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Sommario del 22/03/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Corpo diplomatico: non c’è pace senza verità, costruire ponti di dialogo, combattere povertà materiale e spirituale
  • Mons. Forte: Papa Francesco unisce chi a cuore le sorti del pianeta
  • Messa del Papa per i giardinieri e i netturbini del Vaticano: aprire il cuore all'amore
  • In udienza ieri dal Papa il cardinale Sandri
  • Castel Gandolfo, vigilia dell'incontro tra Papa Francesco e Benedetto XVI
  • I cardinali brasiliani Hummes e Damasceno Assis: gioia in Brasile per il Papa argentino
  • Suor Collacchi: al Dispensario "Santa Marta" ci sentiamo già amati da Papa Francesco
  • Via Crucis al Colosseo: anticipazioni sui testi delle meditazioni
  • Vivere la fede in Africa. Il card. Arinze: impossibile senza dialogo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Obama in Medio Oriente per un maggiore sforzo diplomatico
  • Guerra in Siria. Caritas a sostegno dei civili, mons. Audo: la pace è possibile
  • Ankara saluta con favore il cessate il fuoco del PKK
  • Scozia: nel 2014 il referendum sull’indipendenza dal Regno Unito
  • Giornata dell’Acqua: situazione critica in Africa subsahariana e Asia
  • Il primo Museo sulle radici del cristianesimo: sarà pronto a Gerusalemme nel 2015
  • Il ricordo di mons. Giovanni Nervo:con la Caritas a servizio degli ultimi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Telegramma al Papa Francesco dell'imam di Al Azhar el Tayyeb
  • Crisi a Cipro. Mons. Soueif e i leader cristiani chiedono ai ciprioti pace ed unità
  • Il Patriarca Beshara Raï: non possiamo accogliere in Libano tutti i profughi siriani
  • Centrafrica: ripresa dei combattimenti tra militari e ribelli
  • Mons. Kaigama: le critiche alla Chiesa non cancellano l'opera di evangelizzazione
  • Coree: dopo i test nucleari Seul autorizza l'invio di aiuti umanitari al Nord
  • Indonesia: a West Java abbattuta la chiesa di Bekasi
  • Myanmar: appello per il rispetto dei diritti etnici e religiosi delle minoranze
  • Sri Lanka: cristiani e buddisti soddisfatti per la risoluzione Onu sui crimini di guerra
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Corpo diplomatico: non c’è pace senza verità, costruire ponti di dialogo, combattere povertà materiale e spirituale

    ◊   Lottare contro la povertà materiale e spirituale: è uno dei passaggi forti del discorso che Papa Francesco ha rivolto, stamani, al Corpo Diplomatico, nel primo discorso agli ambasciatori presso la Santa Sede dalla sua elezione. Il Pontefice ha inoltre affermato che non c’è vera pace senza verità ed ha ribadito il suo impegno a costruire ponti con tutti gli uomini. Attualmente, sono 180 gli Stati che intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede. A questi vanno aggiunti: l’Unione Europea, il Sovrano Militare Ordine di Malta e una Missione a carattere speciale: l’Ufficio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Un ideale “abbraccio del Papa al mondo”. Così, il Santo Padre ha voluto subito sottolineare il significato dell’udienza al Corpo Diplomatico. Un incontro, ha detto, per raggiungere tutti i popoli del mondo con le loro gioie, i drammi, le attese e i desideri. Ed ha osservato come le relazioni tra i Paesi e la Santa Sede “sono davvero un’occasione di bene per l’umanità”:

    “E’ questo, infatti, che sta a cuore alla Santa Sede: il bene di ogni uomo su questa terra!”.

    Ed ha auspicato che si possa intraprendere un cammino con i pochi Paesi che ancora non intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Papa Francesco ha quindi indicato i punti forti sui quali vuole fondare il suo cammino assieme agli altri:

    “Lottare contro la povertà sia materiale, sia spirituale; edificare la pace e costruire ponti. Sono come i punti di riferimento di un cammino al quale desidero invitare a prendere parte ciascuno dei Paesi che rappresentate”.

    Il Papa si è così soffermato sui motivi che lo hanno portato a scegliere il nome di Francesco d’Assisi. “Uno dei primi – ha detto – è l’amore che Francesco aveva per i poveri”:

    “Quanti poveri ci sono ancora nel mondo! E quanta sofferenza incontrano queste persone! Sull’esempio di Francesco d’Assisi, la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della Terra, chi soffre per l’indigenza e penso che in molti dei vostri Paesi possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste”.

    “Ma – ha avvertito - c’è anche un’altra povertà”, “la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi”. Si tratta, ha aggiunto, di ciò che Benedetto XVI “chiama la dittatura del relativismo, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini”. Un ragionamento che Papa Francesco ha legato all’edificazione della pace testimoniata da Francesco d’Assisi:

    “Ma non vi è vera pace senza verità! Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra”.

    Uno dei titoli del vescovo di Roma, ha quindi osservato, è Pontefice, “cioè colui che costruisce ponti con Dio e tra gli uomini”:

    “Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare!”.

    Il Papa ha voluto ricordare, in tale contesto, anche le sue origini italiane che lo spingono a lavorare “per edificare ponti”. In me, ha detto, è sempre vivo il dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, “tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità”. In quest’opera, ha poi soggiunto, è fondamentale anche il ruolo della religione:

    “Non si possono, infatti, costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio. Ma vale anche il contrario: non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri. Per questo è importante intensificare il dialogo fra le varie religioni, penso anzitutto a quello con l’Islam, e ho molto apprezzato la presenza, durante la Messa d’inizio del mio ministero, di tante Autorità civili e religiose del mondo islamico”.

    Del resto, ha affermato, “è pure importante intensificare il confronto con i non credenti, affinché non prevalgano mai le differenze che separano e feriscono, ma, pur nella diversità, vinca il desiderio di costruire legami veri di amicizia tra tutti i popoli”. Concludendo il suo intervento, Papa Francesco non ha mancato di ribadire la necessità di “imparare sempre più ad amare” la nostra Terra. Ancora una volta, il pensiero è andato al Poverello d’Assisi che, ha detto, insegna “un profondo rispetto per tutto il creato”, e il custodire l’ambiente che troppo spesso sfruttiamo avidamente.

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    Mons. Forte: Papa Francesco unisce chi a cuore le sorti del pianeta

    ◊   Quello rivolto da Papa Francesco al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede è un discorso che punta su un concetto molto profondo di pace. In uno dei passaggi il Pontefice, riferendosi a San Francesco d’Assisi, sottolinea che “non vi è pace senza verità”. Salvatore Sabatino ha chiesto un commento a mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti Vasto:

    R. - Il mio commento è che in questo Papa Francesco si pone in splendida continuità con Papa Benedetto, perché la verità ci fa liberi e dunque la verità costruisce ponti di pace. Quello che caratterizza Papa Francesco è sempre questo tono profondamente semplice e pastorale, questo desiderio, come dice all’inizio, dà un abbraccio del Papa al mondo anche attraverso i rappresentanti diplomatici dei vari Paesi, che hanno relazioni con la Santa Sede. Questo sottolineare che la Chiesa vuole il bene di ogni uomo è dunque il desiderio di presentare questa verità - fondamento della pace - soprattutto come amore che costruisce “ponti” e che, proprio per questo, chiama al dialogo fra le religioni, fra tutti quelli che hanno a cuore la causa dell’uomo per il bene di tutti e di ciascuno.

    D. – Costruire “ponti di dialogo”, come dice lei, ma anche lottare contro povertà spirituale e materiale: tutti punti di riflessione importantissimi...

    R. – Legati al nome Francesco, perché Francesco ha sposato la povertà e la povertà significa non semplicemente uno stile di vita povero, ma anche l’amore e l’attenzione ai poveri. Sin dalle prime parole del suo Pontificato, Papa Francesco ha questa presenza dei poveri nel suo cuore: non si può costruire una pace e non si rispetta la verità voluta da Dio per l’uomo, se non si promuove la dignità di ogni essere umano e dunque se non si lotta contro la povertà e se non si promuove la libertà dalla miseria di ogni essere umano.

    D. – E’ particolarmente importante anche il passaggio del discorso in cui Papa Francesco ha detto che bisogna intensificare il confronto con i non credenti...

    R. – Insieme con il dialogo fra le religioni. Quello che mi sembra molto bello in Papa Francesco è questo assenso largo di umanità: egli chiama tutti gli uomini, tutte le donne del mondo - quale che sia la loro fede, la loro religione o anche la loro non credenza - a lavorare insieme per un’umanità più giusta, vera e felice che è poi l’umanità secondo il disegno di Dio. Chiama poi a custodire il Creato: ritorna questa bellissima parola “custodia”, che richiama l’immagine biblica del Signore custode - “shomer” - d’Israele, cioè che con attenzione, amore e tenerezza provvede alle sue creature. Tutti siamo responsabili di questa custodia. Papa Francesco ci fa sentire tutti uniti, “affratellati” in una comune umanità quale Dio ha voluto, quale Dio ama, quale Dio sogna per il futuro del mondo.

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    Messa del Papa per i giardinieri e i netturbini del Vaticano: aprire il cuore all'amore

    ◊   Papa Francesco ha celebrato questa mattina la Messa nella cappellina della Casa Santa Marta alla presenza di netturbini e giardinieri che lavorano in Vaticano. Una vera e propria sorpresa per gli oltre 30 dipendenti che hanno accolto con gioia l’invito del Pontefice. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    “Siamo gli invisibili”: così Luciano Cecchetti, responsabile del servizio dei giardini e della nettezza urbana, parla così di quanti in Vaticano, ogni giorno, lavorano provvedendo a tenere pulita Piazza San Pietro e curando le piante che rendono il piccolo Stato un giardino delle meraviglie. Dedizione che il Papa ha voluto premiare invitandoli alla Messa delle 7.00 nella Casa Santa Marta:

    "Trovarsi di fronte al Santo Padre, in una Messa per noi, è una cosa che non capita tutti i giorni. Mi giravo e vedevo le facce dei dipendenti: siamo usciti un po’ tutti con gli occhi lucidi. E’ stata una Messa veramente molto semplice, a contatto diretto con chi da pochi giorni è stato eletto Pontefice. Lo abbiamo ringraziato tanto… specialmente quando ci ha salutato alla fine: siamo stati presentati uno ad uno e per ognuno di noi ha avuto una parola. Quello che ci ha detto un po’ a tutti quanti è: 'Pregate per me'. Tanti dipendenti, essendo giardinieri, gli hanno chiesto di visitare insieme a loro i giardini: lui ha annuito, facendo un cenno dalla testa… Non ha detto di no…".

    Nell’omelia a braccio – ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi – il Papa si è soffermato sul passo del Vangelo di oggi che narra delle pietre raccolte dai giudei per lapidare Gesù. “Se noi abbiamo il cuore chiuso – ha detto Papa Francesco - se abbiamo il cuore di pietra, le pietre arrivano tra le mani e siamo pronti a gettarle” per questo bisogna aprire il cuore all'amore. E come è solito fare, il Pontefice si è seduto al termine della Messa tra i banchi con gli altri fedeli, in una delle ultime file, per un momento di preghiera personale.

    Ieri mattina – ha riferito ancora padre Lombardi - il Papa aveva celebrato la Messa per i dipendenti della Casa Santa Marta insieme a mons. Lorenzo Baldisseri, segretario della Congregazione per i vescovi, ed il segretario don Alfred Xuereb. “E’ un modo – ha concluso il portavoce vaticano – per incontrare le persone che difficilmente potrà vedere poi”.

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    In udienza ieri dal Papa il cardinale Sandri

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel pomeriggio di ieri in udienza il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

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    Castel Gandolfo, vigilia dell'incontro tra Papa Francesco e Benedetto XVI

    ◊   A dieci giorni dalla sua elezione, Papa Francesco si recherà domani a mezzogiorno a Castel Gandolfo per incontrare in privato Benedetto XVI e intrattenersi con lui a pranzo, per poi ritornare in Vaticano. Un programma semplice per un momento invece unico, preceduto in questi giorni da molte manifestazioni di affetto da parte del nuovo Pontefice nei riguardi del suo predecessore. Alessandro De Carolis le ricorda in questo servizio:

    Raccontare e mostrare l’inimmaginabile, il saluto tra due Papi, un unicum storico, è il sogno di queste ore di ogni testata giornalistica del pianeta, che lo considera una sorta di “big bang” mediatico. Ed è pure desiderio di tanta gente comune, che sceglierà di salire sui rilievi di Castel Gandolfo o di accendere la tv per coltivare una speranza a dispetto di ogni possibilità. E tuttavia non saranno i bastioni del Palazzo apostolico che affaccia sul lago, probabilmente oggetto di un pacifico assedio mediatico e di folla, a impedire di percepire comunque, di “vedere” il sentimento – di fraternità, di affetto, di stima – che certamente riempirà il cuore dei primi due Papi del terzo millennio cristiano, quando si troveranno, in modo straordinario, faccia a faccia. E questo perché entrambi hanno in certo modo potuto “incontrarsi” più volte in questi dieci giorni, in un dialogo a distanza cominciato la sera del 13 marzo, poco dopo le 20.20, davanti 100 mila “testimoni”:

    “Prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”. (Papa Francesco, primo saluto all’elezione, 13 marzo 2013)

    Appena eletto, il primo pensiero di Papa Francesco è per Benedetto XVI e quella sera stessa – con il suo stile informale, fatto di immediatezza – gli telefona a Castel Gandolfo. Non si conosce ovviamente il contenuto della telefonata, ma la memoria suggerisce idealmente una risposta del Papa emerito. Un atto di umiltà col quale, a un passo dal congedo, aveva stupito i suoi primi collaboratori, la Chiesa e il mondo:

    “Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza”. (Benedetto XVI, congedo dai cardinali, 28 febbraio 2013)

    È l’inizio del dialogo tra Francesco e Benedetto, all’ombra di quello Spirito che il predecessore aveva invitato a seguire negli istanti della grande scelta e che il successore indica, parlando con i giornalisti, come l’unico, vero “motore” degli eventi di questo periodo:

    “In tutto quanto è accaduto il protagonista è, in ultima analisi, lo Spirito Santo. Egli ha ispirato la decisione di Benedetto XVI per il bene della Chiesa; Egli ha indirizzato nella preghiera e nell’elezione i cardinali”. (Papa Francesco, udienza ai rappresentanti dei media, 16 marzo 2013)

    Ma le parole più belle di questo dialogo, quelle che fanno presagire quanto avverrà al riparo delle mura di Castel Gandolfo, sono quella scaturite dalle labbra di Papa Francesco due giorni dopo l’elezione, davanti ai confratelli cardinali:

    “Un pensiero colmo di grande affetto e di profonda gratitudine rivolgo al mio venerato Predecessore Benedetto XVI, che in questi anni di Pontificato ha arricchito e rinvigorito la Chiesa con il Suo magistero, la Sua bontà, la Sua guida, la Sua fede, la Sua umiltà e la Sua mitezza. Rimarranno un patrimonio spirituale per tutti! (Papa Francesco, udienza a tutti i cardinali, 15 marzo 2013)

    E Papa Francesco prosegue, in crescendo: “Il ministero petrino, vissuto con totale dedizione, ha avuto in Lui un interprete sapiente e umile, con lo sguardo sempre fisso a Cristo, Cristo risorto, presente e vivo nell’Eucaristia. Lo accompagneranno sempre la nostra fervida preghiera, il nostro incessante ricordo, la nostra imperitura e affettuosa riconoscenza”. Poi il suggello, che è un atto di riconoscimento per una scelta che ha fatto il “bene della Chiesa” e che, afferma Papa Francesco, continuerà a farlo con la forza invisibile della preghiera:

    “Sentiamo che Benedetto XVI ha acceso nel profondo dei nostri cuori una fiamma: essa continuerà ad ardere perché sarà alimentata dalla Sua preghiera, che sosterrà ancora la Chiesa nel suo cammino spirituale e missionario”. (Papa Francesco, udienza a tutti i cardinali, 15 marzo 2013)

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    I cardinali brasiliani Hummes e Damasceno Assis: gioia in Brasile per il Papa argentino

    ◊   Il cardinale brasiliano Cláudio Hummes ha ispirato al Papa il nome di Francesco ricordandogli, al momento dell’elezione, di non dimenticarsi dei poveri. Cristiane Murray ha chiesto al porporato, che attualmente ricopre l’incarico di presidente della Commissione episcopale per l'Amazzonia, con quale spirito ritorni in Brasile:

    “Stimolato e felice! Stimolato e molto incoraggiato anche, perché il Papa ci incoraggia tutti, in questo momento, ad avere speranza, a vedere che il mondo è per noi un cammino, che la Chiesa deve camminare in questo mondo e portare a questo mondo la luce, portare a questo mondo tutte le grandi vie di Gesù Cristo, del Vangelo … Torno in Brasile con questo stimolo molto forte a lavorare in mezzo ai poveri, in Amazzonia … a svolgere il mio compito: non sono soltanto contento per il Papa, ma mi sento incoraggiato a svolgere il mio ministero e ad aiutare gli altri a svolgere il loro in questa vicinanza più forte accanto ai poveri, accanto ai sofferenti, che sono tanti, in questo mondo”.

    Sulle reazioni in Brasile all’elezione del Papa argentino, Silvonei Protz ha intervistato il cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida:

    R. - La gente ha ricevuto con grande gioia e con grande entusiasmo la notizia dell’elezione del Papa Francesco, che è un latinoamericano, un argentino. Qualcuno mi chiedeva se ci fosse qualche tipo di rivalità tra Argentina e Brasile riguardo all’elezione del Santo Padre, ma io ho risposto di no: la rivalità fra Argentina e Brasile è soltanto relativa al calcio ... se sia migliore Maradona o Pelé! Però nella Chiesa siamo tutti fratelli, siamo tutti uniti nella stessa fede. I brasiliani sono come gli argentini, come tutti i latinoamericani, ma anche come tutto il mondo. Tutta la Chiesa è piena di gioia per l’elezione di Papa Francesco, il primo Papa gesuita nella storia della Chiesa, il primo latinoamericano, il primo che porta il nome di Francesco: un nome tanto caro a tutto il mondo, perché Francesco è il santo della fratellanza, il santo della comunione con tutti i popoli e con il mondo creato da Dio.

    D. - Metà dei cattolici del mondo vive in America Latina e adesso abbiamo un Papa latinoamericano: possiamo dire che Papa Francesco porterà un po’ dell’America Latina anche in Europa e nel resto del mondo?

    R. - Senza dubbio. Il 44 per cento dei cattolici del mondo è in America Latina: lui è nato in America Latina, in Argentina, e ha un’esperienza pastorale molto grande ma soprattutto ha questa sensibilità latinoamericana, una sensibilità che lo porta ad essere vicino alle persone umili, alle persone più povere. Papa Francesco, lo abbiamo sentito nei suoi discorsi, ha una preoccupazione speciale per i poveri, per i più bisognosi di questo mondo. Il suo modo di presentarsi al popolo e il suo linguaggio, un linguaggio molto semplice, sono accessibili a tutta la gente. Ognuno di noi porta il suo proprio stile di vita, la sua cultura, la sua tradizione e anche lui porta la propria cultura, la cultura del popolo latinoamericano.

    D. - Come presidente della Conferenza episcopale del Brasile, insieme all’arcivescovo di Rio de Janeiro, sarete un po’ gli anfitrioni di Papa Francesco a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù…

    R. - In Brasile tutti, ma soprattutto i giovani del Brasile e di tutto il mondo che saranno presenti a Rio de Janeiro, aspettano con una gioia immensa, con un affetto speciale, e con una grande allegria, il Santo Padre il prossimo luglio.

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    Suor Collacchi: al Dispensario "Santa Marta" ci sentiamo già amati da Papa Francesco

    ◊   “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Le parole di Papa Francesco quasi sussurrate, durante l’incontro con i giornalisti a pochi giorni dall’elezione, hanno toccato tutti. Con grande emozione, le parole del Papa sono state accolte dalla comunità del Dispensario pediatrico “Santa Marta” in Vaticano, affidato alle Figlie della Carità. Una struttura, all’ombra della Basilica petrina, che da 90 anni assiste bambini e famiglie disagiate, senza distinzione di credo e nazionalità. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza della responsabile, suor Antonietta Collacchi:

    R. - E’ stata un’emozione fortissima, una gioia incontenibile. Mi sono sentita subito proprio nel cuore della Chiesa, perché quando ha parlato dei poveri - questa la prima sensazione che ho avuto - mi sono detta: 'Il Papa ama i poveri come li amo io'. Questa è stata la mia scelta, la mia vocazione: mi sono fatta suora perché amavo i poveri e la mia vocazione – quella delle Figlie della Carità – è tutta in funzione dei poveri, è proprio il nostro carisma; questo carisma che è sempre vivo e sempre attuale.

    D. – Lei era in servizio nella Domus Sanctae Marthae nei giorni del Conclave e anche dopo. Cosa l’ha colpita di più della persona di Papa Francesco, con cui ha avuto modo anche di parlare?

    R. – Mi ha colpito proprio la sua semplicità, la sua umiltà, la sua mitezza. Ho avuto anche la gioia di incontrarlo, di parlargli un attimo del Dispensario e lui sentendomi è rimasto un po’ a bocca aperta, perché è una realtà che non conosceva e ha detto: “Verrò a trovarvi”.

    D. – Al Dispensario si ricorda ancora con emozione la visita di Papa Benedetto nel 2005. Ora, ovviamente, sperate di accogliere presto Papa Francesco, soprattutto i bambini, immagino…

    R. – Lo aspettiamo come abbiamo accolto Benedetto XVI. La gioia è rimasta e vogliamo riviverla ancora con Papa Francesco. Penso che lui sarà felicissimo, perché quando parla dei poveri lui lo dice così convinto che te lo fa entrare veramente nel cuore.

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    Via Crucis al Colosseo: anticipazioni sui testi delle meditazioni

    ◊   Sono i giovani del Libano quest’anno a dar voce alle meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. A loro, sotto la guida del patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, Benedetto XVI aveva chiesto di esprimere, nelle XIV stazioni della Passione di Cristo, le ansie e le attese dei popoli del Medio Oriente. E così, nell’anfiteatro Flavio, la cristianità conoscerà le ingiustizie, le divisioni fra cristiani, il fondamentalismo e la violenza che dilaniano i popoli mediorientali, ma anche le sofferenze e i mali dell’intera umanità. La Libreria Editrice Vaticana pubblicherà le meditazioni della Via Crucis lunedì prossimo, Tiziana Campisi ce ne anticipa i contenuti:

    “Una speranza salda, una fede viva”: sono gli strumenti che la Via Crucis consegna al cristiano per “camminare in una vita nuova”. Se meditare il percorso di Cristo verso il Calvario significa anche guardare al male e al peccato che feriscono l’umanità, le meditazioni scritte da un gruppo di giovani libanesi sotto la guida del patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, offrono una risposta ai pregiudizi e all’odio “che induriscono i … cuori e conducono a conflitti religiosi”, all’ingiustizia senza limiti e alla violenza. La fiducia in Dio rialza, la forza dello Spirito sostiene, unisce alla volontà di Dio e insegna che l’amore può tutto: eccola la risposta dalla terra dei cedri. Giunge da chi ha vissuto la sofferenza, da chi ha patito discriminazioni, da chi non vede riconosciuti i propri diritti.

    Al Colosseo, la sera del Venerdì Santo, le nuove generazioni del Libano chiederanno il rispetto della libertà religiosa (VII stazione) - “così le diverse religioni potranno ‘mettersi insieme per servire il bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla edificazione della società’” -, porteranno le sofferenze dei popoli del Medio Oriente. Nelle donne di Gerusalemme che piangono Gesù, si potranno intravedere le donne di oggi ferite nella loro dignità e violentate dalle discriminazioni (VIII stazione), nel peso dei peccati umani - la Croce che fa cadere Cristo per tre volte - la ferita di quelle divisioni che nella Chiesa (IX stazione) “allontanano i cristiani gli uni dagli altri”. C’è la realtà contemporanea nelle meditazioni dei giovani libanesi, ma ci sono anche intense preghiere a Dio: per coloro che, similmente a Pilato, “impegnano la loro autorità al servizio dell’ingiustizia e calpestano la dignità dell’uomo e il suo diritto alla vita” (I stazione), per chi crede “di potersi sostituire a Dio e determinare da se stesso il bene e il male”, “in nome della ragione, del potere o del denaro”, per quel “laicismo cieco che soffoca i valori della fede e della morale in nome di una presunta difesa dell’uomo”.

    Di fronte al “fondamentalismo violento che prende a pretesto la difesa dei valori religiosi” (II stazione), poi, l’invito è a guardare Cristo, che si è identificato con i deboli. E allora i popoli umiliati e sofferenti, “in particolare quelli dell’Oriente martoriato” possono portare proprio con Lui “la loro croce di speranza”. Note di liturgia orientale sono disseminate nelle meditazioni di quest’anno, ispirate anche all’esortazione post-sinodale di Benedetto XVI “Ecclesia in Medio Oriente”, e nella XII stazione che ricorda la morte di Gesù sulla Croce, viene esaltata la vita in Cristo; é così che nasce la preghiera per quanti promuovono l’aborto e difendono l’eutanasia, “perché si impegnino nell’edificazione della civiltà della vita e dell’amore”. Infine la deposizione di Gesù, che conduce al silenzio del Sabato Santo, è la grande apertura alla speranza, soprattutto per quanti cercano il senso della vita, perché credano che Cristo ha vinto la morte e il peccato.

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    Vivere la fede in Africa. Il card. Arinze: impossibile senza dialogo

    ◊   “La testimonianza della fede in Africa nel contesto interreligioso, con particolare riferimento alla situazione in Nigeria”: questo è stato l’argomento della conferenza che si è tenuta ieri alla pontificia università Antonianum, a Roma, con la partecipazione del cardinale Francis Arinze. Al microfono di Davide Maggiore, il porporato – prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti - ha spiegato quale significato ha la testimonianza della fede per i cattolici nigeriani:

    R. – Significa vivere la nostra fede cattolica con convinzione, essere in pace nella religione. Noi viviamo perché Cristo è per noi la via, la verità e la vita. Allora, il Santo Padre ci incoraggia ad essere seguaci di Gesù. Conosciamo il nostro Maestro: Gesù. Chi ci da la vita è Gesù. Chi è la strada? E’ Gesù. E cerchiamo di vivere quella fede. Possiamo farlo sempre meglio.

    D. – Il Santo Padre ha anche sottolineato l’importanza del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose e dunque del dialogo. Come la Chiesa cerca di promuovere questo dialogo nel contesto, a volte difficile, della Nigeria?

    R. – E’ vero che i media, quando informano lontano dalla Nigeria, menzionano solo quello che non va, ma generalmente, le cose vanno bene. Di tanto in tanto, c’è qualcosa che non va bene. Oggi, le grandi religioni in Nigeria sono il cristianesimo e l’islam. C’è anche la religione tradizionale africana, c’è un Consiglio nazionale di cristiani e musulmani e i capi sono il sultano di Sokoto, da parte musulmana, e l’arcivescovo di Abuja, il cardinale Onaiyekan, per parte cattolica. Cercano di ispirare, di rafforzare, di incoraggiare specialmente i giovani, che qualche volta sono tentati di perdere la speranza e la pazienza e di risolvere la violenza con la violenza. Ma la violenza non si risolve con la violenza. Il cristianesimo ci insegna a ripagare il male con il bene: facile a dirsi, difficile da fare, ma necessario. E’ questa la strada da percorrere.

    D. – L’esperienza e la testimonianza della Chiesa d’Africa e della Chiesa in Nigeria può essere in qualche modo d’aiuto a quanti vivono la fede in Europa e a quelli che in questo continente sono alla ricerca di Dio?

    R. – Noi, in Nigeria come in altri Paesi dell’Africa, non pretendiamo di essere un modello che altri debbano copiare. Cerchiamo di fare quello che possiamo. Ogni Paese ha un contributo da dare, nessun Paese ha il monopolio di tutto quello che si può fare. Così, noi cerchiamo di fare il possibile nella nostra situazione, e possiamo imparare gli uni dagli altri, specialmente nel mondo di oggi, dove la comunicazione è piuttosto veloce.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'abbraccio del Papa al mondo: l'udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

    Il tempo della speranza e del rinnovamento: in prima pagina, Piero Di Domenicantonio intervista il premio Nobel Adolfo Pérez Esquivel dopo l’incontro con il Pontefice.

    Sangue a Damasco: nell'informazione internazionale, in rilievo l'attentato in Siria che ha causato 42 morti.

    Guida delle anime, non psicoanalisi: Inos Biffi sul tema della confessione.

    I patroni delle pagine belle: Barbara Adams Hebard sull'influenza dei santi nella preservazione dei libri.

    Al cimitero con piacere: Giovanni Cerro sull'arte e sulla storia della Certosa di Bologna.

    Tracce di cristianesimo: Roberto Righetto sul patrimonio culturale del mondo cristiano.

    Le vite strappate alla droga di Villa del Bajo Flores: Cristian Martini Grimaldi, inviato a Buenos Aires, sulla vita dei giovani emarginati nella capitale argentina.

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    Oggi in Primo Piano



    Obama in Medio Oriente per un maggiore sforzo diplomatico

    ◊   Prosegue il viaggio del presidente statunitense, Barack Obama, in Medio Oriente. A Gerusalemme l'incontro tra il capo della Casa Bianca e il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu. Stamani, Obama si è recato a Betlemme, dove ha visitato la Basilica della Natività. Poi, lo spostamento in Giordania. Sicurezza per Israele e uno Stato per i palestinesi, ma anche monito all’Iran per fermare il programma nucleare. Questi, in sintesi, i concetti espressi da Obama in questa visita. Sul significato di questo viaggio, Giancarlo La Vella ha intervistato Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente:

    R. – Che cosa segna, questa visita di Obama? Segna certamente un cambio di strategia. Non è l’Obama del 2009, delle iniziative politiche attraverso i leader, per fermare la costruzione degli insediamenti israeliani nei Territori, con una posizione molto forte. Quello di oggi è un Obama molto più politico, il cui principale obiettivo in questo viaggio era di riguadagnare la fiducia di Israele. In qualche modo, anche di parlare in maniera diretta all’opinione pubblica israeliana, scavalcando un governo, come quello di Netanyahu, che al di là dei sorrisi e delle strette di mano, lui avverte come ostile.

    D. – Concetti come “uno Stato per i palestinesi”, “sicurezza per Israele” possono sembrare scontati: se n’è parlato più d’una volta. L’importante è come poi concretizzare questi obiettivi. Gli Stati Uniti che cosa potrebbero fare?

    R. – Il fatto politico più importante, che segue a questa visita, è il fatto che Obama torna a Washington, ma nell’area resta il segretario di Stato Kerry, il che implica che nella strategia della Casa Bianca questo viaggio di Obama è un punto d’inizio, in cui gli Stati Uniti vogliono riprendere in qualche modo le fila di questo processo di pace che è congelato da due anni. Per andare dove e con quali esiti concreti, questo è difficile da dire oggi, soprattutto perché le posizioni delle due parti al tavolo dei negoziati sono lontanissime. Infatti, ieri il partito più vicino al movimento dei coloni, che ora è parte della coalizione che sostiene Netanyahu, ha subito risposto in maniera molto secca alle dichiarazioni di Obama, dicendo che le conseguenze di quello che lui dice si sono viste a Sderot, colpita da razzi sparati da Gaza. Quindi, se da un certo punto di vista l’opinione pubblica è stata abbastanza positiva riguardo a questo viaggio, all’interno dell’establishment politico israeliano non ci sono le stesse analisi e quindi incomincia una partita che sarà comunque molto impegnativa, per John Kerry. Vedremo dalle prossime settimane quanto Washington abbia realmente intenzione di investire in questo tipo di negoziato e quanto potrà realmente arrivare a sbloccare una situazione che al momento, al di là delle parole, appare ancora chiusa.

    D. – L’ultimatum all’Iran, può far pensare al progetto di Obama di creare una presenza americana più stabile nell’area mediorientale per poter poi intervenire eventualmente anche in Siria?

    R. – Io credo che quanto Obama ha detto sull’Iran sia esattamente quanto Israele si aspettava di sentire. Il caapo della Casa Bianca non poteva pensare di rilanciare la sua immagine in Israele senza dire quello che ha detto sull’Iran. Da qui, però, ad una presenza più forte ed anche a un possibile intervento diretto nello scenario siriano, io credo che ce ne corra abbastanza! Nel senso che, comunque, Obama ha insistito sulla via negoziale nei confronti di Teheran, dicendo che Washington è disposta a tutto pur di fermare il programma nucleare iraniano, ma che, comunque, la via che sta dando maggiori frutti è quella negoziale. Per questo io credo che nell’immediato non ci saranno grandi cambi di passo rispetto a questo tipo di scenario.

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    Guerra in Siria. Caritas a sostegno dei civili, mons. Audo: la pace è possibile

    ◊   La guerra in Siria rischia di contagiare il vicino Libano: in scontri tra opposte fazioni nella città di Tripoli del Libano sono morte oggi almeno 5 persone. Ieri, in Siria, un attentato kamikaze ha colpito la moschea di Iman, nel distretto di Mezzeh, al centro di Damasco, causando almeno 15 vittime, tra cui un importante capo religioso legato al regime. Intanto, un'inchiesta sul presunto utilizzo di armi chimiche in Siria, dopo le accuse rivolte martedì scorso dal regime ai ribelli per il lancio di un razzo armato con sostanze chimiche vicino ad Aleppo, è stata annunciata dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha chiesto ''un accesso al Paese senza restrizioni'' per poter condurre le indagini. E per chiedere a Dio la pace in Siria, si è tenuta ieri sera, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma, una veglia di preghiera. A promuoverla è la Caritas Internationalis che in Siria coordina gli aiuti alla popolazione in collaborazione con le Caritas nazionali. Il collega Jean Pierre Yammine ha sentito in proposito mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, presente all'evento:

    R. - Io sono stato invitato dalla Caritas Internationalis per vedere, insieme ai nostri collaboratori nel mondo, come poter organizzare gli aiuti in Siria. Come sa, le Caritas di Europa, degli Stati Unti e del Canada sono molto interessati al nostro lavoro e ci aiutano in diversi programmi in Siria, che Caritas divide in sei regioni. In ogni regione abbiamo un centro Caritas che è organizzato per portare aiuti ai differenti gruppi.

    D. - Materialmente che tipo di aiuti riuscite ad offrire?

    R. - In questa crisi la gente non lavora. Posso dire che i siriani sono ormai divenuti tutti poveri: questa è la verità! E’ necessario quindi, prima di tutto, organizzare gli aiuti alimentari per le famiglie in ogni regione. Questo rappresenta la prima emergenza. Poi c'è tutto l’aspetto medico-sanitario: quindi l’aiuto medico per i bambini, per i malati, per le donne e per le persone anziane. Anche qui, in ogni regione, ci sono programmi di aiuto. Abbiamo poi fatto il programma per l’inverno, per aiutare la gente a sopportare il freddo. Ci sono programmi per i bambini nelle scuole. Cerchiamo poi di aiutare a cercare una casa per coloro che sono profughi in Siria.

    D. - Se vogliamo chiudere con una parola di speranza, cosa può dirmi?

    R. - La speranza, prima di tutto, è quella di andare avanti perché la pace è possibile. Dobbiamo fare tutto quello che possiamo, ma anche pregare e chiedere ai potenti di scegliere la pace al posto della violenza e degli interessi politici e economici.

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    Ankara saluta con favore il cessate il fuoco del PKK

    ◊   La Turchia e la Casa Bianca hanno accolto positivamente la decisone del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, di abbandonare le ostilità. Ieri, il messaggio in tal senso inviato del leader separatista, in carcere, Abdullah Ocalan. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    E’ da Diyarbakir, nel sudest della Turchia, città nota per la massiccia presenza di curdi, che ieri la speranza di pace è diventata concretezza. Dopo quasi 30 anni di guerra e oltre 40 mila morti, davanti a migliaia di persone radunatesi per festeggiare il Capodanno curdo, è stato infatti letto un messaggio per la fine delle ostilità contro la Turchia. Il leader storico del Pkk, Anbullah Ocalan, rinchiuso dal 1999 nel carcere di Imrali, ha di fatto proclamando l'atteso cessate il fuoco: “Lasciate le armi e andatevene al di fuori delle frontiere”, ha dichiarato, invocando l'apertura di un negoziato di pace con Ankara. Il messaggio è stato letto da due deputati dello schieramento filo-curdo "Partito della pace e della democrazia" (Bdp). “Rispetteremo con determinazione il processo iniziato dal nostro capo. Tutti devono sapere che il Pkk è disposto tanto alla guerra che alla pace”, ha precisato poco dopo, Murat Karayilan, considerato il principale dirigente del Pkk dopo Ocalan. Karayilan dirige le operazioni dei ribelli curdi dalle basi arretrate della guerriglia nel Nord Iraq. Positive, anche se caute, le prime reazioni internazionali, prima tra tutte qualla della Turchia, che saluta con favore la decisione del Pkk, ma ribadisce che "metterà fine alle operazioni militari" contro i separatisti, se "non ci saranno più azioni armate contro lo Stato". Positivo anche il giudizio della Casa Bianca, dall’Europa il ministro tedesco degli Esteri, Guido Westerwelle, sottolinea che ora "potrebbero esserci spazi per accordi politici" con cui giungere a una fine duratura del "conflitto e dalla violenza", ma che ora "si tratta di vedere se agli annunci seguiranno passi concreti".

    Sull’annuncio fatto dal leader del Pkk, Abdullah Ocalan, abbiamo raccolto il commento del giornalista Alberto Rosselli, esperto dell’area:

    R. - E’ un appello storico, Ocalan è sempre stato un uomo duro, un leader fortemente motivato nella sua battaglia per l’indipendenza del Kurdistan, fino ad acquisire l’appellativo di “terrorista” e finire in carcere per questo. Ora, aprire in senso pacifista, all’improvviso, vuol dire che qualcosa sta cambiando, indubbiamente. Certamente, bisogna essere cauti e vedere quale sarà la reazione anche delle varie anime del movimento curdo, poiché non siamo di fronte a un monolite, a entità che non è detto siano tutte completamente d’accordo sulle decisioni che vengono prese, anche dal capo storico Ocalan.

    D. – Il capo militare del Pkk, Murat Karayılan, ha affermato che i ribelli obbediranno a questo appello. Si potrebbe creare dunque uno spiraglio per disarmare il terrorismo?

    R. – Le dichiarazioni lascerebbero intendere più di uno spiraglio. Ricordiamoci anche che i movimenti di resistenza curdi sono sfiancati da questa perenne contesa con la Turchia e lo stesso vale per il governo di Ankara. Bisognerà anche vedere la questione degli elementi che sono disposti ad abbandonare le armi, dove potranno andare, perché in Siria c’è una situazione piuttosto difficile. Bisognerà vedere come reagirà l’Iran, come reagirà l’Iraq, Paesi che hanno minoranze curde. Poi, bisognerà anche vedere le reazioni della Russia e anche dell’Europa. Insomma, una buona notizia e un appello storico, ma è prematuro un giudizio del tutto positivo.

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    Scozia: nel 2014 il referendum sull’indipendenza dal Regno Unito

    ◊   La Scozia terrà l'annunciato referendum sulla sua indipendenza dal Regno Unito il 18 settembre del 2014. Lo ha reso noto il primo ministro scozzese, Alex Salmond - citato dalla Bbc -, che ieri ha presentato il relativo disegno di legge al parlamento di Edimburgo. In merito, Eugenio Bonanata ha raccolto il commento della professoressa Federiga Bindi, titolare della cattedra Jean Monnet presso l'Università Tor Vergata di Roma:

    R. - Per la Scozia chiaramente è un significato politico molto forte quello di avere finalmente questo referendum. Se ci sarà o no è chiaramente un riconoscimento finale alla specificità scozzese e sicuramente, in ogni caso, come minimo porterà ad una revisione degli accordi del 2001 sulla devoluzione dei poteri alla Scozia.

    D. – Si tratta di un segnale di debolezza per Cameron?

    R. – No, perché era una cosa già concertata prima. Anzi, direi che è un segnale di forza di un Paese, quello di "permettersi" di fare un referendum in questo modo.

    D. – Per la Scozia che cosa cambierà in caso di esito positivo?

    R. – Io non credo che la Scozia diventerà indipendente, poi può darsi che mi sbagli. Se la Scozia dovesse diventare indipendente, intanto avremmo un Paese in più nell’Unione Europea - un Paese che a quel punto sarebbe fortemente europeista ed in contrasto all’Inghilterra. Poi probabilmente quella che ne uscirebbe indebolita sarebbe la politica estera e di difesa inglese.
    D. – Lei crede che il referendum non passerà?

    R. – E’ difficile fare una previsione esatta. Per ora non ci sono i numeri, credo che alla fine prevarrà il pragmatismo. Certo, siccome ci saranno il "Commonwealth Games" e la Ryder Cup, se gli scozzesi dovessero stravincere in entrambe queste competizioni sportive, allora forse sull’onda del nazionalismo le cose potrebbero cambiare. Molto dipende anche da cosa farà il Regno Unito: certo, il governo inglese, da qui al prossimo anno e mezzo, dovrà proporre le eccellenze in tutti i sensi altrimenti aiuterà la causa indipendentista.

    D. – Che cosa comporta l’estensione del voto ai sedicenni ed ai diciassettenni proposta dal premier scozzese?

    R. – Non so quanto i diciassettenni sposteranno il voto. Quello che io trovo molto interessante è vedere non soltanto la forchetta di età, ma chi potrà votare: non saranno soltanto i cittadini inglesi residenti in Scozia, ma saranno anche i cittadini del Commonwealth e i cittadini dell’Unione Europea residenti in Scozia e non - tranne alcune eccezioni – gli scozzesi all’estero, cosa che in Italia dovrebbe far riflettere.

    D. – L’esito del referendum potrebbe avere ripercussioni sulle spinte secessioniste in Europa?

    R. – Sicuramente, se il referendum dovesse andare bene fomenterà, come minimo, cose simili in Spagna e probabilmente risveglierà anche qualche ardore anche in Italia. Tuttavia credo che bisogna capire che è l’unione che fa la forza e non la disunione: secondo me, oggi nel mondo globalizzato dovremmo avere più Europa, un’Europa più federale e non più Stati.

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    Giornata dell’Acqua: situazione critica in Africa subsahariana e Asia

    ◊   Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata dell’Acqua, indetta dalle Nazioni Unite per ogni 22 marzo: un’occasione per riflettere su quanto questo bene sia prezioso ed essenziale alla vita. Al telefono con Roberta Barbi, il presidente di Amref Italia, Thomas Simmons, fa il punto su quali obiettivi sono stati raggiunti in tema di accesso all’acqua pulita e quanta strada c’è ancora da fare:

    R. – A oggi, relativamente agli Obiettivi del Millennio, è stato raggiunto quello di garantire un incremento dell’accesso all’acqua potabile sul pianeta, però non è stato raggiunto in modo equilibrato. Il grosso del successo è stato raggiunto in Paesi molto importanti come l’India, la Cina e il Brasile, che hanno avuto una forte crescita economica. Invece, nell’Africa subsahariana circa il 60% della popolazione ancora non ha accesso all’acqua pulita. L’obiettivo che non è stato raggiunto non sarà raggiunto e anche globalmente riguarda i servizi igienico-sanitari adeguati.

    D. – In Africa, la mancanza d’acqua potrebbe far scoppiare la guerra delle guerre… In Asia, si calcola che una persona su cinque non abbia accesso all’acqua potabile e quasi due miliardi di persone non dispongono dei servizi igienici essenziali. Ma i problemi ci sono anche in altre aree del pianeta…

    R. – L’assenza di acqua è uno dei fattori di povertà e d’impoverimento. Noi usiamo l’acqua quotidianamente per usi domestici, per l’igiene personale, per bere, per cucinare e per tante altre cose, ma l’utilizzo dell’acqua è anche fondamentale per l’agricoltura, per l’industria. Crescita economica significa più bisogno di acqua, crescita demografica significa più bisogno di acqua: dunque, col passare del tempo, c’è una concorrenza sempre maggiore, per una risorsa che è sempre più limitata rispetto al fabbisogno. Senz’altro, il controllo delle risorse idriche è un fattore che potrà portare conflitti. Ci si dimentica che l’acqua è assolutamente essenziale alla vita così come lo è l’aria.

    D. – Non si può pensare, dal lato opposto, agli sprechi che invece ci sono in Occidente e ai dati in crescita, nonostante la crisi, del consumo di acqua in bottiglia. Quale potrebbe essere una politica efficace?

    R. – Il consumo di acqua in bottiglia è una moda, è una cosa spinta dal mercato, è un grandissimo lusso bere acqua in bottiglia. Credo che in Occidente i maggiori sprechi siano dovuti alle infrastrutture che perdono acqua. Ne facciamo un utilizzo veramente abbondante, è un bene preziosissimo. Il problema dell’acqua è che non manteniamo le aree naturali - che sono essenziali anche come bacini di raccolta dell’acqua piovana - se noi non ci occupiamo del territorio, i bacini si riducono. L’acqua va conservata e poi va trasportata laddove le persone, le industrie, l’agricoltura, ne hanno bisogno.

    D. – C’è, infatti, anche un’altra chiave di lettura: la tutela del Creato di cui, come ci ha ricordato Papa Francesco in questi giorni, siamo custodi. Cosa può fare ognuno di noi nel piccolo della propria vita?

    R. – Per quanto riguarda i Paesi più poveri, dove c’è il problema dell’acqua e della conservazione dell’acqua pulita - per cui anche la questione dei servizi igienico-sanitari non va trascurata perché se non esistono servizi igienici, la possibilità di inquinare l’acqua e di trasmettere malattie rimane altissima - a livello di solidarietà, di equità di accesso a questo bene assolutamente essenziale credo che sia i governi occidentali che i singoli possano fare molto, sostenendo le iniziative mirate a portare un riequilibrio sociale, anche laddove non c’è l’acqua. Certo, possiamo tutti consumare meno acqua quando ci laviamo le mani, facciamo la doccia, cuciniamo, laviamo la macchina, annaffiamo i prati: queste sono scelte che poi dipendono anche dalla disponibilità. Nell’Africa subsahariana, fino al 25% del tempo della famiglia viene dedicato a cercare acqua, per cui se uno passa un quarto del proprio tempo solo ad andare a prendere l’acqua e riportarla a casa, ovviamente non può lavorare, non può studiare, non può fare un orto, non può accudire i bambini, dunque ecco come la carenza d'acqua sia un fattore di povertà. Trasferire un po’ di risorse economiche per rimediare a questo problema è assolutamente un atto dovuto: il nostro appello è che ci sia un sostegno da parte della cittadinanza.

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    Il primo Museo sulle radici del cristianesimo: sarà pronto a Gerusalemme nel 2015

    ◊   Un grande Museo in Terra Santa per custodirne l’eredità, conoscerne meglio la storia e vivere con più serenità anche il presente. Questo è il progetto all’origine del "Terra Sancta Museum", un complesso espositivo permanente di oltre 2000 metri quadrati, composto di due sedi e articolato in tre Musei: archeologico, multimediale e storico. L'iniziativa richiama anche l'approfondimento presente sul nostro sito web dal titolo "Il Cammino di Pietro" che ripercorre la nascita del cristianesimo in Terra Santa. Il complesso espositivo di Gerusalemme sarà pronto nel 2015 nel cuore della Città vecchia e rappresenta una precisa volontà, come spiega il custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, promotore dell’iniziativa. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:

    R. – A Gerusalemme, si possono trovare cenni della presenza cristiana, ma non c’è nessun luogo che ti parla in maniera sistematica, dall’origine fino ad oggi, della storia della presenza cristiana in Terra Santa, che invece è un aspetto importante. Quindi, questo è il motivo di fondo. L’altro motivo è aiutare i pellegrini, innanzitutto, ma anche i residenti, a prendere coscienza della ricchezza di questa storia, di questa presenza attuale. Sarà accessibile a tutti: cristiani, ebrei e musulmani. Lo scopo è proprio quello di presentare in maniera positiva, senza polemica, la nostra storia, che è anche la storia di questo Paese, con il desiderio che diventi un luogo di incontro per tutti.

    D. – Conoscere il passato serve anche a vivere il presente?

    R. – E’ vero. Ci rendiamo subito conto che certi fenomeni non sono nuovi e magari ritornano su se stessi con modalità nuove, ma con dinamiche che sono simili. Conoscere la storia ci aiuta ad avere una percezione del presente più reale, concreta, e ci aiuta anche a guardarlo con un certo distacco.

    D. – A progetto concluso ci saranno due sedi, il Convento della Flagellazione e il Convento di San Salvatore, con tre musei in tutto, a iniziare da un museo archeologico situato proprio al Convento della Flagellazione, all’inizio della Via Dolorosa che porta al Santo Sepolcro. Esattamente, qui il visitatore cosa troverà?

    R. – La storia del cristianesimo antico, com’era Gerusalemme al tempo di Gesù e quello che è stato trovato in quel periodo, su quei luoghi. Poi, ci sarà sempre all’inizio della Via Dolorosa una parte audio-visuale, che consentirà di capire la storia della Via Dolorosa e soprattutto del Santo Sepolcro. La terza parte del Museo è infine a San Salvatore e ha un carattere più storico: vi si racconterà, dal periodo delle Crociate ad oggi, come abbia funzionato la Custodia dei luoghi santi e lo sviluppo della comunità cristiana in quel periodo.

    D. – In questo ambito, quindi sottolineerete anche le vostre tre missioni: la custodia, l’accoglienza e la cura della comunità, di cui fa parte anche questa stessa attività, perché sarà anche un’offerta di lavoro...

    R. – Noi abbiamo tantissime persone che lavorano assieme a noi. E’ importante creare occasioni di lavoro, ma anche lavoro qualificato. Un museo richiede competenze nuove, preparazioni, qualificazioni, qualcuno che sappia gestire questo ambiente di carattere culturale. Credo sia un aspetto molto bello e molto importante.

    D. – Nell’ottica della realtà storico-politico-sociale che viviamo oggi, quale è il suo auspicio circa la presenza di questo complesso?

    R. – Credo sia importante – soprattutto in questo periodo di grandi divisioni, di tanti problemi – investire nella cultura, perché non abbiamo bisogno solo di pace, di giustizia, di pane e di lavoro, ma anche di senso delle cose che facciamo, del nostro stare qui, della nostra missione. E queste iniziative di carattere culturale alto, sono un faro in questo senso.

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    Il ricordo di mons. Giovanni Nervo:con la Caritas a servizio degli ultimi

    ◊   “Un gigante della carità”: così oggi si ricorda mons. Giovanni Nervo, spentosi ieri a 94 anni. Padovano, in gioventù assistente delle Acli e cappellano di fabbrica, mons. Nervo ha per primo guidato e organizzato per 15 anni la Caritas italiana, ha creato la Fondazione Zancan e presieduto l’Associazione nazionale di volontariato della Protezione Civile. Una vita all’insegna del servizio e dell’accoglienza agli ultimi, una scelta maturata sin dall’infanzia, come ricorda mons. Giuseppe Pasini, amico e successore di mons. Nervo alla guida della Caritas. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:

    R. – Credo che nascesse anzitutto da un’esperienza di povertà che lui ha fatto, perché è nato povero e vissuto povero. E' vissuto sempre con uno stile di grande sobrietà, perché portava avanti l’idea che quando noi consumiamo il superfluo è come se rubassimo ai poveri. E personalmente ha vissuto questa convinzione profonda anche quando ha amministrato miliardi, quando era presidente della Caritas. E ha mantenuto la sua povertà fino alla morte. Prima di morire, ha lasciato alla Caritas qualche suo risparmio, perché provvedesse ai suoi funerali, perché non voleva essere di peso alla sua comunità. E praticamente, è morto senza nulla.

    D. – Mons. Nervo tra le altre cose ha creato la Fondazione Zancan, una fondazione di studio e di sperimentazione sia di politiche sociali sia dei servizi sociali: da cosa nasce questa intuizione?

    R. – Lui vedeva importante che non ci si limitasse a fare un po’ di assistenza ai poveri, ma si lavorasse anche per una struttura di vita sociale tale da consentire ai poveri di sentirsi uguali agli altri. E siccome si tratta di affrontare i problemi di concreti della gente, dentro alla Fondazione Zancan lui ha voluto aprire sempre al dialogo non solo con le forze cattoliche, ma anche con altre che avessero una ispirazione magari diversa ma che fossero disponibili a mettersi in discussione per cercare il meglio per le fasce più deboli.

    D. – Mons. Nervo ebbe la possibilità di chiedere direttamente a Paolo VI quali fondamenta dovessero sorreggere la Caritas, nata appunto dalla sua intuizione. Quali sono stati i binari che lo hanno sempre guidato in questa attività?

    R. – Accompagnare le comunità cristiane affinché diventassero soggetto di carità e perché attuassero al loro interno la scelta preferenziale dei poveri. La seconda idea che ha portato avanti è che il primo gradino della carità è la giustizia: quando è stato eletto Papa Francesco, lui ha avuto un sussulto, una grande gioia perché diceva: “Le grandi idee che noi abbiamo portato avanti hanno trovato la loro esaltazione maggiore, proprio nel nuovo Papa”.

    D. – Nel suo operato, tanto spazio è stato riservato anche ai giovani, al volontariato…

    R. – Al volontariato sì, ma nella cornice di una visione della carità concepita come condivisione: quello che noi abbiamo, quello che noi siamo è dono di Dio, il Signore i doni li dà all’uno o all’altro, ma perché siano di tutti. La seconda cosa è che la carità costruisce comunione e costruisce la pace.

    D. – Mons. Nervo fu anche colui che nel 1976 chiese e ottenne che la Caritas accogliesse gli obiettori di coscienza in Servizio civile. Ci sono stati tanti frutti…

    R. – Nella Convenzione della Caritas, sono passati circa 100 mila giovani: sono giovani che hanno maturato nel servizio ai poveri – perché questo facevano – hanno maturato molte volte anche delle scelte profetiche per la loro vita: 40 obiettori ogni anno – mediamente – hanno fatto la scelta di consacrazione al sacerdozio. Quindi, mons. Nervo ha dato un contributo al volontariato, ma ha dato un contributo anche alla causa della pace.

    D. – Un’idea che è viva, che è feconda ancora e che ha seminato nella Caritas mons. Nervo è quella dei gemellaggi tra le varie comunità ecclesiali come strumento di ricostruzione dopo le grandi tragedie…

    R. – Una cosa avevamo avvertito è che la "vera caritas" – la carità vera – è quella che aiuta le persone fin dove emerge il bisogno. E allora ecco: il gemellaggio vuol dire che c’è una diocesi che si faceva carico di creare accanto a ciascuna parrocchia una specie di presidio, affinché si stesse accanto alla gente e perché le persone sentissero che non erano abbandonate.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Telegramma al Papa Francesco dell'imam di Al Azhar el Tayyeb

    ◊   Il gran imam di al Azhar, Ahmed el Tayyeb, ha inviato un messaggio di congratulazioni a Papa Francesco nel quale auspica “un mondo pieno di cooperazione e amore per assicurare valori comuni e mettere fine alla cultura dell’odio e della diseguaglianza”. Nel telegramma el Tayyeb - massima istituzione del mondo sunnita - fa le congratulazioni anche “ai fratelli cattolici di Occidente e Oriente” per la loro scelta, auspicando che il nuovo pontificato contribuisca ad una “epoca positiva per tutti i popoli in un mondo che cambia sempre e che ha bisogno di stabilità e di pace”. (R.P.)

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    Crisi a Cipro. Mons. Soueif e i leader cristiani chiedono ai ciprioti pace ed unità

    ◊   “Di fronte a questa crisi è importante che la comunità resti unita”. Così, in un’intervista all'agenzia Sir, l’arcivescovo maronita di Cipro, monsignor Youssef Soueif, sulla drammatica situazione economica dell’isola. “La Chiesa ortodossa, che è la più grande dell’isola - aggiunge l’arcivescovo - ha dichiarato di essere pronta a mettere a disposizione del governo cipriota tutti i suoi beni per far fronte all’emergenza economica. Vedo qui una posizione profetica, evangelica e umana molto importante. Noi come Chiesa cattolica maronita, che rappresentiamo una comunità minoritaria nell’isola, procediamo in questa stessa direzione e stiamo cercando tramite le nostre reti ecclesiali e sociali, in particolare tramite l’organizzazione Caritas, di rendere più visibile la solidarietà nella nostra società che soffre”. Il futuro appare cupo ma, dice mons. Soueif, “non è la prima volta che Cipro affronta delle difficoltà. Probabilmente la crisi attuale è la più grave degli ultimi decenni, ma nello spirito di solidarietà, sia a livello interno sia a livello europeo, insieme a una gestione chiara e trasparente della crisi, riusciremo a uscire”. La popolazione cipriota, aggiunge l’arcivescovo “non può pagare un prezzo così alto” e quindi “è importante che vengano riviste quanto prima le modalità d’intervento da parte dell’Europa”. Dal canto loro i leader cristiani dell'isola che fanno parte del Consiglio Mondiale delle Chiese chiedono di mantenere una atmosfera di pace nella crisi finanziaria. Ricordando che le Chiese sono “sempre impegnate a promuovere il dialogo e la libertà religiosa” – spiega una nota pervenuta all’agenzia Fides – i leader rimarcano che, specialmente in un momento difficile per la popolazione, occorre mantenere fermi valori come “il dialogo interreligioso, il rispetto dei diritti umani, la pace, la riconciliazione”, che hanno dato frutti nella storica costruzione della pace sull’isola. I capi cristiani, guidati dall'arcivescovo Chrysostomos II di Cipro, ribadiscono il loro impegno a incontrare il mufti di Cipro, capo islamico, per condividere discorsi su temi come pace, diritti umani e libertà religiosa. In tal modo le religioni possono dare il loro specifico “contributo di valori” per la soluzione della crisi economica presente: “E’ nostra ferma convinzione che i leader religiosi hanno una responsabilità e un ruolo unico da svolgere nel processo di pace” e nell’aiutare la nazione ad affrontare le sfide economiche, sociali e politiche. I leader cristiani chiedono il sostegno di altri leder religiosi, a livello internazionale, in questa delicata fase della storia dell’isola. (R.P.)

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    Il Patriarca Beshara Raï: non possiamo accogliere in Libano tutti i profughi siriani

    ◊   «Il Libano non può sostenere il peso dei tanti rifugiati siriani. Il nostro cuore e le nostre porte sono aperti, ma accogliere un simile numero di persone va oltre le nostre capacità sociali, economiche e politiche». In una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, il cardinale Béchara Boutros Raï esprime la sua preoccupazione per l’enorme numero di siriani che continua a cercare una via di scampo nel Paese dei Cedri. «Noi siamo appena quattro milioni di abitanti – spiega il patriarca maronita – e l’ingresso di rifugiati su così vasta scala non può che avere gravi conseguenze. Peraltro i siriani varcano il confine portando con sé il conflitto. Noi li sosteniamo al 100%, ma dobbiamo preservare anche la nostra cultura». Le stime ufficiali parlano di circa 200mila profughi siriani in Libano. Ma è più probabile che siano circa 500mila, se non addirittura di un milione. In tanti, infatti, non si registrano presso le Nazioni Unite per paura che i loro dati e le loro fotografie siano diffusi. Il cardinal Raï fa notare come nel suo Paese abbiano trovato rifugio anche 500mila palestinesi - «muniti di armi leggere e pesanti» - e ne ricorda il coinvolgimento nello scoppio della guerra civile. Nel 1975 i rifugiati palestinesi in Libano erano più di 300mila, tra cui diversi guerriglieri dell’Olp. «Li abbiamo accolti e loro hanno scatenato il conflitto. Appoggiamo la loro causa, ma non possiamo permettere che ci puntino le armi contro. E lo stesso vale per i siriani. Dobbiamo imparare dalla nostra storia». Per il patriarca maronita è necessario creare in Siria delle aree sicure in cui accogliere gli sfollati. In questo modo si renderebbe più semplice un loro ritorno a casa al termine della guerra. Il cardinal Raï invita quindi la comunità internazionale a fare in modo che «governo e opposizione siriana si siedano al tavolo dei negoziati». Un tavolo a cui – secondo il porporato libanese - dovrebbe sedersi lo stesso Bashar al Assad. «Affinché non diventi un monologo, c’è bisogno di almeno due interlocutori. E chi può parlare a nome del governo se non il presidente?». Il porporato è fermamente contrario alla possibilità che i Paesi occidentali favoriscano l’emigrazione cristiana dal Medio Oriente e in particolare dalla Siria. «Sarebbe un crimine contro il mondo arabo. I cristiani abitano queste terre sin dai tempi di nostro Signore Gesù Cristo. E hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo della cultura araba. Il cristianesimo deve continuare ad aggiungere sapore al Medio Oriente. E se l’occidente vuole davvero aiutare i nostri fratelli siriani, deve porre fine al conflitto». (R.P.)

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    Centrafrica: ripresa dei combattimenti tra militari e ribelli

    ◊   A poche ore dallo scadere dell’ultimatum al governo e dall’annunciata ripresa delle ostilità da parte della coalizione ribelle della Seleka, scontri sono segnalati a Bossangoa, importante centro abitato della prefettura dell’Ouham (nord-ovest). “Poco prima che le comunicazioni venissero interrotte, si è avuto la conferma di scontri in corso tra ribelli e Forze armate centrafricane (Faca). Ora sembra che la Seleka sia riuscita a prendere il controllo della località” dice all'agenzia Misna dalla capitale Bangui padre Cyriaque Gbate, segretario generale della Conferenza episcopale centrafricana. L’esito dell’offensiva non è stato ancora confermato da fonti governative mentre il portavoce della Seleka, Eric Massi, ha annunciato che “ci sono stati pochi combattimenti, la conquista della città è avvenuta pochi minuti dopo che i soldati erano andati via. Ora stiamo cercando di ristabilire la sicurezza”. Ufficialmente si tratta del primo scontro diretto tra la ribellione e l’esercito dalla fine del cessate il fuoco, decretato mercoledì sera in un modo unilaterale dagli insorti che ieri sarebbero entrati a Bouka e Batangafo, due centri del nord del Paese. “Nella capitale c’è un clima di psicosi, la gente è stanca della guerra e chiede alle due parti di rispettare l’accordo firmato a Libreville, convinta che per risolvere il conflitto c’è una sola strada percorribile: quella del negoziato politico” prosegue padre Gbate, aggiungendo che “si ha l’impressione che la Seleka stia cercando pretesti per continuare a conquistare terreno dal nord-est fino a ovest, con il rischio concreto di far precipitare il Paese nel caos totale”. Il mediatore della Comunità economica dell’Africa centrale (Ceeac), il presidente congolese Denis Sassou Nguesso, è atteso domani a Bangui assieme al suo omologo ciadiano Idriss Deby Itno per nuove consultazioni alle quali dovrebbero partecipare anche i cinque ministri-ribelli del governo di unità nazionale, trattenuti dalla base del gruppo armato a Sibut da domenica scorsa. “Al di là dell’impegno importante della comunità regionale, il conflitto in Centrafrica deve essere preso in considerazione a livelli più alti, dalla comunità internazionale, prima che sia troppo tardi” prosegue il segretario delle Conferenza episcopale, deplorando “il silenzio di tanti Paesi su quanto sta accadendo ai civili”, ma soprattutto il “coinvolgimento diretto di nazioni vicine che forniscono un sostegno materiale e logistico alla ribellione”. L’offensiva della Seleka è cominciata il 10 dicembre 2012 per interrompersi, almeno sulla carta, dopo l’11 gennaio, data della firma dell’accordo di pace di Libreville. Media e osservatori hanno sempre evidenziato la grande facilità con la quale i ribelli conquistavano importanti località di vaste aree del paese, essendo ben armati ed equipaggiati. Fonti locali della Misna hanno riferito che tra le fila della coalizione c’è una grande maggioranza di uomini ciadiani e sudanesi, mentre i beni saccheggiati nel corso dell’offensiva sono sistematicamente trasportati oltre confine. “I nostri vicini devono anche loro dare prova di buona volontà politica per fermare la ribellione, che genererà instabilità nell’intera regione, ad esempio facendo controllare o chiudere i propri confini per impedire il transito di ribelli e armi verso il Centrafrica” insiste padre Gbate. Il segretario generale della Conferenza episcopale si dice anche preoccupato per la sicurezza delle chiese e delle missioni “finite nel mirino dei ribelli che distruggono edifici religiosi, case e altre strutture dove derubano tutto quello che trovano” nelle diocesi da loro conquistate; come a Bangassou, dove hanno portato via ben 18 veicoli. (R.P.)

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    Mons. Kaigama: le critiche alla Chiesa non cancellano l'opera di evangelizzazione

    ◊   “I continui attacchi alla Chiesa cattolica da parte di alcuni studiosi e media occidentali non possono cancellare il buon lavoro svolto dalla Chiesa in tutto il mondo sin dalla sua fondazione da parte di Gesù Cristo, 2000 anni fa”. Lo ha affermato mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, nella sua omelia della Messa di ringraziamento per i 150 anni di presenza in Nigeria della Società delle Missioni Africane (Sma). Mons. Kaigama ha sottolineato inoltre che “il modo negativo nel quale alcuni analisti e commentatori parlano della Chiesa cattolica può indurre in tentazione persino i cattolici ferventi ad odiare il proprio cattolicesimo”. Ma questo secondo l’arcivescovo di Jos non può nascondere la realtà positiva incarnata dalla Chiesa cattolica. “Coloro che descrivono la Chiesa cattolica solo in termini di scandali, difficilmente pongono la loro attenzione sugli oltre 400.000 sacerdoti, più di 5.000 vescovi, oltre un milione di religiose e religiosi che in modo disinteressato fanno un buon lavoro in diverse parti del mondo. Difficilmente si menzionano le oltre 250.000 scuole, 160.000 istituzioni sanitarie e altre opere gestite dalla Chiesa”. Per quanto riguarda il tema della pedofilia mons. Kaigama ha affermato che “mentre la Chiesa cattolica accoglie con favore le critiche costruttive e reputa che i pochi sacerdoti che abusano dei bambini o commettono altri delitti devono essere puniti, non si deve dimenticare che continuano ad esservi abusi sui bambini nelle case, nelle scuole e in altre comunità religiose e che questi crimini devono essere portati alla luce. Alcuni credono che abolendo il celibato tutti i problemi sessuali saranno risolti, ma si dimentica che ci sono stati abusi anche da parte del clero sposato. Si ricorda che fino ad un certo periodo vi erano sacerdoti cattolici sposati, ma il celibato è stato adottato perché il matrimonio non ha aiutato i sacerdoti a dedicarsi totalmente al loro servizio”. Il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria ha infine ringraziato i missionari della Sma per la loro opera di evangelizzazione svolta nel Paese ed ha ricordato l’impegno missionario intrapreso ora dagli stessi nigeriani: “sono felice che i nostri figli sono diventati sacerdoti della Sma e membri di altre congregazioni religiose e sono andati in terre straniere per contribuire all'evangelizzazione”. (R.P.)

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    Coree: dopo i test nucleari Seul autorizza l'invio di aiuti umanitari al Nord

    ◊   La Corea del Sud ha approvato questa mattina l'invio di aiuti umanitari al Nord per la prima volta da quando la tensione bellica e le continue provocazioni militari di Pyongyang hanno costretto Seoul a interrompere ogni forma di cooperazione. Kym Hyung-suk, esponente del governo, sottolinea: "L'approvazione è stata decisa solo per scopi umanitari. Non deve essere letta come un messaggio di apertura, soprattutto dopo le recentissime provocazioni militari del regime". L'associazione scelta per portare questi aiuti è la Eugene Bell, charity americana cristiana che coopera da tempo in programmi di prevenzione contro la tubercolosi in Corea del Nord. E proprio medicinali per la cura della Tbc - per un valore di 605mila dollari - saranno portati dalla Fondazione con questo viaggio. La situazione nella penisola coreana continua comunque a essere molto tesa. Sin dal 2008 - riferisce l'agenzia Asianews - le continue sperimentazioni nucleari del regime hanno provocato la forte contrarietà della comunità internazionale e di Seoul, che ha chiesto anche al nuovo dittatore Kim Jong-un di "fare un passo indietro" sul programma atomico in cambio di maggiori aiuti economici e finanziari. Nel dicembre 2012 e nello scorso febbraio, però, il governo del Nord ha risposto con due esperimenti nucleari - testate portate da un razzo - che sono stati presentati come "esperimenti meterologici". L'Onu ha approvato in prima battuta un nuovo round di sanzioni economiche, ma Pyongyang ha risposto minacciando in maniera diretta Seoul e persino Washington. Nel frattempo, il Consiglio Onu per i diritti umani ha deciso ieri di istituire una Commissione d'inchiesta sui crimini contro l'umanità in atto nella Corea del Nord. La Commissione nasce da una risoluzione del Palazzo di vetro, sollecitato a fare questo passo il 7 marzo 2013, in occasione del lancio di un nuovo rapporto e della diffusione di immagini satellitari sul progressivo inglobamento di alcuni villaggi e della loro popolazione civile nei campi di detenzione politica. (R.P.)

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    Indonesia: a West Java abbattuta la chiesa di Bekasi

    ◊   I leader cristiani invitano i fedeli alla calma, evitando ogni gesto "ostile" che potrebbe esacerbare ancor più gli animi. Tuttavia, la tensione è altissima e non si escludono episodi violenti in risposta alla demolizione della Huria Kristen Batak Protestant (Hkbp) Setu Church di Bekasi, nella provincia indonesiana di West Java; l'abbattimento dell'edificio è stato eseguito nella tarda serata di ieri, nonostante l'appello lanciato dalla comunità scesa in piazza a difesa del luogo di culto. Le autorità non hanno voluto ascoltare le ragioni della minoranza cristiana, distruggendo - dopo un braccio di ferro durato mesi - una chiesa utilizzata da oltre 13 anni per le funzioni del fine settimana. Per l'amministrazione della reggenza di Bekasi - riporta l'agenzia AsiaNews - il provvedimento di demolizione trova una base giuridica nella mancanza del permesso di costruzione, il famigerato Imb (Izin Mendirikan Bangunan). L'iter per la costruzione di una chiesa in Indonesia - cattolica o protestante - è complicato e possono trascorrere da cinque a dieci anni prima di ottenere tutte le autorizzazioni. La delibera scritta che permette l'apertura di un cantiere è rilasciata dalle autorità locali. La vicenda si complica se si tratta di un luogo di culto cristiano: serve infatti il nulla osta di un certo numero di residenti nell'area in cui viene costruito l'edificio e del gruppo per il dialogo interreligioso del posto. E spesso subentrano "non meglio precisate motivazioni" che spingono i funzionari a bloccare i progetti, dietro pressioni di movimenti radicali islamici. La chiesa protestante di Setu non avrebbe avuto i documenti in regola, sebbene i rappresentanti della comunità cristiana abbiano più volte richiesto le autorizzazioni del caso senza ricevere risposte. Secondo fonti della Hkbp Setu Church di Bekasi, dietro la demolizione eseguita ieri - e bollata come "violazione gravissima alla libertà religiosa" - vi sarebbero anche delle ragioni di mero "opportunismo politico". Agli episodi di tensione interconfessionale e di attacchi alla minoranza cristiana che si ripetono con frequenza nel West Java, si aggiungono anche "calcoli elettorali" in vista del voto alle prossime regionali, in cui si dovrà scegliere il nuovo sindaco. Per ricevere le preferenze della maggiorana musulmana, in particolare i fondamentalisti islamici, i politici colpiscono i diritti e le libertà fondamentali delle minoranze, in particolare i cristiani. Il pastore Leonard Nababan, capo della Hkbp di Bekasi, invita i fedeli alla calma evitando qualsiasi atto o gesto violento. Al contempo, egli assicura di mettere in campo "tutti gli sforzi necessari per difendere il diritto alla libera pratica del culto". Ora l'attenzione di attivisti e osservatori si sposta sulla Gki Yasmin Church a Bogor, reggenza del West Java, anch'essa a rischio demolizione come avvenuto a Bekasi. (R.P.)

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    Myanmar: appello per il rispetto dei diritti etnici e religiosi delle minoranze

    ◊   Un forte appello per il rispetto dei diritti etnici e religiosi delle minoranze in Myanmar: lo hanno lanciato un gruppo di Organizzazioni non governative che include “Human Rights Watch”, “Christian Solidarity Worldwide”, “Chin Human Rights Organization” (Chro), “Kachin Women Association Thailand” (Kwat). Il forum chiede alla comunità internazionale, in particolare agli Usa e alla Unione Europea, di fare pressioni perché tali temi siano inseriti nell'agenda delle riforme in Myanmar. In una nota inviata all'agenzia Fides, Salai Za Uk Ling, attivista dell’organizzazione Chro racconta che bambini e giovani cristiani di etnia Chin “sono costretti a convertirsi al buddismo in cosiddette ‘scuole di sviluppo per la formazione dei giovani’ gestite dai militari”. “La discriminazione su base religiosa ed etnica è profondamente radicata e istituzionalizzata. Le riforme dovrebbero smantellare le strutture che attuano l'assimilazione forzata delle minoranze etniche e religiose”, afferma. Il forum delle Ong ricorda “l’offensiva dell'esercito birmano contro i civili nello Stato Kachin, il conflitto e le sofferenze dei Rohingya nello Stato Rakhine, le continue violazioni della libertà religiosa e di altri diritti umani nello Stato Chin”. Chiede perciò di “mantenere alta la pressione sulla Birmania perchè si affrontino le violazioni dei diritti umani e il governo di Thein Sein si impegni in un significativo processo di pace”, consentendo “immediato accesso agli umanitari in quelle aree”. Secondo gli ultimi episodi riportati, nello Stato di Chin una ragazza di 13 anni è stata violentata dai militari e molti ragazzi sono costretti a lavori pesanti dall’esercito. Le Ong notano anche la questione cruciale della libertà religiosa che viene calpestata, affermando che “garantire la parità di diritti per le minoranze etniche e religiose è un passo fondamentale sulla strada verso la democrazia, la libertà e la pace duratura”. Continuano gli scontri fra buddisti e musulmani nella città di Meikhtila, dove da ieri - riferisce l'agenzia AsiaNews - vige il coprifuoco. Questa notte i buddisti hanno compiuto altri attacchi contro moschee e abitazioni della minoranza musulmana. Il bilancio dei morti è salito a 20 persone. Almeno cinque gli edifici religiosi dati alle fiamme. Diversi monaci buddisti avrebbero impedito alle autorità di spegnere le fiamme e di salvare le persone intrappolate negli edifici. Continuano intanto gli scontri fra buddisti e musulmani nella città di Meikhtila, dove da ieri vige il coprifuoco. Questa notte i buddisti hanno compiuto altri attacchi contro moschee e abitazioni della minoranza musulmana. Il bilancio dei morti è salito a 20 persone. Almeno cinque gli edifici religiosi dati alle fiamme. (R.P.)

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    Sri Lanka: cristiani e buddisti soddisfatti per la risoluzione Onu sui crimini di guerra

    ◊   Membri della società civile accolgono soddisfatti la nuova risoluzione Onu sui crimini di guerra commessi in Sri Lanka durante il conflitto, approvata ieri a Ginevra. Presentato dagli Stati Uniti al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc), il provvedimento è passato con 25 voti favorevoli - tra cui quello dell'India -, 13 contrari e 8 astensioni. Colombo - riferisce l'agenzia Asianews - ha respinto il risultato, accusando i Paesi stranieri di aver votato contro lo Sri Lanka solo per compiacere i tamil. La nuova risoluzione riprende il provvedimento già approvato nel 2012 e invita l'esecutivo del presidente Mahinda Rajapaksa a condurre indagini "indipendenti e credibili" sui presunti crimini di guerra commessi dalle forze armate, e ad attuare le raccomandazioni della Lessons Learnt and Reconciliation Commission (Llrc). La Llrc è la commissione speciale voluta da Rajapaksa per indagare le ultime fasi del conflitto. Colombo respinge le accuse e sostiene di aver già avviato progetti a favore delle vittime di guerra, per lo più tamil. Tuttavia, alcuni srilankesi rivelano ad AsiaNews che il governo "spende molti soldi per organizzare incontri, convegni e conferenze stampa". Manifestazioni "del tutto inutili, che tolgono fondi al processo di reinsediamento dei profughi". Così "centinaia di famiglie tamil continuano ad avere gravi problemi". Nihal Premachandra, un negoziante buddista del distretto di Kandy (Central Province), conferma questa situazione: "La priorità assoluta del governo è difendere i propri patrimoni e mantenere il controllo sul mare e sul territorio. Senza proteggere i diritti fondamentali dei tamil". Gli fa eco un cattolico di Panadura: "Il governo ha dato priorità allo sviluppo dell'industria turistica. Se andiamo nel nord - zona a maggioranza tamil e più colpita dal conflitto - si possono vedere ovunque cantieri e strade, ponti, ferrovie ed edifici in costruzione. Ma niente di tutto questo rientra nei progetti a favore delle vittime. Prima dobbiamo pensare agli esseri umani e alla loro dignità". Una fonte locale, che ha scelto l'anonimato per motivi di sicurezza, rivela ad AsiaNews che "la maggioranza della popolazione non sa nemmeno che esiste una commissione speciale (Llrc) per i crimini di guerra". Il rapporto steso dalla Llrc, infatti, è disponibile solo online in lingua tamil e inglese. "Ma la maggior parte della gente - spiega - non usa internet e parla singalese. Il governo di prende gioco dei propri cittadini". Su una popolazione di 21,6 milioni di persone, il 73,8% sono singalesi. I tamil sono l'8,5%. Le lingue nazionali sono il singalese e il tamil, parlati rispettivamente dal 74% e dal 18% della popolazione. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 81

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.