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Sommario del 02/11/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • 2 Novembre, il Papa nelle Grotte Vaticane per pregare per i Pontefici defunti
  • Il Papa al Verano: guardiamo al tramonto della vita con speranza. Preghiera per gli immigrati morti nel deserto e in mare
  • Pace e serenità dalle parole del Papa al Verano: il commento della teologa Monica Quirico
  • Tweet del Papa: lotta contro il male è dura e lunga; è essenziale pregare con costanza e pazienza
  • Il dramma della tratta degli esseri umani al centro di una Conferenza in Vaticano
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Dialogo difficile. Mons. Audo: aumentano fondamentalisti, cristiani primi obiettivi
  • Grecia, agguato ad Alba Dorata. Il giornalista Deliolanes: il popolo rifiuta la violenza
  • Elezioni in Kosovo, incertezza sulla partecipazione della comunità serba
  • Libia, ritrovati nel deserto 48 migranti dati per dispersi. Il Niger arresta 150 profughi
  • Il card. Hummes: la Chiesa d’Amazzonia sia protagonista della sua storia
  • Il primate anglicano al vertice del Cec: il desiderio dell'unità è sempre più profondo
  • Rifiuti tossici e i verbali di Schiavone. Don Patriciello: "In vent'anni il cittadino è stato lasciato solo"
  • "Sorrisi di madri africane": iniziativa per il parto sicuro in Africa
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Egitto: islamisti attaccano chiesa della Vergine Maria al Cairo
  • Pakistan: cristiani accusati di blasfemia costretti alla fuga
  • Il card. Filoni ai vescovi del Pakistan: la Chiesa è chiamata a costruire ponti e non muri
  • Pakistan: talebani eleggono nuovo leader dopo morte di Meshud in raid Usa
  • Iraq: al Maliki incontra Obama, nessuna promessa di nuovi aiuti militari
  • Datagate: Germania e Brasile presentano risoluzione a Onu sulla privacy
  • Georgia: Garibashvili nominato nuovo premier
  • Il card. Bagnasco ricorda quanti hanno combattuto perché l'Italia fosse libera
  • Ciclo di incontri promosso dai Francescani ad Assisi su giustizia, politica, pace e ambiente
  • Polonia: al via a Lodz il Festival della cultura cristiana
  • Il Papa e la Santa Sede



    2 Novembre, il Papa nelle Grotte Vaticane per pregare per i Pontefici defunti

    ◊   Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, oggi alle 18.00 Papa Francesco scenderà nelle Grotte Vaticane per presiedere un momento di preghiera per i Sommi Pontefici defunti, in forma strettamente privata. Già il primo aprile scorso, era il Lunedì dell’Angelo, Papa Francesco si era recato nelle Grotte Vaticane e aveva reso omaggio alle tombe dei Papi del secolo scorso che vi si trovano: Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I. L’atto di omaggio concludeva la visita di devozione alla tomba di San Pietro nella Necropoli che si trova sotto la Basilica vaticana. Nella Cappella Clementina, il luogo più vicino alla tomba del Principe degli Apostoli, il Papa aveva sostato in preghiera silenziosa.

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    Il Papa al Verano: guardiamo al tramonto della vita con speranza. Preghiera per gli immigrati morti nel deserto e in mare

    ◊   Guardare al “tramonto” della propria vita “con speranza”: è l'esortazione lanciata dal Papa durante la Messa celebrata al Verano nel giorno di Tutti i Santi. Papa Francesco è tornato nel Cimitero monumentale di Roma rinnovando una tradizione interrotta 20 anni fa da Giovanni Paolo II. Dal Papa anche una preghiera per gli immigrati morti nel deserto o in mare. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Già in mattinata, tra quanti venivano al Verano per trovare i propri cari e nel vicino quartiere di San Lorenzo, si percepiva la particolarità di questo momento. E molti ricordano quel primo novembre del 1993, quando Giovanni Paolo II per l’ultima volta venne per celebrare Messa nello storico cimitero romano, un luogo che non è solo un camposanto ma che racchiude parte della storia di Roma. Papa Francesco è stato accolto da due ali di folla, il piazzale principale del cimitero era pieno di fedeli, e proprio lì, dopo la benedizione delle tombe, ha fermato il suo pensiero su tutti quegli immigrati morti nel tentativo di guadagnare una vita migliore:

    “Anche vorrei pregare in modo speciale per questi fratelli e sorelle nostri che in questi giorni sono morti mentre cercavano una liberazione, una vita più degna. Noi abbiamo visto le fotografie, la crudeltà del deserto, abbiamo visto il mare dove tanti sono affogati. Preghiamo per loro”.

    E una preghiera anche per quelli che si sono salvati, ora “ammucchiati” nei tanti posti di accoglienza, sperando che siano velocizzate “le pratiche legali” affinché abbiano condizioni più comode. Poco prima ripercorrendo il tema dei fedeli defunti, il Pontefice aveva detto che “oggi è un giorno di speranza”, perché “i nostri fratelli e sorelle sono alla presenza di Dio. Anche noi saremo lì, per pura grazia del Signore, se noi cammineremo sulla strada di Gesù”. “La speranza è un po’ come il lievito, che ti fa allargare l’anima; ci sono momenti difficili nella vita, ma con la speranza l’anima va avanti e guarda a ciò che ci aspetta”. D’altronde, ha ricordato il Santo Padre i primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo, e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora”. Poi Papa Francesco ha elevato lo sguardo verso il cielo, un cielo di inizio novembre, dolce nei colori rossastri:

    "In questo pre-tramonto d’oggi, ognuno di noi può pensare al tramonto della sua vita: 'Come sarà il mio tramonto?'. Tutti noi avremo un tramonto, tutti! Lo guardo con speranza? Lo guardo con quella gioia di essere accolto dal Signore? Questo è un pensiero cristiano, che ci dà pace".

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    Pace e serenità dalle parole del Papa al Verano: il commento della teologa Monica Quirico

    ◊   Il giorno della Commemorazione dei fedeli defunti è un'occasione per rinsaldare i legami spirituali con i propri cari e con quanti hanno bisogno delle nostre preghiere. La Chiesa ricorda che è possibile ottenere l'indulgenza plenaria per chi non è più con noi. Un giorno per ravvivare la speranza, dunque, anche guardando al tramonto della nostra vita, come ha ricordato il Papa, durante la Messa al Verano. Sulle parole pronunciate ieri da Papa Francesco, Antonella Palermo ha sentito la prof.ssa Monica Quirico, docente di teologia fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale a Torino:

    R. - Mi ha molto colpito l’ancoraggio alla storia degli uomini, perché ha esordito dicendo: “Dobbiamo pensare al futuro e a quelli che se sono andati e sono già là, nel Signore, e a quello che ci aspetta”. Dunque, sempre questo legame con la nostra storia: noi che stiamo qua, ma che dobbiamo tendere ad essere là. E poi questa bell’immagine di Dio che ci porta per mano là: questa paternità di Dio che ci fa entrare nel cielo, grazie al Sangue di Gesù Cristo. E poi ancora un’immagine sulla speranza: la speranza come àncora. Ha ricordato l’immagine dei primi cristiani e dice: “Noi dobbiamo avere il cuore ancorato là dove sono i nostri antenati, i santi, Gesù, Dio”. Questa immagine della speranza, proprio molto significativa, come un lievito che fa allargare l’anima: questa distensione dell’anima mi pare veramente un’idea che ti prende dentro, che ti prende proprio al cuore, perché è una distensione che ci fa soprattutto pensare che è una grazia del Signore. Il Signore che ci anticipa: non siamo noi che andiamo là, ma Lui ci prende per mano e ci fa distendere, aprire questa anima.

    D. – Papa Francesco ha offerto un bel messaggio in un giorno particolarmente significativo per i fedeli …

    R. – Sì, c’è questa capacità del Papa, anche in giorni molto importanti, di essere molto semplice: ha predicato la grazia, prima ancora di predicare un fare. E’ proprio questo allargamento alla grazia di Dio. Questo mi sembra molto bello, non solo toccante dal punto di vista sentimentale, ma molto profondo: ci dice dove dobbiamo andare. Un’altra bella immagine è quello che ci ha detto sul nostro tramonto. Noi possiamo così - proprio con questa speranza, con questo allargamento - pensare al nostro tramonto e questo ci deve dare pace, però solo se di nuovo ci lasciamo - come dire - farci ricevere dal Signore. Allora il nostro tramonto diventa una pace.

    D. - A me fa pensare anche ad una fecondità: questa speranza come lievito, che dilata l’animo mi fa pensare davvero ad un nuovo inizio, ad una nuova creazione. E’ sicuramente molto consolante, vero?

    R. - Sicuramente, anche perché questo farci ricevere è farci ricevere da Gesù Risorto. E quindi questa è la nuova creazione, la resurrezione è il nuovo inizio, che è per sempre. E dunque non c’è più un ritorno indietro. Questo, in qualche modo, dovrebbe farci pensare, dovrebbe veramente darci pace e serenità.

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    Tweet del Papa: lotta contro il male è dura e lunga; è essenziale pregare con costanza e pazienza

    ◊   Nel giorno della Commemorazione dei fedeli defunti il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “La lotta contro il male – scrive - è dura e lunga; è essenziale pregare con costanza e pazienza”.

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    Il dramma della tratta degli esseri umani al centro di una Conferenza in Vaticano

    ◊   “La tratta delle persone: la schiavitù moderna. Gli indigenti e il messaggio di Gesù Cristo”. In questo titolo è racchiuso tutto il senso della conferenza organizzata in Vaticano dalla Pontificia accademia delle Scienze sociali, il 2 e 3 novembre, e dedicata interamente alla tratta degli esseri umani nel mondo, alle forme di sfruttamento, e soprattutto alle forme di intervento da attuare per porre fine ad uno dei più aberranti crimini contro l’umanità. All’incontro, fortemente voluto da Papa Francesco, prendono parte studiosi, docenti universitari, funzionari delle principali organizzazioni governative. Tra loro, anche Gustavo Vera, presidente della Fondazione La Alameda di Buenos Aires e amico di Papa Bergoglio. Francesca Sabatinelli gli ha chiesto quanto sia importante questa riunione in Vaticano:

    D. - Es un señal muy fuerte por que es unos de los dramas humanos…
    E’ un segnale molto forte, perché la tratta delle persone rappresenta uno dei drammi umani più importanti del Pianeta: ha a che fare con la dignità, con la libertà e con la vita delle persone. Il traffico degli esseri umani rappresenta uno dei delitti più aberranti, che viola i diritti umani e che, purtroppo, in questo periodo ha una scala massiva: milioni di persone sono sottomesse ad una schiavitù lavorativa, ad una schiavitù sessuale. Parliamo anche di traffico e riduzione in schiavitù di bambini, di traffico di organi attraverso le mafie che funzionano - possiamo dire - su scala globale e con la protezione di settori corrotti degli Stati, quello che si chiama cioè crimine organizzato. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno mafioso globale, un sistema che attraverso il riciclaggio trasforma il denaro sporco - prodotto dello sfruttamento, dell’umiliazione, della riduzione in schiavitù delle persone - in capitale finanziario. Non è facile intentare una battaglia integrale contro la mafia e in questo senso ci sembra molto importante l’apporto che ha compiuto l’associazione “Libera” in Italia: “Libera” ha identificato la tratta dentro la mafia e sostenuto che quello della tratta è soltanto uno dei tanti delitti che commette la mafia sotto la protezione dello Stato, come il narcotraffico, come il traffico di armi. Ma qual è stato l’apporto di “Libera” e che poi altri Paesi hanno imitato? Ha apportato quelli che sono stati gli insegnamenti di Pio La Torre: la mafia bisogna combatterla non solo penalmente, ma soprattutto economicamente. Bisogna cioè smantellarle i beni, confiscare i beni dei mafiosi e riutilizzarli a livello sociale. C’è bisogno di una forte politica preventiva e educativa contro i fenomeni mafiosi. Questa è l’unica via effettiva per combatterla integralmente come società civile. Se analizziamo la tratta come un fenomeno slegato dagli altri delitti mafiosi, commettiamo uno sbaglio; se pensiamo che la tratta la si possa combattere unicamente penalmente, sbagliamo strada. L’unico modo di sconfiggere integralmente la mafia è attaccandola alle sue radici e le sue radici hanno a che vedere con l’economia, con una forma distorta del capitalismo selvaggio, che permette questa forma di oppressione e sfruttamento.

    D. - Queste sono le parole di Papa Bergoglio, quando era a Buenos Aires. Questo era il messaggio che lanciava l’allora cardinale?

    R. - Exactamente. El mensaje de Bergoglio es que había muchas esclavitas…
    Esattamente! Il messaggio di Bergoglio è che quando si vede il fenomeno della schiavitù, non si vede anche colui che conta il denaro di questa schiavitù, che diventa ricchezza attraverso il riciclaggio del denaro sporco. Jorge Bergoglio non soltanto denunciava la tratta, ma denunciava tutta la catena del denaro, che comprendeva la tratta e che faceva sì che molte persone si convertissero in ricche, da un giorno all’altro, senza alcuna spiegazione e questa spiegazione aveva a che fare con questo, era legata con la tratta e con la mafia.

    D. - Quindi quanto è importante che oggi la Chiesa cattolica abbia voluto dedicare questi due giorni a un fenomeno così mondiale? Quando è importante l’impegno della Chiesa cattolica?

    R. - Es muy importante el empeño por que la Iglesia católica…
    E’ molto importante l’impegno perché la Chiesa cattolica rappresenta un’entità importante del pianeta, numericamente parlando, e attraverso i valori che storicamente predica può rappresentare una barriera reale contro la mafia, può rappresentare un aiuto per la società civile ad organizzarsi contro la mafia. Per questo è necessario lavorare a quello che Bergoglio chiama la “cultura dell’incontro” che fondamentalmente è l’unità, il ricercare i denominatori comuni tra tutte le religioni, tra tutte le filosofie per difendere la libertà, la vita e la dignità della persona. Ma la “cultura dell’incontro” non significa soltanto sedersi a dialogare con persone diverse, ma sedersi a dialogare con persone diverse per il bene comune, per difendere la vita, la dignità e la libertà della persona, che si ritrovano in tutte le filosofie e che si ritrovano in tutte le fede. E’ sufficiente mettersi in accordo per lavorare insieme.

    D. - L’ultima cosa, un ricordo di quello che era il vostro lavoro insieme con Papa Bergoglio, con il cardinale Bergoglio: voi lavoravate insieme e facevate molte cose insieme…

    R. - El mi recuerdo es de una persona que predica con el ejemplo, de una persona que …
    Il mio ricordo è quello di una persona che predica con l’esempio, una persona che crede profondamente in ciò che dice, che è molto coerente con il suo pensiero, che segue con i fatti e non con le parole, che ha sempre al centro delle sue preoccupazione i poveri, che ha sempre al centro delle sue preoccupazioni l’altro, che considera suo fratello.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Vite stroncate tra deserto e mare: il Papa al Verano prega anche per i migranti morti e chiede procedure più snelle per l'accoglienza dei superstiti.

    Nell'informazione internazionale, un articolo di Pierluigi Natalia dal titolo “Dall’Abey nuove minacce alla pace sudanese”: Khartoum e Juba non riconoscono il referendum.

    Quando è utile spaccare il capello in quattro: Inos Biffi su Chesterton e l'elogio delle sottigliezze teologiche.

    Un articolo di Felice Accrocca dal titolo “L’ultima beghina”: il 2 novembre 1913 nasceva Romana Guarnieri.

    La schiavitù moderna ai raggi x: Giulia Galeotti riguardo al convegno in Vaticano sulla tratta delle persone.

    Un articolo di Roberto Pertici dal titolo "Quei ruggenti (e cattolici) anni Venti": padre Gemelli e la nascità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La necessità di uscire da se stessi: il cardinale Barbarin a “L'Espresso”.

    Quell'osmosi interrotta: Pier Angelo Carozzi su Uberto Pestalozza pioniere della storia delle religioni in Italia.

    Il mensile “donne chiesa mondo” su suore e carceri.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Dialogo difficile. Mons. Audo: aumentano fondamentalisti, cristiani primi obiettivi

    ◊   Appare sempre più in salita la strada per la conferenza di Ginevra 2 sulla pace in Siria, prevista in teoria per il 23 novembre. "Senza l'opposizione l'iniziativa non potrà svolgersi", ha affermato il mediatore internazionale, Brahimi, prima di lasciare Damasco dopo quattro giorni di colloqui. E non c'è nessuna conferma, ha ammesso, che il fronte anti-regime possa formare una delegazione unitaria. Intanto, la piccola comunità cristiana continua ad essere presa di mira da gruppi fondamentalisti. Delle prospettive negoziali e della situazione sul terreno Fausta Speranza ha parlato con mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria:

    R. - Penso che sia necessaria una volontà internazionale a sostegno di questo incontro per arrivare ad una soluzione per questa guerra, che ormai è una questione di livello internazionale; si deve riuscire ad avere una volontà internazionale per trovare una strada di pace e di riconciliazione. A questo incontro, sicuramente, dovrebbero essere presenti tutte le parti in conflitto, il governo siriano e l’opposizione democratica libera da ogni tipo di sostegno estero, soprattutto in armi e denaro. Questa è la visione.

    D. - Che cosa dire della situazione attuale del conflitto? Chi sono le parti coinvolte? Si capisce chi sono?

    R. - Diventa sempre più problematico. Si sa che ovviamente c’è l’esercito e il governo, ma poi nello specifico dell’altra parte non si sa nulla. Ci sono tanti gruppi, tante denominazioni che provocano veramente una grande confusione. Anche noi siriani abbiamo difficoltà ad identificare le persone, scopriamo ora lotte interne e questo è un segnale reale di manipolazione che proviene dall’esterno. Si può dire in modo oggettivo.

    D. - Forze fondamentaliste …

    R. – Sì, ci sono tanti fondamentalisti. Penso che dietro di loro ci siano forze che forniscono il loro sostegno attraverso le armi per arrivare ad uno scopo preciso. Non si sa. È veramente molto difficile identificarli perché non ci sono persone, nomi, comunicazioni ufficiali. Hanno distrutto l’economia, le industrie, hanno paralizzato il Paese! E tutto questo per arrivare a dominare, per arrivare al potere.

    D. - Che dire dei cristiani?

    R. - I cristiani sono in prima linea. Come tutti i siriani, hanno difficoltà di tipo economico e come gruppo di minoranza hanno ancora più difficoltà perché sentono che il loro futuro è in pericolo. E questo è un dispiacere per la Chiesa! Questa bella presenza storica, di tradizione, di capacità, diventa sempre più debole e senza forze per poter continuare. Questa è una nostra tristezza.

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    Grecia, agguato ad Alba Dorata. Il giornalista Deliolanes: il popolo rifiuta la violenza

    ◊   Una vera e propria esecuzione. Ne sono convinti gli inquirenti greci a proposito dell’agguato di ieri sera ad Atene contro una sede del partito di estrema destra "Alba Dorata", che ha causato la morte di due militanti ed il ferimento di un terzo. Ad agire sarebbero stati due killer, appoggiati da un’auto. Per la polizia il caso è da considerarsi collegato al terrorismo. Nei giorni scorsi il Parlamento greco aveva deciso la sospensione del finanziamento pubblico ad "Alba Dorata", nelle cui fila figurano diversi esponenti accusati di costituzione di banda criminale. Il fondatore del movimento, Nikos Michalo-liakos, e altri componenti dello stesso sono attualmente in carcere. Il partito era finito nella bufera dopo l’assassinio a settembre del rapper antifascista, Pavlos Fyssas, per mano di un militante di "Alba Dorata". Sui motivi dell’agguato di ieri ad Atene, Giada Aquilino ha intervistato Dimitri Deliolanes, corrispondente in Italia della televisione pubblica greca “Ert” e autore del libro “Alba Dorata - L’avanzata dell’estrema destra in Europa”:

    R. - E’ una provocazione, sia fatta ad arte, sia come risultato - poi si vedrà nelle indagini - di una strategia perversa che eventualmente qualche gruppo di estrema sinistra potrebbe attuare. Dico che è una provocazione perché avviene nel momento in cui "Alba Dorata" sta attraversando una durissima crisi politica e giudiziaria nell’affrontare le accuse che sono state mosse contro il movimento e che hanno “decapitato” la sua leadership.

    D. - Oltre allo scontro tra estrema destra ed estrema sinistra, potrebbero esserci altre ragioni?

    R. - Sì, potrebbe esserci un gioco di destabilizzazione molto pesante, una spinta verso la guerra civile strisciante, gli scontri di strada. Potrebbero esserci centri interessati a gettare la Grecia verso una deriva di questo genere. Ricordo che la strategia della guerra civile è stata esplicitamente rivendicata da "Alba Dorata" ed è stata altrettanto esplicitamente rivendicata da alcuni gruppi armati anarco-insurrezionalisti. Dietro "Alba Dorata" sappiamo che ci sono delle forze oscure, ci sono rapporti con i servizi segreti, con le forze di polizia. Non mi stupirei se dietro i gruppi cosiddetti anarchici o di estrema sinistra ci fossero altrettante spinte di questo genere.

    D. - E ragioni magari legate al momento politico ed economico che la Grecia sta vivendo?

    R. - Sicuramente il momento è molto delicato: c’è un governo che non riesce e che non vuole neanche continuare la politica di austerità imposta dalla troika (Fmi, Bce ed Ue); c’è una situazione sociale molto difficile; ci sono equilibri davvero precari. Penso che questa provocazione abbia però un carattere strategico e temo che sarà seguita anche da altre, nel senso che si punta direttamente alla destabilizzazione. Non è più in discussione il ricupero dell’economia greca o della sua posizione dentro l’Eurozona o dentro l’Europa, ma è proprio la Grecia in quanto Stato, in quanto democrazia che è messa sotto attacco. C’è il rischio di una destabilizzazione prolungata.

    D. - E la popolazione come vive questi giorni?

    R. - Con grande preoccupazione. Una grande preoccupazione che si aggiunge ad una preoccupazione politica, che si aggiunge alle preoccupazioni di sopravvivenza che ormai da più di tre anni si affrontano a livello di vita quotidiana. Quello greco è un popolo democratico: ha un ricordo collettivo di grande tristezza della guerra civile che ci fu negli anni ‘46-‘49. Non accetta la violenza politica, non la vuole e quando viene praticata - specialmente da parte di questo gruppo di estrema destra - sa subito condannarla. Adesso che si vuole far emergere una specie di violenza di opposti estremismi è evidente che l’opinione pubblica reagisce con sempre più rifiuto, disgusto, negazione totale di qualsiasi tipo di violenza politica.

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    Elezioni in Kosovo, incertezza sulla partecipazione della comunità serba

    ◊   Si vota questa domenica in Kosovo per le elezioni municipali, appuntamento importante per le relazioni tra la maggioranza albanese e la minoranza serba. Per la prima volta il voto si terrà anche nel nord, abitato prevalentemente dalla comunità serba, con l’elezione di municipalità autonome. Dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e anche da Belgrado sono arrivati appelli ad andare alle urne, ma c’è incertezza sull’affluenza. Nell’intervista di Davide Maggiore ascoltiamo il commento di Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:

    R. – Bisognerà vedere quanto conterà il richiamo del rancore, degli odii sedimentati in tanti anni di guerre e di contrasti o quanto conterà invece il richiamo della ragione che è quello che dovrebbe, negli auspici di molti, prevalere dopo gli accordi di aprile che hanno avviato un minimo di distensione tra la Serbia e il Kosovo. Secondo molti osservatori e analisti, se almeno il 15 per cento dei serbi che vivono in Kosovo andrà a votare, sarà un buon risultato, una conferma della bontà della linea scelta da Belgrado che con la distensione con il Kosovo vuole guadagnarsi il passaporto per l’ingresso nell’Unione Europea.

    D. – Nelle ultime settimane, da Belgrado sono arrivati inviti ai serbi del Kosovo ad andare a votare, proprio nell’ottica di un avvicinamento di Belgrado all’Unione Europea …

    R. – Indubbiamente, Belgrado ha bisogno dell’Unione Europea, ha bisogno di dare uno sbocco alla propria economia pericolante, ha bisogno di dare uno sbocco ai propri giovani, di costruirsi orizzonti più ampi in tutti i sensi: dal punto di vista politico, dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale. Questo orizzonte per Belgrado non può essere che l’Europa: la Russia, che è stato il ‘mito’ per molti anni, è troppo lontana, e poi ha altri problemi, e poco può fare per la Serbia, mentre l’Unione Europea può fare tanto. L’Europa chiede a Belgrado di pacificarsi e di dimenticare il passato per quanto possa essere doloroso, agli occhi dei serbi, e quindi arrivare ad un accordo con il Kosovo. Da questo dilemma, Belgrado non può uscire se non mostrando di avere sufficiente influenza sui serbi che vivono in Kosovo. Ma anche il Kosovo ha interesse ad arrivare ad una composizione con il suo vicino, soprattutto con quella parte di popolazione che vive all’interno dei suoi confini. Insomma, ci sono tantissime ragioni che fanno sì che la pressione verso un voto dei serbi in Kosovo sia molto forte.

    D. – Alla luce di quanto accaduto sul piano diplomatico alla vigilia di queste elezioni, e soprattutto dell’accordo di aprile, che abbiamo già citato, quanto è probabile che si arrivi effettivamente a questa distensione tra Belgrado e Pristina?

    R. – Più crescono generazioni che non hanno vissuto direttamente la stagione dei massacri nei Balcani, e più ci sono possibilità che il dibattito si incanali, appunto, all’interno di procedure democratiche come il voto, come la partecipazione ai consigli municipali … Bisogna vedere se questo tempo è già arrivato.

    D. – Anche all’indomani di queste elezioni, quale potrà essere il ruolo della comunità internazionale nel favorire il processo di riavvicinamento, che tutti si augurano?

    R. – Io credo che, più che di comunità internazionale, qui si debba parlare proprio di Unione Europea. La comunità internazionale nel senso più ampio del termine, infatti, si è schierata con il Kosovo. Ci sono sia questioni ideali, sia questioni di influenza geopolitica, eccetera. Io credo invece che l’Unione Europea sia più specificamente in grado e nella posizione di fare cose per una pacificazione definitiva dei Balcani: è tutto una specie di gioco di ricadute successive, non facili ma che piano piano hanno prodotto qualche risultato.

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    Libia, ritrovati nel deserto 48 migranti dati per dispersi. Il Niger arresta 150 profughi

    ◊   Circa 48 immigrati, dati per dispersi, sono stati ritrovati dalle autorità libiche nel deserto mentre cercavano di raggiungere l’Egitto, ma all’appello mancherebbero un’altra decina di migranti. Intanto il Niger ha proclamato tre giorni di lutto nazionale dopo il ritrovamento dei 97 morti, ricordati ieri anche dal Papa e ha promesso la chiusura del campo profughi di Agadez per limitare l’azione dei trafficanti di uomini. Sempre in Niger l’arresto di 150 profughi che fuggivano verso l’Algeria. Intanto, Lampedusa si prepara a commemorare le vittime del naufragio del 3 ottobre scorso. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Alganesh Fessaha, presidente della Ong Ghandi per la Cooperazione e lo Sviluppo:

    R. – Quella zona è una zona calda, una zona di trafficanti. Il Niger, la Libia, il Sudan, l’Egitto, sono zone dove queste cose accadono ogni giorno. Io non capisco come mai non ci siano stati interventi in questi anni. Sono tanti anni che va avanti questa cosa. Ci si ricorda soltanto quando c’è la morte. Ci sono pure migliaia di africani nelle prigioni libiche ed anche in quelle che sono nelle mani dei beduini egiziani. La cosa grave è che queste persone vengono raccolte come capi di bestiame in un centro profughi, dove poi vengono prelevati dai trafficanti che, non appena sono stati pagati, li lasciano nel deserto. Questo lo sanno tutti. Ma perché - dico - non si riesce ad intervenire per bloccare questa situazione?

    D. – Bisognerebbe fare qualcosa, diceva lei, ma in termini pratici spesso non si riesce neanche a dare l’adeguato soccorso, il primo soccorso a queste persone che si mettono in viaggio rischiando la vita...

    R. – Innanzitutto chiederei soprattutto alla comunità internazionale, di intervenire nei Paesi di origine, perché quello è il problema fondamentale. Gli eritrei, per esempio, scappano, ma perché? Non perché non amino la loro terra, la loro patria, ma perché non c’è lavoro, c’è un servizio militare permanente, non c’è libertà di stampa, di parola, non si trova da mangiare. Lo stesso in Niger. Idem sul versante del Mediterraneo. Io le faccio un esempio: il centro di Lampedusa è un centro in cui ci si dovrebbe stare una settimana, dieci giorni. I sopravvissuti del 3 ottobre sono ancora lì ed è un mese. Non si sa per quale ragione. Quelli che sono tenuti nel centro, tra l’altro non vogliono nemmeno rimanere in Italia: vogliono andarsene verso i Paesi scandinavi. E lasciamoli andare. Se hanno delle famiglie, facciamo il ricongiungimento familiare. Lasciamoli andare, agevoliamoli.

    D. – Ieri l’ennesimo appello di Papa Francesco per tutti coloro che muoiono in mare o nel deserto, che sperimentano la brutalità del deserto ed anche l’appello invece per quei migranti che riescono ad effettuare la traversata, ma che poi, una volta arrivati, non ricevono adeguata accoglienza...

    R. – Assolutamente: non ricevono niente di niente. Quando tu sai, infatti, che queste persone hanno visto i loro compagni, le loro mogli annegare oppure morire nel deserto di sete e cose del genere, dopo essere stati maltrattati - le donne violentate, i ragazzi picchiati – dopo essere morti di fame, dopo tutta questa sofferenza, un po’ di attitudine umanitaria ci deve essere! Non si può ignorare, pensando di usare il Frontex oppure solo un corridoio umanitario. Tutti parlano di pace, di democrazia e poi si muovono solo in altri campi, ma non in questi contesti umani. L’unica persona che ha sempre fatto un appello per questo – e lo ringrazio anche da parte di tutti i morti in Niger, nel Sudan e in tutta l’Africa subsahariana - è il Papa. E’ l’unico pure che ha voluto essere a Lampedusa per stare vicino ai sopravvissuti.

    D. – A proposito di Lampedusa, domani il Comune ha organizzato una commemorazione per un mese dalla tragedia del 3 ottobre. Quello che viene in mente è anche come, a fronte spesso di mancanze istituzionali, ci sia invece una grandissima solidarietà da parte della popolazione, che riceve queste persone, e Lampedusa è in prima linea...

    R. – Per me Lampedusa è un esempio grandissimo, perché quando sono arrivati i parenti per il riconoscimento delle salme, tutti hanno aperto le loro case. Tutti: dal sindaco all’ultima persona. La loro generosità è stata incredibile.

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    Il card. Hummes: la Chiesa d’Amazzonia sia protagonista della sua storia

    ◊   “Una Chiesa con il volto amazzonico”. E’ un passaggio del documento conclusivo del Primo incontro della Chiesa dell’Amazzonia, svoltosi a Manaus dal 28 al 31 ottobre. Nel documento, che verrà inviato a tutte le comunità locali, si mette l’accento sulle tante sfide che deve affrontare l’Amazzonia, dalla povertà alla difesa dell’ambiente, dallo sfruttamento del lavoro minorile al traffico di persone. La nostra inviata a Manaus, Cristiane Murray ha intervistato il cardinale Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo del Brasile, presente all’incontro:

    R. - Tra tutti gli impegni che prendono i vescovi di questa macro regione brasiliana dell’Amazzonia, quello di cui sono più contento è la rinnovata coscienza di andare verso le periferie, attraversare questi ponti per arrivare agli indios, agli afro-discendenti, che sono i neri. Noi dobbiamo arrivare ad un clero autoctono, a un clero indigeno. Molto spesso dico: “Gli africani hanno i loro vescovi, i loro sacerdoti … Loro sono una chiesa africana. E sono felici di esserlo. Sono i protagonisti della loro storia!” Questo dovrebbe accadere anche, per esempio, con i nostri indigeni, la cui storia è stata spezzata. E rimane nella mente come una tragedia umana e del popolo indigeno! È necessario metterli in condizione di avere, di ricostruire, una storia - anche religiosa - quindi con i loro sacerdoti, i loro pastori, i lori vescovi affinché sia semplicemente una chiesa come le altre.

    Sempre Cristiane Murray ha raccolto la testimonianza, alla fine dei lavori, del vescovo di Santarém, mons. Flavio Giovenale:

    R. - Quello che porto di bello a casa è la speranza: ce la faremo! Con Cristo ce la faremo! Abbiamo delle sfide enormi. Solo per dire, l’Amazzonia è una quindicina di volte più grande dell’Italia e abitata per meno di metà della popolazione italiana: perciò una vastità enorme - e questa è una delle sfide - ma anche con problemi enormi. Abbiamo però la certezza che Cristo è con noi e allora con Cristo che vengano i problemi, perché li risolveremo. Non vuol dire che li risolveremo subito, immediatamente, però faremo uno sforzo per risolverli. Perciò quello che porta nella valigia è una grande dose di speranza, un’allegria molto grande dovuta proprio alla fiducia del Papa, che ci ha detto di andare avanti, di cominciare, di non avere paura delle sfide e di non aver paura neanche di sbagliare. Sfide ce ne sono, problemi ce ne sono, dolori ce ne sono, ma andiamo avanti, perché così faremo la vita: non solo ci lasceremo condurre dalla vita, ma guideremo la vita.

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    Il primate anglicano al vertice del Cec: il desiderio dell'unità è sempre più profondo

    ◊   E’ in corso a Busan, in Corea del Sud, la 10.ma Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec) sul tema: ‘Dio della Vita, portaci alla giustizia e alla pace’. All’organismo sono associate oltre 300 Chiese e Comunità cristiane. Presente all’incontro, anche l'arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa anglicana Justin Welby. Philippa Hitchen lo ha intervistato:

    R. – It’s my first experience...
    E’ la mia prima esperienza, quindi sono davvero qui per imparare... La prima cosa che mi colpisce sono state le dimensioni e la portata della Chiesa e credo che una delle cose che fa il Cec sia mettere insieme i vari elementi della Chiesa, nonostante i forti disaccordi esistenti. Ma si ha un senso della portata e profondità e ampiezza dell’opera di Cristo nel mondo e questo è straordinariamente impressionante.

    D. – Il Cec a volte viene criticato perché esalta la differenza e la diversità ...

    R. – I think the longing for the union...
    Penso che il desiderio per l’unità della Chiesa di Cristo venga dall’opera dello Spirito Santo piuttosto che dalla nostra. E’ un dono dello Spirito e quel desiderio è sempre più profondo e in crescita. Ma la diversità che esiste nel mondo si riflette sempre di più sulla Chiesa universale e diventa sempre più arduo superare gli ostacoli. Il pericolo è quello di finire in una sorta di minestra, dove tutto è sdolcinato. Dall’altro lato, impariamo però cosa sia amarci l’un altro nella diversità, mantenendo tuttavia l’unico Signore Gesù Cristo al centro della nostra vita e di cui noi siamo discepoli.

    D. – Lei ha detto recentemente che i disaccordi principali non riguardano i dogmi e la dottrina…

    R. – We exist in different Church communities…
    Viviamo in diverse comunità della Chiesa nel mondo e più andiamo avanti, più le nostre diverse comunità integrano le loro organizzazioni e si radicano. Alcune di loro hanno radici profonde di secoli: questo non aiuta a “ri-immaginare” cosa significhi assomigliare alla Chiesa e rinunciare ad alcune delle cose che ci danno il nostro senso dell’appartenenza alla causa di Cristo. Ci sono tra noi differenze dottrinali e dogmatiche fondamentali ed estremamente importanti su cui dobbiamo lavorare - così come fa l’Arcic - e noi le trattiamo con grande serietà. Dobbiamo però essere sicuri di lavorare su di esse in un contesto di Chiese e comunità ecclesiali per le quali nessun sacrificio è troppo grande di fronte all’obbedire al richiamo di Cristo ad essere una cosa sola.

    D. – Lei dovrebbe tornare a Roma l’anno prossimo. Dopo il suo incontro con Papa Francesco, lei aveva annunciato alcune iniziative interessanti: cosa ci può dire della preparazione di tale visita?

    R. – God has given you and given us…
    Dio ha dato a voi e a noi tutti un grande Papa: è un grande Papa delle sorprese. Penso che la gente si senta ispirata e confortata per quello che vede in Papa Francesco, così come lo sono io. Penso sia una persona meravigliosa. Sorprese? Sì, penso che ci saranno una sorpresa o due ... Speriamo di presentare qualche sorpresa... Ma, non posso assolutamente accennarle quali possano essere!

    D. – In occasione della sua visita in Asia, lei ha visitato anche il Giappone e Hong Kong. Come vede il ruolo delle Chiese della minoranza cristiana in questa regione?

    R. – Christians are a very small minority in Asia...
    I cristiani sono davvero una piccola minoranza in Asia. Le Chiese anglicane si presentano con alcune caratteristiche peculiari. La prima è il fatto di essere Chiese-ponte: costruiscono ponti. La seconda è che si occupano dell’istruzione: ci sono 150 mila bambini ad Hong Kong educati nelle scuole della Chiesa anglicana. In Giappone, la Chiesa è profondamente impegnata con le comunità che sono state colpite dai disastri dello tsunami e di Fukushima e sta lavorando in modo meraviglioso al servizio di quelle persone che altri non riescono a raggiungere, rispondendo alle loro esigenze basilari. Quindi, una Chiesa povera per i poveri, e questo mi ha fatto molto piacere.

    D. – Recentemente, ha dovuto occuparsi anche delle divisioni all’interno della sua comunità anglicana. In occasione del secondo incontro Gafcon (Global Anglican Future Conference), che si è svolto in Kenya, ha incontrato i leader dei vescovi tradizionalisti anglicani. Quanto è preoccupato per le profonde differenze all’interno del mondo anglicano?

    R. – The trip to Kenya was wonderful...
    Il viaggio in Kenya è stato meraviglioso. Sono andato principalmente per esprimere la mia solidarietà alla gente e alle Chiese del Kenya, in seguito all’attacco terroristico di Nairobi. Casualmente, è coinciso con l’inizio dell’incontro del Gafcon; ho incontrato i loro leader ed è stato un grande privilegio. Gli anglicani hanno sempre trattato i loro disaccordi molto apertamente, pubblicamente e ad alta voce. In gruppi come il Gafcon e con molti altri nella Chiesa anglicana mi piace incontrare molte prospettive differenti, che ci sollecitano in direzioni particolari e ci ricordano l’ampiezza e la profondità dell’impegno cristiano di cui abbiamo bisogno. Quindi, sono loro grato per avermi obbligato a riflettere: li ho ascoltati tutti.

    D. – Riguardo alla questione delle donne vescovo, c’è ora una nuova proposta di normativa che sarà discussa al Sinodo generale di novembre. In che cosa si differenzia dal primo tentativo, fallito così drammaticamente, un anno fa?

    R. – You’ll have seen the papers...
    Lei avrà visto i documenti. Quello che abbiamo qui è una misura chiara e semplice che stabilisce alcuni principi di base su come noi operiamo come Chiesa, sostenuta dalla possibilità di rivolgersi ad un difensore civico, in modo tale che chi pensasse che non stiamo vivendo secondo i principi enunciati all’origine, possa fare ricorso. Vedremo se anche il Sinodo pensa che questa sia la giusta via da seguire. Io lo spero davvero, ed è più che ottimismo.

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    Rifiuti tossici e i verbali di Schiavone. Don Patriciello: "In vent'anni il cittadino è stato lasciato solo"

    ◊   Ancora roghi tossici in Campania, nella Terra dei Fuochi. Due algerini sono stati fermati a Casal di Principe. Questo nel giorno in cui sono state rese note le dichiarazioni del pentito dei Casalesi, Carmine Schiavone, in un’audizione del 1997 davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo di rifiuti. Si diceva già allora tutto sui luoghi e sulle responsabilità criminali. “Parole che fanno male”, commenta al microfono di Gabriella Ceraso, il parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello da anni impegnato sul fronte anticamorra:

    R. - Noi, leggendo queste carte, non abbiamo saputo niente di nuovo. Però la domanda è una sola: queste cose sono state dette 16 anni fa e in questi 16 anni che cosa è stato fatto? Non un solo ettaro di terreno è stato messo a no-food; per questi Tir che vanno allegramente per l’Italia, in giro per l’Italia, non c’è ancora oggi un sistema satellitare che li possa controllare. Ci troviamo all’anno zero. Se non avessimo alzato noi la voce in questi ultimi 2 anni… Schiavone diceva: “Tra 20 anni morirete tutti di tumore!”. Questa triste profezia si sta avverando. Sono passati 16 anni e lo Stato continua a dire che qui si muore perché mangiamo male, fumiamo troppo e non facciamo prevenzione. Noi ci accorgiamo che non c’è una casa dove non c’è uno o più ammalati di cancro. Anche le pene per chi appicca questi roghi, le pene per chi sversa sono ridicole!

    D. - Possiamo augurarci che questa sia solo l’ennesima goccia in un vaso che è ormai colmo, che dovrebbe scuotere effettivamente l’opinione pubblica…

    R. - Guardi che l’opinione pubblica è scossa. Noi il 16 novembre saremo a Napoli, tutti quanti in piazza, e siamo disposti ad andare anche a Roma. Di fronte ad uno scempio di questa gravità, il cittadino è stato lasciato completamente solo. Ho chiesto tante volte anche a Confindustria, al presidente del Confindustria, di dire una parola, di starci accanto… Niente! Non c’è stata una parola!

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    "Sorrisi di madri africane": iniziativa per il parto sicuro in Africa

    ◊   “Sorrisi di madri africane” è la campagna del Comitato Collaborazione Medica a favore della salute materna e infantile, che ha garantito gravidanza e parto sicuro a circa 65 mila donne, assistendo e vaccinando migliaia di bambini. Tutto grazie a 50 medici volontari che formano il personale sanitario locale. Marilena Bertini, medico e presidente del Comitato Collaborazione Medica, ha raccontato a Elisa Sartarelli questi primi due anni di lavoro:

    R. - La Campagna “Sorrisi di madri africane” è partita nel 2011. Fino adesso abbiamo assistito e curato, durante la gravidanza e il parto, circa 65 mila donne, di cui 11.500 assistite proprio in modo chirurgico: quindi in una struttura ospedaliere, con taglio cesareo o con trasfusioni di sangue quelle donne che avevano complicanze durante il parto. Quindi abbiamo salvato almeno quasi sicuramente queste 12 mila donne circa. Poi abbiamo curato e vaccinato circa 250 mila bambini. Vaccinare si sa cosa vuol dire, mentre curare vuol dire soprattutto curare la malaria, curare la diarrea, curare le polmoniti che sono le malattie che portano a morte i bambini, soprattutto nel primo anno di vita, ma comunque fino ai cinque anni.

    D. - Avete degli obiettivi ambiziosi entro il 2015: quali sono?

    R. - Assistere e curare durante la gravidanza e il parto 200 mila donne nei Paesi in cui lavoriamo, che sono Africa sub-sahariana orientale, soprattutto nelle zone rurali; e curare e vaccinare 500 mila bambini.

    D. - Il vostro impegno è forte anche in Italia…

    R. - Sì, anche in Italia lavoriamo per sensibilizzare più persone possibili, per avere la collaborazione del maggior numero di nostri amici o di persone che conosciamo perché venga diffuso quello che noi riteniamo sia fondamentale per tutti e cioè il diritto alla salute. Noi abbiamo la fortuna in Italia di avere un sistema sanitario nazionale che garantisce il diritto alle cure per chiunque ne abbia bisogno: vogliamo che questo sia diffuso nel mondo e per questo abbiamo bisogno di testimoni e di persone che con noi collaborino per l’ottenimento di questo diritto. E poi da quando ci siamo accorti che anche in Italia c’erano delle fasce di persone che potevano accedere meno ai servizi sanitari, abbiamo iniziato a lavorare con gli immigrati e più recentemente con i rifugiati. E questo per far sì che anche queste fasce svantaggiate di popolazione potessero utilizzare quello che è un loro diritto e cioè il Servizio Sanitario Italiano, che garantisce anche a queste fasce di popolazione la possibilità di essere curare. Cerchiamo poi di sensibilizzare i bambini - e anche gli adulti - su argomenti che ci stanno a cuore come l’intercultura, come la possibilità e la bellezza di poter scambiare esperienze, scambiare modi di vita e scambiare proprio quella che è una parte di vita con popolazioni diverse delle nostre. Ci siamo resi conto che quando andiamo in Africa, la nostra umanità, cioè il nostro spirito, rimane estremamente arricchito e anche lavorando con gli immigrati possiamo avere degli scambi molto interessanti, che allargano la nostra mente e il nostro cuore e quindi arricchiscono tutta la nostra persona. Collaboriamo anche con altre entità: abbiamo avuto, per esempio, la possibilità di collaborare con la Magnun Photo, una delle più importanti agenzie di fotografi: con loro abbiamo realizzato una mostra che si chiama “Sorrisi di madri africane”, in cui sottolineiamo l’importanza della donna nella società africana, della mamma nella propria società e di come - anche in questo campo - scambiare esperienze di come si gestiscono i bambini, di come si svezzano, di come si porta avanti la gravidanza, di come ci si può aiutare reciprocamente in questi momenti particolari e belli, ma a volte anche faticosi, della vita, ci arricchisce a noi e speriamo anche loro.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella 31.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Zaccheo, il ricco capo dei pubblicani di Gerico, incontrando Gesù si converte, promettendo di distribuire la metà di ciò che possiede ai poveri e di restituire quattro volte tanto laddove abbia frodato qualcuno. Gesù allora dice:

    «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Zaccheo, un ricco capo dei pubblicani, vuole vedere Gesù. In realtà è Gesù che, “venuto a cercare e salvare ciò che era perduto”, lo vuole incontrare e lo trova sopra un sicomóro, dove, piccolo di statura, si è rifugiato per vederlo. Giunto sotto l’albero, Gesù alza lo sguardo e gli dice: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua!”. Tre parole importanti: “scendi subito”: il tempo della salvezza non ammette lentezze o ritardi; “oggi”: è il tempo di Dio, il tempo della sua venuta, della sua presenza; “devo fermarmi a casa tua”: questo “devo” merita attenzione. Il Signore, nel suo disegno di salvezza, ha deciso di sostare a casa di Zaccheo: significa che, questo “è conveniente” per la sua vita. Zaccheo scende e, pieno di gioia, lo accoglie a casa sua. Il mangiare presso gli ebrei è un atto sacro per la benedizione di Dio che crea la comunione tra tutti i commensali. Non è bene perciò mangiare con un peccatore, che sta al di fuori di questa benedizione. E così “tutti”, compresi i suoi discepoli, entrano in mormorazione per il gesto di Gesù. Ma Zaccheo, che è stato davvero “trovato” dal Signore, dichiara con una libertà sconvolgente: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. La parola finale del Signore commuove: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza”. Gesù anche oggi è alla ricerca dei tanti Zaccheo, sparsi per il mondo, per dire a loro – ed a noi: “Conviene che oggi entri a casa tua”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Egitto: islamisti attaccano chiesa della Vergine Maria al Cairo

    ◊   Ennesimo attacco a una chiesa cristiana in Egitto. L’episodio è avvenuto ieri a Zaytoun, nella parte orientale del Cairo, quando un corteo di studenti vicini ai Fratelli Musulmani si è scagliato contro la chiesa della Vergine Maria. Il gruppo - che era appena uscito dalla preghiera del venerdì nella moschea vicina - si è scontrato con alcuni giovani cristiani, che hanno impedito agli islamisti di fare irruzione nell'edificio. I momenti di tensione sono stati ripresi in un video amatoriale di cui riferisce Asianews. Nel filmato il corteo degli islamisti si dirige verso l'edificio religioso, lanciando slogan contro il patriarca copto-ortodosso Tawadros. Una volta sul sagrato, strappano uno striscione posto sulla facciata della chiesa e imbrattano la facciata con scritte offensive contro il patriarca, i copti e le Forze armate. Fonti locali affermano che ogni venerdì dopo la preghiera di mezzogiorno, sostenitori dei Fratelli Musulmani passano sempre davanti alla chiesa lanciando insulti e slogan anticristiani. Per evitare problemi i cristiani sbarrano le porte dell'edificio. E sempre nel distretto di Zaytoun, la polizia ha arrestato un uomo che nascondeva nella sua abitazione ben 108mila manifesti con insulti contro i cristiani e l'esercito. Ma la situazione resta tesa in tutto il Paese, come testimoniano gli scontri di ieri ad Alessandria tra sostenitori e oppositori del deposto ex presidente Mohamed Morsi, durante i quali sono state arrestate circa cinquanta persone. In vista dell'apertura, lunedì prossimo, del processo a carico di Morsi e di altri esponenti dei Fratelli Musulmani, i sostenitori dell'ex presidente hanno organizzato manifestazioni in tutto il Paese. Domenica è in programma, invece, l’attesa visita al Cairo del segretario di Stato Usa, John Kerry. Dopo il rovesciamento di Morsi, gli Stati Uniti hanno sospeso centinaia di milioni di dollari in aiuti militari all'Egitto.

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    Pakistan: cristiani accusati di blasfemia costretti alla fuga

    ◊   Due cristiani pakistani e le loro famiglie sono in fuga per essere stati accusati di blasfemia contro il Corano. I due proclamano la loro innocenza e temono per la loro vita. Arif Masih e Tariq Masih – riferisce AsiaNews - sono proprietari di un negozio dove vendono fuochi d'artificio a Thatta Faqirullah (Wazirabad, Punjiab). Lo scorso 27 ottobre hanno venduto un set di fuochi per celebrare un matrimonio. Siccome alcuni di essi non si sono accesi, alcuni degli invitati alle nozze li hanno aperti per vedere cosa non ha funzionato e hanno scoperto che le polveri erano state avvolte in pagine contenenti scritte del Corano. La scoperta ha scioccato gli sposi e gli invitati che hanno subito distrutto il negozio dei due cristiani e denunciato i due alla polizia. Tariq Masih ha dichiarato ad AsiaNews: "Noi non fabbrichiamo i fuochi d'artificio; li compriamo da una fabbrica vicino a Gujranwala e non sappiamo che materiali usano. Oltretutto, queste fabbriche sono proprietà di musulmani e nessun cristiano vi lavora dentro". Tariq aggiunge: "Noi non abbiamo nemmeno toccato le pagine del Corano. Usare queste pagine per vendere i fuochi è al di là di ogni immaginazione perché siamo coscienti delle conseguenze che potrebbero derivare". La popolazione di Thatta Faqirullah non crede ai due cristiani e ha intimato alla polizia di arrestarli e trattarli in modo esemplare per condannare coloro che insultano l'islam. Diversi musulmani hanno minacciato che se la polizia non agirà, daranno loro stessi la caccia ai due blasfemi e li uccideranno. Arif Masih e Tariq Masih, insieme alle loro famiglie, sono fuggiti dalla zona, temendo per la loro vita. P. George James, della diocesi di Sialkot, commenta: "Questo è un tristissimo incidente in cui gli emarginati sono dei capri espiatori. Dei poveri venditori sono accusati per qualcosa che non hanno commesso, mentre una folla violenta e aggressiva dà loro la caccia per ucciderli. Fino a quando le minoranze dovranno subire questi abusi della legge? Le autorità dovrebbero garantire la legge e tenere l'ordine perché nessun innocente debba soffrire". In Pakistan, la legge sulla blasfemia è spesso usata contro le minoranze cristiane, sikh, ahmadi, ma anche contro i musulmani per perseguire vendette personali. Il mese scorso un cristiano è stato sgozzato a Karachi, accusato di blasfemia, ma con motivi legati a rivalità professionali.

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    Il card. Filoni ai vescovi del Pakistan: la Chiesa è chiamata a costruire ponti e non muri

    ◊   La gioia di visitare per la prima volta il Pakistan e di incontrare i vescovi, insieme alle questioni inerenti la “non sempre facile pacifica convivenza tra gruppi religiosi maggioritari e minoritari, così come la violazione dei diritti umani e specialmente della libertà di fede e di culto” sono state citate dal card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, in apertura del suo discorso ai vescovi della Conferenza Episcopale del Pakistan, incontrati nel pomeriggio del 31 ottobre a Lahore. “Come cattolici – ha sottolineato il porporato citato dall'agenzia Fides - noi siamo chiamati all’esercizio dell’insegnamento di Gesù, il quale passando annunciava il Regno di Dio, facendo del bene. Al tempo stesso, rispettava l’intima scelta di ogni persona, anche dei suoi avversari, mai cercando di fare proselitismo… di conseguenza, tale metodo non deve appartenere alla missione della Chiesa”. Quindi ha proseguito ricordando che “la Chiesa è sempre chiamata, come diceva il Beato Giovanni Paolo II, a costruire ponti e non muri… Noi sappiamo che questo tipo di servizio non è facile e nemmeno sempre ben compreso. Sappiamo anche che non siamo soli e che dietro e al di sopra di questo servizio c’è la grazia di Dio e l’opera dello Spirito Santo”. Il prefetto del Dicastero Missionario ha poi evidenziato che la Chiesa in Pakistan “vive nella società civile di questa terra e partecipa pienamente al suo sviluppo con le proprie belle e importanti istituzioni, al servizio di tutti coloro che desiderano usufruirne”. Dopo aver ricordato gli inizi della sua missione in questa terra, con i Gesuiti fin dal 1594, il Cardinale ha ribadito che “la Chiesa cattolica è parte non solo in senso storico, ma anche religioso, sociale ed educativo della vita di questo nobile Paese. Essa, inoltre, è del tutto nelle mani di Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose autoctoni”. Due le prospettive indicate per il futuro della Chiesa pakistana: “una ad intra, ossia il consolidamento della propria realtà ecclesiale, una ad extra, ossia il suo ruolo nel continente asiatico e nel mondo”. Il card. Filoni ha raccomandato ai vescovi “di incoraggiare e confermare sempre nella fede i fedeli e di essere loro vicini nelle varie circostanze e difficoltà. Sappiamo bene che in questi ultimi decenni essere cristiani in questo Paese non è stato sempre facile. Anzi, devo dire che in non poche circostanze la Comunità cristiana in Pakistan, a causa di estremismi e fanatismi, ha dovuto dare un’alta testimonianza di martirio e di fedeltà a Cristo”. Il Cardinale ha quindi elogiato la Chiesa pakistana per la sua edificante risposta alle ondate di violenza, che è sempre avvenuta attraverso la preghiera, il perdono e l’impegno per la costruzione della pace, nel dialogo e nel rispetto. A tale riguardo ha citato l’esempio di Shahbaz Bhatti, che “ha dato il suo sangue per la fede, ed è morto per la pace”. Secondo le indicazioni degli ultimi Pontefici, il terzo millennio vede la Chiesa impegnata nel cammino della nuova evangelizzazione e ad approfondire il senso della missione, per questo il card. Filoni ha esortato i vescovi pakistani ad approfondire la sensibilità missionaria ed a promuovere un maggiore impulso per la missione ad gentes. Infine ha espresso apprezzamento per il ministero pastorale che i vescovi svolgono nelle rispettive Chiese locali, consapevole “delle molte difficoltà e limitazioni” che si trovano ad affrontare ogni giorno. Nella Solennità di Tutti i Santi, il card. Filoni ha presieduto l’ordinazione episcopale del nuovo vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Arshad, “un figlio nativo di questa terra e di questa Chiesa”. Nell’omelia, il porporato ha detto di essere “pienamente certo che in cielo ci sono innumerevoli Santi sconosciuti Pakistani, che ora godono la beatitudine eterna con Dio”. Quindi, citando la seconda lettura della Messa, (1 Giovanni 3:2), ha sottolineato: “Fino ad oggi, questo mondo continua ad essere intriso dal sangue di cristiani, che coraggiosamente e fedelmente conservano la Fede, fino a morire per essa… Anche la vostra è una terra di noti e sconosciuti confessori della fede… Abbiamo fiducia che la testimonianza fedele e lodevole della nostra fede cattolica qui è sale e luce in questa nobile terra, e contribuisce alla vita di tutta la Chiesa”.

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    Pakistan: talebani eleggono nuovo leader dopo morte di Meshud in raid Usa

    ◊   I talebani pachistani del potente movimento Tehrik-e-Taleban Pakistan (Ttp) hanno nominato un nuovo comandante al posto di Hakimullah Mehsud, ucciso ieri da un drone statunitense nelle aree tribali nord-occidentali del Paese. Secondo il sito Dawn.com, a succedere a Mehsud è il suo braccio destro, Khan Said, eletto da una shura di 43 membri riunita in un luogo segreto. La nomina non sarebbe stata riconosciuta da una fazione ribelle del Ttp riunita in un altro luogo. Intanto è salito oltre 20 vittime il bilancio del raid Usa che ha colpito il capo talebano al termine di un importante incontro tra diversi comandanti per elaborare una strategia in vista dei colloqui di pace con il governo pakistano. Tant’è che oggi il ministro dell'Informazione di Islamabad ha voluto chiarire che la morte di Mehsud non comprometterà i colloqui di pace tra ribelli islamici e l’esecutivo che resta aperto al dialogo. Molti commentatori e politici pakistani hanno accusato gli Stati Uniti di voler “sabotare” l'inizio di negoziati con i talebani, che hanno lo scopo di porre fine ad un conflitto interno che ha mietuto migliaia di vittime. (M.G.)

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    Iraq: al Maliki incontra Obama, nessuna promessa di nuovi aiuti militari

    ◊   Il premier iracheno Nuri al-Maliki non è riuscito a ottenere dal presidente americano Obama la promessa di nuovi aiuti militari. È quanto emerge a seguito dell’incontro tra i leader dei due Paesi, avvenuto a ieri sera alla Casa Bianca. I colloqui si sono chiusi senza alcun chiaro impegno americano a fornire all'Iraq gli equipaggiamenti militari e le altre forme di assistenza richieste da Maliki per fronteggiare l'emergenza terrorismo nel Paese. Nel comunicato congiunto diffuso al termine del colloquio, si legge infatti che entrambe “le parti hanno enfatizzato la necessità urgente di ulteriori equipaggiamenti per le forze irachene, affinché possano condurre le operazioni nelle regioni remote dove si trovano i campi dei terroristi”. L’escalation di violenze - alimentate anche dallo scontro settario tra sunniti e sciiti su cui influisce il conflitto in Siria – è confermata dall’ultimo rapporto del governo iracheno, da cui risulta che lo scorso mese di ottobre, con 964 vittime registrate, è stato il più sanguinoso dall'aprile del 2008, quando i morti furono 1.073. (M.G.)

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    Datagate: Germania e Brasile presentano risoluzione a Onu sulla privacy

    ◊   Proteggere il diritto alla privacy garantito dal diritto internazionale. È quanto ribadisce la bozza di risoluzione presentata da Germania e Brasile all'Assemblea generale dell'Onu, a seguito delle rivelazioni della "talpa", Edward Snowden, circa lo spionaggio ai danni di oltre 40 leader di altrettanti Paesi di tutto il mondo. Il testo, messo a punto da Berlino e Brasilia, non cita singoli Stati ma chiede la fine dell'eccessiva sorveglianza elettronica sostenendo che la raccolta illegale di dati personali “costituisce un atto altamente invadente”. Si chiede quindi ai 193 membri dell'Assemblea di dichiararsi “profondamente preoccupati per le violazioni dei diritti umani e gli abusi che possono derivare dalla condotta di qualsiasi sorveglianza delle comunicazioni”. Abusi che includono “la sorveglianza delle comunicazioni extraterritoriali, la loro intercettazione così come la raccolta di dati personali, in particolare il ricorso massiccio a controlli e intercettazioni”. La risoluzione sarà votata a fine mese, nel frattempo però non si placano le polemiche relative al cosiddetto "Datagate". Ieri, il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha detto che “la giusta cosa che dovrebbe fare Edward Snowden è tornare negli Stati Uniti”, mentre il capo della Nsa, Keith Alexander, ha respinto le accuse di portare avanti programmi al di fuori del controllo dell'amministrazione, sostenendo che le informazioni sui leader mondiali sono state svolte su richiesta dei responsabili politici. Infine, secondo alcune rivelazioni del quotidiano brittanico "Guardian", i servizi di Francia, Spagna, Germania e Svezia avrebbero messo a punto un sistema di sorveglianza di massa delle comunicazioni telefoniche. (M.G.)

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    Georgia: Garibashvili nominato nuovo premier

    ◊   Il premier della Georgia, Bidzina Ivanishvili, ha proposto l'attuale ministro degli Interni Irakli Garibashvili, suo stretto alleato, come successore alla guida del governo. Lo stesso Ivanishvili ha annunciato di voler lasciare la carica il 17 novembre, dopo l'insediamento alla presidenza di Gheorghi Margvelashvili, altro suo alleato, appena eletto capo dello Stato. Dopo la recente riforma della costituzione, il ruolo di premier è il più importante nell'ex repubblica sovietica del Caucaso. La nomina di Garibashvili deve passare per la fiducia del parlamento, una formalità che non dovrebbe riservare sorprese visto che l’assemblea è dominata dalla coalizione 'Sogno georgiano' di Ivanishvili. (M.G.)

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    Il card. Bagnasco ricorda quanti hanno combattuto perché l'Italia fosse libera

    ◊   ''Oggi ricordiamo quanti hanno combattuto e operato perché l'Italia fosse la nostra casa, libera, giusta, serena e perché il mondo fosse migliore''. Lo ha detto oggi il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco celebrando nel cimitero monumentale di Genova Staglieno la Messa per i defunti delle Forze armate. ''La morte - ha detto Bagnasco - è la porta di casa'' ed oggi ''non ricordiamo solo i defunti che portiamo nella vivezza della memoria'' ma anche ''i militari di ogni tempo e i membri delle forze dell'ordine, sepolti qui o altrove''. Persone che ''non conosciamo personalmente ma sentiamo che ci appartengono, che sono parte di noi, che fanno parte della nostra famiglia, perché hanno vissuto, combattuto e operato perché l'Italia fosse la nostra casa. Si sono dedicati al loro dovere con umiltà e dedizione fino al sacrificio della vita per la pace, per l'ordine e la sicurezza''. Per questo, ha concluso, ''la comunità è loro riconoscente: per questo siamo qui ogni anno, non per un incontro rituale, ma per testimonianza di fede e di profonda gratitudine per queste persone che ci hanno preceduto e alle quali siamo tutti debitori''. I cimiteri, ha detto ancora il card. Bagnasco, sono ''specie di dormitori, dal punto di vista cristiano, dove le spoglie riposano in attesa della resurrezione finale. Ma sono anche luoghi di riflessione sul senso della vita, sulla velocità della vita, sul senso delle cose, quindi sulle cose che contano e che restano''. Per questo, ha concluso, ''ci auguriamo tutti che l'incontro con i defunti ci renda tutti più saggi e più buoni''. Alla celebrazione del 2 Novembre erano presenti i vertici ed i rappresentanti delle Forze Armate, i reduci, le associazioni e i labari di Regione, Provincia e Comune di Genova. Al termine della Cerimonia i rappresentanti delle Autorità civili e militari si sono recati sulla scalinata antistante al Pantheon per gli onori e la deposizione delle corone di fiori in ricordo dei caduti di tutte le guerre.

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    Ciclo di incontri promosso dai Francescani ad Assisi su giustizia, politica, pace e ambiente

    ◊   “Un tentativo di risvegliare le coscienze per avviare nuove iniziativi dei singoli e delle comunità”: viene presentato così – riferisce l’agenzia Sir - il ciclo di incontri sui temi di giustizia, pace e integrità del creato, promosso ad Assisi da Frati minori, Gioventù francescana e Ordine francescano secolare. Quattro conferenze, a partire dal 10 novembre, attorno al tema generale “E tu cosa c’entri?”, presso il santuario della Porziuncola nella città umbra. “Sono moltissime le sfide che la realtà in cui viviamo ci pone davanti e molte volte il nostro approccio è deresponsabilizzante, cioè demandiamo ad altri la soluzione di problemi che ci appaiono molto più grandi di noi”, chiariscono gli organizzatori. “Ma è proprio vero che noi non c’entriamo niente con quello che sta accadendo alla nostra Terra, alla nostra politica, alla nostra economia? È proprio vero che possiamo essere al massimo spettatori passivi di scelte perverse che significano povertà per migliaia di famiglie, inquinamento dilagante, e gestione politica che mira solo al bene di pochi?”. Il percorso di formazione prenderà avvio il 10 novembre con una relazione sul tema “Cristiano e/o politico: realtà inconciliabili?”, tenuta da Luca Diotallevi, professore di Sociologia, Università di Roma 3. Gli appuntamenti successivi sono fissati per 16 marzo, 27 aprile e 11 maggio del prossimo anno. Per maggiori informazioni si può consultare il sito www.missioniassisi.it.

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    Polonia: al via a Lodz il Festival della cultura cristiana

    ◊   Con una celebrazione liturgica in ricordo dei defunti, questa domenica inizia nella città polacca di Lodz il Festival della cultura cristiana. In occasione della festa di Ognissanti - riferisce l'agenzia Sir -il metropolita Marek Jedraszewski ha ricordato che durante la Seconda guerra mondiale in uno speciale campo di concentramento per minori allestito da nazisti proprio a Lodz perirono almeno ventimila bambini. La 17esima edizione del Festival organizzato dal Centro europeo di cultura “Logos”, e che terminerà il 17 novembre, volto a presentare la ricchezza artistica del patrimonio cristiano permetterà tra l’altro di ammirare i quadri di alcuni fra i più importanti pittori polacchi provenienti dalla galleria nazionale di Leopoli. L’esposizione “Opus sacrum, opus profanum” presenterà le opere di Jacek Malczewski, Jozef Mehoffer, i fratelli Kossak e di Jan Matejko. Nel corso del Festival sui palcoscenici di Lodz si alterneranno con il loro variegato repertorio teatrale e musicale gli artisti di 12 Paesi. Da Breslavia arriveranno il Teatro delle marionette e il Teatro della Pantomima, da Cracovia il Teatro dei 100, mentre dalla Gran Bretagna giungeranno The King’s Singers, e dall’Austria i solisti della Morphing Chamber Orchestra.
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 306

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