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Sommario del 06/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: la Chiesa cresce solo se entra nella gioia e nel dolore degli altri
  • La preghiera del Papa per Noemi. Il padre della bimba malata: un gesto che ci ridà speranza
  • Il Papa nomina mons. Santo Gangemi nunzio apostolico in Guinea
  • Sinodo. Friso: "questionario" grande opportunità di partecipazione per le famiglie
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il democratico De Blasio è il nuovo sindaco di New York. Le congratulazioni di Obama
  • Siria: sempre più difficile la convocazione della conferenza di pace Ginevra 2
  • Serie di esplosioni in Cina, per il governo probabile matrice terrorista
  • Giornata tutela ambiente nei conflitti armati. L’Onu: salvaguardia risorse è via di pace
  • Decreto scuola allerta le famiglie: dubbi su “educazione all’affettività” e “stereotipi di genere”
  • Il fenomeno della prostituzione minorile interroga famiglie e educatori: il parere dello psicologo, Lancini
  • Le aziende non discriminino la maternità: indagine dell’Università La Sapienza
  • Napoli, Forum Grenaccord sul riciclo di beni durevoli. Masullo: basta specare risorse
  • Il rev. Tveit, segretario generale del Cec: costruire ponti in un mondo diviso
  • Milano. Il card. Scola ricorda Lazzati in apertura dell'anno accademico della Cattolica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Vescovi africani: "no" a miseria, sfruttamento dei poveri e risorse naturali
  • Terra Santa. Il patriarca Twal: le demolizioni israeliane sabotano la pace
  • Messico. Mons. Vera Lopez al Congresso di Coahuila in difesa dei diritti dei migranti
  • Chiese europee. Mons. Crepaldi: i volti della povertà in Europa sono drammatici
  • Francia. I vescovi dalla plenaria a Lourdes: la Chiesa deve uscire nel mondo
  • Giordania: corsi di studio online dei Gesuiti per i rifugiati siriani
  • Myanmar: tra governo e milizie etniche nessuna tregua ma solo colloqui costruttivi
  • Bangladesh: ergastolo ed esecuzioni per 312 guardie di frontiera per il massacro del 2009
  • India: vescovo del Kerala chiede al governo di dare una casa ai senzatetto
  • Irlanda: dichiarazione dei vescovi sul referendum sulle unioni gay annunciato dal governo
  • Sudan. Raid aereo su una scuola elementare sui Monti Nuba: morti e feriti
  • Ciad: migliaia di bambini senza istruzione condannati alla povertà
  • Regno Unito: la Chiesa cattolica in campo per il salario minimo garantito
  • All’Assemblea della Cism riflessione sulla "Lumen Gentium" e la liturgia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: la Chiesa cresce solo se entra nella gioia e nel dolore degli altri

    ◊   La carità reciproca costruisce la Chiesa e rende i cristiani “sacramento” dell’amore di Dio nel mondo. Papa Francesco lo ha affermato all’udienza generale di questa mattina, presieduta in Piazza San Pietro di fronte a circa 80 mila persone. Il Papa ha riflettuto sulla comunione ai “beni spirituali” – cioè i Sacramenti, i carismi e la carità – e ha terminato chiedendo alla folla una preghiera per la guarigione di una bambina affetta da una gravissima malattia, salutata prima dell’udienza. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Il sole caldo e limpido di primo novembre, che strappa all’autunno un’altra mattina d’estate, dà corpo al calore della carità che Papa Francesco prima spiega e poi fa condividere in un gesto all’ennesima folla strabocchevole del mercoledì. L’argomento del giorno è la comunione “alle cose sante”, a quei beni dello Spirito che costruiscono l’unità della Chiesa. I primi beni, spiega il Papa, sono i Sacramenti che “fanno” la Chiesa nel momento stesso in cui la Chiesa stessa li “fa”, li amministra:

    “I Sacramenti non sono apparenze, non sono riti; i Sacramenti sono la forza di Cristo, c’è Gesù Cristo, nei Sacramenti. Quando celebriamo la Messa, nell’Eucaristia c’è Gesù vivo, proprio Lui, vivo, che ci raduna, ci fa comunità, ci fa adorare il Padre”.

    I Sacramenti, afferma Papa Francesco, spingono all’annuncio, fanno stupire “delle meraviglie di Dio, erigono un argine contro “gli idoli del mondo":

    “E per questo è importante fare la comunione; è importante che i bambini siano battezzati presto; è importante che siano cresimati. Perché? Perché questa è la presenza di Gesù Cristo in noi, che ci aiuta. E’ importante, quando ci sentiamo peccatori, andare al Sacramento della riconciliazione. ‘No, Padre, ho paura io, perché il prete mi bastonerà!’. No, non ti bastonerà, il prete. Tu sai chi incontrerai nel Sacramento della riconciliazione? Gesù, Gesù che ti perdona. E’ Gesù che ti aspetta lì, e questo è un Sacramento. E questo fa crescere tutta la Chiesa”.

    Un secondo bene spirituale è dato dalla “comunione dei carismi”. Carisma, osserva Papa Francesco, è una parola difficile e ne offre la spiegazione:

    “I carismi sono i regali che ci fa lo Spirito Santo (…) Sono i regali che dà, ma ce li dà non perché siano nascosti: ci dà questi regali per parteciparli agli altri. Non sono dati a beneficio di chi li riceve, ma per l’utilità del popolo di Dio. Se un carisma, invece, un regalo di questi, serve ad affermare se stessi, c’è da dubitare che si tratti di un autentico carisma o che sia fedelmente vissuto”.

    In altre parole, ribadisce Papa Francesco, i carismi “vanno a vantaggio della Chiesa e della sua missione” e vanno accolti – raccomanda – senza spegnere lo Spirito. Ciò conduce al terzo aspetto, “la comunione della carità”, per cui questi doni di Dio sono dei “mezzi” per crescere nell’amore cristiano, che è più grande dei carismi:

    “Senza l’amore, tutti i doni non servono alla Chiesa, perché dove non c’è l’amore c’è un vuoto, un vuoto che viene riempito dall’egoismo. E vi domando: se tutti noi siamo egoisti, solamente egoisti, possiamo vivere in comunità, in pace? Si può vivere in pace se ognuno di noi è un egoista? Si può o non si può? [i fedeli rispondono: "No!"] Non si può! Per questo, è necessario l’amore che ci unisce; la carità. Il più piccolo dei nostri gesti d’amore ha effetti buoni per tutti!”.

    Gesti che per Papa Francesco non hanno niente “di quella carità spicciola che – asserisce – ci possiamo offrire a vicenda”, ma sono “qualcosa di più profondo”, una “comunione che ci rende capaci di entrare nella gioia e nel dolore altrui per farli nostri sinceramente”. Purtroppo, nota, “spesso siamo troppo aridi, indifferenti, distaccati e invece di trasmettere fraternità, trasmettiamo malumore”. E a questo punto, il maestro di fede prende per mano la piazza e con grande commozione le fa mettere in pratica quanto ascoltato:

    “Prima di venire in piazza, sono andato a trovare una bambina di un anno e mezzo, con una malattia gravissima: suo papà, sua mamma pregano e chiedono al Signore la salute di questa bella bambina. Si chiama Noemi. Sorrideva, poveretta. Facciamo un atto di amore. Noi non la conosciamo, ma è una bambina battezzata, è una di noi, è una cristiana. Facciamo un atto di amore per lei, e in silenzio prima chiediamo al Signore che l’aiuti in questo momento e le dia la salute. In silenzio, un attimo, e poi pregheremo l’Ave Maria”.

    L’Ave Maria multilinguistica che poco dopo sala dalla piazza è il preludio ai saluti di Papa Francesco alle decine di migliaia di persone arrivate da tutto il mondo. Da annotare anche che, prima dell’udienza, il Papa aveva acceso la fiaccola delle prossime Universiadi invernali, che Torino ospiterà dall’11 al 21 dicembre.

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    La preghiera del Papa per Noemi. Il padre della bimba malata: un gesto che ci ridà speranza

    ◊   Noemi, la bimba per cui ha pregato il Papa, ha 16 mesi ed è affetta da una terribile malattia rara genetica, la Sma, la atrofia muscolare spinale. Il padre, Andrea Sciarretta, 26 anni, ha scritto una lettera disperata al Papa che inizia così: “Con piacere le presento Noemi”. Nella lettera si chiede che la piccola possa riprendere le cure con il metodo Stamina, non più autorizzate in Italia. Papa Francesco ha prima contattato telefonicamente il padre, poi ha inviato il suo Elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, a Guardiagrele, in provincia di Chieti, dove la famiglia risiede. Quindi, li ha accolti oggi a Santa Marta. Sergio Centofanti ha intervistato Andrea Sciarretta:

    R. - È stato un incontro molto emozionante perché Papa Francesco è stato vicino a Noemi. Abbiamo potuto parlare e pregare insieme per Noemi. Questo regalo è stato una grande emozione, tant’è che anche oggi siamo ospiti del Santo Padre qui in Vaticano. Pernotteremo qui in Vaticano e mangeremo a pranzo e cena con lui.

    D. – Il Papa ha fatto questa preghiera all’udienza generale. Una preghiera molto toccante...

    R. – Il Papa stando vicino a Noemi ed accogliendola ha voluto far capire che lui accoglie tutti i bambini malati che stanno vivendo il nostro dramma. Il Papa è vicino alla nostra situazione e non ci abbandonerà.

    D. – Come sta Noemi?

    R. – Ha perso la deglutizione; è alimentata con un sondino; sta facendo la “Niv” notturna - ovvero la respirazione non invasiva – i movimenti cominciano a fermarsi. Noi siamo “vite a tempo” ed il tempo per noi è vitale. Noemi ha bisogno subito delle infusioni del metodo Stamina senza perdere altro tempo. La cosa che mi stupisce di più è che una bimba è riuscita ad essere accolta dal Papa, da un grande uomo, da un santo uomo. Purtroppo lo Stato italiano ci ha sempre e solo ignorato; invece un grande uomo, un santo uomo come Papa Francesco ha solamente accolto il grido di una bambina portandola a sé, facendola entrare in casa, ospitandola, facendola mangiare insieme a lui e cercando di capire veramente cosa si può fare per aiutarla. Questo fa capire l’amore incondizionato che il Papa ha per questi bimbi.

    D. – Cosa si può fare per Noemi?

    R. – Il giudice che ora sta decidendo per lei, per poterla far accedere al metodo Stamina deve comunque dare l’ok alle cure compassionevoli che ci sono a Brescia, in base ad una legge dello Stato italiano. Noi vogliamo che Noemi possa accedere al metodo Stamina, che le liste di attesa di Brescia vengano subito sbloccate e che tutte le persone che vogliono assumersi la responsabilità di provare la speranza concreta che è Stamina accedano senza che nessuno possa decidere per loro.

    D. – Quali sono adesso le vostre speranze?

    R. – Noi oggi stiamo vivendo un sogno. Ora ci aspettiamo veramente – oltre a questo sogno – di tornare a casa e che arrivi presto la telefonata e che la prossima settimana Noemi possa fare le staminali. Potete comunque contattarci perché abbiamo un’associazione che si chiama “Progetto Noemi”; il sito è www.progettonoemi.com. C’è anche la pagina Facebook di “Progetto Noemi” e lì potete leggere tutto quello che sta succedendo a noi e alla piccola Noemi. Poi, se volete aiutarci, se qualcuno vuole concretizzare veramente la speranza di Noemi - e la speranza si deve concretizzare - ci contatti. Noi attendiamo solo questo. Spero di cuore che il gesto di Papa Francesco faccia capire veramente che nessuno può rubare la speranza, nessuno può toglierci la speranza.

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    Il Papa nomina mons. Santo Gangemi nunzio apostolico in Guinea

    ◊   Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Guinea l’arcivescovo Santo Gangemi, già nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone.

    In Brasile, il Papa ha nominato della Diocesi di Crateús il sacerdote Ailton Menegussi, del clero della Diocesi di São Mateus e parroco della Parrocchia “São Francisco de Assis” a Barra de São Francisco nella medesima Diocesi. Mons. Menegussi è nato a Nova Venécia, diocesi di São Mateus, il 5 novembre 1962. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 22 novembre 1998. Dopo gli Studi Elementari, ha frequentato i Corsi di Filosofia (1991-1993) e Teologia (1994-1997) presso l’Istituto di Filosofia e Teologia dell’arcidiocesi di Vitória. Ha conseguito anche l’Habilitação para o Magistério preso l’Escola de Formadores, ITESC/CRB a Florianópolis. Nel corso del ministero sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Parrocchia “São José” ad Águia Branca e “Nossa Senhora Aparecida” a Montanha, Diocesi di São Mateus (1998-2000); Vicario Parrocchiale a São Mateus (2000-2003); Rettore del Seminario Minore e Propedeutico “João XXIII”, a São Mateus (2000-2003); Rettore del Seminario Maggiore di São Mateus a Carapina, Arcidiocesi di Vitória do Espírito Santo (2003-2012); Padre Spirituale del Seminario Maggiore “Maria, Mãe da Igreja” della Diocesi di Colatina a Serra, Arcidiocesi di Vitória do Espírito Santo (2003-2012); Coordinatore dell’Equipe diocesana vocazionale della diocesi di São Mateus (2003-2012); Membro del Consiglio di Formazione della diocesi di São Mateus (2007-2012). Attualmente lavora come Parroco nella Parrocchia “São Francisco de Assis” a Barra de São Francisco, Diocesi di São Mateus.

    Negli Stati Uniti, il Pontefice ha nominato vescovo di Rochester mons. Salvatore R. Matano, finora Vescovo di Burlington. Il presule è nato il 15 settembre 1946 a Providence (Rhode Island). Ha frequentato la scuola elementare di “Saint Ann” e la secondaria presso la “LaSalle Academy” a Providence. Nel 1964 è entrato nel Seminario “Our Lady of Providence”. Alunno del “Pontifical North American College”, ha proseguito gli studi di Teologia alla Pontificia Università Gregoriana a Roma (1967-1972), conseguendovi successivamente il Dottorato in Diritto Canonico (1983). È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Providence il 17 dicembre 1971 nella Basilica Vaticana di San Pietro. Dopo l’ordinazione ha insegnato nella scuola secondaria “Our Lady of Providence Seminary” (1972-1977) ed è stato Vice-parroco dell’“Our Lady of Grace Parish” a Johnston (1972-1973). È stato Direttore dell’Ufficio del personale per i Sacerdoti (1977-1980) e Assistente Cancelliere della diocesi di Providence (1978). Dopo aver conseguito il Dottorato in Diritto Canonico, è stato Vicario per l’Amministrazione e Co-Cancelliere della diocesi (1983-1991). Ha lavorato presso la Nunziatura Apostolica di Washington (1991-1992) e, poi, è diventato Vicario Generale e Moderatore della Curia di Providence (1992-1997). È stato Parroco della “Saint Sebastian Parish” a Providence e contemporaneamente Professore presso il “Providence College of the Dominican Fathers” (1997-2000). È tornato al servizio della Nunziatura Apostolica a Washington come Collaboratore locale (2000-2005). Nominato Vescovo Coadiutore della diocesi di Burlington il 3 marzo 2005, fu consacrato il 19 aprile successivo. Assunse in pieno il governo della diocesi il 9 novembre 2005. In seno alla Conferenza Episcopale è Membro del “Committee on Doctrine”.

    In Paraguay, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di San Pedro padre Pierre Jubinville, della Congregazione dello Spirito Santo in Hull, finora primo assistente generale del medesimo Istituto religioso. Mons. Jubinville è nato nella città di Ottawa in Canada il 5 agosto 1960. Ha compiuto gli studi elementari nella scuola "Mont Bleu" di Hull (oggi Gatineau) e gli studi secondari presso il Collegio "Saint-Alexandre" della Congregazione dello Spirito Santo in Hull. Entrato nel 1979 nel pre-noviziato della Congregazione dello Spirito Santo in Québec, ha svolto il noviziato della medesima Congregazione in Farnham, dove ha emesso la Prima professione nell'agosto 1981. Nel 1984 ha conseguito il Baccellierato in Teologia presso l'Università di Montreal. Dal 1984 al 1987 ha svolto una esperienza missionaria in Kongolo, Nord Katanga, Congo Democratico. Dal 1987 al 1988 ha frequentato corsi intensivi nell'Istituto di Formazione Umana Integrale in Montreal. Nel mese di gennaio 1988 ha emesso la professione perpetua e il successivo 17 settembre è stato ordinato presbitero. Nel 1990 ha ottenuto la Licenza in Scienze religiose presso l' "Institut Catholique de Paris". Nel ministero sacerdotale ha svolto le seguenti attività: Missionario in Messico, dove ha collaborato nella Parrocchia "El Pujal" nella diocesi di San Luis Potosí (1990-1991); Missionario in Paraguay e Collaboratore nella Parrocchia di "San José Obrero" di Choré nella diocesi di San Pedro (1991-1996); Parroco della Parrocchia "San Francisco de Asís" in Lima, diocesi di San Pedro (1996-1999); Formatore dell'aspirantato e postulandato spiritano in Paraguay, presso Fernando de la Mora, Asunción (1999-2010); Superiore della comunità spiritana in Asunción, Paraguay (2010-2012). Attualmente ricopre l'incarico di Primo Assistente Generale della Congregazione dello Spirito Santo a Roma.

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    Sinodo. Friso: "questionario" grande opportunità di partecipazione per le famiglie

    ◊   Dalla pastorale della famiglia alle unioni omosessuali, dall’educazione dei figli all’apertura degli sposi alla vita. Sono alcuni dei temi forti inseriti nelle 39 domande del “Questionario” inviato alle Chiese particolari per consentire a tutta la comunità ecclesiale di partecipare attivamente alla preparazione del Sinodo sulla famiglia, in programma a ottobre dell'anno prossimo. Alessandro Gisotti ne ha parlato con Alberto Friso, responsabile del movimento “Famiglie Nuove” e membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia:

    R. - Questa novità è una novità veramente che ci dà una gioia straordinaria a noi famiglie, perché ci sentiamo che possiamo, anche con tutta la Chiesa, tutti insieme, riflettere e mettere in luce tutti quei punti di criticità che oggi ci troviamo anche spesso a incontrare nei rapporti con le famiglie che ci abitano vicino, anche con i parenti, in tanti casi. Insomma, finalmente possiamo anche parlare e cogliere insieme quali possano essere i modi per esprimere anche quel nostro spirito di amore per la nostra comunità, per le persone con cui dobbiamo anche costruire, giorno per giorno anche la nostra storia di società civile. Queste 39 domande, belle e comprensibili e così calabili in ogni cultura: già ci arrivano i primi segnali sia dall’Asia che dall’Africa della gioia di non sentirsi cristiani di "serie B" in quanto laici, in quanto sposati. E secondo, sentirci interpellati anche per ciò che stiamo vivendo.

    D. - Questo questionario indirizzato alle Conferenze episcopali, ma poi alle parrocchie e a tutte le comunità ecclesiali locali, sarà importante che nessuno, in un qualche modo, venga messo ai margini, anche come raccolta di risposte a queste domande…

    R. - Infatti, noi abbiamo già visto che collaboreremo sia con la nostra presenza che abbiamo nelle parrocchie e nelle diocesi e quindi cercando insieme e riflettendo insieme, sia anche facendo poi una specie di collegamento per avere una visione di insieme.

    D. - Cosa si aspetta, cosa spera che in questi mesi possa succedere, anche sulla spinta di questa sollecitazione, di questo questionario?

    R. - Credo che anzitutto il questionario apra ancora di più alla comprensione della novità, dell’impegno pastorale e dell’amore pastorale che la Chiesa sta avendo in questo momento anche, naturalmente, sotto la spinta della persona del nostro Papa Francesco. E nei prossimi mesi dovremo indubbiamente tutti, con i nostri mezzi di comunicazione, con la nostra stampa e le televisioni, partecipare al grande dibattito che già c’era in molte sedi, ma incominciando a riflettere noi e mettere in luce le nostre proposte e diventare soggetti anche sociali e politici più attivi. Sicuramente, il questionario ci porta ad avere una visione di insieme, in cui non occorrerà stravolgere cambiamenti di dottrine: è il cambiamento dell’atteggiamento nei rapporti, perché poi se il rapporto è costruito con carità, spirito di accoglienza e di servizio, sono tutte dimensioni di amore che muovono tutte le persone e quindi anche quelli che sono in difficoltà verso una nuova prospettiva di vita e di fede.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, Mario Ponzi su un atto di carità per Noemi: durante l’udienza generale Papa Francesco ricorda la drammatica vicenda della piccola malata di atrofia muscolare spinale.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la visita del segretario di Stato americano in Vicino Oriente.

    Come il Vangelo arrivò nella terra di Agbar: Sabino Chialà su fede e cultura nell'Oriente siriaco dal secondo al nono secolo.

    Un articolo di Lydia Salviucci Insolera dal titolo “Camillo, Ignazio e gli amici romani”: ordini religiosi e arte tra Rinascimento e Barocco.

    Tira e molla al mercato: Paolo Pecorari a proposito di etica e problemi del lavoro.

    Un frate economista contro la crisi: Silvia Guidi sul saggio del teologo domenicano irlandese Vincent McNabb “La chiesa e la terra”, riproposto dalla Libreria Editrice Fiorentina.

    Le sfide dell’alimentazione: Luca M. Possati illustra le conclusioni del convegno in Vaticano.

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    Oggi in Primo Piano



    Il democratico De Blasio è il nuovo sindaco di New York. Le congratulazioni di Obama

    ◊   Sono arrivate anche le congratulazioni del presidente, Barack Obama, al neo eletto sindaco di New York, Bill De Blasio, di origini italiane. Si tratta infatti del primo candidato democratico che riesce a conquistare la Grande Mela da 20 anni a questa parte, staccando di almeno 30 punti il repubblicano Joe Lotha. Una vera e propria debacle per il pupillo dell’ex sindaco, Rudolph Giuliani, che si proponeva come il candidato più in continuità con i dodici anni di amministrazione del miliardario, Michael Bloomberg. Nel vicino New Jersey, ha vinto invece un repubblicano, Chris Christie. In Virginia, affermazione di Terry McAuliffe sull'esponente del Tea Party Ken Cucinelli. Partendo dal risultato di New York, ecco il commento di Paolo Mastrolilli, inviato del quotidiano La Stampa negli Stati Uniti, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - Considerando l’affermazione del nuovo sindaco, evidentemente molti degli elettori che avevano sostenuto in passato Bloomberg e forse anche Giuliani o non sono andati alle urne o hanno scelto lui. Questo significa naturalmente che la città era pronta a un cambiamento. De Blasio ha fatto una campagna elettorale impostata sul fatto che ci sono due città a New York: quella che è prospera, ricca e vive bene, e la New York povera, che fatica ad arrivare alla fine del mese. Ha basato tutta quanta la sua campagna sulla promessa di cercare di riequilibrare la città, di superare queste disuguaglianze. Evidentemente, è un messaggio che in questo momento di crisi economica ha colpito gli elettori, che hanno scelto in massa di sostenerlo e di scommettere sul suo programma.

    D. - Questi, però, sono obiettivi non facili da raggiungere…

    R. - Lo ha detto lui stesso, commentando la propria vittoria: ha detto che il suo successo è semplicemente il primo passo. E’ una situazione molto difficile, perché la città sta uscendo da una crisi che è stata assai grave. De Blasio ha proposto, fra le altre cose, di aumentare la tasse alle persone che guadagnano più di mezzo milione di dollari all’anno, per usare poi questi soldi soprattutto per finanziare l’istruzione dal momento iniziale - quindi sin dall’asilo - e per cercare di dare a tutti quanti la possibilità di affermarsi nella vita. Naturalmente, sono diversi i fronti sui quali bisogna intervenire e non sarà facile per il nuovo sindaco, che oltretutto dovrà anche garantire che la timida ripresa che è in corso nella città continui e che non ci siano problemi di sicurezza. In passato, questa era stata un’altra cosa che aveva frenato molto New York: la criminalità. Negli anni delle due amministrazioni repubblicane di Giuliani e Bloomberg, si è effettivamente ridotta.

    D. - Come ne escono i conservatori dal voto?

    R. - I conservatori escono molto malconci dal voto e non tanto per quello che è successo a New York, perché in realtà i sindaci che avevano governato New York di parte repubblica, Giuliani e in particolare Bloomberg, erano dei repubblicani un po’ atipici. Bloomberg soprattutto era un ex membro del partito democratico e quindi un repubblicano "liberal". Il risultato forse più significativo per i conservatori è invece quello che è avvenuto in New Jersey, dove il governatore Christie è stato rieletto - e anche lì a valanga - nonostante, secondo i sondaggi, la maggior parte degli abitanti del New Jersey non abbia una visione positiva del partito repubblicano. Questo significa in sostanza che gli elettori sono scontenti di come il partito repubblicano si stia comportando a Washington, di quello che ha fatto, per esempio, provocando lo shutdown del governo e quasi una crisi internazionale sulla questione del debito, spinto dalla parte estrema del partito, cioè il "Tea Party". E lo stesso Christie ha detto ai suoi colleghi del partito repubblicano che, se è riuscito a vincere in uno Stato democratico come il New Jersey, qualcuno a Washington deve accendere la televisione, sintonizzarsi su quello che sta accadendo nel suo Stato, per prendere esempio e cambiare la linea del Gop (Grand Old Party) anche a livello nazionale.

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    Siria: sempre più difficile la convocazione della conferenza di pace Ginevra 2

    ◊   Due colpi di mortaio sono caduti oggi in Siria, colpendo un quartiere centrale di Damasco e provocando almeno tre morti e diversi feriti. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione Sana. Altri ordigni sono caduti in altre zone della capitale causando diversi feriti. Inoltre, gli insorti hanno preso il controllo del secondo più grande deposito di armi del Paese, a sudest della città di Homs. Sul fronte diplomatico risulta sempre più a rischio la Conferenza di pace "Ginevra 2", a causa delle incertezze sul futuro ruolo del presidente Assad, delle divisioni tra gli oppositori e dell’eventuale presenza dell’Iran. Sulla situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato Antonio Ferrari, analista politico, firma storica del Corriere della Sera:

    R. – È una situazione molto complessa. Credo che un passo, anche se parziale, sia stato compiuto: quello delle armi chimiche. Io credo che Assad stia alzando il prezzo e forse vedremo che anche gli altri alzeranno il prezzo. Assad non se ne vuole andare, ma non è detto che non se ne vada. Potrebbe andarsene con opportune garanzie. Se oggi dicesse: “Me ne vado, non mi presento alle elezioni”, non so cosa accadrebbe alla minoranza alawita al potere e a tanta gente che ha soltanto la colpa di essere alawita. Quindi, credo che ciascuno in questo momento stia alzando il prezzo. È una cosa molto comprensibile, come in tutti gli accordi. Credo che prima o poi questo incontro avverrà, perché la situazione in Siria non può continuare così, bisognerà ancora avere pazienza.

    D. – Dialogare con quale opposizione in Siria?

    R. – È quello il problema. Mettere insieme i moderati delle due parti. Non possiamo dare un Paese nelle mani di estremisti pronti a tutto. I moderati sunniti, i moderati alawiti, i moderati curdi devono ricomporre l’unità politica del Paese, per cercare di farlo uscire da questa situazione che è insostenibile non soltanto per la Siria: 120 mila morti, due milioni di profughi, quattro milioni di sfollati… Quindi, solo le forze moderate di una parte e dell’altra, isolando gli estremisti, potrebbero risolvere il problema.

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    Serie di esplosioni in Cina, per il governo probabile matrice terrorista

    ◊   Sette esplosioni sono avvenute questa mattina, poco dopo la mezzanotte in Italia, nei pressi della sede del Partito Comunista a Taiyuan, nella provincia nordorientale cinese dello Shanxi: il bilancio è di un morto e otto feriti. L’episodio segue di pochi giorni l'attentato suicida di piazza Tiananmen, che aveva provocato cinque morti e che il governo ha attribuito all’Etim, gruppo separatista uigura della regione autonoma dello Xinjiang. Sull’ipotesi che dietro alle esplosioni di oggi ci sia la mano dei terroristi, Adriana Masotti ha sentito Francesco Sisci, corrispondente da Pechino del quotidiano “Il Sole 24 ore”:

    R. – Anzitutto, si tratta di una serie di esplosioni accadute in un breve lasso di tempo, una serie di bombe coordinate, quindi un’azione di un gruppo molto organizzato. Le autorità parlano di attentati attribuibili agli indipendentisti Uiguri della regione nordoccidentale cinese dello Xinjiang. Si tratta di una minoranza turcofona e islamica. Gli Uiguri sono stati anche protagonisti di questo attentato suicida a Pechino in Piazza Tienanmen, qualche giorno fa. Questo fa pensare che dietro ai due fatti ci sia una volontà di affermare la propria presenza in un momento molto delicato per il Paese, ovvero alla vigilia di un plenum del partito molto importante.

    D. – L’Etim e altri gruppi terroristici rivendicano l’indipendenza della regione abitata dagli Uiguri. Ma che possibilità ci sono in Cina che possano esistere queste aspirazioni?

    R. – Certamente, c’è una grande forza nel Xinjiang, che sempre più chiede indipendenza da Pechino. Credo resterà un sogno il fatto che riescano a essere indipendenti, perché lo Xinjiang copre quasi un quarto del territorio cinese. Gli Uiguri sono, nello stesso Xinjiang, meno del 50% della popolazione. In tutto, gli Uiguri sono circa otto milioni di persone, poco più dello 0,5% dell’intera popolazione cinese. Nessuno Stato riuscirebbe ad acconsentire a queste forme di indipendenza. Detto questo, il fatto che questi gruppi protestino in maniera così violenta dimostra fondamentalmente che la politica di repressione adottata finora da Pechino nello Xinjiang non ha avuto tutto questo successo.

    D. – In Cina le notizie di attentati fanno notizia, destano preoccupazione? O sono casi molto rari e isolati?

    R. – Non sono casi rarissimi, perché in Cina c’è una tradizione di gente che per i motivi più disparati si fa saltare: la gente protesta perché la fidanzata lo ha lasciato, oppure per essere stato licenziato… Capita, da sempre, che la gente si faccia saltare in aria negli autobus, mi ricordo gli anni Ottanta... Adesso, magari cercano dei luoghi più pubblici come le piazze. Qui siamo a un livello diverso: questa volta abbiamo sette esplosioni coordinate e questo implica una certa organizzazione, in una città che non è l’ultima delle province ma è Taiyuan, a qualche centinaio di chilometri da Pechino, quindi non lontanissimo dalla capitale cinese. Tra gli Uiguri e gli Han – che è l’etnia della maggioranza del popolo – c’è un odio molto profondo, e questo ovviamente è un problema. Questo però non credo porterà Pechino a ritirarsi dallo Xinjiang, anzi. Credo che la repressione contro questi terroristi uiguri si intensificherà e si andranno a colpire non solo i gruppi veramente terroristici ma, forse, persone che con il terrorismo non hanno molto a che fare.

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    Giornata tutela ambiente nei conflitti armati. L’Onu: salvaguardia risorse è via di pace

    ◊   Rafforzare la salvaguardia ambientale durante i conflitti e ripristinare, nella fase post bellica, un’adeguata gestione delle risorse naturali. Sono le priorità indicate dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel messaggio in occasione dell’odierna Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente nei conflitti armati. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Gli effetti di una guerra sono solitamente misurati dalla storia ricordando il numero di morti, di feriti e i danni inferti alle città. Ma ci sono anche altri ingenti costi, legati alle conseguenze ambientali provocate dai conflitti armati, che in genere non vengono indicati. Pozzi d’acqua inquinati, colture incendiate, foreste abbattute, terreni avvelenati, animali uccisi per ottenere vantaggi militari sono solo alcune delle profonde ferite inferte all’ambiente, una delle vittime spesso dimenticate della guerra. Il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite stima, in particolare, che nel corso degli ultimi 60 anni, almeno il 40% di tutti i conflitti interni sono stati collegati allo sfruttamento delle risorse naturali per finanziare gruppi armati. Nei periodi di guerra, la protezione ambientale non solo diventa secondaria rispetto ai piani militari ma gli ecosistemi diventano addirittura dei bersagli da colpire o da compromettere. Maurizio Simoncelli dell’Archivio Disarmo:

    “Nel momento in cui la guerra è in corso, questo non viene assolutamente considerato. Si pensa solamente a distruggere il nemico, a distruggergli la possibilità di utilizzare il territorio, di rendergli impossibile varcare determinati valichi o altro. È solamente dopo, quando ‘scoppia’ la pace che la popolazione civile si trova a dover affrontare una catastrofe di tipo ambientale, di tipo economico, ma anche problemi di tipo genetico con l’inquinamento del territorio, con la radioattività diffusa e quant’altro”.

    Nella storia recente, l’ambiente ha subito ingenti danni a causa della guerra. In Cambogia, il 35% della copertura forestale è stata distrutta in venti anni di scontri armati. Durante la Guerra del Golfo del 1991, sono stati deliberatamente incendiati e milioni di litri di petrolio si sono riversati in mare. In Angola, la guerra civile, iniziata nel 1975, ha provocato la scomparsa del 90% della fauna selvatica. Durante la guerra del Vietnam, milioni di tonnellate del famigerato "agente arancio" sono state sparse dalle forze statunitensi in varie zone del Paese. Queste aree, ancora oggi, non possono essere coltivate. La salvaguardia ambientale, come nel caso della Repubblica Democratica del Congo, è anche minata da sempre più consistenti flussi di profughi, che fuggendo in massa da zone di conflitto, provocano un sovrasfruttamento di risorse naturali e di falde acquifere. Gli effetti, spesso, sono a lungo termine. Emergenze ambientali legate alla guerra e ai conflitti armati si riscontrano ancora oggi nei Balcani, in Iraq, in Liberia e nei Territori Palestinesi. Sugli effetti dei conflitti armati per l’ambiente, ancora Maurizio Simoncelli:

    “I costi sono pesantissimi, basti pensare – per fare un esempio notissimo – ai bombardamenti sulle due città giapponesi e l’effetto del fallout radioattivo, con tutto quello che comporta. Poi, ci sono i costi della guerra chimica: armi chimiche che hanno distrutto veri e propri ecosistemi. Poi, anche la cosiddetta guerra ‘convenzionale’ ha effetti terribili. Basti pensare solamente ai residui inesplosi che rimangono sul terreno: proiettili, razzi, bombe lanciate dagli aerei che hanno effetti terrificanti perché rendono i terreni impraticabili, incoltivabili, ingestibili. Ad esempio in Afghanistan, terra martoriata da una guerra ancora in corso, sono tuttora attive sul terreno mine lasciate dall’invasione sovietica di alcuni decenni fa. Anche in Italia, si trovano ancora bombe lanciate dagli aerei durante la Seconda guerra mondiale. Quindi, parliamo di vicende di 70 anni fa”.

    Anche oggi i conflitti armati sono la cornice di una diffusa devastazione ambientale. Foreste, fauna selvatica, sorgenti d'acqua e terreni agricoli – scrive nel Messaggio per questa Giornata il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – continuano a essere sfruttati e degradati durante i conflitti armati minacciando, a lungo termine, la pace e la sicurezza. In Africa centrale e orientale, il traffico illegale di vari prodotti, tra cui minerali e legname, finanzia attività illecite di gruppi armati e reti criminali. In Somalia, ad esempio, si stima che il commercio illegale di carbone porti a un fatturato annuo, per gruppi ribelli e terroristici, di oltre 384 milioni di dollari. Lo smaltimento delle armi, ricorda Ban Ki-moon, è un’altra delle sfide dell’Organismo Onu per la Proibizione delle Armi Chimiche. In Siria, ad esempio, la distruzione di armi chimiche deve prevedere anche rigorose misure di salvaguardia ambientale. La contaminazione ambientale comprende anche mine e ordigni inesplosi, che costituiscono un’ulteriore minaccia, soprattutto per donne e bambini. Il rafforzamento della governance delle risorse naturali nei Paesi colpiti da conflitti – conclude Ban Ki-moon – può portare a una pace duratura. Al contrario, una gestione inefficace e una carente protezione di queste risorse prolungano le situazioni di conflitto e rendono ancora più vulnerabili le popolazioni, soprattutto i poveri. La protezione ambientale – ricorda infine l’Onu – è una straordinaria forma di prevenzione dei conflitti, in grado di garantire il mantenimento della pace, di assicurare adeguati mezzi di sussistenza alle popolazioni e di preservare gli ecosistemi per le generazioni future.

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    Decreto scuola allerta le famiglie: dubbi su “educazione all’affettività” e “stereotipi di genere”

    ◊   In Italia, polemiche e timori sta sollevando un decreto legge in tema di scuola, in scadenza l’11 novembre, in questi giorni all’esame del Senato, dopo essere stato approvato dalla Camera, che introduce tra l’altro norme per la formazione dei docenti al fine di aumentare le “competenze – si legge nel testo – relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”. Roberta Gisotti ha intervistato Maria Grazia Colombo, già presidente dell’Associazione genitori scuola cattolica (Agesc) e membro del direttivo del Forum delle famiglie:

    R. – Ci preoccupa perché è tutta materia che va concordata con le famiglie! Stiamo parlando di questioni etiche e di questioni delicatissime dove l’alleanza scuola-famiglia è fondamentale.

    D. – Si nota in particolare l’uso del termine “genere” al posto di sessualità…

    R. – E non a caso. Noi abbiamo alle spalle un documento della Fornero, ex ministro del lavoro e delle Pari opportunità, che si chiama “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, che è un testo che è stato approvato dall’Italia su suggerimento del Consiglio d’Europa per una lotta contro le discriminazioni che noi tutti non vogliamo: chi vuole una discriminazione riguardo agli omosessuali o chiunque altro? Però il progetto è più ampio: far passare a tutti una cultura che riguarda particolari condizioni che sono di alcuni e che vanno guardate con attenzione, assolutamente senza discriminazioni, ma sapendo che sono dei fenomeni particolari.

    D. – Dott.ssa Colombo, quindi, scompaiono i termini “uomo”, “donna”, “maschio”, “femmina” e dobbiamo pensare che scomparirà anche l'epressione famiglia tradizionale, uomo-donna-figli?

    R. – Penso sia diventato come "crudele" affermare alcune verità: per cui se parliamo di padre, madre, uomo, donna, non siamo attenti alle diversità. Questo è un imbroglio! Prima di tutto ai nostri ragazzi, ai nostri figli. Che cosa insegniamo loro? La certezza di un padre e di una madre, di un generare che è naturale, umano: non è cattolico, è umano! Dentro questa realtà evidentemente ci sono anche tante altre storie che vanno guardate. Per questo, noi come Forum siamo contro la legge sull’omofobia. Perché parlare di omofobia vuol dire parlare di tutto, ma vuol dire innescare un meccanismo, una contrapposizione che è deleteria. Noi siamo contro la violenza che va a scapito degli omosessuali o di chi ha delle diversità, ma non è questa l’omofobia: l’omofobia è un termine che purtroppo ci mette tutti in clima di contrapposizione ideologica, culturale, molto pesante. E quando ad esempio si vogliono organizzare degli incontri, dove si vuol capire e si vuole entrare dentro le dinamiche di questi grandi problemi e grandi contraddizioni che abbiamo in atto: si è subito tacciati di omofobia. Su questo noi dobbiamo fare delle riflessioni molto serie, molto pacate, molto accoglienti, se vogliamo – usando una parola di Papa Francesco – ma comunque serie e vere.

    D. – Un aspetto inquietante è che questi testi vengono calati dall’alto, direi quasi imposti senza che ci sia un consenso popolare…

    R. – Esatto! Questa è la cosa più pericolosa, perché si insinuano ed entrano nella cultura e nel parlare e nel vivere della normalità della gente in un modo così subdolo, che poi poco alla volta cambia gli occhi, lo sguardo delle persone. Per cui, l’affermare poi certe verità diventerà sempre più difficile e diventerà, come dire, quasi un atto di coraggio. Non voglio fare dell’allarmismo, non mi piace fare delle crociate su queste cose. Ma bisogna essere molto realisti, bisogna guardare in faccia le questioni e mettere in atto quella che noi definiamo la cittadinanza pubblica della fede, vale a dire che noi anche come cattolici abbiamo dentro una proposta di fede e di umano che non è solo per noi, ma vale per tutti.

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    Il fenomeno della prostituzione minorile interroga famiglie e educatori: il parere dello psicologo, Lancini

    ◊   Fa ancora discutere il caso delle due adolescenti che in un appartamento del quartiere Parioli a Roma si prostituivano con uomini di tutta Italia. Un giro alimentato su Facebook e sui telefonini, con la complicità di diversi adulti sfruttatori tra cui un genitore, ma di cui le ragazze non si ritengono vittime. Gli inquirenti dicono: “In loro tutto tradisce l’ansia di apparire adulte e considerano il fatto di suscitare desiderio una forma di potere”. Ma quello delle ragazzine romane non è certo l’unico caso di prostituzione minorile: è sui giornali di oggi la denuncia di un medico dell’Aquila secondo cui nel suo territorio, ragazze sotto i 14 anni sono pronte a vendere il proprio corpo anche solo per una ricarica telefonica. “Un fenomeno drammatico, sempre più diffuso, legato alla crisi” non solo materiale ma di valori, afferma il vescovo ausiliare dell’Aquila, mons. Giovanni D’Ercole che richiama gli adulti a prestare attenzione al disagio vissuto oggi dai giovani. Su questi aspetti, Gabriella Ceraso ha raccolto il commento del prof. Matteo Lancini docente di psicologia all’Università Bicocca di Milano:

    R. - Penso che abbiamo un problema importante, tra nuove normalità e nuove emergenze educative - a volte nuove patologie - rispetto al tema della “visibilità a tutti i costi”, dell’esposizione che spinge - e questo ci preoccupa molto - minorenni anche a mercificare addirittura il corpo - come succede anche in vicende meno drammatiche ma preoccupanti – e farsi fotografie che poi vengono pubblicate, in nome di un riconoscimento, di una valorizzazione di sé, della bellezza, della popolarità e del successo.

    D. – Il fatto che queste ragazze abbiano detto che loro non si sentivano vittime in alcun modo, rientra in questo discorso che lei sta facendo? Era uno strumento per ottenere potere, successo, soldi, o anche semplicemente la ricarica di un cellulare: è così che funziona?

    R. – L’angoscia degli adulti porta a dire che siano stati altri adulti a traviarle e a far perdere loro la retta via. In realtà, alcune volte la spavalderia, o la spregiudicatezza - che a volte mascherano anche la fragilità di alcuni ragazzi - spingono in modo attivo a fare queste azioni. Ci dobbiamo preoccupare anche dei modelli educativi, non solo del fatto che ci siano adulti male intenzionati. Possiamo, forse, provare a ricostruire un modello educativo in cui si tenga in considerazione la relazione con il corpo: cos’è il corpo, che significato ha, che cosa voglia dire fare i conti con un corpo naturale a fronte di un corpo ideale.

    D. – Lei quando ascolta casi di questo genere, che idea si fa?

    R. – Che non bisogna usare slogan e che bisogna capire che questi ragazzi non sono solo immaturi: hanno anche precocità. Hanno nuove capacità, sono forse anche più dotati di certe competenze, contrariamente a quanto si pensi, rispetto alle generazioni precedenti; però sono comunque figli della società e dei modelli educativi. La sensazione è che queste ragazze, prima di arrivare lì, non siano riuscite a chiedere aiuto ad un adulto di riferimento. O forse l’adulto non era neanche troppo disposto ad ascoltarle: non perché non avesse tempo, ma perché a volte forse si è troppo angosciati e non si vuole ascoltare cosa si sta vivendo durante l’adolescenza. Questo invece in un adulto non dovrebbe mai mancare, la capacità di mettersi all’ascolto anche delle difficoltà, dei propri figli, dei propri studenti o del ruolo che stanno svolgendo. Non sono necessariamente gli adolescenti ad essere malati: è una questione che riguarda anche i cambiamenti sociali, educativi che sono molto spinti anche dalla cultura degli adulti. Forse abbiamo un po’ esagerato con questa società del narcisismo, dell’immagine e della bellezza. Dobbiamo tornare indietro, ma in senso nuovo, non certo tornare indietro a 30 anni fa, che non avrebbe senso. Quello che voglio dire è che non c’è più un significato trasgressivo: anche questo avvenimento, se pensiamo, una volta sarebbe stato letto come una vicenda trasgressiva, no?, ma c’è sempre una richiesta di aiuto. È come se nella mente di questi ragazzi – e probabilmente è vero quello che riporta la stampa e che lei mi dice – ci sia il pensiero: “Cosa volete? Abbiamo fatto questa scelta: è normale”. E noi rimaniamo sbigottiti. Ma non è 'contro' qualcuno, non è l’azione trasgressiva di anni passati contro gli adulti, alla ricerca della libertà dei costumi sessuali: non centra niente! È un nuovo modo di intendere questa fase dello sviluppo. Allora, su questo, riadattare il modello educativo è la faccenda più complessa.

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    Le aziende non discriminino la maternità: indagine dell’Università La Sapienza

    ◊   E' possibile conciliare carriera e maternità? Gravidanza equivale forse a ridotta produttività sul posto di lavoro? Le donne che lavorano, come vivono la loro gravidanza in azienda? Sono alcune delle domande contenute in un’indagine dell’Università “La Sapienza” su un campione di quasi 4 mila persone. Sui dati salienti di questa indagine, Emanuela Campanile ha intervistato il prof. Flaviano Moscarini, docente di Economia aziendale della Sapienza:

    R. - In Italia, c’è una drastica diminuzione della percentuale delle donne occupate dopo l’arrivo del primo figlio e soprattutto dopo il secondo figlio. Questi sono trend che devono essere invertiti ed un ruolo importante ce l’hanno le grandi organizzazioni produttive, le grandi imprese private che occupano milioni di persone. Hanno risorse per poter contribuire a migliorare le condizioni di lavoro delle donne lavoratrici.

    D. – Spesso si sente dire che le aziende diventano sempre più "a trazione femminile"...

    R. – Assolutamente sì. A trazione femminile perché la forza di lavoro è sempre più donna. Ciò vuol dire che, dall’altra parte, le donne occupano posizioni sempre più di rilievo all’interno delle organizzazioni produttive. Abbiamo rilevato, però, che esistono ancora ostacoli organizzativi come i rischi di discriminazion, o di emarginazione per la donna che vuole far carriera. Ad esempio: tendenzialmente quando una donna è in gravidanza, o quando una donna annuncia la sua gravidanza le persone tendono ad escluderla dai processi decisionali all’interno dell’azienda. Questi sono elementi che determinano una sorta di paura da parte della donna nel voler avere figli!

    D. – Dal punto di vista meramente economico è davvero così penalizzante?

    R. – L’azienda deve assumere un atteggiamento proattivo nei confronti della maternità e della gravidanza: si deve far carico di un percorso, un programma di sostegno alla maternità volto a rimuovere eventuali ostacoli organizzativi, che ora fanno sì che la donna ritardi il momento della gravidanza. Le aziende hanno anche un ruolo sociale al fine di non impedire alle donne di portare avanti una gravidanza, o comunque di avere figli ma anzi di incentivare le donne ad averli, anche tanti, e magari in età molto più giovane!

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    Napoli, Forum Grenaccord sul riciclo di beni durevoli. Masullo: basta specare risorse

    ◊   Quali sono i sistemi di smaltimento migliore per i rifiuti, in che modo educare al riciclo dei beni durevoli e come si affronta questo problema in Italia e nel mondo? Queste sono alcune delle domande a cui oltre 100 giornalisti provenienti da tutto il mondo proveranno a dare una risposta nel decimo Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia del creato, promosso dall’associazione Greenaccord Onlus che si è aperto oggi a Napoli a Castel dell’ Ovo. L’incontro sul tema “ People building future. Un futuro senza rifiuti”, vede la presenta di esperti internazionali che proporranno vie alternative per modello di sviluppo sostenibile sia da un punto di vista economico che ecologico e sociale. Marina Tomarro ha intervistato Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico di Greenaccord:

    R. – Il tema dei rifiuti noi lo affrontiamo non come un problema da risolvere a valle – perché purtroppo a valle dopo che il rifiuto è stato prodotto le soluzioni non sono mai sufficienti – ma un problema che va risolto a monte. La società deve imparare a produrre benessere e progresso, senza causare danni, senza causare rifiuti, come fa la natura. E’ per questo che abbiamo cominciato già questa mattina, partendo dal debito ecologico con William Reese, fino ad affrontare il discorso dei flussi di materia, che entrano nell’economia umana, e continuando soprattutto su dove finiscano, in che condizioni vadano poi a inquinare il pianeta. Noi non possiamo più permetterci di sprecare risorse e inquinare. Dobbiamo cominciare a correggere il processo economico verso la ciclicità, che ci ha insegnato da sempre il creato, che ci ha insegnato da sempre la natura.

    D. – Napoli purtroppo è stata proprio al centro del problema dei rifiuti. Allora, in Italia cosa si può fare di concreto?

    R. – Abbiamo scelto Napoli proprio per questo, perché Napoli è salita alla ribalta internazionale tristemente non per le sue bellezze, ma per avere avuto cumuli di rifiuti nelle strade. E in Italia ci sono tantissimi begli esempi di raccolte virtuose, in cui si riesce a separare e a raccogliere in maniera ottimale i rifiuti. Ancora, però, siamo molto indietro nella fase del riciclo e soprattutto nell’affrontare il problema. Non bisogna più produrre merci che generino rifiuti. Tutti i materiali devono essere riciclabili o per lo meno biodegradabili, perché non producano più questi drammatici danni.

    D. – Ma si può pensare a un progetto di educazione ambientale? Tra l’altro, in questo Forum sono presenti anche 50 studenti di diversi istituti superiori di Napoli...

    R. – Insieme al Ministero dell’Ambiente lanciamo una sorta di concorso a premi tra le scuole della Campania. Dieci istituti porteranno cinque studenti ciascuno, che ascolteranno le relazioni internazionali e faranno poi un lavoro multimediale. Quindi, lanciamo anche nel futuro il nostro messaggio attraverso questi giovani.

    D. – Questo è il decimo Forum internazionale di Greenaccord. Da ieri a oggi, com’è cresciuto e com’è cambiato?

    R. – Questa Associazione ci è cresciuta, con nostra grande sorpresa, tra le mani perché evidentemente ha colto un bisogno molto sentito: il bisogno di comunicare, da parte degli scienziati alla gente comune, la loro preoccupazione per il futuro dell’umanità, per il futuro del nostro pianeta. E questo è l’aspetto più importante che la nostra Associazione ha saputo cogliere: mettere insieme, a confronto, scienziati, giornalisti per comunicare alla gente che questa strada è sbagliata, che si prospetta un futuro molto difficile e che però esiste la possibilità di cambiare strada per poter continuare a produrre benessere anche per le generazioni future.

    E all’ incontro era presente anche l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe:

    R. - Almeno noi, qui in Campania, abbiamo cercato di sensibilizzare i parroci perché a loro volta, sensibilizzando i fedeli, potessero essere parte attiva nello svolgere questo, che è un compito poi per tutti. Sicché, molte parrocchie si sono attrezzate attraverso il volontariato, attraverso la ricerca anche di siti idonei, attraverso poi i contatti con le istituzioni a svolgere un compito che alla fine è risultato veramente benefico e positivo per tutta la comunità. Naturalmente, mettendo insieme le varie comunità parrocchiale e poi anche a livello di diaconato, la diocesi ha potuto dare una risposta concreta e vera a questo problema.

    D. - E la comunità campana ha cercato di rispondere con impegno a questi appelli…

    R. - Io credo che adesso sia maturata molto la mentalità. E questo è dovuto a che cosa? Proprio al fatto di una esperienza di questi ultimi tempi, soprattutto proprio in questi ultimi tempi, drammatica, violenta, che era sotto gli occhi di tutti e che qui tutti toccavano con mano una situazione che era raccapricciante a dir poco… Allora, tutto questo poi ha fatto sì che soprattutto adesso – ma ancora continua – si prendesse coscienza del dramma e che si cerchi ognuno poi di fare la propria parte. Io sono convinto che, sì, la Chiesa, la scuola, le istituzioni, la famiglia abbiano una funzione centrale, ma ci vuole anche una coscienza personale, una crescita di civiltà per cui ognuno di sente responsabile della situazione, dando quindi positivamente il suo contributo.

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    Il rev. Tveit, segretario generale del Cec: costruire ponti in un mondo diviso

    ◊   Si avvia verso la conclusione la 10.ma Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec), che si sta svolgendo a Busan, nella Corea del Sud, sul tema: ‘Dio della Vita, portaci alla giustizia e alla pace’. L'evento che riunisce oltre 330 Chiese cristiane, con la Chiesa cattolica con il ruolo di osservatore, terminerà l'8 novembre. Sulle prospettive di questo incontro, Philippa Hitchen ha intervistato il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del Cec:

    R. – I hope and pray that this will really be a gathering where we got a new …
    Spero e prego che questo possa essere un incontro nel quale abbiamo trovato un nuovo impegno da parte delle Chiese e dei nostri partner ecumenici nella collaborazione all’interno del Consiglio Ecumenico delle Chiese, nel rinnovato impegno di lavorare in vista dell’unità tra di noi, per l’unità, quindi, e per la giustizia e la pace nel mondo. Ho la sensazione - ma queste sono mie riflessioni – che le mie aspettative sono sempre maggiori e ho sempre maggiore speranza che questo, ora, possa realizzarsi.

    D. – In un certo senso, questo sottolinea il ruolo multiforme del Cec e conseguentemente anche il suo stesso ruolo. Lei come si considera? Un leader politico, diplomatico, spirituale … Qual è il nucleo del Cec, oggi?

    R. – I’m a pastor, and I am called to be in this role as a pastor. …
    Io sono un pastore, e in questo ruolo rimango un pastore. Questo significa che noi lavoriamo insieme in quanto Chiese sulla base della nostra fede, sulla base della nostra chiamata a portare una testimonianza al mondo dell’amore di Dio e del desiderio di unità, di pace e di giustizia di Dio per tutti. Questo significa che dobbiamo rivolgerci anche a quelle situazioni in cui c’è divisione non soltanto tra le Chiese, ma dove le persone stesse sono divise per ragioni politiche o per ragioni diverse, come conflitti, ingiustizie, ingiustizie economiche, anche, tra ricchi e poveri … Se noi riusciamo a svolgere il nostro ruolo come costruttori di ponti tra persone divise, allora abbiamo risposto in parte alla nostra vocazione cristiana e alla chiamata a dare testimonianza. Non si tratta quindi di un ruolo politico in senso stretto, ma fa parte della nostra testimonianza al mondo.

    D. – La Chiesa è presente qui con una delegazione di osservatori: essa collabora strettamente attraverso i gruppi di lavoro congiunti, ed è membro a pieno titolo di “Faith and Order”. Le piacerebbe che la Chiesa cattolica avesse, in questo ambito, un maggiore supporto ed un più ampio ruolo?

    R. – Yes. Even if I am quiet happy with how strong the participation already is, …
    Sì. Anche se sono già pienamente soddisfatto dell’importante partecipazione che già esiste. I partecipanti cattolici contribuiscono in molti modi, anche in ambiti diversi da quelli che lei ha menzionato. Ci sono anche membri dello staff che appartengono alla Chiesa cattolica, inviati dal Vaticano. Dal mio punto di vista, ci troviamo in una situazione particolare, anche per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica. Credo che molti abbiano la percezione che il messaggio che viene da questa Assemblea è lo stesso messaggio di Papa Francesco, il messaggio che egli vuole portare come impegno della Chiesa sia a livello internazionale, sia a livello delle Chiese locali. E io credo che questo dia anche a noi una maggiore ispirazione a riconoscere possibili campi per una maggiore collaborazione, sia a livello del nostro Consiglio, sia a livello nazionale.

    D. – Di questo avete parlato?

    R. – Yes, we have a very good conversation with the Pontifical Council for promoting …
    Sì: noi abbiamo buone relazioni con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani; dopo questa assemblea ci incontreremo e parleremo dei programmi del nostro gruppo di lavoro congiunto. Sono sicuro – per quello che vedo a tutt’oggi – che vorremo rafforzare questo strumento e farne maggiore uso.


    All’Assemblea del Cec partecipa anche il delegato della Comunità di Sant'Egidio Leonardo Emberti Gialloreti. Philippa Hitchen lo ha intervistato:

    R. - L’Assemblea si svolge una volta ogni sette anni. La prima assemblea cui ho partecipato era quella di 28 anni fa. Lo scenario del mondo era completamente diverso: c’era un mondo europeo ancora diviso dalla Cortina di ferro, quindi Chiese dell’Est e Chiese dell’Ovest. Oggi la realtà è radicalmente cambiata: oggi ci confrontiamo in un mondo globalizzato fra Nord e Sud. Questo ha portato il Consiglio Ecumenico delle Chiese a dover rispondere a domande radicalmente diverse: se prima doveva, in qualche modo, aiutare cristiani in difficoltà nell’Europa comunista ad avere un contatto e uno sguardo col mondo, oggi il Consiglio Ecumenico delle Chiese deve affrontare delle sfide molto diverse, per esempio i cristiani in difficoltà nei Paesi del Medio Oriente, che sono le difficoltà che nascono da un mondo globalizzato.

    D. - Da qui il tema di questa decima Assemblea, concentrata sulla giustizia e la pace…

    R. - Sì. Queste assemblee, in questi ultimi anni, si sono in particolare concentrate sull’aspetto della pace. E’ stata vista la pace come una grande domanda, ma allo stesso tempo anche come qualcosa che può unire i cristiani in un impegno comune per il bene del mondo.

    D. – E qui in Asia dove ci troviamo, in un Paese diviso, c’è un grande bisogno di riconciliazione e di pace…

    R. - Infatti, forse, la caratteristica principale di quest’Assemblea, che la differenzia dalle altre, è proprio il fatto di trovarsi qui in Asia, in un mondo in cui i cristiani non sono maggioranza, ma in alcuni casi e in alcuni Paesi addirittura una piccola minoranza. E qui allora nasce la grande domanda di come i cristiani uniti possano dare una testimonianza molto più forte ad un mondo che aspetta la Parola di Dio.

    D. - Da moltissimo tempo, per la Comunità di Sant’Egidio ti occupi dei rapporti con il mondo protestante. Vedi un’apertura crescente verso la riconciliazione?

    R. - Naturalmente le divisioni ci sono e la storia non si può cancellare in un momento, ma vedo come - anno dopo anno - attraverso l’incontro personale, attraverso la conoscenza più approfondita sia delle persone, sia anche delle dottrine, delle teologie, questo sta aiutando a superare tante idee che forse erano più pregiudizi che veramente giudizi.

    D. - Qui sembra esserci una grande attesa verso Papa Francesco e verso dei possibili progressi nel cammino ecumenico…

    R. - Non c’è dubbio che l’elezione di Papa Francesco abbia suscitato grande simpatia sia nel mondo protestante, sia nel mondo ortodosso. Ma va anche detto che questa simpatia è andata crescendo anche nei Pontificati precedenti. Forse vediamo oggi con ancora più chiarezza come il Papa di Roma possa in qualche modo rappresentare cristiani anche di confessioni diverse. Molti qui, in questi giorni, mi dicono di sentirsi rappresentati in qualche modo dal Papa. Questo è un grande segno di unità.

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    Milano. Il card. Scola ricorda Lazzati in apertura dell'anno accademico della Cattolica

    ◊   Una Messa per segnare l'inizio dell’Anno accademico dell’Università Cattolica di Milano. A presiederla, stamattina, nella Basilica milanese di Sant'Ambrogio, è stato il cardinale arcivescovo della città, Angelo Scola, che ha ricordato anche la recente proclamazione a Venerabile di Giuseppe Lazzati, che dell'ateneo milanese fu rettore in anni difficili, dal 1968 al 1983. Da Milano, il servizio di Fabio Brenna:

    “Con il decreto di Papa Francesco che dichiara Giuseppe Lazzati Venerabile”, ha osservato il cardinale Scola, “si aggiunge un altro tassello, dopo quelli del Beato Contardo Ferrini e dei Venerabili Ludovico Necchi e Armida Barelli, al mosaico di santità che l’Università Cattolica va componendo nella sua storia preziosa per la Chiesa e la Società italiana, fedele alla missione affidatale da Achille Ratti, che inaugurandola il 7 dicembre 1921, poco prima di diventare Papa Pio XI ricordava come “Università Cattolica vuol dire il connubio della fede e della scienza fatta viva e feconda realtà”. Il postulatore della Causa, Piergiorgio Confalonieri, ha poi letto il testo del Decreto super virtutibus, promulgato il 5 luglio scorso, che riconosce come Lazzati abbia vissuto in modo singolare – tecnicamente "eroico" – tutte le virtù cristiane, ha spiegato ancora il cardinale Scola:

    Giuseppe Lazzati nacque a Milano nel 1909 ed è stato studioso, giornalista e politico, e soprattutto grande formatore del laicato, cui attribuiva la vocazione di “ordinare le realtà temporali secondo Dio”, vivendo in modo appassionato la stagione del Concilio Vaticano II. Nel 1939, fondò l’Istituto secolare per laici consacrati "Cristo Re". Autore di numerosi saggi e interventi, Lazzati morì il 18 maggio 1986. La fase diocesana del processo di Canonizzazione venne chiusa nel 1996 dal cardinale Carlo Maria Martini, legato da grande amicizia a Lazzati.

    Al termine della celebrazione, l’Anno accademico della Cattolica è stato inaugurato con il discorso del Rettore Franco Anelli che ha fatto il punto sulla complessa realtà dell’Università oggi, fatta di quattro sedi, 12 facoltà, circa 41 mila studenti e 1400 docenti. L’ex ministro Dino Piero Giarda, docente dell’ateneo, ha tenuto poi la prolusione sulle “dinamiche dei rapporti finanziari tra Stato e Autonomie locali in Italia: una prospettiva storica”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Vescovi africani: "no" a miseria, sfruttamento dei poveri e risorse naturali

    ◊   I vescovi africani dicono “no alla miseria” in un messaggio a conclusione della riunione a Bujumbura, in Burundi, del coordinamento Giustizia e pace del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, che ha sede ad Accra, in Ghana). Nel testo inviato all'agenzia Sir e firmato da mons. Gabriel Justice Yaw Anokye, arcivescovo di Koumassi (Ghana) e vicepresidente del Secam, elencano chiaramente ciò che produce miseria in Africa e Madagascar. Esprimono un “netto rifiuto dello sfruttamento dei più poveri e dei più deboli, la riduzione in schiavitù, il traffico dei nostri bambini e dei loro organi”; denunciano “l’insicurezza crescente in alcuni Paesi e regioni del continente”, ricordando “le violenze e le vessazioni criminali in Centrafrica, i conflitti ricorrenti nella Repubblica Democratica del Congo, il fanatismo e l’estremismo religioso in Nigeria, Mali, Egitto, Somalia, Kenya e Tanzania”. I vescovi dicono “no” allo “sfruttamento ingiusto delle nostre risorse naturali, con l’industria mineraria che provoca conflitti violenti e criminali”. Il loro auspicio è che “gli Stati africani abbiano il coraggio di scrivere e votare delle leggi che proteggano le rispettive risorse naturali”. E chiedono ai Paesi di percorrere la strada del “buon governo, che esclude tutte le forme di corruzione e cattiva gestione”. I vescovi africani esprimono poi preoccupazione per la gestione delle acque del fiume Nilo, da cui dipende “il benessere minimo delle popolazioni e dei Paesi sulle sue rive”. A questo proposito invitano ad “un dialogo paziente e fruttuoso”. Si impegnano, inoltre, per “una cultura democratica rispettosa della libertà d’opinione”, chiedendo “una democrazia che tenga conto dei diritti dell’immigrato e affronti senza ipocrisia la questione dei rifugiati nel rispetto della loro dignità umana fondamentale”. Tra le richieste: “il rispetto della Costituzione di ogni Paese, offrendo ai cittadini la possibilità di una alternanza politica”. Per ciò che riguarda i crimini contro l’umanità, si dicono favorevoli “al diritto legale e penale”. I vescovi africani, come hanno fatto alcune settimane fa in un messaggio specifico sulla tragedia del 3 ottobre a Lampedusa, esprimono poi un pensiero speciale per le vittime del naufragio e le loro famiglie. Si impegnano, infine, a rafforzare le loro strutture Giustizia e pace “per un dialogo efficace con i popoli africani, le organizzazioni della società civile, i diversi gruppi religiosi e i governi”. (R.P.)

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    Terra Santa. Il patriarca Twal: le demolizioni israeliane sabotano la pace

    ◊   “Non c'è giustificazione alla demolizione, e quando la municipalità di Gerusalemme e il governo di Israele ordinano demolizioni e cacciano le persone dalla proprie case, queste azioni alimentano odio e minano il futuro di pace”. Con queste parole il patriarca di Gerusalemme dei latini Fouad Twal ha condannato la recente demolizione di una casa costruita su una proprietà del Patriarcato latino da parte dei bulldozer della municipalità gerosolomitana, scortati da soldati dell'esercito israeliano. Le forti dichiarazioni - riprese dall'agenzia Fides - sono state rilasciate dal patriarca durante la visita da lui compiuta sul luogo della demolizione, nel pomeriggio di ieri. Ad accompagnare il patriarca c'erano anche i vescovi William Shomali e Giacinto Boulos Marcuzzo, insieme a un gruppo di sacerdoti e di consulenti legali del patriarcato latino e a diversi consoli di Paesi stranieri, compresi quelli di Italia e Belgio. Il terreno su ci sorgeva la casa demolita lo scorso 28 ottobre si trova in prossimità del checkpoint che separa Gerusalemme da Betlemme, e apparteneva al patriarcato latino da prima del 1967. La casa era abitata dalla famiglia di Salameh Abu Tarbush, composta da 14 persone, che hanno raccontato di essere state cacciate dalla propria residenza dai soldati alle cinque del mattino, dopo che erano stati loro sequestrati i cellulari. “Noi siamo i legittimi proprietari” ha aggiunto il patriarca Twal “e voi sentirete la nostra voce davanti a tutti i governi del mondo, intraprenderemo azioni legali davanti alle Corti competenti per cancellare questa ingiustizia, ristabilire la giustizia e ricostruire questa casa”. La famiglia che abitava nella casa demolita per ora ha trovato ospitalità in alcune tende fornite dalla Croce Rossa. Per protestare contro l'atto, definito dalla Chiesa cattolica locale "illegale" e "senza precedenti", mons. Fuad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, ha scritto una lettera di protesta al ministro degli Interni israeliano Gideon Sa'ar. (R.P.)

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    Messico. Mons. Vera Lopez al Congresso di Coahuila in difesa dei diritti dei migranti

    ◊   “Il Messico è bocciato in materia di diritti umani: all’estero siamo diventati un Paese che si distingue perché qui uccidiamo i migranti”. Sono parole molto dure quelle pronunciate ieri dal vescovo della diocesi messicana di Saltillo, mons. José Raúl Vera López, nella sede del Congresso di Coahuila. Un evento di portata storica, come riferisce in una nota l’agenzia Fides: mons. Vera Lopez è infatti il primo vescovo della Chiesa cattolica a parlare nella sede del potere legislativo messicano, dove ha tenuto una conferenza su “I diritti umani dei migranti” che cercano di raggiungere gli Stati Uniti. Di fronte a oltre 500 persone, il presule ha denunciato lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina che affligge il Paese sotto gli occhi delle autorità. Anzi, è proprio la polizia che “ha consegnato nelle mani della criminalità organizzata i migranti, i treni si fermano per fare in modo che le guardie riescano a riscuotere dai migranti un migliaio di dollari e chi non paga viene gettato fuori”. Per attraversare il confine e arrivare negli Stati Uniti in cerca di lavoro ogni persona “senza documenti” paga da 3 a 5mila dollari ai trafficanti. Il vescovo di Saltillo porta avanti dal 2010 l’impegno per la difesa dei diritti dei migranti, intervenendo nelle sedi dei più importanti organismi internazionali e invitando tutti a unirsi alla difesa degli immigrati privi di documenti attraverso la campagna “Visa Transmigrante, por una migracion sin violencia”. Alla conferenza è poi intervenuto Rodolfo Garcia Zamora, specialista di migrazioni dell’Università Autonoma di Zacatecas, il quale ha dichiarato che 11 milioni di messicani hanno lasciato il Paese a causa dell’incapacità del modello economico e dell’assenza di una politica di sviluppo sociale. (A.P.)

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    Chiese europee. Mons. Crepaldi: i volti della povertà in Europa sono drammatici

    ◊   “I volti della povertà in Europa sono molti e sono anche drammatici, segnati da dolore e da tanta privazione”. Lo dice mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste nonché presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Ccee che si occupa di carità, raccontando all'agenzia Sir quanto emerso a Trieste all’incontro dei vescovi e delegati responsabili degli interventi caritativi delle Chiese in Europa, promosso dal Ccee e dal Pontificio Consiglio “Cor Unum” sul tema “Testimoniare la fede attraverso la carità”. “Emerge - aggiunge - una forbice che si allarga nel segno della disuguaglianza tra Paesi dell’Europa occidentale e orientale. E una forbice che si allarga all’interno degli stessi Paesi tra le persone che stanno bene e le persone, soprattutto del ceto medio, che stanno scendendo verso le fasce della povertà e dell’emarginazione sociale. Le cause sono tante: quella più evidente è la conseguenza della crisi economico-sociale che stiamo vivendo”. Che cosa fa la chiesa? “La Chiesa - dice mons. Crepaldi - è sempre stata sul fronte della povertà e non può che essere così, perché i poveri sono il grande tesoro della Chiesa. E opera con una certa capacità creativa nel venire incontro ai bisogni dei poveri”. Dunque una Chiesa che dimostra di essere all’altezza dei tempi e della crisi per quel “surplus di amore - confida l’arcivescovo di Trieste - che ci viene dalla nostra fede di cristiani”. (R.P.)

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    Francia. I vescovi dalla plenaria a Lourdes: la Chiesa deve uscire nel mondo

    ◊   Seguire l’esempio di Papa Francesco, proponendo un modello di Chiesa povera e dialogante, capace di uscire nel mondo e di ascoltare chi soffre “per annunciare con coraggio l’amore di Dio per ogni uomo”. Con questo invito il neo-presidente della Conferenza episcopale francese (Cef), mons. George Pontier, ha aperto i lavori della Plenaria autunnale dei vescovi, in corso da ieri fino al 10 novembre a Lourdes. Un lungo e articolato intervento in cui l’arcivescovo di Marsiglia, succeduto quest’anno al card. André Vingt-Trois, ha più volte evocato temi cari a Papa Bergoglio, anche in riferimento alle questioni al centro del dibattito politico in Francia. Così il presule si è soffermato sulla difesa dei membri più vulnerabili della società verso i quali la Chiesa ha una particolare attenzione: i poveri, i bambini e gli immigrati. Riferendosi alla controversia in corso sui rom e alle recenti misure del governo Hollande contro gli immigrati irregolari, mons. Pontiers ha criticato la mancanza di politiche alternative alla mera repressione e al “rifiuto dell’accoglienza” e l’insufficienza di mezzi per accompagnare gli immigrati irregolari “che vivono pacificamente nel Paese”. A preoccupare la Chiesa francese è poi la crisi economica che - ha detto il presidente della Cef - sta scavando un “fossato sempre più grande tra i più ricchi e i poveri”. Di qui l’appello a lavorare per una società più giusta a ritrovare un “minimo senso di fratellanza e solidarietà reale”. Un invito che riguarda anche i vescovi. Mons. Pontiers ha ricordato che Papa Francesco chiede al vescovo di vivere una vita semplice e all’insegna “della compassione, della carità e della misericordia”. Nel suo intervento l’arcivescovo di Marsiglia non ha mancato di affrontare altri argomenti controversi nel dibattito politico in Francia, ribadendo la posizione della Chiesa: dalla procreazione assistita, alla legiferazione sull’eutanasia, al matrimonio per tutti. Gli interventi dei vescovi su questi e altri temi che riguardano la vita della società francese – ha puntualizzato - non violano la necessaria separazione tra le Chiese e lo Stato. Esso deve mantenere una “neutralità benevola”: “Lo Stato è laico, ma la società è composta di persone e gruppi con convinzioni diverse che devono imparare a dialogare", senza "esprimere una volontà egemonica. I cristiani – ha poi assicurato - sono cittadini che amano il loro Paese e che sono mossi solo dalla ricerca di quello che è meglio per tutti”. Mons. Pontier ha concluso il suo intervento con un accenno ai numerosi e importanti argomenti all’ordine del giorno dell’Assemblea: l’Europa a qualche mese dalle elezioni europee del 2014, così importanti per il futuro e la pace nel continente; il fenomeno dell’aborto e le sue drammatiche conseguenze e il connesso tema dell’educazione all’affettività dei giovani; la presenza dei cattolici nella società francese; il servizio della Chiesa ai più poveri e la formazione dei sacerdoti. Un altro tema affrontato dai vescovi francesi sarà infine il dramma dei cristiani in Medio Oriente e in altre parti del mondo. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Giordania: corsi di studio online dei Gesuiti per i rifugiati siriani

    ◊   Un’assistenza di tipo emergenziale non è sufficiente per offrire un futuro ai rifugiati, in fuga da Paesi in guerra e carestie. È necessario fornire strumenti di conoscenza concreti che li aiutino a uscire dalla condizione passiva di rifugiati per assumere iniziative e responsabilità da mettere a disposizione delle proprie comunità di appartenenza. Ne è profondamente convinta la Compagnia di Gesù che, attraverso le sue reti assistenziali, ha predisposto corsi di educazione superiore online anche in Giordania, dove i rifugiati siriani sono ormai più di 500mila. A riferirlo è una nota del Jesuit Refugee Service (Jrs) pervenuta all’agenzia Fides. Il programma d’istruzione denominato “Higher Education at the Margins”, già sperimentato in altre aree di emergenza, è stato inaugurato dal Jrs ad Amman lo scorso luglio. L’esordio ha subito incontrato un’accoglienza sorprendente, con il boom di iscrizioni ai corsi semestrali propedeutici di carattere metodologico, a cui seguiranno percorsi d’istruzione nei campi del turismo, dell’assistenza medica, della giurisprudenza e delle attività sociali gestite da Ong. Conclusione del percorso di studi sarà poi il rilascio di diplomi riconosciuti dalla Regis University, l’ateneo gestito dai gesuiti con sede in Colorado, Usa. L’obiettivo – rende noto l’agenzia Fides – è quello di indirizzare verso obiettivi concreti l’energia intellettuale e professionale delle persone costrette a fuggire dalle proprie case e, in ottica di lungo periodo, favorire il rifiorire di contesti e tessuti sociali lacerati dall’odio e dalla violenza. L’efficacia dell’iniziativa è dimostrata dai primi frutti del programma: ad Amman infatti alcuni allievi, di età compresa tra 17 e 50 anni, sono già impegnati in attività di assistenza medica ai rifugiati negli ospedali cittadini. Tra loro molti giovani siriani fuggiti dalle proprie città d’origine prima di iniziare i propri corsi universitari. (A.P.)

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    Myanmar: tra governo e milizie etniche nessuna tregua ma solo colloqui costruttivi

    ◊   Nonostante l’incontro di due giorni tra negoziatori governativi e delle milizie etniche per raggiungere un accordo di cessate-il-fuoco generale non abbia portato a un risultato definitivo, le Nazioni Unite hanno espresso il loro parere favorevole al dialogo in corso tra le parti, definito “mossa significativa” per arrivare alla fine di decenni di guerra civile nell’ex Birmania. Indubbiamente, l’incontro delle parti che si è concluso ieri nella capitale dello Stato Kachin, Myitkyina, ha rappresentato un punto di svolta, sia perché ha riunito 18 gruppi etnici (che si erano a loro volta consultati la scorsa settimana per arrivare con una posizione il più possibile condivisa sulla proposta in 15 punti del governo), sia per il clima costruttivo delle trattative. Il risultato pratico - riferisce l'agenzia Misna - ovvero un accordo di massima per l’armistizio e l’avvio di un dialogo politico con le minoranze è stato salutato ieri sera, al termine dei colloqui, dall’inviato speciale per il Myanmar del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, come “una mossa significativa verso un processo di riconciliazione nazionale”. Le due parti hanno accettato di incontrarsi nuovamente a dicembre, questa volta nella capitale dello Stato Karen, Pa-an, ma negoziatori governativi hanno ammesso che il cessate-il-fuoco cercato entro questi mese dal governo, non ci sarà. Un elemento di disaccordo, oltre alla non univocità delle posizioni tra i gruppi etnici, è il rifiuto delle milizie etniche di accettare lo scioglimento, mentre chiedono un esercito federale nazionale con la partecipazione di tutti i gruppi minoritari. (R.P.)

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    Bangladesh: ergastolo ed esecuzioni per 312 guardie di frontiera per il massacro del 2009

    ◊   Pena capitale ed ergastolo per 312 militari, coinvolti nella rivolta dei Bangladesh Rifle (guardie di frontiera) avvenuta nel 2009 e che causò oltre 160 morti in tutto il Paese. A emettere la sentenza, ieri, un tribunale speciale di Dhaka. Nello specifico, i soldati condannati a morte sono 152; 160 invece quelli destinati al carcere a vita. La Corte - riporta l'agenzia AsiaNews - ha condannato altre 263 persone a pene minori (dai 3 ai 10 anni di prigione) e assolto per mancanza di prove 271 imputati. Il 25 febbraio del 2009 i Bangladesh Rifle hanno scatenato una rivolta nel loro quartier generale di Dhaka, in protesta per i salari in arretrato non pagati. I paramilitari insorti hanno ucciso alcuni ufficiali e preso in ostaggio i familiari. L'insurrezione ha scatenato la reazione dell'esercito governativo. Durati due giorni e dilagati anche in altre zone del Paese, gli scontri hanno provocato 160 morti, tra cui almeno 140 ufficiali dell'esercito e 20 civili. Dopo il massacro, i Bangladesh Rifle sono stati "sciolti" e ricreati sotto il nome di Border Guard Bangladesh (Bgb). In teoria il gruppo paramilitare - che risponde al ministero degli Interni - ha il compito di sorvegliare i 4mila chilometri di confine che separano il Bangladesh da India e Myanmar. (R.P.)

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    India: vescovo del Kerala chiede al governo di dare una casa ai senzatetto

    ◊   Dare una casa ai senzatetto in Kerala: è l’appello lanciato al governo dello Stato del Kerala da Philipose Mar Crisostomo, arcivescovo metropolita della Chiesa siro-malankarese indipendente “Mar Thoma”, in Kerala. Come appreso dall'agenzia Fides, il Primo Ministro del Kerala, Oommen Chandy, ha visitato la casa del metropolita che, nato nel 1918, è uno dei vescovi più anziani dell’India, personalità molto rispettata e apprezzata in decenni di lavoro pastorale e di opere spirituali. Chandy, con l’occasione, ha illustrato ai leder della Chiesa il progetto “Zero Landless” (“Nessuno senza terra”), che intende fornire un appezzamento di terra a tutti i contadini che non ne hanno uno. Con l’occasione il metropolita ha suggerito un identico progetto “Zero homeless” (“Nessuno senza casa”), chiedendo che lo Stato del Kerala rivolga la medesima attenzione a tutte le famiglie senzatetto. Il metropolita ha rimarcato che l'assistenza finanziaria deve giungere alla popolazione con i requisiti (“senza terra” o “senza tetto”) direttamente attraverso le istituzioni del governo locale , evitando intermediari, perché i fondi stanziati non si perdano nei rivoli della corruzione. Quella dei “senzatetto” in India è una della piaghe che affligge la società. Secondo stime ufficiali, le persone senza fissa dimora in India sono oltre 78 milioni. Secondo gli osservatori, dato il costo crescente di terreni e dei materiali edili, e il deterioramento delle condizioni economiche delle fasce sociali più basse, la questione non sembra poter essere affrontata senza interventi statali. (R.P.)

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    Irlanda: dichiarazione dei vescovi sul referendum sulle unioni gay annunciato dal governo

    ◊   “Il dibattito al centro del referendum annunciato ieri dal governo non riguarda l’uguaglianza o la falsa separazione tra visione religiosa e visione civile del matrimonio”, ma piuttosto “la vera natura del matrimonio stesso e l’importanza che la società attribuisce al ruolo di madri e padri nella cura dei figli”. Lo afferma Denis Nulty, vescovo di of Kildare & Leighlin, e membro del Comitato esecutivo dell’ Accord, Catholic Marriage Care Service, in una dichiarazione sul referendum sulle unioni gay - riferisce l'agenzia Sir - annunciato per il 2015. “Insieme ad altri - prosegue Nulty - la Chiesa cattolica continuerà a sostenere che le differenze tra uomo e donna” sono “fondamentali”, e che i figli hanno “il diritto naturale ad una madre e ad un padre, e questo, ove possibile, è il miglior ambiente per loro”. L’amore coniugale “è una forma unica di amore tra uomo e donna, che ha uno speciale beneficio per l‘intera società”. La Chiesa, “insieme ad altri di nessuna particolare visione religiosa”, considera la famiglia fondata sul matrimonio tra un donna e un uomo “l’istituzione più importante in ogni società. Modificare la natura del matrimonio significherebbe minarne il pilastro fondamentale”. Per questo, conclude il vescovo, la Chiesa parteciperà pienamente al dibattito democratico verso il referendum riaffermando che il matrimonio è l’unica relazione possibile per “la generazione e l‘educazione dei figli”. (R.P.)

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    Sudan. Raid aereo su una scuola elementare sui Monti Nuba: morti e feriti

    ◊   Cinque persone sono rimaste uccise e 20 ferite durante un bombardamento aereo su una scuola elementare nella città di El Abassiya sui Monti Nuba, nel Kordofan meridionale in Sudan. Secondo le informazioni diffuse da Radio Dabanga un aereo militare delle Sudanese Air Force (Saf) ha sganciato tre bombe sulla scuola elementare Dar es Salaam nel villaggio di Umm Marha che si trova nella parte occidentale di El Abassiya. Tra i morti - riferisce l'agenzia Fides - anche 3 bambini, mentre altri 20 piccoli sono rimasti feriti e trasportati all’ospedale della città. Il raid aereo ha inoltre distrutto case e allevamenti di bestiame. Le Saf hanno bombardato anche altre aree nella stessa località, suscitando orrore e panico tra la popolazione di Umm Marha e dei villaggi della parte occidentale. (R.P.)

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    Ciad: migliaia di bambini senza istruzione condannati alla povertà

    ◊   In Ciad l’istruzione pubblica è gratuita e obbligatoria, tuttavia, l’estrema povertà, le carenti infrastrutture scolastiche, la mancanza di materiale didattico e la scarsa preparazione degli insegnanti, trasforma l’istruzione scolastica in una grande sfida dalla quale dipende, in gran parte, lo sviluppo generale del Paese. Attualmente, solo l’ 1% dei bambini sono iscritti nella fascia prescolare. Nella scuola elementare continua ad esserci un enorme divario tra il tasso di scolarizzazione di bambine e bambini, con oltre il 20% di differenza tra entrambi i sessi. In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia, che si celebrerà il 20 novembre, la Fondazione Atresmedia, gruppo radio-televisivo spagnolo, ha lanciato la campagna “Una scuola, una vita” con l’obiettivo di rafforzare l’alfabetizzazione di oltre otto mila bambini di 17 scuole elementari della regione di Mongo in Ciad, costruire ed attrezzare un Centro di alfabetizzazione per la comunità, distribuire in queste scuole materiali per l’apprendimento, organizzare laboratori di lettura e scrittura non solo per i bambini ma anche per il resto della comunità, in particolare per le donne il cui indice di alfabetizzazione è solo del 21%. La campagna è partita il 1 novembre e finirà il 20 dello stesso mese. Nella regione di Mongo l’istruzione scolastica costituisce una grande sfida, dato che solo il 47% degli alunni che terminano la scuola elementare accedono alla media e il tasso di analfabetismo è molto alto, circa il 67%. Gli esperti di cooperazione ritengono che l’istruzione ha un impatto diretto con la riduzione della povertà e la promozione dello sviluppo sostenibile, aiuta le persone ad avere un maggiore controllo sulle proprie vite, amplia le loro opportunità e garantisce loro un futuro dignitoso. (R.P.)

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    Regno Unito: la Chiesa cattolica in campo per il salario minimo garantito

    ◊   I vescovi inglesi e gallesi sostengono in pieno il principio del reddito minimo di sussistenza garantito e chiedono a tutte le organizzazioni cattoliche del Regno Unito di lavorare per la sua applicazione. E’ quanto ribadito dal Segretario generale della Conferenza episcopale mons. Marcus Stock, in occasione della “Living Wage Week”, che si celebra questa settimana in tutto il Paese. A promuovere la campagna, è la Living Wage Foundation, una fondazione nata da un’iniziativa lanciata a Londra nel 2001 da un gruppo cittadini, datori di lavoro e associazioni laiche e religiose per sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sulla necessità di garantire un tenore di vita dignitoso a tutti i lavoratori e alle loro famiglie con un reddito minimo adeguato al costo della vita. Un’esigenza che si è fatta più pressante con la crisi economica che, anche nel Regno Unito, vede in drammatica crescita, oltre alla disoccupazione, il fenomeno dei cosiddetti poveri che lavorano. All’iniziativa aderiscono la Conferenza episcopale inglese e gallese, insieme ad altri importanti organismi cattolici come il Catholic Education Service (Ces), la Caritas inglese (Csan) e il Cafod, l’agenzia caritativa dei vescovi per gli aiuti ai Paesi d’oltremare. E proprio in occasione della “Living Wage Week” i vescovi hanno lanciato un appello a tutte le scuole, charities e organizzazioni cattoliche ad impegnarsi perché il principio del salario minimo garantito sia applicato. La Conferenza episcopale ha inoltre messo in rete diverso materiale informativo sull’argomento, con riferimento in particolare agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa sulla giusta retribuzione dei lavoratori. (L.Z.)

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    All’Assemblea della Cism riflessione sulla "Lumen Gentium" e la liturgia

    ◊   Ad Abano Terme, in Provincia di Padova, proseguono i lavori della 53.ma Assemblea Generale della Conferenza italiana Superiori maggiori (Cism), iniziati lunedì scorso. In questi due ultimi giorni si è parlato di “Fedeltà e Rinnovamento alla luce del Vaticano II” il quale “non fu - è stato detto - solo un fatto ecclesiale, ma un vero evento capace di raccogliere l’humus teologico-spirituale che lo precedeva, le attese del suo tempo e le prospettive del futuro”. Non è mancato un cenno alle sfide poste oggi alla Vita Consacrata, individuate nel “relativismo”; nel passaggio “dal super io al riconoscimento della propria finitudine”; nella convinzione che “si è arrivati alla fine della storia e si è approdati alla post-storia, dove non è più né il futuro né il passato ad occupare un posto, ma solo il presente”. Si è poi parlato di che cosa la Lumen Gentium chiede ai religiosi, e cioè che debbano consacrare la loro vita spirituale “al bene di tutta la Chiesa” sia con la preghiera che con il lavoro “per radicare il Regno di Cristo e dilatarlo in ogni parte della terra”, presentandolo ai fedeli e agli infedeli. E’ seguita una relazione sulla liturgia, considerata fonte di rinnovamento per la sua pastoralità, completezza, complessità, coerenza e cattolicità. “Il Concilio di Trento - ha detto don Luigi Girardi - ci diede una Chiesa europea; il Vaticano II ci ha dato una vivace Chiesa del mondo”. La giornata di oggi è stata caratterizzata dalle relazioni su “I segni dei tempi interpretati alla luce del Vangelo” e “Concilio Vaticano II: ermeneutiche a confronto”. Nel pomeriggio i 110 partecipanti all’Assemblea hanno recitato i Vespri nell’Abbazia di Praglia con i monaci Benedettini. (Da Abano Terme, padre Egidio Picucci)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 310

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.