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Sommario del 04/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ricorda cardinali e vescovi morti nel corso dell'anno: il male è impotente di fronte all'amore di Dio
  • Rinunce e nomine episcopali
  • Tweet del Papa: grazie a missionari, uomini e donne che lavorano per Dio e per i fratelli senza fare rumore
  • Conferenza sulla tratta di esseri umani. Mons. Sorondo: il Papa farà qualcosa d'importante
  • Il card. Filoni: Chiesa in Pakistan attiva in una realtà difficile, ha bisogno di solidarietà
  • Il card. Turkson: contro fame e povertà nel mondo, riscoprire solidarietà e fratellanza
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto. Rinviato a gennaio processo all’ex presidente. Morsi: è una farsa
  • Nuova missione in Medio Oriente per il segretario di Stato Usa Kerry
  • Stragi in Nigeria, mons. Kaigama: attacchi di Boko Haram sono contro l’umanità
  • Sovraffollamento carcerario e lentezza dei processi. L'Italia sotto esame a Strasburgo
  • Oltre 11 mila nuovi posti negli asili nido con il taglio delle Province
  • 4 novembre, Napolitano ringrazia i militari all'estero e per i soccorsi a Lampedusa
  • Il card. Dziwisz racconta il suo rapporto con Papa Wojtyla nel libro "Ho vissuto con un santo"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Myanmar: accordo fra le etnie per un "cessate il fuoco" su scala nazionale
  • Congo: segnata la sconfitta dell’M23 ma nel Nord Kivu vi sono altri 40 gruppi armati
  • Centrafrica. Seimila sfollati nella cattedrale di Bouar: la testimonianza di un missionario
  • Iraq. Patriarca Sako alla Chiesa caldea: Uniti in Cristo, per rispondere alle sfide della missione
  • Giordania: l'Opera Don Orione apre un Centro per i rifugiati siriani
  • Nepal: pastore cristiano protestante ucciso mentre pregava
  • Iran: cristiani frustati per aver bevuto vino eucaristico
  • Niger: arresti e chiusura dei campi di transito dei migranti
  • Messico: la Messa del migrante per riunire tante famiglie
  • Argentina: Plenaria dei vescovi su giovani, famiglia, missionarietà e necessità sociali
  • Myanmar: riprende l'esodo dei rohingya. Affonda un'imbarcazione
  • Turchia: il Museo di Ayasofia per ora non diventerà moschea
  • Polonia: i funerali di Mazowiecki, capo della primo governo post-comunista
  • Bangladesh: la Chiesa cattolica lancia il suo primo settimanale online
  • Terra Santa: due donne, una israeliana ed una palestinese, insignite del premio Monte Sion
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ricorda cardinali e vescovi morti nel corso dell'anno: il male è impotente di fronte all'amore di Dio

    ◊   “Uomini dediti alla loro vocazione”, il cui bene prodotto a servizio della Chiesa “è ben custodito” nelle mani di Dio. È il ritratto che Papa Francesco ha fatto questa mattina, dei cardinali e dei vescovi scomparsi nel corso dell'anno. In loro suffragio, il Papa ha presieduto la Messa nella Basilica di San Pietro, affermando che la speranza di un cristiano ha ragioni ben più profonde del limite imposto dalla morte. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La speranza cristiana è imbattibile, perché il peggiore dei mali non può recidere il legame d’amore tra Dio e l’uomo, men che mai la morte, che è una porta verso la vita e non un ponte che crolla tra una esistenza alle spalle e un abisso buio e sconosciuto di fronte. La lezione è di San Paolo e Papa Francesco la rammenta ai cardinali e ai vescovi che con lui ricordano i confratelli scomparsi nel corso dell’anno. Angeli e principati, presente e futuro, altezze, profondità, creature: niente, afferma l’Apostolo, “potrà separarci dall’amore di Dio”. E in questa medesima, rocciosa convinzione riposa – osserva Papa Francesco – “il motivo più profondo, invincibile della fiducia e della speranza cristiane”:

    “Anche le potenze demoniache, ostili all’uomo, si arrestano impotenti di fronte all’intima unione d’amore tra Gesù e chi lo accoglie con fede. Questa realtà dell’amore fedele che Dio ha per ciascuno di noi ci aiuta ad affrontare con serenità e forza il cammino di ogni giorno, che a volte è spedito, a volte invece è lento e faticoso. Solo il peccato dell’uomo può interrompere questo legame; ma anche in questo caso Dio lo cercherà sempre, lo rincorrerà per ristabilire con lui un’unione che perdura anche dopo la morte, anzi, un’unione che nell’incontro finale con il Padre raggiunge il suo culmine”.

    Certo, riconosce Papa Francesco, un dubbio può insinuarsi quando una persona cara, che abbiamo conosciuto bene, muore: “Che cosa ne sarà della sua vita, del suo lavoro, del suo servizio nella Chiesa?”. La risposta, soggiunge, arriva dal Libro della Sapienza, citato nella prima lettura: tutti loro “sono nelle mani di Dio”, laddove “la mano è segno di accoglienza e di protezione”, di “un rapporto personale di rispetto e di fedeltà”:

    “Questi pastori zelanti che hanno dedicato la loro vita al servizio dei Dio e dei fratelli, sono nelle mani di Dio. Tutto di loro è ben custodito e non sarà corroso dalla morte. Sono nelle mani di Dio i loro giorni intessuti di gioie e di sofferenze, di speranze e di fatiche, di fedeltà al Vangelo e di passione per la salvezza spirituale e materiale del gregge loro affidato”.

    Questi, conclude Papa Francesco, sono stati i cardinali e i vescovi scomparsi durante gli ultimi mesi, “uomini dediti alla loro vocazione e al loro servizio alla Chiesa", che "hanno amato come si ama una sposa”. A Dio interessa questa carità e questa dedizione, non i limiti umani contro i quali si deve lottare per testimoniare entrambe:

    “Anche i peccati, i nostri peccati, sono nelle mani di Dio; quelle mani sono misericordiose, mani ‘piagate’ d’amore. Non per caso Gesù ha voluto conservare le piaghe nelle sue mani per farci sentire la sua misericordia. E questa è la nostra forza e la nostra speranza. Questa realtà, piena di speranza, è la prospettiva della risurrezione finale, della vita eterna, alla quale sono destinati ‘i giusti’, coloro che accolgono la Parola di Dio e sono docili al suo Spirito”.

    E un’ultima preghiera, spontanea, Papa Francesco la dedica a chi non ha ancora attraversato la porta che prelude all’incontro con Dio:

    "Preghiamo anche per noi, che il Signore ci prepari a questo incontro. Non sappiamo la data, però l’incontro ci sarà!".

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    Rinunce e nomine episcopali

    ◊   Papa Francesco ha accettato la rinuncia all'ufficio di esarca e superiore generale della Congregazione d'Italia dei Monaci Basiliani, a norma del CCEO can 210 – par. 1 presentata dal padre Archimandrita Emiliano Fabbricatore, O.S.B.I.

    Il Papa ha nominato amministratore apostolico ad nutum Sanctae Sedis del Monastero Esarchico di Santa Maria di Grottaferrata S.E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano.

    Il Pontefice ha nominato egumeno dell'Abbazia Territoriale di Santa Maria di Grottaferrata il Rev.mo Abate Michel Van Parys, O.S.B.

    In Siria, Papa Francesco ha nominato vicario apostolico di Aleppo dei Latini padre Georges Abou Khazen, dei Francescani minori, finora amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis del medesimo Vicariato, elevandolo alla dignità episcopale e assegnandogli la sede titolare vescovile di Rusado. Mons. Khazen è nato il 3 agosto 1947 ad Aïn Zebdeh, nell’Eparchia di Saïda dei Maroniti (Libano). È entrato nell’Ordine dei Frati Minori e fa parte della Custodia di Terra Santa. Vi ha emesso i voti perpetui il 3 agosto 1972. Ha compiuto gli studi all’Università di Kaslik-Libano. Il 28 giugno 1973 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. È stato inviato come vicario parrocchiale ad Alessandria d’Egitto ed in seguito a Gerusalemme presso la parrocchia del Ss.mo Salvatore, della quale è divenuto parroco nel 1975. Dal 1983 al 1998 è stato parroco a Betlemme e poi nuovamente a Gerusalemme fino al 2004. Da allora è guardiano e parroco di S. Francesco in Aleppo e Vicario Generale per il Nord della Siria. Ha ricoperto vari incarichi in diverse commissioni diocesane e custodiali a Gerusalemme e in Siria. E’ stato consigliere del Custode. Dal marzo 2013 è Amministratore Apostolico del Vicariato di Aleppo. Parla arabo, italiano e francese.

    In Polonia, il Papa ha nominato ausiliare dell’Arcieparchia di Przemyśl-Warszawa dei Bizantini il sacerdote mitrato Eugeniusz Mirosław Popowicz, finora protosincello e parroco della Cattedrale di Przemyśl, assegnandogli la sede titolare di Orreacelia. Mons. Popowicz è nato il 12 ottobre 1961 a Człuchów, in Polonia. Superati gli esami di maturità, nel 1981 fu ammesso al Seminario maggiore di Lublin. Venne ordinato sacerdote il 17 ottobre 1986 a Stargard Szczeciński. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale a Elblag e Pasłęk; studente presso il Pontificio Istituto Orientale a Roma, dove ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico Orientale; vicario giudiziale e docente nel Seminario maggiore a Leopoli; vicario episcopale e parroco a Górowo Iławeckie e Lelkowo; docente nel Seminario maggiore dei Padri Basiliani a Przemyśl; membro del Consiglio presbiterale, del Collegio dei consultori e del Consiglio economico. Dal 1996 è Parroco della Cattedrale bizantina di Przemyśl e Protosincello dell’Arcieparchia. Parla polacco, ucraino, italiano, russo e inglese.

    In Austria, il Pontefice ha accettato la rinuncia di mons. Alois Kothgasser, della Congregazione salesiana, all’ufficio di arcivescovo di Salzburg, presentata per raggiunti limiti di età.

    In Polonia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Warszawa, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Marian Duś. Al suo posto, il Papa ha nominato monsi. Józef Górzyński, del clero della medesima arcidiocesi, finora moderatore della Curia metropolitana, e mons. Rafał Markowski, finora docente di ecumenismo nell’Università “Cardinale Stefan Wyszyński” e portavoce dell’arcivescovo di Varsavia. Mons. Górzyński è nato il 5 marzo 1959 a Żelechów (arcidiocesi di Warszawa). Superati gli esami di maturità, nel 1979 fu ammesso al Seminario maggiore di Warszawa e il 2 giugno 1985 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la medesima arcidiocesi. Dopo l’ordinazione è stato Vicario parrocchiale a Grójec (1985-1987). Negli anni 1987-1992 ha studiato presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo, dove ha ottenuto la licenza in liturgia.Dopo gli studi, per due anni è stato Prefetto di disciplina nel Seminario maggiore di Warszawa e dal 1993 è Docente di liturgia nello stesso Seminario. Nel 1997 ha conseguito il Dottorato presso l’Accademia di Teologia Cattolica in Varsavia (attualmente Università Cardinale Stefan Wyszyński). Dal 1999 è Presidente della Commissione teologica presso il Collegio nazionale dei coordinatori del Rinnovamento nello Spirito. Negli anni 2002-2007 è stato Vicepresidente della Commissione liturgica nell’arcidiocesi di Warszawa. Dal 2004 al 2012 è stato Parroco della parrocchia dell’Immacolata Concezione della BVM a Warszawa. Attualmente è moderatore della Curia, membro del Consiglio pastorale, del Consiglio presbiterale e del Collegio dei consultori e presidente della Commissione liturgica dell’arcidiocesi di Warszawa. Il 24 dicembre 2012 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità.

    Mons. Markowski è nato il 16 aprile 1958 a Józefów (allora arcidiocesi di Warszawa, oggi diocesi di Warszawa-Praga). Superati gli esami di maturità nel Seminario minore di Płock, nel 1976 fu ammesso al Seminario maggiore di Warszawa e il 6 giugno 1982 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la medesima arcidiocesi. Dopo l’ordinazione è stato Vicario parrocchiale a Warka (1982-1985). Negli anni 1985-1991 ha studiato Teologia fondamentale presso l’Accademia di Teologia Cattolica in Varsavia (attualmente Università Cardinale Stefan Wyszyński), dove ha conseguito il Dottorato in Teologia. Negli anni 1987-1993 è stato Prefetto di disciplina nel Seminario maggiore di Varsavia. Dal 1993 al 2002 è stato Direttore dell’emittente radiofonica “Plus”, trasformatasi poi in “Radio Józef”. Attualmente è portavoce e amministratore dell’arcivescovado di Varsavia, Rettore della chiesa di BVM Madre di Dio, dove si trova anche il centro delle Fraternità monastiche di Gerusalemme, Professore aggiunto nell’Università Cardinale Stefan Wyszyński e membro della Commissione della Conferenza Episcopale Polacca per il dialogo con le religioni non cristiane. Nel 1999 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità.

    In Italia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, presentata da mons. Gervasio Gestori. Al suo posto, Papa Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto mons. Carlo Bresciani, del clero della diocesi di Brescia, finora Rettore del Seminario della medesima diocesi, Direttore dell’Istituto Formatori di Brescia e Consultore della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Mons. Carlo Bresciani è nato a Nave (Brescia) il 26 marzo 1949; ha compiuto gli studi presso il Seminario diocesano di Brescia ed ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nella medesima diocesi il 7 giugno 1975. Inviato a Roma per proseguire gli studi nel 1975 vi rimane fino al 1980, conseguendo la Licenza in Psicologia nel 1978, presso la Pontificia Università Gregoriana. Rientrato in diocesi nell’anno 1980/1981, ha svolto il servizio di Vicario Cooperatore festivo a S. Giacomo, in Brescia. Ritornato a Roma nell’anno 1981/1982, ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana nel 1982. Nello stesso anno ha iniziato la docenza presso il Seminario diocesano di Brescia. Negli anni successivi è stato Vicario Cooperatore festivo a Maderno sul Lago di Garda (1982/1985), a S. Vigilio di Concesio (1985/1986) e a Lodrino in Valle Trompia (1986/2009). Dal 1982 al 2009 è stato Docente all’Università Cattolica di Milano e dal 1982 al 2001 è stato Assistente Ecclesiastico dell’Associazione dei Medici Cattolici (AMCI). Dal 1997 al 2009 ha diretto l’Istituto Superiore di Scienze Religiose presso l’Università Cattolica, Sede di Brescia. Nel 2004 è stato nominato Direttore dell’Istituto Superiore Formatori di Brescia, collegato all’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana e Consultore della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Nel 2009 è stato nominato Rettore del Seminario diocesano di Brescia, dove ha continuato anche l’insegnamento, così come la docenza presso l’Università Cattolica.

    In Svizzera, il Papapa ha accettato la rinuncia mons. Pier Giacomo Grampa all’ufficio di Vescovo di Lugano, presentata per raggiunti limiti di età. Al suo posto, il Pontefice ha nominato Mons. Valerio Lazzeri. Il neo presule è nato il 22 luglio 1963 a Dongio (valle di Blenio), nella diocesi di Lugano. Ha compiuto gli studi filosofici-teologici all’Università di Fribourg con la Licenza in Teologia nel 1987. In seguito è stato alunno del Pontificio Seminario Lombardo di Roma e studente presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote il 2 settembre 1989, incardinato nella diocesi di Lugano. Dopo l’ordinazione, ha continuato i studi presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, dove ha conseguito il Dottorato in Teologia nel 1991. Nel 1991 è stato nominato Vice-Rettore e Docente nel Collegio Papio di Ascona. Dal 1993 al 1999, risiede di nuovo a Roma, prestando servizio presso la Congregazione per l’Educazione Cattolica. Rientrato in diocesi, nel 1999, fu nominato Vicario parrocchiale a Locarno. In pari tempo gli venivano assegnati gli incarichi di Docente di Teologia Spirituale e di Patristica presso la Facoltà di Lugano, nonché di Vicario episcopale per le Religiose. Dal 2010, infine, è Canonico del Capitolo Cattedrale, mantenendo i compiti di Vicario episcopale e di Docente. Inoltre, è Delegato vescovile per il Sacramento della Confermazione, Direttore spirituale nel Seminario ed Assistente dell’“Ordo Virginum”.

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    Tweet del Papa: grazie a missionari, uomini e donne che lavorano per Dio e per i fratelli senza fare rumore

    ◊   Nel giorno in cui la Chiesa ricorda San Carlo Borromeo, il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Ringrazio tutti i missionari, uomini e donne – scrive - che lavorano tanto per il Signore e per i fratelli senza fare rumore”.

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    Conferenza sulla tratta di esseri umani. Mons. Sorondo: il Papa farà qualcosa d'importante

    ◊   “La prostituzione deve sparire, la tolleranza non è un male minore”. Questo uno dei punti conclusivi del Workshop della Pontificia Accademia delle Scienze sulla tratta di esseri umani, organizzato insieme alla Federazione mondiale delle Associazioni mediche cattoliche e conclusosi ieri in Vaticano. L’evento, dal titolo “Trafficking in human beings: modern slavery”, si è svolto seguendo un desiderio espresso da Papa Francesco. Il servizio di Giada Aquilino:

    Un appuntamento che è cresciuto in corso d’opera, fino ad arrivare ad avere la presenza al convegno di un’ottantina di osservatori, rappresentanti direttamente le istituzioni che combattono il traffico umano: dalle Conferenze episcopali alla Chiesa anglicana, passando per la realtà dei laici. In prima linea, accanto alla Pontificia Accademia delle Scienze, i medici cattolici. Tutti riuniti su esplicita richiesta di Papa Francesco. Lo ha ricordato mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze:

    R. - E’ stato Papa Francesco stesso a indicare di fare questo seminario. Sono venute almeno due persone che, per diversi motivi e per molti anni, hanno lavorato con lui quando era arcivescovo di Buenos Aires. Una di queste persone è una scrittrice che ha fondato un’associazione contro il traffico di esseri umani e contro la prostituzione; l’altro aveva una associazione simile e oggi è un deputato. Quindi credo che in questo ambito Papa Francesco abbia una sensibilità speciale, conosce direttamente il problema: ecco perché ci ha chiesto di studiarlo. Poi, quando ho visto il Pontefice la mattina dell’altro ieri, mi ha detto: ‘Ci tengo molto a quello che state facendo, perché questo è un materiale prezioso e vorrei fare qualcosa con questo materiale’. Quindi penso che effettivamente farà qualcosa, qualcosa di importante, un cambio radicale.

    Il prof. Werner Arber, presidente dell’Accademia, ha ricordato l’importanza dell’interdisciplinarità nell’affrontare l’emergenza delle moderne schiavitù:

    R. – We discussed several forms...
    Abbiamo discusso le diverse forme di quella che si potrebbe ritenere la moderna schiavitù del traffico degli esseri umani. Abbiamo parlato poi in maniera dettagliata del vasto campo della prostituzione, che include e tocca anche i bambini. E’ stato affrontato inoltre il tema dell’aumento del traffico degli organi, come il fegato per i trapianti, senza chiedere il permesso della persona coinvolta. Queste pratiche, ed altri modi simili di manipolare gli esseri umani per interessi economici, sono state considerate dai partecipanti come forme di schiavitù moderna. Sarà difficile proporre rimedi per questa situazione, ma la mia grande speranza è che si cominci a mostrare grande interesse per queste emergenze.

    L’argentino Juan José Llach, direttore del ‘Centro studi Governo, impresa, società ed economia’, ha denunciato la difficoltà di avere dati certi su fenomeni del tutto illegali:

    R. - According to the most reliable reports …
    Secondo i report più attendibili - in particolare quello prodotto dalle organizzazioni no profit - in questo momento ci sono 29 milioni e 800 mila persone coinvolte nel traffico di esseri umani, e più della metà di loro in condizioni di lavoro forzato, sia nel settore privato, sia nel settore statale di alcuni Paesi. Esistono forme di lavoro forzato relativamente nuove, come il coinvolgimento di bambini e adolescenti nello spaccio della droga: questa è una delle forme più terribili e in via di espansione, perché prima di tutto si cerca di indurli al consumo di sostanze stupefacenti in modo da creare una dipendenza, per poi imprigionarli in questo terribile traffico. In America Latina molti bambini e adolescenti sono stati uccisi perché volevano uscire fuori da questo giro. E’ una terribile forma di lavoro forzato.

    Forte la denuncia della Federazione mondiale delle Associazioni mediche cattoliche; ecco il presidente José Maria Simon Castelvì:

    R. - Tutti siamo d’accordo che la prostituzione è una maniera di trafficare con gli esseri umani e deve sparire. E’ un cambio epocale: da secoli si tollera, ma abbiamo visto che si deve sradicare. La prostituzione porta sempre ad una sessualità problematica e la sessualità, nella prostituzione, è sempre unita alla droga e la droga è una cosa terribile per la persona, per la famiglia, per la società. Unita alla prostituzione, c’è poi sempre la violenza. Sempre! La violenza mafiosa, a cui si uniscono la delinquenza fiscale e il riciclaggio. E’ per tutte queste ragioni che c’è stato un consenso al cento per cento sul fatto che debba sparire! La tolleranza deve essere zero, anche perché tollerare non è un male minore, è un male maggiore!

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    Il card. Filoni: Chiesa in Pakistan attiva in una realtà difficile, ha bisogno di solidarietà

    ◊   Il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, è appena rientrato dal Pakistan, dove si è recato per presiedere l’ordinazione episcopale del vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Arshad. Nel corso della visita pastorale il porporato ha incontrato anche la comunità cattolica locale. Roberto Piermarini ha chiesto al cardinale Filoni quale Chiesa abbia incontrato in Pakistan:

    R. – La Chiesa in Pakistan è minoritaria rispetto alla grande popolazione di questo Paese, ma è una minoranza molto significativa e molto attiva. Io ho trovato una Chiesa estremamente impegnata in ciò che fa, non solo dal punto di vista religioso, quindi nell’approfondire ad intra la propria dinamica di fede, la propria dinamica pastorale, la propria dinamica di impegno nei vari servizi sociali ed educativi, ma anche ad extra, cioè impegnata attraverso i propri vescovi, la Conferenza episcopale, anche attraverso i sacerdoti, nel contatto quotidiano con le realtà del Paese, in modo particolare quelle islamiche e religiose. C’è anche una buona intesa con le Chiese non cristiane locali da un punto di vista dell’aiuto fraterno nell’affrontare problemi che riguardano la convivenza tra cristianesimo e islamismo. Una Chiesa, dunque, molto attiva, molto viva. Una Chiesa anche, come dire, che vive in una realtà precaria. L’immagine che dà San Paolo - quella di un vaso di terracotta, tra situazioni molto difficili, tra vasi di ferro – è proprio adatta e mi pare sia espressiva.

    D. – Proprio a proposito di questa fragilità, si avverte nel Paese la minaccia dell’estremismo, del fanatismo islamico, che coinvolge non solo la Chiesa cattolica, ma tutta la comunità cristiana del Pakistan?

    R. – Sì, a me è sembrato che il Paese in se stesso vivesse questo trauma. Alcuni mi hanno detto che questo non appartiene alla storia e alla cultura di un Paese giovane - ricordiamo che il Pakistan è nato nel 1947- come il Pakistan. La convivenza in passato aveva avuto difficoltà, ma non certamente di questo livello. Quindi, è vissuta a livello globale come un trauma. Ovviamente i cristiani vivono gli attacchi sulla loro pelle, date anche le esperienze difficili che hanno avuto. Si sa poi che quando le minoranze sono messe alla corda da un punto di vista psicologico, da un punto di vista anche di sopravvivenza, questo lascia il segno, diventa duro da accettare. Ho trovato, però, che la gente non ha intenzione di scappare, di andarsene, quanto piuttosto di essere attenta e di dare la propria testimonianza in questo Paese, dove la Provvidenza ha messo i nostri cristiani. In questo credo che anche le autorità, al di là di ogni aspetto poi di tipo politico, strettamente parlando, ne siano consapevoli. E’ una Chiesa, quindi, che ha bisogno da parte di tutte le altre Chiese del mondo di sentire solidarietà, di sentire affetto, di sentire sostegno nella preghiera, di non sentirsi sola. E questo vale più di qualsiasi altro elemento che noi possiamo dare. Io, personalmente, ho avuto occasione di sentire tanta gente che mi ringraziava solo per essere andato lì, stare un po’ con loro, condividere questi momenti anche belli dell’ordinazione del nuovo vescovo di Faisalabad, ma anche dire: “Ecco, sei stato con noi, abbiamo pregato insieme, abbiamo vissuto qualche momento insieme”. Hanno ricevuto un po’ di incoraggiamento, manifestando molto affetto al Santo Padre, del quale ho portato la benedizione, e loro mi hanno detto di ricambiare con il loro affetto e la loro preghiera. Da questo punto di vista, dunque, è una Chiesa che ci dà una bella testimonianza.

    D. – Da un punto di vista sociale ed educativo, quale ruolo svolge la Chiesa cattolica in Pakistan?

    R. – E’ un ruolo molto apprezzato, da sempre. Anche oggi le nostre scuole non sono scuole per i cristiani, ma dove i cristiani sono presenti. I bambini, i giovani, le ragazze sono presenti e studiano accanto a compagni, amici islamici, che sono la maggioranza nelle scuole, e dove le stesse famiglie chiedono che i loro figli vivano, si educhino insieme, stiano insieme, imparino insieme valori, modi di fare, di conoscersi, secondo anche espressioni ovviamente religiose diverse. Le famiglie, dunque, anche le autorità stesse, apprezzano l’opera scolastica che noi facciamo nelle nostre scuole. Teniamo anche presente l’opera sociale che viene svolta. Noi abbiamo lì una bella presenza di scuole, quasi 560; abbiamo anche 130 istituti di beneficenza. La Caritas lavora molto bene ed è stato apprezzato anche il lavoro, che ha fatto dove di recente c’è stato il terremoto e dove non esiste nessuna presenza cristiana, tutto a vantaggio, è chiaro, di una popolazione che non è quella cristiana. C’è un apprezzamento, dunque, da questo punto di vista sia per l’opera educativa sia per l’opera sociale.

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    Il card. Turkson: contro fame e povertà nel mondo, riscoprire solidarietà e fratellanza

    ◊   Per rompere il circolo vizioso della malnutrizione fisica e della malnutrizione mentale, e quindi della povertà e dell’ignoranza, non basta solo “una sana ricerca scientifica e solide politiche sociali finalizzate ad ottenere un miglioramento reale nell’educazione, della produzione e distribuzione di cibo, un’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare. Occorre anche riscoprire il senso dell’umanesimo cristiano, fondato sulla solidarietà e la fratellanza”. E’ quanto sottolineato dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, all’apertura della Conferenza del Gruppo di Lavoro interdisciplinare “Pane e cervello, educazione e povertà” in corso da oggi fino mercoledì 6 novembre, presso la Casina Pio IV in Vaticano. Il titolo dell’incontro, al quale partecipano esperti di diverse discipline, vuole richiamare l’attenzione, da un lato, sul nesso perverso - già evidenziato anche dagli Obiettivi del Millennio fissati dall’Onu - tra povertà e deficit educativi e cognitivi e, dall’altro, sulle applicazioni positive dei frutti del lavoro della mente umana, segnatamente delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche, sulla produzione di cibo e la lotta alla povertà. Tutti aspetti – sottolinea il cardinale Turkson nel suo intervento - che chiamano in causa temi centrali della Dottrina sociale della Chiesa, come i diritti e i bisogni umani fondamentali, la dignità umana, la giustizia e la pace e, non ultimo, il dialogo, richiamati in particolare nella “Gaudium et Spes” e più di recente da Benedetto XVI e da Papa Francesco. Con questo spirito si svolgerà la conferenza interdisciplinare, che focalizzerà l’attenzione su alcuni aspetti che hanno subito sostanziali miglioramenti e possono apportare speranza e soluzioni pratiche alle sfide urgenti e drammatiche oggi riguardanti l'istruzione e la povertà. Come sottolineato nella presentazione dell’incontro, “quelli tra noi che sono cristiani chiedono al Signore di darci il ‘nostro’ pane quotidiano, di darlo a noi, non in forma individuale ma sociale, includendo i nostri fratelli e sorelle, perciò fornendo loro un'alimentazione sostenibile, un sano sviluppo cerebrale, una buona istruzione e, infine, il pane supersustanziale di Gesù Cristo”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Sull'albero con Zaccheo: all'Angelus il Papa ricorda che Gesù non si stanca di perdonare. Nelle mani di Dio: Messa del Pontefice in suffragio dei cardinali e dei vescovi.

    Nell'informazione internazionale, il processo al deposto presidente egiziano Mohammed Mursi.

    Eredità del cuore: Giovanni Paolo II ricordato dal suo segretario personale, l'arcivescovo di Cracovia Stanislaw Dziwisz, nel libro di Gian Franco Svidercoschi "Ho vissuto con un Santo".

    Internet salverà il mondo o solo le fotografie?: Cristian Martini Grimaldi spiega perché fa discutere un'affermazione di Bill Gates.

    Su alimentazione e sviluppo mentale, un articolo di Luca M. Possati dal titolo "I pericoli nascosti della fame".

    Infaticabile cercatore della verità: Marco Beck sul quinto e sesto vangelo dello scrittore abruzzese Mario Pomilio.

    Arte degenerata e ritrovata: Sandro Barbagallo sul rinvenimento a Monaco di 1.500 opere d'arte fatte requisire nel 1937 da Hitler.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto. Rinviato a gennaio processo all’ex presidente. Morsi: è una farsa

    ◊   “Sono il presidente legittimo dell'Egitto e chiedo alla corte di mettere fine a questa farsa". Così l'ex presidente egiziano, Mohamed Morsi, nella prima udienza del processo a suo carico, per incitazione alla violenza, apertasi questa mattina presso l'Accademia di Polizia del Cairo. L'udienza è stata sospesa dal giudice quando gli altri 14 imputati hanno cominciato a scandire slogan contro i militari, eco dei tafferugli scoppiati all'esterno del tribunale. Il processo riprenderà l’8 gennaio 2014 e la tv di Stato ha riferito che Morsi sarà trasferito nel carcere Burj Al Arab di Alessandria, nel nord del Paese. Massimiliano Menichetti ha chiesto un commento a Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro studi internazionali:

    R. – Lo scontro tra le autorità militari e la Fratellanza va avanti ed il processo all’ex presidente Morsi ne è un po’ l’apice. Sicuramente, la tensione è ancora alta anche perché le due parti continuano a non parlarsi e portano avanti un muro contro muro che si svolge sia nell’aula del tribunale sia nelle strade: ogni avvenimento, sia politico che istituzionale - come appunto il processo a Morsi - viene poi accompagnato da scontri di piazza.

    D. – Il presidente Morsi ha subito detto: “Io sono il vostro presidente e non riconosco la legittimità di questo tribunale”. Cosa uscirà da questo procedimento?

    R. – Difficile prevederlo, anche perché proprio questa situazione di “muro contro muro” porta a una situazione di stallo. A maggior ragione, in un momento in cui anche la comunità internazionale è divisa su cosa sta succedendo in Egitto e come trovare una soluzione. Pensiamo all’atteggiamento degli Stati Uniti che in questo non vedono di buon occhio le autorità militari e che continuano a mantenere il potere, nonostante ci siano state elezioni che – per quanto siano state vinte dalla Fratellanza Musulmana – sono state democratiche. Altro aspetto fondamentale per leggere la situazione egiziana è anche la dicotomia all’interno del contesto regionale, con le stesse monarchie del Golfo divise rispetto agli avvenimenti egiziani: da una parte, l’Arabia Saudita, il Kuwait che appoggiano le autorità militari soprattutto in un’ottica anti-Fratellanza musulmana. Dall’altra, il Qatar che è sempre stato uno dei principali sponsor della Fratellanza e che l’ha appoggiata, nonostante in questo momento stia continuando a finanziare le casse dello Stato egiziano ormai allo stremo.

    D. – Comunque, un processo che si dovrà tutto delineare…

    R. – Siamo solo al primo step, bisognerà valutare i prossimi passi. Ricordiamo anche che un altro procedimento importante era iniziato nei confronti dell’ex presidente Mubarak, poi le vicende politiche lo hanno bloccato. Sicuramente, anche il processo nei confronti di Morsi risentirà profondamente delle dinamiche politiche che da qui a sei mesi attraverseranno il Paese. È vero pure che all’interno del potere giudiziario egiziano è in corso, anche lì, una dicotomia tra i sostenitori del potere militare – quindi del vecchio regime – e i sostenitori della Fratellanza musulmana che comunque hanno preso molto potere durante tutto l’anno della presidenza Morsi. Anche questo sarà un fattore fondamentale nel proseguo del processo.

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    Nuova missione in Medio Oriente per il segretario di Stato Usa Kerry

    ◊   Ancora una missione in Medio Oriente per il segretario di Stato Usa, John Kerry, oggi in Arabia Saudita per rinsaldare gli storici rapporti di vicinanza tra Washington e Riad. Ieri, durante la sua breve tappa al Cairo, il capo della diplomazia americana ha detto che “rimane ottimista sul processo di pace mediorientale, sostenendo che gli Stati Uniti faranno tutti gli sforzi perché si proceda in modo equilibrato". A far salire la tensione, però, l’annuncio da parte del governo israeliano circa la costruzione di 1.800 nuove case sia in Cisgiordania sia a Gerusalemme est, oltre che l'edificazione di un muro lungo la frontiera tra lo Stato ebraico e la Giordania. Per un’analisi su questo tour diplomatico, Salvatore Sabatino ha intervistato Eric Salerno, editorialista de il Messaggero ed esperto dell’area mediorientale:

    R. - È l’ultimo tentativo che ha l’amministrazione Obama di riuscire a raccogliere un successo in politica estera dopo tutti i fallimenti degli ultimi anni. È forse anche un po’ tardi, però al momento sembra che il premier Netanyahu stia reagendo sempre - o quasi sempre - in maniera positiva, anche se poi a livello di azioni le cose cambiano.

    D. - Le cose cambiano: infatti nel frattempo Israele ha pubblicato la proposta di appalto per circa 1.800 nuove case sia in Cisgiordania sia a Gerusalemme Est. Una posizione, questa, che rischia di far salire nuovamente la tensione…

    R. - Sì, questo è un problema. È il solito “diamo un contentino ai palestinesi o agli americani”, in questo caso nel rinegoziare la pace: diamo un contentino ai palestinesi perché rilasciamo un po’ di prigionieri - che lo erano da molti anni in Israele - e diamo un contentino ai coloni e alla destra, che ci chiede assolutamente qualcosa in cambio per questa cosiddetta apertura da parte di Netanyahu. Il problema è che questa strategia è stata portata avanti da molti governi israeliani e ha portato a una crescita enorme delle case negli insediamenti, sia nelle case contestate di Gerusalemme, che nei Territori palestinesi occupati.

    D. - Altro problema è rappresentato dalle divisioni in seno ai palestinesi. Ricordiamo le divisioni tra Cisgiordania e Gaza. Gli Stati Uniti possono, secondo te, risanare le fratture in qualche modo?

    R. - No, non direi che gli Stati Uniti possono fare molto. Se e quando ci sarà una possibilità di un accordo tra Israele e i palestinesi mediata dagli Stati Uniti, a quel punto Hamas, che controlla Gaza, dovrà in qualche modo aprire all’autorità nazionale palestinese perché sicuramente a quel punto ci sarà una richiesta di referendum oppure si andrà a uno scontro. Se lo scontro, a quel punto, non sarà solo politico ma militare, sicuramente l’autorità nazionale palestinese, con l’assistenza - se vogliamo indiretta - degli Stati Uniti e dei suoi alleati nella regione riuscirà a riprendere il controllo della Striscia di Gaza.

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    Stragi in Nigeria, mons. Kaigama: attacchi di Boko Haram sono contro l’umanità

    ◊   In Nigeria è di almeno 30 morti il bilancio dell’attacco, avvenuto sabato scorso nel Nord-Est del Paese, contro un corteo nuziale. Gli inquirenti ritengono che la strage sia stata compiuta da militanti della setta radicale islamica Boko Haram, lo stesso gruppo che oggi ha rivendicato un attacco contro le forze di polizia, costato la vita, lo scorso 24 ottobre, a 35 persone. Sono attacchi contro tutto il Paese, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco, l’arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria, mons. Ignatius Ayau Kaigama:

    R. - Gli attacchi sono frequenti, nonostante gli sforzi del governo, con l’impiego di soldati e polizia, che cercano almeno di minimizzarli. Attaccano in modo imprevedibile e i soldati e la polizia non possono rispondere. E’ difficile rispondere, infatti, quando si attacca in questo modo. E’ una situazione difficile, non solo per i cristiani, perché i Boko Haram attaccano tutti: bambini, donne, musulmani, cristiani. Non so cosa vogliano fare.

    D. – Ed è in pericolo proprio il futuro della Nigeria con questi attacchi. Sono attacchi contro il Paese, contro il futuro della Nigeria...

    R. – Attacchi contro l’umanità, contro tutti i nigeriani. All’inizio, quando hanno cominciato ad attaccare, erano senz’altro contro i cristiani: volevano convertire tutti i nigeriani all’islam. Ma adesso le cose sono cambiate e attaccano tutti. E’, dunque, un attacco contro l’umanità.

    D. – Cosa vuole dire ai terroristi di Boko Haram?

    R. – Noi preghiamo sempre perché i cuori di queste persone si convertano. Speriamo che la loro religione faccia sentire loro il dolore che danno a tante e tante famiglie e a tante e tante persone. Non so, allora, come il dialogo debba essere con loro. Continuiamo a sperare che un giorno facciano qualcosa di nuovo, che porti alla pace, alla tranquillità e all’armonia.

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    Sovraffollamento carcerario e lentezza dei processi. L'Italia sotto esame a Strasburgo

    ◊   Il ministro della Giustizia Cancellieri è a Strasburgo per difendere l’operato del governo su sovraffollamento carcerario e durata dei processi. All’Italia, seconda solo alla Russia per numero di ricorsi pendenti da parte dei detenuti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha infatti chiesto di mettere a punto una soluzione entro maggio prossimo altrimenti dovrà pagare multe fino ad 80 milioni di euro annui. Paolo Ondarza ha intervistato Francesco Morelli del centro studi di “Ristretti Orizzonti”, progetto di informazione “dal” e “sul” carcere:

    R. - L’Italia ha la percentuale di detenuti in attesa di giudizio più alta d’Europa. In altri Paesi l’iter processuale più snello consente di ridurre sensibilmente questa quota di persone in attesa di giudizio. Riguardo invece al sovraffollamento delle carceri, va detto che la percentuale di carcerazione, quindi quante persone stanno in carcere in rapporto alla popolazione, non è anomala in Italia, nel senso che è nella media europea. Il problema, in questo caso, sta nel fatto che l’Italia ha meno carceri rispetto agli alti Paesi. Costruire un carcere in Italia richiede 20-30 anni di lavoro dal momento della progettazione fino all’ultimazione dei lavori. Sono tempi impossibili con i ritmi di una società moderna.

    D. - Ma crede che oggi siano necessarie più carceri?

    R. - Sicuramente è necessario sostituire quelle vecchie. Ci sono carceri addirittura del 1500 che sono ancora utilizzate, altre del 1700, altre del 1800, dove la qualità, gli standard di abitabilità sono assolutamente inadeguati.

    D. - Secondo la Corte europea dei diritti umani l’Italia è seconda solo alla Russia per numero di ricorsi pendenti da parte di detenuti; oltre la metà riguardano il ritardo nei pagamenti dei risarcimenti a chi è stato vittima di un processo durato troppo a lungo …

    R. - Sì, in effetti questo è un po’ l’esito di una situazione che si trascina da decenni. Non si tratta di un’emergenza - come spesso viene definita - ma in realtà è una situazione cronicizzata da decenni di disattenzioni. Quindi stiamo pagando ancora i risarcimenti di situazioni di ingiustizia che si sono verificate negli anni ’90.

    D. - Il ministro della Giustizia Cancellieri ha detto che serve una vera e propria rivoluzione copernicana per il sistema carceri. Il sovraffollamento - ha aggiunto - è solo il problema peggiore …

    R. - In effetti le carceri hanno bisogno di una serie di interventi, prima di tutto dal punto di vista dell’approccio politico, perché l’opinione pubblica non pensa bene delle carceri e non pensa bene dei carcerati. Purtroppo, c’è questo luogo comune che vuole le carceri come posti per far soffrire le persone; mentre l’unica sofferenza ammessa dalla nostra Costituzione e dalle leggi internazionali è quella della privazione della libertà. Oltre alla privazione della libertà, non dovrebbero esserci altre forme di afflizione, mentre purtroppo nelle carceri succede di tutto: dal sovraffollamento, alle morti.

    D. - Depenalizzazione dei reati minori, misure alterative, lavoro esterno, introduzione del modello di detenzione aperta e - come lei ricordava - anche l’urgenza dell’edilizia carceraria. Sono alcuni dei provvedimenti che la Cancellieri porta a Strasburgo insieme alla convinzione che un provvedimento di indulto o amnistia sia necessario.

    R. - Pensiamo anche noi che sia necessario assolutamente un provvedimento di indulto e di amnistia, anche perché le altre soluzioni non sono possibili da attuare in tempi brevi e comunque hanno dei costi che non possiamo permetterci a fronte di questa scadenza che ormai è di otto mesi. Difficilmente sarà possibile senza amnistia e indulto.

    D. - Altrimenti l’Italia sarà sanzionata?

    R. - Altrimenti i migliaia di ricorsi presentati dai detenuti italiani troveranno accoglimento della Corte europea dei diritti dell’uomo che sanzionerà l’Italia.

    D. - Attualmente il governo sta lavorando bene?

    R. - Fa quello che può. Con pochi soldi è difficile pensare a soluzioni davvero radicali. Il ministro si è impegnato molto, anche ascoltando per mesi - e di questo gliene rendiamo assolutamente merito - tutti gli operatori e anche il mondo del volontariato. Da lì, a uscire da questa situazione è un altro paio di maniche.

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    Oltre 11 mila nuovi posti negli asili nido con il taglio delle Province

    ◊   Il provvedimento svuota-Province rischia di trasformarsi in una “beffa” se non verrà approvato prima del rinnovo, in primavera, di buona parte dei consigli provinciali. E’ quanto affermato oggi dal ministro per gli Affari Regionali, Graziano Delrio, intenzionato a investire i 110 milioni di euro che si stima verranno risparmiati con il taglio del personale politico provinciale nella creazione di 11.300 nuovi posti negli asili nido italiani. Su tale iniziativa Cecilia Sabelli ha intervistato il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, delegato Anci, l'Associazione dei Comuni Italiani, e coordinatore dei sindaci delle città metropolitane.

    R. – Non posso che condividere pienamente quello che ha detto il ministro Delrio. Effettivamente noi oggi siamo a un passaggio cruciale. Se non dovesse essere approvata la legge che riguarda la riorganizzazione degli enti locali, e quindi i compiti della Provincia, istituzione delle città metropolitane e unione dei Comuni, saremmo veramente di fronte ad una beffa non solo interna, per il fatto che avremmo delle province che dovrebbero andare alle elezioni, dopo anni ormai in cui si parlava di trasformarle, così come previsto dal disegno di legge. Una beffa anche nei confronti dell’opinione pubblica mondiale, che si aspetta dall’Italia un rinnovamento serio della propria struttura istituzionale, una struttura oggi troppo appesantita da una sovrapposizione di competenze, che determinano necessariamente un aggravio anche nei conti pubblici. Quello che dice quindi il ministro Delrio è assolutamente condivisibile. I risparmi che si faranno – e ci saranno dei risparmi notevoli, nonostante la disinformazione fatta dall’Unione delle Province – potranno essere utilmente riallocati in servizi per i cittadini.

    D. – Il Ministero degli Affari Regionali ha intenzione di investire i risparmi che si potrebbero ottenere con la riforma in migliaia di nuovi posti negli asili nido. Qual è la situazione attuale? Perché proprio queste strutture?

    R. – Queste sono le strutture oggi più deboli sotto un certo profilo, perché dovrebbero essere finanziate con interventi dello Stato, che lo Stato non è in grado di fare. Si scarica questo onere quindi sulle amministrazioni locali, e in particolare sulle amministrazione comunali, che hanno provveduto con proprie risorse. Dopo però gli ultimi tagli che sono stati effettuati nelle finanze comunali, anche questi posti sono a forte rischio.

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    4 novembre, Napolitano ringrazia i militari all'estero e per i soccorsi a Lampedusa

    ◊   Oggi, per Festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deposto una corona d’alloro sulla tomba del milite ignoto, all’Altare della Patria a Roma. Subito dopo il 'silenzio', c’è stato il passaggio delle Frecce Tricolori. Il presidente della Repubblica ha rinnovato il suo apprezzamento ai militari impegnati nei diversi teatri di crisi e ricordato il merito degli uomini e delle donne che hanno partecipato alle operazioni di soccorso a Lampedusa. Il messaggio del presidente Napolitano è stato inviato anche ai circa 6000 militari impegnati in 34 missioni internazionali nei diversi teatri operativi. Elvira Ragosta ha raccolto la testimonianza del capitano Eugenio Liotti, capo di Pubblica Informazione del contingente italiano in Libano:

    R. - Ci siamo raccolti per dare lettura del messaggio del presidente della Repubblica. Ovviamente, subito dopo il messaggio, abbiamo avviato le nostre attività quotidiane. Noi ci stringiamo idealmente con tutti i nostri colleghi che attualmente sono impegnati anche nelle altre missioni e in tutte le attività sul territorio nazionale. Ovviamente un particolare ricordo è stato rivolto a tutti i nostri caduti.

    D. - In questo giorno quanto è forte il sentimento di solidarietà tra i militari italiani impegnati nei teatri operativi?

    R. - In Libano siamo particolarmente emozionati, ci sentiamo veramente orgogliosi di quello che stiamo facendo e sentiamo - soprattutto grazie al presidente della Repubblica - la vicinanza della nostra nazione.

    D. – La missione Unifil in Libano monitora il confine con Israele, assiste le popolazioni locali e supporta le Forze Armate libanesi. Ci può raccontare degli ultimi progetti assistenziali per le popolazioni?

    R. - Noi già dalla prima missione avvenuta proprio nel 2006 sempre con la Brigata di cavalleria Pozzuolo del Friuli che attualmente guida l’attuale missione Leonte 14 abbiamo, un progetto molto apprezzato dalla popolazione. È quello che definiamo “Medical care”; sono dei veri e propri ambulatori mobili composti da staff sanitario delle forze armate, in particolare dell’esercito italiano. Attualmente, ad esempio, per quanto riguarda il nostro mandato, abbiamo già superato le 2300 visite a favore della popolazione libanese in tutta l’area di responsabilità che - per intenderci - è un quadrato di circa 30 kilometri per lato. Quindi sono numeri davvero molto importanti.

    La missione Onu in Libano si avvale anche del supporto della nave Andrea Doria. 240 i militari impegnati sul cacciatorpediniere, ai comandi del capitano di Vascello Gian Franco Annunziata, che sul 4 novembre ci ha detto:

    R. - È una giornata nella quale sentiamo di più anche la vicinanza dei nostri connazionali, dei nostri colleghi che si trovano in altri teatri operativi e chiaramente anche la vicinanza alle nostre famiglie. È un momento in cui, più che in altre situazioni, ci viene riconosciuta l’importanza di quello che facciamo: certamente stare lontani da casa ma sapere che gli altri capiscono l’importanza di ciò che stiamo facendo è un forte incentivo che ci aiuta ad affrontare l’impegno e la difficoltà del lavoro che facciamo.

    D. – Nel messaggio del presidente Napolitano c’era un ringraziamento anche ai soccorsi in mare dei migranti a Lampedusa…

    R. – E’ un ringraziamento che noi uomini della marina abbiamo colto con grande attenzione. La salvaguardia della vita umana in mare è un compito fondamentale per i marinai, così il rispetto della sicurezza della vita umana in mare. Quindi, chi è coinvolto in questa missione importante di natura umanitaria sta sicuramente dando il 100%, perché comunque è un sentimento insito nell’essere marinai; al di là del fatto che in questo momento ci sia un’operazione dedicata in maniera così importante e significativa a questa attività.

    D. – Sono 240 i militari che compongono l’equipaggio della nave Andrea Doria. Ci può dire sinteticamente qual è il vostro ruolo all’interno della missione Unifil?

    R. – La missione Unifil dal 2006 ha una sua componente marittima, “Maritime task force”. È dal 10 ottobre che siamo rientrati da questa missione con l’Andrea Doria. Si tratta di una missione che ha due finalità estremamente significative: quella di impedire, attraverso operazioni di interdizione marittima, l’ingresso sul territorio libanese di armi non autorizzate; l’altra - che forse quella più significativa - è il ruolo essenziale che noi svolgiamo nell’addestramento della componente marittima delle forze armate libanesi. Lo scopo è quello di consentire loro di svolgere al meglio il controllo delle proprie acque territoriali e le proprie “acque di responsabilità” in modo che in un futuro non ci debba essere più bisogno di una presenza internazionale per un compito così importante per una nazione.

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    Il card. Dziwisz racconta il suo rapporto con Papa Wojtyla nel libro "Ho vissuto con un santo"

    ◊   “Ho vissuto con un santo” è il titolo del libro del cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, scritto in forma di conversazione con il giornalista Gianfranco Svidercoschi. A otto anni dalla morte di Giovanni Paolo II, il porporato ricorda particolari della vita dell’uomo di cui è stato per quasi 40 anni segretario e che il prossimo 27 aprile sarà canonizzato. Il volume è stato presentato stamani a Roma. C’era per noi Debora Donnini:

    Il profondo rapporto con il Signore, la passione per il Vangelo e per l’uomo, il ripudio delle ideologie, lo slancio missionario. Sono alcuni dei tratti della vita di Karol Wojtyla ripercorsi nel libro “Ho vissuto con un santo”. Nel libro si intrecciano i ricordi dei momenti “storici” di Karol Wojtyla come arcivescovo di Cracovia e soprattutto come Papa con quelli del suo profondo amore a Cristo, di attenzione alle persone, di preghiera. Al centro soprattutto la Messa. “Si capiva bene – ricorda il porporato nel testo – che non era solo il momento centrale di ogni sua giornata... ma il bisogno più profondo della sua anima”. Lo conferma anche mons. Paolo Ptasznik, per anni collaboratore di Giovanni Paolo II e responsabile della Sezione polacca della Segreteria di Stato:

    “La preghiera è stata alla base di tutta la sua attività. Lui viveva la sua fede non come confessione di verità, ma come un rapporto concreto con Gesù Cristo. Per questo, in ogni momento cercava di essere vicino e di ascoltare il Signore, di attingere da questo incontro la soluzione dei problemi e le iniziative che doveva intraprendere nella Chiesa. Soprattutto, la Santa Messa per lui era un momento speciale. Lo abbiamo sperimentato diverse volte sia nella sua cappella sia durante i viaggi sia durante le celebrazioni pubbliche”.

    Uno dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II è stato il cardinale Camillo Ruini, cardinale vicario dal 1991 al 2008. Nel suo discorso, il porporato ricorda come Giovanni Paolo II avesse un’idea di Chiesa come “casa e scuola di comunione” e che il grande compito della Chiesa fosse l’evangelizzazione. “Il cardinale Dziwisz, che ha vissuto in prima persona i rapporti fra la Curia e Papa Wojtyla, osserva che – dice il cardinal Ruini – dopo le difficoltà iniziali ad accettare il ‘Papa polacco’, questi rapporti divennero buoni. I tempi però non erano forse maturi per una riforma generale della Curia romana e la Curia stessa non era pronta ad essere ricondotta ‘alla sua effettiva funzione di servizio per il Papa e per i vescovi’ e quindi a diventare ‘un autentico strumento di comunione tra la Santa Sede e le Chiese locali’”. Al cardinale Ruini, abbiamo chiesto cosa lo abbia colpito di più del libro:

    R. – Mi ha colpito l’approfondimento che il cardinale Stanislao Dziwisz è riuscito a fare. Si vede chiaramente che in questi otto anni, da quando Giovanni Paolo II è morto, ha continuato, seppur in maniera diversa a vivere con Karol. E così ha potuto interiorizzare ulteriormente la grande eredità che Giovanni Paolo II ci ha lasciato, un’eredità che si esprime soprattutto nel grande progetto di Chiesa che Giovanni Paolo II ha iniziato, ha messo in cammino e che deve continuare.

    D. – Il cardinale Dziwisz ricorda quanto disse l’allora cardiale Ratzinger all’omelia per i funerali di Giovanni Paolo II: Giovanni Paolo II ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici… Questo lei lo ha visto proprio come testimone?

    R. – Si l’ho visto specialmente per l’Italia, ma non solo. Comunque, Giovanni Paolo II è un Papa che ha dato un’autorevolezza alla Chiesa che prima non aveva mai avuto.

    A Gianfranco Svidercoschi abbiamo chiesto quale la novità, il senso di questo libro-intervista con il cardinale Dziwisz:

    R. – Il senso del libro sta soprattutto nel fatto che don Stanislao vuole rendere testimonianza della santità di Giovanni Paolo II, una santità che era in certi periodi a livello eroico – come è stato il periodo quasi di martirio al momento dell’attentato – o era una santità che don Stanislao definisce di dimensione mistica, come per esempio verso la fine, nel periodo della sofferenza... Lui racconta addirittura di quando il Papa – e lo racconta con molto pudore, perché dice che bisogna fermarsi di fronte al sacrario di una coscienza – il venerdì poteva accadere che improvvisamente stesse male. Ma quello che mi ha colpito di più è stato il raccontare la santità ordinaria, normale, che è per tutti. Non c’è quindi nessuna differenza tra l’uomo di Dio, l’uomo di preghiera e poi il Papa dei grandi gesti pubblici, il Papa che incontrava i grandi della Terra. Lui, d’altra parte, quando parlava ai giovani li esortava ad andare controcorrente e diventare santi. Noi pensiamo che la santità sia soltanto riservata ai mistici o ai grandi martiri, ma è forse una cosa che ogni giorno dobbiamo fare. E’ lui che ha aperto tanto le porte ai laici. Forse, lui ha creato anche le basi per una spiritualità propria dei laici.

    D. – In base a quanto le ha raccontato il cardinale Dziwisz, cosa l’ha colpita in merito all’accento che Giovanni Paolo II poneva sull’importanza dell’evangelizzazione, della missione nella Chiesa?

    R. – Lo spazio che lui ha dato a questa Chiesa aperta ai laici, come aveva già fatto a Cracovia, e ai nuovi protagonisti della Chiesa, perché la Chiesa adesso sta cambiando pelle proprio grazie a questi nuovi protagonisti, cui ha dato spazio Giovanni Paolo II: i giovani, con la creazione della Giornata mondiale della gioventù, i nuovi movimenti, che lui ha difeso in qualche modo sia dai pericoli propri di settarismo interno sia anche da certe ostilità, e la donna soprattutto. Lui ha dato, una definizione del genio femminile, che era mille volte superiore a tutto quello che faceva il nuovo femminismo. E poi la difesa della donna, del matrimonio, della vita... Io penso che questo, soprattutto, fosse quello cui teneva di più Wojtyla, cioè di spostare l’accento da questa Chiesa troppo istituzionale ad una Chiesa più di comunione, più famiglia e più aperta ai laici.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Myanmar: accordo fra le etnie per un "cessate il fuoco" su scala nazionale

    ◊   Con la sola eccezione del Restoration Council of Shan State (Rcss), 17 gruppi etnici sui 18 riuniti in questi giorni a Laiza, nello Stato settentrionale Kachin, hanno sottoscritto un "accordo" che potrebbe portare in futuro a un "cessate il fuoco su scala nazionale". A promuovere l'iniziativa - riferisce l'agenzia AsiaNews - i padroni di casa della Kachin Independence Organisation (Kio), in un'area da tempo teatro di conflitti sanguinosi fra milizie ribelli ed esercito governativo. Hkun Okker, uno dei portavoce della Conferenza, sottolinea che "se i negoziati sulla bozza di cessate il fuoco saranno approvati, dal 2015 non si sentirà più il rumore delle armi" in Myanmar. Una data certo non prossima, ma che rappresenta una prospettiva positiva in un Paese frammentato e teatro di scontri - se non vere e proprie guerre - di natura etnica e confessionale. Il solo gruppo presente alla Conferenza a non aver sottoscritto l'accordo è il Rcss, che chiede "più tempo" per consultare i partiti politici dello Stato Shan e i gruppi civici "prima di impegnarsi" nel piano di pace. Resta però viva la speranza che in un futuro prossimo anch'essi possano allinearsi agli altri gruppi minoritari. Assenti alla conferenza, sebbene invitati, lo United Wa State Army (Uwsa) e il National Democratic Alliance Army (Ndaa); tuttavia, a dispetto della mancata partecipazione i leader delle minoranze etniche riuniti a Laiza non disperano che "anche i rappresentanti Uwsa e Ndaa firmeranno, una volta che verranno spiegati loro i termini dell'accordo". Finora hanno aderito alcuni fra i più importanti gruppi etnici dell'Unione del Myanmar, fra cui il Karen National Union (Knu) e il New Mon State Party (Nmsp). Nei giorni scorsi anche la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi ha sottolineato l'importanza della Conferenza in corso nello Stato Kachin; in un'intervista ad AsiaNews, la "Signora" ha ricordato che "pace e unità" fra le diverse anime del Myanmar (a livello etnico e religioso) sono l'unica via per garantire un futuro "democratico" al Paese. Ancora oggi, infatti, nello Stato Kachin sono in corso combattimenti che finiscono per colpire la popolazione civile, causando vittime e migliaia di sfollati. Conclusi i lavori, una delegazione in rappresentanza dei gruppi etnici si è diretta a Myitkyina, dove è in programma a partire da oggi un incontro chiave (per le prospettive future di pace) fra leader Kio e rappresentanti del governo birmano. (R.P.)

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    Congo: segnata la sconfitta dell’M23 ma nel Nord Kivu vi sono altri 40 gruppi armati

    ◊   Continua l’offensiva dell’esercito congolese contro i ribelli dell’M23 nel Nord Kivu (est della Repubblica Democratica del Congo), nonostante il cessate il fuoco unilaterale annunciato ieri dalla dirigenza del movimento ribelle. I combattimenti - riferisce l'agenzia Fides - sono concentrati nella zona di Bunagana, a 80 km da Goma, capoluogo del Nord Kivu. Se la sconfitta dell’M23 appare segnata, diversi osservatori affermano però che la provincia congolese è ancora lontana da ritrovare la pace perché sul suo territorio vi sono ancora una quarantina di gruppi armati che attendono di essere messi sotto controllo dalle autorità. Nonostante la presenza dei Caschi Blu della Missione Onu di Stabilizzazione nella Rdc (Monusco), nell’est della Rdc 2,6 milioni di persone sono sfollate e 4,6 milioni vivono in stato di emergenza alimentare. Tra gli altri gruppi ancora presenti nell’area vi sono le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr), costituite originariamente dagli estremisti hutu fuggiti dal Rwanda nel 1994. Questo formazione secondo il rapporto pubblicato a giugno 2013 degli esperti Onu, è diviso tra estremisti e moderati, questi ultimi in gran parte giovani che vorrebbero deporre le armi e integrarsi nella società civile. Vi sono poi diversi gruppi Mai-Mai, milizie di autodifesa, che hanno intrecciato alleanze di circostanze con le formazioni più forti, oltre ad altri di origine ugandese, come l’Allied Democratic Forces e il Lord’s Resistence Army (Lra). (R.P.)

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    Centrafrica. Seimila sfollati nella cattedrale di Bouar: la testimonianza di un missionario

    ◊   “Grazie a Dio, i combattimenti sono stati limitati nella zona dell’aeroporto” riferisce all’agenzia Fides padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano, che si è recato il 30 e 31 ottobre a Bouar, la città nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana, dove domenica 27 ottobre gli ex ribelli della coalizione Seleka sono stati attaccati da alcuni gruppi spontanei di autodifesa chiamati “Antibalaka”. “Vi è poco di poco politico in questa vicenda”- afferma il missionario - si tratta piuttosto della reazione di persone disperare, che hanno visto le loro case bruciate, amici e familiari uccisi, i loro beni rubati, e loro stessi impediti di muoversi liberamente”. A causa dei combattimenti la popolazione ha cercato rifugio nelle parrocchie: Fatima, San Lorenzo (che ha accolto 1.400 persone) la cattedrale (più di 6.000 persone). La presenza della forza di pace dei Paesi dell’Africa centrale (Fomac-Misca) ha impedito alle forze di Seleka di commettere ritorsioni contro i civili, garantendo così la protezione degli sfollati. Padre Aurelio, che è anche responsabile della Caritas di Bouar, ha partecipato ad una riunione con le autorità locali e il comandante della Fomac, nel corso della quale il parroco della cattedrale ha chiesto aiuto per far fronte alla situazione venutasi a creare nella chiesa. Padre Aurelio ha poi visitato la cattedrale. “È impressionate vedere tutta questa gente conservare la calma e allo stesso tempo darsi da fare” racconta il missionario. “Ma rimane la preoccupazione di un ritorno a casa che non è privo di rischi”. I 6mila sfollati sono assistiti “dai militari della Fomac, “dei gabonesi che fanno un lavoro eccellente” sottolinea padre Aurelio. “Vi sono i volontari della Caritas parrocchiale e di Giustizia e Pace che assicurano l’ordine, la sicurezza e l’igiene. C’è l’infaticabile don Mirek, parroco e vicario generale. C’è un equipe di infermiere che con un medico hanno creato un ospedale nella vecchia cattedrale”. “Al momento è importante che la popolazione riprenda fiducia e torni nei propri quartieri. Ma per questo occorre che le autorità riescano a organizzare delle ronde di vigilanza perché la situazione resti tranquilla” conclude il missionario. (R.P.)

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    Iraq. Patriarca Sako alla Chiesa caldea: Uniti in Cristo, per rispondere alle sfide della missione

    ◊   "Ricordatevi sempre che siete sacerdoti" e per questo "vi invito a pensare alla meravigliosa missione alla quale siete chiamati", ovvero a essere parte di "un'unica Chiesa che è Santa, Apostolica e Universale". Lo scrive il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako in una lettera al clero caldeo, pubblicata in data 31 ottobre e inviata all'agenzia AsiaNews nei giorni scorsi. Sua Beatitudine ricorda i 10 anni di episcopato, i nove mesi alla guida della Sede patriarcale e l'approssimarsi delle celebrazioni finali a chiusura dell'Anno della Fede. Per questo si rivolge una seconda volta, dopo la prima lettera inviata nel maggio scorso, a tutti i vescovi, sacerdoti, religiosi e suore della comunità caldea, invitandoli "alla preghiera e al raccoglimento", sotto la protezione "della Vergine Maria". Il patriarca caldeo ricorda il motto e i punti cardine del programma delineati a inizio mandato, ovvero "autenticità, unità e rinnovamento nello Spirito e nella Verità", e ringrazia quanti lo hanno sostenuto in questa missione. "Non temo nessuno - afferma Mar Sako - e resterò fedele alla mia vocazione e ai miei principi, qualsiasi siano le sfide e le critiche; perché non vi è vita, senza sfide". Il documento ricorda poi che "la Chiesa non è una Organizzazione non governativa o un gruppo della società civile" ma è profondamente diversa, perché "il suo nucleo essenziale è Cristo". "La Chiesa è ecumenica e inclusiva per natura" afferma Mar Sako, e "se si chiude perde la sua vera identità". Egli auspica che il cammino "iniziato nove mesi fa sia foriero di frutti" così come l'ascesa al soglio petrino di Papa Francesco, che rappresenta un invito alla "vicinanza al Vangelo" e all'unità in nome "della verità e della giustizia", non sulle "chiacchiere". Mons. Sako sottolinea che il compito dei sacerdoti è di essere "servi", non principi, "anche se la vocazione arriva dal cielo". "Dobbiamo essere interamente e totalmente - scrive - devoti a Cristo e alla sua Chiesa, altrimenti non ha senso la nostra consacrazione". E rilancia le parole di Papa Bergoglio, il quale ricorda che "voi siete pastori, non funzionari. Siate mediatori, non intermediari". La vera dignità, aggiunge, consiste "nel Servizio" e la condizione di sacerdoti "non è garanzia di immunità", ma è un monito ulteriore a essere fermi per ciò che concerne "la morale, qualsiasi sia la posizione occupata all'interno della gerarchia". Un richiamo che si estende al denaro e ai beni materiali dai quali, avverte il Patriarca, "non dobbiamo farci sedurre"; per questo è necessaria la massima "trasparenza" nella gestione dei fondi, che deve essere affidata a "laici onesti" che hanno "esperienza in materie economiche, non a vescovi o sacerdoti". Infine, Mar Sako auspica il "ritorno dei monaci nei loro monasteri", per una vita dedita alla povertà, alla castità, all'obbedienza, in un'ottica di comunità che prega, medita e lavora. "La vita in un monastero non è fatta di isolamento - afferma il Patriarca - [perché] la vita comune rafforza lo spirito; e la grazia di vivere insieme agevola un migliore servizio a Dio e garantisce una vocazione pura". Da qui l'invito a essere "testimoni gioiosi" di Cristo, nutrimento "per voi stessi, per i vostri fratelli e i fedeli" oltre che guida e conforto per le suore in qualità di "padri spirituali". "La Chiesa caldea è chiamata alla santità - conclude Mar Sako - non arrendiamoci all'indolenza o alla frustrazione a causa della realtà attuale". (R.P.)

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    Giordania: l'Opera Don Orione apre un Centro per i rifugiati siriani

    ◊   Duecento famiglie di profughi siriani troveranno presto alloggio nel Family, Youth and Refugee Centre, una nuova struttura d'accoglienza predisposta a Zarqa (Giordania) dall'Opera Don Orione. L’edificio, inizialmente concepito come ostello per studenti, è stato riadattato per accogliere le famiglie siriane fuggite dalla guerra civile. Tutti i servizi di accoglienza e di assistenza – riferisce un comunicato dell'Opera, pervenuto all'agenzia Fides - sono gestiti dai volontari orionini con il coordinamento di don Hani Jaamel, sacerdote orionino di nazionalità irachena. Nella sola città di Zarqa, i volontari orionini in collaborazione con Caritas Giordania assistono già 100 nuclei familiari siriani fuggiti dal conflitto garantendo loro la fornitura di cibo, acqua e due coupon mensili per le spese di sussistenza e per le cure mediche. Un lavoro generoso che non riesce a far fronte all'emergenza rifugiati: “I profughi che ci chiedono aiuto” spiega padre Hani “sono molti di più di quelli che possiamo sostenere”. Una situazione che comunque non provoca scoraggiamento: “continuiamo a lavorare” aggiunge il sacerdote iracheno “seguendo la parola di Gesù, cercando di aiutare tutti senza distinguere tra l’uno o l’altro e senza stancarci mai.”

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    Nepal: pastore cristiano protestante ucciso mentre pregava

    ◊   Lutto e sdegno nella comunità cristiana nepalese: il 36enne Pastore cristiano, della comunità evangelica “Gospel for Asia”, è stato ucciso nei giorni scorsi nel villaggio di Phattepur, in Nepal. Come riferito all'agenzia Fides, per la comunità cristiana “Debalal è un martire, ucciso a causa della sua fede, proprio mentre svolgeva il suo ministero”. Era stato infatti chiamato, nel cuore della notte, da Kumar, uomo di 29 anni, che aveva chiesto la presenza di Debalal per una preghiera di guarigione. Kumar era malato da alcuni mesi e Debalal già in passato aveva pregato per lui. Debalal, alla richiesta di aiuto, si era destato ed era corso a visitare il malato. Mentre pregava, l’uomo lo ha assalito all’improvviso e gli ha tagliato la gola con un “khukuri”, tipico coltello nepalese con lama ricurva. Debalal ha gridato e chiesto aiuto ma è stato lasciato morire dissanguato. La polizia ha arrestato l’autore dell’omicidio. Secondo i cristiani locali, molte persone, in particolare nei villaggi rurali, disprezzano i cristiani, ritenendo il Nepal “nazione indù”. Come appreso da Fides, Debalal aveva annunciato il Vangelo agli abitanti dei villaggi della zona e alcuni gli avevano intimato di “stare lontano”, ma nessuno si attendeva una violenza del genere. Debalal aveva moglie e due figli che ora piangono la perdita di un marito e padre. “Siamo profondamente addolorati. Preghiamo per questa famiglia in lutto e per i nostri fratelli e sorelle che condividono l'amore di Gesù in situazioni difficili. Molti in Nepal conoscono l'amore di Cristo grazie al sacrificio di credenti come Debalal”, dicono in una nota i cristiani locali. (R.P.)

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    Iran: cristiani frustati per aver bevuto vino eucaristico

    ◊   La sentenza di 80 frustate per i cristiani condannati per “consumo di alcolici”, dopo aver bevuto vino eucaristico durate una liturgia cristiana, è stata eseguita. Come appreso dall'agenzia Fides, Behzad Taalipasand e Mehdi Dadkhah hanno ricevuto 80 frustate, comminate con estrema violenza, il 30 ottobre. Secondo fonti locali, un altro dei condannati, Mehdi Reza Omidi, è stato frustato il 2 novembre, mentre non ancora si sa quando sarà punito Amir Hatemi. Le accuse alla base della sentenza sono “consumo di alcolici” e “possesso di un ricevitore e un'antenna satellitare”. Come riferisce a Fides una nota di dell’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw), sebbene i quattro avessero 10 giorni per presentare un appello, dopo la sentenza del 20 ottobre, la pena è stata eseguita con estrema celerità: non è chiaro se i loro ricorsi sono stati respinti o se non sono stati presi nemmeno in considerazione. Mervyn Thomas, Direttore di “Christian Solidarity Worldwide”, dichiara in una nota inviata a Fides: “Questi uomini sono stati puniti semplicemente per aver partecipato a un Sacramento praticato per secoli dai cristiani di tutto il mondo. E’ una violazione spaventosa e ingiusta del diritto di manifestare la propria fede in pratiche di culto e nei riti. L’Iran si è obbligato, aderendo alla ‘Convenzione internazionale sui diritti civili e politici’, a sostenere la libertà di religione o di credo per tutte le comunità religiose. Inoltre, la punizione inflitta viola l'articolo 5 della Convenzione, che vieta pene inumane o degradanti. Esortiamo il governo iraniano ad agire in linea con i suoi impegni internazionali”. (R.P.)

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    Niger: arresti e chiusura dei campi di transito dei migranti

    ◊   Più di 120 migranti sono stati arrestati dalla polizia mentre stavano partendo a bordo di alcuni camion dalla città di Arlit in direzione del confine con l’Algeria. La notizia - riferisce l'agenzia Misna - è stata diffusa dopo che il governo ha annunciato una stretta contro i trafficanti di esseri umani che controllano le rotte del deserto del Sahara. Stando alle ricostruzioni pubblicate dalla stampa di Niamey, i migranti sono per lo più giovani originari del Niger e della Nigeria che si troverebbero ora in stato di fermo ad Arlit. L’intervento della polizia ha seguito di pochi giorni la morte per sete nel nord del Niger di oltre 90 migranti che stavano cercando di raggiungere l’Algeria per poi probabilmente tentare la traversata del Mar Mediterraneo. Un ennesimo dramma, questo, che ha spinto il governo di Niamey ad annunciare la chiusura di tutti i campi gestiti dai trafficanti nel nord del Niger e in particolare nella regione di Agadez. Il piano prevede l’affidamento delle persone attualmente nei campi, 5000 secondo alcune stime, ad agenzie umanitarie. Secondo Abibatou Wane, responsabile in Niger dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), è importante che eventuali rimpatri di cittadini stranieri avvengano solo su base volontaria. (R.P.)

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    Messico: la Messa del migrante per riunire tante famiglie

    ◊   Alcuni si sono potuti incontrare dopo mesi e altri addirittura dopo anni: l’occasione è stata la Messa del Migrante, che si celebra ogni anno il primo sabato di novembre presso il "Rancho Anapra", al nord-ovest della città messicana di Ciudad Juarez, per commemorare tutti gli emigranti morti nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti. La Messa infatti si celebra sulla linea di confine tra le due nazioni, Messico e Stati Uniti, e le diocesi di Ciudad Juarez e Nuevo Casas Grandes (Messico), El Paso e Las Cruces (Stati Uniti). Oltre a pregare per coloro che hanno perso la vita, in questa circostanza la Chiesa ribadisce la sua vicinanza e la sua preoccupazione per la situazione dei migranti. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides, la Messa è stata celebrata su un altare diviso in due dalla rete metallica che segna il confine. Da una parte c’era il vescovo di El Paso (Texas, Usa), mons. Mark Joseph Seitz, e dall’altra il sacerdote Javier Calvillo Salazar, in rappresentanza del vescovo di Ciudad Juárez (Chihuahua, Messico), mons. Renato Ascencio Leon. Hanno partecipato diverse centinaia di emigranti e tante famiglie che si ritrovano separate dalla legge sull'immigrazione degli Stati Uniti: si parla di 11 milioni di persone o famiglie divise. Il momento più toccante è stato quando, per scambiarsi un segno di pace, tutti i presenti si sono avvicinati alla rete per toccarsi almeno le dita con quanti erano al di là. "Provo molta tristezza e mi sento male, voglio essere con loro e non posso a causa di questo ‘Muro di Berlino’ che c'è” ha detto un padre di famiglia con gli occhi pieni di lacrime. Poco distante un ragazzino di circa 7 anni raccontava con entusiasmo al nonno, attraverso la rete metallica, quante moto aveva visto in quel Paese. Una madre, che ha preferito non avvicinarsi alla rete per nascondere al marito le sue lacrime, aveva tra le sue braccia la loro figlia più piccola. (R.P.)

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    Argentina: Plenaria dei vescovi su giovani, famiglia, missionarietà e necessità sociali

    ◊   Da oggi e fino a sabato 9 novembre, si celebra la 106.ma Assemblea Plenaria della Conferenza episcopale argentina (Cea), presso la casa di esercizi spirituali El Cenaculo-La Montonera, nella cittadina di Pilar. L'agenda prevede un primo scambio di "idee, preoccupazioni e iniziative riguardanti l'azione della Chiesa nel Paese", mentre la Messa di apertura è presieduta da mons. José María Arancedo, arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz e presidente della Cea. La nota inviata all’agenzia Fides dalla Cea riferisce che i 100 vescovi lavoreranno sulla base del discorso che Papa Francesco ha consegnato ai membri del Consiglio Episcopale per l'America Latina e i Caraibi (Celam), nell'ambito della Giornata Mondiale della Gioventù (Gmg), che fornisce le linee guida per la Chiesa nella regione e sull’impegno missionario nelle diocesi. Sarà fatta anche una revisione della Pastorale della Gioventù, dopo la Gmg di Rio 2013, e della Pastorale vocazionale. Proseguirà il lavoro sul “Progetto di Pastorale familiare” e i vescovi risponderanno alla consultazione per il Sinodo straordinario sulla Famiglia del 2014. Altri temi in agenda riguardano l’opera e la promozione della Caritas nelle diocesi, al fine di affrontare "le necessità sociali e la povertà"; la presentazione di una “mappa religiosa” della nazione da parte dell'Osservatorio della Universidad Católica Argentina (Uca); il Congresso Eucaristico Nazionale del 2016 e il progetto sul Catechismo della Cea. I vescovi riceveranno anche la visita dei vescovi delle Chiese orientali ortodosse con cui faranno una preghiera comune. (R.P.)

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    Myanmar: riprende l'esodo dei rohingya. Affonda un'imbarcazione

    ◊   Un’altra tragedia ha colpito l’etnia birmana di fede musulmana Rohingya. Nel tentativo di lasciare la costa birmana, presumibilmente per raggiungere la Malesia, un’imbarcazione è affondata ieri al largo dello Stato di Rakhine. Della sessantina di persone a bordo quelle tratte in salvo sono per ora solo sette. Per tutta la giornata di ieri, guardacoste birmani, responsabili di organizzazioni non governative e parenti dei dispersi sono stati impegnati nella ricerca in mare e sulla costa. L’incidente segnala anche che è iniziata la stagione dell’esodo per gli oltre 250.000 Rohingya rinchiusi in condizioni disperate nei campi profughi in Bangladesh, come pure per gli 800.000 in Myanmar, dove non viene riconosciuta loro la cittadinanza e dove 140.000 sono ammassati in campi di raccolta per sfuggire le persecuzioni degli ultimi 18 mesi. Altri episodi persecutori che sono costati la vita a due Rohingya si sono registrati sabato nello Stato di Rakhine. Con la fine della stagione monsonica, la ricerca di una nuova patria altrove si presenta meno problematica e molte imbarcazioni lasciano le coste orientali del Golfo del Bengala dirigendosi in maggioranza verso Sud. Sono centinaia ogni anno le vittime di naufragi, ma anche di violenze in viaggi che finiscono spesso con naufragi sulle coste birmane, thailandesi o malesi e in molti casi con respingimenti in mare aperto. Malesia e Indonesia, Paesi di comune fede islamica, sono mete preferite dei boat-people, che in alcuni casi hanno cercato salvezza persino sulle più lontane coste australiane. Da tempo, le agenzie umanitarie avvisano di “un’emergenza Rohingya”, oggi la popolazione meno tutelata e insieme più perseguitata in Asia, che con poco da perdere nei territori di partenza sta cercando nell’esodo una salvezza che spesso si trasforma in tragedia. (R.P.)

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    Turchia: il Museo di Ayasofia per ora non diventerà moschea

    ◊   Il Tribunale amministrativo di Trabzon ha respinto la richiesta di trasformazione del locale Museo di Ayasofya in moschea. Come riportato da fonti turche consultate dall'agenzia Fides, il pronunciamento definitivo sulla sorte dell'edificio potrà venire solo dal Consiglio di Stato. Ma intanto la decisione del Tribunale amministrativo locale frena i progetti di chi aveva già predisposto alcune modifiche strutturali del complesso per adattarlo al culto islamico. Lo scorso aprile, dopo un lungo contenzioso legale, la proprietà dell'edificio – una chiesa bizantina del XIII secolo intitolata a Santa Sofia (Hagia Sophia), convertita in moschea nel 1461 dal Sultano Mehmed II, e poi trasformata in museo dal governo turco nel 1961 – era stata riconosciuta come patrimonio inalienabile della Fondazione islamica che porta il nome del Sultano Mehmed. In quell'occasione, il direttore regionale delle Fondazioni Mazhar Yldirimhan aveva affermato che “un edificio riconosciuto come moschea non può essere utilizzato per nessun altro scopo”. L'edificio, che nel corso dei secoli era stato usato anche come arsenale e come ospedale, era stato restaurato tra il 1958 e il 1962 dagli esperti dell'Università di Edimburgo, e nonostante i tanti cambi di destinazione d'uso rimane un esempio unico di arte cristiana tardo-bizantina, con l'affresco del Cristo Pantocratore dipinto all'interno della cupola. (R.P.)

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    Polonia: i funerali di Mazowiecki, capo della primo governo post-comunista

    ◊   Tadeusz Mazowiecki, capo del primo governo polacco postcomunista, “ha saputo trasformare la lotta sulle barricate di Solidarnosc in un dialogo costruttivo per la libertà”. Lo ha detto ieri nell’omelia funebre il domenicano Aleksander Hauke-Ligowski, suo grande amico. Alle esequie - riporta l'agenzia Sir - hanno partecipato oltre alle autorità polacche, civili e religiose, anche il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e i rappresentanti del corpo diplomatico nonché da migliaia di persone comuni. Durante la celebrazione è stato letto il telegramma di cordoglio di Papa Francesco: Mazowiecki “ha saputo anteporre il bene del Paese e della nazione alle questioni personali”. “A nome proprio, quello dei cattolici ma anche di altri cristiani” ha espresso la gratitudine nei confronti del defunto premier il primate della Repubblica Ceca, cardinale Dominik Duka, sottolineando che “con la sua vita e la sua lotta per la fedeltà e la verità ha contribuito alla libertà e alla democrazia non della Polonia” ma anche di altri Paesi. Mazowiecki, scomparso il 28 ottobre, è stato premier dal 1989 al 1991, quando assunse l’incarico dell’inviato speciale dell’Onu in Bosnia. Rinunciò al mandato nel 1995 per protestare contro l’immobilismo delle grandi potenze dopo l’eccidio di Srebrenica. (R.P.)

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    Bangladesh: la Chiesa cattolica lancia il suo primo settimanale online

    ◊   La Conferenza espiscopale del Bangladesh apre su internet il suo primo giornale online. Lanciato lo scorso 27 ottobre in collaborazione con il Christians Communication Center, il sito prende il nome dal Pratibeshi (vicino), il più antico settimanale cartaceo in bengalese, nato nel 1940 e diffuso in 30 Paesi. Padre Joyanto Gomes, direttore del Pratibeshi, afferma che "il settimanale online permette a molti utenti di leggere anche su internet le nostre notizie". "Il mondo sta cambiando - sottolinea padre Gomes - ed è ora di aggiornarci. Stiamo seguendo questa strada per avere un contatto diretto con i lettori". La nuova versione del settimanale - riferisce l'agenzia AsiaNews - pubblicherà le notizie relative alla Chiesa cattolica, ma anche articoli di esteri e su temi culturali affrontati dalla Chiesa del Bangladesh. Gli obiettivi del Pratibeshi sono anzitutto tre: presentare e promuovere il messaggio di Cristo e gli insegnamenti della Chiesa attraverso i nuovi media; stimolare, sviluppare e risvegliare la coscienza spirituale, sociale, civile ed economica, raccontando le esperienze quotidiane della gente; spingere il personale della Chiesa a utilizzare le nuove forme di comunicazione. Il settimanale è un membro di Signis, Associazione cattolica mondiale per la comunicazione. La pagina http://pratibeshi.thecccbd.org/, ha già ricevuto i primi commenti degli utenti. "Sono felice di sapere che il Pratibeshi è disponibile anche online", dice Anthony Pius Gomes, cattolico di Dhaka, che sottolinea come il passaggio alla versione digitale offre l'opportunità di raggiungere più persone. Per Samual Purification, giovane cattolico, la Conferenza episcopale ha dato il via a una grande iniziativa: "in questo modo sarà sempre più semplice leggere le notizie e le storie pubblicate dal Pratibeshi". (R.P.)

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    Terra Santa: due donne, una israeliana ed una palestinese, insignite del premio Monte Sion

    ◊   E’ stato assegnato a due donne, quest’anno, il premio Monte Sion. Il riconoscimento, è stato consegnato nell’Abbazia benedettina della Dormizione, a Gerusalemme, in Terra Santa, a Yisca Harani, israeliana, e Margaret Karram, palestinese. Ogni due anni, riferisce il portale www,lpj.org, viene conferito per commemorare la dichiarazione di Paolo VI Nostra Aetate - che pubblicata il 28 ottobre 1965, ha aperto ad un nuovo rapporto tra la Chiesa cattolica e le confessioni non cristiane, come il giudaismo - e vuole rendere omaggio ad uomini e donne che, tramite il loro impegno, contribuiscono a far avanzare il dialogo interreligioso per la pace, in particolare tra gli ebrei, i cristiani ed i musulmani. Yisca Harani, consulente in materia di cristianesimo per i ministeri israeliani di Pubblica Sicurezza, Religioni e Turismo, dal 1989, offre molto del suo tempo per permettere a tanti ebrei di studiare il cristianesimo. Nel 1999 ha lanciato una singolare iniziativa per promuovere scambi e incontri tra bambini arabi della Città Vecchia e bambini ebrei di Tel Aviv; attualmente è impegnata in attività volte a favorire l’incontro fra ebrei e cristiani. Margaret Karam, cattolica di Haifa, si è laureata alla University of Judaism di Los Angeles. Sin da giovanissima, grazie ai suoi tanti amici provenienti da famiglie ebree si è resa conto di tutto ciò che lega ebrei e cristiani, nonostante le differenze religiose. Legata al Movimento dei Focolari, è membro della Commissione episcopale per il dialogo interreligioso presso l’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa ed ha partecipato alla preparazione di molti incontri ebraico-cristiani a Gerusalemme e altrove. Il premio è stato consegnato da Verena Lenzen, direttrice dell’Istituto per la ricerca ebraico-cristiana, e da padre Gregory Collins, Abate dell’Abbazia della Dormizione. Fin dalla sua creazione, nel 1986 - per iniziativa di un sacerdote tedesco e frutto della collaborazione dell’Abbazia della Dormizione e dalla Fondazione Monte Sion dell’Istituto di studi ebraico-cristiani presso l’Università di Lucerna - il premio è stato assegnato ad una trentina di persone che hanno operato per il dialogo interreligioso per la pace e per l’incontro di culture diverse. (T.C.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 308

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.