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Sommario del 27/03/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Prima udienza generale. Papa Francesco: no a fede stanca, uscire da se stessi per aprire a tutti le porte di Dio
  • L’appello del Papa per il Centrafrica: cessino violenze, si trovi soluzione politica
  • Due tweet del Papa: entrare nella logica di Dio vuol dire uscire da se stessi
  • Messa del Mercoledì Santo. Il Papa: parlare male dei nostri fratelli è come tradire Gesù
  • Ostensione tv della Sindone il Sabato Santo: ci sarà videomessaggio del Papa
  • Domenica 7 aprile l'insediamento del Papa sulla Cattedra romana di San Giovanni in Laterano
  • Variato lo Stemma pontificio, una stella a otto punte simboleggia le Beatitudini
  • Presentato “Papa Francesco”, documentario del Ctv. Svelate le prime parole dopo l’elezione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Iran contro la Lega Araba dopo la decisione di affidare un seggio all'opposizione siriana
  • Kurdistan, mons. Warda: Europa non dimentichi i cristiani del Medio Oriente
  • Rapporto di Amnesty sulla Turchia: libertà d’opinione incatenata
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: per il conflitto sono 600 mila i bambini soldato e 166 mila quelli senza istruzione
  • Iraq: incontro dei leader delle Chiese sulla situazione delle comunità cristiane
  • India. Pasqua senza pace per i cristiani: ancora violenze di estremisti indù
  • India: la protesta dei cristiani per l'apertura degli uffici pubblici nei giorni pasquali
  • Pakistan: la forza dei cristiani di Lahore dopo gli attacchi alla Joseph Colony
  • Siria: l'Onu chiede di garantire il passaggio sicuro degli aiuti umanitari
  • Thailandia: salgono a 37 le vittime dell’incendio di venerdì nel campo rifugiati
  • Rwanda. Esplosione a Kigali: un morto e otto feriti
  • Nigeria. Scontri nello Stato di Plateau: almeno 28 morti
  • Francia. il card. Vingt-Trois: "La ricerca sull'embrione sarebbe un errore grave"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Prima udienza generale. Papa Francesco: no a fede stanca, uscire da se stessi per aprire a tutti le porte di Dio

    ◊   Vivere la Settimana Santa vuole dire uscire da sé stessi e portare aiuto ai dimenticati delle periferie del mondo. È l’esortazione che emerge dalla prima udienza generale che Papa Francesco ha presieduto questa mattina in Piazza San Pietro. Il Pontefice ha dedicato la catechesi al significato della Settimana Santa, ma ha anche annunciato - raccogliendo “il testimone” di Benedetto XVI” – di voler riprendere dopo Pasqua la riflessione sull’Anno della Fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Un solo concetto, ripetuto con insistenza martellante: un cristiano deve “uscire”. Uscire da una fede di comodo per portare aiuto e comprensione tra gli abitanti delle “periferie dell’esistenza”. Uscire come Gesù, che considerava la gente la propria casa. L’insegnamento cardine che da due settimane il mondo ha imparato a conoscere di Papa Francesco diventa la prima pietra anche del suo magistero del mercoledì. Il Pontefice si sofferma sulla Settimana Santa e chiede ai cristiani di imitare Gesù, il quale dopo aver guarito, consolato, compreso, perdonato potenti e deboli, compie l’atto d’amore estremo sulla Croce. E questa, indica il Papa, è anche la “nostra strada”:

    “Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore, vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi - come dicevo domenica scorsa - per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto”.

    È la “logica del Vangelo”, scandisce Papa Francesco. Altre logiche quindi sono escluse. Ad esempio, afferma, l'accontentarsi “di restare nel recinto delle novantanove pecore”. Invece, esorta, si deve “uscire” come Gesù in cerca di quella che si è smarrita, “quella più lontana”:

    “Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un ‘uscire’. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio”.

    Uscire: per il Papa che ama condensare la sapienza cristiana in parole-chiave, è questo il verbo del giorno, ma che basta per una vita intera. Bisogna uscire, incalza, perché Gesù stesso viveva senza “una pietra dove posare il capo”:

    “Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio”.

    A questo punto, Papa Francesco risponde anche alla facile obiezione di chi sostiene di non avere tempo né forze per agire così, o di ritenerlo troppo difficile. In fondo, constata il Papa anche gli Apostoli redarguirono Gesù quando il Maestro mise crisi le loro “certezze”:

    “Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di ‘uscire’ per portare Cristo. Siamo un po’ come san Pietro. Non appena Gesù parla di passione, morte e risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti, l’Apostolo lo prende in disparte e lo rimprovera”.

    E qui, ricordando come Gesù rimproveri Pietro per non pensare “secondo Dio, ma secondo gli uomini”, Papa Francesco ribadisce - e aggiunge di non dimenticarlo mai - che “Dio pensa con misericordia”, come il padre della parabola del Figliol prodigo:

    “La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie - che pena, tante parrocchie chiuse! – nelle nostre parrocchie, dei movimenti, delle associazioni, ed 'uscire' incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! (...) Auguro a tutti di vivere bene questi giorni seguendo il Signore con coraggio, portando in noi stessi un raggio del suo amore a quanti incontriamo”.

    La prima udienza generale di Papa Francesco si è segnalata per alcune novità rispetto alla prassi del passato. Dopo la catechesi in lingua italiana, il Pontefice ha atteso che un sacerdote ne facesse la sintesi in un altro idioma per poi ogni volta prendere la parola e salutare i relativi gruppi linguistici presenti nella Piazza, ma sempre utilizzando l’italiano. Inoltre, anche in questa circostanza si sono ripetute le scene ormai abituali che hanno visto, prima e dopo l’udienza generale, Papa Francesco rimanere a lungo a contatto con la gente, transitando lentamente a bordo della jeep scoperta e scendere di tanto in tanto a stringere mani, ricambiato con entusiasmo e grande affetto. Per la cronaca, dopo l’udienza Papa Francesco ha salutato la neo presidente della Camera italiana, Laura Boldrini.

    Migliaia dunque le persone in Piazza San Pietro con il Papa, che hanno ricambiato con calore le parole e i gesti di vicinanza di Francesco. Massimiliano Menichetti era con loro:

    Papa Francesco proteso verso migliaia di mani, sorrisi, lacrime, gioia. Per oltre 30 minuti, ha benedetto bambini, abbracciato fisicamente il popolo di Dio dopo l’udienza generale. Migliaia le persone assiepate vicino alle transenne, sul sagrato e poi in piazza. Al suo arrivo, prima della lettura del Vangelo, l’ampio giro sulla jeep: le bandiere di tutte il mondo si sono alzate a disegnare il mosaico universale della cristianità.

    R. - È passato qui, davanti a me!

    R. - La sensazione è bellissima! Questo mi ha già appagato.

    R. - Viva il Papa!

    R. - La cosa che mi ha colpito di più è proprio questa idea “dell’uscire da sé stessi”, un’espressione che il Papa ha ripetuto molte volte, dando proprio questa idea dell’evitare di chiudersi e portare Cristo a tutti con la tenerezza.

    R. - Questo è proprio quello che volevamo sentirci dire, perché abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica di non accontentarci di quello che abbiamo e di non tenere la nostra fede solo per noi ma di tirarla fuori, di uscire da noi stessi per impegnarci, per cambiare un po’ il mondo: è quello che noi giovani vogliamo fare!

    R. - Io penso che abbia ragione. Bisogna aver il coraggio, perché - almeno secondo la mia esperienza personale - posso dire di aver vissuto momenti difficili, però nonostante questo non ho mai perso la speranza, ho sempre pregato. Quello che ho sempre chiesto, alla fine mi è stato dato. Ho sempre pensato che ciò che mi è accaduto in passato è accaduto perché potevo portare quel tipo di croce e nelle parole del Papa vivo proprio questo.

    R. - Le sue parole arrivano dirette al cuore!

    R. - Mi sto riavvicinando alla Chiesa.

    D. - Cosa l’ha colpito di questa prima udienza generale del Papa?

    R. - L’affetto della folla che è veramente notevole.

    R. - È stato tutto un insieme di cose... Questo suo ribadire la tenerezza e la vicinanza di Dio, che non siamo noi i primi a fare il passo, ma che è sempre Lui che ci viene incontro.

    D. - Uscire da sé stessi, non rinunciare nonostante le tante debolezze: cosa ne pensa?

    R. - Soprattutto, mi ha colpito il fatto di non rinchiudersi nel recinto delle 99 pecore. Spero tanto che il Papa continui a ribadire la tenerezza di Dio, abbiamo bisogno di sentircelo dire.

    R. – Il portare questo raggio di luce che significa che dobbiamo uscire da noi stessi per sperimentare la presenza di Gesù Cristo nella nostra vita e avere il coraggio di portarlo a tutti gli altri. Il Papa anche nella solennità di San Giuseppe ha parlato della testimonianza e di lasciarsi custodire, e allo stesso tempo di essere noi custodi del fratello. Per questo ci vuole coraggio, non è facile.

    D. - Che cosa la colpisce di questo Papa?

    R. - Il suo coraggio nel parlare con sincerità ma con tanta tenerezza e l’amore verso i poveri.

    D. - Il suo augurio per il Papa per questa Pasqua?

    R. - Che lui continui su questa linea, perché con il suo parlare ci porta il Vangelo, e così ci porta Gesù.

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    L’appello del Papa per il Centrafrica: cessino violenze, si trovi soluzione politica

    ◊   All’udienza generale di oggi, Papa Francesco ha lanciato un appello per la Repubblica Centrafricana, dove i ribelli della Seleka domenica scorsa hanno preso il potere con un colpo di Stato e dove in questi giorni la popolazione è sottoposta a saccheggi, soprusi e violenze:

    “Seguo con attenzione quanto sta accadendo in queste ore nella Repubblica Centroafricana e desidero assicurare la mia preghiera per tutti coloro che soffrono, in particolare per i parenti delle vittime, i feriti e le persone che hanno perso la propria casa e che sono state costrette a fuggire. Faccio appello perché cessino immediatamente le violenze e i saccheggi, e si trovi quanto prima una soluzione politica alla crisi che ridoni la pace e la concordia a quel caro Paese, da troppo tempo segnato da conflitti e divisioni."

    L'organizzazione medico-umanitaria Medici Senza Frontiere fa sapere che nella capitale Bangui, a causa dell'estrema violenza e insicurezza, il personale medico non è in grado di fornire assistenza medica alla popolazione. Nell’intervista di Helene Destombes, della redazione francese della Radio Vaticana, mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, racconta come sono state accolte in Centrafrica le parole di Papa Francesco e esprime la sua preoccupazione:

    R. – Ce message, que nous accueillons…
    Questo messaggio che noi accogliamo con grande gioia, lo facciamo nostro ed io spero che tutti coloro che hanno ancora umanità, che hanno fede, possano intendere il messaggio di un responsabile religioso che si preoccupa della popolazione, perché è la popolazione la vittima principale. Tutti i bambini che non possono più andare a scuola e che vagano ovunque, tutti i funzionari che sono fuggiti nella savana – e questa è la stagione delle piogge – che non hanno da mangiare né da bere: queste sono le nostre preoccupazioni. Tutti i malati che stanno morendo perché non ci sono medicine: questi sono la nostra preoccupazione. Il Papa è solidale con noi. Tutti coloro che hanno potere politico devono ascoltare questo messaggio religioso e, con molto rispetto e anche con molta deferenza, possono accettare di alleggerire la sofferenza del popolo centrafricano, di questo popolo che più che mai aspira alla pace. Il popolo centrafricano che si prepara anche a celebrare la festa della morte e Risurrezione di Cristo è un popolo che spera di rimettersi in piedi, come il Risorto. Più che mai i politici devono coniugare i loro sforzi per offrire una possibilità, l’occasione e, direi, la grazia a questo popolo di rimanere in piedi.

    D. – Sono cessati i saccheggi? Qual è oggi la situazione a Bangui?

    R. – La situation à Bangui reste précaire…
    La situazione a Bangui resta precaria. Ci sono stati ancora saccheggi, che vanno a discapito dell’intera popolazione. Tuttavia, i religiosi sembrano essere stati presi di mira. Ieri sera, elementi di Seleka sono arrivati dai padri Lazzaristi che vivono nel Lycée des Rapides; hanno saltato il muro: i guardiani sono fuggiti, sono rimasti i padri. Hanno forzato le porte, hanno trovato il responsabile, padre Séraphin Zoga, gli hanno chiesto che fossero consegnati tutti i beni; hanno preso tutto quello che volevano; e siccome non era sufficiente, lo hanno ferito con un pugnale e noi abbiamo visto la ferita: c’è la foto di questo padre ferito alla mano e ai piedi. Queste persone hanno proferito delle minacce dicendo: “Cerchiamo religiosi e religiose”. Sono sicuramente elementi incontrollati, che osano esprimersi in maniera inappropriata nei riguardi di un uomo di Dio.

    D. – C’è il rischio che questa crisi politica diventi religiosa?

    R. – J’ose espérer que nous n’allons pas dévier de trajectoire…
    Spero che non si devii dalla traiettoria. Questa crisi inizia come crisi politica. Facciamo attenzione alle nostre azioni: se si va sistematicamente dai padri e le suore a rubare e saccheggiare, la gente si chiederà: “Perché i nostri padri sono presi di mira, perché non gli imam?”. Questo creerà frustrazione, odio, vendetta. Ecco perché i responsabili devono essere vigili, lanciare appelli chiari e netti affinché le persone impegnate con Dio siano protette. Penso che non si debba fare di tutt’erba un fascio; io continuo a sperare ancora che si tratti di elementi incontrollati, che però possono ancora essere controllati dai responsabili: diversamente, essi lasceranno intendere che ci sia qualcosa sotto di organizzato, ed essi dovranno assumersi la responsabilità delle conseguenze che ne deriveranno.

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    Due tweet del Papa: entrare nella logica di Dio vuol dire uscire da se stessi

    ◊   Sull’account @pontifex di Papa Francesco sono arrivati due nuovi tweet: “Rimanere con Gesù – si legge nel primo - esige uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario”. "Vivere la Settimana Santa - afferma il secondo tweet - è entrare sempre più nella logica di Dio, quella dell’amore e del dono di sé". Sull'account Twitter del Papa in nove lingue sono oltre 4 milioni e mezzo i followers.

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    Messa del Mercoledì Santo. Il Papa: parlare male dei nostri fratelli è come tradire Gesù

    ◊   Il tradimento di Giuda paragonato al pettegolezzo, al parlare male degli altri. E’ la riflessione fatta da Papa Francesco nella breve omelia tenuta questa mattina nella “Casa Santa Marta” in Vaticano, a commento del Vangelo del Mercoledì Santo. Poi, a sorpresa, il Papa si è recato nella Basilica di San Pietro a salutare i dipendenti vaticani riuniti per la Messa presieduta dal cardinale Angelo Comastri alla vigilia del Triduo pasquale. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il Vangelo del Mercoledì Santo presenta il tradimento di Giuda per 30 denari. Uno dei Dodici, uno degli amici di Gesù, uno di quelli che gli erano più vicini – sottolinea il Papa – parla con i capi dei sacerdoti trattando il prezzo del tradimento. “Gesù è come una mercanzia: è venduto”. Capita “tante volte anche nel mercato della Storia … nel mercato della nostra vita – ha proseguito - quando noi scegliamo i 30 denari e lasciamo Gesù da parte, guardiamo il Signore che è venduto. E a volte noi – afferma il Papa - con i nostri fratelli, con i nostri amici, tra noi, facciamo quasi lo stesso”. Accade "quando chiacchieriamo l’uno dell’altro”. Questo è vendere, e “la persona di cui chiacchieriamo è una mercanzia, diventa una mercanzia. E con quanta facilità - esclama - noi facciamo questo! E’ la stessa cosa che ha fatto Giuda”. Il Papa quindi aggiunge: “Non so perché, ma c’è una gioia oscura nella chiacchiera”. A volte cominciamo da parole buone, ma poi all’improvviso arriva la chiacchiera e comincia quello che il Papa definisce “spellare l’altro”. Ma “ogni volta che chiacchieriamo, ogni volta che ‘spelliamo’ l’altro – ricorda il Pontefice - facciamo la stessa cosa che ha fatto Giuda”. Questo, dunque, l’invito: “mai parlare male di altre persone”. Giuda, quando ha tradito Gesù “aveva il cuore chiuso, non aveva comprensione, non aveva amore, non aveva amicizia”. Così, anche noi quando spettegoliamo non abbiamo amore, non abbiamo amicizia, tutto diventa mercato: “vendiamo i nostri amici, i nostri parenti”. Allora - esorta il Papa – “chiediamo perdono perché lo facciamo all’amico, ma lo facciamo a Gesù, perché Gesù è in questo amico, in questa amica. E chiediamo la grazia di non ‘spellare’ nessuno, di non chiacchierare di nessuno”. E se ci accorgiamo che qualcuno ha dei difetti – conclude il Papa – non facciamoci giustizia con la nostra lingua, ma preghiamo il Signore per lui, dicendo “Signore, aiutalo!”.

    Il Papa si è poi recato nella Basilica di San Pietro dove ha salutato i dipendenti vaticani riuniti per la Messa presieduta dal cardinale Comastri, ringraziandoli per il lavoro svolto per la Santa Sede:

    "Voglio ringraziarvi per questo e chiedervi di pregare per me: ne ho bisogno perché io sono anche un peccatore, come tutti. E voglio essere fedele al Signore. Pregate per me. Vi auguro Buona Pasqua. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca, come Mamma buona. Grazie tante!“.

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    Ostensione tv della Sindone il Sabato Santo: ci sarà videomessaggio del Papa

    ◊   “La Sindone, icona del Sabato Santo, non ci rivela solo il soffrire di Cristo, ma anche la sua fede nell’amore potente del Padre che lo fa risorgere da morte”: è quanto scrive l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nel suo Messaggio pasquale, presentato oggi in conferenza stampa. Nell’occasione, il presule si è soffermato sull’Ostensione televisiva della Sindone che avrà luogo nel pomeriggio del Sabato Santo, su Rai Uno. “Un evento di forte impatto mediatico mondiale”, ha sottolineato mons. Nosiglia, spiegando che si attende anche un videomessaggio di Papa Francesco. Al contempo, l'arcivescovo di Torino ha ribadito il contesto particolare in cui esso avverrà: nel Duomo di Torino, infatti, saranno presenti “molti malati e sofferenti, disabili e persone in difficoltà, che portano nel proprio corpo i segni della passione del Signore, ma la vivono con fede e abbandono alla sua volontà, offrendo come Gesù sulla croce il proprio sacrificio nella testimonianza dell’amore che si dona”. In quest’ottica, la Sindone rivela “non solo il buio del sepolcro, ma anche la luce della risurrezione; non solo la disperazione di chi si sente solo con il proprio dramma, ma anche la fiducia e la speranza di vittoria che Dio assicura a chiunque si fida di Lui e della potenza della Pasqua del suo Figlio Gesù”. “Se Cristo ha vinto la morte”, ha proseguito l’arcivescovo di Torino, allora è possibile tornare ad amare, è possibile perdonare, fare “della vita un dono di preghiera e di amore a Dio rinunciando ai beni terreni, alla propria realizzazione personale, agli affetti più cari e scegliere la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata per sempre”, è possibile credere nel matrimonio “rinunciando alla tentazione del disimpegno”, si può “lottare contro ogni forma di ingiustizia nel mondo del lavoro, mettendo al primo posto le persone” invece del profitto e del “consumismo sfrenato”; è possibile operare per un mondo di pace, e tutelare la vita di ogni persona umana. Infine, mons. Nosiglia si è soffermato sull’inizio del ministero pertino di Papa Francesco: “La sua elezione è come un raggio di sole”, ha detto, “che ha squarciato le tenebre della sfiducia e dell’abbattimento di molti cuori”. Al centro dei suoi insegnamenti, ha concluso l’arcivescovo di Torino, c’è “la necessità di professare la nostra fede in Gesù Cristo, accogliendone la croce quale fonte di salvezza e di amore che dona se stesso, soprattutto per le persone più povere, sole e malate” e rimanendo custodi del Creato e di ogni uomo, “custodi con la tenerezza e bontà che vince ogni diversità, crea comunione e spirito di umile accoglienza”. (I.P.)

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    Domenica 7 aprile l'insediamento del Papa sulla Cattedra romana di San Giovanni in Laterano

    ◊   La solenne Celebrazione eucaristica con l'insediamento sulla Cattedra romana del vescovo di Roma, Papa Francesco, si svolgerà nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il 7 aprile, seconda Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia. La Messa inizierà alle 17.30 e segnerà ufficialmente la presa di possesso di San Giovanni in Laterano da parte del Papa.

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    Variato lo Stemma pontificio, una stella a otto punte simboleggia le Beatitudini

    ◊   Lo Stemma pontificio di Papa Francesco è stato sottoposto a delle modifiche. La nuova versione presenta il cambiamento della stella, non più a 5 punte ma a 8 punte, come il numero delle Beatitudini. Inoltre, è stato modificato graficamente il fiore di nardo, che indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, ora molto più simile al disegno del fiore. Infine, il motto "miserando atque eligendo" è stato inserito in un cartiglio bianco con bordi rossi, sottostante lo scudo. Invariato il simbolo Gesuiti.

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    Presentato “Papa Francesco”, documentario del Ctv. Svelate le prime parole dopo l’elezione

    ◊   “Papa Francesco”. Questo il titolo del documentario, prodotto dal Centro Televisivo Vaticano, che sarà distribuito come allegato al quotidiano “Il Corriere della Sera” a partire dal prossimo 2 aprile. Su questa produzione, presentata stamattina nella Sala Stampa della Santa Sede, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il documentario si apre con l’elezione di Papa Francesco, che dalla loggia di San Pietro chiede di pregare per Benedetto XVI. Come in un flashback, la trama si sposta poi sulle parole di Benedetto XVI che comunica la decisione di rinunciare al ministero petrino. Le immagini successive documentano l’arrivo di Benedetto XVI a Castel Gandolfo, le diverse fasi della Sede Vacante e gli eventi di inizio Pontificato. Il documentario si chiude con lo storico incontro tra Papa Francesco e Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Oltre alle immagini, sono anche le parole a raccontare i giorni di grande commozione ed emozione. Mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro televisivo Vaticano:

    “E’ un film di montaggio nel quale però abbiamo inserito quattro interviste a quattro cardinali, che potessero dare parola ad alcune emozioni. Penso ad esempio al cardinale Comastri, vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano, che ci ha raccontato – dopo averne chiesto permesso al Pontefice – quali siano state le primissime parole che il Papa ha pronunciato, quando gli hanno chiesto se accettava di diventare Papa. Il cardinale Maradiaga dà parola al nostro senso di smarrimento, quando l’elicottero che portava Benedetto XVI dalla Città del Vaticano si è staccato dal suolo. Racconta il sentimento di sentirsi orfano, di smarrimento, però esprime anche la grande gioia per un Papa che viene dall’America Latina. Poi, il cardinale decano Sodano, che cerca di cogliere la continuità tra Benedetto XVI e Papa Francesco, e il cardinale Ravasi che raccoglie la sfida della cultura, affidatagli dal cardinale Benedetto XVI e riconfermata da Papa Francesco”.

    Mons. Viganò ha quindi ricordato le prime parole pronunciate da Papa Francesco dopo l’elezione:

    “Le prime parole, dopo la richiesta 'Accetti?' sono state queste. Il cardinale Comastri afferma che il Papa ha risposto: sono un grande peccatore; confidando nella misericordia e nella pazienza di Dio, nella sofferenza, accetto”.

    Parole e immagini, condensate nel documentario, che ripercorrono giorni indelebili. Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunciazioni Sociali:

    “Siamo in un’epoca nuova, dove le immagini diventano veramente punto di riferimento continuo, fanno storia e ci permettono di inserirci in maniera molto più ricca e più profonda nella storia stessa”.

    Il documentario offre dunque una panoramica sulla storia anche con l’ausilio di immagini e interviste inedite. Ferruccio De Bortoli, direttore del quotidiano “Il Corriere della Sera”:

    “Credo sia un documento che rimarrà nella storia e ci consentirà, e consentirà probabilmente agli studiosi, ma anche alle prossime generazioni, di capire anche le emozioni che abbiamo vissuto, che abbiamo cercato di descrivere, con una partecipazione emotiva che difficilmente si riscontra quando si parla e si racconta di altri grandi fatti che hanno caratterizzato la storia più recente”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   E’ la gente la casa di Gesù: prima udienza generale di Papa Francesco.

    Per portare Cristo nelle periferie: un testo del cardinale Jorge Mario Bergoglio che sintetizza il suo intervento nelle Congregazioni generali precedenti il Conclave.

    I giorni che hanno visto arrivare Francesco: Dario Edoardo Viganò sul documentario realizzato dal Centro Televisivo Vaticano.

    Il pastore deve avere lo stesso odore delle pecore: in cultura, Cristian Martini Grimaldi intervista padre Tomas Llorente che dalla periferia di Buenos Aires racconta il suo arcivescovo.

    Per riscoprire e amare la Chiesa: anticipazione della prefazione dell’arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, José Maria Arancedo, al volume “Aprite la mente al vostro cuore”, traduzione italiana di una raccolta di esercizi spirituali in stile ignaziano di Jorge Mario Bergoglio.

    Papa Francesco saluta i dipendenti vaticani nella Basilica di san Pietro.

    Sorprese divine: Inos Biffi sul triduo pasquale.

    Nell’ora dell’angoscia: Jean-Pierre De Rycke sull’“Orazione dell’orto” di El Greco.

    Vidi una lacrima spuntare: Pier Giordano Cabra sul gallo e San Pietro.

    Casa per tutte le genti: nell’informazione religiosa, intervista di Roberto Cutaia a Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, il sostegno della Lega araba ai ribelli siriani.

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    Oggi in Primo Piano



    Iran contro la Lega Araba dopo la decisione di affidare un seggio all'opposizione siriana

    ◊   In Siria, proseguono le violenze mentre di segno diverso sono i commenti sul via libera della Lega Araba, ieri a Doha, alla fornitura di armi ai ribelli. Stamani, l’Iran, storico alleato del presidente Assad, ha criticato la decisione di consegnare il seggio vacante di Damasco proprio all’opposizione e ha parlato di “pericoloso precedente”. Una presa di posizione scontata come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, Massimiliano Trentin, ricercatore di Storia del Medio Oriente all’università di Bologna:

    R. – Sì, è un passaggio scontato in quanto l’Iran si trova decisamente a favore e a sostegno, sia politico che logistico ma anche militare, nei confronti del regime di Bashar Al Assad. Un passaggio scontato che dimostra come purtroppo in Siria si stia combattendo non solo una guerra civile, ma anche una guerra regionale che vede contrapposti il regime di Bashar al Assad, gli alleati libanesi di Hezbollah - ma non solo in Libano - e l’Iran e, dall’altra parte, un arco di forze guidate dai Paesi arabi del Golfo - Arabia Saudita e Qatar - con l’appoggio un po’ più velato della Giordania, un appoggio di primissimo piano della Turchia, e sostenuto poi da Francia, Gran Bretagna e in secondo piano dagli Stati Uniti. Questo è un po’ il quadro.

    D. – Divisioni e blocchi si stanno anche riverberando nella stessa opposizione siriana, che appare molto divisa al suo interno con al Khatib che ieri, da Doha, ha indicato una propria linea politica, anche se poi ufficialmente ha dato le sue dimissioni…

    R. – E’ un passaggio veramente molto importante e molto grave, quantomeno dal mio punto di vista, in quanto al Khatib poteva rappresentare un punto di legame per una soluzione anche politica alla crisi. Anche perché al Khatib ha criticato e denunciato il regime per decenni, stando all’interno della Siria. Al contrario, però, i Paesi arabi del Golfo e in particolare il Qatar hanno fatto un’operazione di forza e hanno imposto, come primo ministro di questo governo fantomatico, Hitto che invece per decenni ha vissuto negli Stati Uniti, non è conosciuto dalle opposizioni. Questo ha fatto sì che l’esercito libero siriano abbia disconosciuto la sua nomina proprio perché la vedeva come un atto di forza da parte di Paesi come il Qatar, ma anche di governi europei. Purtroppo, la situazione è questa: c’è la soluzione militare contro una possibile apertura di una soluzione politica.

    D. – Da un lato, il via libera della Lega Araba alla fornitura di armi ai ribelli, dall’altro alto, invece, il "no" della Nato all’impiego di missili Patriot sulle zone liberate della Siria: quale impronta stanno dando al conflitto nel Paese siriano, quali scenari lei intravede?

    R. – Purtroppo, al momento io vedo un’escalation militare perché da un lato abbiamo il regime di Damasco che, tra l’altro, da poco ha riconquistato il luogo simbolico di Homs, una delle città epicentro della guerra che è il distretto centrale di Bab Amr. Dall’altra parte, le opposizioni militari che sono avanzate negli ultimi mesi ma che stanno combattendo al loro interno, tra di loro con alcuni episodi di scontri. L’approvazione, la legittimazione ufficiale di quanto succedeva già prima, cioè l’invio di armi attraverso la Turchia, ai ribelli siriani, da parte di altri Paesi arabi spinge per una radicalizzazione dello scontro. Sembra che stia prevalendo, quantomeno a livello internazionale, l’opzione di armare i ribelli e di puntare ancora sullo scontro militare come chiave di volta, come elemento risolutivo di un conflitto che vede, invece, dall’altra parte una capacità anche di resistenza militare notevole alla parte del regime di Damasco. E’ una situazione che si evolverà con un proseguimento di questa guerra di logoramento all’interno del Paese.

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    Kurdistan, mons. Warda: Europa non dimentichi i cristiani del Medio Oriente

    ◊   A dieci anni dalla caduta del regime di Saddam Hussein, il Kurdistan, nel nord iracheno, vive una situazione di relativa calma, lontana dalla violenza che agita ancora Baghdad e le altre città. E’ a Erbil, capitale ma anche provincia del Kurdistan, che si trova la comunità cristiana più grande dell’intero Paese, in tutto 6.000 famiglie. Nelle altre due province, quella di Sulaimaniya e quella di Dohuk, in totale se ne trovano circa 4.500. La maggior parte di loro si è insediata in Kurdistan negli ultimi anni, in fuga dal conflitto tutt’ora in corso in Iraq. Nonostante si viva con maggiore sicurezza, però, anche i cristiani del Kurdistan lasciano le loro case. Lo conferma l’arcivescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Warda, intervistato da Francesca Sabatinelli:

    R. - The problem is that always…
    Il problema in Iraq dipende dall’instabilità politica, che pregiudica la vita quotidiana non solo dei cristiani, ma di tutti gli iracheni. Le persone soffrono per tutto questo, ovviamente, in quanto minoranza gli effetti negativi sono più visibili sui cristiani. Non c’è la percezione della sicurezza, questo è ciò che vive ogni cristiano, la maggior parte delle famiglie sono dovute emigrare tre volte negli ultimi 40 anni. Certo, la situazione in Kurdistan è migliore, non c’è paragone con il resto dell’Iraq. Qui, si vive con la sensazione di essere in sicurezza, in una comunità come Ankawa (quartiere cristiano di Erbil - N.d.R.), che è a maggioranza cristiana, con cinquemila famiglie ci si sente a proprio agio. Si può viaggiare, si può andare nel resto del Kurdistan ogni volta che si vuole. In ogni caso, però, questo grande conflitto politico contamina tutti gli iracheni. E se parliamo dei cristiani, in quanto minoranza vengono colpiti più degli altri.

    D. - Qui, in Kurdistan, come vivono i cristiani? C’è discriminazione ad esempio sotto il profilo lavorativo?

    R. - There is no discrimination in that sense…
    Non voglio parlare di discriminazione contro i cristiani. La mancanza di lavoro dipende anche dal fatto che, arrivati qui perché fuggiti dall’Iraq, non parlano il curdo, ecco perché noi come Chiesa abbiamo cercato di sostenerli aprendo corsi di lingua curda. La situazione è diversa per coloro che sono più qualificati, che hanno una laurea: il governo regionale del Kurdistan cerca di incentivarli, di non farli partire.

    D. - Sappiamo che molti cristiani iracheni sono arrivati in Kurdistan negli ultimi anni, in molti però ora lo stanno lasciando, proprio a causa delle difficoltà di cui parla lei…

    R. - Kurdistan is in the heart of Middle East…
    Il Kurdistan è nel cuore del Medio Oriente e sappiamo che si tratta di una zona instabile. Confiniamo con la Siria, con tutta la sua violenza. I cristiani avvertono che l’area non è in sicurezza, non c’è futuro, emigrano dalla Siria, dalla Turchia, dall’Iraq, dalla Giordania. La Chiesa più di una volta ha denunciato la drammatica emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente, più di una volta ne ha parlato come di una grande sfida. Certo, dall’Iraq emigrano più cristiani che altrove. Chi lascia il Kurdistan non è perché vive male, ma per questo senso di instabilità che attraversa tutta la regione. Anche perché sappiamo che qualsiasi cosa accadrà in Siria riguarderà tutti, non è un segreto. I cristiani me lo ripetono: siamo stanchi, ne abbiamo abbastanza di tutti questi cambiamenti. Per loro, questi cambiamenti sono forzati, li subiscono, non sono una scelta.

    D. - Quanto è difficile per lei, arcivescovo di Erbil, svolgere il suo ministero qui?

    R. - I worked in Baghdad, I’ve seen the violence...
    Ho vissuto a Baghdad, sono nato lì, ho visto la violenza, i miei parrocchiani erano tremila famiglie, dopo il 2005 è iniziato l’esodo. Alla fine del 2006, erano scesi a mille famiglie, oggi sono ancora di meno. E’ difficile assistere a tutto questo, assistere alle Messe senza fedeli, al catechismo senza ragazzi, alla chiusura delle Chiese alle sei del pomeriggio, all’eliminazione di qualsiasi attività pastorale... In un certo modo, vedi la tua Chiesa morire e non ti resta che accettare la realtà e restare al tuo posto. Nel 2010, sono stato nominato vescovo di Erbil. A Baghdad e a Mossul chiudevano le chiese, io qui dovevo aprirne delle nuove. Fino ad oggi, non siamo riusciti a costruirne neanche una per mancanza di soldi, su di noi pesa persino la crisi economica in Europa. Speriamo per il prossimo anno se ne possa finire almeno una, per 1.200 famiglie che oggi non hanno una parrocchia. A volte mi dico: trent’anni fa a Baghdad sono state costruite chiese che oggi sono quasi vuote e mi chiedo cosa ne sarà tra trent’anni di un complesso costruito qui e per il quale magari sono stati spesi tre milioni di dollari. Dobbiamo ripetere la stessa esperienza di Baghdad e Mossul? Guardare svuotarsi le nostre chiese? E’ anche vero che quest’anno il governo regionale del Kurdistan ha accettato di finanziare la costruzione di una chiesa a Ankawa, in un distretto dove vivono mille famiglie cristiane. Per luglio, forse, inizieranno i lavori. Quindi, posso dire che se da una parte il nostro paese presenta un’immagine triste, dall’altra ci sono anche buone notizie.

    D. - E quanto è difficile la convivenza con la maggioranza musulmana?

    R. - Usually it's not hard, we have a dialogue of living…
    Devo dire che non è difficile, in Iraq come qui in Kurdistan, c’è un rapporto quotidiano, abbiamo vissuto insieme per secoli. Naturalmente, in questa situazione di caos e di precarietà, successiva al 2003, ci sono gruppi che hanno attaccato i cristiani: per ragioni politiche, economiche e sociali. Certo, non possiamo ignorare che c’è chi ha perseguitato i cristiani in quanto tali. Per quanto mi riguarda con la comunità islamica di qui ho ottimi rapporti, partecipo in moschea ai loro eventi, e stessa cosa fanno loro, per Natale, per Pasqua. L’Iraq è una maggioranza di minoranze. Ci sono le tribù, le ideologie, i partiti, qualsiasi governo al potere deve avere come obiettivo il mantenimento del dialogo tra le differenti comunità. Qui, in Kurdistan, hanno una strategia in questo senso, incoraggiano il dialogo e la tolleranza, sia a parole che con i fatti. Da parte mia, io sollecito i Paesi europei e le istituzioni europee a tenere alta l’attenzione sui cristiani del Medio Oriente: c’è bisogno della diversità in questa area, e non perché noi cristiani siamo storicamente qui, ma perché un Medio Oriente fatto di una o due comunità sarebbe un disastro. Io incoraggio l’Europa a impegnarsi fortemente per il Medio Oriente, non soltanto a parole durante circostanze ufficiali. Il Medio Oriente deve entrare nella loro agenda. Ci sono comunità che sono andate via, che stanno diminuendo sempre più, sarebbe troppo duro accettare una totale evacuazione dal Medio Oriente.

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    Rapporto di Amnesty sulla Turchia: libertà d’opinione incatenata

    ◊   “E’ giunto il tempo di togliere le catene alla libertà” è il titolo del Rapporto pubblicato oggi da Amnesty International riferito alla Turchia, dove in questi giorni il parlamento sta esaminando un pacchetto di riforme legislative. L’organizzazione umanitaria denuncia “centinaia di procedimenti giudiziari a carico di attivisti, giornalisti e avvocati”. Roberta Gisotti ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

    D. – Che cosa sta accadendo in Turchia? Perché queste violazioni che sarebbero addirittura in aumento?

    R. – Sta accadendo che, nonostante vari tentativi di riforme sul piano giudiziario, non si riesca ad andare oltre ad emendamenti di facciata. Rimangono inalterati almeno otto articoli del Codice penale del 2005 e due articoli della Legge antiterrorismo del ’91, che prevedono una serie di fattispecie di reato indefinite, di contenuto generico, e sono queste che consentono di avviare inchieste e procedimenti giudiziari nei confronti di persone, che esercitano unicamente la loro libertà di espressione. Ovviamente, esprimono critiche nei confronti del governo oppure si battono per i diritti economici, sociali e culturali della minoranza curda, ma sono attività legittime, previste dal diritto internazionale, che però per la legislazione turca equivalgono a reati penali.

    D. – Nel Rapporto, si fa riferimento in particolare all’art. 301, che riguarda la denigrazione della nazione turca, e all’art. 318, che riguarda il servizio militare...

    R. – Esatto. La Turchia è l’unico Paese in Europa che non prevede l’obiezione di coscienza. Questo significa che chi rifiuta di svolgere il servizio militare, non soltanto compie un reato, perché l’obiezione di coscienza non è prevista, ma viene incriminato ai sensi dell’art. 318, perché aliena l’opinione pubblica dal servizio militare, proponendo una modalità alternativa. L’art. 301 è l’articolo storico con cui la Turchia ha criminalizzato ogni forma di critica legittima nei confronti delle autorità. Sotto quella definizione di “denigrazione della nazione turca”, sono finiti sotto processo giornalisti, avvocati, scrittori, persone che avevano magari chiesto un riesame dal punto di vista storico e critico di quanto commesso ai danni del popolo armeno, del genocidio armeno o persone che invocavano maggiore rispetto per i diritti dei curdi – l’uguaglianza, il bilinguismo, il riconoscimento delle loro specificità culturali – giornalisti che hanno scritto articoli critici nei confronti delle politiche del governo in materia di diritti umani, personalità illustri come Orhan Pamuk, come Hrant Dink e tanti altri intellettuali del Paese.

    D. – C’è poi in vigore una Legge antiterrorismo, che limita anche la libertà di espressione...

    R. – Sì, questi due articoli – il 6/2 e il 7/2 - della Legge antiterrorismo del ’91. Il primo, che criminalizza la stampa o la pubblicazione di dichiarazioni o affermazioni di organizzazioni terroriste, in realtà è stato utilizzato molto per colpire giornalisti, direttori e proprietari di testate che parlavano dei diritti dei curdi o che erano scritti in lingua curda. L’art. 7/2 sulla propaganda terrorista è scritto in maniera così generica da criminalizzare persino dibattiti pacifici sui diritti dei curdi. Temi, slogan di manifestazioni in favore dei curdi vengono etichettate come propaganda terrorista. C’è un caso che voglio raccontare, quello di Sultani Acibuca, una donna di 62 anni, che fa parte di un gruppo di madri i cui figli sono morti o sono in carcere per fatti relativi al conflitto tra l’Esercito turco e il Pkk, il gruppo armato curdo: lei è stata condannata a dieci mesi di carcere per il solo fatto di avere pubblicamente invocato la pace tra l’Esercito turco e il Pkk, per aver chiesto la fine degli scontri armati e una riconciliazione che desse un futuro di pace e democrazia al Paese.

    D. – Che possibilità ci sono che questo Rapporto di Amnesty venga raccolto da qualche istanza politica istituzionale?

    R. – L’occasione è importante, perché davanti al parlamento è in corso, e sotto esame, la quarta riforma giudiziaria. Potrebbero esserci riforme veramente in profondità, anziché di superficie. E’ importante perché c’è questa coincidenza temporale con l’opportunità scaturita dal cessate-il-fuoco annunciato dal carcere da Abdullah Öcalan, leader del Pkk, la settimana scorsa. Quindi, se ci fossero riforme giudiziarie che dessero un senso ai diritti umani, che togliessero – come dice Amnesty International – le catene alla libertà di espressione, e se si avviasse un negoziato sincero, con obiettivo la pace e i diritti umani al centro dell’agenda di questo negoziato, per la Turchia si tratterebbe veramente di voltare pagina. E’ quello che noi abbiamo chiesto in questo Rapporto.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: per il conflitto sono 600 mila i bambini soldato e 166 mila quelli senza istruzione

    ◊   Circa 600 mila bambini soldato sono stati coinvolti negli ultimi tre mesi di conflitti nella Repubblica Centrafricana, secondo quanto riporta l’agenzia Fides. Inoltre, intere comunità controllate dai ribelli non hanno potuto usufruire di servizi basilari come quelli sanitari, scolastici e alimentari. 166 mila bambini non hanno fatto lezione, 13.500 minori sono a rischio malnutrizione data la difficoltà delle agenzie umanitarie di raggiungere i villaggi. I più vulnerabili sono i ragazzi separati dalle famiglie, che potrebbero essere arruolati dalle Forze armate. Secondo l’Unicef, dall’inizio del conflitto lo scorso dicembre, i gruppi ribelli e l’esercito governativo hanno reclutato bambini. Già prima delle rivolte però ne erano coinvolti 2.500. (V.C.)

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    Iraq: incontro dei leader delle Chiese sulla situazione delle comunità cristiane

    ◊   I capi e i rappresentanti delle Chiese e delle comunità cristiane presenti in Iraq si sono riuniti ieri presso la sede del Patriarcato caldeo a Baghdad per confrontarsi sulla condizione presente dei battezzati che vivono nella nazione mediorientale e per affrontare in maniera condivisa le emergenze e le difficoltà che affaticano la presenza dei cristiani in quel Paese nell'attuale momento storico. L'incontro, convocato dal patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphaël I Sako, ha visto la partecipazione di rappresentanti autorevoli delle Chiese greco-ortodossa, armena apostolica, assira d'Oriente, siro-ortodossa, copta ortodossa e siro-cattolica. Alla riunione era presente anche George Chamoun, presidente della comunità avventista in Iraq. L'ecumenismo e il dialogo fraterno di comunione con tutti i cristiani rappresenta una priorità per l'attuale Patriarca caldeo. “Adesso” aveva dichiarato mons. Sako all'agenzia Fides dopo la sua elezione “purtroppo si sente qualcuno che dice: sono più armeno che cristiano, più assiro che cristiano, più caldeo che cristiano. E persiste qua e là una mentalità tribale, per cui ogni villaggio punta a avere il 'suo' vescovo o il 'suo' patriarca. In questo modo si spegne il cristianesimo. Noi, come vescovi, dobbiamo essere vigilanti contro queste forme malate di vivere la propria identità”. (R.P.)

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    India. Pasqua senza pace per i cristiani: ancora violenze di estremisti indù

    ◊   Anche in Quaresima e in preparazione della Pasqua, i cristiani di alcune zone dell'India sono vittime di aggressioni e violenze. Lo denuncia Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), che registra alcuni attacchi avvenuti nel mese di marzo in Chhattisgarh e Kerala. "Questa - sottolinea il leader cristiano lanciando un appello alla National Human Rights Commission (Nhrc) - è la settimana più importante dell'anno: le minoranze cristiane dovrebbero essere ancora più protette e difese". Il 13 marzo scorso - riferisce l'agenzia AsiaNews - a Gadia (distretto di Jagdalpur, Chhattisgarh) un gruppo di fondamentalisti indù insieme a personale dell'amministrazione e poliziotti hanno demolito una chiesa, sostenendo fosse stata edificata in modo illegale. La comunità locale ha cercato di intervenire, ma il gruppo ha aggredito fisicamente e verbalmente i cristiani, senza risparmiare donne e bambini. Prima di demolire la chiesa, radicali indù e funzionari hanno distrutto Bibbie, strumenti musicali e banchi, per poi profanare altri oggetti sacri. Qualche giorno prima, il 10 marzo, un centinaio di estremisti indù ha attaccato un servizio di preghiera della Brethren Assembly Church, nel villaggio di Chirayinkeezzh (distretto di Trivandrum, Kerala), pestando i fedeli presenti con dei bastoni di legno. Un cristiano ha riportato gravi ferite alla testa. Gli indù hanno aggredito la comunità accusandola di praticare conversioni forzate. "Questo sentimento anticristiano - sottolinea Sajan George - preannuncia problemi per le solenni celebrazioni della Santa Pasqua. Chiediamo alle amministrazioni di aumentare la protezione, garantendo ai cittadini cristiani il diritto costituzionale e laico di professare il piena libertà la propria religione. È molto grave che le autorità, il cui compito è proteggere tutti i cittadini, siano conniventi con la violenza scatenata da questi estremisti contro le minoranze". (R.P.)

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    India: la protesta dei cristiani per l'apertura degli uffici pubblici nei giorni pasquali

    ◊   Alcuni uffici pubblici e dipartimenti governativi fiscali hanno dato istruzione ai loro dipendenti di restare aperti il 29, 30 e 31 marzo, che sono per i cristiani i giorni dal Venerdì Santo alla Pasqua. Come appreso da Fides, i fedeli cristiani in India hanno chiesto che ai lavoratori cristiani sia concessa una astensione dal lavoro perché questi sono “i giorni più importanti dell’anno per la fede cristiana”. Alcune Ong cattoliche come il “Catholic Secular Forum”, con sede a Mumbai, hanno inviato un memorandum al Primo Ministro e al Ministro delle Finanze esprimendo “profondo shock” e ricordando l’esistenza di una circolare che prevede “la chiusura degli uffici fiscali il sabato e la domenica”. Secondo fonti dell'agenzia Fides, una apertura straordinaria potrebbe essere stata disposta dal Ministero delle finanze perché il 31 marzo è il termine ultimo per la consegna della dichiarazione dei redditi per i cittadinanza. In una nota giunta a Fides, si chiede che i dipendenti di fede cristiana siano esentati dal lavoro “per consentire a tutti di ottempererai ai proprio obblighi e sentimenti religiosi”, mentre la data di scadenza della dichiarazione dei redditi “potrebbe essere prorogata di un giorno”. Questa posizione ha trovato anche il sostegno di alcuni vescovi indiani. Una situazione particolare di discriminazione, conclude la nota inviata a Fides, tocca i cristiani che vivono nello Stato indiano di “Jammu e Kashmir”, a maggioranza musulmana, dove il Venerdì Santo non è vacanza, a differenza di altre festività musulmane, indù e buddiste. (R.P.)

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    Pakistan: la forza dei cristiani di Lahore dopo gli attacchi alla Joseph Colony

    ◊   “A Pasqua le nostre chiese saranno stracolme. La fede dei fedeli è viva e solida: episodi di violenza o attacchi, come quello della Joseph Colony a Lahore, hanno l’effetto di rafforzarla di più”. A parlare è mons. Joseph Cottus, arcivescovo di Lahore e presidente della conferenza episcopale. Come riferisce l’agenzia Fides, il presule è convinto della testimonianza dei cristiani del Pakistan: “non perdiamo la speranza, sappiamo che il Signore è con noi e sono i fedeli stessi, anche nelle difficoltà, a incoraggiare tutti i sacerdoti”. Dopo l’incidente della Joseph Colony, dove 178 case di fedeli sono state bruciate da musulmani, la comunità non si abbatte e guarda avanti. “La ricostruzione va avanti molto rapidamente, la gente sta tornando nelle case, il governo provinciale ha dato un risarcimento e in pochi giorni, lavorando giorno e notte, oltre 30 famiglie hanno già riedificato la propria casa”, afferma padre Bonnie Mendes. L’attacco era stato provocato da un presunto caso di blasfemia. Su questo tema, aggiunge padre Mendes, “restiamo ottimisti: ad esempio il Maulana Zubair, noto leader islamico, ha detto pubblicamente, in modo molto forte, che bisogna rivedere l’abuso della legge di blasfemia. Questo è un buon segno per il futuro”. (V.C.)

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    Siria: l'Onu chiede di garantire il passaggio sicuro degli aiuti umanitari

    ◊   Garantire il passaggio sicuro ai convogli che trasportano aiuti umanitari alla popolazione civile in Siria. Questa la priorità dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), oggetto di un appello rivolto a tutte le parti coinvolte. Le difficili condizioni di sicurezza rallenteranno la partenza di diversi convogli, privando molti siriani di un’assistenza assolutamente necessaria. Tuttavia, nonostante la situazione, l’Unchr ha potenziato le proprie operazioni. Dall’inizio del 2013, l’agenzia ha consegnato aiuti a Deir Ezzor, Daraa, Ar Raqqah, Idlib e Hama, mentre lo scorso anno, alla presenza a Damasco, Aleppo, Al Hasakeh, si è aggiunta l’assistenza presso Al Nabak e Homs. Questo ha permesso all’organizzazione di avvicinarsi alle aree in cui si concentrano le popolazioni colpite dal conflitto. Attualmente in Siria, gli sfollati sono almeno 3,6 milioni e solo una parte riceve assistenza. L’obiettivo per il prossimo giugno è di arrivare a consegnare gli aiuti ad almeno un milione di persone, auspicando di incrementare il numero nei mesi successivi. Oltre alla consegna di beni di prima necessità (tra cui coperte, materassi, vestiti, articoli per la famiglia), l’assistenza finanziaria rimane uno dei capitoli più urgenti. Lo scorso anno, l’Unchr ha sostenuto economicamente oltre 14 mila famiglie a Damasco, Al Hasakeh e Al Nabek. Anche i 70 mila rifugiati in Siria provenienti da Iraq, Afghanistan e Somalia subiscono gli effetti della guerra. L’organizzazione sta comunque provvedendo a garantire assistenza anche a queste popolazioni, composte da persone che spesso dispongono di mezzi di sostentamento limitati, specie se hanno perso il lavoro e sono state costrette a spostarsi per via del conflitto. Alcuni sono rientrati già nei Paesi d’origine. Dall’inizio della guerra nel 2011, almeno 76 mila cittadini iracheni sono tornati in patria. All’arrivo nel Paese, l’Unchr fornisce loro aiuti e una somma di denaro una tantum pari a 400 dollari per le famiglie e 200 dollari per le persone. Da novembre 2012 a gennaio 2013, quasi 19 mila persone hanno ricevuto tale supporto. Incessanti anche i flussi di rifugiati dalla Siria nei Paesi vicini. Stando alle stime dell’organizzazione, sono oltre 1 milione 180 mila i siriani registrati o assistiti come rifugiati nei Paesi limitrofi. La Giordania conta attualmente il maggior numero di persone (370.391 al 24 marzo). (V.C.)

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    Thailandia: salgono a 37 le vittime dell’incendio di venerdì nel campo rifugiati

    ◊   È salito a 37 il numero delle vittime dell’incendio scoppiato lo scorso venerdì in un campo di rifugiati della Thailandia di Mae Surin, vicino al confine con il Myanmar. Altre 2.300 persone hanno perso invece la propria casa. Acqua potabile e cibo sono forniti ai sopravvissuti. L’Unchr, l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, che collabora alla gestione del campo, ha provveduto a inviare 60 tende per famiglie, oltre 800 teloni di plastica e 1.200 tra coperte e materassi. Zanzariere, vestiario e altri aiuti sono messi a disposizione dalle autorità e dalle ong. Sono stati allestiti servizi medici, mentre Irc (International Rescue Commitee) e il Ministero thailandese della salute pubblica danno assistenza psicologica attraverso il counseling. E' necessario ricostruire in siti temporanei, poiché le persone al momento sono troppo traumatizzate per ricominciare la propria vita nelle aree colpite. The Border Consortium sta riparando edifici e spazi pubblici, tra cui una scuola e un campo da calcio, per ospitare le famiglie. Inoltre, l’Unchr mira a individuare e tutelare i rifugiati più vulnerabili colpiti dall’incendio, tra cui donne incinte, minori non accompagnati e persone disabili, per poter soddisfare le loro specifiche necessità. (V.C.)

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    Rwanda. Esplosione a Kigali: un morto e otto feriti

    ◊   Ieri pomeriggio l’esplosione di una granata nel quartiere di Kimironko (Kigali, Ruanda), ha provocato un morto e otto feriti. L’attentato è avvenuto nelle vicinanze di un mercato, non lontano da una stazione degli autobus e da un parcheggio di moto e taxi. Secondo il portavoce della polizia locale, Theos Badege, l’attacco mirava a una strage, poiché la zona è “molto frequentata”, specialmente nell’orario dell’attentato. Due sospetti sono stati arrestati e sottoposti a interrogatorio, per il momento però gli inquirenti mantengono uno stretto riserbo. Ancora sconosciuto il movente. Gli ultimi attentati a Kigali, ritenuta – secondo quanto riferisce l’agenzia Misna – una delle capitali più sicure dell’Africa, risalivano a inizio 2012 e avevano provocato due vittime e diversi feriti. In quel caso, si era trattato di esplosioni di granate attribuite a gruppi di dissidenti e ai ribelli delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), basate nell’est della vicina Repubblica Democratica del Congo. (V.C.)

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    Nigeria. Scontri nello Stato di Plateau: almeno 28 morti

    ◊   Non si fermano le violenze nello Stato confederato di Plateau, in Nigeria. Stando a quel che riportano i giornali locali, tra lunedì e martedì sono morte almeno 28 persone nel corso di diversi attacchi, perpetrati ai danni di alcuni villaggi nella provincia di Ryom. Come riferisce l’agenzia Misna, The Vanguard riporta che l’irruzione di un commando di uomini armati, in due villaggi del distretto di Ganawuri, ha segnato l’inizio delle violenze. Tra le vittime, ci sarebbe anche un agente di polizia, inviato in zona dopo la diffusione della notizia sugli scontri. Stando al Premium Times, molte famiglie hanno perso la loro casa e avrebbero intenzione di spostarsi più a nord, in direzione dello Stato di Kaduna. Gli assalitori – secondo la ricostruzione dei media nigeriani – sono Fulani, un gruppo etnico di pastori nomadi di religione musulmana, mentre i villaggi attaccati sono abitati prevalentemente da Berom, una tribù autoctona di contadini a maggioranza cristiana e animista. I conflitti nel Plateau sono molto frequenti, sia nell’area della capitale Jos che nelle zone più remote dello Stato. Spesso contadini e pastori si scontrano per il controllo di terre e pascoli. La settimana scorsa, nel distretto di Wase, rivalità di questo tipo sono sfociate in scontri che hanno causato almeno 35 vittime. In generale, il Paese negli ultimi anni è diventato simbolo degli scontri di matrice tribale e religiosa, che periodicamente sconvolgono soprattutto la parte centrale della nazione più popolosa del continente (165 milioni di abitanti). (V.C.)

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    Francia. il card. Vingt-Trois: "La ricerca sull'embrione sarebbe un errore grave"

    ◊   “Sarebbe un errore grave in rapporto all’equilibrio della nostra società perché quando si dà libero corso a ogni sorta di ricerca sull’embrione, vuol dire che lo si considera niente o, meglio, materia da laboratorio”. È il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza episcopale di Francia, a scendere personalmente in campo. Mancano solo 24 ore al via, in Assemblea nazionale, al dibattito sulla proposta di legge - adottata dal Senato in dicembre - che autorizza la ricerca sull’embrione e sulle cellule staminali embrionali. Il voto finale dell’Assemblea è previsto per martedì 2 aprile. Sulla questione - riporta l'agenzia Sir - l’episcopato francese ha fatto più volte sentire la sua opinione. Intervistato dalla “Radio Notre-Dame”, l’arcivescovo Vingt-Trois prende una posizione molto netta: ciò che preoccupa di più la Chiesa è che sopprimere il divieto di ricerca sull’embrione umano, rischia di “lasciare campo libero a tutti coloro che vogliono sperimentare qualsiasi cosa”. E in questo caso, “lo statuto dell’embrione è gravemente compromesso”. Ricordando poi le cellule staminali riprogrammate scoperte dai premi Nobel Gurdon e Yamanaka, il cardinale afferma che “non c’è giustificazione scientifica acclarata” riguardo alla necessità di autorizzare la ricerca sull’embrione umano. E inoltre chiede di fare luce “sugli investimenti economici nei laboratori di ricerca farmaceutica”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 86

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.