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Sommario del 20/03/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alle Chiese cristiane e alle altre religioni: dialogo continua, rispetto e amicizia tra fedi diverse
  • Consiglio Ecumenico delle Chiese e Luterani: l'umiltà di Papa Francesco apre i cuori
  • In Vaticano il presidente del Brasile, Rousseff: aspettiamo Papa Francesco a Rio
  • Telefonata ieri pomeriggio di Papa Francesco a Benedetto XVI
  • Il potere dell'umiltà: una riflessione di fra Aldo Vendemiati su Papa Francesco
  • Gesuiti, Padre Nicolas: con Papa Francesco lavoreremo a servizio del Vangelo
  • Messaggio Cei: col Papa "speciale sintonia". Mons. Bregantini: Francesco, amico dei poveri
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • "Gli Usa al fianco di Israele": le prime parole di Obama in visita a Tel Aviv
  • Crisi di Cipro: dopo il "no" al piano di salvataggio, l'Ue aspetta da Nicosia un piano B
  • Il Patriarca caldeo, mons. Sako, a 10 anni da "Iraqi Freedom": la guerra fu un "male"
  • La Regione Sicilia abolisce le province. Dubbi da parte degli esperti
  • Bari Festival, presentato "L'anima attesa", film su don Tonino Bello
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Buenos Aires. Cristiani, ebrei e musulmani: "Papa Francesco uomo di comunione e dialogo"
  • Thailandia: Messe e preghiere dei cattolici thai per Papa Francesco
  • Sri Lanka: i cattolici hanno celebrato l’inizio del Pontificato di Papa Francesco
  • Gli ordinari di Terra Santa a Obama: Israele rispetti il diritto internazionale
  • Siria: ancora bombardamenti oltre il confine libanese
  • Cuba: il Venerdì Santo concessa giornata non lavorativa
  • Nigeria: dopo gli attentati i missionari e il vescovo di Kano chiedono il dialogo
  • Darfour: accordo di pace tra Karthoum e i ribelli
  • Congo: interrogativi e speranze dopo la resa di Bosco Ntaganda
  • Sierra Leone: oltre tremila bambini lavorano nelle cave per pagarsi gli studi
  • Pakistan: elezioni generali l’11 maggio, le prime senza militari al potere
  • Pakistan. Leader musulmani a difesa dei cristiani: punire gli abusi della blasfemia
  • Colombia: le Farc presentano "proposte minime" per un accordo di pace
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alle Chiese cristiane e alle altre religioni: dialogo continua, rispetto e amicizia tra fedi diverse

    ◊   Tenere viva nel mondo la sete dell'Assoluto. Questa l'esortazione indicata da Papa Francesco nel discorso rivolto ai rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali, del popolo ebraico e delle varie religioni, incontrati stamani nella Sala Clementina in Vaticano. Poco prima, il Pontefice aveva incontrato il Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I – con cui si è intrattenuto per circa 20 minuti e che più tardi ha ringraziato come "mio fratello Andrea" – e il Metropolita Hilarion, del Patriarcato di Mosca. Bartolomeo I e Hilarion hanno donato al Papa due icone mariane. Nell’incontro nella Sala Clementina, Papa Francesco – che ha espresso la "ferma volontà" di proseguire il cammino nel dialogo ecumenico – ha poi ricordato lo speciale vincolo spirituale con il popolo ebraico, l'importanza della cooperazione con i fedeli di altre religioni e la meta dell’unità tra i credenti in Cristo. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Papa Francesco, rivolgendosi ai delegati delle Chiese Ortodosse e delle Comunità ecclesiali d’Occidente, ha indicato una prospettiva intima e peculiare, quella tracciata dal suo sguardo proteso verso Piazza San Pietro in occasione, ieri, della Messa per l’inizio del ministero petrino:

    “Ho riconosciuto spiritualmente presenti le comunità che rappresentate. In questa manifestazione di fede mi è parso così di vivere in maniera ancora più pressante la preghiera per l’unità tra i credenti in Cristo e insieme di vederne in qualche modo prefigurata quella piena realizzazione, che dipende dal piano di Dio e dalla nostra leale collaborazione”.

    Il Pontefice, dopo aver chiesto ai rappresentanti delle Comunità cristiane una speciale preghiera affinché “possa essere un Pastore secondo il cuore di Cristo”, ha ricordato che il migliore servizio alla causa dell’unità tra i cristiani è vivere in pienezza la fede, dando “una testimonianza libera, gioiosa e coraggiosa”.

    “Più saremo fedeli alla sua volontà, nei pensieri, nelle parole e nelle opere, e più cammineremo realmente e sostanzialmente verso l’unità”.

    Il Papa si è poi rivolto ai rappresentanti del popolo ebraico, al quale – ha detto – ci lega uno “specialissimo vincolo spirituale”:

    “Vi ringrazio della vostra presenza e confido che con l’aiuto dell’Altissimo, potremo proseguire proficuamente quale fraterno dialogo che il Concilio auspicava e che si è effettivamente realizzato, portando non pochi frutti, specialmente nel corso degli ultimi decenni”.

    Salutando i rappresentanti di altre religioni, Papa Francesco si è rivolto in particolare ai musulmani:

    “Apprezzo molto la vostra presenza: in essa vedo un segno tangibile della volontà di crescere nella stima reciproca e nella cooperazione per il bene comune dell’umanità”.

    La Chiesa cattolica – ha spiegato il Pontefice – è consapevole dell’importanza del dialogo interreligioso:

    “La Chiesa cattolica è consapevole dell'importanza che ha la promozione dell'amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose; questo voglio ripeterlo: promozione dell'amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose. (...) Essa è ugualmente consapevole della responsabilità che tutti portiamo verso questo nostro mondo, verso l’intero creato, che dobbiamo amare e custodire. E noi possiamo fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace”.

    Ma soprattutto si deve tenere viva nel mondo “la sete dell’Assoluto”...

    “…non permettendo che prevalga una visione della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie più pericolose per il nostro tempo”.

    Il Papa ha ricordato, infine, il valore di testimoniare “l’originaria apertura alla trascendenza che è insita nel cuore dell’uomo”:

    “In ciò sentiamo vicini anche tutti quegli uomini e donne che, pur non riconoscendosi appartenenti ad alcuna tradizione religiosa, si sentono tuttavia in ricerca della verità, della bontà e della bellezza, di Dio, e che sono nostri preziosi alleati nell’impegno a difesa della dignità dell’uomo, nella costruzione di una convivenza pacifica fra i popoli e nel custodire con cura il creato”.

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    Consiglio Ecumenico delle Chiese e Luterani: l'umiltà di Papa Francesco apre i cuori

    ◊   Ma quali le prime impressioni e le aspettative nei riguardi di Papa Francesco dei rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle altre Religioni che hanno incontrato oggi il Pontefice? Al microfono di Adriana Masotti sentiamo il vescovo Munib Younan, presidente della Federazione Luterana Mondiale:

    R. – Thank you very much for this question...
    Grazie molte per questa domanda. Penso sia vero, ci sono grandi aspettative da parte di tutti noi su Sua Santità e penso che dobbiamo essere davvero più realistici che aspettarci solo qualcosa. Per me, è un buon segno che il nuovo Papa venga dal Sud, dall’Argentina: porta con sé il tratto del Sud, il richiamo all’emancipazione, e porta con sé l’attenzione ai poveri. Per me questo è essenziale - per noi, come luterani - che porti con sé queste radici nel suo ministero petrino. E’ molto incoraggiante per noi. E per noi come Federazione mondiale, lavorando con i poveri in tutto il mondo, questo è davvero un segno che tutti insieme possiamo realmente lavorare per la giustizia, per la pace, per togliere la povertà in questo mondo, per combattere il debito e per altre questioni che sono in agenda. Secondo, per me, è davvero significativa l’umiltà che lo contraddistingue e che mostra al mondo. Oggi, noi abbiamo bisogno di leader umili, che siano locali o mondiali, abbiamo bisogno che siano davvero umili e rivolti ai bisogni della gente, che non parlino solo dall’alto verso il basso, ma dal basso verso l’alto, dalla base. Terzo, come Federazione Luterana, quando incontrai il Papa emerito abbiamo parlato dell’anno della Riforma 2017, di come il Vaticano, la Chiesa cattolica, la Chiesa Luterana, la Federazione luterana potessero insieme celebrare il 500.mo anniversario della Riforma nel 2017. La Commissione ha già iniziato a lavorare al documento “From conflict to communion” e noi speriamo si possa celebrare insieme il 2017. E sono sicuro – questa è la nostra aspettativa – che si possa mostrare come luterani e cattolici siano testimoni uniti in questo mondo. Questa è una cosa molto importante. Il predecessori di Sua Santità, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, hanno parlato di Gerusalemme e del Medio Oriente e la nostra aspettativa è che, venendo dall’America Latina, dall’oppressione, lui possa parlare di giustizia per la Palestina e Israele e possa anche parlare per i cristiani del Medio Oriente, specialmente quelli in situazioni terribili, in tutta l’area dove i cristiani sono colpiti in Medio Oriente. Queste sono le aspettative dalla Federazione Luterana e penso che voi sappiate che non vediamo l’ora di cooperare, di lavorare insieme con lui attraverso il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Penso sia davvero essenziale per noi continuare questa cooperazione, questa testimonianza ecumenica. Il mondo dovrebbe dire: “Guarda come si amano e come testimoniano insieme - luterani e cattolici - in questo mondo”.

    Tutti stiamo conoscendo Papa Francesco, siamo ancora ai primi giorni e ai primi discorsi. Adriana Masotti ha chiesto al reverendo dr. Olav Kykse Tveit quale sia la sua impressione personale e quella del Consiglio ecumenico delle Chiese di cui è segretario generale:

    R. - It has been very inspiring to see how Pope Francis speaks to the people…
    E’ stato molto stimolante vedere come Papa Francesco parli alle persone, al cuore delle persone, ma anche come con questo cuore aperto e questo atteggiamento aperto ci invitino - rappresentando noi le famiglie cristiane e le Chiese cristiane nel mondo - a un comune pellegrinaggio. Ho ascoltato il suo messaggio e le sue preoccupazioni per i poveri, per la giustizia, sull’essere custodi dei nostri valori cristiani comuni, ma anche della nostra chiamata cristiana a servire il mondo. Penso questo crei molte opportunità per trovare un nostro terreno comune, ma anche prospettive future comuni.

    D. - Papa Francesco ha spiegato il significato della scelta del suo nome. Ha detto: povertà, pace e anche salvaguardia dell’ambiente e del Creato. Cosa evoca tutto questo in voi?

    R. - It is remarkable how he has taken this name and how he make this his program…
    E’ notevole come Papa Francesco abbia scelto questo nome e come lo abbia reso la sua missione: è molto stimolante per il cammino della Chiesa. Ci sarà un’assemblea quest’anno, dal tema “God of life, lead us to justice and peace”, cioè “Dio della vita, conducici alla giustizia e alla pace”. Penso che questa sia la visione di Francesco per la vita cristiana: pregare Dio che ci dia la vita, ma anche la responsabilità per una vita attenta, e fare ciò promuovendo la giustizia e la pace. Penso che abbiamo una forte visione comune, ma anche una comune agenda e siamo davvero convinti che per questo motivo lui abbia scelto il nome di Francesco e la sua missione.

    D. - Papa Francesco usa parole semplici, ma ciò che dice arriva direttamente al cuore di chi ascolta. Tra le cose che finora ha potuto ascoltare, c’è una in particolare che vuole sottolineare?

    R. - He is a man who is strong in is humbleness…
    E’ un uomo forte nella sua umiltà, è una persona umile, e apre la porta al cuore delle altre persone, ma questa è anche la sua forza. Proprio su queste basi noi tutti possiamo trovare una strada per parlare gli uni con gli altri, anche per capirci meglio e per servire insieme Dio in un modo nuovo.

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    In Vaticano il presidente del Brasile, Rousseff: aspettiamo Papa Francesco a Rio

    ◊   Un incontro cordiale con uno sguardo alla prossima Giornata mondiale della gioventù. È quanto ha riguardato l’udienza concessa questa mattina da Papa Francesco al presidente del Brasile, la sig.ra Dilma Rousseff. Dopo un primo saluto al cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e al segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti, il capo di Stato brasiliano si è intrattenuta per circa un quarto d’ora con il nuovo Pontefice, al quale ha rinnovato l’invito a recarsi a fine luglio a Rio per il prossimo raduno mondiale dei giovani.

    Al momento dello scambio dei doni, Papa Francesco ha regalato al presidente Rousseff una copia del Documento di Aparecida, in modo analogo a quanto fatto con il presidente argentino, Cristina Fernandez Kirchner, ricevuta due giorni fa.

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    Telefonata ieri pomeriggio di Papa Francesco a Benedetto XVI

    ◊   Ieri pomeriggio, poco dopo le 17, Papa Francesco ha chiamato al telefono il Papa emerito Benedetto XVI per fargli i più sentiti auguri in occasione della festa di San Giuseppe e manifestargli ancora la gratitudine sua e della Chiesa per il suo servizio. Il Papa emerito ha seguito con intensa partecipazione gli eventi di questi giorni e in particolare la celebrazione di ieri mattina e assicura al suo Successore la sua continua vicinanza nella preghiera.

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    Il potere dell'umiltà: una riflessione di fra Aldo Vendemiati su Papa Francesco

    ◊   Il potere del servizio è un “bel programma” per il Pontificato di Papa Francesco. Con queste parole, il religioso della Fraternità francescana di Betania, fra Aldo Vendemmiati, torna sul contenuto dell’omelia con la quale ieri il nuovo Papa ha inaugurato il suo ministero petrino. L’intervista è di Antonella Palermo:

    R. - E’ un effetto molto edificante, chiaramente in piena continuità peraltro con gli insegnamenti di Benedetto XVI, di Giovanni Paolo II e così via. Un effetto molto edificante questa sottolineatura della dimensione del potere come servizio.

    D. - Un messaggio che è anche in piena sintonia con la Quaresima che stiamo vivendo…

    R. - Indubbiamente. Ci avviamo verso il Giovedì Santo in cui proprio il Signore ci insegna che il servire è regnare, che il suo potere è stato esercitato lavando i piedi dei suoi discepoli. In questo, San Francesco - che è l’uomo evangelico - ha dato una testimonianza estremamente significativa: Francesco voleva che i superiori delle comunità non fossero chiamati priori, ma appunto "ministri" e quindi servi. Però, allo stesso tempo, in questa dimensione del servizio fino all’estrema dedizione di sé, nel servizio più umile, non bisogna vedere assolutamente una diminuzione dell’autorità di colui che serve, perché colui che serve deve servire come Cristo e a colui che serve, a colui che presiede la comunità, si deve la stessa obbedienza che si deve a Cristo.

    D. - Facendo riferimento ai sentimenti di bontà, di tenerezza con cui gli uomini e le donne dovrebbero relazionarsi, il Papa ha detto che “questo non è segno di debolezza ma di forza”…

    R. - Certamente. E’ soltanto il forte che può chinarsi sul debole, questa è la bellezza del messaggio evangelico: la grandezza suprema di Dio si manifesta nel chinarsi sul debole, addirittura nel farsi debole tra i deboli, nel farsi piccolo tra i piccoli.

    D. - Torniamo su questa parola che ha attraversato praticamente l’intera omelia: "custode", "custodia". Altrettanto similmente, il Papa è custode della Chiesa…

    R. - Certo, la Chiesa appartiene a Cristo e chi esercita il ministero che Cristo risorto ha affidato a Pietro è evidentemente un ministero di custodia. Il Successore degli Apostoli ha il compito di preservare, di custodire questa “sposa” per consegnarla a Cristo. Questo è un bellissimo programma pastorale per il Papa, per ogni vescovo e per ogni pastore della Chiesa.

    D. - Non so se lei ha avuto la stessa impressione, ma davvero - stando anche in Piazza San Pietro - ci sembrava che il carisma di questo nuovo Papa possa far avvicinare anche i non credenti…

    R. - Ci auguriamo che questa sua enorme carità pastorale possa far abbattere anche gli steccati ideologici, non solo quelli di stile ma anche quelli nelle convinzioni, perché il messaggio del Papa è, ed è stato fin dall’inizio, un messaggio che ci stimola a una profonda conversione, a un’adesione profonda a Gesù Cristo per non seguire le regole del mondo.

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    Gesuiti, Padre Nicolas: con Papa Francesco lavoreremo a servizio del Vangelo

    ◊   “C'è stata piena comunione di intenti su parecchi dei temi discussi e sono convinto che lavoreremo molto bene insieme al servizio della Chiesa in nome del Vangelo”. È l’affermazione con cui il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolas, commenta in una nota l’incontro avuto con Papa Francesco nel pomeriggio di domenica scorsa. Su “invito personale” del Pontefice, racconta, “alle 17,30 mi sono recato alla Casa Santa Marta, la residenza dove alloggiavano i cardinali presenti al conclave. Lui era all'ingresso e mi ha ricevuto con il consueto abbraccio in uso tra i gesuiti”. Padre Nicolas afferma di aver offerto al nuovo Papa “tutte le risorse di cui dispone la Compagnia, dato che nella sua nuova posizione – osserva – avrà bisogno di consigli, idee, persone, ecc. Mi ha mostrato la sua gratitudine e all'invito a visitarci in Curia e pranzare con noi ha risposto che lo farà con piacere”.

    L'incontro, prosegue il preposito generale dei Gesuiti, “è stato caratterizzato da serenità, gioia e comprensione reciproca sul passato, il presente e il futuro. Ho lasciato Santa Marta con la convinzione che varrà la pena collaborare pienamente con Lui nella Vigna del Signore”. Dal resoconto, emerge ancora una volta la semplice familiarità tipica degli atteggiamenti di Papa Francesco. Al mio arrivo, ricorda padre Nicolas, “alle mie scuse per non conoscere il protocollo ha insistito che tenessi con lui l'atteggiamento che ho con ogni altro gesuita, dandogli del ‘tu’, così da non preoccuparmi dei titoli di Santità o Santo Padre”. Analogamente, alla fine della visita, il Papa – scrive padre Nicolas – “mi ha aiutato ad indossare il cappotto e mi ha accompagnato alla porta. Là ho ricevuto un paio di saluti supplementari dalle Guardie Svizzere”. E conclude: “Di nuovo un abbraccio, un bel modo di incontrare e congedare un amico”.

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    Messaggio Cei: col Papa "speciale sintonia". Mons. Bregantini: Francesco, amico dei poveri

    ◊   Il Consiglio permanente della Cei, riunito in questi giorni a Roma, ha voluto rendere omaggio a Papa Francesco. In un messaggio il Consiglio parla di “speciale sintonia” col Pontefice. Alessandro Guarasci:

    ''Oggi, una volta di più, la Provvidenza ci ha fatto toccare con mano cos'è la Chiesa”. Così dice il messaggio della Consiglio permanente della Cei. “Dunque la Chiesa è una comunione che plasma” i “vescovi attorno al Successore di Pietro per una collegialità affettiva ed effettiva”, e questo comporta una “costante collaborazione” con Papa Francesco. I vescovi italiani, poi, si impegnano “a essere custodi di quanti sono affidati” alla loro “responsabilità, specialmente della vita più debole e indifesa: con discrezione e umiltà, nel silenzio, con una presenza costante e una fedeltà totale”. Al microfono di Antonella Palermo il vescovo di Campobasso-Boiano, Giancarlo Bregantini, parla del valore della povertà in Papa Francesco:

    R. – Una delle cose vincenti di questo Papa è che non lo fa per posa, ma per una convinzione che nasce da un cuore che ha incontrato Cristo, un Cristo povero, vero, e perciò capace di amare i poveri. Così, anche da oggi ha inserito i poveri dentro la custodia del Creato, cioè prendersi cura delle realtà più fragili e più preziose del Creato, che sono appunto i poveri.

    D. – Lei, come presidente della Commissione Cei per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia, la pace e la salvaguardia del Creato, come ha accolto questo riferimento alla salvaguardia del Creato?

    R. – Noi abbiamo scritto “salvaguardia”, ma già ieri avevamo suggerito alla Cei di cambiarlo con “custodia” del Creato. Oggi (ieri - ndr), è stato bellissimo vedere che il Papa ha fatto di questa parola “custos” attorno a Giuseppe la chiave vincente della sua parola di intronizzazione. Si sente il suo linguaggio non di perfetto italiano ma di straordinaria capacità comunicativa che ha questo Papa e questo è vincente.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Con amicizia e rispetto: l’udienza del Papa ai rappresentanti delle Chiese, delle comunità ecclesiali e di altre religioni.

    Fratelli per davvero: l'articolo, uscito sul quotidiano spagnolo “El mundo”, di Abraham Skorka, rabbino rettore del Seminario rabbinico latino-americano di Buenos Aires Marshall T. Meyer.

    Un dialogo sempre più intenso: sul rapporto tra ebrei e cristiani alla luce dell'elezione del Pontefice, anticipazione del confronto tra le storiche Anna Foa e Lucetta Scaraffia nel numero di aprile di “Pagine Ebraiche”.

    Nomen omen: il direttore sulla scelta del nome Francesco da parte del Pontefice.

    Un padre per tutti: le testimonianze raccolte da Cristian Martini Grimaldi a Plaza de Mayo, a Buenos Aires, per l’inizio del ministero del vescovo di Roma.

    Marcello Filotei sul mottetto che non ti aspetti nella messa d’inizio del ministero come successore di Pietro.

    Brueghel o i colori di tutte le passioni: Isabella Farinelli recensisce la mostra, a Roma, dedicata alla più importante dinastia di pittori fiamminghi.

    La bellezza del vivere insieme: sui tre grandi monoteismi e le sfide del XXI secolo, anticipazione dell'intervento del cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, insignito oggi del “Premio per la Pace” della Fondazione Ducci.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'intenzione della Cina di favorire il dialogo tra le due Coree.

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    Oggi in Primo Piano



    "Gli Usa al fianco di Israele": le prime parole di Obama in visita a Tel Aviv

    ◊   “Restiamo al fianco di Israele, perché è un nostro interesse di sicurezza”: è quanto ha ribadito il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il quale, arrivato a Tel Aviv in mattinata, ha poi lanciato un appello per la pace in Terra Santa. Ha parlato di legami indissolubili tra Usa e Israele, dicendosi fiducioso che tale alleanza sia destinata a conservarsi “per sempre”. Domani, Obama si recherà in Cisgiordania dove incontrerà anche il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas). E’ la prima visita all’estero del secondo mandato di Obama che ha fatto il primo saluto in ebraico. Dell’importanza e dei vari temi in discussione, Fausta Speranza ha parlato con la studiosa di Medio Oriente, Marcella Emiliani:

    R. – Obama deve ridefinire la sua agenda mediorientale e ovviamente Israele è e deve rimanere un punto fermo. Diciamo che il resto del Medio Oriente vorrebbe imporgli delle priorità: tra queste priorità, la prima è quella che riguarda il processo di pace con i palestinesi. Il problema, però, è che questo sembra essere l’ultimo dei temi che pressano in questo momento l’amministrazione americana. Diciamo che i due punti più importanti sono quelli che riguardano l’Iran e la Siria e in terzo luogo l’Egitto. Come ultimo punto c’è certamente il processo di pace. Il nuovo governo israeliano ha già – a parole – aperto, parlando di compromesso con i palestinesi. In realtà, nei fatti continua il processo di colonizzazione della Cisgiordania, il che significa che di processo di pace in questa fase non si può parlare.

    D. – Dunque, prof.ssa Emiliani, quali possono essere i frutti di questa visita di Obama in Israele?

    R. – Si possono dire quali siano le cose che Obama vuole da questo viaggio: se poi le porti a casa, questo è un'altra cosa. L'obiettivo più importante è di frenare Netanyahu per un eventuale attacco all’Iran. Netanyahu, da parte sua, vuole invece capire bene dagli Stati Uniti fin dove concederanno all’Iran di procedere con il processo di arricchimento dell’uranio per confezionare la bomba atomica. Netanyahu cerca una "red line" oltre la quale sapere che gli Stati Uniti gli daranno l’ok per un eventuale attacco all’Iran. Quindi, si sta parlando di un discorso molto importante e molto pericoloso.

    D. – Invece, da un colloqui sulla Siria cosa ci si può aspettare?

    R. – In questo momento, la cosa più pressante è che da parte dell’opposizione siriana ci si aspetta che gli Stati Uniti armino l'opposizione stessa. Gli Stati Uniti non vogliono farlo, perché sanno benissimo che in questa opposizione al regime di Assad ci sono dei jihadisti, quindi persone che l’hanno giurata a morte non solo a Israele ma anche agli Stati Uniti e che peraltro sono attestati vicino alle alture del Golan e quindi vicino ad Israele. Su questo evidentemente gli interessi di Stati Uniti e di Israele concordano. Però, c’è un problema di "timing". Finora, gli Stati Uniti nei confronti dell’opposizione siriana si sono mantenuti molto sulle generali, molto tiepidi diciamo, perché molto probabilmente privilegiano l’intesa con l’Iran: se armassero pesantemente l’opposizione al regime di Assad, l’Iran chiuderebbe automaticamente le porte a un qualsiasi dialogo con gli Stati Uniti. Quindi, è tutto un viaggio sul filo del rasoio, di questioni strategiche che riguardano non solo l’intera regione, ma l’intero pianeta, perché un Iran nucleare non fa certo piacere a nessuno. Sullo sfondo, poi, ci sono due problemi enormi: uno, sono i dieci anni dell’anniversario dell’operazione “Iraq Freedom”, che ha abbattuto la dittatura di Saddam Hussein, lasciando però un Iraq in preda a una anarchia abbastanza sanguinosa, come si è visto anche nelle ultime ore dagli attentati che ci sono stati. L’altro problema è relativo alle sorti di tutte le “primavere arabe”, prima di tutto quella in Egitto. Chiaramente, l’interesse degli Stati Uniti è salvaguardare l’accordo di Camp David, per questo hanno perfino sostenuto e finanziato i Fratelli musulmani. Ma è evidente che se la deriva jahdista e fondamentalista islamica dovesse aggravarsi - non solo in Egitto, ma anche in Tunisia – anche gli Stati Uniti dovrebbero cambiare la loro strategia.

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    Crisi di Cipro: dopo il "no" al piano di salvataggio, l'Ue aspetta da Nicosia un piano B

    ◊   La crisi economico-finanziaria di Cipro preoccupa la comunità internazionale. Dopo la bocciatura da parte del parlamento di Cipro sul prelievo forzoso dai depositi bancari, proposto da Unione Europea e Fondo monetario internazionale (Fmi), si attende ora un "piano B" di Nicosia per rispondere alle attese di stabilità di Bruxelles. Di fatto, nell’isola la situazione è difficile con le banche che riapriranno i battenti solo martedì prossimo. Ma c’è il rischio di contaminazione della crisi cipriota per il resto dell’Europa? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Luigi Cappugi, docente di Politica economica all’Università Lumsa:

    R. - Il rischio di contaminazione in questi casi c’è sempre, ma è solo un rischio, per fortuna, e non si traduce in avvenimenti disastrosi. Bisogna andare a vedere qual è la situazione di fondo, cioè quale sia la struttura economica di Cipro, l’andamento della sua economia e quindi della finanza. Se non si valutano tutte le variabili, restano semplicemente frasi che però possono aumentare la preoccupazione dei cittadini.

    D. - Quale potrebbe essere un piano alternativo, che però non sia come sempre basato sui sacrifici?

    R. - Non è detto che il "piano B" sia un piano di sacrifici, però deve esser un piano credibile. Cioè, chi deve tirare fuori i soldi deve poter vedere che i cittadini di Cipro abbiano intenzione di cambiare modo di pensare e quindi di agire.

    D. - Perché in questa fase c’è sempre difficoltà a inserire misure per lo sviluppo che forse, secondo alcuni economisti, potrebbero rimettere in moto la macchina dell’economia?

    R. - Per adottare quelle misure occorrono le risorse e se c’è la crisi come fanno ad esserci le risorse? Se, per di più, il tutto ha come base di fondo uno stock di debito molto elevato - sia a livello di gruppi di Paesi, sia a livello dei singoli Paesi - diventa difficile trovare le risorse per accettare quella impostazione.

    D. - Di fatto, ci troviamo di fronte ad un’Europa che sta marciando a più velocità…

    R. - E’ nei fatti, anche se non ne se ne parla. Oggi, però, senza accordi tra tutti non si salva nessuno.

    D. – Quindi, unità politica in vista di un’unità economica…

    R. - L’unità politica porta più facilmente a una crescita, perché porta all’unificazione da parte di tutti. Quello che conta è che ogni cittadino dell’Eurozona riesca a produrre più reddito senza aumentare i costi. Se aumentano i costi, il reddito non può aumentare, perché il sistema cresce di meno.

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    Il Patriarca caldeo, mons. Sako, a 10 anni da "Iraqi Freedom": la guerra fu un "male"

    ◊   E’ stata rivendicata da Al Qaida l’ondata di attacchi anti-sciiti che ieri hanno devastato e insanguinato l’Iraq, con un bilancio di circa 60 morti e oltre 200 feriti. Nel Paese la violenza, seppur diminuita rispetto alla metà del 2000, continua a mietere vittime, a dieci anni esatti dall'intervento degli americani per rovesciare il regime di Saddam Hussein. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    In Iraq non si celebra, non si ricorda quel 20 marzo del 2003 quando scattò l’operazione militare a guida statunitense. Perché le stragi in quel Paese non sono ancora un ricordo. Sebbene la violenza sia diminuita rispetto al periodo peggiore, tra il 2006 e il 2008, gli attentati continuano e l’insicurezza nel Paese è totale. L’intervento straniero fu stabilito per liberare gli iracheni dall’oppressione di Saddam Hussein, e per mettere in sicurezza il mondo minacciato dalle armi di distruzione di massa, mai trovate. Oggi, oltre 112 mila morti civili dopo, a quella guerra si dà un altro nome, quello dell’interesse economico legato al petrolio. Negli Stati Uniti, i sondaggi dimostrano che per oltre la metà degli statunitensi quella guerra fu “un’idiozia”, non fu una “guerra moralmente giustificata” e in molti pensano di essere stati ingannati dall’ex presidente del tempo, George W. Bush. Cos’è l’Iraq di oggi? Mons. Louis Sako è il neo Patriarca di Babilonia dei Caldei, arrivato a Baghdad da Kirkuk dove era arcivescovo:

    R. – C’è libertà ma non c’è sicurezza, dunque manca l’essenziale. Ci vuole tempo.

    D. - Però, in attesa ci sono tante persone che continuano a morire. Come si fa a fermare questa violenza?

    R. – Io penso che abbiamo bisogno di un dialogo coraggioso, sincero, fra gruppi politici. Nel governo ci deve essere armonia e buona intesa.

    D. – Quindi, se lei dovesse pensare all’eredità lasciata dall’intervento degli americani di dieci anni fa, lei che cosa potrebbe dire? Doveva accadere?

    R. – No, no. La guerra è sempre male e noi abbiamo un’esperienza molto brutta con le guerre: sempre ci sono state guerre in Iraq. Non sono venuti per realizzare la democrazia, per imporre la democrazia, perché è un qualcosa che non può essere imposta dall’alto, con un decreto. Bisogna formare la gente! Non sono venuti per salvare gli iracheni dalla dittatura. Come sta accadendo anche adesso nella primavera araba: loro predicano la democrazia, ma vendono armi o danno armi a tutti, anche l’America. Hanno cambiato l’Egitto e ora è la volta della Siria, dove c’è una guerra quasi civile. Le riforme non si fanno con le armi, ma con il dialogo. Se volevano cambiare le cose in Iraq, potevano farlo in altro modo, senza la guerra.

    D. – Lei di che cosa ha paura? Che cosa teme in questo momento per il suo Paese?

    R. – Ho paura di due cose: anzitutto che il Paese venga diviso, ma ho anche paura che non ci sia libertà, non ci sia sicurezza. La gente ha perso la fiducia nel futuro e nei responsabili. Se questo continuerà, i cristiani andranno via. La comunità internazionale ha una responsabilità molto grande nei confronti di tutti questi Paesi: prima c’è bisogno di capirne la mentalità, la cultura e anche la religione, e soprattutto cosa pensa la gente.

    D. – E’ vicina la Pasqua e quest’anno lei la trascorrerà a Baghdad: in che modo?

    R. – Sarò a Baghdad e per me sarà una nuova esperienza. La gente a Baghdad ha più paura rispetto ai fedeli che vivono in Kirkuk o anche in Kurdistan. Sarò molto vicino a loro. Presenterò anche una iniziativa per la riconciliazione nel governo iracheno: bisogna che il governo sia riconciliato, che vi sia armonia. Questo avrà un impatto sulla gente, perché quando la gente ha fiducia in loro, quando loro servono la causa della gente, quindi della pace e della sicurezza, tutti possiamo guadagnarci. Dunque, incoraggerò i cristiani a rimanere e anche a contribuire allo sviluppo del Paese, partecipando alla vita politica, entrando nei partiti politici. Adesso l’ambiente è più adatto e aiuta di più.

    L’Iraq è un Paese economicamente in gravi difficoltà, nonostante l’impennata del prezzo del petrolio e nonostante abbia scalzato l’Iran al numero due della classifica dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi produttori di Petrolio. Il tasso di disoccupazione è molto alto, soprattutto nel sud del Paese, i redditi delle famiglie sono depressi. La corruzione dilaga al pari della violenza e delle violazioni dei diritti umani. Il parere di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad:

    R. – Noi non vogliamo ricordare, noi aspettavamo altre cose. Il popolo iracheno aspettava la liberazione vera dalla dittatura. Invece, abbiamo sperimentato tante altre cose e non buone. L’amarezza delle autobombe, ieri, erano più di dieci. L’amarezza dei kamikaze, l’amarezza nel vedere le mine disseminate in terra, che ammazzano innocenti. Noi volevamo avere la libertà, ma a questa libertà non si è stati educati, è stata imposta, ma è impossibile obbligare chiunque ad essere libero. Prima è necessario educarlo. Noi abbiamo pregato tanto e preghiamo ancora per avere la vera libertà, la vera democrazia. Perciò, vogliamo chiedere a tutto il mondo di non vendere le armi a nessuno, le armi producono orfani e vedove. Quindi noi preghiamo per avere la vera libertà, quella che ci ha dato Cristo morendo per noi. Perché la libertà che c’è ora uccide. E’ una libertà interessata, perché l’occupazione dell’Iraq è avvenuta per interessi grandi, interessi del petrolio. Noi vogliamo la vera democrazia, la vera libertà. Chiedo che questa Pasqua sia una Pasqua di pace, veramente una resurrezione della vera vita spirituale, affinché tutti si avvicinino a Dio per il bene dell’uomo.

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    La Regione Sicilia abolisce le province. Dubbi da parte degli esperti

    ◊   Con un voto di maggioranza, ieri la Regione Sicilia ha approvato un maxi-emendamento che prevede l’abolizione delle province. Cancellate dunque le elezioni di maggio, via ai "liberi consorzi di Comuni", i cui membri saranno indicati dagli amministratori. Soddisfatto il governatore Crocetta. che ha incassato anche l’appoggio del Movimento 5 stelle. Al microfono di Benedetta Capelli, ascoltiamo il parere del costituzionalista Enzo Balboni, docente di Istituzioni di diritto pubblico e di diritto costituzionale all'Università Cattolica di Milano:

    R. – La prima osservazione da fare è che si dà adempimento, dopo oltre 60 anni, a quello che lo Statuto della Regione siciliana, a partire addirittura dal 1945, aveva previsto. A quel tempo, era una norma assolutamente rivoluzionaria che nessuno degli studiosi sapeva che cosa volesse dire sostanzialmente. Che cosa succederà ora francamente non lo sa nessuno, perché di fatto si tratta della sostituzione di un ente con un altro ente. Si costituiranno 30 liberi consorzi di Comuni. La cosa fondamentale è che non saranno elettivi, ma che saranno i Comuni che fanno parte dei vari ambiti a mandare i loro rappresentanti in questa cosa. Da una parte, diminuisce la politicità e la rappresentatività, dall’altra dovrebbero diminuire i costi. E’ la politica di questi mesi.

    D. – Infatti, il governo Crocetta sostiene che questa riforma implica un risparmio di circa 50 milioni di euro…

    R. – Mi sembrano cifre un po’ gonfiate, perché non si manda a casa nessun dipendente attuale delle Province: diminuiscono soltanto gli emolumenti di coloro che sono eletti nei Consigli provinciali. Insomma, è più apparenza che sostanza. E’ un’indicazione secondo i segni dei tempi. Siccome questo dà l’impressione che dovrebbe diminuire la spesa o aumentare l’efficacia, tutti corriamo in quella direzione. Poi, che sia corrispondente al vero lo sapremo solo tra 5-10 anni. Io qualche dubbio ce l’ho. Anche se è un segnale per dire: maggiore sobrietà e minori costi.

    Scetticismo è stato espresso anche da Stelio Mangiameli, direttore dell’Istituto di Studi sui sistemi regionali, federali e sulle autonomie “Massimo Severo Giannini”. L’intervista è di Benedetta Capelli:

    R. – Differentemente da come sono organizzati in Germania, la proposta siciliana che viene dopo tanto tempo, si pone su una linea che, a mio avviso, è totalmente sbagliata perché crea enti di secondo grado. Mentre in Germania c’è l’obbligo costituzionale che anche le associazioni dei Comuni abbiano un organismo direttamente eletto dai cittadini, qui – nonostante lo Statuto parli dei liberi consorzi caratterizzati dalla massima autonomia amministrativa – si riducono a enti di sottogoverno. Questo è un errore, a mio avviso, clamoroso in cui incorre la legislazione siciliana.

    D. – Per quanto riguarda il versante del risparmio?

    R. – Io non so come sia stato conteggiato questo risparmio di 50 milioni. Mi sembra improbabile. Nel decreto legge Salva Italia, la relazione di accompagnamento del decreto legge per tutte le Province di Italia prevedeva un risparmio a rendiconto – quindi un risparmio non certo – di 65 milioni di euro. Mi pare difficile che la Regione siciliana, da sola, riesca a risparmiare 50 milioni su questa riforma. Di fatto, gli enti provinciali erano nove in Sicilia, mentre ora si parla di una trentina di liberi consorzi più tre città metropolitane. Quindi, con una moltiplicazione di enti sedi e consigli, presidenti, direttori generali, etc. Mi sembra difficile che si possa realizzare un vero e proprio risparmio.

    D. - Questo “modello Sicilia” che indicazione dà al governo nazionale?

    R. – Noi corriamo il rischio di abolire le Province passando però da un numero di 108 Province a 300 e oltre, chiamandole però sotto altro nome. Infatti, tra i Comuni e le Regioni è inevitabile che ci voglia un ente intermedio, un ente cosiddetto di "area vasta", perché vi sono funzioni amministrative che non sono comunali ma sovra-comunali, che non sono regionali ma sub-regionali. Queste funzioni devono essere gestite da enti corrispondenti che sono i cosiddetti "enti di area vasta". E’ così in tutta Europa: in Germania, in Francia, in Spagna, come anche in Gran Bretagna: esistono quelle che da noi sono le Province ma sotto altri nomi. Quindi, è una necessità avere questi enti intermedi. Il pericolo che corriamo è che invece di ridurre i costi, li amplifichiamo.

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    Bari Festival, presentato "L'anima attesa", film su don Tonino Bello

    ◊   Presentato al Bari Film Festival “L’anima attesa” di Edoardo Winspeare che il regista pugliese ha girato per ricordare don Tonino Bello a vent’anni dalla scomparsa, avvenuta nel 1993. Un film prodotto da Pax Christi Italia - il movimento cristiano e pacifista di cui don Tonino è stato presidente - e realizzato attraverso la libera offerta dei fedeli grazie alla campagna “Adotta un fotogramma per don Tonino”. Da Bari, il servizio di Luca Pellegrini:

    Edoardo Winspeare non ha mai dimenticato quelle Messe celebrate dall’allora parroco di Tricase, il suo piccolo paese in Puglia. Lui era quindicenne e all’altare c’era don Tonino Bello. Lo ricorda, poi, come vescovo di Molfetta e uomo straordinario, uno scrittore e poeta, capace di trasmettere con la parola e la testimonianza un grande entusiasmo per la vita, coinvolgendo tutti, credenti e non, poveri e ricchi. Un maestro della cura e dell’ascolto, come nel film lo descrive un’insegnante ai suoi alunni.

    Per ricordare questa figura di sacerdote e di predicatore, Winspeare ha scelto una strada originale. Nel film protagonista è Carlo, un uomo d’affari interpretato da Carlo Bruni, che attraversa una crisi esistenziale ed economica profonda. Decide di fare un viaggio di soli due giorni in Puglia per trovare la sorella. Lungo il percorso - in autobus, in treno, in macchina e a piedi - incontra gente comune: un lavoratore, giovani coi loro sogni, immigrati senegalesi, un’anziana che ricorda la sofferenza della guerra, insomma incontra persone semplici, normalissime, ma che sono buone. La prima epifania per Carlo è quella la bontà, la stessa di don Tonino. Scopre, insomma, che il mondo non è fatto solo di lupi che si azzannano, come lui credeva, di persone che nulla fanno e si sentono sempre giustificati. Ascoltando e guardando la bontà, Carlo trova la sua anima.

    Il richiamo, per Carlo, è anche quello di un bambino: con la sua fisarmonica e il suo sorriso intercetta la sua crisi e pian piano lo porta a pregare sulla tomba dove don Tonino riposa da vent’anni. Non sappiamo se quel bambino sia un angelo, sia lo stesso don Tonino da piccolo oppure soltanto l’anima attesa. Ma sappiamo che nella vita dell’uomo c’è sempre un momento in cui lo Spirito si manifesta e che sta a ciascuno di noi saperlo cogliere. E’ il miracolo della quotidianità, che Winspeare racconta con passione, mentre con commozione vera si ascoltano, alla fine, le parole di speranza e di pace di don Tonino, poco prima della sua morte.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Buenos Aires. Cristiani, ebrei e musulmani: "Papa Francesco uomo di comunione e dialogo"

    ◊   Un uomo di comunione, aperto al dialogo, capace di ascolto, sempre rispettoso dell’altro: è un coro unanime. A Buenos Aires - riferisce l'inviato dell'agenzia Sir - i responsabili della Chiese cristiane, ebrei e musulmani, definiscono così il cardinale José Mario Bergoglio che è stato eletto Papa. La rabbina Silvina Chemen è membro della storica comunità ebraica di Buenos Aires. “Le porte del Duomo - racconta la rabbina - erano sempre aperte per le celebrazioni interconfessionali e più di una volta ho avuto il privilegio di essere ammessa ad usare il pulpito per dare il mio messaggio, lo stesso dal quale il cardinale pronunciava le sue omelie”. “Porterà nel dialogo - aggiunge - lo spirito di apertura, di reciprocità, di silenzio quando parla l’altro, di gentilezza nell’ascolto. Mi auguro che mai si offuschi l’altezza della sua umiltà e la grandezza della sua semplicità”. Molto apprezzate dai leader argentini delle Chiese cristiane le prime parole che Papa Bergoglio ha pronunciato salutando i pellegrini di Roma dalla Loggia delle Benedizioni. “Il cardinale Bergoglio - dice David J. Calvo, pastore evangelico Luterano - aveva con noi un rapporto molto cordiale: ci si sentiva accolti e riconosciuti; mostrava un profondo impegno per l’unità dei cristiani e un profondo rispetto per le tradizioni cristiane. Sono certo che il nuovo Papa approfondirà e renderà più caldo il cammino, lento ma inesorabile, dell’unità”. Benedizioni al nuovo Pontificato sono arrivate anche dai musulmani di Buenos Aires. In un messaggio di felicitazioni inviato a Papa Bergoglio, il Centro Islamico della Repubblica Argentina (Cira) così scrive: “Durante il suo lavoro come cardinale, Bergoglio ha approfondito il dialogo interreligioso e il rispetto, e ha instancabilmente promosso spazi di comunicazione e di lavoro comune per la coesistenza armoniosa delle religioni della Rivelazione. È per questo motivo che solleviamo suppliche al Dio Clemente e Misericordioso, perché questo lavoro prosegua e si rafforzi portando all’umanità più comprensione, più rispetto ma soprattutto, la pace”. Le relazioni dell’ex arcivescovo Bergolgio con il Centro islamico erano molto strette: l’allora card. Bergoglio andò in visita al Centro ben tre volte, l’ultima avvenne il 29 giugno 2010. “Ogni volta che è entrato in contatto con i musulmani in Argentina - racconta Omar Abu Arab, dirigente della comunità musulmana - lo ha fatto ponendosi sempre su un piano di rispetto, di affetto e di rapporto tra eguali”. (R.P.)

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    Thailandia: Messe e preghiere dei cattolici thai per Papa Francesco

    ◊   Con preghiere e messe speciali, i cattolici thai hanno seguito l'elezione di Papa Francesco, che ha celebrato ieri mattina in piazza San Pietro la messa di inaugurazione del pontificato. Per i fedeli della nazione asiatica - riporta l'agenzia AsiaNews - il Papa è "segno e luce" e fin dai primi gesti hanno potuto apprezzarne l'umiltà, il desiderio di povertà ma, al tempo stesso, il rigore profondo in materia di fede. Fra i motivi di gioia, il fatto che il 266mo successore di Pietro appartiene all'Ordine dei Gesuiti e proviene dal Sud America, due fattori che testimoniano la sempre maggiore "universalità e missionarietà" della Chiesa. Mons. Louise Chamnien Santisukniran, presidente della Conferenza episcopale thai (Cbct), annuncia di aver inviato "attraverso il nunzio apostolico" una lettera di felicitazioni a Papa Bergoglio. Egli saprà affrontare, sottolinea il prelato, le sfide della modernità fra cui "il controllo delle nascite e le unioni omosessuali". La sua fama di "umiltà e semplicità", così come il vivere con i poveri e la condivisione delle sofferenze sono un modello di riferimento "che vorrò imitare". Nei prossimi giorni in tutto in tutte le diocesi della Thailandia vi saranno altre messe e speciali celebrazioni. Mons. Francis Xavier Veera Arpornratna, della diocesi di Chiang Mai, è felice per un Papa "che viene dal Sud America", che rappresenta una "nuova pagina nella storia della Chiesa". Il prelato ammira la sua saggezza, la semplicità e l'amore per i poveri; e incoraggerà sacerdoti e religiosi a consegnare "delle immaginette del nuovo Papa ai fedeli dei villaggi più sperduti". Suor Anna Rosa Sivori, da 46 anni missionaria in Thailandia, appartiene alle figlie di Maria Ausiliatrice (salesiane) ed è argentina e cugina di secondo grado di Papa Francesco. La religiosa è orgogliosa della nazionalità del neo Pontefice per il quale invoca preghiere. "La sua umiltà, la sua semplicità e l'amore per i poveri sono ormai noti - afferma - ai fedeli della sua arcidiocesi. Prego lo Spirito Santo perché ispiri il Papa per svolgere al meglio il suo incarico, alla guida della Chiesa universale per condurla nella giusta direzione in un'epoca di gravi difficoltà e sfide". (R.P.)

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    Sri Lanka: i cattolici hanno celebrato l’inizio del Pontificato di Papa Francesco

    ◊   Anche se da lontano, la comunità cattolica dello Sri Lanka ha celebrato "insieme" a Papa Francesco la Messa per l'inizio del suo pontificato. L'arcidiocesi di Colombo, infatti, ha organizzato ieri una liturgia speciale e in contemporanea con quella officiata in piazza san Pietro. Centinaia di persone - tra uomini, donne e bambini - hanno affollato la chiesa di S. Maria a Bambalapitiya, un quartiere della capitale, per festeggiare ed esprimere il loro affetto per il nuovo Papa Francesco. "Sono molto felice - racconta all'agenzia AsiaNews Vineeta Fernando, un'anziana signora della parrocchia di Nugegoda - che Francesco sia il nuovo Papa. Ho sentito tutto quello che ha fatto per le persone del suo Paese, come sacerdote, vescovo e cardinale. Sono convinta che da Papa servirà tutta la comunità cattolica mondiale con amore e comprensione". In segno di amore e rispetto verso Papa Francesco, tutte le chiese, le parrocchie, le case e le istituzioni cattoliche dentro e fuori Colombo erano adorne di bandiere bianche e gialle. Mons. Joseph Spiteri, nunzio apostolico in Sri Lanka, ha concelebrato la messa a Bambalapitiya insieme a numerosi sacerdoti dell'arcidiocesi. "Papa Francesco - ha sottolineato nella sua omelia - ci ricorda che nella nostra vita e all'interno della Chiesa tutti abbiamo responsabilità diverse, ma siamo uniti in Cristo. Dobbiamo camminare insieme come popolo di Dio, servirci l'un l'altro, pregare l'un per l'altro". In Sri Lanka i cristiani (per lo più cattolici) rappresentano il 6,2% su una popolazione di 21,5 milioni di persone. La religione di maggioranza è il buddismo (69,1%), seguita da musulmani (7,6%) e indù (7,1%). Il card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka, è stato uno dei 115 cardinali elettori di questo Conclave. (R.P.)

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    Gli ordinari di Terra Santa a Obama: Israele rispetti il diritto internazionale

    ◊   In occasione della visita di Barak Obama in Medio Oriente – iniziata oggi con l'arrivo in Israele – la Commissione “Giustizia e Pace” dell'Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa ha scritto al Presidente Usa una lettera per richiamare la sua attenzione su alcuni grandi problemi che condizionano la presenza dei cristiani in quella regione. “Il Popolo palestinese – si legge nella lettera firmata per conto della Commissione dal suo Segretario Yusef Daher e pervenuta all’agenzia Fides – sta vivendo il 46esimo anno sotto occupazione. E la condizione dei cristiani palestinesi è la medesima vissuta dal popolo palestinese nel suo insieme”. La missiva elenca quelle che vengono definite “violazioni della legge internazionale da parte delle autorità israeliane”: espansione di insediamenti illegali di coloni; restrizione dell'accesso ai Luoghi Santi per cristiani e musulmani; espropriazione di terre appartenenti a proprietari palestinesi per favorire l'espansione delle colonie e per costruire la barriera di separazione. La lettera di Giustizia e Pace cita esplicitamente la vicenda della Valle di Cremisan, diventata anche un caso giudiziario, da quando famiglie cristiane e congregazioni religiose cattoliche hanno fatto ricorso contro il sequestro delle loro terre su doveva passare il tracciato del muro di separazione. Il messaggio rivolto a Obama descrive anche quelle che definisce “politiche occulte di discriminazione” subìte dai cittadini arabi d'Israele: procedure estenuanti per ottenere la riunificazione delle famiglie, difficoltà nel registrare i bambini, problemi nella ricerca della casa e delle occasioni di lavoro. Nella lettera al Presidente Usa si sottolinea che “la presenza cristiana gioca un ruolo importante in Terra Santa nel campo dell'educazione e dell'assistenza sanitaria”. Il venir meno delle comunità cristiane in quell'area avrà secondo l'organismo che fa capo ai vescovi cattolici “conseguenze catastrofiche specialmente con la crescita dei fondamentalisti da ambo i lati”. L'appello si conclude con la richiesta di favorire il rispetto del diritto internazionale e di porre argine a tutte le politiche illegali che colpiscono la popolazione palestinese di Terra Santa. “Questo – scrive la Commissione Giustizia e Pace legata ai vescovi cattolici locali – sarebbe il modo migliore di preservare e di proteggere la presenza cristiana in Terra Santa”. (R.P.)


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    Siria: ancora bombardamenti oltre il confine libanese

    ◊   Cinque razzi sparati in Siria hanno colpito la zona di al-Qasr, in Libano, nella valle orientale della Biqaa, a ridosso del confine tra i due Paesi, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale del Paese Nna. L’incidente non ha provocato feriti. Proprio ieri, il presidente libanese Michel Suleiman ha definito i raid aerei governativi del giorno precedente sul proprio Paese una “inaccettabile violazione della sovranità nazionale”. Il regime di Damasco aveva smentito le accuse, liquidandole come “notizie propalate dai mass media”. Durante questi due anni, il Libano ha cercato di mantenere una politica di “dissociazione” dal conflitto siriano. Molti cittadini temono però che il loro Paese sia sempre più esposto al rischio di essere trascinato nella guerra, in cui sono morte fino ad ora più di 70 mila persone, secondo i dati ufficiali rilasciati dalle Nazioni Unite. Intanto, la Coalizione nazionale siriana, principale blocco dell’opposizione, accusa Assad dell’utilizzo di armi chimiche e chiede “un’inchiesta internazionale” con l’invio di esperti in Siria per fare luce sulla questione. Lancia poi un appello a tutta la comunità internazionale, affinché “si assuma la responsabilità giuridica, politica e umanitaria a nome di tutto il popolo siriano, dal momento che l’uso di armi chimiche richiede una risposta seria e passi concreti”. In mattinata sono arrivati anche altri commenti sulla vicenda. Yuval Steinitz, il nuovo ministro dell’Intelligence e degli Affari strategici israeliani, ha dichiarato alla radio militare che l’uso delle armi chimiche in Siria – o da parte dei ribelli o del governo - è “apparentemente chiaro”. Sebbene Steinitz non abbia rivelato come sia giunto a questa conclusione, ha dichiarato che questo sarà l’argomento principale nella discussione con Barack Obama, da oggi in visita nel Paese. Israele teme – da lungo tempo – che l’armamento chimico siriano possa raggiungere gruppi militanti come Hezbollah oppure organizzazioni ispirate ad al-Qaeda. (V.C.)

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    Cuba: il Venerdì Santo concessa giornata non lavorativa

    ◊   Per il secondo anno consecutivo un decreto del governo concede ai cubani una giornata festiva nella Settimana Santa dopo che per decenni a causa delle tensioni con la Chiesa cattolica, il governo de L’Avana aveva cancellato le feste religiose dai calendari ufficiali. Quest’anno un decreto governativo stabilisce che i cubani potranno avere una giornata libera proprio in occasione del Venerdì Santo come è avvenuto l'anno scorso, in risposta ad una richiesta della Santa Sede alle autorità dell'isola. La decisione giunge dopo che si è osservato un miglioramento delle relazioni tra L'Avana e il Vaticano, grazie anche alle visite II a Cuba di Giovanni Paolo nel 1998, e Benedetto XVI nel 2012. Una nota pubblicata il 18 marzo dal quotidiano ufficiale del Partito Comunista di Cuba, Granma, afferma che "è stato deciso dai responsabili del Paese di approvare una pausa dalle attività lavorative Venerdì 29 marzo 2013". La nota non spiega la ragione di questo provvedimento. Dopo la visita di Giovanni Paolo II è stato ristabilito il Natale come festa religiosa, e l'anno scorso con la visita di Benedetto XVI era stato concessa “in modo straordinario“una giornata libera in occasione del Venerdì Santo. (R.P.)

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    Nigeria: dopo gli attentati i missionari e il vescovo di Kano chiedono il dialogo

    ◊   I missionari sono decisi a restare nel Nord della Nigeria, nonostante l’intensificarsi delle violenze e degli attentati che stanno prendendo di mira anche la minoranza cristiana: lo dice all'agenzia Misna padre Maurice Henry, superiore provinciale della Società missioni africane (Sma), all’indomani dell’attentato di Kano. “Siamo missionari – dice padre Maurice – e non possiamo certo andare via; cerchiamo di evitare le zone rurali più a rischio ma continuiamo a operare in favore della pace e del dialogo interreligioso sia a Kano che nelle città di Gombe e di Jos”. Secondo le testimonianze raccolte dai quotidiani nigeriani, dal Vanguard al Daily Trust, lunedì le vittime dell’esplosione di un’autobomba in una stazione degli autobus a Kano sono state almeno 60. L’attentato è avvenuto a Sabon Gari, un quartiere dove vivono molti commercianti originari del sud della Nigeria a maggioranza cristiana. La strage non è stata rivendicata ma diversi osservatori ipotizzano un coinvolgimento di Boko Haram, un gruppo che sostiene di voler rovesciare il governo del presidente Goodluck Jonathan e imporre la legge islamica in tutto il Paese. Secondo padre Maurice, a partire dal 2009 violenze e attentati hanno spinto migliaia di persone a lasciare le regioni del Nord per trasferirsi in luoghi più sicuri. Dal canto suo mons. John Niyiring, vescovo di Kano, ha detto che “Boko Haram è la sfida più estesa e complessiva alla vita della nazione e alla libertà religiosa in Nigeria”. Nel suo intervento al convegno organizzato dalla Conferenza Episcopale della Nigeria, dal titolo: “Pace e riconciliazione, una prospettiva nigeriana alla luce di Africae Munus”, mons. Niyiring ha sottolineato che “La missione della Chiesa è annunciare il Vangelo di Nostro Signore con le parole e le azioni in ogni contesto e circostanza. La nostra conversazione verte sull’essere cristiani nella Nigeria di oggi della violenza e dell’insicurezza. Viviamo in situazioni di sfida nel nostro Paese: persecuzioni e martirio sono realtà concrete per tanti cristiani nigeriani”. Nonostante questo il vescovo ha concluso ricordando che “la ricca storia della Chiesa dimostra che le difficoltà e le sfide interne ed esterne al cristianesimo possono servire come spinta per un autentico rilancio dei valori evangelici”. (R.P.)

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    Darfour: accordo di pace tra Karthoum e i ribelli

    ◊   Il governo di Karthoum ha firmato un accordo di pace con una fazione dissidente del movimento di Liberazione sudanese di Abdel Wahid al Nur (Slm – Aw), chiamata “Fronte del Darfur per il rifiuto dell’ingiustizia” – come riferisce l’agenzia Misna. A dare la notizia il quotidiano Sudan Tribune, secondo cui il gruppo conta circa 500 uomini armati sul terreno, una decina di comandanti e 16 veicoli Land cruiser. La parcellizzazione di una ribellione armata costituita, oltre che dai principali movimenti armati, anche da una miriade di piccoli gruppi indipendenti, ha ulteriormente rallentato il processo di raggiungimento dell’accordo. In base all’intesa – raggiunta nel quadro degli accordi di Doha – i miliziani del gruppo saranno integrati nelle forze armate sudanesi. Anche i ribelli hanno confermato la firma dell’accordo e, in un comunicato, hanno spiegato il motivo della loro secessione. Si dichiarano convinti che il movimento di Abdel Wahid al Nur “non agisca con l’obiettivo di raggiungere una soluzione alla crisi del Darfur” e sia divenuto “un movimento razzista”. In ogni caso, nel complesso quadro del Paese, alcuni commentatori non hanno dato credibilità all’annuncio ed hanno piuttosto smentito ogni legame del gruppo con lo Slm – Aw. Stando a queste critiche, il Fronte sarebbe composto solo da un gruppo di criminali, comuni membri di tribù arabe filogovernative, specializzato nei rapimenti degli stranieri e attivo nell’area dello Jebel Marra. (V.C.)


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    Congo: interrogativi e speranze dopo la resa di Bosco Ntaganda

    ◊   Entusiasmo e preoccupazione nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), per la resa di Bosco Ntaganda, capo di una fazione dell’M23, che il 18 marzo si è presentato all’ambasciata Usa in Rwanda, chiedendo di essere trasferito alla Corte Penale Internazionale (Cpi). Lo riferisce l’agenzia Fides, cui una fonte umanitaria operante nell’area ha dichiarato “il fatto che Bosco Ntaganda si sia consegnato spontaneamente dimostra che è stato sconfitto sul terreno”. Apparteneva alla fazione dell’M23 che voleva continuare la guerra contro le forze congolesi, mentre l’altra, capitanata da Sultani Makenga, intendeva negoziare con Kinshasa. Nello scontro, ha prevalso la linea dei favorevoli alle trattative. “Prima di entrare in Rwanda, Ntaganda ha cercato di installarsi nel Masisi (sempre nel Nord Kivu), ma a quanto pare ha incontrato l’opposizione dei ribelli hutu dell’Fdrl e ormai era stato sopraffatto dall’altra fazione dell’M23”, ha aggiunto la fonte. “Il fatto che comunque un uomo incriminato della morte di 800 civili e del massiccio reclutamento di bambini soldato non sarà più in libertà è comunque una vittoria della giustizia e speriamo che possa essere da esempio per altri criminali nella Rdc” – ha concluso. (V.C.)

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    Sierra Leone: oltre tremila bambini lavorano nelle cave per pagarsi gli studi

    ◊   In Sierra Leone, il lavoro minorile è una piaga diffusa, che coinvolgerebbe oltre 3 mila bambini, come riferisce l’agenzia Fides. In migliaia sono costretti a spaccare pietre con un martello per pagarsi gli studi e per aiutare le proprie famiglie a sopravvivere. Sebbene l’istruzione di base sia gratuita, i genitori dei ragazzi devono comunque provvedere all’acquisto di uniformi, libri, penne e al pagamento dei mezzi di trasporto. Le famiglie quindi, non potendo finanziare i figli, sono costrette a mandarli a lavorare. Nel 2007, grazie a un’iniziativa privata, è stata fondata una scuola totalmente gratuita nel villaggio di Adonkia, a pochi chilometri di distanza dalla capitale Freetown. Attualmente, gli studenti sono 380, tutti bambini lavoratori. (V.C.)

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    Pakistan: elezioni generali l’11 maggio, le prime senza militari al potere

    ◊   Il prossimo 11 maggio si terranno in Pakistan le elezioni generali. Lo ha annunciato il presidente Asif Ali Zardari tramite il suo portavoce, dopo che l’Assemblea Nazionale di Islamabad ha completato per la prima volta, la scorsa settimana, la legislatura quinquennale. Un appuntamento storico, senza precedenti. In 65 anni di storia dall’Indipendenza, costellati da colpi di Stato militari, un governo civile non aveva mai indetto libere elezioni, per passare pacificamente le consegne. Il Parlamento nazionale e tre delle quattro Assemblee regionali sono già stati sciolti e lo stesso accadrà a breve con il Parlamento del Punjab. La Costituzione prevede poi la designazione di un premier ad interim per la gestione degli affari correnti. Sul piano politico, la futura consultazione sarà dominata dal duello tra il Ppp, il Partito popolare del Pakistan, attualmente al potere, e la Pml-N, la conservatrice Lega Musulmana del Pakistan-Nawaz, la principale forza di opposizione. (V.C.)

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    Pakistan. Leader musulmani a difesa dei cristiani: punire gli abusi della blasfemia

    ◊   Punire gli abusi e le strumentalizzazioni legate alla controversa legge sulla blasfemia è una urgenza per il rispetto della legalità e dello stato di diritto in Pakistan: lo affermano i leader musulmani che si sono riuniti nei giorni scorsi, nell’ambito del Consiglio per il Dialogo Interreligioso di Lahore. I leader hanno manifestato solidarietà verso i cristiani, vittime dell’attacco alla Joseph Colony del 9 marzo scorso. L’attacco aveva come pretesto un caso di supposta blasfemia, accusa lanciata verso il cristiano Sawan Masih ma rivelatasi del tutto infondata. Come riferito all'agenzia Fides, l’incontro del Consiglio, fortemente voluto dai capi musulmani, ha riunito leader delle diverse comunità religiose, della società civile e della politica come padre Francis Nadeem, coordinatore del Consiglio, Akram Masih Gill, Ministro di stato per l'Armonia interreligiosa, nonchè numerosi ulema e leader musulmani. Proprio da questi ultimi è giunta in via prioritaria la ferma condannato del “barbaro episodio”, la solidarietà con tutta la comunità cristiana del Pakistan “in un momento di grande persecuzione e dolore”. Mr. Mujeeb ur Rehman Shami, direttore del “Daily Pakistan” ha definito l’attacco “una vergogna per tutti i musulmani del Pakistan”. Affermando che “dei malfattori usano la violenza in nome dell'Islam. Si deve formare subito un comitato di studio, fatto da leader musulmani e cristiani per trovare la via verso un corretto utilizzo della legge di blasfemia”. Se si accerta che le accusa sono false – ha continuato – “l'accusatore deve essere punito con la stessa pena riservata al presunto colpevole: questo è l'unico modo per evitare casi di abusi in futuro”. Il prof. Aqeel Ullah ha ribadito: “Attaccando la Joseph Colony i musulmani hanno dimenticato gli insegnamenti dell'Islam”, mentre il mufti Abdul Naqi ha rimarcato che “è nostro dovere nazionale e religioso, rispettare l'umanità, senza alcuna discriminazione”. Il cristiano Akram Masih Gill, Ministro di stato per l'Armonia, ha apprezzato il gesto di buona volontà dei capi islamici ricordando il principio di legalità: “Anche se una persona fosse colpevole, merita la pena prescritta dalla legge, ma per lo sbaglio di un uomo solo non si può oltraggiare e attaccare una intera comunità. Noi cristiani siamo cittadini del Pakistan, come gli altri”. Padre Francis Nadeem, in conclusione, ha ringraziato tutti i membri musulmani del Consiglio per aver organizzato l’incontro, in difesa dei cristiani pakistani, auspicando che “siano adottate misure concrete per fermare questo tipo di violenza che potrebbe ancora verificarsi in futuro”. Alla fine dell’incontro, tutti i partecipanti hanno recitato insieme la preghiera “Dio fammi strumento della tua pace”, attribuita a San Francesco d'Assisi. (R.P.)

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    Colombia: le Farc presentano "proposte minime" per un accordo di pace

    ◊   “Smilitarizzare le aree rurali, la società e lo Stato, il che implica l’abbandono della dottrina della ‘sicurezza nazionale’ imposta dal Pentagono”: è la prima delle “nove proposte minime di giustizia sociale territoriale e politica macroeconomica per la pace” divulgata dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) dall’Avana. A formularla è stato il capo negoziatore delle Farc, Iván Márquez, al suo arrivo, al Palazzo delle Convezioni della capitale cubana che ospita il processo di pace tra la guerriglia e il governo all’inizio del settimo ciclo di colloqui. Insieme alla delegazione dell’esecutivo, guidata dall’ex vice presidente Humberto de la Calle, la guerriglia è impegnata nel dibattito sul primo punto dell’agenda delle trattative, il problema della terra. Di fronte ai giornalisti, Márquez ha inoltre deplorato l’uccisione, il 5 marzo, di almeno 16 militari in un’imboscata dei ribelli nella regione del Cauca, confermata ieri dal segretariato delle Farc: “Vorremmo che questi dialoghi di pace si realizzassero in uno scenario tranquillo…e con una tregua bilaterale” ha detto il comandante delle Farc reiterando la proposta di un cessate-il-fuoco concordato, finora sempre esclusa dal governo che ha continuato a condurre l’offensiva militare anche nel corso del negoziato infliggendo peraltro gravi perdite al gruppo armato. Nonostante il contesto difficile, Márquez si è detto ottimista sul raggiungimento di un’intesa sul tema agrario. Appena lunedì il presidente Juan Manuel Santos aveva espresso l’auspicio di poter firmare la pace con le Farc prima della fine dell’anno. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 79

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