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Sommario del 28/03/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa Crismale. Papa Francesco: i sacerdoti siano pastori con l’odore delle proprie pecore
  • Messa Crismale. I sacerdoti romani: il Papa ci esorta ad uscire da noi stessi e andare nelle periferie
  • Messa in Coena Domini. Il Papa inizia il Triduo Pasquale nel carcere minorile di Casal del Marmo
  • La Chiesa avrà presto 63 nuovi Beati, in gran parte martiri della violenza comunista e nazista
  • Mons. Mario Aurelio Poli è il nuovo arcivescovo di Buenos Aires
  • Tweet del Papa: siate vicini ai sacerdoti con affetto e preghiera
  • Il cardinale Bergoglio nel pre-Conclave: la Chiesa apra le sue porte e faccia uscire Cristo verso il mondo
  • Abdellah Redouane: messaggi significativi da Papa Francesco per il dialogo con l'islam
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Centrafrica. Appello Unicef: oltre 600 mila minori vittime della guerra. Suor Eliana: "Pregate per il Paese"
  • Siria: colpi di mortaio sull'Università di Damasco, vittime tra gli studenti
  • Concluso il Vertice di Durban: slitta la creazione di una Banca comune per i Paesi Brics
  • Riaperte le banche a Cipro. Lunghe file agli sportelli, nessuna tensione
  • L'Ue "bacchetta" la giustizia italiana. Dalla Torre: processi lunghi, ma magistratura è indipendente
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq: Patriarca caldeo e leader cristiani promuovono un piano di pace
  • Presidente Caritas Libano: invece delle armi, inviate aiuti alla popolazione siriana
  • Colombia: per l'omicidio dell'arcivescovo di Cali, capi guerriglia assolti in appello
  • Social Forum: in Sud Sudan donne cristiane e musulmane per la pace
  • Kenya: un commando attacca un casinò a Malindi. Almeno 7 morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa Crismale. Papa Francesco: i sacerdoti siano pastori con l’odore delle proprie pecore

    ◊   Siate pastori con l’odore delle pecore, non gestori o intermediari: è la vibrante esortazione che Papa Francesco ha rivolto, stamani, ai sacerdoti nella Messa Crismale, celebrata in San Pietro assieme ai cardinali, vescovi e circa 1600 presbiteri presenti a Roma. Nel corso della celebrazione, sono stati benedetti gli oli sacri e il crisma. Papa Francesco, nella sua prima Messa Crismale da vescovo di Roma, ha quindi invitato i sacerdoti ad uscire da se stessi e ad andare nelle periferie dove il popolo soffre ed è più esposto a quanti vogliono saccheggiarne la fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Siate pastori in mezzo alle gente. Nel giorno in cui i sacerdoti rinnovano le promesse fatte al momento dell’Ordinazione, Papa Francesco ha sottolineato che fa bene “sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri”, avere i loro nomi incisi nel cuore. Quindi, richiamando la figura di Aronne la cui barba e le sue vesti erano unte dall’olio del Signore, ha affermato che “il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo”:

    “Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia si nota: per esempio quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia”.

    “L’unzione – ha detto - non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido e il cuore amaro”. Vale l’unzione, ha sottolineato, non la funzione. Ed ha soggiunto: il nostro popolo “gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana”, “quando illumina le situazioni limite, ‘le periferie’ dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede”:

    “La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze”.

    “E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo – ha proseguito – giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore”:

    “‘Preghi per me, padre, perché ho questo problema’, ‘mi benedica padre’, ‘preghi per me’, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, supplica del popolo di Dio”.

    “Quando siamo in questa relazione con Dio e con il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi - ha detto ancora - allora siamo sacerdoti, mediatori tra Dio e gli uomini”.

    “Ciò che intendo sottolineare è che dobbiamo ravvivare sempre la grazia e intuire in ogni richiesta, a volte inopportuna, a volte puramente materiale o addirittura banale - ma lo è solo apparentemente - il desiderio della nostra gente di essere unta con l’olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo”.

    Papa Francesco ha così ricordato l’episodio evangelico dell’emorroissa che tocca il lembo del mantello del Signore. In quel momento, ha detto, Gesù incarna tutta la bellezza di Aronne, ma la sua è una bellezza nascosta che “risplende solo per quegli occhi pieni di fede della donna che soffriva perdite di sangue". Gli stessi discepoli non comprendono, il Signore al contrario “sente la forza dell’unzione divina che arriva ai bordi del suo mantello”:

    “Così bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle ‘periferie’ dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni”.

    “Non è precisamente nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore”, ha avvertito. I corsi di autoaiuto nella vita sacerdotale “possono essere utili”, però vivere passando da un “corso all’altro” - è stato il suo monito - porta a “diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia”:

    “Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore ‘hanno già la loro paga’ e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore”.

    Da qui, ha constatato, deriva l’insoddisfazione di alcuni, che “finiscono per essere tristi e trasformati” in una sorta di “collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con l’odore delle pecore”:

    “Questo io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini”.

    È vero, ha ammesso, che la “cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà”. Tuttavia, ha detto con parole di fiducia, “se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti”. Infine, non ha mancato di chiedere ai fedeli di essere vicini ai loro sacerdoti "con l'affetto e con la preghiera perché siano sempre Pastori secondo il cuore di Dio".

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    Messa Crismale. I sacerdoti romani: il Papa ci esorta ad uscire da noi stessi e andare nelle periferie

    ◊   Grande l'emozione tra i sacerdoti presenti nella Basilica vaticana per la Messa del Crisma, celebrata da Papa Francesco. Al termine della celebrazione, Benedetta Capelli ha raccolto alcune riflessioni dei sacerdoti presenti in San Pietro:

    R. – Sono viceparroco in una parrocchia sulla Prenestina, San Patrizio.

    D. – Il Papa ha detto: “Andate per le periferie”...

    R. – Io già lo faccio da anni. Abbiamo passato 22 anni con i malati di Aids assieme a don Luigi Di Liegro, che mi aveva mandato in periferia nel 1988. Ho smesso qualche anno fa. C’è bisogno di intensificare ulteriormente questa presenza.

    D. – Qual è il passaggio dell’omelia del Papa che più l’ha colpita?

    R. – Quando ha detto che i pastori devono avere l'odore delle pecore. Ci vogliono oggi sacerdoti che abbiano questo zelo pastorale, di andare dietro alle pecore smarrite, che sono dappertutto, nelle zone più marginali e nelle zone “migliori”, dove pure si trovano tante persone che non hanno il senso della vita, non hanno il senso di Dio.

    D. – E oggi questo incontro con Papa Francesco ha ravvivato quella grazia che lui chiede a voi sacerdoti?

    R. – Sì, perché la grazia dei sacerdoti è molteplice: sono sette i doni. Il dono della fortezza, però, specialmente, ci viene dato per avere le forze del Buon Pastore per andare dietro alle pecore. Il Papa ha detto parole forti, ma parole belle, che ci hanno rinvigorito per il ministero sacerdotale.

    R. – Quello che mi ha fatto impressione è l’espressione usata dal Papa “l’odore delle pecore”, che sta a significare che l’unguento ha fatto effetto, la grazia di Dio ha fatto effetto. Forse noi sacerdoti siamo rimasti chiusi in noi stessi e dobbiamo uscire – come dice il Papa – da noi e andare verso chi ha più bisogno, verso le pecorelle sbandate, che sono ai margini del gregge di Dio.

    R. – Il concetto teologico è espresso in modo molto semplice: come l’unzione della divinità deve arrivare al popolo di Dio. Il popolo di Dio deve avere Dio vicino e ci arriva attraverso l’unzione, che lui ha spiegato in modo così bello e che è la modalità con cui il sacerdote riesce a comunicare Dio.

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    Messa in Coena Domini. Il Papa inizia il Triduo Pasquale nel carcere minorile di Casal del Marmo

    ◊   Con la Messa in Coena Domini, che ricorda l'istituzione dell'Eucaristia e del sacerdozio, inizia oggi il Triduo Pasquale. Il Papa si recherà nel pomeriggio nel Carcere minorile romano di Casal del Marmo per presiedere la celebrazione eucaristica. Grande l'attesa dei giovani detenuti, circa 50, che parteciperanno al rito: tra di essi ci sono anche 11 ragazze. Papa Francesco laverà i piedi a 12 giovani di nazionalità e confessioni diverse. Ad animare la celebrazione saranno i “Volontari Casal del Marmo” che da anni lavorano nel carcere. Benedetta Capelli ha intervistato Annalisa Marra, da 5 anni volontaria nel penitenziario:

    R. - L’attività dei volontari di Casal del Marmo è principalmente quella di essere una presenza con i ragazzi quando le attività sono ferme; parliamo principalmente dei giorni festivi. Infatti noi operiamo principalmente la domenica mattina, durante le festività di Pasqua, Pasquetta, Natale e la notte di Capodanno. Il nostro è proprio un compito di presenza con il ragazzo.

    D. - Quindi voi conoscete bene i ragazzi che sono ospitati a Casal del Marmo. La notizia dell’arrivo del Papa, come è stata presa?

    R. - Per alcuni con molta sorpresa e gioia, per altri anche con molta curiosità, nel senso che molti di loro - soprattutto quelli non cattolici - si sono chiesti chi fosse il Papa. Invece è stata presa molto bene e gioiosamente dai ragazzi italiani. Non se lo aspettavano, e sono rimasti molto stupiti da questo, perché un Papa che entra in un carcere non è una cosa che avviene tutti i giorni. E’ importante per loro perché a noi volontari chiedono sempre: “Quanto vi pagano per venire qui?”. Nel momento in cui scoprono che nessuno ci paga e che tutto è fatto a titolo gratuito, apprezzano molto questo gesto, così come ovviamente hanno apprezzato molto il gesto del Papa che sceglie loro per lavare i piedi. Un gesto di umiltà, loro si sentono vicini a quello che poi è il mondo reale, non si sentono emarginati.

    D. - C’è qualcosa che secondo te i ragazzi vogliono dire a Papa Francesco?

    R. - Sulla scia dell’esperienza della precedente visita in carcere di Benedetto XVI, quello che alla fine loro chiederanno è di pregare per loro, perché sembrano così lontani dal mondo cattolico, però alla fine quello che chiedono è sempre una preghiera per loro.

    D. - Quanto è importante la fede tra di loro?

    R. - È importante come segno di speranza. Loro durante la giornata sono sempre attivi, ma arriva un certo punto in cui la porta si chiude e rimangono da soli. E questo durante la giornata è un momento che arriva abbastanza presto: dalle 18, 18:30 fino alle 8 del mattino sono completamente da soli con il loro compagno di cella. Ed è in quei momenti che fanno di più appello all’unico Dio... Quindi loro hanno sempre bisogno - comunque - di un appoggio di fede, di speranza e di pensare che al di là di tutto c’è qualcuno che pensa a loro e che li perdona.

    D. - Questi ragazzi tendenzialmente che tipo di reati hanno compiuto? Perché si trovano in carcere?

    R. - Tendenzialmente i reati più comuni sono lo spaccio e i furti. È vero, nel momento in cui una persona compie un reato sta sbagliando anche ai danni di qualcun altro. Però, io credo che tutti questi ragazzi debbano avere l’opportunità di cambiare. A volte nella loro vita si ritrovano a compiere un reato proprio perché probabilmente non hanno avuto qualcuno che gli ha fatto vedere cos’è il bene e cos’è il male, cosa è giusto e cosa e sbagliato. Quello che noi, anche come volontari, cerchiamo di testimoniare loro è che c’è qualcosa che va al di là dei soldi e che comunque si può aver tranquillamente una vita normale anche facendo dei sacrifici e che tutti ce la possiamo fare.

    D. - Questa esperienza di volontariato secondo te è anche un modo per evangelizzare nel carcere?

    R. - Sì. Noi nasciamo come un’associazione cattolica. Ovviamente trovandoci a contatto anche con ragazzi di altre religioni, cerchiamo di non evangelizzare - se intendiamo l’evangelizzazione andare lì con il Vangelo in mano e spiegarlo - ma di mostrare uno spirito di solidarietà, di rispetto degli altri, allora sì quello avviene.

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    La Chiesa avrà presto 63 nuovi Beati, in gran parte martiri della violenza comunista e nazista

    ◊   La Chiesa avrà presto 63 nuovi Beati. Papa Francesco ha autorizzato ieri la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i relativi Decreti. Riconosciute, inoltre, le virtù eroiche di 7 Servi di Dio che diventano così Venerabili. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Tra i prossimi nuovi Beati, una sola donna la tedesca Maria Teresa Bonzel, fondatrice delle Povere Suore Francescane dell’Adorazione Perpetua nella città di Olpe, in Germania, dove era nata 1830 e si spense nel 1905. Oggi viene riconosciuto il miracolo attribuito all’intercessione di questa Serva di Dio, la cui opera è portata avanti ai nostri giorni da circa 500 consorelle oltre che in Germania, negli Stati Uniti e nelle Filippine.

    Per gli altri 62 Beati il riconoscimento del martirio. 58 sono sacerdoti e religiosi, tutti uccisi in odio alla fede in Spagna, tra il 1936 e il 1938, durante la guerra civile che ha travolto il Paese. Tra questi il vescovo di Jaen, Emanuele Basulto Jimenez e cinque compagni, Giuseppe Massimo Moro Briz e quattro compagni della diocesi di Avila, Gioacchino Jovani Marin e quattrodici confratelli Operai Diocesani, Andrea da Palazuelo e 31 confratelli Minori Cappuccini.

    Vi sono poi due italiani, vittime nel 1945 sullo sfondo della seconda Guerra mondiale: il giovane seminarista Rolando Rivi, figlio di contadini, barbaramente ucciso a soli 14 anni da partigiani comunisti, a Piana di Monchio sull’Appennino modenese, e Giuseppe Girotti, sacerdote domenicano, natio di Alba in Piemonte, deportato dai tedeschi a Dachau in Germania, dove ha trovato la morte. Infine due martiri dei regimi comunisti: l’ungherese Stefano Sander, laico professo, ucciso a Budapest nel 1953, e il sacerdote romeno Vladimiro Ghika, natio di Istanbul, ucciso a Bucarest nel 1954.

    Tra i sette Venerabili Servi di Dio, di cui sono state riconosciute le virtù eroiche, una laica portoghese, Silvia Cardoso Ferreira da Silva; due sacerdoti spagnoli, Eladio Mozas Santamera, fondatore delle Suore Giuseppine della Ss.ma Trinità, ed Emanuele Aparicio Navarro, diocesano; due italiani, Generoso del Ss.mo Crocifisso, passionista, ed Olinto Marella diocesano; un messicano, Mosé Lira Serafin, fondatore dei Missionari della Carità di Maria Immacolata, ed un polacco, Antonio Kowalczyk, fratello laico della Congregazione dei Missionari Oblati della Beata Vergine Maria Immacolata. Tutti vissuti tra ’800 e ‘900.

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    Mons. Mario Aurelio Poli è il nuovo arcivescovo di Buenos Aires

    ◊   Il Papa ha nominato mons. Mario Aurelio Poli, nuovo arcivescovo di Buenos Aires, trasferendolo dalla Diocesi di Santa Rosa. Nato 65 anni fa nella capitale argentina, mons. Poli ha compiuto gli studi primari nella Scuola Statale e quelli secondari nella Scuola parrocchiale di San Pedro Apóstol. Ha ottenuto presso la Facoltà di Diritto e Scienze Sociali dell’Università di Buenos Aires il titolo di Licenziado en Servicio Social. Entrato a 22 anni nel Seminario Metropolitano di Buenos Aires, ha seguito i corsi di Filosofia e Teologia. E’ stato ordinato sacerdote il 25 novembre del 1978, con incardinazione a Buenos Aires. Presso la Pontificia Università Cattolica Argentina ha conseguito il Dottorato in Teologia.

    Come presbitero ha svolto i seguenti ministeri: vicario parrocchiale nella Parrocchia di San Cayetano (1978-1980); superiore nel Seminario Maggiore (1980-1987); cappellano delle Siervas del Espíritu Santo (1988-1991); assistente ecclesiastico dell’Associazione laicale Fraternidades y Agrupaciones Santo Tomás de Aquino (1988-1992). È stato anche direttore dell’Istituto Vocazionale «San José» (corso propedeutico al Seminario Maggiore). È stato membro del Collegio dei Consultori e del Consiglio presbiterale. Dal 1980 ha insegnato Storia Ecclesiastica nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università Cattolica Argentina.

    L’8 febbraio 2002 è stato nominato vescovo titolare di Abidda ed ausiliare di Buenos Aires, continuando l’attività di docente. Ha ricevuto l’Ordinazione episcopale il 20 aprile 2002 dall’allora cardinale Bergoglio. Il 24 giugno 2008 è stato nominato vescovo residenziale della Diocesi di Santa Rosa.

    In seno alla Conferenza Episcopale Argentina è stato membro della Commissione Episcopale per l’Educazione Cattolica e di quella per i Ministeri. Attualmente è presidente della Commissione episcopale per la Catechesi e la Pastorale Biblica.

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    Tweet del Papa: siate vicini ai sacerdoti con affetto e preghiera

    ◊   Intorno alle 12.45, sull’account Twitter di Papa Francesco, @pontifex, è stato pubblicato il seguente tweet: “Siate vicini ai vostri sacerdoti con l’affetto e con la preghiera, perché siano sempre Pastori secondo il cuore di Dio”. Sull'account del Papa in nove lingue sono oltre 4 milioni e 600 mila i followers.

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    Il cardinale Bergoglio nel pre-Conclave: la Chiesa apra le sue porte e faccia uscire Cristo verso il mondo

    ◊   Il Papa ha ribadito oggi ancora una volta la necessità della Chiesa di uscire da se stessa per incontrare i lontani e i più poveri. Ieri, durante l’udienza generale, aveva esortato le parrocchie, i movimenti e le associazioni cattoliche a non chiudersi ma ad aprire a tutti le porte di Dio. Espressioni che ha usato anche durante le Congregazioni generali prima del Conclave e che sono state rese note col suo permesso dal cardinale cubano Ortega. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    All’udienza generale Papa Francesco aveva detto che Gesù non ha una casa perché la sua casa è stare tra la gente. Nella Messa Crismale ha ripetuto questo concetto, già espresso nelle riunioni pre-Conclave. L’allora cardinale Bergoglio aveva affermato che la Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, delle ingiustizie, dell'ignoranza e dell’indifferenza religiosa, quelle del pensiero e di ogni miseria. Infatti, aveva sottolineato, quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene autoreferenziale e si ammala. I mali che, nel trascorrere del tempo, affliggono le istituzioni ecclesiastiche hanno una radice proprio nell'autoreferenzialità, in una sorta di narcisismo teologico. Nell'Apocalisse – osservava il cardinale Bergoglio - Gesù dice che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare. Però a volte Gesù bussa da dentro, affinché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire, perché senza rendersene conto crede di avere luce propria; dimentica il cosiddetto Mysterium Lunae, la consapevolezza che è il Sole ad illuminare la Luna: da qui si genera quel male così grave che è la mondanità spirituale, che secondo De Lubac è il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa: quel vivere per darsi gloria gli uni con gli altri.

    Il cardinale Bergoglio descriveva due immagini di Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice che esce da se stessa e la Chiesa mondana che vive in sé, da sé e per sé. Questa duplice immagine – affermava - deve illuminare i possibili cambiamenti e le riforme che si devono realizzare per la salvezza delle anime.

    Infine, pensando al nuovo Papa in attesa del Conclave, il cardinale Bergoglio descriveva un uomo che, attraverso la contemplazione e l'adorazione di Gesù Cristo, possa aiutare la Chiesa a essere la madre feconda che vive della dolce e confortante gioia dell'evangelizzare.

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    Abdellah Redouane: messaggi significativi da Papa Francesco per il dialogo con l'islam

    ◊   Continuare nel cammino verso l'unità della Chiesa e proseguire il dialogo con le altre religioni, in particolare con l'Ebraismo e con l’Islam. Sono tra i primi propositi espressi da Papa Francesco. La Chiesa cattolica, ha detto, è consapevole della responsabilità “che tutti portiamo verso questo mondo”, noi “possiamo fare molto” per il bene dei poveri, per favorire la giustizia e per la pace. Quale l’impressione di questi primi giorni di pontificato nel mondo musulmano? Adriana Masotti ha sentito il dott. Abdellah Redouane, segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia che ha sede a Roma:

    R. - La mia impressione è che Papa Francesco ci abbia già dato messaggi molto significativi in termini di gesti e di parole. Ha nominato i musulmani che pregano l’unico Dio misericordioso e, attraverso i gesti, nel salutare la delegazione in qualche modo è andato oltre il protocollo per dare un abbraccio caloroso, fraterno. Personalmente, in questo abbraccio, ho sentito tutta la dimensione umana della persona, la sua umiltà, perché siamo tutti credenti umili davanti a Dio.

    D. - Come lei ha accennato, all’udienza con i rappresentanti delle altre religioni, il Papa ha detto che nella presenza degli islamici vede la volontà di crescere nella stima reciproca per il bene dell’umanità. Voi come valutate tutto questo?

    R. - Siamo assolutamente sostenitori della posizione del Papa, perché per noi è l’unica strada che può aiutare cristiani, musulmani ed altri, a camminare insieme sulla strada della pace e della cooperazione, guardando verso la stessa direzione, verso Dio.

    D. - Papa Francesco ha tracciato quasi un programma di ciò che gli uomini di tutte le fedi - quindi anche cristiani e musulmani - possono fare insieme: rispetto per il Creato, aiuto ai più poveri, favorire la giustizia e la pace, ma soprattutto tener viva nel mondo la sete dell’Assoluto…

    R. - Sono delle indicazioni molto importanti, il segnale è molto forte. Adesso è necessario che tutti convoglino in questa strada. Penso a tutte le altre fedi, in particolare a quelle monoteiste dell’islam e dell’ebraismo.

    D. – In lei e nella sua comunità come sono risuonate le parole del Papa quando ha detto: “Saluto i musulmani che adorano Dio unico vivente e misericordioso e lo invocano nella preghiera”. È un riconoscimento, in fondo, di un altro islam rispetto a quello che tante volte in Occidente suscita timore, perché confuso con altri elementi come l’integralismo, ad esempio…

    R. - Penso che questa mano tesa ai musulmani abbia avuto veramente un'eco molto, molto positiva nella comunità islamica, in particolar modo in quella italiana che è quella che conosco meglio. Mi giungono delle informazioni anche dal mondo islamico all’estero, dove sono molto fiduciosi che si possa lavorare molto bene con Papa Francesco. Penso che non sia più un auspicio, ma che il Papa abbia già iniziato e bisogna che gli altri gli diano una mano per aiutarlo in questa direzione, in particolar modo la comunità cattolica e cristiana in tutto il mondo. In una parola posso dire che con Papa Francesco si aprono nuovo prospettive proficue che promettono di superare l’immobilismo fatto di sospetto, di diffidenza… Penso che oggi Papa Francesco ha aperto una strada; bisogna seguirlo.

    D. - Per conoscere un po’ di più il mondo islamico - mi riferisco in particolare all’Italia – può dirci in che modo le comunità musulmane lavorano per i poveri, per la pace?

    R. - Penso che abbiamo le stesse sfide. Sappiamo che con questa crisi economica, che tocca tutti ma in particolar modo i musulmani che nella stragrande maggioranza sono immigrati, gli effetti negativi si fanno sentire pesantemente. Di conseguenza, bisogna assolutamente elaborare programmi per alleggerire le sofferenze delle persone. Per il momento non abbiamo - come comunità - delle organizzazioni come la Caritas, ma ogni luogo di culto cerca di aiutare i poveri non soltanto della comunità, ma dell’Italia. La solidarietà tra i musulmani è un obbligo religioso: coloro che hanno di più devono aiutare coloro che non hanno nulla. Dunque il background religioso ci spinge alla solidarietà e alla cooperazione. Vorrei dire che sono molto fiducioso e che spero che, nei prossimi mesi, si metta in moto questo treno al quale Papa Francesco ha dato il via libera per andare insieme nella giusta direzione.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Con il popolo sulle spalle: nella Messa crismale il Papa invita a uscire da se stessi per portare alla gente l’unzione divina.

    Quando Bergoglio passava la notte a confessare i giovani: da Buenos Aires intervista di Cristian Martini Grimaldi a padre José Luis Vendramin che ricorda il suo compagno di studi nel collegio gesuita a San Miguel.

    I ruvidi colpi del dolore: in cultura, Ferdinando Cancelli su Bonhöffer, la malattia e la Quaresima.

    Intreccio ai piedi della croce: il cardinale Gianfranco Ravasi sulla sequenza medievale dello “Stabat mater”.

    Se Gesù muore in Sardegna: Ritanna Armeni su essenzialità del linguaggio e spiritualità profonda nel film “Su Re”, con un’intervista di Luca Pellegrini al regista Giovanni Columbu.

    Pier Giordano Cabra su Barabba e le riflessioni di un malfattore.

    Un articolo di Giovanni Carrù dal titolo “Davanti a un giudice tormentato”: la scena drammatica della scelta di Pilato nell’arte paleocristiana.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, l’alta tensione sulle alture del Golan: l’Onu invia rinforzi a causa degli scontri fra l’esercito siriano e i ribelli.

    Sdegno in Cina per la pratica degli abusi forzati.

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    Oggi in Primo Piano



    Centrafrica. Appello Unicef: oltre 600 mila minori vittime della guerra. Suor Eliana: "Pregate per il Paese"

    ◊   Dalla Repubblica Centrafricana continuano a giungere notizie di violenze: il Movimento golpista "Seleka" prosegue la sua avanzata sul territorio, dopo aver conquistato la capitale Bangui. Intanto, dall’Unicef preoccupante denuncia sulla situazione dei civili, in particolare dei minori. Il servizio di Giulio Albanese:

    A pagare il prezzo più alto nella Repubblica Centrafricana sono i bambini. Sarebbero, infatti, 600 mila quelli colpiti dalle conseguenze del conflitto in corso in tutto il Paese. La denuncia viene dall’Unicef, che ha invitato tutte le parti a deporre le armi e a garantire il rispetto dei diritti umani. Sta di fatto che l’insicurezza è tale, per cui le Nazioni Unite hanno temporaneamente trasferito il personale non essenziale nel vicino Camerun. Il blocco delle strade, la presenza di gruppi armati predatori e il potenziale rischio di ulteriori saccheggi stanno impedendo la distribuzione massiccia di aiuti. D’altronde l’avanzata dei ribelli della coalizione "Seleka", molti dei quali ciadiani e sudanesi, prosegue verso Nord e la gente è terrorizzata.

    Sulla situazione nel Paese, Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente a Bimbo, vicino Bangui, suor Eliana missionaria comboniana:

    R. - La situazione è difficilissima, perché hanno distrutto tutto! Noi siamo a nove chilometri dal centro di Bangui e quelli che sentiamo sono spari… Noi non possiamo uscire dalla nostra casa: ci si può spostare solo a piedi, e siccome continuano a sparare, riusciamo ad andare solo alla parrocchia, che è a 500 metri da noi, e poi torniamo subito a casa. Avevamo fatto delle provviste e per il momento possiamo ancora gestire il quotidiano. Oggi, per la prima volta, è ritornata la luce e questo è un po’ un segno di speranza.

    D. - Le persone che hanno accesso al vostro centro che informazioni vi portano?

    R. - Ci parlano di tanta gente che è scappata nei campi, nella foresta, che ha attraverso il fiume per andare in Congo; ci parlano di furti nelle case, nei negozi, hanno distrutto le stazioni di benzina; di morti, anche annegati, tra coloro che hanno cercato di fuggire: sono sepolti senza neanche una bara…

    D. - Arrivano anche notizie di assalti alle comunità e alle chiese: me lo può confermare?

    R. - Sono andati in parecchie comunità religiose per rubare le macchine, i soldi… Sappiamo dalle nostre sorelle e confratelli che i ribelli sono già arrivati nell’alta prefettura, nella foresta: quindi continuano ad andare avanti distruggendo tutto!

    D. - Djotodia si è autoproclamato presidente: è cambiato qualcosa?

    R. - Sta invitando la popolazione a riprendere il lavoro, a riprendere tutte le attività, ad aprire i negozi. C’è il coprifuoco, dalle 7 di sera alle 6 del mattino, proprio per cercare di disarmare tutti quelli che hanno preso le armi approfittando della confusione e che continuano a sparare. Non uscendo, non sappiamo, quando sentiamo sparare se sia "Seleka" o se siano banditi…

    D. - Nella vostra casa sono arrivate delle persone a chiedere aiuto?

    R. - Nessuno per il momento ha cercato rifugio qui: molti si sono rifugiati nella sede della Conferenza episcopale e della Caritas nazionale, che non è lontana da noi.

    D. - Oggi inizia il Triduo pasquale: in questo clima, come vivete questo tempo forte?

    R. - Aspettavamo veramente con gioia la Messa Crismale: sarebbe stata la prima celebrazione di questo tipo con il nuovo vescovo. Ricordo ancora l’anno scorso quando il nunzio, celebrando la la Santa Messa, aveva detto: spero veramente, l’anno prossimo, di essere qui come invitato speciale ad ascoltare - anche io - l’omelia del vostro vescovo… E noi l’aspettavamo, ma non è stato possibile. So che questa mattina il vescovo ha celebrato nella prima chiesa di Bangui con i pochi sacerdoti - circa una decina - che hanno potuto essere con lui. Quindi viviamo, da un lato, una certa tristezza, ma dall’altro la Parola di Dio e il Triduo stesso che stiamo celebrando, ci incoraggia e ci fa sentire che il Signore è davvero con noi. Ci fa guardare avanti con speranza!

    D. - Vuole lanciare comunque un appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana?

    R. - La cosa più importante è che ritorni la vera pace! Ci serve il sostengo, anche nella preghiera, delle persone affinché riusciamo conservare la serenità.

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    Siria: colpi di mortaio sull'Università di Damasco, vittime tra gli studenti

    ◊   Ancora una giornata di sangue in Siria. Un numero imprecisato di persone sono state uccise oggi dall'esplosione a Damasco di colpi di mortaio nei pressi della città universitaria; colpita la facoltà di architettura, nella zona centrale di Baramke. Alcuni studenti, secondo fonti locali, avrebbero perso la vita. Intanto, un aereo cargo iraniano è stato abbattuto dai ribelli siriani nei pressi dell'aeroporto internazionale di Damasco: lo riferisce la tv panaraba al Arabiya che conferma quanto in precedenza affermato dagli attivisti anti-regime dei Comitati di coordinamento locali. E la guerra continua a destabilizzare pure i Paesi limitrofi; più di 600 profughi siriani sono stati espulsi per aver preso parte alla sommossa di mercoledì nel campo profughi turco di Suleiman Shah, a meno di un chilometro dalla frontiera. Gli ultimi eventi come si stanno riflettendo nei Paesi vicini? Davide Maggiore lo ha chiesto a Matteo Bressan, esperto dell’area e autore del libro “Hezbollah, tra integrazione politica e lotta armata”, che parte dalla situazione del Libano:

    R. – Da quando è iniziata la crisi in Siria, si temeva un coinvolgimento di hezbollah nella vicenda siriana. Questo è emerso con più chiarezza negli ultimi mesi, tanto che i partiti che si oppongono ad hezbollah hanno più volte denunciato, insieme all’opposizione siriana, il coinvolgimento del partito nelle repressioni in Siria. Tra gli elementi che hanno determinato la caduta del premier Mikati ci sono aspetti legati alla sicurezza dei confini del Libano. I partiti che si opponevano al governo Mikati, ad esempio i partiti di Hariri e il partito delle Forze libanesi, hanno più volte contestato al premier Mikati di non proteggere adeguatamente i confini del Libano dagli scontri che ci sono stati più volte sul confine.

    D. – Altre letture dicono che le dimissioni di Mikati, che era considerato vicino ad Assad, siano il tentativo di abbandonare una parte vista come ormai in difficoltà e ormai perdente...

    R. – C’è da dire, inevitabilmente, che ci sono delle preoccupazioni. A questo punto molti ipotizzano addirittura che una possibile frammentazione della Siria possa trovare il sostegno di hezbollah, per garantire ad Assad una parte di territorio siriano autonomo, che è quella dove ci sono i due porti, Latakia e Tartous, dal quale – si legge – arrivano i rifornimenti e i supporti russi. Quindi la situazione in questo momento è aperta. Certamente l’instabilità si sta, in sostanza, aggravando con questa espansione del conflitto siriano ai confini del Libano.

    D. – In questa prospettiva, quale potrà essere il ruolo futuro di hezbollah, che comunque è stato un grande alleato del governo di Assad?

    R. – Se noi, automaticamente, ipotizzassimo la fine di hezbollah con la fine di Assad, forse commetteremmo un errore. Sicuramente ci potrà essere un indebolimento sotto il profilo dei rifornimenti, degli aiuti militari, ma hezbollah ha saputo riorganizzarsi, rafforzare la sua componente politica. In sostanza, è un attore geopolitico che non è il semplice braccio armato di Siria ed Iran; potrebbe risentire sicuramente della perdita di Assad, ma allo stesso tempo potrebbe continuare ad essere un attore fondamentale nello scacchiere politico libanese.

    D. – E in questo quadro, Israele come si colloca?

    R. – L’instabilità del Libano, legata alle tensioni siriane, ci lascia intendere sicuramente una situazione molto delicata per i confini israeliani. Gli esiti di questa crisi siriana si ripercuoteranno in Libano e viceversa e in tutta questa "partita" sicuramente Israele si trova in un momento molto critico.

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    Concluso il Vertice di Durban: slitta la creazione di una Banca comune per i Paesi Brics

    ◊   Slitta la creazione di una banca d'investimenti comune annunciata dalle potenze economiche 'emergenti' del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) nell'ambito del loro quinto vertice annuale, conclusosi ieri a Durban. Un risultato, dunque, a metà, che sembra far emergere la difficoltà a dar corpo a concrete istituzioni unitarie partendo da interessi regionali diversi. Fausta Speranza ne ha parlato con l’economista Giovanni Ferri, docente alle Università Luiss e Lumsa di Roma:

    R. – L’obiettivo della banca era quello di cercare di curare gli interessi di questi cinque Paesi emergenti, che sono stati individuati come rappresentativi di un più ampio consesso di Paesi emergenti. Questi Paesi, pur avendo obiettivi tra di loro non necessariamente sempre concordi, hanno un obiettivo comune, quello di ridurre il potere, l’importanza degli Stati Uniti e dell’Europa.

    D. – Sono emerse più le differenze in questo incontro e non c’è stato un terreno di accordo...

    R. – Al momento non c’è stato, perché credo che le aspettative fossero troppo alte. Forse questi Paesi potrebbero ripartire cercando di creare organismi multilaterali tra di loro, per favorire dei progetti di comune interesse, invece di creare nuovi organismi globali. Altrimenti escono fuori le contraddizioni. Non esiste una politica estera o una politica commerciale che vada bene a tutti e cinque, perché ciascuno ha i propri interessi.

    D. – Parliamo di Brasile, Russia, India, Cina, accomunati in questa espressione - Brics - nel 2001 dalla Goldman Sachs, perché erano Paesi che avevano prospettive di grande sviluppo. Poi si è aggiunto il Sudafrica. Ma oggi, nella congiuntura economica globale che abbiamo visto in questi anni, che cosa sta accadendo a questi Paesi?

    R. – Questi Paesi stanno frenando la loro crescita e la frenata è avvenuta in maniera differenziata tra i cinque. Questa frenata avviene nel contesto di una riduzione dell’espansione a livello mondiale. Questi Paesi, quindi, che si erano affidati alla domanda estera, al commercio estero, alle loro esportazioni per trainare la propria crescita hanno dovuto trovare un altro modello di crescita, basato di più sulla domanda interna. Questo, però, provoca degli squilibri e necessariamente un abbassamento dei tassi di crescita. In Cina questo ha significato portare la crescita dal 10 o 11 per cento al 6 o 7 per cento, e negli altri Paesi, che stavano crescendo un po' meno e che hanno un mercato interno meno grande rispetto a quello della Cina, la crescita si è ridotta ancora di più e si sta riducendo intorno al 2 o 3 per cento.

    D. – Il Brics è diventato l’immagine mentale per rappresentare i Paesi emergenti, ma nel frattempo forse altri Paesi si dovrebbero aggiungere in questo elenco?

    R. – Io penso che i Brics siano la cresta dell’onda, ma che sotto l’onda ci sia molto altro. Ad esempio, l’Indonesia è un Paese che ha 240 milioni di abitanti e un’economia in forte crescita, mentre la popolazione del Sudafrica è di 50 milioni di abitanti. Credo che ci sia molto altro: la Turchia, per avvicinarci a noi, sta andando molto bene. Ci sono vari Paesi emergenti in giro per il mondo e la classificazione dei Brics, quindi, che ha avuto molto successo a livello mediatico, non ci aiuta più di tanto. L’insuccesso nella formazione di quella banca poi è abbastanza rivelatore del fatto che non vi sia un vero collante tra i cinque Paesi.

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    Riaperte le banche a Cipro. Lunghe file agli sportelli, nessuna tensione

    ◊   Hanno riaperto oggi le banche a Cipro. Lunghe le file dei cittadini davanti agli sportelli, dopo il varo del piano di salvataggio, che prevede prelievi forzosi sui conti correnti oltre i 100 mila euro. Tutto tranquillo e nessuno degli espisodi di tensione, che si temevano. Ancora chiusa invece la Borsa di Nicosia. Su come l’isola sta affrontando la grave crisi economica, Luca Collodi ha intervistato padre Vito Scagliuso, missionario saveriano a Nicosia:

    R. – Cipro è stata un paradiso fiscale per tanto tempo; era un provvedimento da prendere e adesso, un po' alla volta, se la Russia risolve il problema dei crediti nei confronti delle banche cipriote, come pure l’Europa che ha promesso di aiutare a risolvere il problema, insieme al Fondo monetario internazionale; e anche la Grecia, che si sta risollevando, di certo si darà una mano al Paese e probabilmente, in pochi mesi, si risolverà in parte questa situazione angosciosa.

    D. – I cristiani, le parrocchie in questa circostanza, che cosa stanno facendo a Cipro per aiutare la popolazione che ha bisogno?

    R. – Nella nostra parrocchia, che è centrale a Nicosia, c’è anche la delegazione pontificia, abbiamo la Caritas, abbiamo tante opere: ecco, noi stiamo continuando il nostro lavoro di assistenza. Diamo anche lavoro, nei limiti delle nostre possibilità, però non possiamo aiutare più di mille persone …

    D. – Lei comunque sembra ottimista per il futuro e per la ripresa della società cipriota?

    R. – Sì: io penso di sì. A causa di questo che sta succedendo a Cipro, ci sarà un calo senz’altro; noi ci auguriamo che tutto questo non danneggi il resto dell’Europa.

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    L'Ue "bacchetta" la giustizia italiana. Dalla Torre: processi lunghi, ma magistratura è indipendente

    ◊   L'Italia è terzultima in Europa, dopo Cipro e Malta, per la velocità di risoluzione delle cause civili e commerciali. E’ la denuncia della Commissione Ue secondo la quale nel Belpaese occorrono una media di 800 giorni per risolvere procedimenti giudiziari, con pesanti ricadute sullo sviluppo economico. Da Bruxelles anche il monito: “giù le mani dai giudici se si vuole una magistratura indipendente”. Per un commento sul pronunciamento dell’Unione Europea Paolo Ondarza ha intervistato Giuseppe Dalla Torre, presidente onorario dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:

    R. - La lentezza nasce certamente dalla mole dei procedimenti giudiziari. Probabilmente una parte di questo fenomeno è legata ad un complesso normativo farraginoso, in parte contradditorio. La semplificazione legislativa che era stata promessa è stata fatta soltanto in parte. Un’altra causa risiede poi in una certa cultura che non è formata a trovare soluzioni extra-giudiziarie ai conflitti che inevitabilmente sorgono perché queste si scontrano con interessi di corporazioni.
    D. – Tra l’altro lo sviluppo economico, va detto, è strettamente legato al sistema giudiziario: non si investe volentieri laddove le cause della giustizia del lavoro hanno tempi biblici…
    R. – Certo. Investitori italiani e soprattutto stranieri fuggono dal nostro Paese anche per la questione giustizia e più in generale per la lentezza che parallelamente contraddistingue anche l’ambito della pubblica amministrazione.

    D. – Ma perché finora si è fatto poco o nulla e perché quando si parla di riforma di giustizia la si intende solo legata, ormai da 20 anni, alle controversie tra il leader del Pdl Berlusconi e la magistratura?
    R. – In quel caso ci si riferisce alla giustizia penale. In questo caso invece, il discorso riguarda piuttosto la giustizia civile. Il problema è che occorrono non una riforma ma più riforme: certamente una riforma dell’ordinamento giudiziario anche se molte cose sono state fatte; una riforma legislativa, come dicevo prima, una semplificazione; infine una riforma della professione forense. Il gran numero di professionisti sul mercato, certamente superiore alla necessità del Paese, provoca questa patologia del ricorrere continuamente a gradi superiori quando il giudizio di primo grado potrebbe essere del tutto esaustivo della questione.
    D. – La Commissione europea avverte poi che il sistema giudiziario deve essere indipendente. Dunque, un’eventuale riforma deve nascere all’interno della magistratura stessa o con un’azione politica esterna?
    R. – Io non condivido questo giudizio dell’Unione Europea. Mentre sono assolutamente d’accordo sulla lentezza della nostra giustizia, non condivido questa posizione perché la nostra magistratura gode di una ampissima autonomia, quindi non vedrei tanto il problema in termini di interferenze politiche. Che poi ci siano problemi a livello politico, nel senso di polemiche questo è un altro fenomeno, ma non è questo che incide sulla lentezza della giustizia.

    D. – Quanto decisivo potrà essere l’apporto del prossimo presidente della Repubblica - che ricordiamo è anche capo del Consiglio superiore della magistratura - per avviare una riforma della giustizia civile?
    R. - Certamente il presidente della Repubblica ha un ruolo importante per quanto riguarda l’autogoverno della magistratura e quindi la sollecitazione a uno sveltimento delle procedure interne che possano venire incontro a questa esigenza di accelerazione dei tempi della giustizia. Inoltre è importante un lavoro di moral suasion nei confronti del lavoro del legislatore perché metta mano con impegno, con coraggio, non tanto all’ennesima riforma della giustizia ma anche a tutte quelle riforme connesse che avranno poi l’effetto di rendere la nostra giustizia più rapida, più celere e, per certi aspetti, anche più giusta.

    D. – Questo anche per recuperare la fiducia della gente nei confronti della giustizia?

    R. – Non c’è dubbio. Una giustizia che arriva male e tardi è una giustizia che alle volte, anzi spesso, manifesta un volto ingiusto.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq: Patriarca caldeo e leader cristiani promuovono un piano di pace

    ◊   Impedire "interventi stranieri" in materia di politica interna e promuovere la ricostruzione della "casa irakena" attraverso la "partecipazione attiva di tutte le componenti del mondo politico". È questo l'appello che il patriarca caldeo Mar Louis I Sako ha rivolto questa mattina al presidente del Parlamento Usama Abdu'l Aziz al-Nujayfi, in un incontro ufficiale al quale hanno partecipato - oltre al Patriarca caldeo - tutti i principali leader delle Chiese cristiane. Il faccia a faccia si inserisce all'interno di una serie di iniziative promosse dai vertici della minoranza religiosa, per rilanciare il processo di pace e di autonomia nel Paese arabo, a 10 anni dall'invasione statunitense, in questo periodo di avvicinamento alla Pasqua. Come riferisce il sito baghdadhope ripreso dall'agenzia AsiaNews, ieri mattina il Patriarca caldeo e i capi delle confessioni cristiane di Baghdad hanno incontrato i vertici del governo, guidati dal premier sciita Nouri al Maliki e dal ministro dell'Ambiente, il cristiano Sargon Lazar. Al centro dei colloqui, il piano di "riconciliazione nazionale" elaborato - nei giorni scorsi - dai capi cristiani, durante una serie di incontri dedicati alla pastorale. Rivolgendosi al premier al Maliki, il patriarca caldeo Mar Louis I ha ricordato il Vangelo, il cui Gesù afferma che "il più grande tra voi sia il mio servitore". "Lei - ha aggiunto il Patriarca - è il più grande tra noi in quanto a responsabilità, ed è quindi suo dovere prendere l'iniziativa per la riconciliazione, come farebbe un buon padre, per il bene dell'Iraq e degli irakeni". Il piano di pace cristiano è stato proposto anche al presidente della Repubblica, ai vertici della regione autonoma del Kurdistan e, questa mattina, al presidente del Parlamento. Oltre alla fine delle "ingerenze" esterne, il piano prevede altri tre punti principali: risoluzione dei contrasti mediante il dialogo, evitando di "usare i media per provocare e minacciare", in special modo in vista delle elezioni; riaprire i dossier che riguardano i detenuti "nel territorio di competenza, rilasciando gli innocenti"; istituire una commissione per il dialogo che dia attuazione concreta al piano di pace. (R.P.)

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    Presidente Caritas Libano: invece delle armi, inviate aiuti alla popolazione siriana

    ◊   "La comunità internazionale invii aiuti alla popolazione siriana in fuga dalla guerra, invece di spedire armi". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews padre Simon Faddoul, presidente di Caritas Libano. Il sacerdote non vuole rilasciare ulteriori commenti sulla recente decisione della Lega Araba di armare i ribelli del Free Syrian Army, ma preferisce soffermarsi sulla drammatica situazione dei campi profughi sul confine fra i due Paesi. "La condizione dei rifugiati è terribile - spiega - e sta peggiorando sempre di più: ormai si è perso il conto delle persone che attraversano il confine". Secondo dati Onu sarebbero ormai più di un milione. Per padre Faddoul vi è urgente necessità di aiuti e di un impegno concreto da parte di tutti i Paesi che hanno a cuore il bene della popolazione, per evitare che chi fugge dalla guerra patisca la fame e il freddo nei campi profughi. Ieri a Doha (Qatar) i Paesi della Lega Araba hanno votato per inviare armi ai ribelli siriani. Nella risoluzione finale essi affermano che ogni Stato membro "ha il diritto ad offrire qualsiasi forma di autodifesa, incluso l'invio di armi, per sostenere le ribellione del popolo siriano e il Free Syrian Army". Dei 22 membri solo Algeria, Iraq e Libano hanno espresso riserve sulla risoluzione sottolineando che la mossa potrebbe far dilagare il conflitto in tutta la regione. In una conferenza stampa avvenuta dopo il vertice, Nabil el-Arab, capo della Lega, ha però dichiarato che "il sostegno militare non significa escludere la cancellazione di una soluzione politica". Per la prima volta dall'inizio della guerra l'opposizione ha occupato il seggio riservato alla Siria e vacante dal novembre 2011. La bandiera dei ribelli ha sostituito quella delle Repubblica siriana di Bashar al-Assad. Ahmad Motaz el-Khatib, leader dimissionario della Coalizione nazionale siriana, ha avuto un dura reazione denunciando la scarsità di aiuti militari internazionali ed ha lanciato un appello agli Stati Uniti, chiedendo la realizzazione di una "No Fly zone" per difendere i civili dai bombardamenti dell'esercito, con la fornitura di missili Patriot alle basi ribelli sul confine fra Turchia e Siria. Khatib ha anche esortato tutti "i membri della Lega a rispettare i diritti umani anzitutto nei propri Paesi". Il leader, che di recente ha presentato le sue dimissioni in protesta contro l'inerzia della comunità internazionale, ha chiesto anche "il congelamento dei 2 miliardi di euro in fondi esteri del regime". Per il momento Washington nicchia sull'impiego di missili o di un intervento Nato sul territorio siriano. Tuttavia secondo Melkulangara Bhadrakumar, ex diplomatico indiano esperto di Medio Oriente e islam, la strategia del presidente Usa Obama sta cambiando. Il recente viaggio in Israele e Palestina e soprattutto il riavvicinamento fra il Premier turco Erdogan e il suo omologo israeliano Netanyahu, sono un passo significativo per guadagnare consensi nella regione e svolgere un ruolo di primo piano nella questione siriana. L'ipotesi di un intervento di truppe Nato è per ora da escludere, ma i missili Patriot posizionati sul confine fra Turchia e Siria e utilizzati da Ankara per difendersi da eventuali attacchi dell'aviazione siriana, potrebbero trasformarsi in un'arma di attacco in grado di colpire obiettivi fino ad Aleppo. L'ipotesi di un intervento dell'Alleanza atlantica, anche se solo missilistico, potrebbe essere un deterrente efficace per spingere alla resa il regime di Bashar al-Assad. (R.P.)

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    Colombia: per l'omicidio dell'arcivescovo di Cali, capi guerriglia assolti in appello

    ◊   Il tribunale superiore di Cali (300 km a sud-ovest di Bogotá), ha assolto cinque esponenti del Segretariato (massimo organo direttivo) delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) condannati in prima istanza, il 20 dicembre 2011 per aver ordinato l’omicidio dell’arcivescovo della capitale di Valle del Cauca, mons. Isaías Duarte Cancino. La corte ha ordinato di “revocare nella sua integrità” il precedente verdetto, prosciogliendo i comandanti della guerriglia noti con gli alias di ‘Alfonso Cano’ (ucciso in combattimenti con l’esercito nel novembre 2011), ‘Timochenko’ – l’attuale massimo leader del gruppo armato – , ‘Efraín Guzmán’ (morto nel 2003), ‘Pablo Catatumbo’ e ‘Iván Márquez’; quest’ultimo è oggi il capo negoziatore delle Farc allo storico processo di pace con il governo ospitato a Cuba. I cinque - riferisce l'agenzia Misna - erano stati condannati a 25 anni di carcere e al pagamento di un miliardo di pesos (circa 420.000 euro) ai familiari del presule per danni morali. Fonti di stampa riferiscono che il tribunale superiore, pur riconoscendo tra i moventi dell’omicidio il ruolo del religioso e la sua ferma posizione di condanna contro i gruppi armati e il narcotraffico, ha concluso che “non esistono i meriti giuridici…per determinare che l’ordine provenne dai vertici ribelli”. La Corte ha anche dichiarato priva di valore la testimonianza di un guerrigliero pentito, Julio Rodrigo Iriarte, che affermò di aver udito nel 2001 una conversazione tra due comandanti ribelli sull’opportunità di “uccidere il padre”. Non è stato tenuto conto inoltre della deposizione dell’autista del presule, che ha affermato di aver udito minacce della guerriglia ai suoi danni in almeno due occasioni. I magistrati hanno infine sostenuto che il tribunale di prima istanza ha condannato le Farc solo sulla base dei “nefasti precedenti del raggruppamento sovversivo”, senza tenere presente che anche altri gruppi fuori legge si sentivano colpiti dalle denunce di mons. Duarte. L’arcivescovo fu assassinato da due uomini armati mentre usciva dalla parrocchia ‘Buen Pastor’ di Cali, dove aveva celebrato un matrimonio collettivo. I due esecutori materiali dell’omicidio sono stati condannati otto anni fa: uno sta scontando 35 anni di carcere, l’altro, prosciolto in appello, è stato ucciso un anno fa. (R.P.)

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    Social Forum: in Sud Sudan donne cristiane e musulmane per la pace

    ◊   Donne cattoliche, anglicane e musulmane insieme per costruire la pace in Sud Sudan. È l’iniziativa promossa dalle missionarie comboniane che sarà presentata domani al Forum sociale mondiale in corso a Tunisi. La racconta all'agenzia Sir suor Cleonice Salvadeo, che fa parte di una delegazione di una trentina di missionari e missionarie comboniane. Per la prima volta, dopo aver partecipato ai Forum gli anni scorsi come semplici ascoltatori, i comboniani hanno deciso di organizzare una serie di eventi sui temi più diversi: dal land grabbing (l’accaparramento delle terre) al lavoro nelle bidonville ai percorsi di pace e riconciliazione. L’esperienza interreligiosa delle donne “Voice of women for peace and faith” è nata nel 2005 a Juba, la capitale del Sud Sudan, lo Stato africano divenuto indipendente nel 2011 dopo oltre vent’anni di conflitto. “Dopo la firma dei negoziati di pace c’era una grande euforia tra la popolazione - spiega la religiosa -. Ci siamo rese conto che le donne potevano dare un grande contributo alla pace. Abbiamo lavorato molto per il referendum che ha sancito l’indipendenza grazie alle donne, il 63% dei votanti. Ma la situazione è ancora delicata, con zone dove ci sono ancora conflitti con il Sudan per il controllo dei pozzi petroliferi”. La missionaria comboniana, che ha vissuto nella capitale Juba tanti anni ma ora si è spostata a Nairobi, in Kenya, descrive “un Paese da ricostruire completamente: quando sono arrivata a Juba non c’erano strade asfaltate, ora c’è perfino l’aeroporto. Però bisogna ancora creare una cultura del lavoro tra i giovani: molti sono nati nei campi per rifugiati e sono abituati all’assistenzialismo”. Il gruppo di donne - circa una cinquantina - sta organizzando nelle zone più a rischio del Sud Sudan una serie di workshop, coinvolgendo le donne delle aree rurali, compresi i capi dei villaggi. “In questo modo - spiega suor Salvadeo - mobilitiamo le donne impegnate nelle chiese e nelle moschee per superare il tribalismo e creare una cultura di pace. Le donne capiscono che loro sono le prime vittime dei confitti, quindi si danno da fare per sensibilizzare gli altri e cambiare la mentalità”. Sono state inoltre avviate campagne a favore della scolarizzazione femminile, contro la violenza sulle donne e le discriminazioni. Ad esempio, nonostante la costituzione garantisca alle donne l’eredità in caso di morte dei mariti, è pratica diffusa, in Sud Sudan e in molte zone dell’Africa, negare alle vedove questo diritto, con conseguenti e gravi problemi di emarginazione sociale se non si risposano o non lavorano. (R.P.)

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    Kenya: un commando attacca un casinò a Malindi. Almeno 7 morti

    ◊   E' di almeno sette morti accertati il bilancio ancora provvisorio dell'attacco a notte fonda contro un casino' di Malindi, rinomata localita' turistica del Kenya sull'Oceano Indiano, da parte di un commando formato da un centinaio di miliziani armati, probabilmente appartenenti al gruppo separatistico Mrc, il sedicente Consiglio della Repubblica di Mombasa. Lo ha riferito un portavoce della polizia locale - ripreso dall'agenzia Agi - Aggrey Adoli, secondo cui gli assalitori hanno tentato di fare irruzione all'interno delle sale da gioco, ma sono stati respinti dagli agenti di sorveglianza, pur numericamente molto inferiori. Ne e' scaturita una furibonda sparatoria, durante la quale hanno perso la vita un poliziotto e sei aggressori, altri quattro tra i quali sono poi stati catturati. Al momento non risultano invece vittime tra i turisti stranieri, di cui la citta' e' affollatissima nell'imminenza delle vacanze pasquali. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 87

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.