi: non è padrona, ma è serva del ministero della misericordia e si rallegra tutte le volte che può offrire questo dono divino”.

    Ma tante persone oggi non capiscono “la dimensione ecclesiale del perdono, perché domina l’individualismo, il soggettivismo”. E anche noi cristiani, ne risentiamo:

    “Dio perdona ogni peccatore pentito, personalmente, ma il cristiano è legato a Cristo, e Cristo è unito alla Chiesa. E per noi cristiani c’è un dono in più, c’è anche un impegno in più: passare umilmente attraverso il ministero ecclesiale”.

    Il cristiano non si deve stancare di chiedere perdono. Il Sacramento della Riconciliazione è il momento della sicurezza del perdono:

    “E’ Dio che perdona e io sono sicuro, in quel momento, che Dio mi ha perdonato. E questo è bello! Questo è avere la sicurezza di quello che noi diciamo sempre: Dio sempre ci perdona! Non si stanca di perdonare!. Noi dobbiamo non stancarci di andare a chiedere perdono”.

    I sentimenti di vergogna, che possono accompagnare la confessione non possono tramutarsi in un impedimento che allontana il penitente dalla riconciliazione:

    “Le nostre mamme, le nostre donne dicevano che è meglio diventare una volta rosso e non mille volte giallo, eh! Eh, tu diventi rosso una volta, ti perdona i peccati e avanti”.

    Il sacerdote è lo “strumento per il perdono dei peccati”, un uomo che come noi “ha bisogno di misericordia”. E' uno strumento di misericordia, donando l’amore di Dio Padre. Tutti – ha detto il Papa – siamo peccatori:

    “Anche i sacerdoti devono confessarsi, anche i vescovi: tutti siamo peccatori. Anche il Papa si confessa ogni quindici giorni, perché il Papa anche è un peccatore! E il confessore sente le cose che io gli dico, mi consiglia e mi perdona, perché tutti abbiamo bisogno di questo perdono”.

    Ricordando che a volte capita di sentire “qualcuno che sostiene di confessarsi direttamente con Dio”, il Santo Padre ha poi aggiunto:

    “Sì, Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono a nome della Chiesa”.

    Il servizio che il sacerdote presta come ministro, da parte di Dio, per perdonare i peccati è molto delicato...

    “...ed esige che il suo cuore sia in pace; che il sacerdote abbia il cuore in pace, che non maltratti i fedeli, ma che sia mite, benevolo e misericordioso; che sappia seminare speranza nei cuori e, soprattutto, sia consapevole che il fratello o la sorella che si accosta al sacramento della Riconciliazione cerca il perdono e lo fa come si accostavano tante persone a Gesù perché le guarisse”.

    Quindi, il Santo Padre ha spiegato:

    “Il sacerdote che non abbia questa disposizione di spirito è meglio che, finché non si corregga, non amministri questo Sacramento. I fedeli penitenti hanno dovere? No! Hanno il diritto! Noi abbiamo il diritto, tutti i fedeli, di trovare nei sacerdoti dei servitori del perdono di Dio”.

    Papa Francesco ha infine rivolto cruciali domande al cuore di ogni cristiano:

    “Cari fratelli, come membri della Chiesa - domando - siamo consapevoli di della bellezza di questo dono che ci offre Dio stesso? Sentiamo la gioia di questa cura, di questa attenzione materna che la Chiesa ha verso di noi? Sappiamo valorizzarla con semplicità?”.

    Dio, ha concluso, non si stanca mai di perdonarci.

    inizio pagina

    La Sardegna lentamente alla normalità. La preghiera del Papa nel giorno dei funerali

    ◊   All’udienza generale di questa mattina, Papa Francesco ha rinnovato la sua richiesta di preghiere per le vittime dell’alluvione in Sardegna. Prosegue intanto senza sosta nelle zone colpite il lavoro dei soccorritori e si aiutano le persone travolte dalla massa d’acqua due giorni fa a sgomberare le case allagate e a svuotare le cantine. Il bilancio delle vittime resta fermo a 16. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Resta ancora la paura ma la situazione sembra migliorare nell’Oristanese, dove la notte è trascorsa tranquilla e dove l’emergenza sta rientrando. In molte delle aree colpite decine di persone hanno trascorso anche questa nottata nei centri di accoglienza allestiti dalle amministrazioni comunali. A tutti i colpiti dalla tragedia oggi è arrivato da piazza San Pietro l’appello di Papa Francesco:

    "Non possiamo non ricordare le vittime della recente alluvione in Sardegna: preghiamo per loro e per i familiari e siamo solidali con quanti hanno subito dei danni. Adesso facciamo una preghierina in silenzio e poi pregheremo la Madonna perché benedica e aiuti tutti i fratelli e le sorelle sardi".

    A Olbia, la città più colpita dall'alluvione, dove centinaia di persone hanno perso tutto, con le case invase dall'acqua e dal fango, oggi si si pregherà per sei delle 16 vittime: alle 15.30 nel Palazzetto dello sport sarà mons. Sebastiano Sanguinetti, a celebrare i funerali di un papà e del figlioletto di tre anni, di una mamma e della sua bimba di due e di due anziane. Stamani, invece, a Tempio Pausania l’ultimo saluto è andato alle tre vittime del crollo del ponte sulla strada tra Olbia e Tempio, un incidente sul quale si dovrà indagare. Terralba, Uras e Solarussa, i centri dell’oristanese più colpiti, oggi si sono svegliati sotto un cielo sereno, e le persone dal centro di accoglienza sono potute tornare nelle loro abitazioni. Il viceparroco di Solarussa, don Fabio Ladu, al microfono di Antonella Palermo:

    R. – La Sardegna si è sempre distinta per questa solidarietà, per questa accoglienza, che abbiamo toccato con mano sin dai primi istanti. Abbiamo visto la popolazione che, attraverso camion, trattori, ruspe, si è messa a disposizione di tutte le persone e che, soprattutto nel centro di prima accoglienza allestito nel salone parrocchiale, ha portato vestiti, viveri e coperte. E’ stato come toccare il cuore delle persone.

    D. – Di che cosa avete bisogno?

    R. – In questo momento, c’è sicuramente bisogno di tanta solidarietà, di avvicinarci alle persone, di un sorriso, di una parola buona, di un incoraggiamento. Poi, sicuramente c’è bisogno anche di vestiario, perché l’acqua è entrata nelle case e ha riempito i mobili, quindi i capi d’abbigliamento sono ormai inutilizzabili.

    D. – E’ vero che l’uomo ha rubato troppo alla natura, che ora si riprende ciò che le è stato tolto?

    R. – Sicuramente, la natura fa sempre il suo corso. Non possiamo andare contro un fiume, contro una palude, contro un ruscello perché, volenti o nolenti, capitano queste situazioni e riemerge alla luce il corso naturale.

    D. – Da sacerdote, che parole rivolge alla sua comunità in questo momento?

    R. – Di avere fiducia, di non scoraggiarsi, perché il Signore anche in questi momenti di sofferenza e di grande dolore si rende presente. Vedere tutta quella gente nel salone, abbracciare le persone anziane, asciugare loro i piedi, mettere loro le calze è stato come toccare il Signore, presente in mezzo a noi. Le parole sono, quindi, di incoraggiamento e spingono ad avere fiducia, perché il Signore non ci abbandona mai.

    Il numero degli sfollati è sceso intorno ai 1.700, mentre continuano le ricerche dell’unico disperso. La protezione civile intanto avverte che rimane il livello d’allerta per rischio idrogeologico per quasi tutta la regione. “Nessuno poteva pensare a un tale disastro”: è il commento di Antonella Dalu, sindaco di Torpé, in provincia di Nuoro, paese che ha registrato una vittima, danni ingenti e un centinaio di famiglie sfollate. Abbiamo fatto il possibile, aggiunge la Dalu, intervistata da Antonella Palermo:

    R. – Avevamo l’allerta da domenica sera, che non faceva presagire certo portate di questo tipo. Ci siamo attivati immediatamente per far evacuare gli abitati alla sinistra del fiume (Rio Posada - ndr) dove aveva ceduto l’argine. Nel giro di un’ora, però, alle 19, le persone erano già sui tetti. Da lì in poi, quindi, abbiamo fatto evacuare anche la parte destra e tutta la parte bassa degli abitati.

    D. – Sarete pronti a rivedere un piano di prevenzione, visto che la zona è comunque a rischio idrogeologico...

    R. – Sì, noi avevamo già previsto un piano per portate sicuramente non come questa, che nessuno a memoria d’uomo riesce a ricordare. Vedremo sicuramente il piano.

    D. – Cosa prevede questo piano?

    R. – Intanto, di rinsaldare e rivedere la diga, che doveva trattenere le acque e, soprattutto, di finire la costruzione degli argini. Se gli argini del fiume, infatti, fossero stati ultimati, avrebbero retto e almeno la parte destra non avrebbe avuto i problemi che, invece, abbiamo dovuto affrontare.

    D. – Le prossime mosse da parte dei sindaci dei Comuni limitrofi? Solidarietà tra di voi...

    R. – Siamo tutti in collegamento con i sindaci dei Comuni limitrofi, assolutamente. Pensiamo di fare un unico piano d’intervento. Tra la cittadinanza, ovviamente, la solidarietà non è mancata, anche perché gli sfollati hanno trovato ricovero soprattutto nelle case di parenti e amici. Quelli che abbiamo dovuto accudire nei centri di ricovero sono stati pochissimi, perché quasi tutti hanno offerto un tetto a chi lo aveva perso.

    Finito il dolore, sarà il momento di fare i conti con le responsabilità umane. A fronte di una fortissima depressione, spiegano i climatologi, che ha provocato il “ciclone extratropicale” che si è abbattuto sulla Sardegna, c’è però chi chiede di non dimenticare la sciagurata gestione del territorio e la sordità della classe politica di fronte ai ripetuti allarmi che, se ascoltati, avrebbero potuto evitare questa tragedia.

    inizio pagina

    Il Papa ringrazia la vita claustrale. Mons. Carballo: i monasteri sono sulle periferie dell'umanità

    ◊   Un grazie al Signore per il dono “di tante persone che, nei monasteri e negli eremi, si dedicano a Dio nella preghiera e nel silenzio operoso”. È quanto ha espresso Papa Francesco al termine dell’udienza generale di stamattina, ricordando la “Giornata pro Orantibus” di domani, con la quale la Chiesa celebra la vita contemplativa. Il Papa stesso - che domani alle 17, si recherà in visita al Monastero delle Benedettine Camaldolesi di Sant’Antonio Abate all’Aventino – nel suo incontro in ottobre con le Clarisse di Assisi aveva esortato le claustrali a non avere il sorriso di “un’assistente di volo” e a essere “esperte di umanità”. Alessandro De Carolis ha chiesto all’arcivescovo José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, come sia stato recepito questo invito:

    R. – E’ stato accolto molto bene! E, devo dire, è stato un invito anche opportuno, perché a volte si pensa che la serietà di vita evangelica – quindi anche la clausura, la contemplazione, etc. – si contrapponga alla gioia profonda che poi si esprime anche nel sorriso, anche nel volto. Chi veramente entra in un rapporto, in una relazione profonda e amichevole con Dio, com’è la vita contemplativa, non può fare a meno di sorridere, non può fare a meno di diventare un’icona del sorriso di Dio verso l’umanità. Ed è anche molto opportuno quando si parla di “esperte di umanità”. Credo che tutti i consacrati, ma in modo molto particolare le claustrali, debbano essere esperti di umanità. Quindi, il monastero è chiamato a vivere nella quotidianità quei valori umani che sono poi la terra fertile dove può crescere anche un’esperienza autentica di Dio.

    D. – Papa Francesco chiede con insistenza alla Chiesa di raggiungere le periferie esistenziali. La vita claustrale come percepisce questa esigenza che sta così a cuore al Papa?

    R. – La vita claustrale è un’opzione per una forma di vita separata, ma questo non vuol dire assente e non vuol dire isolata. La vita claustrale non può mai, mai, essere assente dalle preoccupazioni dell’uomo e della donna di oggi, particolarmente dell’umanità ferita. Come si fanno presenti in queste periferie? Prima di tutto, alcuni monasteri sono fisicamente situati nelle periferie: io conosco qualche monastero di Clarisse che si trova in mezzo a una comunità che accoglie persone dipendenti dalla droga e molte volte fanno anche accompagnamento spirituale, anche rimanendo fedelissime alla clausura. Io conosco anche molti monasteri che danno dei locali per accogliere gente che, in altro modo, non avrebbe un tetto. Credo che veramente la vita claustrale stia uscendo da una specie di “serra”, nel senso che ha contatto con la realtà a volte molto più di quello che si pensi.

    D. – Nel mondo che oggi in larga parte vive “come se Dio non esistesse”, in che modo si può comprendere la presenza di consacrate che invece vivono con Dio ogni ora della loro vita?

    R. – Proprio perché oggi c’è una larga parte che vive come se Dio non esistesse, credo che la vita contemplativa sia più attuale che mai. L’uomo di oggi, soprattutto nel mondo occidentale, ha tante cose. Però gli manca tutto, perché gli manca il Tutto, o meglio Colui che è il Tutto! Quindi, le contemplative e le claustrali in questo mondo sono molto necessarie, perché ci stanno indicando che Dio basta, che Dio può riempire di senso una vita.

    D. – Al termine del convegno di studi al Teresianum di domani, lei traccerà il punto sui cammini e le prospettive della vita contemplativa oggi. Quali sono in sostanza questi scenari?

    R. – Partirò dal concetto di contemplazione perché io credo che non sempre sia chiaro, anche nella Chiesa e anche tra di noi ecclesiastici, perché molte volte la contemplazione si pensa soltanto in relazione alle preghiere che uno deve dire. Certo, la contemplazione ha bisogno della preghiera, però la contemplazione va molto oltre, è un rapporto profondo, intimo con il Signore. Poi, tenterò di dimostrare dove deve strare la vita consacrata. In questo senso, contrariamente a quello che si pensa, la vita delle claustrali è per natura apostolica. Per questo, io sottolineerò molto questa dimensione dell’essere proprio nelle periferie umane.

    inizio pagina

    Anno Onu delle Famiglie rurali. Il Papa: modelli di fraternità nel lavoro

    ◊   “Valorizzare gli innumerevoli benefici che la famiglia apporta alla crescita economica, sociale, culturale e morale dell’intera comunità umana”. E’ l’appello di Papa Francesco al termine dell’udienza generale di stamattina, al termine della quale ha ricordato l'imminente apertura dell’Anno internazionale della Famiglia rurale, inaugurato dalle Nazioni Unite il prossimo 22 novembre. Sui problemi e le aspettative delle famiglie e delle comunità rurali che hanno ispirato questa iniziativa, Cecilia Sabelli ha intervistato Vincenzo Conso, segretario generale dell’Icra, l'International Catholic Rural Association:

    R. – Si tratta di fare soprattutto il punto sul ruolo e le potenzialità proprie dell’agricoltura familiare, in un percorso che coinvolgerà tutto il mondo rurale: quello della cooperazione, per esempio, dello sviluppo e quello legato alla lotta alla fame. E questo anche per toccare temi come la nutrizione, alla luce delle idee e delle battaglie che si sono sviluppate in questi anni. Credo che questa iniziativa sia stata un’esigenza avvertita da parte di tutti, in particolare da alcuni gruppi della società civile, che hanno fatto pressione in questo senso. Tra questi anche l’Icra, il cui presidente di allora, il cileno Emiliano Ortega Riquelme, si è mosso in quella stessa direzione attraverso la rete del Forum mondiale dell’agricoltura.

    D. – Quali sono le potenzialità nel mondo di oggi dell’agricoltura familiare?

    R. – L’agricoltura familiare potrebbe aiutare ad aumentare la produzione agricola in maniera sostenibile. Quindi, in questo senso potrebbe produrre più cibo e più lavoro, portandolo e creandolo laddove ce n’è più bisogno: tra le popolazioni e le aree colpite dall’insicurezza alimentare e in quelle aree rurali e periurbane delle economie più mature, dove occorre rigenerare relazioni e socialità della vita economica.

    D. – Quali sono le problematiche delle famiglie delle comunità rurali che hanno ispirato questa iniziativa dell’Onu?

    R. – I problemi sono diversi secondo le varie aree del pianeta. Ci sono i problemi - per esempio – di accesso al credito, di favorire l’istruzione nella famiglia rurale; c’è il problema della distribuzione dei prodotti, perché in alcuni Paesi le famiglie rurali sono penalizzate, anche nella commercializzazione, e c’è il problema di cooperare e di costituire dei consorzi. Infine, c’è il problema generale della formazione, soprattutto in alcune aree - penso all’Africa e un po’ anche all’Asia - dove è necessario cambiare mentalità.

    D. – Come Associazione, quali sono le aspettative rispetto a questa iniziativa?

    R. – Per noi è un’occasione straordinaria perché l’agricoltura familiare è il soggetto centrale dell’esperienza concreta delle nostre realtà. Pensiamo di riproporre al centro di tutto la riflessione sulla famiglia. In questo ci aiuterà anche il prossimo Sinodo che, guarda caso, si svolgerà proprio nel 2014. Vogliamo quindi cercare di far emergere la centralità della famiglia anche in questo settore, nel quale è sempre stata foriera di valori essenziali come la solidarietà, la moralità.

    inizio pagina

    Nomina episcopale in Messico

    ◊   In Messico, Papa Francesco ha nominato Vescovo di Ciudad Lázaro Cárdenas mons. Armando Antonio Ortíz Aguirre, del clero dell’arcidiocesi di León e Parroco di San Maximiliano Kolbe. Mons. Ortíz Aguirre è nato il 17 febbraio 1952 a Guanajuto. È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di León il 17 giugno 1977. Ha conseguito il titolo accademico di Licenza in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Ha ricoperto diversi incarichi a livello diocesano: Formatore, Prefetto di disciplina, Direttore spirituale e incaricato del Corso propedeutico del Seminario Minore; Vice-Rettore e Professore del Seminario Maggiore dell’arcidiocesi di León; Cappellano del “Sanatorio Moderno Pablo de Anda”; Direttore Spirituale della facoltà di Teologia del Seminario de León e Parroco. Dal 2004 al presente è Parroco di San Maximiliano Kolbe e Coordinatore Generale della Commissione Presbiterale diocesana interessandosi pure della formazione permanente del clero dell’arcidiocesi di León.

    inizio pagina

    L'incoraggiamento del Papa ai cristiani di Terra Santa: siate testimoni di pace e misericordia

    ◊   “Vi incoraggio ad essere sempre testimoni della pace, della gioia e della misericordia di Dio” nella terra in cui il Verbo si è fatto carne: è quanto afferma il Papa in un messaggio inviato al patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, in occasione della fine dell’Anno della Fede. “Desidero esprimere il mio vivo apprezzamento a tutti i cristiani di Terra Santa – scrive Papa Francesco - per la loro cura fedele dei luoghi sacri e per la loro duratura testimonianza nell’annuncio del Vangelo. Vi assicuro la mia preghiera e ringraziamento a Dio per la vostra fede profonda e per la vostra perseveranza”. Quest’anno – osserva il Pontefice - "ha dato a tutti noi la possibilità di riflettere in modo nuovo sul mistero della fede e sulla santità di Dio, che Egli ha condiviso con noi in Gesù Cristo. Lo facciamo come peccatori, consapevoli della nostra indegnità, ma sempre di più grati per la misericordia di Dio”. “La storia della nostra fede – afferma il Papa - trova le sue origini” proprio in questa terra: “prima di poter capire la nostra storia personale di fede e il nostro bisogno della misericordia di Dio, tutti dobbiamo rivolgerci al luogo e al tempo in cui Gesù stesso ha camminato in mezzo a noi. Perché è stato lì che il Signore Gesù ha assunto la nostra natura umana e ci ha rivelato Dio. E’ stato lì che ha insegnato ai suoi apostoli e discepoli e che ha vissuto le gioie e le sofferenze, le benedizioni e le difficoltà della vita umana e l'amore. Ed è stato lì che ci ha fatto dono della sua Passione, Morte e Risurrezione e la garanzia della vita eterna”. Le celebrazioni conclusive dell’Anno della Fede si sono svolte in Terra Santa domenica scorsa: settemila persone si sono radunate a Nazaret, sul Monte del Precipizio, per la Messa presieduta dal patriarca Twal.

    inizio pagina

    Apostolato del mare: pescatori spesso sfruttati hanno bisogno di più tutele

    ◊   Che la vita dei pescatori sia dura è notizia antica. Ma anche le condizioni attuali della pesca, specie quella industriale – in cui impera la logica del profitto, ovvero il “riempire le reti al massimo nel minor tempo possibile e, spesso, con poca considerazione del patrimonio ittico e dei tempi necessari perché si rigeneri” – rendono questa attività per molti ai limiti della vivibilità. La denuncia è contenuta nel Messaggio che il Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti dedica per la Giornata mondiale della pesca 2013, in che si celebra il 21 novembre. “Il principio del guadagno che influenza tutto il mondo della pesca, da quella industriale a quella artigianale, naturalmente – si legge nel Messaggio – porta i pescatori a lavorare anche in condizioni meteorologiche avverse e per lunghe ore, con un eccesso di fatica che spesso causa infortuni e, talvolta, anche incidenti mortali. Generalmente, ma ancora di più in casi di disgrazie sul lavoro, la protezione sociale per il pescatore e la sua famiglia è ridotta al minimo, se non inesistente”. A essere stigmatizzati, sempre nel settore della pesca industriale – sono i contratti “carenti o irregolari”, il salario che “non è adeguato” e il fatto che “a bordo mancano i requisiti minimi di sicurezza. Nella pesca artigianale, invece, i pericoli riguardano “l’inquinamento delle coste e la distruzione dell’habitat di riproduzione lungo i litorali”, che “costringono i pescatori a spingersi sempre più al largo con imbarcazioni inadeguate, mettendo a repentaglio la propria vita”.

    “A dura prova”, si nota, sono messi pure i “rapporti familiari”, in particolare le mogli dei pescatori affrontano “con coraggio le difficoltà prodotte dall’assenza del marito, assumendo il doppio ruolo di padre e madre, con gravi ripercussioni sul processo evolutivo e sull’educazione dei figli”. Mentre, sul versante opposto, i ritmi e le asperità del mestiere, talvolta associati “alla mancanza di un’educazione, rendono i pescatori – afferma il Messaggio – uomini ‘senza voce’ nella società, impotenti nel far valere i loro diritti, emarginati e isolati”. Infine, la “globalizzazione della pesca e la mancanza di manodopera hanno creato – afferma il dicastero vaticano – un fenomeno nuovo e preoccupante da non sottovalutare”, quello “dello sfruttamento di lavoratori migranti che, a causa di situazioni di povertà e miseria, possono facilmente diventare preda di agenzie di reclutamento che li costringono a forme di lavoro forzato, diventando talvolta vittime del traffico di persone a bordo di pescherecci”.

    All’analisi di un contesto pieno di ombre, il Messaggio fa seguire una visione di solidarietà e tutela della dignità umana, frutto della visione cristiana. Benedetto XVI – si ricorda – scriveva ai partecipanti del XXIII Congresso Mondiale tenutosi nella Città del Vaticano nel novembre 2012: “A voi pescatori, che cercate condizioni di lavoro dignitose e sicure, salvaguardando il valore della famiglia, la tutela dell’ambiente e la difesa della dignità di ogni persona, vorrei assicurare la vicinanza della Chiesa”. L’Apostolato del Mare, attraverso il dicastero dei Migranti, rinnova l’appello “a tutti i governi interessati affinché ratifichino il più presto possibile la Convenzione sul Lavoro nella Pesca 2007 per garantire ai lavoratori nel mondo della pesca sicurezza sul lavoro, assistenza medica continua, sufficienti ore di riposo, la salvaguardia di un contratto di lavoro e la stessa protezione sociale di cui godono i lavoratori a terra”. Il Messaggio chiude con le parole di Papa Francesco pronunciate lo scorso 8 luglio a Lampedusa: “Madre di Dio e Madre nostra, volgi il tuo sguardo dolcissimo su tutti coloro che ogni giorno affrontano i pericoli del mare per garantire alle proprie famiglie il sostentamento necessario alla vita, per tutelare il rispetto del creato, per servire la pace tra i popoli”. (A cura di Alessandro De Carolis)

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, "Le confessioni di un Pontefice"; all’udienza generale, dedicata al perdono dei peccati, la preghiera per le popolazioni della Sardegna colpite dall’alluvione.

    Di spalla, "Oggi il tuo nome diventa Anna" di Manuel Nin, sull’inno di Giorgio Warda per la Vergine Maria.

    A pagina 3, "L’esodo dei sopravvissuti"; migliaia di filippini lasciano Tacloban e le altre aree devastate dal tifone, solo il 10 per cento delle persone colpite ospitato in centri di accoglienza.

    Nello spazio dedicato alla Cultura, a pagina 4, "Il colibrì e la goccia d’acqua", Jean-Michel Coulet intervista a Nicolas Hulot, inviato speciale del presidente della Repubblica francese per la protezione del pianeta.

    Sempre a pagina 4, "Così vicino e così inaccessibile", una recensione del libro di Mario Dal Bello dedicato ai ritratti di Cristo nella storia edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

    A pagina 5, "Senza simbolo non c’è l’uomo" di Fiorenzo Facchini - un testo scritto in occasione del seminario «Julien Ries: le sfide dell’antropologia simbolica» dedicato al cardinale scomparso il 23 febbraio scorso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore - e "Il diritto rubato" di Gaetano Vallini, sull'ultimo film di Pupi Avati, in cui si racconta la storia di un bambino vittima dell’egoismo dei genitori.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Iraq. Attentati a Baghdad e nel nord, 33 morti. Don Sacco: sperare è un dovere

    ◊   Ennesima ondata di attentati oggi in Iraq, a Baghdad e nel nord del Paese. Almeno 33 persone sono rimaste uccise, 70 invece hanno riportato ferite più o meno gravi. Sette gli attacchi nella capitale, per lo più con autobombe contro mercati e strade affollate. Colpiti sia il quartiere a maggioranza sciita di Shaab che e quello a maggioranza sunnita di Adhamiyah. A conferma della guerra settaria in atto nel Paese, anche in vista delle prime elezioni politiche degli ultimi quattro anni. Sulla situazione in atto in Iraq, Salvatore Sabatino ha intervistato Don Renato Sacco, di Pax Christi Italia:

    R. - Credo ci sia davvero in atto una lotta di potere che usa la religione come copertura, quindi abbiamo questi attacchi sunniti, sciiti, che poi non risparmiano anche chi non si ritrova in queste categorie. Credo che la chiave di lettura sia una lotta senza confini, una guerra vera e propria per il potere perché - non lo dimentichiamo - l’Iraq è un Paese molto ricco di petrolio, ma non solo, e quindi questo potere viene diviso e combattuto per la conquista all’ultimo sangue, nel senso letterale. Ne pagano il caro prezzo le persone, le vittime innocenti.

    D. - Le vittime innocenti, la popolazione civile che vive una situazione drammatica: secondo lei, esiste ancora una speranza tra la gente, o c’è solo disperazione in questo momento?

    R. - La gente ormai ne ha viste talmente tante… Se torniamo indietro dalla guerra con l’Iran, poi la Guerra del Golfo, l’embargo, la Seconda Guerra del Golfo… di speranza non ne ha mai avuta molta. Credo che per forza, per dovere, dobbiamo ancora coltivare la speranza. Credo che la speranza sia quella di non dimenticare questa realtà che abbiamo ricordato solo quando c’era la guerra, quando vendevamo le armi. Poi, come spesso succede, si spengono i riflettori. Credo che la speranza si coltiva se si tiene viva l’attenzione e se la comunità internazionale entra in questa situazione non per i propri interessi, ma per aiutare a trovare un bene comune. Dobbiamo riconoscerlo, quasi sempre la comunità internazionale è entrata come parte coinvolta o con la guerra o con la vendita di armi o con gli interessi del petrolio, quindi non cercando il bene comune. Questo spegne la speranza, per cui poi molti vogliono scappare, i cristiani soprattutto e non dimentichiamo che lì vicino c’è la Siria. È un quadro problematico, ma credo che non dobbiamo perdere la speranza. E la speranza dipende anche da noi, se vogliamo guadagnarci con l’Iraq o vogliamo invece far guadagnare loro una speranza di vita.

    D. - A proposito dei cristiani in Iraq, negli anni abbiamo visto un esodo massiccio di cristiani verso altri Paesi. Nel 2003 erano un milione, oggi sono meno di 500 mila. Il patriarca Sako ha scritto una lettera per invitare i cristiani a tornare nel Paese, ed è un enorme atto di coraggio…

    R. - Sì, lo sentivo anche incontrando tantissime comunità, soprattutto a nord. Molti mi chiedevano di essere messi nella mia valigia per scappare. Dall’altra parte, però, molti dicevano: “Noi vogliamo restare”. E i vescovi, i pastori, dicevano: “L’unica speranza per l’Iraq è che il Paese resti multireligioso, multietnico”. E la presenza dei cristiani non è solo una garanzia per loro, per l’Iraq, ma anche un po’ per tutta l’area. Se passasse l’idea della pulizia etnica in Iraq o in Siria o da altre parti - lo stiamo vedendo - sarebbe un messaggio, ma sarebbe anche un crollo grande di una possibilità di vita. Per cui, davvero, la scelta dell’amico Louis Sako di scrivere e di ritornare è una scelta di coraggio e di speranza per dire: “Noi siamo qui. Tornate anche voi e insieme lavoriamo, lottiamo”. E, come direbbe Papa Francesco, “per un futuro comune di pace”.

    inizio pagina

    Egitto. Violenze contro i militari al Cairo e nel nord del Sinai

    ◊   Nuove tensioni in Egitto. Quattro poliziotti sono rimasti feriti al Cairo per un ordigno lanciato contro un posto di blocco militare. L’episodio più grave è accaduto però nel nord della penisola del Sinai, dove almeno 10 soldati sono morti e altri 35 sono rimasti feriti nell'esplosione di un'autobomba al passaggio del loro convoglio. L'attentato è avvenuto sulla strada che collega Rafah, alla frontiera con la Striscia di Gaza, e la città di el-Arish, capoluogo della provincia del nord del Sinai. Si tratta della più sanguinosa azione nella zona da quando l'estremismo islamico ha lanciato una campagna di violenze contro le autorità del Cairo, dopo la destituzione, l’estate scorsa, del presidente Mohamed Morsi, uscito vincitore coi Fratelli Musulmani dalle elezioni del 2011. Da metà agosto, oltre duemila esponenti del movimento dell’ex presidente sono stati arrestati dai militari con l’accusa di omicidio o incitamento alla violenza. Gli attacchi sono dunque da ricollegare alla destituzione di Morsi? Risponde Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università di Firenze, intervistata da Giada Aquilino:

    R. – Questi attacchi sono da collegare al lungo disordine egiziano, che è iniziato con la caduta di Mubarak più di due anni fa, e si è aggravato con la presa di potere dei militari dopo la destituzione di Morsi. In ogni caso, però, da tempo immemorabile il Sinai è un’area di illegalità, scarsamente popolata e abitata da beduini, che sono sempre stati trattati con scarsa considerazione dal governo centrale. Nel Sinai passa di tutto: armi, droga, esseri umani e immigrazione illegale in direzione di Israele. Ed è l’ambiente ideale, molto più delle grandi città dell’Egitto, per costituire o rafforzare gruppi militanti. Pare che questo attacco, come altri condotti nel corso di questi anni – molto grave è stato quello di metà agosto con ben 25 soldati uccisi – sia riconducibile a un gruppo islamista che si chiama Ansar Bayt al-Maqdis – Bayt al-Maqdis, "Casa del Tempio", è un riferimento a Gerusalemme – e che ha legami con la Fratellanza islamica e ne riceve fondi. Non ha però collegamenti ufficiali, perché la Fratellanza non vuole essere ricondotta a loro.

    D. – Perché allora colpire proprio i militari in questo momento?

    R. – Perché i militari sono al potere in Egitto. Useranno il loro potere, da una parte per stabilizzare il Paese e l’economia, ma anche e soprattutto per rafforzare l’enorme macchina economica di cui dispone l’esercito in Egitto. L’Egitto ha un’"industria” di militari, che controllano vastissimi settori dell’economia. Da tutto questo sono esclusi – o si sentiranno ancora più esclusi – gli strati più bassi della popolazione e il Sinai è proprio in fondo alla classifica.

    D. – Da questa estate, da una parte oltre duemila esponenti dei Fratelli musulmani sono stati arrestati e dall’altra ci sono, nel Sinai, cento morti in una serie di attacchi contro le forze di sicurezza. Dove va l’Egitto?

    R. – L’Egitto, in senso continentale africano, ha la sua strada ed è sicuramente una strada di stabilizzazione, perché anche le masse più povere sanno che solo da un’economia migliore loro trarranno alcuni vantaggi. Il Sinai, probabilmente, andrà per la sua strada. Una sorta di piccolo Vietnam, che speriamo non raggiunga mai le dimensioni dell’altro esempio. Stabilizzare, però, il Sinai non si può se non con misure straordinarie: un turismo che funzioni meravigliosamente e i beduini che si sentano inclusi in questo benessere.

    inizio pagina

    Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia: appello alle istituzioni di Telefono Azzurro

    ◊   150 milioni di bambini di strada e circa 223 milioni di vittime di abusi sessuali in tutto il mondo. Sono i dati diffusi da varie Ong in occasione dell’odierna Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia. Almeno 18 mila coloro che muoiono sotto i cinque anni, senza contare i bambini malnutriti e abbandonati. Ma di diritti violati, leggi non applicate e abusi si compone anche lo scenario disegnato da Telefono Azzurro riguardo ai minori in Italia. Per questo, l'Associazione rivolge alle istituzioni un Sos declinato in 14 punti che sono altrettante richieste: dal sostegno alle famiglie più povere, alle risorse per contrastare bullismo e gioco d'azzardo, alla cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia. Ma qual è l'obiettivo generale di questo appello? Adriana Masotti lo ha chiesto a Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro:

    R. – L’obiettivo è quello di far sì che alcuni punti della Convenzione Onu dei diritti dell’infanzia, siglata nel 1989, vengano realizzati partendo dal fatto che abbiamo una società in forte cambiamento. L’emigrazione richiede risposte precise. Il tema legato alle nuove tecnologie chiede una serie di riflessioni che partano dalla formazione degli adulti, ma diano anche maggiori tutele ai ragazzi, anche attraverso strumenti già esistenti come la Commissione media e minori, così come da tavoli che possono diventare ancora più efficaci in futuro. D’altra parte, esistono situazioni come quella della violenza sui bambini che richiedono risposte, come anche il trattamento delle vittime, o con interventi di aiuto nei casi di bullismo. E allora, tutte queste risposte possono esserci. Basta l’impegno di tutti.

    D. – Lei ha già toccato alcuni punti: potrei aggiungere dal vostro elenco, il rifinanziamento del fondo per gli asili nido, la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia, anche un sistema di allerta in caso di scomparsa dei minori… Ma di cosa hanno bisogno, i bambini e gli adolescenti, oggi, in Italia?

    R. – Sicuramente, di un grande ascolto da parte dei genitori, da una parte, perché gli adulti non possono nascondersi dietro al fatto che i ragazzi stanno crescendo troppo precocemente nel mondo della Rete: devono essere presenti anche nell’aiutarli a evitare i rischi che purtroppo ci sono attorno a loro. Dall’altra parte, occorre che ci sia anche una consapevolezza da parte di istituzioni, come la scuola e la giustizia, che diano strumenti ai ragazzi per poter crescere in modo pieno. Questo vuol dire dare loro una scuola che sia in qualche modo funzionale, efficace, che prevenga situazioni di disagio e, ovviamente, costruire una rete di solidarietà attorno alle famiglie, per cui i bambini si sentano protetti ed aiutati e possano crescere in un mondo più adeguato ai loro bisogni.

    D. – Però, per fare tutto questo ci vogliono anche delle risorse, e voi – appunto – dite che questa Legge di stabilità prevede di tagliare il 30% dei fondi per l’infanzia e l’adolescenza…

    R. – Non solo. In tutti i capitoli che riguardano i bambini c’è stato un taglio e questo perché purtroppo i bambini non votano, non sono presenti nelle aule parlamentari, ma non sono presenti neanche nelle lobby che circondano il parlamento. E credo che questo aspetto vada rilevato. Non possiamo caricare sui bambini il debito del passato, le colpe di errori fatti dalla politica – e non solo… Dobbiamo far sì che i bambini possano avere la speranza di crescere in una società in cui, di fatto, ci siano maggiori opportunità di sviluppare le loro capacità. E questo richiede sicuramente da parte di tutti un’attenzione a non tagliare nulla ma, anzi, a investire di più sui bambini e sugli adolescenti, anche tagliando da altre parti meno importanti che magari riguardano gli adulti, spesso già abbastanza garantiti.

    D. – Accanto alle istituzioni, c’è il vostro impegno da anni, ormai: ce le fate ad andare avanti?

    R. – Sicuramente, i tagli che abbiamo subito per l’emergenza infanzia, che noi gestiamo per la Presidenza del consiglio, sono stati drammatici: il taglio della metà del contributo per il 114, il taglio di tutte le risorse per i Centri che noi abbiamo in varie parti d’Italia per il trattamento delle vittime di abuso sessuale … Tutti questi sono segnali di un disinteresse e credo che non possiamo, con la scusa di una crisi economica, ridurre le risposte ai ragazzi che sono i primi ad averne bisogno. Credo che dobbiamo fare un grande salto di qualità, investire di più invece in questi ambiti. E credo che questo sia il motivo per cui abbiamo chiesto ai ragazzi stessi di alzare la loro voce affinché il Parlamento li ascolti, dando quindi maggiore attenzione a questi problemi che sono quelli che i ragazzi vivono ogni giorno, e che richiedono quindi da parte di tutti grande attenzione.

    inizio pagina

    Giornata dell’Industrializzazione africana, tra ricchezze e arretratezza

    ◊   “Sebbene l'Africa sia patria di alcune delle economie in più rapida crescita al mondo, troppi sono ancora coloro rimasti indietro”. E' una delle considerazioni con le quali il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nell’odierna Giornata per l’Industrializzazione dell’Africa ricorda quanti nel Continente sono ancora senza lavoro e soffrono la fame nonostante il segno più delle economie. Sull’argomento, Cecilia Sabelli ha intervistato la prof. Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa presso l’Università di Torino:

    R. – Sappiamo soprattutto che corruzione e malgoverno sono responsabili di sprechi enormi di capitali e di risorse. Molto spesso, poi, gli investimenti stranieri vengono concordati con i governi non necessariamente nell’interesse del Paese, anche quando si tratta di infrastrutture e di altri progetti che apparentemente lo sarebbero. Ecco, quindi, che il paradosso dell’Africa in questo momento è che in molti casi cresce l’economia, ma cresce anche la povertà o, se non altro, non diminuisce abbastanza. Sotto questo profilo, l’Africa continua a essere talmente arretrata da quasi non contare nel contesto internazionale.

    D. – L’attenzione degli esperti sarà quest’anno rivolta all’occupazione giovanile e femminile e alla promozione dell’imprenditoria. Possono questi due elementi aiutare l’estinzione del problema della povertà in Africa?

    R. – Di sicuro, questi due obiettivi sono fondamentali. Basti pensare che in certi Paesi la disoccupazione, che è sempre a due cifre, nel caso dei giovani raggiunge il 40-50, il 70% della popolazione. Creare un ceto medio produttivo fondato sulla piccola e media impresa giova di sicuro all’economia, anzi è essenziale per l’economia di un Paese, ma giova anche al buon governo e alla tutela dei diritti umani, perché significa creare un ceto di persone in grado di partecipare alla vita politica attivamente e consapevolmente. Ed è questo un altro enorme problema del continente africano.

    D. – Questa giornata è stata concepita dall’Onu nel 1989, per stimolare l’intervento degli investitori. In quale direzione dovrebbe andare il loro contributo, per poter infine parlare di uno sviluppo sostenibile e inclusivo?

    R. – Mettere in atto sistemi di controllo più efficaci, questo è uno dei traguardi che occorre raggiungere. La Banca mondiale proprio negli ultimi mesi ha denunciato il fatto, ad esempio, che ogni dieci dollari che vengono consegnati dalla Cooperazione allo sviluppo al governo somalo, sette svaniscono nel nulla. Si capisce che la priorità sia prima di tutto organizzare un sistema di controllo nell’utilizzo e nella destinazione dei fondi, sia che si tratti di cooperazione allo sviluppo vero e proprio, sia che si tratti di assistenza alla popolazione.

    inizio pagina

    Roma, Convegno sul "gender". Mons. Melina: serve una "grammatica dell'amore"

    ◊   Si è tenuto ieri alla Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura–Seraphicum a Roma un convegno su “La questione gender tra natura e cultura”. Tanti gli argomenti affrontati e gli scenari aperti. "Il senso della differenza sessuale – ha detto mons. Livio Melina, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia - emerge grazie all’esperienza amorosa, un’esperienza di limite e comunione tra le persone. Accettare la differenza sessuale significa accettare l’orizzonte dell’amore come spazio di definizione della propria identità”. Debora Donnini ha intervistato lo stesso mons. Melina:

    R. – La Chiesa si pone all’interno del dramma culturale, “dramma” nel senso greco originario, cioè di questo “scontro” di libertà alla ricerca di un senso. Si pone in ascolto, prima di tutto, delle dinamiche che portano alla comprensione della vita umana e di un aspetto così decisivo della vita umana, com’è quello della sessualità, cercando di accostarsi e di ascoltare le problematiche, ma anche di portare la luce che le viene dalla Rivelazione. Questa luce che le viene dalla Rivelazione e che, nel contatto e nel dialogo con l’esperienza umana, si approfondisce sempre di più e offre un’interpretazione della sessualità umana, che avviene all’interno della dinamica dell’amore: la scoperta che la sessualità umana è rapporto tra persone e non semplicemente limitata allo scambio dei corpi, ma attraverso i corpi diventa anche incontro di persone e poi anche possibilità di generare la vita. Ecco, questi elementi del mistero della sessualità umana, che la connotano come possibilità di una comunione delle persone, offrono all’uomo di oggi quella che potremmo chiamare una “grammatica dell’amore”, cioè un insieme di significati e di norme, attraverso le quali l’uomo può realizzare la verità della sua vocazione all’amore.

    D. – Lei parlava dell’importanza della differenza sessuale. In che senso?

    R. – Che la differenza sessuale è il segno di una più profonda differenza ontologica. L’uomo è creatura e come creatura riceve nel suo corpo un dono, che essendo il dono di un corpo sessuato lo rimanda costitutivamente ad un altro, che deve incontrare nella capacità di riconoscerlo persona, e quindi di accettarlo come dono e farsi a sua volta dono. E in questa dinamica del dono, la differenza sessuale diventa anche il luogo dove l’uomo è capace di riconoscere la sua chiamata ad una trascendenza ulteriore, espressa per un verso nel fatto che la sessualità non può mai essere il luogo di una perfetta fusione o di una perfetta soddisfazione delle proprie attese: c’è sempre un limite umano anche nell’incontro sessuale. E, per altro verso, proprio questo limite apre ad un compimento che solo l’Altro, con la a maiuscola, solo il trascendente può dare. Nell’intrecciarsi di queste attese, di questi desideri, di questa promessa, che è l’anima e nello stesso tempo anche il dramma della sessualità umana, l’uomo e la donna sono chiamati insieme ad essere compagni l’uno per l’altro di un cammino verso Dio. Ed è in questa luce di Dio che anche la sessualità umana può realizzarsi veramente.

    D. – Tra l’altro, questo, in una realtà indissolubile...

    R. – Quella che io ho chiamato “grammatica dell’amore” comporta che la differenza sia apertura all’altro, che sia dono di sé all’altro e accoglienza dell’altro in me. Questo dono e quest’accoglienza, essendo dono e accoglienza di persone, hanno l’esigenza di una irrevocabilità, di una indissolubilità. L’unità dei due non è un’unità occasionale, non è un’unità semplicemente utilitaristica, è un’unità di una comunione di persone che, nella luce di Dio, diventa veramente irrevocabile. E poi l’apertura alla vita. Questi tre elementi – la differenza sessuale, l’unità dei due e l’apertura alla vita – formano quello che abbiamo chiamato, all’interno della riflessione del nostro istituto, il mistero nuziale.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Ginevra: senza "facili" ottimismi si riaprono i colloqui sul nucleare iraniano

    ◊   Si apre oggi a Ginevra il terzo summit fra Teheran e i membri del Consiglio di sicurezza Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia) più la Germania sul nucleare iraniano. L'incontro giunge a un giorno dagli attentati suicidi di Beirut contro l'Ambasciata iraniana costati 25 morti, che hanno riaperto il confronto fra Teheran, Israele e Arabia Saudita (questi ultimi accusati dai leader iraniani di aver pianificato l'attentato). L'incontro - riporta l'agenzia AsiaNews - inizia con premesse più caute rispetto alle precedenti riunioni che, nonostante gli ottimismi iniziali si sono concluse con un nulla di fatto. Oggi l'ayatollah ha messo in guardia il Paese avvertendo che a Ginevra devono agire entro limiti prestabiliti e l'Iran non farà un passo indietro "di una virgola" rispetto ai suoi diritti nucleari. Lo stesso Abbas Araghnci, viceministro degli Esteri iraniano a capo della delegazione, ha dichiarato che i negoziati saranno "difficili e non si arriverà a nessun accordo se non saranno rispettati i diritti dell'Iran sui temi del nucleare e dell'arricchimento dell'Uranio". La posizione dei delegati di Teheran è confermata in un video-messaggio diffuso su Youtube da Javid Zarif, ministro degli Esteri iraniano, che manifestando il suo ottimismo per la nuova riuscita del summit chiede però "rispetto per la dignità dell'Iran". "A noi iraniani - afferma - l'energia nucleare non serve per inserirci all'interno di un club o per minacciare gli altri Paesi. L'energia atomica riguarda il nostro sviluppo, la possibilità di decidere il nostro destino e fare in modo che esso non venga deciso da altri". Il recente rapporto dell'Agenzia Onu per l'energia atomica (Aiea) ha in parte confermato le tesi iraniane. Fra agosto e settembre solo quattro centrifughe rudimentali sono state aggiunte al reattore di Natanz. Gli esperti dell'agenzia Onu sottolineano che gli iraniani hanno una riserva di oltre 7mila chilogrammi di uranio arricchito al 5 % (U - 235) e 196 chilogrammi al 20%. La quantità è troppo bassa per consentire la fabbricazione di ordigni nucleari ed è al di sotto della linea rossa stabilita nel 2012 da Israele pari a 240 chilogrammi. Inoltre una parte delel scorte di uranio al 20% è stata convertita in barre combustibili, rendendo di fatto molto ardua la loro riconversione in materiale fissile adatto alla costruzione di un ordigno atomico. Il nuovo volto dell'Iran emerso dopo l'elezione del presidente riformista Hassan Rouhani ha ridisegnato il blocco dei Paesi del Consiglio di sicurezza con Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Cina e Russia tutti risoluti mantenere la linea diplomatica. Finora solo la Francia sostiene la linea dura delle sanzioni e dell'isolamento. Gli Stati Uniti, attraverso l'amministrazione Obama, sono fra i più forti sostenitori dell'opportunità del dialogo con l'Iran. Israele resta il più strenuo avversario del programma nucleare iraniano e sostiene che Teheran stia ingannando il mondo. Per tentare di fermare un possibile accordo fra i "5+1" e Iran, Netanyahu è volato in Russia e oggi incontrerà il presidente russo Vladimir Putin. La posizione israeliana è sostenuta dall'Arabia Saudita, impegnata in una lotta indiretta contro Teheran per l'egemonia nella regione. (R.P.)

    inizio pagina

    Filippine: si aggrava il bilancio delle vittime. Impegno a ricostruire

    ◊   Il numero delle vittime del super-tifone Haiyan (Yolanda per i filippini) è salito a 4011 morti e 18.557 feriti, resta stabile invece, per i dati del Consiglio nazionale per la gestione e riduzione del rischio nei disastri, il numero dei dispersi: 1602. Si conferma anche che la maggior parte dei decessi è stato registrato sull’isola di Leyte, 3310, cifra che include 1060 vittime non identificate nella città di Palo, 694 in quella di Tacloban e 675 dalle municipalità di Tolosa e Dulag. Per la Commissione - riferisce l'agenzia Misna - sono 9,9 milioni le persone interessate dal disastro e di queste 4,4 milioni sono state costrette dal tifone a lasciare le proprie abitazioni nelle aree colpite dove sono finora censite quasi 650.000 case distrutte o danneggiate. Sono invece 13 milioni i filippini colpiti dalla catastrofe, di cui almeno quattro milioni senzatetto, secondo l’Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari umanitari. Ieri il presidente Benigno Aquino è rientrato a Manila dopo soli tre giorni di permanenza nelle regioni devastate dal tifone, richiamato dalle altre necessità di questo Paese che cerca di rafforzare, oltre che l’immagine democratica e le possibilità di sviluppo, anche coerenza e onestà delle proprie istituzioni anche in funzione della credibilità internazionale. Si iniziano anche a stimare i danni, a partire dal settore agricolo, primario nella regione. Si stima che le perdite per proprietà rurali e coltivazioni in aree a forte vocazione agricola ammontino all’equivalente di 200 milioni di euro. Secondo il responsabile della pianificazione economica del governo filippino, Arsenio Balisacan, il costo complessivo della ricostruzione potrebbe arrivare a 250 miliardi di pesos, circa 4,25 miliardi di euro. Un impegno ingente ma che, se ben gestito, potrebbe essere di stimolo a un successivo sviluppo del Paese. Al momento, però, le prospettive restano difficili. Con un terzo delle aree risicole del Paese devastate, la Fao ha chiesto immediato sostegno agli agricoltori prima che la stagione della semina sia passata. Non sono state accertate finora le condizioni di tanti depositi di riso e altri prodotti agricoli nelle aree colpite da Haiyan, ma vi è seria preoccupazione tra gli esperti per le potenziali perdite. Se complessivamente la situazione delle aree colpite sta migliorando, come confermato anche dalla responsabile Onu per i soccorsi umanitari, Valerie Amos, emerge la preoccupazione per la tutela di quasi otto milioni di donne e bambini interessati dalla catastrofe. La Amos ha chiamato a un’attenzione particolare e a un impegno contro gli abusi per questi gruppi particolarmente vulnerabili data la situazione. (R.P.)

    inizio pagina

    Premio Sakarov. Il Presidente del parlamento Schultz: "Malala icona globale dei diritti"

    ◊   “Il 2013 segna i 25 anni di difesa e promozione dei diritti dell’uomo attraverso il Premio Sakharov. Nel corso degli anni abbiamo riconosciuto e sostenuto la lotta di singoli individui e organizzazioni che, con coraggio, hanno preso posizione contro il razzismo e la repressione, la guerra e il terrorismo, la repressione, la prigione e la tortura, in difesa dei propri diritti e di quelli altrui”. Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo - riferisce l'agenzia Sir - così ha accolto in emiciclo a Strasburgo, Malala Yousafzai, 16enne pachistana che si batte per l’istruzione femminile nel suo Paese, cui è stato assegnato oggi il riconoscimento 2013. Davanti a loro erano seduti una ventina di personalità, premiate negli scorsi anni, che hanno difeso e difendono la libertà di parola, i diritti umani, la democrazia in tutti i continenti. All’ingresso di Malala tutti gli eurodeputati si sono alzati in piedi e le hanno rivolto un lungo applauso. Lo stesso tributo è stato riconosciuto ai premiati delle edizioni precedenti. Schulz ha parlato di Malala come di “una giovane donna eroica”, una “icona globale”, sopravvissuta a un attentato, costretta a vivere lontano dal suo Paese perché minacciata di morte dai talebani. “Malala ha portato la sua battaglia al di là delle frontiere, battendosi per dare istruzione alle ragazze e alle donne di tutto il mondo”. “Milioni di bambini nel mondo in questo stesso momento - ha detto Malala nel suo intervento - vivono nella fame, non hanno istruzione, vengono sfruttati. Questo dovrebbe scuotere le nostre coscienze. È difficile immaginare un mondo senza istruzione”, sottolinea ancora Malala, scampata a un attentato dei talebani e ora costretta a vivere nel Regno Unito, da dove prosegue la sua battaglia per i diritti. Si presenta all’Euroassemblea con un copricapo tradizionale arancione e prende la parola per ricordare che nel suo “Paese le bambine non hanno accesso alla scuola, subiscono violenze e abusi di ogni tipo, sono costrette a vivere tra le quattro mura di casa, senza parola, senza diritti. Obbligate a matrimoni precoci. Eppure c’è speranza. Nel mio Paese - aggiunge - ci sono guerra e terrorismo, eppure c’è speranza… Nel mondo c’è povertà, ma c’è speranza. C’è speranza perché siete qui, siamo qui, insieme, a denunciare queste ingiustizie e perché ci batteremo insieme, per aiutare queste bambine, questi ragazzi. Dobbiamo intraprendere azioni per aiutarli”. (R.P.)

    inizio pagina

    Africa: più bambine a scuola, dall'Etiopia all'Angola

    ◊   L’Africa è diventata un posto migliore per i bambini e anche per le bambine: lo sottolineano i ricercatori di un Centro studi con sede ad Addis Abeba, dopo aver raccolto e messo a confronto i dati sulla frequenza scolastica e la mortalità infantile di 52 Paesi del continente. Secondo gli esperti dell’African Child Policy Forum, tra il 2000 e il 2011 la quota delle bambine che frequentano le elementari è passata dal 41 all’83% in Etiopia e dal 35 al 78% in Angola. A livello continentale - riporta l'agenzia Misna - oggi la media sarebbe del 78% per le bambine e dell’83% per i loro coetanei maschi. Nel rapporto, che aggiorna studi del 2003 e del 2008, è dedicato molto spazio alla riduzione della mortalità infantile. In quest’ambito i progressi maggiori sarebbero stati ottenuti da Rwanda e Liberia, Paesi in grado di ridurre i decessi dei bimbi con meno di cinque anni rispettivamente del 52 e del 47%. Miglioramenti, questi, che confermano una tendenza globale. Di recente, il Fondo dell’Onu per l’infanzia (Unicef) ha calcolato che tra il 1990 e il 2012 il numero dei decessi di bimbi con meno di cinque anni si è diminuito da 12 milioni e 600.000 a sei milioni e 600.000. A sud del Sahara, secondo agli esperti del African Child Policy Forum, i progressi più significativi sono stati ottenuti dai governi che hanno dimostrato volontà politica e non necessariamente da quelli dotati di maggiori risorse economiche. In cima alla lista dei Paesi virtuosi figurano Sudafrica, Tunisia, Egitto, Capo Verde, Rwanda, Lesotho, Algeria, Swaziland e Marocco. Voti bassi sono assegnati invece a Ciad, Eritrea, São Tomé e Príncipe, Zimbabwe, Isole Comore, Centrafrica, Camerun, Repubblica Democratica del Congo e Mauritania. “A fronte del crollo della mortalità infantile e del boom nella frequenza scolastica – sottolinea Théophane Nikyèma, direttore dell’African Child Policy Forum – fame, malnutrizione, mancanza di assistenza sanitaria e abbassamento della qualità dell’istruzione continuano a ostacolare il benessere dei bambini”. (R.P.)

    inizio pagina

    Sri Lanka: sì a un’indagine governativa sulle violazioni ai diritti umani

    ◊   Per la prima volta, il governo dello Sri Lanka ha accettato di condurre un'indagine nazionale sulle violazioni dei diritti umani avvenute dal 2009 a oggi, con l'assistenza tecnica del segretariato del Commonwealth. Lo ha annunciato oggi la Commissione per i diritti umani (Hrcsl, Human Rights Commission of Sri Lanka). La mossa - riferisce l'agenzia AsiaNews - risponde alle pressioni comunità internazionale, dopo il recente incontro dei leader del Commonwealth (Chogm). Tuttavia, il Regno Unito ha già espresso disappunto per questa decisione, riferendo di voler vedere un'inchiesta indipendente sulle presunte violenze avvenute durante la guerra civile. Anche le vittime del conflitto hanno dichiarato di "non aver fiducia" in questa indagine. In base agli accordi presi, una delegazione del Commonwealth - che comprende rappresentanti della Divisione per i diritti umani - arriverà a Colombo il prossimo 2 dicembre. L'inchiesta avrà una durata di 18 mesi. Secondo Prathibha Mahanamahewa, direttore della Hrcsl, quest'indagine sarà del tutto indipendente proprio grazie alla presenza di esperti locali e stranieri. Tuttavia, il primo ministro inglese David Cameron ha dichiarato che un'inchiesta portata avanti dal governo dello Sri Lanka non potrà mai essere "del tutto indipendente", perché vi parteciperanno anche militari direttamente coinvolti nelle presunte violazioni. Anche molte vittime della guerra civile non credono nell'efficacia del provvedimento: "Non abbiamo fiducia in questa indagine nazionale perché ce ne sono stati troppi di provvedimenti simili, avviati dal governo su diverse questioni, che non hanno portato ad alcun risultato". (R.P.)

    inizio pagina

    Myanmar: Commissione Onu chiede di rilasciare tutti i detenuti politici nelle carceri birmane

    ◊   La Commissione per i diritti umani dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite lancia un appello al governo birmano, chiedendo il rispetto delle promesse fatte e la conseguente liberazione di tutti i prigionieri politici "entro la fine dell'anno". Pur apprezzando le riforme - politiche ed economiche - compiute sinora da Naypyidaw, che hanno fatto emergere il Paese dopo decenni di dittatura militare, l'Onu manifesta "preoccupazione" per i nuovi casi di arresti di attivisti. Al contempo destano preoccupazione le violenze interconfessionali nello Stato occidentale di Rakhine, fra birmani buddisti e musulmani Rohingya, una minoranza alla quale vanno garantiti "pari diritti" di cittadinanza e la fine delle violenze. La Commissione Onu - riporta l'agenzia AsiaNews - ha approvato ieri la risoluzione annuale, con il consenso dei 193 Stati membri; essa presenta un tono più morbido rispetto al passato, quando il Myanmar risultava fra i Paesi con le statistiche peggiori in tema di diritti umani. Basti pensare alla prolungata detenzione della leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, che ha trascorso 15 degli ultimi 22 anni ai domiciliari. Fondamentali i cambiamenti impressi dal governo guidato dal presidente riformista Thein Sein, anch'egli un ex generale dell'esercito. Tuttavia, restano ancora problemi irrisolti come la detenzione di decine di attivisti e le violenze di natura settaria contro la minoranza musulmana Rohingya. Le Nazioni Unite auspicano il rispetto delle promesse e "il rilascio [degli attivisti] entro la fine del 2013, assicurando al contempo la piena reintroduzione dei diritti e delle libertà individuali". La scorsa settimana l'esecutivo ha ordinato la liberazione di 69 detenuti politici, ma altri ancora ne restano in prigione e tuttora le autorità compiono fermi e arresti per reati di opinione. Vi sono poi continui casi, avverte la Commissione per i diritti umani Onu, di "espropri forzati, confische dei terreni, stupri e altre forme di violenza sessuale, torture, crudeltà e trattamenti disumani". Destano particolare preoccupazione le violenze contro i Rohingya che, negli ultimi 18 mesi, hanno causato oltre 240 morti e 240mila sfollati. In tema di prigionieri politici interviene anche il movimento attivista Assistance Association for Political Prisoners (Burma), pubblicando il rapporto - aggiornato a fine ottobre - degli attivisti in cella. Secondo quanto emerge nel documento, nel mese di ottobre sono stati incriminati 34 attivisti politici, due dei quali sono difensori dei diritti umani che ancora oggi sono rinchiusi in cella per il loro lavoro. Cinque persone sono state condannate e tre hanno ricevuto pene detentive a vario titolo. Pur "apprezzando" il rilascio di 56 detenuti, i responsabili di Aapp sottolineano però i vincoli e le restrizioni cui sono sottoposti, che ne limitano la libertà di opera e movimento. " In netto contrasto con i passi in direzione progressista e di cambiamento presi in apparenza dal governo - avvertono i membri di Aapp - vi è l'uso continuativo di arresti arbitrari e la limitazione di 'libertà civili e politiche'. Inoltre, i continui arresti rendono estremamente improbabile il mantenimento della promessa fatta dal presidente Thein Sein, secondo cui tutti i prigionieri politici saranno liberati entro fine anno". (R.P.)

    inizio pagina

    Indonesia. Giakarta: 5 mila giovani accolgono il card. Rylko per la chiusura dell’Anno della Fede

    ◊   Saranno almeno 5mila i giovani cattolici indonesiani che parteciperanno, sabato 23 novembre, al grande raduno nella capitale voluto dai vescovi e inserito nel quadro delle iniziative promosse per l'Anno della Fede, che si avvia a conclusione. A presiedere le cerimonie sarà il card. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici e delegato Vaticano; una presenza che conferisce lustro e risalto maggiore a una iniziativa presentata quasi in sordina due mesi fa, ma che ha saputo guadagnare in queste settimane attenzione, adesione e partecipazione. Tanto da dar vita a una pagina Facebook, un account Twitter e un video di lancio pubblicato su YouTube. Il 23 novembre a Jakarta è in programma un grande raduno giovanile, intitolato: "Omk Gathering 2013: the Joy of Indonesian Catholic Youth". Un appuntamento che, grazie al duro lavoro della Commissione giovanile della Conferenza episcopale indonesiana (KomKep - Kwi), ha portato a un risultato a dir poco inaspettato. Come conferma ad AsiaNews padre Yohannes Dwi Harsanto, segretario generale KomKep, saranno "almeno 5mila" i ragazzi e le ragazze presenti; un evento che si inquadra nelle iniziative promosse a conclusione dell'Anno della Fede. A rendere particolare e unica la giornata, la presenza del card. Rylko che i giovani cattolici indonesiani hanno imparato a conoscere in queste ultime settimane; l'adesione di un alto rappresentante della Santa Sede è indice di attenzione per la comunità cattolica locale, una minoranza attiva e impegnata nel contesto di una società a larga maggioranza musulmana. Ogni parrocchia di Giakarta invierà una propria delegazione al "grande evento", che attira anche fedeli dalle vicine diocesi di Bogor e Bandung. Prezioso, infine, il contributo della Fondazione Giovanni Paolo II e di decine di organizzazioni cattoliche e movimenti studenteschi, che animeranno il pomeriggio in attesa della solenne celebrazione eucaristica presieduta dal porporato. Insieme al card. Rylko concelebreranno la Messa l'arcivescovo di Giakarta mons. Ignatius Suharyo, i vescovi e il nunzio apostolico in Indonesia mons. Antonio Guido Filipazzi. In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione totale. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. Essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto per in occasione della devastante alluvione del gennaio scorso. (R.P.)

    inizio pagina

    Brasile. “Gioca per la Vita”: Campagna contro la tratta di persone per i Mondiali di calcio

    ◊   Circa 150 religiosi del Brasile, insieme a rappresentanti di Germania, Colombia , Bolivia e Uruguay, hanno lanciato a Brasilia, la Campagna "Gioca per la vita", per sensibilizzare la società sul problema della tratta di esseri umani in occasione di grandi eventi come il prossimo Campionato mondiale di calcio. La campagna è organizzata dalla rete "Un grido per la vita", formata da religiosi e religiose che lavorano in Brasile a livello nazionale, per la prevenzione della tratta di esseri umani. Durante la presentazione della Campagna, come riferisce la nota inviata all’agenzia Fides dalle Pom del Brasile, i membri del coordinamento centrale hanno illustrato il significato del logo scelto: le mani sono il simbolo della forza e della vita, la palla rende esplicito il legame con lo sport, soprattutto il calcio, passione nazionale; il verbo "giocare" nel modo imperativo (“gioca”) è destinato a stimolare l'azione e una reazione; l'altro verbo "denunciare", che si presenta associato al verbo giocare, invita a compiere un atto di amore e di giustizia, ad una collaborazione. La coordinatrice generale della campagna, suor Eurides de Oliveira, ha spiegato che si tratta di una campagna di prevenzione e informazione. Del materiale stampato con alcune indicazioni sul concetto di tratta e su come prevenirla, sarà distribuito nelle principali vie della capitale, sugli autobus, negli aeroporti, negli alberghi delle città che ospiteranno la Coppa del Mondo, dal 18 maggio 2014 fino al termine della manifestazione. Oltre alla Campagna, è stato anche presentato il primo libro della Rete. Si tratta di un sussidio di formazione sulla tratta delle persone. "E' una raccolta di testi - ha affermato suor Eurides - scritti con la collaborazione di diversi autori, membri della Rete, per un approccio sociologico, ecclesiologico, biblico al tema, e una raccolta di testi, di preghiere e di suggerimenti pedagogici per la formazione e la preparazione degli operatori". (R.P.)

    inizio pagina

    Tertio Millennio Film Fest. Mons. Celli: "Andare incontro all'uomo"

    ◊   “Spero che il cinema ancora una volta sappia andare incontro all’uomo, calarsi nella sua realtà di oggi”, ma anche avere “la capacità di farci sognare e sperare”. Così mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali (Pccs), intervenuto questa mattina alla presentazione dell’edizione 2013 del “Tertio Millennio Film Fest”, la XVII. Organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla “Rivista del Cinematografo”, in collaborazione con il Centro sperimentale di cinematografia - Cineteca nazionale, il “Tertio Millennio Film Fest” è l’unico festival cinematografico italiano realizzato con il patrocinio dei Pontifici Consigli della cultura (che oggi ha ospitato la conferenza stampa) e delle comunicazioni sociali, e avrà luogo a Roma, presso il cinema Sala Trevi (vicolo del Puttarello, 25) dal 3 all’8 dicembre. Titolo dell’edizione 2013, “Innocenti nella tempesta. Il cinema contro la globalizzazione dell’indifferenza”. Mons. Celli richiama al riguardo il tema “indicato da Papa Francesco per la Giornata delle comunicazioni sociali: la comunicazione come momento e promozione della cultura dell’incontro”. Un incontro, spiega, “che è attenzione, vicinanza, simpatia per l’altro”. Questo tema, assicura, “animerà tutto il nostro cammino per il 2014”. Papa Francesco, prosegue mons. Celli, ci chiede non solo di “non essere indifferenti”, ma di “andare incontro all’uomo e percepirne gli aneliti e le speranze”. “Un aspetto tipico del Santo Padre in questi primi mesi di pontificato è la sua grande capacità di farsi capire, di parlare in maniera semplice, diretta, senza avere bisogno di mediazioni culturali. Come il Vangelo, il Papa parla e arriva direttamente al cuore dell’uomo”. Alcuni, osserva ancora mons. Celli, dicono che “sa anche farci sognare e sperare. Spero che il cinema ancora una volta sappia calarsi nella realtà dell’uomo e della donna di oggi, ma abbia anche la capacità di farci sognare e sperare”. Nel corso della conferenza stampa è stato conferito alla poco più che ventenne attrice Sara Serraioco - protagonista del film “Salvo” (2013) di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, vincitore del Grand Prix e del Prix Révelation alla 52ma Semaine de la critique de Cannes - il Premio Rivelazione dell’anno degli “RdC Awards 2013”. “Il nostro cinema - conclude mons. Celli - ha bisogno di una lettura 'giovane e femminile’. Dal canto suo mons. Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio della cultura ha affermato che “gli innocenti sono sempre nella tempesta, e il cinema può essere occasione per affrontare un tema come quello delle migrazioni forzate, portato tragicamente alla ribalta in questi ultimi mesi, e per incoraggiare al riguardo una riflessione su più fronti: approccio e gestione dei flussi, comunità civile diventata giorno dopo giorno laboratorio di convivenza in bilico tra atteggiamenti di accoglienza e rifiuto, ma soprattutto per stimolare la solidarietà contro la globalizzazione dell’indifferenza”. (R.P.)

    inizio pagina

    Collevalenza: 30.mo convegno per la formazione alla vita consacrata

    ◊   E’ in corso a Collevalenza (Perugia), presso il Santuario dell’Amore misericordioso, il 30.mo Convegno nazionale organizzato dall’Area Animazione Vita consacrata della Conferenza Italiana Superiori Maggiori (Cism), sul tema “Fragili e/o forti?”. Vi partecipano 166 religiosi e religiose appartenenti a 69 Istituti, provenienti da tutta Italia, per approfondire, con l’aiuto di esperti, i motivi per cui oggi, in un tempo di grandi attese, di trasformazioni e di tensioni, persone singole e Istituzioni siano alle prese con una preoccupante fragilità. “Ad essa - si legge nel programma - si risponde o con la rigidità dell’istituzione o con la semplice permissività”. Le risposte non sembrano sufficienti, per cui si impone di scoprire quale sia la migliore risorsa educativa da presentare oggi per “vivere da religiosi fragili”, visto che ogni persona nasce dal paradosso di fragilità forte e di fortezza fragile. Il Convegno intende proporre un percorso educativo di coscientizzazione e di accettazione della fragilità partendo dal fondamento biblico e teologico, analizzando la situazione, ma soprattutto offrendo indicazioni educative di crescita e guarigione. Il Convegno si chiuderà nella mattinata di venerdì 22 con una solenne concelebrazione nel Santuario fondata Madre Speranza Alhama Valera, che sarà beatificata il 31 maggio prossimo. (Da Collevalenza, padre Egidio Picucci)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 324

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.