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Sommario del 25/03/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa di Papa Francesco a "Santa Marta": Dio è paziente con le nostre debolezze
  • Gli auguri di Papa Francesco per la Pasqua ebraica
  • Papa Francesco ci consegna la speranza di Gesù: la testimonianza di una giovane alla Messa delle Palme
  • Udienze
  • Omelie del card. Bergoglio: l'amore di Maria insegna a prendersi cura della vita
  • "Pronto a servire Papa Francesco": così il campione argentino Javier Zanetti
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'Eurogruppo salva Cipro con un ridimensionamento bancario, la Russia rivede il suo prestito
  • Centrafrica: l'Ua condanna golpe, missionari denunciano saccheggi e violenze
  • Siria. Il leader dimissionario dell'opposizione parteciperà al vertice della Lega Araba
  • Nozze gay in Francia e Stati Uniti: la politica soffoca un vero dibattito popolare
  • L’eredità della “primavera araba” al centro del World Social Forum di Tunisi
  • "Patì sotto il peso delle mafie": Via Crucis a Napoli con il cardinale Sepe
  • Delusione per lo slittamento della chiusura degli Opg: il commento di don Zappolini
  • Sugli schermi in Italia "Il figlio dell'altra" della regista francese Lorraine Lévy
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Brics: i Paesi emergenti pensano a una Banca comune contro l’Occidente
  • Nel mondo 61 milioni di bambini privi di istruzione
  • El Salvador: la Chiesa ha ricordato ieri mons. Romero
  • Argentina: migliaia in piazza per l'anniversario del golpe del '76
  • Sud Corea: nuove conversioni per "l'effetto Papa Francesco"
  • Terra Santa: cattolici e ortodossi celebreranno la Pasqua secondo il Calendario giuliano
  • Usa. Mons. Gomez: la riforma dell’immigrazione, la più urgente emergenza dei diritti civili
  • India: muoiono ogni giorno 1.500 bambini a causa di malattie prevenibili
  • Congo: un gruppo secessionista semina il terrore a Lubumbashi
  • Tibet: altre due autoimmolazioni in meno di 24 ore
  • Messaggio Cei per l'Università Cattolica: "Al fianco dei giovani oltre la crisi"
  • Padova: i funerali di mons. Nervo. L'omelia di mons. Mattiazzo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa di Papa Francesco a "Santa Marta": Dio è paziente con le nostre debolezze

    ◊   Durante la Settimana Santa, pensiamo alla “pazienza” che Dio ha con ognuno di noi. Lo ha detto questa mattina Papa Francesco durante la breve omelia della Messa presieduta, come di consueto, nella Cappella della “Casa Santa Marta” in Vaticano, alla quale erano presenti, tra gli altri, i giornalisti de L’Osservatore Romano. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    L’emblema dell’infinita pazienza che Dio ha per l’uomo è riflesso nell’infinita pazienza che Gesù ha per Giuda. Papa Francesco ha preso spunto dalla scena del Vangelo di oggi, nel quale Giuda critica la scelta di Maria, sorella di Lazzaro, di ungere i piedi di Gesù con trecento grammi di prezioso profumo: meglio sarebbe stato – sostiene Giuda – venderlo e dare il ricavato ai poveri. Giovanni nota nel Vangelo che a Giuda non interessavano i poveri ma i soldi, che rubava. Eppure, ha osservato il Papa, “Gesù non gli ha detto: ‘Tu sei un ladro’”. Con l’amore, ha affermato, “è stato paziente con Giuda, cercando di attirarlo a sé con la sua pazienza, con il suo amore. Ci farà bene pensare – ha soggiunto – in questa Settimana Santa, alla pazienza di Dio, a quella pazienza che il Signore ha con noi, con le nostre debolezze, con i nostri peccati”.

    Anche il brano di Isaia della prima lettura, aveva notato Papa Francesco, nel presentare “l’icona di quel ‘servo di Dio’, ha sottolineato di Gesù la mitezza, la pazienza. Che è la pazienza di Dio stesso. “Quando si pensa alla pazienza di Dio: quello è un mistero!”, ha esclamato Papa Francesco. “Quanta pazienza ha Lui con noi! Facciamo tante cose, ma Lui è paziente”. E lo è, ha detto ancora, “come quel padre che il Vangelo dice che ha visto il figlio da lontano, quel figlio che se n’era andato con tutti i soldi della sua eredità”. E perché, si è chiesto il Papa, l’ha visto da lontano? “Perché tutti i giorni andava in alto a guardare se il figlio tornava”. Questa, ha ripetuto Papa Francesco, “è la pazienza di Dio, questa è la pazienza di Gesù”. E ha concluso: “Pensiamo a un rapporto personale, in questa Settimana: come è stata nella mia vita la pazienza di Gesù con me? Soltanto questo. E poi, uscirà dal nostro cuore una sola parola: ‘Grazie, Signore! Grazie per la tua pazienza”.

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    Gli auguri di Papa Francesco per la Pasqua ebraica

    ◊   Papa Francesco ha scritto al Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, per porgere gli auguri in occasione della Pesach, la Pasqua ebraica, che ricorre domani 26 marzo. “L'Onnipotente, che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù dell'Egitto per guidarlo alla Terra Promessa – scrive il Pontefice - continui a liberarvi da ogni male e ad accompagnarvi con la sua benedizione. Vi chiedo di pregare per me – prosegue il Papa - mentre io assicuro la mia preghiera per voi, confidando di poter approfondire i legami di stima e di amicizia reciproca”.

    Papa Francesco, nel suo messaggio, rinnova inoltre la sua gratitudine al Rabbino Di Segni per aver voluto onorare con la sua presenza e di altri distinti rappresentanti della Comunità ebraica la celebrazione di inizio del suo ministero petrino.

    Il rabbino Di Segni – riferisce il sito della Comunità ebraica di Roma – “ha accolto con piacere gli auguri del Pontefice e lo ringrazierà nelle prossime ore, porgendo a Papa Francesco i migliori auguri per la Pasqua Cristiana”.

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    Papa Francesco ci consegna la speranza di Gesù: la testimonianza di una giovane alla Messa delle Palme

    ◊   “Non lasciatevi rubare la speranza”: è uno dei passaggi forti dell’omelia di Papa Francesco, ieri alla Messa per la Domenica delle Palme. Un’esortazione rivolta in particolare ai giovani in un periodo segnato da una grande crisi di speranza delle nuove generazioni. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Michela Ranaldi, giovane impegnata nella Pastorale Giovanile di Roma e presente alla celebrazione in Piazza San Pietro:

    R. – Papa Francesco ieri ci ricordava che un cristiano non può essere triste, perché la sua gioia in realtà nasce dall’avere incontrato Gesù. Ed è proprio così, perché da questo incontro si viene investiti da un amore così grande, così infinito che ti cambia la vita a tal punto che non ci si sente più soli e si acquista una forza straordinaria.

    D. – Come, però, cercare di trasmettere questa speranza in un mondo in cui soprattutto tra i giovani c’è un po’ di scoraggiamento e in alcuni casi anche di disperazione, purtroppo …

    R. – Sì, esatto: infatti, secondo me, fondamentale è la seconda parola che ci ha consegnato ieri Papa Francesco, legata appunto alla gioia cristiana, che è appunto la Croce. Non possono essere scissi, questi due aspetti. Poco tempo fa mi è capitato di leggere una frase che mi ha colpito molto, che diceva così: che la gioia cristiana è una "tristezza superata". Questo vale a dire che non è che essere cristiani significhi non avere problemi o affrontarli con leggerezza: è stata una scoperta straordinaria, questa, mi ha aiutato tantissimo a capire cosa si intendesse per gioia cristiana. Le nostre tristezze, le nostre ferite, le nostre preoccupazioni, le nostre quotidianità vengono lavate con il sangue di Cristo. Il Signore non toglie il dolore, ma lo trasforma ed è straordinario, perché da qui nasce la gioia: dall’essere consolati e salvati da Dio.

    D. – Papa Francesco sottolineava tra l’altro che la Croce di Cristo va abbracciata con amore …

    R. – Proprio in questi giorni della Settimana Santa, Gesù arriva alla fine del suo percorso di vita anche lui esausto, amareggiato. Ma l’ultimo gesto che lui fa, anche se ai nostri occhi è assurdo e paradossale, è quello del dono di sé: a volte noi confondiamo l’amore con la felicità, ma non è questo però che intendeva Gesù. Perché l’Amore, quello vero, passa attraverso la Croce e la vita ci è stata data per imparare ad amare. Ci impiegheremo una vita intera, ma il senso ultimo del Vangelo è amare: ce lo diceva Gesù e ce lo ricorda Papa Francesco in ogni occasione.

    D. – Anche ieri, come ormai ci ha già abituato, Papa Francesco oltre che nelle parole si è donato nella sua persona, nel voler salutare e abbracciare quanti più fedeli possibili. Che emozione ha suscitato questo protendersi del Pastore verso i fedeli?

    R. – Un’emozione grandissima. Tutte le volte, Papa Francesco sembra un padre amorevole che ha sempre una parola di incoraggiamento per i suoi figli, anche con la sua corporeità. Questo coinvolge, ovviamente, tutti. Oltre alla sua dolcezza, come quando vuole esortarti o chiederti una cosa che gli sta veramente a cuore, inizia con il chiedertela “per favore”: anche ieri l’ha fatto! “Per favore, non lasciatevi rubare la speranza!”. Quindi, un padre amorevole nel linguaggio e nel corpo.

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    Udienze

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, il cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, e l’ambasciatore del Messico, in visita di congedo Héctor Federico Ling Altamirano.

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    Omelie del card. Bergoglio: l'amore di Maria insegna a prendersi cura della vita

    ◊   Forte da sempre il legame di Papa Francesco con la Vergine, testimoniato - solo per citare riferimenti recenti - dal suo primo atto dopo l'elezione: la visita alla Vergine Salus Popoli Romani nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ma anche dall'uso nel suo stemma della Stella, simbolo, secondo l'antica tradizione araldica, della Vergine. La Madonna è, dunque, al centro della sua spiritualità. Nella Messa per la Vita celebrata il 25 marzo del 2011, Solennità dell'Annunciazione, l'allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, ripercorreva la vita della Vergine per esortare a prendersi cura della vita con coraggio e amore come fece la stessa Maria che accompagnò suo Figlio, nelle gioie e nei dolori, e poi la Chiesa. Ricordiamo le sue parole di allora con il servizio di Debora Donnini:

    E’ la vita stessa di Maria a raccontare concretamente cosa significhi accompagnare la vita. Per farlo arrivare al cuore dei fedeli, il cardinale Bergoglio ripercorreva l’esistenza della Vergine di Nazareth, che “accompagna la vita di suo Figlio e accompagna la sua morte”. Proprio nel giorno dell’Annunciazione comincia, infatti, il cammino di accompagnamento di Maria. Fin da quando sta per dare alla luce, deve intraprendere un viaggio per rispettare la legge, per il censimento, accompagna Gesù nella nascita senza alcuna comodità e, dopo la grande gioia al ricevere i pastori e i Magi, arriva la minaccia di morte e la fuga in Egitto. Come con delicate pennellate, l’arcivescovo di Buenos Aires descriveva la Vergine che accompagna quella vita che cresce, “accompagna la sua solitudine” quando “lo torturarono tutta la notte”: è Lei ai piedi della Croce, Lei che nella sua profonda solitudine non perde la speranza e poi “accompagna la sua Risurrezione piena di gioia”. E infine il suo stesso Figlio le affida la Chiesa nascente, che da allora Lei accompagna e “continua - diceva il cardinale Bergoglio - ad accompagnarci nella vita della Chiesa perché vada avanti”.

    Sembra quasi un Cantico quello del porporato su questa “donna del silenzio, della pazienza, che sopporta il dolore” e che “sa rallegrarsi profondamente” con l’allegria di suo Figlio. La contemplazione della vita della Vergine porta ad una domanda centrale che il cardinale Bergoglio rivolgeva ai fedeli: “Sappiamo accompagnare la Vita?”. Il porporato parla della vita dei figli ma anche di quelli che “perdonino l’espressione – dice - sembrano essere ‘figli di nessuno’”. “Mi preoccupano anche a me?”, chiedeva. L’arcivescovo esortava a farsi una serie di domande: “Qualche volta ho pensato che quello che spendo per prendermi cura di un piccolo animale potrebbe essere alimento ed educazione per un bambino che non ce l’ha?”. E ancora: “Come stanno i tuoi genitori? Come stanno i tuoi nonni?...Li accompagni?”, domandava. "Il peggio che ci possa capitare" - afferma - è che abbiamo troppo poco amore per prenderci cura della vita.

    Maria, infatti, è “la donna dell’amore”, sottolineava il cardinale Bergoglio: “se non c’è amore non c’è posto per la vita”, c’è l’egoismo. E dunque, proseguiva, “amore" e “coraggio” sono ciò che bisogna chiedere oggi a Maria per “prenderci cura della vita”. Qualcuno potrebbe chiedersi come portare l’amore nel mezzo di tante contraddizioni e prendersi cura della vita fino alle sue ultime conseguenze. Il porporato citava Pio XI che diceva: “Il peggio che ci accade non sono i fattori negativi della civilizzazione ma il peggio che ci accade è la sonnolenza dei buoni”. “Maria – concludeva il cardinale Bergoglio – non concesse anestesie all’amore”. E la preghiera che l’arcivescovo di Buenos Aires Le rivolgeva era quella di poter amare seriamente, di non essere “sonnolenti”, e di “non rifugiarci” nelle mille anestesie “che ci presenta questa civilizzazione decadente”.

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    "Pronto a servire Papa Francesco": così il campione argentino Javier Zanetti

    ◊   Anche il mondo dello sport ha applaudito all’elezione di Papa Francesco. Felici soprattutto gli argentini che militano nel Campionato di calcio italiano. Tra di loro c’è il capitano dell’Inter, Javier Zanetti, 40 anni il prossimo 10 agosto. Nato a Buenos Aires, ad oggi è il giocatore straniero in attività con più presenze in serie A. Uomo di sport ma anche di fede, non ha dimenticato i bambini argentini: con la moglie ha infatti creato un’associazione che si occupa di fornire aiuto economico ai piccoli disagiati e alle loro famiglie nella zona di Buenos Aires. Benedetta Capelli gli ha chiesto un pensiero su Papa Francesco:

    R. – Una grandissima impressione, soprattutto perché per me è stata una bellissima sorpresa. Avere un Papa connazionale, del nostro Paese, sicuramente ci rende orgogliosi e credo che per il nostro popolo sia molto importante. Si tratta, infatti, di un Papa molto umile, che aiutava molto i poveri in Argentina, e che rappresenta un bellissimo segnale per il mondo intero.

    D. – Quando hai visto la sua elezione – tu ovviamente eri qui in Italia – hai poi chiamato in Argentina per sapere quali fossero le reazioni?

    R. – Sì, in Argentina erano tutti contentissimi. Siamo un Paese che crede molto in Dio, molto religioso, e la fede fa parte di noi. Per un Paese come il nostro, quindi, questo è molto importante.

    D. – A leggere un po' la tua storia, ho trovato che anche te come Papa Francesco hai origini italiane. A questa cosa hai pensato?

    R. – Sì, ci ho pensato. Tanti argentini hanno origini italiane e questo ci unisce ancora di più.

    D. – E’ un Papa, come abbiamo saputo e scoperto, amante anche del calcio, di questa squadra in particolare: il San Lorenzo. Tu la conosci? Ci puoi dire qualcosa?

    R. – Sì, è tifoso di una delle squadre più importanti in Argentina, tra le cinque squadre più importanti del Paese, soprannominata “Santo”. E questo ci dice un po' della fede del nostro Papa, che so essere molto sportivo. Tra l’altro la squadra ha iniziato il campionato e sta facendo molto bene.

    D. – Papa Francesco ha più volte invitato a guardare le periferie, a chi è più sofferente, ai deboli. Un impegno che anche tu hai sposato insieme a tua moglie perché avete un’associazione che si occupa di queste persone...

    R. – Da dieci anni abbiamo questa associazione che si occupa dei bambini più bisognosi del nostro Paese. Ho sentito che Papa Francesco tiene tantissimo ad aiutare quelli che hanno più bisogno. Il Papa è una persona con grandi valori e in questo mondo ne abbiamo tanto bisogno.

    D. – Hai espresso il desiderio di incontrarlo. Hai avuto qualche risposta?

    R. – Ancora no! Io non vedo l’ora, con la mia famiglia, di poterlo incontrare, di stringergli la mano, di poter condividere un momento importante ed emozionante per noi, e sicuramente di rendermi disponibile qualora ci fosse bisogno, oggi e in futuro, per qualsiasi opera. Mi auguro di potergli stringere la mano – ripeto – di incontrarlo, per parlare anche del nostro Paese, a cui sicuramente tiene tantissimo.

    D. – Hai desiderio di vedere Papa Francesco, però in passato hai avuto la possibilità di incontrare due volte Papa Benedetto XVI e l’ultima, tra l’altro, proprio a Milano con l’Incontro mondiale delle famiglie...

    R. – Sinceramente ho avuto fortuna nella mia vita, perché ho incontrato anche Giovanni Paolo II - sono andato a Roma a trovarlo – e poi ho avuto questo incontro con Papa Ratzinger con la squadra a Roma e quando è venuto a Milano, e quello è stato un incontro emozionante, perché ho avuto la possibilità di portare anche la mia famiglia e Tommy che era nato da pochi mesi. Vedere l’immagine del Papa che bacia la testa del mio bambino è stato uno dei momenti più belli.

    D. – Quanto, secondo te, la fede aiuta l’uomo dello sport?

    R. – Tantissimo. Io credo aiuti non solo nello sport: la fede aiuta tutti tantissimo. E’ molto importante essere credenti. Quando uno porta la fede dentro di sé riesce a fare tantissime cose, che magari sembrano impossibili. Essere sportivi, diventare una bandiera in un calcio importante come quello italiano, è quello che da bambino, non dico sognavo, ma cui aspiravo, e sono riuscito ad avere una carriera così grazie a tante persone.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Non siate mai uomini e donne tristi: nella domenica delle Palme il Papa celebra in piazza San Pietro la Giornata della Gioventù.

    Accordo nella notte per Cipro: nell'informazione internazionale, in rilievo la crisi economica nell'eurozona.

    Chi sa accusare se stesso: l'umiltà nella Chiesa e la lotta alla corruzione in due meditazioni del cardinale Jorge Mario Bergoglio.

    E padre Pancrazio allargò le braccia: in cultura, Giovanni Preziosi sul massacro delle Fosse Ardeatine.

    Quell'umile giovane sul dorso di un'asina: Fabrizio Bisconti sull'origine dell'iconografia dell'ingresso di Cristo in Gerusalemme.

    Martiri della carità: Ugo Sartorio sull'uccisione dei due missionari polacchi fra Miguel e fra Zbigniew in Perú nel 1991.

    Ha testimoniato l'amore di Cristo: celebrati a Padova i funerali di mons. Giovanni Nervo.

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    Oggi in Primo Piano



    L'Eurogruppo salva Cipro con un ridimensionamento bancario, la Russia rivede il suo prestito

    ◊   Accordo nella notte a Bruxelles tra la troika (Ue-Bce-Fmi) e Cipro per evitare il fallimento e l'uscita di Nicosia dall’Euro. In cambio di un aiuto da 10 miliardi di euro da parte dell'Ue, ci sarà un drastico ridimensionamento del settore bancario. Sarà chiusa la seconda banca dell'isola, con gli asset buoni che finiranno nella Bank of Cyprus. Saranno garantiti i depositi sotto i 100mila euro, mentre verranno duramente colpiti quelli superiori. Immediata la reazione della Russia, i cui risparmiatori custodiscono nelle banche cipriote oltre 30 miliardi di euro. Come ritorsione, il presidente russo ha ordinato al governo di avviare un negoziato con i partner ciprioti per ristrutturare il prestito di 2,5 miliardi di euro assicurato da Mosca a Nicosia nel 2011. Ma il Piano di salvataggio era davvero il migliore che si potesse adottare? Salvatore Sabatino ne ha parlato con l’economista Giovanni Marseguerra:

    R. - Certamente le condizioni per trovare la soluzione ottimale non erano particolarmente ideali. C’era già stato un tentativo che aveva condotto ad un rifiuto da parte del parlamento cipriota, quindi bisognava trovare una soluzione. Quella che è stata trovata, probabilmente, era la migliore possibile.

    D. - C’era davvero, secondo lei, il pericolo che un Paese piccolo come Cipro potesse mettere a rischio l’intera "Area Euro"?

    R. - Cipro è un Paese piccolissimo, perché se lo si confronta con l’Italia, troveremmo che il Pil di Cipro è circa 90–100 volte più piccolo del nostro. Quindi è un piccolo Paese. Il problema era il rischio sistemico, cioè del sistema bancario cipriota, che tra l’altro, è fortemente connesso con quello greco. Quindi il pericolo di un’effettiva crisi sistemica a livello bancario c’era.

    D. - Perché si è arrivati a questa situazione così disastrosa? Quanto pesano sulla crisi i fondi di dubbia provenienza giunti a Cipro dalla Russia?

    R. - Ci sono molto dubbi su questi flussi di fondi finanziari che vanno verso le banche cipriote, molte dei quali sono russi. C’è quindi il sospetto che si tratti di denaro sporco che viene pulito attraverso questo circuito...

    D. - Un ruolo molto importante in questa vicenda è stato quello ricoperto dalla Germania, che ha tenuto il punto sulla non possibilità di elargire un prestito maggiore rispetto agli altri casi precedenti…

    R. - La Germania, in questo momento, ha un potere in ambito europeo straordinario. Il punto è non tanto il potere che ha o non ha, ma l’utilizzo che sta facendo di questo potere, e cioè questa polarizzazione continua tra rigore e crescita, dove le decisioni vanno verso il rigore, mi sembra che stia danneggiando tutti. Alla fine danneggerà anche la stessa Germania.

    D. - L’agenzia di rating Moody’s ha sottolineato che Cipro resta a rischio default e che potrebbe uscire dall’Eurozona anche se risolve la sua crisi…

    R. - Diciamo che la soluzione che è stata trovata deve essere ancora posta in essere. In effetti l’accordo sul finanziamento da dieci miliardi verrà finalizzato – come dice la dichiarazione dell’Eurogruppo – entro la terza settimana di aprile. Per conti con più di 100 mila euro, quale prelievo verrà effettuato? Ci sono una serie di elementi ancora da definire. C’è la possibilità di un ulteriore finanziamento extra da parte del Fondo Momentario Internazionale, almeno così auspica la presidente Christine Lagarde. Quindi ci sono una serie di elementi ancora da definire per capire se l’intervento è stato veramente decisivo.

    D. - Ora, guardando in prospettiva, la lente di ingrandimento si sposta su altri Paesi in crisi. Secondo alcuni il "malato d’Europa" – quello vero – sarebbe la Francia. Questo avrebbe ovviamente effetti enormi, anche perché Parigi per importanza politica ed economica non è di certo Nicosia…

    R. - La Francia è uno dei grandi Paesi dell’Europa e del mondo. Sta certamente attraversando un momento difficile, ma l’Italia o la Spagna non stanno attraversando momenti favorevoli. Però, confrontando questi grandi Paesi, mentre le recenti previsioni dicono che noi come Italia, saremo in recessione ancora per il 2013 con una perdita stimata tra l’1 e il 2 percento per quanto riguarda il Pil, idem la Spagna, la Francia invece dovrebbe crescere nel 2013, sia pure con un tasso di crescita minimo dello 0,1 – 0,2 percento. Quindi sicuramente la Francia deve compiere una serie di riforme strutturali nel mercato del lavoro, come del resto anche noi, però la Francia è un Paese con dei fondamentali solidi.

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    Centrafrica: l'Ua condanna golpe, missionari denunciano saccheggi e violenze

    ◊   Il leader dei ribelli Seleka, Michel Djotodia, si è autoproclamato nuovo presidente della Repubblica Centrafricana, dopo che le sue forze hanno assunto il controllo della capitale Bangui. I ribelli Seleka nel corso degli ultimi due giorni hanno completato la loro avanzata conquistando la capitale, il palazzo presidenziale e le stazioni radio e tv, mentre il presidente, Francois Bozizé, al potere da dieci anni, abbandonava il Paese per rifugiarsi al momento in Camerun. Il Consiglio per la pace e la sicurezza dell'Unione Africana ha sospeso la partecipazione della Repubblica Centrafricana a tutte le attività dell'Unione e ha posto sanzioni nei confronti di sette ribelli del gruppo della Seleka, compreso il suo leader. A Bangui, la situazione è drammatica. Fonti religiose contattate sul posto raccontano di una città messa a ferro e a fuoco dai ribelli. Fausta Speranza ha chiesto notizie a don Fausto Brioni, direttore dell’emittente ligure Telepace-Chiavari che da quasi 20 anni si reca periodicamente nel Centrafrica:

    R. – Abbiamo notizie di grande preoccupazione. Ho sentito le Suore Clarisse di Bouar, dove hanno un monastero di vita contemplativa, e le notizie che le avevano raggiunte erano molto preoccupanti perché sembrava ci fosse un’invasione di ribelli anche nella città di Bouar, che è nel Nord della Repubblica Centrafricana. Poi, questa sembra che sia stata sospesa ma loro avevano paura perché sanno di saccheggi, di danneggiamenti in modo particolare nei riguardi delle missioni cattoliche. E così, da ieri sera si sono trasferite nel seminario dei frati per essere maggiormente protette. Ma è una situazione che tocca diverse famiglie religiose presenti a Bouar e tutta la popolazione, che vive nella trepidazione. Mi dicevano che ieri c’era tanta, tanta paura per il Paese, per la brousse, per la savana lì intorno.

    D. – Ci dice qualcosa di più di questi missionari che sono in Centrafrica?

    R. – In Centrafrica, io conosco in particolare quelli che sono nella zona del Nord, vicino al confine con il Ciad. Ci sono i Padri cappuccini, i Padri francescani, i Padri carmelitani e i Betharramiti che provengono dall’Italia, in modo particolare le famiglie Francescane e i Carmelitani provengono dalla Liguria. Poi, c’è la presenza delle Suore Francescane e delle Suore Clarisse, che hanno un monastero di vita contemplativa da ormai 20 anni nella Repubblica Centrafricana. I religiosi sono al servizio di questa popolazione, in modo particolare impegnati, oltre che nell’evangelizzazione che viene svolta capillarmente – hanno molte parrocchie sia nella città sia nella savana – anche nella scuola: sono molte le scuole cattoliche. Purtroppo, la scuola statale non funziona in quella realtà così povera: ricordiamo che il Centrafrica è uno dei Paesi più poveri del mondo. E poi, le missioni sono impegnate nella sanità, in modo particolare c’è l’ospedale di Maigaro a Bouar: un ospedale pediatrico molto qualificato nel quale lavorano le Suore Francescane di Gemona. Tutte sono fortemente preoccupate perché in questi anni, con tanta fatica, si sono messe a servizio della popolazione: fanno cose straordinarie, e temono che tutto questo lavoro venga vanificato dalla violenza.

    D. – Purtroppo, sappiamo bene che dove c’è violenza è facile che si aggiunga violenza a violenza. Noi sappiamo di ribelli che hanno una serie di rivendicazioni nei confronti del governo: questo, certo, non dovrebbe significare saccheggi contro la popolazione e attacchi così ai centri cristiani… Che idea vi siete fatti di queste violenze? Chi c’è dietro a queste violenze?

    R. – Da quanto mi dicevano, al di là del fatto che il Centrafrica purtoppo ha vissuto in questi ultimi anni un susseguirsi di rivolte segnate sempre dai saccheggi nei riguardi della popolazione già poverissima, dietro la situazione attuale c’è di tutto: c’è sicuramente la volontà da un lato positiva di creare qualcosa di nuovo, un regime autenticamente democratico. Ma dietro a questa si nascondono interessi diversi: forse anche una certa volontà di islamizzare la zona subsahariana di alcuni all’interno del Seleka, questa formazione di ribelli che sta guidando questo processo di guerra civile. Ci sono molte presenze di islamisti fondamentalisti, si dice. E poi, certo, c’è la volontà di saccheggiare, di portare via qualcosa: in un Paese così povero, anche il poza hco che si trova costituisce una ricchezza.

    Del golpe nella Repubblica centrafricana Fausta Sperana parlato con il prof. Aldo Pigoli, docente di Storia dell’Africa contemporanea all’Università Cattolica di Milano:

    R. – Quella del Centrafrica è una situazione di crisi come negli ultimi anni se ne sono viste in altri Paesi dell’Africa subsahariana. Ricordiamoci che, contemporaneamente alla crisi in Centrafrica, c’è quella che va avanti da un po’ più di tempo che è quella del Mali, proprio nell’Africa centrale. Poi, ci sono le crisi nel Sud Sudan, nel Nord dell’Uganda o nella Repubblica Democratica del Congo. Nel caso del Centrafrica, si tratta di un Paese che da sempre, fin dall’indipendenza, ha sofferto di grave instabilità politica e istituzionale e negli ultimi anni – a partire dagli anni Novanta in poi – si sono avute diverse situazioni di crisi e di colpi di Stato, come l’ultimo al quale abbiamo assistito in questi giorni.

    D. – Quali i possibili sbocchi?

    R. – Possono succedere diverse cose. Innanzitutto, bisogna verificare cosa i ribelli realmente vogliono e da chi sono sostenuti: le rivendicazioni di fondo sono quelle legate al mancato adempimento degli Accordi di pace del 2008. Il governo che in questo momento è in fuga – si pensa nella Repubblica Democratica del Congo – e l’attuale presidente sono accusati di non avere rispettato questi Accordi e soprattutto di non avere dato ai ribelli, agli ex-ribelli, le spettanze economiche che erano state loro promesse per il disarmo. Se queste sono le rivendicazioni, molto probabilmente la crisi potrà rientrare a breve anche attraverso una forma di transizione e di accordo con il vecchio regime; se invece sono altre, che riguardano la dimensione più ampia del disagio politico-sociale del Paese, della cattiva ridistribuzione delle risorse o della corruzione della quale è accusato il governo in fuga, allora l’instabilità potrebbe protrarsi più a lungo. Dipende anche dal ruolo della comunità africana e internazionale in generale: il Centrafrica, così come anche altri Paesi – come il Mali – è da sempre un Paese importante per i francesi, che sono anche intervenuti in questa crisi, e quindi bisognerà vedere anche il ruolo politico e militare svolto dai francesi così come dalla comunità africana in generale.

    D. – Ma sappiamo chi sono questi ribelli?

    R. – La ribellione va inquadrata in due fasi: la più vecchia, cosiddetta “guerriglia del bush” del Centrafrica, che va avanti dal 2004, che ha avuto una prima fase dal 2004 al 2008. Poi, una più recente che è incominciata verso la fine del 2012 e che ha portato nel giro di pochi mesi alla conquista di Bangui da parte delle forze ribelli. Loro si rifanno a questo coagulo di formazioni politico-militari che va sotto il nome locale di “Unione”, coordinamento politico-militare di diverse organizzazioni che rivendicano varie cose tra cui, appunto, la mancata ed equa ridistribuzione dei proventi economici ed il rispetto degli accordi del 2008.

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    Siria. Il leader dimissionario dell'opposizione parteciperà al vertice della Lega Araba

    ◊   In Siria al centro dell’attenzione le dimissioni del leader della Coalizione nazionale di opposizione, Moaz Al Khatib, che parteciperà comunque domani al vertice della Lega Araba, che si tiene a Doha fino a mercoledì. A prendervi parte anche il capo del governo ad interim dell'opposizione, Ghassan Hitto, eletto martedì scorso. Intanto, oggi ancora combattimenti nel Paese con un razzo sparato dall’opposizione sul centro di Damasco, che ha provocato la morte di una persona e diversi feriti, mentre - riferiscono fonti turche - il comandante ribelle siriano, colonnello Riad al-Asaad, cofondatore dell'Esercito Siriano Libero, è stato ricoverato in un ospedale in Turchia dopo essere stato ferito in un’esplosione in Siria. Sul significato delle dimissioni di Al Khatib, Debora Donnini ha sentito Gianmarco Volpe, responsabile dell’area Medio Oriente e Nord Africa del Cesi, Centro Studi internazionali:

    R. – Ciò che è accaduto è la prova di un qualcosa che era evidente già nei mesi passati, e cioè quelle divisioni molto profonde, che stanno accompagnando la nascita e la crescita dell’opposizione siriana fin dalla sua creazione. Quando la Coalizione nazionale dell’opposizione è stata formata in Qatar, e quindi quando è stato eletto Al-Khatib come capo dell’opposizione, c’è stata la vittoria di una linea più di dialogo nei confronti di Assad. Questa linea adesso sembra venire meno. L’elezione di Hitto e quindi la decisione da parte soprattutto di Paesi esteri di formare una sorta di governo all’estero, alla stregua di ciò che è accaduto in Libia, lascia pensare come in realtà anche i Paesi stranieri abbiano delle agende diverse sulla Siria. In questo momento sta emergendo la linea di fermezza e di non dialogo nei confronti di Assad.

    D. – Comunque il leader dimissionario della Coalizione nazionale siriana, Al-Khatib, ha annunciato la sua partecipazione al vertice della Lega Araba, dove pronuncerà un discorso, dicendo però che questo non ha nulla a che vedere con le sue dimissioni. Come interpretare questo gesto?

    R. – Credo che Khatib comunque voglia continuare a lavorare per il proprio Paese, ma non all’interno delle istituzioni. Questo l’ha già detto nel momento in cui ha annunciato le sue dimissioni. Khatib comunque era stato invitato al vertice della Lega Araba insieme al nuovo premier del governo dell’opposizione, Hitto, ed è ovvio che questo rappresenti un poco una contraddizione, perché s’invitano due figure, entrambe portatrici di due linee distinte.

    D. – Il centro di Damasco è sotto il fuoco, in questo momento, dei mortai dei ribelli, schierati sul Monte Qasioun , che sovrasta la capitale della Siria. Quindi vanno avanti i combattimenti e la situazione è sempre molto difficile...

    D. – La situazione continua ad essere complessa, perché il fronte ribelle ha registrato progressi sul campo negli ultimi mesi, però le forze di Assad continuano a conservare la loro superiorità aerea. In questo contesto, comunque, va rivelato come lo stesso Free Syrian Army, cioè l’esercito ribelle, sia altrettanto diviso, per cui abbiamo non solo divisioni all’interno dello stesso esercito dell’opposizione – Free Syrian Army, gruppi jihadisti, che combattono contro l’esercito di Assad – ma abbiamo anche una divisione tra le forze dell’opposizione sul campo e quelle che sono le forze dell’opposizione dal punto di vista politico.

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    Nozze gay in Francia e Stati Uniti: la politica soffoca un vero dibattito popolare

    ◊   Aumentano i Paesi che aprono alle nozze gay, ma pure aumentano le manifestazioni popolari contrarie così come accaduto ieri a Parigi, in Francia, dove oltre un milione di cittadini sono scesi in piazza, ed è la seconda volta quest’anno, per fermare il varo definitivo in Senato della Legge – già approvata lo scorso mese dall’Assemblea nazionale - che dà il via libera ai matrimoni di persone dello stesso sesso. Roberta Gisotti ha intervistato il dott. Pietro Boffi, sociologo, responsabile del Centro Documentazione del Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf):

    D. – L’impressione è che le lobby favorevoli alle nozze gay stiano aggirando il consenso popolare, puntando direttamente alle maggioranze parlamentari. Lei, da sociologo – oltre che da cattolico – come valuta questo modo di procedere?

    R. – Devo dire che mi ha abbastanza sorpreso. Ho seguito da vicino la vicenda francese: dove, ad esempio, la Chiesa e i cattolici impegnati in politica si sono comportati molto bene. Hanno detto una semplice cosa: “Apriamo il dibattito”: c’è un testo preciso che si chiama “Ouvrons le débat”. Ed hanno richiesto che su una tematica così importante, che attiene alla sfera antropologica, all’essenza più importante dell’umano, si potesse parlarne, discuterne e dibattere. E devo dire che anche le manifestazioni che ci sono state, e le prese di posizione pubbliche, sono state molto composte, molto ordinate, rispettose ed assolutamente non aggressive verso chi la pensa diversamente. Mi sarei aspettato che, appunto, ci fosse una possibilità di discutere approfonditamente, di valutare le ragioni contenute nei vari documenti che si sono susseguiti anche da parte di altre personalità religiose – penso al Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim … Invece niente di tutto questo! C’è proprio un’accelerazione, proprio per la paura che possano emergere posizioni, tra la popolazione, diverse da quelle discusse in aula della Camera, prima, e del Senato ora, in Francia.

    D. – Che dire anche degli Stati Uniti, dove la questione è arrivata alla Corte Suprema che entro giugno, così come richiesto direttamente dal presidente Obama dovrà pronunciarsi sul tema delle nozze gay, in questo caso imponendosi sulla legislazione degli Stati federati?

    R. – Sì: gli Stati Uniti hanno un tipo di situazione come dire ‘a macchia di leopardo’. A livello federale c’è il “The Defense of Marriage Act”, che sarebbe la legge che dichiara che non sono possibili matrimoni tra persone dello stesso sesso. Ma livello statale, cioè dei singoli Stati, ci sono state delle legislazioni che hanno riconosciuto esclusivamente nei propri confini il valore del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Quindi si è creata una situazione caotica, perché non appena uno si trasferisce di Stato non è più sposato, e se torna di là lo è, e quindi si pongono gravi questioni patrimoniali, ereditarie … Quindi, è una situazione in grande ‘effervescenza’. E’ noto che ultimamente il presidente Obama ha preso in generale una posizione a favore del tema dei matrimoni omosessuali, e quindi questa questione giuridica, tipicamente americana, legata all’essere una Federazione di tanti Stati, in certa misura autonomi, sta arrivando al nodo.

    D. – Auspicando appunto un dibattito popolare, sarebbe utile anche sgomberare il campo dall’identificare chi è contrario ai matrimoni gay con una persona che discrimina la persona gay …

    R. – Assolutamente, sì. Ci sono delle premesse da porre, e tra queste quella che non vanno demonizzati né gli uni né gli altri. Ad essere onesti e franchi, veniamo da una lunga stagione in cui davvero ci sono state espressioni anche di violenza e di aggressività e di rifiuto delle persone omosessuali, in tutti i sensi e in tutti i campi. Ora siamo passati quasi dalla parte opposta, per cui chiunque osi sostenere e dire che è contrario a definire ‘matrimonio’ l’unione tra due persone dello stesso sesso - come anch’io sostengo - e che eventualmente i rapporti, le relazioni, le unioni sono altra cosa, di altro genere rispetto a quello che è in essenza il matrimonio, viene subito tacciato di essere una persona che discrimina, quando non si dice che opprime intere classi di persone. Bisognerebbe incominciare a poter discutere liberamente, a vedere su quale fondamento dobbiamo poggiare – appunto – il matrimonio. Questo è vero soprattutto – come sta avvenendo anche in Francia – per la questione della filiazione: cioè, i bambini coinvolti sia nella procreazione più o meno artificiale, nelle adozioni da utero surrogato o in affitto o in prestito, come si usa dire, nell’acquisto – più o meno – di gameti, ecco tutte queste cose entrano in questa vicenda dei matrimoni gay. E bisognerebbe valutarle estremamente bene, mentre invece mi pare che – ripeto - ci sia un’accelerazione molto forte, priva del necessario approfondimento di tali questioni.

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    L’eredità della “primavera araba” al centro del World Social Forum di Tunisi

    ◊   Oltre quattromila organizzazioni provenienti da tutto il mondo, tra cui associazioni, sindacati e ong, prenderanno parte, a partire da domani, al World Social Forum, in programma fino al 30 marzo a Tunisi. L’appuntamento è un‘occasione, in particolare, per analizzare i mutamenti innescati dalla “Primavera araba”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il World Social Forum approda a Tunisi, una delle capitali della “primavera araba”. Al centro dei lavori, la rinascita dei sindacati nel Maghreb, le esperienze dei movimenti di protesta nel mondo arabo, le condizioni di vita dei migranti, la situazione della Palestina e, soprattutto, l’attuale realtà politica ed economica, vissuta in questa fase storica, dalla Tunisia. Federica Siddi, rappresentante Focsiv (Federazione organismi cristiani servizio internazionale volontario) all’World Social Forum:

    “Il fatto che comunque la Tunisia sarà, in questi giorni, sotto i riflettori darà modo alle realtà del Paese di raccontarsi. Nonostante il Forum sia mondiale, per cui le tematiche riguarderanno i problemi di tutto il mondo, i movimenti associativi tendono a puntare un focus sulla situazione attuale: le preoccupazioni sono quelle che stanno vivendo loro in questo momento".

    Dopo i profondi mutamenti innescati dalla rivoluzione, diversi Paesi attraversati dalla “Primavera araba” e in particolare la Tunisia, vivono ancora una fase di incertezza:

    “Quello che si respira maggiormente è un clima di preoccupazione, perché sono ancora in una fase politica di transizione: le persone si chiedono ancora quale sarà il loro futuro. E’ come se fosse una rivoluzione che ancora continua almeno dal punto di vista delle speranze della gente: c’è chi si sente ancora ottimista per il cambiamento e chi, forse, ha anche un po’ paura di non vedere poi un futuro…”.

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    "Patì sotto il peso delle mafie": Via Crucis a Napoli con il cardinale Sepe

    ◊   Una Via Crucis sulle note di Liszt dedicata alle vittime della criminalità organizzata. E’ quella messa in scena stasera a Napoli presso il conservatorio di San Pietro a Maiella su iniziativa dell’associazione "Libera". Le meditazioni dal titolo “Patì sotto il peso delle mafie” sono state scritte da don Tonino Palmese, vicario episcopale dell'arcidiocesi di Napoli per il Settore Carità. Oltre alla partecipazione di parenti delle vittime, delle autorità e di rappresentanti della giustizia, è previsto l’intervento del cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe. Paolo Ondarza ha chiesto al porporato di soffermarsi sullo scopo dell’iniziativa:

    R. - È un tempo di sofferenza, di dolore. Questa è una preoccupazione anche della Chiesa che è stata così bene interpretata da don Tonino Palmese, il quale ha voluto vedere anche alla luce di Cristo, del morto innocente, i tanti dolori, i tanti morti che ingiustamente vengono sacrificati sull’altare da questa realtà peccaminosa, da queste organizzazioni criminali che non si fermano davanti a niente per commettere i loro efferati delitti, coinvolgendo quindi anche molti innocenti. Una lista lunga, enorme, di cui abbiamo il dovere morale, cristiano di ricordare perché ci sia un momento di coscientizzazione che porti al rifiuto di questa criminalità.

    D. - Quindi un monito alla collettività, ma anche un modo per ricordare alla gente oppressa dalla mafia che Cristo sceglie di assumere la condizione di chi cade vittima della prepotenza, della criminalità…

    R. - Il fatto stesso che si è voluto fare un’opera che coinvolgesse l’arte, la musica e che prevedesse la partecipazione di tanti parenti delle vittime innocenti, delle autorità, di coloro che rappresentano la giustizia, come il presidente del tribunale, il procuratore… è un grido che si vuole lanciare per sollecitare l’opinione pubblica a reagire con forza, con determinazione, contro questa efferatezza.

    D. - Ma tra la gente abituata all’oppressione della mafia, è viva la speranza di una Pasqua di Resurrezione?

    R. - Io credo di sì, perché la gente è molto sensibile a questa volontà di riscatto, di vedere rispettata la propria dignità personale, ma anche sociale e comunitaria. Allora dare forza e coraggio a queste forze positive nella società, mi sembra sia un dovere veramente cristiano, sociale ed umano che abbiamo tutti per cercare di realizzare un mondo migliore.

    D. - Da pastore e guida della Chiesa di Napoli, cosa vuol dire annunciare Cristo Risorto?

    R. - Annunciare il grande dono di amore che Dio ci ha fatto. Annunciare la dignità di ogni uomo di essere rispettato; annunciare che Cristo è venuto a salvarci, non solo per quella che è la nostra dimensione interiore e spirituale, ma anche per coinvolgere tutti gli uomini a creare una società più giusta. E quindi l’augurio che rivolgo ad ognuno di noi è quello di prendere coscienza della responsabilità che ha come uomo e come cristiano, per riscattarsi e riscattare la società nella quale la Provvidenza ci ha posti a vivere.

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    Delusione per lo slittamento della chiusura degli Opg: il commento di don Zappolini

    ◊   “Abbiamo lavorato moltissimo perché il provvedimento sugli ospedali psichiatrici giudiziari passasse dalla carta ai fatti, abbiamo i progetti, ora dobbiamo dare il tempo alle Regioni per adeguare le strutture, perché chiuderle e basta non avrebbe risolto i problemi". A commentare così la proroga di un anno della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), decisa venerdì dal governo, è il ministro della Giustizia, Paola Severino. Un fatto gravissimo, secondo quanti si erano impegnati per l’abolizione entro il 31 marzo 2013 di questi istituti come ci conferma, al microfono di Adriana Masotti, don Armando Zappolini, presidente del Cnca e membro del Comitato Nazionale “Stop Opg”:

    R. - E’ un fatto grave, perché si sperava davvero che potesse concludersi questa pagina così umiliante per il nostro Paese. Una delle cose più belle e indimenticabili che disse il Papa, nel suo primo saluto, è che veniva dalla fine del mondo, ma ci sono delle fini del mondo che sono molto vicine a noi: luoghi così lontani dai quali non arrivano le grida fino a dove noi viviamo! Questa cosa ha creato una reazione molto forte con gli organi istituzionali, anche i sindacati, ma anche i cappellani delle carceri e tutte le associazioni che, in qualche modo, incrociano la vita di queste persone, dei detenuti.

    D. - Nonostante i milioni di euro stanziati le regioni non sono state capaci di predisporre per tempo le strutture sostitutive agli Opg, ma c’è anche un dato positivo: la vostra idea alternativa agli ospedali è diversa e quindi - voi dite - c’è ancora spazio per muoversi su binari diversi. E’ così?

    R. - C’è anche questa cosa. Noi stavamo criticando fortemente l’impostazione che in alcuni territori questa soluzione stava prendendo. Però, dall’altra parte questa data del 31 marzo è una data che ritenevamo importante, perché di fatto era la scadenza della fine di una storia umiliante del nostro Paese.

    D. - Lo stesso Napolitano ha detto che è inaccettabile e intollerabile per un Paese che si voglia definire appena civile consentire che queste strutture restino aperte, anche un solo giorno in più…

    R. - Negli Opg la situazione è ancora più umiliante e devastante che non quella delle carceri normali. La caratteristica di essere detenuti e insieme persone malate di mente con pericolosità sociale fa sì che ci siano solo forme di contenimento che molte volte - a causa anche della precarietà dei fondi, delle strutture fatiscenti - produce davvero delle umiliazioni alla dignità umana. La tortura nelle carceri fatta dal sovraffollamento non è niente a confronto dei trattamenti, perché sono persone contenute molte volte con pesanti dosi di farmaci, che non hanno spazi di autonomia; molte volte sono lì per proroghe di 6 mesi in 6 mesi, al di là anche del periodo di detenzione stabilito dal giudice, perché non c’è alcuna struttura di salute mentale del territorio che si fa carico di un loro percorso di riabilitazione.

    D. - Qual è adesso l’impegno di chi finora si è occupato di questa questione?

    R. - Noi continueremo come campagna “Stop Opg” a cercare i rapporti con i parlamentari, con i governi, con le regioni: vogliamo organizzare già a maggio una mille miglia per la salute mentale. Ci sarà una tappa nelle diverse città per far capire l’ipotesi di quello che noi vogliamo mettere al cuore del progetto: dal manicomio al territorio; da un contenimento duro e crudo a un percorso di riabilitazione medica individuale; da una segregazione che non ha futuro a un recupero di una dignità. La Legge Basaglia che ha fatto chiudere i manicomi e che ha attivato percorsi anche importanti di dignità per persone malate di mente vorremo che nel suo spirito arrivasse anche a bonificare e a cancellare la vergogna degli Opg. Quindi la campagna continua: l’obiettivo è quello di chiudere gli Opg e di trasformare questa degenza che umilia le persone in un percorso normale di assistenza sanitaria, con forme di contenimento adeguate alla situazione, ma che porti le persone a vivere una vita nel modo più dignitoso possibile.

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    Sugli schermi in Italia "Il figlio dell'altra" della regista francese Lorraine Lévy

    ◊   E’ la storia di Joseph e di Yacine, è la storia drammatica di due famiglie che, su fronti opposti, si trovano costrette a dialogare per dare una speranza ai due ragazzi e, attraverso loro, a due popoli in guerra: da qualche giorno è sugli schermi italiani “Il figlio dell’altra” della regista francese Lorraine Lévy, un film che crede nel dialogo e diventa un mezzo per abbattere i muri e condividere un futuro di pace. Il servizio di Luca Pellegrini:

    “Bene, cercherò di spiegarvi i fatti. Il suo parto, signora Silberg, è stato contemporaneo a quello della signora Al Bezaaz ed eravate in stanze contigue. Di conseguenza, siamo giunti alla conclusione che ci sia una fortissima possibilità che i vostri due bambini - per errore - siano stati scambiati, quando l’ospedale è stato evacuato”.

    Lo ammette il medico dell'ospedale di Haifa, dinanzi a una coppia di genitori ammutoliti: i neonati sono stati scambiati. E' soprattutto il cuore delle due madri a spezzarsi, ma anche a rivendicare con forza e dignità un ordine superiore, quello dell'amore. Una è palestinese, una israeliana. Hanno cresciuto e curato e amato ciascuna il figlio dell'altra. In una realtà politicamente e socialmente così diversa e dolorosa come quella che contrappone i due popoli, nulla è scontato, tutto può essere tragico. Lorraine Lévy ha sentito, ancor prima di scriverla e di girarla, la forza di questa storia, i temi di drammatica attualità che affronta, penetrando con emozione, obiettività e equilibrio le dinamiche interne alle due famiglie nei momenti di maggior dolore e apprensione, di accoglienza e rifiuto. Nei titoli di coda la regista francese ringrazia tutti coloro che hanno collaborato al film, con una postilla: "questa è stata la più bella avventura della mia vita" Le abbiamo chiesto il perché. Ecco la risposta di Lorraine Lévy:

    R. – Parce-que, pour être tout a fait sincère, ça allait au de la de la réalisation …
    Perché, per essere sincera fino in fondo, questa è stata un’esperienza che è andata ben al di là della realizzazione di un film: aveva alle spalle un’avventura umana, spirituale per me importante e che ha fatto sì che questa avventura mi abbia trasformata. Come ho detto, ho veramente lavorato con persone di ogni credo: con ebrei, arabi musulmani, palestinesi cristiani e tutte queste persone, invece di essere separate a causa della loro fede, erano unite proprio per la loro fede. Questo, in realtà, mi ha permesso di fare questo film, e anche di crescere …

    D. – Le madri affrontano subito la situazione: si guardano, si toccano. I padri fuggono dalla realtà e dal dolore, anzi, si contrappongono. Ancora una volta è la forza delle donne che ci apre ad un futuro più umano?

    R. – Oui, c’est ce que je crois. Je crois que les mères sont l’incarnation d’une vérité …
    Sì, è questo che io credo. Credo che le madri siano l’incarnazione di una verità incomprimibile: loro danno la vita, e a parte il fatto che danno la vita hanno, rispetto agli uomini, il vantaggio che questa vita è fondamentale, è il senso stesso delle cose e bisogna proteggerla di fronte a tutto! In questa storia, la prima reazione degli uomini è stata: “Ho perso un figlio!”; la prima reazione delle donne è stata: “Abbiamo ritrovato un figlio”. In definitiva, tutto il film è in questo spazio, tra la perdita e la conquista.

    D. – Un film sull’apertura e sulla speranza. Ne ha avuto la percezione mentre si trovava in mezzo alla gente durante le riprese?

    R. – Moi, d’abord, là-bas j’ai ressenti d’une force vitale extraordinaire. …
    Prima di tutto, ho percepito una straordinaria forza vitale. Poi, come ho detto, è stata la mia équipe a condurmi e la mia équipe era composta di palestinesi e di israeliani, ed era tutta volta a questa speranza. C’è una gioventù che è forza viva e io credo che sì, ci sia la speranza, e più che la speranza, credo che ci sia la voglia dei giovani di vivere liberi e tranquilli. Solo tranquilli.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Brics: i Paesi emergenti pensano a una Banca comune contro l’Occidente

    ◊   Le nazioni emergenti del gruppo Brics potrebbero lanciare nella loro riunione annuale una nuova Banca comune da contrapporre alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, considerate strutture "occidentali" che "non riflettono i cambiamenti del mondo moderno". La banca - riferisce l'agenzia AsiaNews - dovrebbe partire con una donazione di 10 miliardi di dollari da parte di ogni membro del gruppo che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Il progetto dovrebbe vedere la luce domani, quando si riuniranno a Durban i capi di Stato interessati. Il nuovo leader cinese Xi Jinping, "incoronato" dall'ultima Assemblea nazionale del popolo a presidente della Cina, ha scelto proprio il Sud Africa come primo impegno internazionale del suo mandato decennale. Secondo gli analisti, si tratta di un "segnale preciso" dell'importanza che Pechino riserva al gruppo. Se i Paesi emergenti riusciranno a mettersi d'accordo, il monopolio degli aiuti internazionali sarà sfilato dopo 70 anni dalle mani della Banca Mondiale. Secondo un accordo non scritto, il vertice della World Bank è nelle mani di un americano mentre quello del Fondo monetario internazionale è affidato a un europeo. I leader del Brics - che insieme formano il 25 % del Prodotto interno lordo mondiale e il 40 % della popolazione terrestre - ritengono questo accordo "squilibrato". In ogni caso il progetto parte da una diminuzione rispetto ai 50 miliardi di dollari a testa previsti da un accordo stilato lo scorso anno. Inoltre ci sono diversità di vedute all'interno del gruppo sulle finalità della nuova banca. Secondo Ma Zhaoxu, del ministero cinese degli Esteri, il nuovo istituto "dovrà aiutare i Brics a sostenere i rischi finanziari e dare sostegno per lo sviluppo delle nazioni africane". Tuttavia Oliver Stuenkel - della Fondazione Vargas di San Paolo - ritiene il progetto più una "stampella" per i Paesi emergenti: "Il Brasile cresce a tassi anemici e il Sud Africa non va molto meglio, mentre l'India è a uno stallo. I Brics devono provare al mondo che sono in grado di sopravvivere e prosperare anche in tempi economici non brillanti come questo". La Cina ha comunque intenzione di spingere il più possibile per un accordo rapido, e la presenza di Xi Jinping ne è la prova. Il nuovo Segretario comunista ha visitato la Tanzania e oggi si recherà a Durban; prevista per la fine del viaggio anche una tappa in Congo. Sono tutti Paesi che hanno forti rapporti commerciali con la Cina, che fornisce fondi per le infrastrutture in cambio dei diritti di sfruttamento delle ricchezze energetiche. (R.P.)

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    Nel mondo 61 milioni di bambini privi di istruzione

    ◊   “Senza insegnanti non esiste la scuola!” è il motto della Campagna Mondiale per l’Educazione (Cme) lanciata in occasione della Settimana di Azione Mondiale per l’Educazione scolastica che viene promossa ogni anno con l’obiettivo di attirare l’attenzione di mezzi di comunicazione, rappresentanti istituzionali e della società in generale sull’urgenza di realizzare una educazione primaria qualificata. Secondo la Cme, nel mondo mancano circa 1,7 milioni di insegnanti per poter raggiungere un simile obiettivo nel 2015. La situazione è molto grave, ci sono ancora 61 milioni di bambini che non frequentano la scuola primaria. Inoltre, al 75% degli studenti dei Paesi più poveri può capitare di assistere alle lezioni per due o tre anni senza imparare a leggere o scrivere. L’Unesco riferisce che solo in Africa mancano un milione di insegnanti e sette Paesi del continente hanno un solo docente ogni 100 giovani in età scolastica. La Cme è un movimento mondiale che raggruppa insegnanti, organizzazioni umanitarie e gruppi comunitari che vogliono mettere fine all’analfabetismo di tutti i bambini del mondo. (R.P.)

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    El Salvador: la Chiesa ha ricordato ieri mons. Romero

    ◊   "Mons. Romero non è stata una figura politica, ma un vero pastore, perché è vissuto predicando il Vangelo, quindi non è giusto fare di lui un personaggio legato al mondo politico-partitico" ha affermato l'arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar, nella conferenza stampa dopo la Messa della Domenica delle Palme, che ha coinciso con l'anniversario dell’assassinio di Mons. Romero. Il 24 marzo 1980 Mons. Romero venne colpito a morte mentre celebrava Messa nella cappella di un ospedale a San Salvador. In quell’anno stava per iniziare la guerra civile che durò fino al 1992. L'arcivescovo si è detto prudente sulle "conseguenze" dell’eventuale annullamento della legge sull'amnistia del 1993, richiesto il 20 marzo dalle organizzazioni locali per i diritti umani alla Corte Suprema di Giustizia perché ha lasciato nell'impunità i crimini commessi durante la guerra civile, tra cui quello del caso di mons. Romero. La Commissione per la Verità che ha indagato i crimini commessi durante la guerra civile, nel suo rapporto, pubblicato nel 1993 afferma che esiste la "prova evidente" di complicità nell'omicidio di Romero di Roberto D'Aubuisson (morto nel 1992), fondatore della Alleanza Repubblicana Nazionalista il partito dell’estrema destra, che ha governato il Paese nel periodo 1989-2009. Come l'assassinio di mons. Romero, molti crimini contro l'umanità commessi durante la guerra civile rimangono impuniti, come per esempio l'uccisione nel 1989 di sei sacerdoti gesuiti (cinque dei quali spagnoli) e di due loro collaboratrici locali. (R.P.)

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    Argentina: migliaia in piazza per l'anniversario del golpe del '76

    ◊   “30mila ‘desaparecidos’, presenti ora e sempre” è stato lo slogan più ripetuto in una gremita Plaza de Mayo, a Buenos Aires, nella Giornata nazionale della memoria per la verità e la giustizia con cui è stato commemorato ieri il 37° anniversario del golpe del 24 marzo 1976 che instaurò l’ultima dittatura militare in Argentina (1976-1983). Di fronte a una folla di persone che sventolavano bandiere nazionali e fotografie dei cari loro scomparsi, a nome di diverse organizzazioni a difesa dei diritti umani la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto, ha invocato “una giustizia democratica, che riconosca la società civile” protagonista della resistenza al regime. “In Argentina – ha detto de Carlotto – si processano i genocidari perché si è deciso di ascoltare non solo i sopravvissuti ma un intero popolo”. A dare l’impulso iniziale ai processi per i responsabili di crimini di lesa umanità, promuovendo l’abolizione delle cosiddette ‘leggi del perdono’, fu il defunto Néstor Kirchner; “un presidente – ha aggiunto de Carlotto – che decise che l’impunità non sarebbe stata eterna e che per ricostruire un paese occorreva riconoscere la lotta del popolo. Quattro anni dopo, Cristina ha ripreso questo impegno e continua ad approfondirlo; ci sono molte cose che restano da fare, anche se siamo sulla buona strada”. La presidente Cristina Fernández ha ricordato le vittime della dittatura attraverso Twitter: “Continuare a lottare per una maggiore uguaglianza, per coloro che hanno di meno – ha scritto – per stare sempre insieme a loro. Questo è il mandato dei 30mila ‘desaparecidos’ ”. (R.P.)

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    Sud Corea: nuove conversioni per "l'effetto Papa Francesco"

    ◊   “Il nostro Papa è meraviglioso. La sua semplicità e il suo carisma hanno fatto breccia qui in Corea, dove nell'ultima settimana noi vescovi e sacerdoti siamo stati contattati da tanti non cristiani che vogliono iniziare un cammino di conversione. Da tanto tempo dico che il lavoro dello Spirito Santo è quasi tangibile: Lui è il padrone della Chiesa, inventa tutto. E re-inventa anche noi”. A parlare con l’agenzia AsiaNews è il vescovo di Daejeon, mons. Lazzaro You Heung-sik. Secondo il presule, l'elezione di papa Francesco così come la rinuncia di Benedetto XVI “sono semi di conversione. Tutti questi eventi sono stati compresi e ben accettati qui da noi, e da tante diocesi mi dicono di richieste di adulti che vogliono iniziare il catecumenato: parlando con i miei fratelli nel sacerdozio abbiamo detto che il popolo ha visto una volta di più la bellezza della Chiesa cattolica. La semplicità e il carisma di questo pontefice hanno fatto breccia in molti cuori”. Non si tratta però solo di aperture verso i non cristiani: “La Domenica delle Palme sono stato invitato a dire Messa presso la sede dell'Associazione dei professori universitari cattolici, che mi hanno chiesto un’omelia lunga per spiegare i tanti avvenimenti di Roma. Per metà del tempo ho spiegato il significato della Settimana Santa, dal giovedì alla Pasqua. Il testamento di Cristo, la testimonianza della Sua parola e il Suo momento più difficile ma anche il più grande gesto di amore verso l’uomo. Per il resto ho parlato del nuovo Papa ma anche di Benedetto XVI, del loro amore verso tutto il popolo di Dio. E’ stato un momento molto bello”. Gli inviti dei due pontefici – all’umiltà e alla misericordia - non sono passati inosservati in Corea: “Ora tocca a noi costruire una nuova Chiesa e una nuova umanità. Questo è quello che ho detto: tutti questi esempi, tutto il lavoro dello Spirito ci chiamano in causa direttamente”. Ecco perché, aggiunge, “per i 20 anni del seminario maggiore della diocesi abbiamo pensato a un gesto inconsueto”. Mons. You ha celebrato messa con i suoi seminaristi il 19 marzo, festa di San Giuseppe (cui sono dedicati sia il seminario che la cattedrale diocesana) e giorno della messa di inizio pontificato: “Abbiamo avuto un lungo momento di riflessione insieme, dopo la Messa, e abbiamo scattato una bella foto di gruppo. La sera ho deciso di inviarla al Santo Padre insieme a una lettera: spero che gli farà piacere ricevere questo piccolo gesto di amore dall’Estremo Oriente”. (R.P.)

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    Terra Santa: cattolici e ortodossi celebreranno la Pasqua secondo il Calendario giuliano

    ◊   Gran parte delle comunità cattoliche presenti in Israele, Territori Palestinesi, Giordania e Cipro si apprestano a celebrare le liturgie della Settimana santa non in questi giorni ma nella prima settimana di maggio, secondo il Calendario giuliano seguito dalle comunità ortodosse. L'unificazione delle date delle festività pasquali in gran parte dell'area, rappresenta un'applicazione della direttiva emanata il 15 ottobre 2012 dall'Assemblea dei vescovi ordinari cattolici della Terra Santa, dove è stato stabilito che entro due anni tutti i cattolici delle diocesi di rito latino e dei diversi riti orientali celebreranno la Pasqua secondo il Calendario giuliano, in concomitanza con le liturgie pasquali celebrate nelle chiese ortodosse. L'adozione della data di Pasqua secondo il Calendario giuliano (che quest'anno cade il 5 maggio) entra in vigore ad experimentum da quest'anno in tutta la Terra Santa, con l'eccezione delle aree di Gerusalemme e di Betlemme, dove si continuerà a seguire il Calendario gregoriano sia per rispettare i vincoli imposti nella Città Santa dal sistema dello “Status quo” (che regola la convivenza tra le diverse Chiese cristiane nei Luoghi Santi), sia per tener conto dell'afflusso dei pellegrini che da tutto il mondo vengono a celebrare la Pasqua a Gerusalemme e Betlemme. “Anche le comunità di lavoratori stranieri di Tel Aviv” riferisce all'agenzia Fides il vescovo William Shomali, vicario patriarcale del patriarcato latino di Gerusalemme - hanno chiesto di celebrare la Pasqua seguendo il rito gregoriano, anche perchè potranno godere dei giorni di ferie in coincidenza della Pasqua ebraica”. L'unificazione della data con cui i cristiani di diverse confessioni celebrano la Pasqua – dato ormai acquisito da decenni in Giordania e a Cipro – suscita ancora qualche perplessità tra alcuni vescovi maroniti. Essa comunque rappresenta per il vescovo Shomali un passo eloquente dal punto di vista ecumenico e testimoniale: “Membri della stessa famiglia o dello stesso villaggio che appartengono a realtà ecclesiali diverse” nota il vicario patriarcale “ora possono celebrare negli stessi giorni la passione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo. In modo da dare anche una testimonianza di unità ai nostri vicini non cristiani”. Entro il 2015 la disposizione per l'unificazione della data di Pasqua dovrà essere confermata o ricalibrata, in accordo con le indicazioni che verrannno anche dalla Santa Sede. (R.P.)

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    Usa. Mons. Gomez: la riforma dell’immigrazione, la più urgente emergenza dei diritti civili

    ◊   L’arcivescovo di Los Angeles, mons. José Gomez, presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), ha rivolto un nuovo pressante appello per una riforma integrale della legge sull’immigrazione che garantisca agli immigrati un percorso verso l’ottenimento della cittadinanza. E lo ha fatto con parole forti, invocando la tradizione di accoglienza e i principi fondanti degli Stati Uniti che l’attuale società americana sembra avere dimenticato: “Abbiamo perso la capacità di capire l’umanità di uomini, donne e bambini che vivono illegalmente nel nostro Paese e come pastore questo mi preoccupa. Mi preoccupa che stiamo perdendo qualcosa dell’anima della nostra Nazione”, ha detto il presule in un intervento ripreso dall’agenzia Cns a una conferenza organizzata dalla comunità ebraica della città. Ricordando le grandi battaglie degli anni Sessanta per i diritti civili negli Stati Uniti, mons. Gomez ha definito la riforma dell’immigrazione come “la più urgente emergenza dei diritti civili del nostro tempo”. L’arcivescovo di origini messicane ha quindi puntato il dito contro la criminalizzazione degli immigrati irregolari e le politiche vessatorie adottate nei loro confronti: espulsioni, arresti, famiglie separate con la forza. “Non sono un politico, sono un pastore. Ma qui stiamo parlando di esseri umani, di padri e mariti che, senza preavviso, non potranno tornare a casa e rivedere le proprie famiglie per decenni. Stiamo parlando di politiche governative che puniscono i bambini per i reati dei genitori”, ha detto. Secondo mons. Gomez, questo modo di affrontare la questione della regolamentazione dei flussi migratori è il frutto di una società secolarizzata che ha perso “la capacità di parlare dei problemi in termini religiosi e morali”. In questo senso le comunità cristiane ed ebraiche possono dare il loro contributo: “Dobbiamo aiutare i nostri fratelli e sorelle a ricordarsi della visione che ha ispirato la nascita dell’America: quella della Bibbia e del Vangelo”, ha affermato il presule che ha ricordato l’invito rivolto da Papa Francesco alla Messa del 19 marzo per l’inizio del pontificato a “custodire”, avere cura di ogni essere umano. “Dobbiamo comunicare a chi ci è vicino questa visione di Dio e della persona umana che è fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Siamo tutti figli e figlie di Dio e nessuno è straniero”, ha concluso l’arcivescovo di Los Angeles. Da tempo i vescovi americani conducono un’intensa battaglia per favorire politiche che tutelino i diritti e la dignità degli immigrati e chiedono una riforma che bilanci il rispetto dello Stato di diritto con la tradizione di accoglienza del Paese. Richiesta ribadita a un recente incontro di una delegazione di 15 leader religiosi con il Presidente Obama. (A cura di Lisa Zengarini)

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    India: muoiono ogni giorno 1.500 bambini a causa di malattie prevenibili

    ◊   Il 25% dei bambini nella fascia di età tra 0 e 5 anni, in India, muoiono per cause legate alla diarrea. Per milioni di persone del Paese asiatico, la mancanza di acqua costituisce una sfida costante. Due terzi della popolazione indiana - riferisce l'agenzia Fides - non ha strutture sanitarie igieniche adeguate. La situazione è particolarmente allarmante per la diffusione di malattie diarroiche conseguenti alla scarsa igiene. Nello Stato sudorientale dell’Andhra Pradesh mancano le latrine, e oltre 665 milioni di abitanti indiani usano fare i loro bisogni fisiologici all’aperto, vicino fogne a cielo aperto o campi, e spesso nei pressi di sorgenti sotterranee. Non hanno consapevolezza dell’utilità dei servizi igienici. Secondo le organizzazioni India Partners e Wash, ogni giorno nel Paese muoiono circa 1.500 bambini a causa di malattie prevenibili, come il colera e il tifo, che si contraggono con il contatto con le feci. Per far fronte all’emergenza, nello Stato indiano sono promosse campagne nelle quali viene insegnato alla popolazione l’utilizzo di acqua potabile, come lavarsi le mani, differenziare i rifiuti. Tutte abitudini che possono migliorare la salute nei loro villaggi e prevenire del 65% morti e malattie. (R.P.)

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    Congo: un gruppo secessionista semina il terrore a Lubumbashi

    ◊   Diverse centinaia di uomini armati hanno seminato il terrore a Lubumbashi, il capoluogo del Katanga nel sud della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), prima di deporre le armi nella locale base della Monusco (Missione Onu nella Rdc). Il 23 marzo, secondo quanto riferisce la stampa congolese ripresa dall'agenzia Fides, circa 245 persone, tra loro anche donne e bambini, hanno fatto irruzione nel centro della città, ingaggiando una sparatoria di tre ore con le Forze di sicurezza. Il bilancio ancora provvisorio è di una trentina di morti e diversi feriti tra gli assalitori mentre non si conosce il numero delle vittime tra i militari ed i civili. I miliziani, che si sono poi arresi ai Caschi Blu della Monusco, hanno dichiarato di appartenere alla milizia Kata Katanga che chiede l’indipendenza della provincia dal resto del Paese. Questa milizia ha commesso diversi attentati nell’area, tra i quali due assalti (nel febbraio 2011 e nell’agosto 2012) all’aeroporto di Lubumbashi. Il gruppo sarebbe responsabile della morte di 65 persone a Mwemena, nel territorio di Kasenga ( 250 km da Lubumbashi) uccise tra gennaio e febbraio di quest’anno. Il Katanga era stato protagonista di alcuni tentativi di secessione, promossi da interessi occidentali, all’indomani dell’indipendenza dell’allora Congo belga nel 1960. Più di recente, un altro gruppo guidato da Kyungu Mutanga Gédeon aveva seminato morte e terrore nei territori di Mitwaba, Pweto e Manono tra il 2004 e il 2006, prima del suo arresto. Nel settembre 2011 Gédeon è fuggito dal penitenziario di Lubumbashi dove era rinchiuso. Il capo guerrigliero è ancora libero ed ha riorganizzato il suo gruppo. La popolazione si chiede come questo è potuto accadere. (R.P.)

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    Tibet: altre due autoimmolazioni in meno di 24 ore

    ◊   A meno di 24 ore dalla tragica autoimmolazione di una madre tibetana, un altro caso di suicidio scuote la regione. Lhamo Kyab, 43 anni, si è dato fuoco poche ore fa nella regione di Tsoe per chiedere alla Cina vera libertà religiosa e il ritorno del Dalai Lama a Lhasa. Si tratta - riporta l'agenzia Asianews - del quinto suicidio nella zona e il 111.mo totale: nonostante la crisi non accenni a diminuire, Pechino continua a rispondere con il pugno di ferro. Ieri è stata la volta di Kal Kyi, 30 anni e madre di quattro figli, che si è autoimmolata nei pressi del monastero Jonang, nel Tibet orientale. Tsengyang Gyatso, esule tibetano che proviene da quell'area, dice: "Il corpo è stato portato subito dentro il monastero per evitare che venisse preso dalla polizia". Per evitare proteste pubbliche, infatti, le autorità regionali tendono a portare via i corpi dei suicidi e negano loro la sepoltura religiosa. Secondo una fonte anonima della contea di Dzamthang, la donna si è uccisa "per sottolineare la violenta politica cinese in Tibet". Più volte le autorità tibetane in esilio - politiche e religiose - hanno chiesto al governo centrale cinese di aprire un tavolo per gestire la situazione. Pechino ha preferito fino a ora emanare invece nuovi regolamenti che minacciano l'arresto immediato "per chi si auto-immola e per chi incita gli altri a farlo". Kal Kyi è la 16ma donna che decide di uccidersi per la causa tibetana sin dal febbraio del 2009, quando la crisi interna al Tibet ha raggiunto il suo punto di rottura. Dei 111 casi avvenuti fino a ora, 91 sono finiti con la morte immediata: non si conosce invece la sorte dei 20 che sarebbero sopravvissuti al fuoco. L'epicentro della protesta è Ngaba, dove si è verificato il numero maggiore dei casi: la popolazione ha ribattezzato la strada principale "Strada degli eroi del Tibet". (R.P.)

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    Messaggio Cei per l'Università Cattolica: "Al fianco dei giovani oltre la crisi"

    ◊   “Nell’attuale crisi, che ha radici antropologiche e non solo economiche, le nuove generazioni rischiano di pagare il prezzo più alto perché su di loro si riversano maggiormente le incertezze che segnano la nostra epoca”. È quanto si legge nel messaggio della presidenza della Cei per l’89ª Giornata per l’Università Cattolica, in programma il 14 aprile sul tema: “Con le nuove generazioni oltre la crisi”. “L’affievolirsi dei legami familiari, il frantumarsi del tessuto sociale, le difficoltà crescenti nell’accesso al lavoro e nella formazione di una famiglia”: sono questi, per la Cei, i fattori che “stanno determinando, soprattutto nei giovani, un diffuso senso di smarrimento e di disagio”. Eppure, “guardare al futuro, coltivare la speranza, spendersi con generosità è proprio dei giovani. Nei momenti più difficili della storia, dalle nuove generazioni è venuto sempre un contributo decisivo per andare oltre le criticità, i conflitti e i fallimenti”. Di qui - riferisce l'agenzia Sir - la necessità di “mettersi al loro fianco”, attraverso la “conoscenza” e la “condivisione sia delle loro aspettative che delle difficoltà che stanno affrontando”. “Se da sempre questa è la missione dell’Università Cattolica, oggi lo diventa ancora di più - si legge nel messaggio - perché l’amore verso le nuove generazioni esige di aiutarli a crescere su basi solide, a sviluppare fiducia e consapevolezza nel proprio valore, a trovare la strada per mettere a frutto i propri talenti”. “I giovani possono trovare nella qualificata formazione accademica e nella proposta di crescita integrale della persona, offerte dall’Università Cattolica, i capisaldi per non cedere allo scoraggiamento di fronte agli effetti depressivi indotti dalla crisi e per recuperare quel dinamismo positivo in grado di fare anche dell’attuale situazione un’opportunità di crescita personale e sociale”, scrivono i vescovi citando la “straordinaria attualità dell’”intuizione” di padre Gemelli, che “oltre novant’anni fa, in una fase di rinascita del Paese dopo la prima Guerra mondiale, individuava nella creazione di un polo di eccellenza universitaria la risposta più efficace per sostenere le nuove generazioni”. La Cattolica, quindi, come luogo che aiuta i giovani ad “essere protagonisti della storia non secondo visioni segnate dal relativismo e da ideologie, ma alla luce del pieno riconoscimento della dignità umana e dell’impegno primario per la costruzione del bene comune”. (R.P.)

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    Padova: i funerali di mons. Nervo. L'omelia di mons. Mattiazzo

    ◊   “Mons. Nervo si presentava con un fisico asciutto, in apparenza fragile; in realtà aveva una tempra robusta e tenace, pervasa e sorretta da un’anima pura e genuina, luminosa e ardente”. Così, stamattina, mons. Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova, ha ricordato mons. Giovanni Nervo, fondatore e primo presidente di Caritas Italiana, nell’omelia per le sue esequie. Dopo aver citato alcuni tra gli eventi più significativi della sua vita e del suo ministero, mons. Mattiazzo ha osservato che “è importante domandarsi qual è stata la sorgente profonda da cui è scaturito il suo impegno e qual è la fiamma che l’ha riempito di energia”. Per il vescovo di Padova, “non v’è dubbio che è stata la carità evangelica, accesa nel Cuore di Cristo e ardente nel cuore profondo della Chiesa, alimentata dall’Eucaristia”. “I testi biblici che sono stati proclamati nella seconda Lettura e nel Vangelo - ha aggiunto mons. Mattiazzo - hanno messo in luce il valore supremo della carità. La carità è il nome stesso di Dio, è il messaggio centrale della rivelazione divina, è il 'proprium' specifico del cristianesimo, il comandamento fondamentale e per questo la Chiesa di Cristo non può che essere Chiesa della carità”. “La carità - ha spiegato il vescovo di Padova - è amore non semplicemente sentimentale, ma forte e audace, richiede il distacco da sé e dalle proprie cose, il dono di sé fino al sacrificio”. E di questo mons. Nervo “ci ha dato una splendida testimonianza. Nato povero, è vissuto povero ed è morto povero. Ha amato "non a parole e con la bocca, ma nei fatti e nella verità’”. Anche se il fondatore e primo presidente di Caritas Italiana “non ci ha lasciato un testamento spirituale scritto a parole”, secondo mons. Mattiazzo, “il testamento, l’eredità preziosa che ci lascia è la sua stessa vita, è il suo luminoso esempio”. “Se c’era bisogno di purificazione - ha proseguito il vescovo di Padova - perché l’oro della sua carità risplendesse in tutta la sua purezza, la malattia ha compiuto quest’opera come un crogiolo”. Infine, un ricordo personale: “Quando l’ho visitato un paio di giorni prima della sua morte, mi ha detto due parole: pregare e offrire”. Alle esequie erano presenti, tra gli altri, mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Caritas Italiana, alcuni vescovi, il direttore della Caritas Italiana don Francesco Soddu. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 84

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