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Sommario del 11/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: ingiusto essere benefattore della Chiesa e rubare allo Stato, no ai cristiani dalla doppia vita
  • Tifone nelle Filippine, scatta la solidarietà internazionale: primi aiuti di Papa Francesco
  • Scomparso a 96 anni il card. Bartolucci. Il Papa: con la sua musica ha elevato i cuori a Dio
  • Tweet del Papa: “Dio ci ama. Scopriamo la bellezza dell’amare e del sentirsi amati”
  • Altre udienze e nomine di Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Rinviato l’accordo sul nucleare iraniano
  • Nord Corea: 80 persone giustiziate, alcune per il possesso della Bibbia
  • Conferenza Onu sul clima. Wwf denuncia: pochi fatti per ridurre i gas serra
  • Nasce l'Alleanza contro la povertà: una risposta per l'8% degli italiani
  • Ospedale Bambino Gesù: in 10 anni decuplicato il numero di famiglie in difficoltà
  • Per oltre 600 mila italiani e 2 milioni di europei l'embrione è "UnoDiNoi"
  • Giornata della Ricerca sul Cancro: aumentano i malati oncologici, ma per cancro si muore di meno
  • Don Benzi, consegnata al vescovo di Rimini richiesta di avvio della Causa di beatificazione
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Kenya: accordo per il rimpatrio di un milione di rifugiati somali
  • Centrafrica: torna la calma a Bouar. La Caritas in soccorso degli sfollati
  • Card. Scola a Mosca: l'ecumenismo cresce anche nell'incontro tra i fedeli
  • Comece: all'Assemblea plenaria riflessione pastorale sulle migrazioni
  • Siria: contrasti tra le fazioni jihadiste. Padre Karam: ormai è una guerra “tutti contro tutti”
  • Iraq. I vescovi cattolici: le rappresentanze straniere non favoriscano la fuga dei cristiani
  • Indonesia: gli ulema intimano alle scuole cattoliche di insegnare l’islam
  • Pakistan: scuole private mettono al bando autobiografia di Malala
  • Elezioni in Nepal: la Chiesa cattolica non si schiera e prega per la pace
  • Colombia: precisazioni del governo sul secondo accordo con le Farc
  • Messico: dopo l'intervento della Chiesa, l'impegno delle autorità per i migranti
  • Bolivia: Messaggio dei vescovi alla chiusura dell’Anno della Fede
  • Vescovi europei. Mons. Aguirre: "Papa Francesco non ha bisogno di interpreti"
  • Portogallo: si apre a Fatima l'Assemblea dei vescovi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: ingiusto essere benefattore della Chiesa e rubare allo Stato, no ai cristiani dalla doppia vita

    ◊   Chi non si pente e “fa finta di essere cristiano” fa tanto male alla Chiesa. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che tutti dobbiamo dirci “peccatori”, ma dobbiamo guardarci dal diventare “corrotti”. Chi è benefattore della Chiesa ma ruba allo Stato, ha aggiunto, è “un ingiusto” che conduce una “doppia vita”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Gesù “non si stanca di perdonare e ci consiglia” di fare lo stesso. Papa Francesco si è soffermato, nell’omelia, sull’esortazione del Signore a perdonare il fratello pentito, di cui parla il Vangelo odierno. Quando Gesù chiede di perdonare sette volte al giorno, ha osservato, “fa un ritratto di se stesso”. Gesù, ha proseguito, “perdona” ma in questo brano evangelico dice anche “Guai a colui a causa del quale vengono gli scandali”. Non parla di peccato, ma di scandalo che è un’altra cosa. E aggiunge che “è meglio per lui che gli venga messa al collo una macina di mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli”. Ma che differenza c’è dunque, si chiede il Papa, “tra peccare e scandalizzare”?

    “La differenza è che chi pecca e si pente, chiede perdono, si sente debole, si sente figlio di Dio, si umilia, e chiede proprio la salvezza da Gesù. Ma di quell’altro che scandalizza, che cosa scandalizza? Che non si pente. Continua a peccare, ma fa finta di essere cristiano: la doppia vita. E la doppia vita di un cristiano fa tanto male, tanto male. ‘Ma, io sono un benefattore della Chiesa! Metto la mano in tasca e do alla Chiesa’. Ma con l’altra mano, ruba: allo Stato, ai poveri … ruba. E’ un ingiusto. Questa è doppia vita. E questo merita – dice Gesù, non lo dico io – che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Non parla di perdono, qui”.

    E ciò, ha sottolineato, “perché questa persona inganna”, e “dove c’è l’inganno, non c’è lo Spirito di Dio. Questa è la differenza fra peccatore e corrotto”. Chi "fa la doppia vita – ha ammonito – è un corrotto”. Diverso è chi "pecca e vorrebbe non peccare, ma è debole” e “va dal Signore” e chiede perdono: “a quello il Signore vuole bene! Lo accompagna, è con lui”:

    “E noi dobbiamo dirci peccatori, sì, tutti, qui, eh!, tutti lo siamo. Corrotti, no. Il corrotto è fisso in uno stato di sufficienza, non sa cosa sia l’umiltà. Gesù, a questi corrotti, diceva: ‘La bellezza di essere sepolcri imbiancati’, che appaiono belli, all’esterno, ma dentro sono pieni di ossa morte e di putredine. E un cristiano che si vanta di essere cristiano, ma non fa vita da cristiano, è uno di questi corrotti. […] Tutti conosciamo qualcuno che è in questa situazione e quanto male fanno alla Chiesa! Cristiani corrotti, preti corrotti … Quanto male fanno alla Chiesa! Perché non vivono nello spirito del Vangelo, ma nello spirito della mondanità”.

    San Paolo, ha rammentato Papa Francesco, lo dice chiaramente nella Lettera ai cristiani di Roma: “Non uniformatevi a questo mondo”. Anzi, ha precisato, il “testo originale è più forte” perché afferma di “non entrare negli schemi di questo mondo, nei parametri di questo mondo”. Schemi, ha ribadito, che “sono questa mondanità che ti porta alla doppia vita”:

    “Una putredine verniciata: questa è la vita del corrotto. E Gesù semplicemente non diceva: 'peccatori' a questi, diceva loro: 'ipocriti'. E che bello, quell’altro, no? ‘Se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: ‘Sono pentito, sono peccatore’, tu gli perdonerai’. E’ quello che Lui fa con i peccatori. Lui non si stanca di perdonare, soltanto alla condizione di non voler fare questa doppia vita, di andare da Lui pentiti: ‘Perdonami, Signore, sono peccatore!’. ‘Ma, vai avanti, vai avanti: io lo so’. E così è il Signore. Chiediamo oggi la grazia allo Spirito Santo che fugge da ogni inganno, chiediamo la grazia di riconoscerci peccatori: siamo peccatori. Peccatori, sì. Corrotti, no”.

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    Tifone nelle Filippine, scatta la solidarietà internazionale: primi aiuti di Papa Francesco

    ◊   È destinato a salire il bilancio delle vittime del tifone Haiyan che ha devastato negli ultimi giorni le Filippine. Le autorità locali parlano di oltre 10 mila morti, ma le stime cambiano di ora in ora: i dispersi sono almeno duemila. Secondo i meteorologi, Haiyan starebbe perdendo forza: stamani ha toccato terra in Vietnam. All’Angelus domenicale l’accorato appello e la preghiera di Papa Francesco per le popolazioni colpite. Attraverso il Pontificio Consiglio Cor Unum, il Santo Padre ha stabilito di inviare un primo contributo di 150 mila dollari per il soccorso ai sinistrati. Il servizio di Giada Aquilino:

    I sopravvissuti ''si muovono come zombie''. È l’immagine che i soccorritori stanno usando man mano che arrivano nei luoghi colpiti dal passaggio del tifone Haiyan, localmente chiamato Yolanda. La zona più disastrata è quella della regione centrale delle Filippine, in particolare le isole di Samar e Leyte. Il capoluogo di Leyte, Tacloban, è praticamente raso al suolo: non c’è luce elettrica, mancano acqua potabile e cibo. Ma, pur nella devastazione, è venuta alla luce una bimba, Bea Joy, nata in un ospedale da campo. Intanto, ci sono ancora intere comunità isolate, dalle quali purtroppo non arrivano segni di vita. E poi sono entrati in azione i saccheggiatori che hanno razziato le rovine dei supermercati e i distributori di benzina. Una banda ha attaccato un convoglio di camion carico di cibo, tende e medicine. Intanto la macchina degli aiuti è partita, con la mobilitazione nazionale voluta dal presidente Benigno Aquino, che ha proclamato lo stato di calamità naturale. Le ultime stime indicano che fino a 4 milioni di bambini potrebbero essere stati colpiti dal disastro: per questo l'Unicef sta accelerando l'invio di aiuti d'emergenza e ha approntato una raccolta fondi (unicef.it). Anche Medici Senza Frontiere è operativo per l’emergenza: già arrivata a Cebu una prima equipe, mentre 200 tonnellate di materiali medico-logistici giungeranno nei prossimi giorni (medicisenzafrontiere.it). La Conferenza episcopale italiana ha stanziato tre milioni di euro (dai fondi derivanti dall’otto per mille, da destinarsi alla prima emergenza) e la Caritas Italiana 100.000 euro (caritas.it). In un comunicato della Fondazione Migrantes, le comunità cattoliche filippine in Italia hanno espresso dolore e preoccupazione per quanto avvenuto in Patria: sono oltre 150.000 i filippini che vivono e lavorano in Italia, la maggioranza dei quali cattolici. A Roma sono 34 mila, a Milano 35 mila.


    Per un quadro della situazione, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Manila Josephine Ignacio, coordinatrice programmi d’emergenza della Caritas Filippine–National Secretariat for Social Action (Nassa):

    R. – What the church is doing is: we are contacting neighbouring dioceses …
    Quello che la Chiesa sta facendo è prendere contatto con le diocesi vicine per chiedere aiuto, soprattutto per quanto riguarda il rifornimento di cibo alla gente di Tacloban. Ce ne sono alcune che non hanno riportato gravi danni dal passaggio del tifone ed hanno riserve di riso, l’economia locale è ancora vitale, hanno il mercato e negozi di alimentari; per questo abbiamo dato denaro in cambio di generi di prima necessità ancora imballati, da destinare alla gente di Tacloban. Tutto ciò è coordinato dalla Chiesa. Noi siamo la task-force che, messa in campo per far fronte all’emergenza provocata dal tifone Yolanda, raggruppa sei diocesi filippine; stiamo cercando di mettere insieme 15 milioni, come donazione iniziale, per le 11 diocesi nelle quali abbiamo rilevato i danni più gravi.

    D. – Di cosa ha bisogno la popolazione oggi?

    R. – They need everything. They have lost everything. We try to supply them with …
    Hanno bisogno di tutto. Hanno perso tutto. Ci stiamo impegnando intanto a fornire riso, ma ci dicono che hanno bisogno anche di cibo pronto, perché hanno perso tutte le attrezzature per cucinare. E hanno bisogno anche di acqua. In tutto questo, l’aeroporto è chiuso, perché l’edificio è danneggiato e il radar non funziona, tutto è stato spazzato via. Il governo, i soldati hanno limitato l’accesso ai soli aerei che portano beni da destinare alle aree colpite. Per questo dobbiamo trovare altre strade per fare arrivare quello che serve. Il governo fornisce gli aiuti che arrivano via aria e noi - come Chiesa - ci siamo mobilitati per ottenere aiuti via terra. Facciamo il possibile, cerchiamo continuamente strategie nuove per raggiungere le persone che sono ancora a Tacloban e nelle zone disastrate.

    D. – Qual è la speranza della Chiesa delle Filippine e anche della Caritas locale?

    R. – The generosity of all and … well, if you look at Tacloban, it’s really such a …
    La generosità di tutti. Certo, se guardiamo a Tacloban, la situazione è veramente disperata; le altre diocesi cercano di portare aiuto, come ad esempio la diocesi di Bohol che ha subito un terremoto grave: perfino loro stanno mandando aiuti a Tacloban. Si cercano modi per far giungere i generi di prima necessità, quello che si ha, alla gente disperata. Nell’arco di tre settimane qui c’è stato un forte terremoto e tre tifoni, ed è in arrivo – per questa notte o per domani – un altro tifone: è previsto che passi vicino Cebu, Bohol e nella parte settentrionale di Mindanao. Quindi, in realtà facciamo affidamento gli uni sugli altri, facciamo affidamento su quello che ciascun buon cristiano può fare per aiutare il prossimo.


    Il cataclisma che ha devastato le Filippine "può anche essere il peggiore mai visto prima al mondo" ma la fede in Dio della popolazione è "anche più forte". Sono le parole del presidente della Conferenza episcopale filippina, mons. Jose Palma, contenute nel messaggio rivolto a una popolazione in ginocchio. Mons. Palma sottolinea che "nessuna calamità o disastro naturale può spegnere il fuoco della speranza” e, assicurando la presenza e la partecipazione al dolore dell'intera Conferenza episcopale, invita i fedeli a rivolgersi a Dio "in questo momento di calamità nazionale" come ogni filippino ha sempre fatto "negli ultimi 400 anni". Da oggi al 19 novembre in tutto il Paese si tiene una novena di preghiera. Laura Ieraci, del programma inglese della nostra emittente, ha intervistato mons. Pedro Quitorio, responsabile per il rapporto con i media della Conferenza episcopale filippina:

    R. – There will be a lot of dioceses where the typhoon went through, but …
    Sicuramente ci sono molte diocesi colpite dal tifone, ma le più devastate sono quelle nelle isole di Samar e Leyte, e più particolarmente la diocesi di Borongan e l’arcidiocesi di Palo. Nella diocesi di Borongan, la prima terra toccata dal tifone, abbiamo numerose chiese devastate; quelle che si sono trovate nell’occhio centrale del ciclone sono quelle di Guiuan, nella parte orientale di Samar, tra le quali una chiesa antica di centinaia di anni, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, ed è stata completamente rasa al suolo; quello che rimane è solo il campanile, che era separato dall’edificio centrale; il tetto è stato completamente smantellato… rimangono i muri portanti sui due lati della chiesa. Tutto il resto è stato devastato. Anche le case intorno a questa parrocchia sono distrutte per quasi il 90 per cento. L’altra chiesa distrutta si trova nell’arcidiocesi di Palo, sull’isola di Leyte, ed è la chiesa di Santo Niño. Questa chiesa, che è anche santuario, era simbolo della fede cattolica nell’area: nella chiesa era conservata l’immagine del Santo Niño, patrono dell’arcidiocesi di Palo. La distruzione al di fuori della chiesa è immensa, per quanto riguarda la popolazione: si stima, a tutt’oggi, che le persone disperse e i senzatetto superino varie migliaia. Ieri, in un primo momento, si pensava che potessero essere un migliaio, ma alcuni rapporti parlano di oltre 10 mila morti. Particolarmente devastata la città di Tacloban, che fa parte dell’arcidiocesi di Palo. Anche nella diocesi di Borongan ci sono stati morti, ma finora non abbiamo cifre esatte, perché tutte le linee di comunicazione sono state interrotte, non c’è corrente elettrica e non siamo riusciti a conoscere la situazione esatta. Nemmeno le grandi organizzazioni umanitarie hanno saputo dire con precisione quale sia la situazione in quelle zone.


    Sull’entità della catastrofe, Giada Aquilino ha intervistato Paolo Beccegato, vicedirettore e responsabile area internazionale di Caritas italiana:

    R. - Per esperienza, vedendo le immagini e sentendo anche i contatti in loco, l’entità del disastro, la cosiddetta magnitudo, sia in termini di popolazione colpita che di vastità del terreno e di vulnerabilità - per esempio la qualità delle abitazioni è molto bassa - fa presumere che l’impatto sulla popolazione e i danni saranno molto elevati: nella categoria più alta verosimilmente.

    D. - Che zone sono quelle colpite, tra l’altro già interessate da altri disastri?

    R. - Le isole più colpite sono Leyte e Samar che fanno parte del gruppo centrale delle Visayas, che tradizionalmente è quello colpito sempre da tempeste tropicali, che spesso evolvono in veri e propri tifoni. E Haiyan, che pare essere stato il più grande della storia che abbia mai colpito le Filippine, preoccupa proprio perché le zone interessate sono sostanzialmente rurali e molto popolose: nelle Filippine vivono più di 80 milioni di persone, su una superficie pari a quella dell’Italia, tutta densamente abitata. Le case sono fatte soprattutto di legno e di un cemento molto povero. Quindi il tifone e le frane che ne sono conseguite possono veramente aver provocato una catastrofe umanitaria.

    D. - Qual è la prima emergenza da affrontare ora?

    R. - C’è l’emergenza acqua potabile, che è certamente quella più grave. C’è il rischio epidemie, perché il fatto che ci siano state varie esondazioni, varie alluvioni e varie frane fa sì che si mischino le acque bianche con le acque nere e questo in un tessuto già fortemente debole da questo punto di vista: soprattutto riguardo ai minori, che magari non hanno l’accortezza di distinguere la qualità delle acque. Tutto ciò può davvero causare forti rischi di epidemie e quindi far alzare ulteriormente il numero dei feriti, dei malati e delle vittime.

    D. - Caritas Italiana ha già stanziato 100 mila euro per questa emergenza. Dunque, qual è l’appello?

    R. - E’ un appello che riprendo dalle parole del nostro direttore, don Francesco Soddu, che ha chiesto un intervento concreto e immediato. Quindi un appello a tutti perché, nonostante questa crisi che colpisce l’Italia, l’Europa e anche molti Paesi occidentali, di fronte a disastri del genere ci possa veramente essere una globalizzazione della solidarietà. Sul nostro sito caritas.it aggiorniamo costantemente quello che facciamo e sono indicati anche tutti i riferimenti bancari, postali, per effettuare donazioni online, attraverso cui si possono sostenere le nostre azioni. Ringrazio anticipatamente tutti quelli che lo faranno.

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    Scomparso a 96 anni il card. Bartolucci. Il Papa: con la sua musica ha elevato i cuori a Dio

    ◊   “Caro e stimato sacerdote, illustre compositore e musicista”. Con queste parole, Papa Francesco ha ricordato in un telegramma di “profondo cordoglio” la scomparsa del cardinale Domenico Bartolucci, avvenuta oggi a Roma all’età di 96 anni. Rammentando anche l’incarico di direttore della Cappella Musicale Pontificia Sistina, ricoperto ininterrottamente dal porporato dal 1956 al 1997, il Papa ha sottolineato il ministero esercitato dal cardinale Bartolucci attraverso la musica sacra e in particolare “la valorizzazione sapiente del prezioso tesoro della polifonia, tesa ad elevare il cuore nella lode a Dio”. Le esequie del porporato saranno celebrate in San Pietro mercoledì prossimo alle 15.30, presiedute dal cardinale Angelo Sodano. Al termine, Papa Francesco presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    L’“Ave Maria” tratta dall’opera lirica “Brunellesco", le note del poema sacro “Baptisma” e infine quelle della sua ultima composizione, il “Christus circumdedit me”, viaggio interiore alla ricerca dell’abbraccio di Dio. È il 31 maggio del 2011 quando nell’Aula Paolo VI orchestra e voci danno corpo alle creazioni musicali del cardinale Bartolucci. Ascoltatore d’eccellenza e competente è Benedetto XVI, che lo ha creato e pubblicato cardinale l’anno prima e che al termine di quel concerto condensa in queste parole l’opera ultraquarantennale dell’anziano porporato e maestro:

    "Caro cardinale Bartolucci, la fede è la luce che ha orientato e guidato sempre la sua vita, che ha aperto il suo cuore per rispondere con generosità alla chiamata del Signore; ed è da essa che è scaturito anche il suo modo di comporre…”.

    Per il cardinale Bartolucci, l’intreccio tra arte e fede, creatività musicale e ministero sacerdotale, si sviluppa per un tempo straordinariamente lungo. Quando Pio XII gli affida la responsabilità della Cappella Musicale “Sistina” è il 1956. Si tratta di succedere a un nome di grande prestigio, ma pur giovane il maestro toscano mostra subito un notevole senso organizzativo, come spiega l’attuale maestro della Cappella Musicale Pontificia, mons. Massimo Palombella:

    “Ereditò da Lorenzo Perosi una situazione della Sistina che necessitava di essere riformata. E lui la fece molto bene, nel senso che istituì stabilmente nella sede della Sistina una scuola che formasse i ragazzi, una quinta elementare e le tre medie, a quel tempo. Poi ricostituì praticamente l’assetto dei cantori adulti, in modo tale da costituire un organico della Sistina fatto da venti cantori adulti e da circa 25-30 ragazzi. Questo fu il suo grande merito”.

    Il maestro Bartolucci è un compositore che ama il contrappunto ed è molto affascinato dalla musica sacra del passato, la cui eco è ben presente nella sua produzione. Tuttavia, quando la Chiesa si schiude alla novità del Concilio, nuova è anche la capacità del futuro porporato di trasferire nella partiture il soffio del tempo che muta, spiega ancora mons. Palombella:

    “Bartolucci ha fatto un passaggio interessantissimo al Concilio Vaticano II. Paolo VI lo ha stimolato nello scrivere per il Concilio. E Bartolucci ha risposto molto bene con le Messe alternate che noi abbiamo. Nella sua produzione c’è un libro, ‘Le Messe alternate al canto gregoriano’, un mirabile esempio di come si coniuga insieme la ministerialità della scuola con la ministerialità dell’assemblea. Ha scritto davvero cose belle”.

    E la Chiesa che si apre al Concilio – ricorda mons. Palombella – apre anche a una dimensione internazionale dell’attività della Cappella Musicale “Sistina”:

    “Bartolucci vive il fatto che cominciano ad esistere le diffusioni via radio e via televisione di quello che succede. Quindi questo cambia radicalmente tutto, perché oggi ogni celebrazione è in mondovisione, ma con Bartolucci questo inizia. Il secondo aspetto è il viaggiare: hanno fatto due tournée negli Stati Uniti, sono andati in Giappone, hanno girato in Germania. Questo è stato interessante perché lui ha un po’ vissuto la grande apertura ecclesiale che in qualche modo già c’era prima del Concilio e che poi è stata codificata con il Concilio. Per cui la cappella musicale andava in giro per il mondo fondamentalmente per evangelizzare, per far conoscere attraverso la bellezza della polifonia, dare una possibilità di incontro con il Signore”.

    “Dare una possibilità di incontro con il Signore”: è quello che tutti, a cominciare dai Papi, riconoscono dell’impegno profuso dal cardinale Bartolucci nel campo della composizione musicale sacra. Ed è ciò che anch’egli confidò alla Radio Vaticana qualche anno fa:

    “Per me, è una gioia vedere che c’è un interesse grandissimo: gente che ancora ama la musica sacra, questa musica veramente grande. Chi fa musica sacra ricorda continuamente Gesù Cristo che disse Messa nel Cenacolo”.

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    Tweet del Papa: “Dio ci ama. Scopriamo la bellezza dell’amare e del sentirsi amati”

    ◊   In un nuovo tweet sull'accuount @Pontifex in nove lingue, il Papa scrive: “Dio ci ama. Scopriamo la bellezza dell’amare e del sentirsi amati”.

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    Altre udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: mons. André Dupuy, arcivescovo tit. di Selsea, Nunzio Apostolico nei Paesi Bassi; mons. Jude Thaddeus Okolo, arcivescovo tit. di Novica, nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana; mons. Joseph Marino, arcivescovo tit. di Natchitoches, nunzio apostolico in Malaysia e in Timor Orientale; delegato Apostolico in Brunei; Mons. Jean-Claude Périsset, arcivescovo tit. di Giustiniana prima, nunzio apostolico; Mons. Rudolf Voderholzer, vescovo di Regensburg (Repubblica Federale di Germania).


    In Messico, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Colima, presentata da mons. José Luis Amezcua Melgoza, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Colima mons. Marcelino Hernández Rodríguez, finora vescovo di Orizaba.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La notte dei cristalli: all’Angelus il Pontefice ricorda le violenze dei nazisti contro gli ebrei il 9 e il 10 novembre del 1938.

    In prima pagina un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo “Le donne nella Chiesa”, a proposito di un’intervista della rivista “Città Nuova” al presidente dei Focolari, Maria Voce.

    Nell’informazione internazionale, un articolo di Pierluigi Natalia dal titolo “In Somalia si tenta di disinnescare la mina Chisimaio”: accordo politico sulla regione di Jubaland.

    La firma dell’intesa tra l’Iran e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica sulle ispezioni ai siti nucleari iraniani.

    Lì dove si abbracciano tradizione e rinnovamento: il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, sulla recezione del Concilio Vaticano II e l’interpretazione del rapporto tra primato ed episcopato.

    Quella transizione avviata un decennio prima: Vicente Carcel Orti su Paolo VI e la Spagna del dopo Franco.

    Per sintetizzare il futuro: Adriano Roccucci sul volume bilingue (russo-italiano) di Serguei Averintsev “Verbo di Dio e parola dell’uomo”.

    E un giorno freddo ma assolato l’Osservatore sbarcò in Spagna: i quindici anni della “Razon” e i quattro in abbinamento con il giornale del Papa.

    La terza via di Papa Francesco: in un’intervista a “Le Figaro” il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, analizza le novità del pontificato.

    La morte del cardinale Domenico Bartolucci, che per oltre quarant’anni ha diretto la Cappella Sistina.

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    Oggi in Primo Piano



    Rinviato l’accordo sul nucleare iraniano

    ◊   Il negoziato sul nucleare iraniano a Ginevra non ha dato risultato, ma sicuramente non è stato un fallimento. E’ il commento di una qualificata fonte diplomatica citata dall’agenzia Ansa a proposito del rinvio al 20 novembre dell’incontro tra il 5+1 e l'Iran. Intanto, Teheran ha accolto però le richieste dell’Aiea, per una roadmap di collaborazione con l'Agenzia dell'Onu per l'energia atomica. Della fase di negoziato sul nucleare iraniano Fausta Speranza ha parlato con Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:

    R. – Certamente, è il fallimento del primo round. Apparentemente, sembra un rinvio al 20 novembre, dopo una presa di posizione molto netta e molto precisa da parte della Francia, che chiedeva maggiori garanzie facendosi praticamente portavoce di Israele, in merito. D’altronde, per certi versi dopo 30 anni di non dialogo riprendere appieno e nel giro di poche settimane giungere a un accordo forse era impensabile. Certamente, non bisogna perdere quest’occasione. Certamente, bisogna operare affinché si arrivi ad un accordo che, comunque, come tutti gli accordi politici, comprenda dei compromessi. Non si può pretendere una sconfitta su tutta la linea della posizione iraniana, ma altrettanto non si può rinunciare a forme di garanzia reciproche anche per l’Occidente.

    D. – La Francia è quella che si è esposta di più a chiedere precisazioni e tempi. Che dire delle richieste francesi?

    R. – Diciamo che la Francia è tradizionalmente luogo di asilo degli esuli iraniani e, d’altro canto, la Francia ha anche rapporti abbastanza stretti con le monarchie sunnite del territorio, in particolare con l’Arabia Saudita e con gli altri Paesi dell’area, i quali sono anche molto preoccupati per un possibile nuovo ruolo più forte sulla scena internazionale da parte di un Iran a cui venissero tolte le sanzioni. E’ un gioco complesso…

    D. – Intanto, però, c’è un accordo dell’Iran con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Questa volta si è parlato non solo di accesso a un sito, ma di una sorta di road map per la cooperazione in ambito nucleare. Non è l’accordo con i Paesi 5+1, ma è un passo avanti anche questo?

    R. – Certamente, perché l’Agenzia internazionale per l’energia atomica è l’agenzia delle Nazioni Unite delegata ad operare il controllo del rispetto delle norme del Trattato di non proliferazione nucleare. Quindi è fondamentale, sono proprio gli esperti, i tecnici del settore. Arrivare perciò a un accordo con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica è importantissimo. Per questo, dico che non bisogna lasciarsi sfuggire questa occasione. Non bisogna, contemporaneamente lasciarsi condizionare dall’interesse di questo o di quel Paese ad accelerare o a ritardare un accordo. Io penso che dal 20 novembre in poi la trattativa 5+1 debba andare in porto assolutamente, cercando di non umiliare il governo di Teheran che per la prima volta ha mostrato un’apertura notevole in questo ambito e l’accordo già stipulato con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica è significativo. E pertanto, bisogna trovare modo e maniera affinché Teheran dia comunque delle assicurazioni. Non dimentichiamo che la Corea del Nord ha realizzato armi nucleari senza che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica se ne accorgesse. Quindi, i timori di Israele non sono infondati, da questo punto di vista.

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    Nord Corea: 80 persone giustiziate, alcune per il possesso della Bibbia

    ◊   Circa ottanta persone sono state giustiziate in Corea del Nord, lo scorso 3 novembre, dopo essere state accusate di diversi reati tra cui quello di possedere una Bibbia. Lo rende noto la stampa sudcoreana che, citando una fonte di Pyongyang, riferisce che le esecuzioni sarebbero avvenute in pubblico sotto gli occhi anche di alcuni bambini. Se la notizia dovesse essere confermata, si tratterebbe delle prime esecuzioni su vasta scala da quando il ''giovane generale'' Kim Jong-un è salito al potere, succedendo a suo padre. Sull’argomento, Cecilia Sabelli ha intervistato Rosella Ideo, coreanista e studiosa di storia politica e diplomatica dell’Asia orientale:

    R. – In questo momento, almeno negli ultimi mesi, Kim Jong Un ha cercato di aprire di più il Paese. Adesso, per esempio, sta puntando molto sul turismo. Questo permette a un numero maggiore di persone di entrare nel Paese per guardarsi intorno. Inoltre, sta puntando su uno sviluppo economico, aiutato in modo massiccio dalla Cina.

    D. – Mentre il governo svolge queste azioni, la Commissione d’inchiesta dell’Onu sui diritti umani in Corea del Nord ha denunciato diffuse e gravi violazioni. Qual è la situazione?

    R. – E’ un bene che sia stata istituita una Commissione per i diritti umani, che è indipendente e che non ha potere giudicante. In effetti, le violazioni dei diritti umani sono frutto della testimonianza di moltissimi nordcoreani che si sono rifugiati al Sud: ormai ce ne sono ben 27 mila. Una parte di questi 27 mila ha lasciato il Paese per avere una vita migliore, mentre un numero minore ha lasciato il Paese per problemi di carattere politico e ideologico. Ma questa è veramente una minoranza. Il giudice australiano Kirby, che presiede questa Commissione che è composta da tre membri, ha sentito moltissime testimonianze - che ha addirittura postato in modo che fossero pubbliche - ed è rimasto sconvolto da quello che ha sentito. Aveva chiesto alla Corea del Nord di potere andare a verificare di persona l’esistenza di questi gulag – di cui si parla ormai da anni e che sono stati individuati dal satellite – ma non ha ricevuto alcun permesso di andare a rilevare queste violazioni, tanto che aveva alla fine dichiarato: “Io ho la versione che mi danno i rifugiati che sono stati nei campi di concentramento, ma non ho evidenze da poter portare contro la Corea del Nord”. E’ evidente che questi campi esistono, perché ormai c’è un numero di testimonianze incrociate tale che non è possibile pensare il contrario, però, bisognerebbe che la Corea del Nord aprisse le porte: io temo che quando si apriranno questi gulag, la cui esistenza è provata, si aprirà insieme un vaso di Pandora.

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    Conferenza Onu sul clima. Wwf denuncia: pochi fatti per ridurre i gas serra

    ◊   Da oggi al 22 novembre, convocati a Varsavia, in Polonia, i delegati di 195 Paesi per partecipare alla 19.ma Conferenza dell’Onu sul clima. Tanti ancora gli ostacoli da superare in questo annoso negoziato, avviato nel 1995, per arrivare ad un nuovo accordo globale, previsto a Parigi nel 2015. Roberta Gisotti ha intervistato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, presente con una propria delegazione nella capitale polacca:

    D. - Delusione, stanchezza e tanti interessi economici e politici, in questa trattativa estenuante per tutelare la salute dell’intero Pianeta. Dott. Bologna a che punto siamo del negoziato?

    R. - Lei ha detto bene con questa sensazione complessiva di stanchezza e di delusione e di rimando, nel senso di rinviare delle decisioni che non riguardano soltanto la salute - come noi amiamo definire - del pianeta, ma anche la salute soprattutto degli esseri umani. Credo che l’evento del tifone nelle Filippine di questi giorni si aggiunga però a una situazione ben nota a livello scientifico, perché noi sappiamo che purtroppo la dimensione di questi cicloni e di questi uragani - per quanto riguarda la potenza energica che stanno sprigionando - è andata aumentando. A fronte di questa dimensione scientifica sempre più avanzata, c’è una inazione politica imbarazzante. Noi dobbiamo sostenere un negoziato che di fatto entro il 2050 deve arrivare almeno all’80% delle riduzioni delle emissioni. E questo significa che, globalmente, la popolazione umana che in quell’epoca sarà presente sulla terra dovrà permettersi una massimo due tonnellate pro-capite annue di anidride carbonica e non oltre. E noi oggi siamo in una dimensione assolutamente fuori registro, perché gli Stati Uniti sono oltre 17 tonnellate pro-capite, il Regno Unito oltre 10, la Germania sopra le 9, noi siamo intorno alle 7. La Cina, che è diventato un grande emettitore di anidrite carbonica, ma che ovviamente spalma questo su oltre un miliardo e 300 milioni di persone, sta intorno alle 7 tonnellate pro-capite annue. La sfida che abbiamo di fronte è una sfida epocale: non si può rispondere a questa sfida epocale con l’attesa, il rimando e l’inazione politica.

    D. - Quante volte abbiamo sentito invocare un cambiamento nelle politiche industriali, nei consumi di massa, negli stili di vita…

    R. - Io credo che, da questo punto di vista, il negoziato sul clima sia un po’ emblematico, perché noi non possiamo permetterci di continuare ad avere una crescita materiale e quantitativa quando sappiamo chiaramente - e vi prego di credermi - che non c’è alcuno scienziato al mondo che ci dice che si possa continuare a utilizzare, trasformare e distruggere i sistemi naturali come stiamo facendo adesso. Stiamo eliminando la base stessa del nostro benessere e delle nostre economie: non esiste alcuna economia se non c’è uso di risorse naturali. E' necessario cambiare veramente, perché questo è il meccanismo che si vuole avviare col negoziato, com’era già il Protocollo di Kyoto: è la riduzione delle emissioni.

    D. - Vogliamo ricordare a che cosa si devono queste emissioni, chi sono i principali imputati?

    R. - I responsabili sono le industrie carbonifera e petrolifera: tutto quello che le industrie carbonifera e petrolifera trasforma in termini energetici per il comparto elettrico e per quello che riguarda il sistema trasportistico. A questo, ovviamente, si aggiunge il cambiamento dell’uso del suolo, come noi abbiamo trasformato i sistemi naturali rendendoli sistemi agricoli da una parte o addirittura peggio ancora distruggendo il manto forestale, come avviene nelle foreste tropicali, bruciandole e quindi addirittura emettono anidride carbonica.

    D. - Ci sono Paesi virtuosi e Paesi assolutamente inattivi su questo fronte?

    R. - Diciamo che l’Europa sta rispettando abbastanza quelle che erano le indicazioni del Protocollo di Kyoto. Però, su un punto vorrei essere molto chiaro: anche chi è virtuoso in questo ambito, non basta dal punto di vista della sola efficienza energetica. L’efficienza energetica - come l’efficienza in tutti i campi per ottenere un input minore di energia e materie prime per produrre bene e servizi - è fondamentale. Ma se non la accoppiamo a una dimensione di sufficienza - e a questo come sappiamo ci richiama moltissimo anche Papa Francesco - laddove sufficienza vuol dire vivere nei limiti di questo Pianeta, rispettando queste risorse anche nel principio di equità, perché non è possibile che qualcuno può inquinare di più, può consumare di più, mentre altri non sono neanche in grado avere le basi essenziali della propria esistenza e quindi poter avere anche prospettiva di vita.

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    Nasce l'Alleanza contro la povertà: una risposta per l'8% degli italiani

    ◊   Un’Alleanza contro la povertà per combattere contro ogni forma di esclusione sociale. E’ nata oggi a Roma, costituita da una ventina di associazioni che nei prossimi giorni metteranno a punto una proposta da presentare alle forze politiche. Il modello è quello del reddito d’inclusione pensato dalle Acli. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    L’Italia è l’unico Paese dell’Euro, assieme alla Grecia, a non avere uno strumento di lotta alla povertà. Gli ammortizzatori sociali d’altronde non coprono tutti. E allora ecco che l’Alleanza pensa a una sorta di reddito di inclusione, accompagnato da una serie di servizi. Ma a chi si rivolge questa iniziativa? Giorgio Gori, dell’Università Cattolica di Milano e coordinatore dell’Alleanza:

    “E' rivolto all’8 per cento di persone che hanno delle difficoltà a raggiungere uno standard di vita decente. La novità principale è che per la prima volta tutta una serie di soggetti sociali - fra Terzo Settore, Caritas, Acli, tutta una serie associati cattolici, i sindacati, i comuni, le regioni - si uniscono, tutti insieme, per rivolgersi alle forze politiche, all’esecutivo con una funzione di proposta, stimolo e sensibilizzazione”.

    Nella nuova misura dovrebbero confluire tutte le iniziate già attivate, come la Social Card. Contemporaneamente dovrebbe essere varato un piano contro la povertà. Francesco Marsico, responsabile nazionale di Caritas Italiana:

    “E’ realistico immaginando una progressività che vede - appunto - un primo intervento sulla Finanziaria-Legge di Stabilità di quest’anno e poi, progressivamente, che prenda in esame tutto il bacino di bisogni che il Paese ha in tema di povertà. Quindi, nella progressività questo è possibile. Ovviamente di punto in bianco, no, non sarebbe sostenibile nel piano della finanza pubblica”.

    E in effetti il problema delle risorse è reale. L’Alleanza chiede che si rafforzi il welfare, senza depotenziare i fondi per le politiche sociali e per la non autosufficienza.

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    Ospedale Bambino Gesù: in 10 anni decuplicato il numero di famiglie in difficoltà

    ◊   Sempre più famiglie italiane sono colpite dal disagio sociale ed economico. E’ quanto racconta il convegno "Disagio sociale e periferie esistenziali, riflessioni ed esperienze a confronto" promosso dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense e il Centro per la Pastorale della salute del Vicariato di Roma. Secondo i dati del servizio sociale dell'Ospedale, fra le famiglie seguite, 6 su 10 sono italiane. Debora Donnini ha intervistato Lucia Celesti, responsabile Accoglienza e Servizi per la Famiglia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù:

    R. - Il disagio sociale è quella situazione di malessere diffuso che è in crescita: nel giro degli ultimi 10 anni si è decuplicato il numero delle famiglie che sono seguite dal nostro servizio sociale e che non sono poi famiglie tanto lontane, perché le “periferie esistenziali” non sono soltanto nelle nazioni lontane, ma possono essere nelle periferie delle nostre grandi città.
    D. - Causa probabilmente anche la crisi, in dieci anni l’Ospedale Bambino Gesù è passato dal seguire più di 300 famiglie a quasi 3.000. Quali cambiamenti avete visto in questi dieci anni?

    R. - In particolare c’è stata una impennata notevolissima a partire dal 2008, quindi dall’anno in cui è iniziata la crisi. Andando a guardare dentro questi dati, vediamo che qui non si tratta soltanto di pazienti stranieri, ma ci sono anche tantissime famiglie italiane, ad esempio donne sole che nel nostro caso hanno bambini malati e avere un bambino malato per una famiglia a basso reddito e monofamiliare può essere una cosa molto complicata. Aiutare queste persone significa naturalmente prevenire l’insorgere di problematiche più gravi.

    D. - Come funziona l’aiuto che voi date?

    R. - Noi intercettiamo le famiglie con questo bisogno e le intercettiamo grazie alla segnalazione dei nostri operatori, ma anche grazie ad un meccanismo che si chiama speak up: due operatori dell’accoglienza, ogni giorno, percorrono tutti i reparti dell’ospedale per sincerarsi dei bisogni delle famiglie. Su questa base, sulla base poi anche delle richieste spontanee, noi forniamo accoglienza alloggiativa, alloggi a titolo gratuito alle famiglie veramente bisognose; sostegno sociale proprio tramite le assistenti sociali; supporto tramite counseling; per i pazienti stranieri abbiamo un servizio di mediazione linguistico-culturale per 90 lingue diverse. Ci sono poi spazi per i genitori, per le mamme, spazi ludici per i bambini e così via.

    D. - Con questo convegno cosa chiedete alle istituzioni?

    R. - Chiediamo alle istituzioni senso di responsabilità: così come l’Ospedale si fa carico di questi problemi nel momento dell’ospedalizzazione, farsi carico di questi problemi nel momento della de-ospedalizzazione. Paradossalmente le problematiche più grandi non sono quando la famiglia è in regime di ricovero, ma quando si ritorna a casa, perché è lì che molto spesso ci si sente soli. Estremamente importante in quest’ambito è un lavoro di rete con le associazioni dei genitori e con le associazioni dei volontari, perché è sul senso di responsabilità dei cittadini comuni che si può costruire un percorso sistematico di accoglienza.

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    Per oltre 600 mila italiani e 2 milioni di europei l'embrione è "UnoDiNoi"

    ◊   Consegnate questa mattina al Viminale le oltre 600mila firme raccolte dall’iniziativa popolare "UnoDiNoi" a tutela dell’embrione. Analoga procedura si è svolta nelle 28 capitali europee per un totale di almeno 1 milione 891 mila adesioni, quasi il doppio del milione fissato dal regolamento sulle adesioni popolari fissato dal Trattato di Lisbona. I Ministeri degli interni avranno tre mesi per verificare la correttezza della procedura, quindi la parola passerà alla Commissione Europea. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Sono arrivati al Ministero dell’interno i 70 scatoloni contenenti le oltre 600 mila firme raccolte da "UnodiNoi" in Italia, Paese che ha maggiormente contribuito alla raccolta con un terzo del totale delle sottoscrizioni in Europa. "OneOfUs" inoltre è l’iniziativa popolare europea che registra il più alto numero di consensi. Grande la soddisfazione del portavoce del comitato italiano Carlo Casini:

    R. - Il risultato è davvero straordinario, perché ha accumunato insieme credenti e non credenti, cattolici, protestanti, ortodossi di tutte le nazioni. Noi speriamo, quindi, che questa iniziativa sia un elemento non di polemica, ma di conciliazione. Questa iniziativa "UnodiNoi" pone il problema centrale di tutto il diritto, di tutta la giustizia, dei diritti dell’uomo: ma l’uomo chi è? L’Europa deve rispondere, quanto meno decidendo di non finanziare mai la morte, ma sempre la vita.

    D. - "OneOfUs", inoltre, è l’iniziativa popolare europea che registra il più alto numero di consensi nella storia…

    R. - Sono state promosse - credo - oltre 30 campagne, ma soltanto 3 hanno superato il minimo, che era di un milione: si tratta della campagna per l’acqua potabile, che ha raggiunto una cifra ragguardevole, ma inferiore alla nostra; e della campagna contro la sperimentazione sugli animali, che ha superato anch’essa - ma con grande distanza rispetto a noi - il minimo richiesto. La Commissione europea è obbligata - una volta che i singoli Stati avranno verificato la correttezza delle firme - a decidere cosa fare. Ma non può tacere: la questione antropologica è posta!

    D. - Per quanto riguarda l’Italia, nonostante il clima di disaffezione alla politica generale, una campagna di questo tipo dimostra una grande attenzione su tematiche etiche importanti…

    R. - Direi di sì! Soprattutto in un momento di grande lacerazione e di divisioni da tutte le parti, il fatto che i cittadini si siano trovati uniti nell’affermare la questione semplice, essenziale, elementare, oltre cui non si può andare, la frontiera insuperabile diceva La Pira, quella della vita umana, dimostra che forse al di là delle divisioni un’unità più importante e più grande si può fare. Io vorrei dirle una cosa ardita: ricominciano da qui, ricominciamo dal riconoscimento del valore della vita a riunirci, riunificarci, a sperare, a creare un vero e proprio rinnovamento civile e morale.

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    Giornata della Ricerca sul Cancro: aumentano i malati oncologici, ma per cancro si muore di meno

    ◊   In Italia è in aumento il numero di persone colpite da un cancro ma è in riduzione la mortalità e migliorano le aspettative di vita. La sopravvivenza, dopo 5 anni dalla diagnosi, ha raggiunto il 53%. Sono circa 1,3 milioni gli italiani guariti da tumori. Sono alcuni dei dati ricordati oggi nel corso della cerimonia al Quirinale per l’odierna Giornata Nazionale della Ricerca sul Cancro. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La mortalità per cancro sta diminuendo. Ci si ammala di più, ma si muore di meno. La riduzione della mortalità - ha spiegato il prof. Umberto Veronesi, direttore scientifico dell'Istituto Europeo di Oncologia - è cominciata a partire dagli anni ’90, da quando si sono moltiplicati gli sforzi per la prevenzione.

    “Diagnostichiamo e curiamo i pazienti in maniera sempre migliore. Oggi, guariamo il 60% dei malati e tra un decennio arriveremo al 70%. Stiamo andando nella direzione giusta, verso quella che potrebbe essere la sconfitta del cancro almeno a livello terapeutico. Abbiamo però ancora qualche difficoltà. Due tumori molto difficili da tenere sotto controllo: quelli cerebrali e i tumori del pancreas. Per molti altri abbiamo raggiunto livelli elevatissimi, come per quelli del seno, dell’utero, della prostata, della tiroide che ormai guariscono nel 90-95% dei casi. Ci si ammala di più e si muore di meno. Se calcoliamo che 50 anni fa una persona su venti si ammalava di tumore nel corso della propria vita, oggi invece dobbiamo tener presente che ad ammalarsi è quasi una persona su due. Ecco, perché non basta più curare gli ammalati ma bisogna impedire che la gente si ammali. Che fare? Noi abbiamo già pronto un piano di tre diverse azioni. La prima è quella di ridurre al minimo i cancerogeni nell’ambiente: abbiamo problemi con le polveri sottili, abbiamo problemi con il radon, con i pesticidi... La seconda azione è quella di migliorare gli stili di vita - innanzitutto, ovviamente, non fumare - ma anche controllare la propria alimentazione che è importantissimo - e infine, la terza azione è quella di riuscire a scoprire la malattia quando è ancora 'occulta'. Scoperta in questa fase possiamo curarla bene”.

    Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha ricordato i passi compiuti e quelli ancora da compiere nei campi della ricerca e della prevenzione:

    “Sono 1,3 milioni gli italiani guariti dalla malattia. I dati ci dicono che i tumori colpiscono prevalentemente in età adulta, avanzata; le statistiche ci dicono che in Italia la sopravvivenza, dopo cinque anni dalla diagnosi di tumore, ha superato ampliamente il 50% e soprattutto, questa percentuale di sopravvivenza pone l’Italia al terzo posto tra i Paesi europei. La riduzione su alcune patologie dell’incidenza di mortalità ci dice che molte cose stanno funzionando. Sono stati fatti passi da gigante dal punto di vista della ricerca scientifica e ancora altri devono esser fatti, soprattutto aggredendo una delle componenti purtroppo non scientifiche ma psicologiche: la paura di poter scoprire di essere ammalati. La prevenzione deve diventare una parte della nostra vita, per questo è assolutamente indispensabile - attraverso un grande piano nazionale di prevenzione - fare in modo che stili di vita, abitudini sane diventino parte di tutti noi; quindi, il piano nazionale di prevenzione deve essere attuabile in ogni parte del nostro territorio. Sconfiggere l’annoso problema delle liste di attesa e in alcuni casi dell’appropriatezza delle prestazioni è uno degli obiettivi principali del patto della salute”.

    Per molti anni - ha detto il presidente italiano Giorgio Napolitano – l'impegno in favore della ricerca scientifica è stato largamente sottovalutato e bistrattato. Ma finalmente – ha aggiunto - si registra una incoraggiante inversione di tendenza:

    “Sono molto soddisfatto nel vedere che anche nella politica e nell’opinione pubblica ha guadagnato un po’ di strada l’esigenza di dedicare risorse e iniziative adeguate - di carattere legislativo e non solo - allo sviluppo della ricerca. In modo particolare, alla creazione di nuove possibilità per valorizzare i giovani che si dedicano alla ricerca con una passione che, forse, in nessun altro campo è possibile riscontrare. Però, vediamo come ancora sia limitata la diffusione della ricerca scientifica e quali guasti, quali regressioni possa portare. Nonostante ciò, stiamo comunque progredendo: parliamo della ricerca, di un’Italia che studia, lavora, si migliora; parliamo di un’Italia che anche politicamente deve farsi matura a sufficienza per comprendere e far sue queste grandi direttrici di impegno pubblico, di impegno condiviso nel nostro Paese”.

    La ricerca - ha ricordato infine il ministro Lorenzin - non può continuare ad essere considerata un costo ma un valore, anche economico. Il ministero della Salute sta investendo, in particolare, 136 milioni di Euro nel bando della ricerca finalizzata, altri 60 milioni di Euro sono destinati ai giovani ricercatori al di sotto dei quarant'anni.

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    Don Benzi, consegnata al vescovo di Rimini richiesta di avvio della Causa di beatificazione

    ◊   E’ stata consegnata nei giorni scorsi al vescovo di Rimini, mons. Lambiasi, la richiesta formale di avvio della Causa di beatificazione di don Oreste Benzi, il fondatore dell’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII. A comunicare questo atto, a sei anni dalla morte del sacerdote, avvenuta la notte tra il 1 e 2 novembre 2007, la stessa comunità il cui presidente - dopo don Benzi - è ora Giovanni Ramonda. Ma che cosa rappresenta questa richiesta subito accolta dal vescovo? Fabio Colagrande ha sentito lo stesso Ramonda:

    R. - E' intanto una grande gioia non solo per la Comunità Papa Giovanni ma per tutta la Chiesa, per i tanti uomini e donne di buona volontà che hanno incontrato don Oreste, soprattutto i tanti poveri. È un dono grande che la Chiesa abbia fatto sua questa richiesta, questo itinerario che speriamo possa portare a riconoscere le virtù eroiche di questo sacerdote della tonaca lisa, che ha consumato la sua vita girando tutte le nostre comunità in tutti i continenti e soprattutto incontrando, abbracciando, ascoltando i più poveri e amandoli fino alla fine.

    D. - C’è qualcosa ancora da scoprire per quanto riguarda la figura di don Oreste Benzi?

    R. - Penso che don Oreste, pur avendo girato molto, poche persone lo abbiano conosciuto. Oggi il compito nostro è quello di farlo conoscere, soprattutto la sua vita, i fatti. È il tesoro della sua spiritualità: questo uomo che lavorava quasi venti ore al giorno, dormiva in macchina … Il cuore era in intima unione con Dio, una vita di preghiera, e questo lo mandava proprio a queste periferie esistenziali con i più poveri. Ci richiamava sempre per stare in piedi, perché appunto con i poveri bisognava stare in ginocchio e con il Signore.

    D. - Per stare in piedi, bisogna stare in ginocchio: questo è un riconoscere la carne di Cristo nelle persone più bisognose, un tema molto presente nel magistero di Papa Francesco…

    R. - Sì, riconoscere Cristo nei poveri, nei sofferenti e soprattutto riconoscere che nel popolo di Dio le membra più deboli sono le più necessarie. Per don Oreste, questa realtà era vivissima: i poveri non possono essere solo coloro che sono più oggetto di assistenza, ma devono diventare i protagonisti della storia e della vita della Chiesa e anche il punto di ripartenza per l’unificazione del genere umano. Anche in questa crisi epocale - soprattutto culturale, di valori - il ripartire dagli ultimi può essere un punto unificante che ridarà forza, speranza, anche giustizia a un mondo che non sa più riconoscere gli altri come fratelli. Questa visione anche teologica di Papa Francesco era molto presente in don Oreste.

    D. - A sei anni dalla scomparsa del suo fondatore, le varie comunità continuano ad avere la necessaria vitalità? Questo ovviamente è un problema che hanno tutte le realtà, le comunità che devono portare avanti l’eredità del loro fondatore…

    R. – Paradossalmente, ma come accade un po’ nella storia della Chiesa, con la morte del fondatore, c’è come un’esplosione del carisma, prima di tutto perché il fondatore è presso Dio e lo stesso don Oreste diceva: “Quando io sarò arrivato continuerò ad assistervi. Vi spronerò sempre”. Questo carisma si sta diffondendo non solo nelle centinaia di diocesi italiane, ma anche nei cinque continenti: siamo in Nepal, stiamo facendo i passi per aprire la nostra casa- famiglia a Baghdad, in Grecia a Patrasso per accogliere i minori, i profughi non accompagnati, il poliambulatorio gratuito per gli immigrati qui a Rimini, l’albergo solidale per le famiglie che si trovano in strada… C’è una vitalità che è nel dna del carisma.

    D. - Possiamo dire che adesso che si sta aprendo la via verso la Beatificazione di don Oreste Benzi, il suo mandato come successore si fa ancora più "pesante"?

    R. - Io colgo la distanza abissale tra la mia persona e la sua, però ho tanta fiducia perché ho coscienza che c’è un mandato del Signore, della comunità ed io, quando è morto don Oreste, ho detto che era il tempo della comunità, era il tempo della responsabilità. Posso dire che dopo sei anni questo si è attuato, ma possiamo fare ancora di più in questo donarci totalmente ai poveri come faceva don Oreste.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Kenya: accordo per il rimpatrio di un milione di rifugiati somali

    ◊   Kenya e Somalia hanno firmato ieri, un accordo per il rimpatrio entro tre anni di un milione di rifugiati somali che hanno trovato asilo nel territorio keniano. L’intesa - riporta l'agenzia Fides - è stata firmata per il Kenya dal vice Presidente William Ruto e per la Somalia dal vice Premier e Ministro degli Affari Esteri Fawzia Yusuf Adam. Il Kenya si è impegnato, insieme alle istituzioni internazionali, ad aiutare i rifugiati a integrarsi nella società somala. Il Kenya ospita 610.000 rifugiati somali regolarmente registrati (molti dei quali sono accolti nel campo di Dadaab alla frontiera con il Kenya) e più di 500.000 non registrati. Il vice Presidente Ruto ha ricordato che soprattutto questi ultimi pongono gravi problemi di sicurezza per la società keniana. “Non è tradizione per un Paese africano di lamentarsi degli ospiti, specialmente di quelli che sono in fuga perché in pericolo” ha detto Ruto. “Anche così, il vasto numero di rifugiati non registrati, così come il peso del totale di tutti i rifugiati, ha creato sfide senza precedenti alla sicurezza del Kenya”. (R.P.)

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    Centrafrica: torna la calma a Bouar. La Caritas in soccorso degli sfollati

    ◊   È tornata la calma a Bouar, la città nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana, al centro degli scontri tra gli ex ribelli Seleka (che hanno preso formalmente il potere a fine marzo) e alcuni gruppi spontanei di autodifesa chiamati 'Antibalaka'. Come riferisce all’agenzia Fides padre Beniamino Gusmeroli, missionario betharramita (Preti del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram). “La situazione è tranquilla e questo ci permette di condurre al meglio le nostre attività. Come Caritas stiamo continuando ad assistere gli sfollati provenienti dai villaggi che hanno cercato rifugio in città. Abbiamo già fatto un primo censimento delle persone da assistere e abbiamo iniziato la distribuzione di generi di prima di necessità”. A Bouar però rimane una tensione latente, che rischia di approfondire la diffidenza tra cristiani e musulmani, per via del fatto che gli appartenenti a Seleka sono musulmani mentre i cosiddetti 'Antibalaka', sono in maggioranza cristiani. “I cristiani di Bouar che si erano rifugiati nella cattedrale durante gli scontri di fine ottobre hanno abbandonato il luogo di culto, ma una parte di loro, invece di tornare a casa, ha preferito nascondersi nelle campagne” dice padre Gusmeroli. “Stiamo cercando di aiutarli portando loro un po’ di cibo, ma la vera soluzione è la pacificazione degli animi che permetta a queste persone di ritrovare la serenità per tornare nelle proprie case”. A tal fine i leader religiosi cristiani e musulmani stanno coordinando i loro sforzi. “Teniamo incontri periodici, quasi settimanali, tra i rappresentanti della commissione diocesana “Giustizia e Pace” e i capi musulmani, che prevedono momenti di riflessione comune e di preghiera, per evitare di fomentare nuove divisioni e riappacificare gli animi” riferisce il missionario. A Bouar sono presenti infine i militari della Fomac (la forza dispiegata nel Paese dagli Stati dell’Africa Centrale) che hanno il compito di proteggere la popolazione civile. (R.P.)

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    Card. Scola a Mosca: l'ecumenismo cresce anche nell'incontro tra i fedeli

    ◊   Ci saranno prima di tutto la "vita degli ortodossi nella diocesi di Milano", ma probabilmente anche il "lavoro comune nel dialogo con l'islam" e la tutela delle comunità cristiane in Medio Oriente al centro domani, della "visita di cortesia" dell'arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, al patriarca di Mosca, Kirill. Lo ha raccontato alla stampa lo stesso porporato, ieri, nel primo dei suoi tre giorni di visita a Mosca, su invito dell'arcivescovo della Madre di Dio, mons. Paolo Pezzi. Una visita - come ha tenuto a sottolineare lo stesso card. Scola - che si inquadra in un periodo di fitti scambi tra le due Chiese. In questi giorni il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, è a Roma per presentare il libro "Verbo di Dio e parola dell'uomo", con interventi del filologo russo Serghei Averintsev. A fine mese, poi, è atteso a Mosca, il presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, mons. Vincenzo Paglia, che interverrà a un convegno organizzato dagli ortodossi, proprio sul tema della famiglia. "La visita di cortesia che farò al patriarca - ha spiegato il card. Scola - ha come scopo raccontare la modalità con cui i fedeli ortodossi vivono a Milano e celebrano la divina liturgia, come noi ci rapportiamo a loro dando delle chiese dove possano celebrare e vivendo un rapporto di grande fraternità". A suo dire è proprio su questo "livello del popolo", che si compie il più efficace dialogo ecumenico. "Sono importanti le commissioni dottrinali e teologiche e l'impegno su temi comuni alle due Chiese come famiglia, giustizia, vita - ha spiegato, definendo "costruttiva" la presenza degli ortodossi nella diocesi di Milano - ma ora abbiamo un'occasione in più: quella che i fedeli si incontrino e che condividano la bellezza, la bontà e la verità dell'incontro con il Signore". "Credo che, negli ultimi 30-40 anni, da parte di tutte le confessioni cristiane ci sia la ferma convinzione dell'indispensabilità del dialogo ecumenico, favorito anche dall'attuale mescolamento di culture", ha osservato il cardinale. "Non sono un indovino", ha scherzato il porporato citando poi il Vangelo di Giovanni: "Una cosa è chiara, come disse Gesù: 'Che siano una sola cosa perché il mondo creda'. La prospettiva dell'unificazione - ha così fatto notare, parlando in una conferenza stampa prima del suo intervento al convegno "Identità, alterità, universalità" presso l'Università ortodossa San Giovanni Crisostomo - non può non essere nel cuore di ogni fedele cristiano". Il convegno - promosso dal Centro culturale moscovita «Biblioteca dello Spirito», in collaborazione con l’Università ortodossa e l’Istituto russo di architettura e dalla Fondazione Russa Cristiana con gli atenei milanesi, Università degli Studi e Cattolica, e con la Scuola d’arte Beato Angelico - ha messo a confronto esponenti della cultura europea sul rapporto tra filosofia, arte, dottrina politica, diritto e il cristianesimo cattolico e ortodosso. La visita del card. Scola è proseguita questa mattina, con un breve intervento ad un incontro pastorale sul laico nella Chiesa e la Santa Messa concelebrata con l’arcivescovo cattolico di Mosca, mons. Paolo Pezzi. (R.P.)

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    Comece: all'Assemblea plenaria riflessione pastorale sulle migrazioni

    ◊   “Le migrazioni e l’integrazione” sono al centro dell’Assemblea plenaria d’autunno della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), il 13-15 novembre a Bruxelles. I lavori - riferisce l'agenzia Sir - si apriranno con un momento pubblico su “L’esperienza migrante”: Cecilia Taylor Camara, consulente per le politiche migratorie del Catholic Trust for England & Wales, organismo caritativo della conferenza dei vescovi inglesi, porterà l’esperienza di coloro che sono in prima linea nell’aiutare i migranti. I lavori assembleari continueranno con una sessione di aggiornamento sulle politiche comunitarie in materia di migrazione, asilo e integrazione dei migranti, con l’intervento di rappresentanti delle istituzioni europee. Un’altra sessione sarà invece dedicata al traffico di esseri umani, tema affrontato attraverso la testimonianza di un ispettore di polizia e una donna dal Regno Unito vittima della tratta. I vescovi intendono così “contribuire allo sviluppo di una riflessione pastorale” della Chiesa in Europa in questo ambito “per rispondere alla crisi immediata e per elaborare strategie pastorali per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti in futuro”. Ai temi sociali è dedicata anche ampia parte del numero di novembre di “Europeinfos”, il mensile Comece. Tra i numerosi contributi e le diverse tematiche affrontate su “Europeinfos”, José Ramos-Ascensão (del segretariato Comece) definisce i termini della questione e le problematiche etiche legate alla sempre più diffusa “maternità surrogata”. Thorfinnur Ómarsson (di Caritas Europa) presenta i frutti di uno studio Caritas sui diversi modelli di stato sociale evidenziando le fragilità future prevedibili, in relazione alla crisi economica in atto. “Europeinfos” parla inoltre di cambiamenti climatici, con un approfondimento sulla “fuel poverty”, la difficoltà per motivi economici di poter vivere in ambienti sufficientemente caldi, con gravi conseguenze sulla salute e la vita delle persone, anziani in particolare. (R.P.)

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    Siria: contrasti tra le fazioni jihadiste. Padre Karam: ormai è una guerra “tutti contro tutti”

    ◊   Il leader di al-Quaeda Ayman Zawahiri con un pronunciamento ufficiale ha delegittimato lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil), l'organizzazione jihadista che nell'ultimo anno aveva assunto una posizione egemonica nel fronte delle milizie anti-Assad. In una dichiarazione registrata alcuni giorni fa e inviata a alcuni network arabi, un portavoce di Zawahiri ha reso noto che d'ora in poi il leader dell'Isil Abu Bakr al-Baghdadi potrà operare solo in Iraq e dovrà lasciare al fronte al-Nusra – altra fazione islamista legata a al-Quaeda, guidata da Abu Mohammad Golani – la leadership delle operazioni militari in territorio siriano. Finora le due organizzazioni si erano mosse in maniera indipendente, entrando talvolta in competizione. L'input inviato da al-Quaeda rappresenta un'ulteriore indiretta conferma delle contrapposizioni crescenti tra le fazioni che combattono l'esercito governativo siriano, fedele a Assad. “Oggi - dichiara all'agenzia Fides padre Paul Karam, direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Libano - sul terreno siriano è un guerra tutti contro tutti: dove ci porterà? E' questa la primavera araba? L'odio, il fanatismo , il terrorismo aumentano: chi paga per tutto questo? solo la stremata popolazione siriana e, all'interno della società, le minoranze che sono le più vulnerabili di tutti. Credo sia essenziale lasciare che ogni popolo decida sul proprio destino e sul proprio futuro”. Secondo padre Karam “occorre promuovere un vero cammino di pace che non prenda la forma di un piano di divisione del Paese. Serve una conferenza internazionale di pace che affronti in modo autentico, concreto ed efficace la crisi siriana, seguendo la bussola dei diritti umani e della libertà religiosa”. (R.P.)

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    Iraq. I vescovi cattolici: le rappresentanze straniere non favoriscano la fuga dei cristiani

    ◊   Tra i fattori che fomentano l'esodo dei cristiani dall'Iraq c'è anche la prassi adottata da diverse ambasciate e consolati stranieri che favoriscono la concessione di visti di asilo ai cristiani iracheni. Il fenomeno è stato di nuovo stigmatizzato con preoccupazione dai vescovi cattolici iracheni, riunitisi in Consiglio straordinario a Baghdad lo scorso 5 novembre su convocazione del patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako. Lo riferiscono fonti ufficiali del patriarcato iracheno, consultate dall'agenzia Fides. Il processo di “migrazione organizzata” (così viene definito nei comunicati del Patriarcato caldeo) è stato più volte denunciato con allarme dal patriarca caldeo, che alla riunione della scorsa settimana ha proposto di consultare le altre Chiese e comunità cristiane presenti in Iraq per rispondere con misure concrete e condivise a questo fenomeno che contribuisce a mettere a rischio lo stesso perdurare di comunità di battezzati in diverse aree de Medio Oriente. (R.P.)

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    Indonesia: gli ulema intimano alle scuole cattoliche di insegnare l’islam

    ◊   Il Consiglio degli ulema indonesiani (Mui) riaccende la polemica per il mancato insegnamento della religione islamica nelle scuole cattoliche dell’Indonesia. A riferirlo è l’agenzia AsiaNews, che ricorda come l’anno scorso le zone nel mirino del fronte islamista erano gli istituti a Blitar e Tegal, attaccati per settimane prima che gli stessi genitori degli allievi musulmani difendessero le scuole cattoliche per l’elevata qualità degli standard di insegnamento. Ora invece lo scontro ruota attorno alla scuola cattolica di Klanten, nello Java centrale. Secondo il leader Mui di Klanten, noto solo con il nome di Hartoyo, la mancanza del professore di islam è una grave violazione della legge perché ciascuno studente dovrebbe poter usufruire di lezioni inerenti “la religione di appartenenza”. Per questo motivo, Hartoyo ha invitato tutte le scuole private, compresi gli istituti cattolici, ad assumere docenti qualificati per l'insegnamento della religione islamica per tutti gli studenti musulmani. Gli fa eco una associazione scolastica privata della zona (la Bmps), che condanna l'assenza di insegnanti musulmani e chiede che la soluzione venga affrontata e risolta “nel miglior modo”. In realtà, secondo una prassi consolidata da decenni, in Indonesia le scuole private cattoliche e cristiane non hanno l’obbligo di organizzare corsi di religione islamica e momenti di lettura del Corano, come avviene nelle scuole statali. Di contro, esse provvedono a fornire seminari e lezioni sulla religione cristiana e sul catechismo. Gli studenti musulmani che frequentano gli istituti, invece, ricevono gli insegnamento previsti dall'islam durante appositi corsi, promossi dalla comunità islamica di appartenenza. Sempre secondo quanto riferito dall’agenzia AsiaNews, genitori e famiglie musulmane, al momento dell'iscrizione nelle scuole cattoliche, vengono assicurati dai dirigenti scolastici sull’assenza di tentativi di conversione degli studenti e di proselitismo cristiano. Questa situazione, che per decenni ha funzionato senza problemi, si è invertita lo scorso anno, quando i leader Mui hanno innescato la polemica - sfruttando anche la vasta eco offerta dai media locali - pretendendo l'insegnamento dell'islam. Tuttavia, per la maggioranza si tratta di una polemica strumentale dai contorni "politici" piuttosto che "spirituali". In questi anni, le autorità indonesiane hanno ceduto più volte di fronte alle pressioni del Mui, che svolge un ruolo di "osservatore" dei costumi e della morale nell'arcipelago. Ad Aceh, regione in cui governano i radicali islamici, ad esempio, le donne non possono indossare pantaloni attillati o minigonne e il Mui ancora aveva lanciato anatemi contro il popolare social network Facebook perché "amorale", contro lo yoga, il fumo e il diritto di voto, in particolare alle donne. (A.P.)

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    Pakistan: scuole private mettono al bando autobiografia di Malala

    ◊   Le maggiori organizzazioni degli istituti educativi privati hanno messo al bando “Io sono Malala”, l’autobiografia dell’adolescente famosa nel mondo per il suo impegno a favore dell’educazione delle coetanee. Definendo la giovane connazionale ora in esilio in Gran Bretagna “strumento dell’Occidente” - riporta l'agenzia Misna - Adeeb Javedani, presidente della All Pakistan Private Schools Management Association (Associazione della gestione delle scuole private di tutto il Pakistan), ha confermato che il suo libro sarà escluso dalle biblioteche delle 40.000 istituti affiliati per segnalare come per lui e i responsabili dell’associazione, e le idee di Malala rappresentano una visione estranea al Paese. Un’eco della posizione di Mirza Kashif, presidente della All Pakistan Private School Federation (Federazione delle scuole private di tutto il Pakistan), coordinamento di oltre 150.000 istituzioni educative, che ha confermato ieri al quotidiano britannico The Independent che “Io sono Malala” non sarà incluso in alcun curriculum di studi o esposto nelle biblioteche scolastiche. Il libro è stato pubblicato a livello mondiale a ottobre, un impegno che la giovane pachistana, oggetto un anno fa del tentativo di assassinio da parte dei Talebani, ha condiviso con la giornalista britannica Christina Lamb, che ha avuto ampia risonanza nel mondo. Una conseguenza delle minacce di ritorsione dei Talebani contro chiunque – scuola, libraio, distributore – decida di rendere disponibile per la lettura il volume, ma anche di una campagna che sta diffondendo nel Paese teorie cospiratorie incentrate sul libro e, più in specifico, sull’aggressione a Malala. Fino a considerarla un’invenzione, sfruttata per gettare discredito sul movimento talebano. (R.P.)

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    Elezioni in Nepal: la Chiesa cattolica non si schiera e prega per la pace

    ◊   “La Chiesa non dà indicazioni di voto e lascia i fedeli liberi di scegliere fra i ben 134 partiti in gara per il rinnovo dell’Assemblea Costituente”. Lo dichiara all'agenzia AsiaNews il vescovo di Kathmandu, mons. Anthony Sharma, chiedendo a tutti i fedeli di pregare affinché le elezioni del 19 novembre si svolgano in un clima pacifico. Le votazioni avvengono dopo cinque anni di caos politico e quattro governi di coalizione, che hanno rimandato di continuo la consegna della Costituzione democratica, dopo secoli di monarchia indù. Una Costituzione che per il vescovo di Kathmandu rappresenta una grande occasione per le minoranze religiose ed etniche. “I cattolici - dice - sono un piccolo gruppo, una minoranza fra le minoranze, e siamo ancora senza voce”. La speranza, dunque, è che nel nuovo documento vi siano articoli in favore della libertà religiosa e un uguale trattamento delle minoranze, con accesso ai privilegi per ora ad appannaggio solo di indù, buddisti e sette legate all'induismo. Il prelato esprime anche seri dubbi su un cambiamento immediato del Paese: “Con 134 partiti in corsa per le elezioni, che sorta di governo potremmo avere? Il voto avverrà in un clima pacifico?". Scetticismo emerge anche rispetto alle dichiarazioni dei principali partiti politici in corsa – i conservatori del Congress Party e i maoisti dell’Unified Communist Party of Nepal – che hanno cercato di rassicurare la popolazione dichiarando che la Costituzione verrà scritta entro un anno dalla presa di potere. “Mi chiedo – afferma mons. Sharma – se quanto sostengono i leader politici potrà mai accadere”. Nonostante le minacce delle frange più estreme – riferisce AsiaNews – la maggior parte dei partiti politici appoggia la necessità di scegliere nuovi leader e dare una svolta democratica al Paese. Finora solo le ali estremiste, guidate dall'ex quadro maoista Mohan Baidhya, sono contrarie al voto e per oggi hanno annunciato uno sciopero generale per contrastare la preparazione dei seggi. Per evitare scontri il governo ha inviato militari e forze di polizia nei vari distretti del Paese. Secondo l'Himalayan Times, principale quotidiano nazionale, ieri due bombe artigianali sono esplose poco prima di una conferenza organizzata dal Partito comunista nepalese a Taplejung, nel nord-est del Paese, ferendo cinque persone. Nella notte del 9 novembre nel distretto di Sandkhuwasabha (Kosi, Nepal orientale), ignoti hanno aperto il fuoco contro Rajendra Kumar Kiranti, leader del partito maoista locale, rimasto illeso, e un ordigno artigianale è stato rinvenuto nella sede del partito comunista del distretto di Ilam (Nepal orientale). Tre bombe sono state disinnescate sull'autostrada Mechi-Mahakali che collega l'est e l'ovest del Paese. L'obiettivo era un convoglio con a bordo i quadri del Partito maoista nepalese, fra cui lo storico leader ed ex premier Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), impegnati in un tour elettorale nei vari distretti del Nepal. Nawaraj Silwal, capo della polizia della regione orientale, sospetta il coinvolgimento dei gruppi estremisti guidati da Baidhya. (A.P.)

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    Colombia: precisazioni del governo sul secondo accordo con le Farc

    ◊   Per le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) non sono direttamente previsti seggi in Parlamento: lo ha precisato dall’Avana - riporta l'agenzia Misna - il negoziatore capo del governo, l’ex vice-presidente Humberto de la Calle, alle trattative in corso con la prima guerriglia del Paese nonché la più longeva dell’America Latina. Raggiunta nei giorni scorsi, la cosiddetta pre-intesa sul secondo punto dell’agenda del dialogo – ovvero la partecipazione delle Farc alla vita politica – prevede la creazione di circoscrizioni elettorali speciali denominate “circoscrizioni territoriali di pace” nelle zone interessate dal conflitto, per permettere che le aree di guerra possano beneficiarne sul piano rappresentativo. A fronte di interpretazioni errate anche da parte di organi della stampa, De la Calle ha scritto un articolo apparso su diversi media locali sottolineando che la nascita delle speciali circoscrizioni non è mirata a “promuovere la rappresentazione del movimento che uscirà dalle Farc” ma solo a consentire che zone finora penalizzate possano essere meglio rappresentate. “Alcuni hanno detto che sono circoscrizioni per le Farc. Falso. Tutti gli abitanti potranno aspirare ad esercitare questa rappresentazione a nome di movimenti o organizzazioni” ha insistito de la Calle. Il capo negoziatore del governo ha inoltre sottolineato che l’accordo punta a favorire “un’apertura democratica conveniente per il Paese” ma che diventerà effettivo solo con la smobilitazione del gruppo armato. Dopo aver annunciato in precedenza anche un accordo sulla questione della terra, primo punto dell’agenda, sebbene non siano noti i dettagli, le parti torneranno al tavolo del dialogo a partire dal 18 novembre per discutere di altri tre temi, il narcotraffico i meccanismi per porre fine al conflitto che dura ormai da mezzo secolo, i risarcimenti per le vittime. (R.P.)

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    Messico: dopo l'intervento della Chiesa, l'impegno delle autorità per i migranti

    ◊   Il governatore dello Stato messicano di Coahuila, Rubén Moreira, ha chiesto pubblicamente di appoggiare e sostenere le richieste del vescovo di Saltillo, mons. José Raúl Vera López, soprattutto per ciò che riguarda i migranti. "Mi congratulo con il Congresso di Coahuila per aver consentito l'intervento del vescovo. Il tema trattato, i migranti, le difficoltà e le violazioni dei diritti umani, con i pericoli che comporta, è un tema importante" ha detto il governatore. Nella nota inviata all’agenzia Fides si leggono inoltre queste considerazioni del governatore: "Spero che il Congresso ascolti la voce del vescovo Vera. Da parte nostra, abbiamo parlato con lui per tre motivi: in primo luogo, per migliorare le strutture della Casa del Migrante, un impegno che dobbiamo assumere per solidarietà con i nostri fratelli migranti. L'altro motivo riguarda l'elaborazione di un protocollo di attenzione delle autorità nel caso di un immigrato che subisca un incidente nel nostro Stato. Infine per sostenere la richiesta della diocesi sul visto speciale umanitario per i migranti". Ha inoltre osservato che è già allo studio da parte dello Stato (locale) la possibilità di concedere tale autorizzazione. Lo Stato di Coahuila è uno degli Stati del Messico dove si registrano numerosi atti di violenza contro i migranti. Dal 2011 la Commissione Nazionale dei Diritti Umani in Messico (Cndh), la Segreteria Federale del Lavoro, insieme a mons. Vera López e agli ultimi tre Governatori della zona, hanno messo in guardia sul fatto che le forze del narcotraffico hanno creato molta tensione nella zona per la violenza contro i migranti e con un gran numero di omicidi ed esecuzioni della popolazione. (R.P.)

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    Bolivia: Messaggio dei vescovi alla chiusura dell’Anno della Fede

    ◊   Ieri i vescovi della Bolivia, riuniti per la loro 96.ma Assemblea ordinaria, hanno concelebrato la Messa nella cattedrale di Cochabamba in occasione della chiusura dell'Anno della Fede. La nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale boliviana (Ceb), riferisce che, durante la Messa, mons. Oscar Aparicio, vescovo castrense e presidente della Ceb, ha dato lettura del messaggio intitolato "Il discepolo vive della fede". Il messaggio è rivolto a tutti gli uomini e le donne che nel lavoro, nella famiglia, secondo il ruolo sociale e politico che esercitano, si impegnano ogni giorno a costruire un Paese migliore. "Alla conclusione dell'Anno della Fede – è scritto nel messaggio -, salutiamo con gioia tutti e, insieme, ringraziamo Dio per questo dono prezioso. Con Papa Francesco possiamo dire veramente che ‘noi siamo vasi di terracotta, fragili e poveri, ma all'interno portiamo un grande tesoro’ che siamo chiamati a condividere con gli altri” Tra i passaggi più significativi: “Credere in un Dio che è Padre significa vivere nella fiducia, perché il Padre sa di che cosa abbiamo bisogno, è celebrare il fatto che questo mondo abbia un senso. Noi crediamo e confessiamo che Gesù Cristo è l'unico vero Figlio di Dio, che è piena manifestazione del Padre, che ci chiama attraverso l'amore e il perdono alla conversione, perché così trasformati in ‘uomini nuovi’, lo possiamo seguire e diventare suoi discepoli. Noi crediamo nello Spirito Santo che ci anima, conferma, rafforza e santifica ogni giorno. E' presente nella nostra vita, motiva le nostre lotte per la giustizia e per un mondo migliore, ad ogni alba rinnova la nostra speranza e riafferma i nostri legami di fraternità e di comunione con i fratelli della comunità cristiana, così da poter condividere le gioie e le speranze, le lacrime e le angosce degli uomini della nostra società, soprattutto dei poveri e degli afflitti da tanti mali e problemi, e ci impegna tutti a servire il Regno di Dio nella costruzione di una società nuova". (R.P.)

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    Vescovi europei. Mons. Aguirre: "Papa Francesco non ha bisogno di interpreti"

    ◊   “Francesco è un Papa che non ha bisogno di interpreti”: mons. José Ignacio Munilla Aguirre, presidente della commissione per le comunicazioni sociali del Ccee, ha affrontato il tema del profilo comunicativo del Pontefice nel corso dell’incontro dei vescovi europei che si è concluso ieri a Barcellona. Segnala anzitutto il contesto nel quale si inseriscono i primi otto mesi di pontificato, quindi si sofferma sul “carisma e l’originalità” della figura di Bergoglio, sui “rischi” di una comunicazione diretta, non mediata, sul rapporto stretto tra gesti, segni e parole del Papa. Aguirre indica anche alcune novità, taluni “ambienti” e modalità di espressione diretta e reiterata del Papa, come le omelie in Santa Marta oppure le interviste rilasciate ai giornalisti (durante il volo di ritorno dalla Gmg in Brasile, alla “Civiltà cattolica”, alla “Repubblica”). Secondo il vescovo, vi sono poi delle caratteristiche particolarmente apprezzate dall’opinione pubblica che si riscontrano in Francesco: fra queste, la coerenza e l’autenticità della sua figura, il coraggio e la trasparenza nell’affrontare i temi più “caldi” e controversi che riguardano la vita della Chiesa (questo in una linea di continuità con i predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI). Mons. Aguirre, proseguendo la relazione, afferma: “È importante non perdere di vista che la comunicazione in Papa Francesco non nasce anzitutto da un carisma personale nell’espressione, né tantomeno da una tecnica studiata. Al contrario, la fonte della sua comunicazione sta in altri due fattori”. In primo luogo, sostiene il vescovo, “uno zelo apostolico che permette di superare tanti timori e di azzardare nella comunicazione”. E a questo proposito il relatore richiama alcune espressioni del Papa, che parla di una Chiesa che deve “uscire da se stessa”, per non “ammalarsi nell’atmosfera viziata delle stanze in cui si è rinchiusa”. In secondo luogo, mons. Auguirre richiama il “cristocentrismo” del Papa, che “fa dell’identità della Chiesa la serva della Parola del Signore”, superando ogni forma di autoreferenzialità. “Il vicario di Cristo in terra - conclude Aguirre - è chiamato a comunicare a tutti che Gesù Cristo è l’unica ragione di essere della Chiesa, oltre a essere la risposta al desiderio umano di verità, bontà e bellezza. Questa prospettiva cristocentrica, unita al suo ardore missionario, conforma e determina in grande misura la comunicazione di Papa Francesco”. (R.P.)

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    Portogallo: si apre a Fatima l'Assemblea dei vescovi

    ◊   A Fatima si apre oggi l'Assemblea plenaria della Conferenza episcopale portoghese. I vescovi esamineranno la lettera pastorale dal titolo «Visione cristiana della sessualità. A proposito dell’ideologia di genere» e una nota sul tema «Sfide etiche del lavoro umano». A questo proposito, nel corso della riunione del Consiglio permanente che si è svolta nei giorni scorsi, è stata analizzata la bozza di un messaggio sul lavoro umano e su ciò che esso rappresenta come parte essenziale della soluzione della crisi vissuta oggi in Portogallo. I vescovi focalizzeranno inoltre l’attenzione sul servizio della carità, sull’osservatorio sociale della Chiesa e sulla Terza Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi che si terrà in Vaticano dal 5 al 19 ottobre 2014 sul tema «Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». I lavori dell’Assemblea plenaria saranno aperti dal discorso inaugurale del patriarca di Lisbona e presidente della Conferenza episcopale portoghese, mons. Manuel José Macário do Nascimento Clemente. (A.T.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 315

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.