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Sommario del 08/03/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • P. Lombardi: stasera la decisione dei cardinali sulla data del Conclave
  • Gli affreschi della Cappella Sistina testimoni e ispiratori delle elezioni dei Papi
  • Benedetto XVI: storia del cristianesimo diversa senza la presenza delle donne
  • Chiara Amirante: in preghiera per una grande Pentecoste, il mondo ha bisogno di Santi
  • Sfruttamento di minori e traffico di esseri umani nella denuncia di mons. Tomasi all’Onu
  • Due nuovi tweet della Segreteria di Stato: difendere diritti di più deboli e minoranze religiose
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nuove sanzioni Onu contro la Corea del Nord che rompe l’accordo di non aggressione con Seul
  • Caracas, oggi i funerali di Hugo Chavez, attesi oltre 50 capi di Stato
  • Tunisia verso un nuovo governo. Intervista esclusiva col fondatore del partito Ennahda
  • Myanmar, oggi il primo Congresso del partito della San Suu Kyi
  • Giornata della donna, la testimonianza di un'attivista egiziana
  • Rapporto Ocse: Italia Paese sempre più ecosostenibile
  • Al Gemelli, presentata la prima Carta dei diritti per disabili in ospedale
  • Memoria di S. Giovanni di Dio. Fra Fabello: la società ha urgente bisogno di buoni samaritani
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: cristiani e musulmani ricordano Benedetto XVI
  • Egitto. L'imam di Al-Azhar: gli scontri non sono a sfondo religioso ma politico-sociale
  • Siria. Msf: "Aiuti umanitari insufficienti. Serve accordo per facilitarli"
  • Leader civili e religiosi uniti contro le armi nucleari
  • Kenya. Appello dei vescovi: mantenere la pace in attesa dei risultati elettorali
  • Centrafrica: i vescovi denunciano le sofferenze della popolazione
  • Indonesia: dai gruppi radicali islamici, stop alle chiese a Giava
  • El Salvador: la tregua tra gang è un’iniziativa positiva ma occorre fare di più
  • Nicaragua: "no" della Chiesa allo sfruttamento dell’oro a Matagalpa
  • Portogallo: 64 mila chilometri di pellegrinaggio da oceano ad oceano
  • Il Papa e la Santa Sede



    P. Lombardi: stasera la decisione dei cardinali sulla data del Conclave

    ◊   Si saprà tra poche ore, a conclusione dell’ottava Congregazione generale, la data di inizio del Conclave per l’elezione del futuro Pontefice. Lo ha detto padre Federico Lombardi, parlando ai giornalisti dopo l’incontro dei cardinali di stamani in Vaticano. Anche oggi sono continuati gli interventi dei porporati sui temi e le sfide più importanti che la Chiesa dovrà affrontare. Presenti tutti i 115 cardinali elettori, dopo l’arrivo a Roma e il giuramento, ieri, del vietnamita, Jean-Baptiste Pham Minh Man. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Nella Congregazione generale di oggi pomeriggio i cardinali voteranno sulla data di inizio del Conclave, la notizia che gli oltre 5 mila giornalisti accreditati attendono da giorni. Padre Lombardi ha comunicato loro cosa è possibile attendersi:

    “Ritengo che sia nei primi giorni della settimana prossima. Quindi, non decidono certamente di incominciare domani, né domenica, ma possono decidere per lunedì, martedì, mercoledì … forse anche giovedì, però è una previsione …”.

    All’inizio della conferenza stampa, padre Lombardi aveva voluto ricordare l’odierna Giornata della Donna, porgendo i propri auguri a tutte le giornaliste che si trovano a Roma per seguire l’elezione del futuro Pontefice. I porporati – ha detto ancora il direttore della Sala Stampa vaticana - hanno preso quindi atto delle rinunce a partecipare al Conclave comunicate da due cardinali elettori: l’arcivescovo emerito di Jakarta, Riyadi Darmaatmadja, e il porporato irlandese, O’Brien, l’uno per motivi di salute, l’altro per motivi personali, in base alla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, modificata dal recente Motu Proprio di Benedetto XVI. Gli incontri dei cardinali continueranno, comunque, anche domani, mentre domenica i porporati presumibilmente celebreranno la Santa Messa, ognuno nella chiesa romana di cui sono titolari. Nei prossimi giorni, dunque, l’ingresso nella Cappella Sistina, dove, prima dell’Extra omnes, vi sarà la seconda meditazione affidata al cardinale maltese Prosper Grech.

    I cardinali elettori - ha detto padre Lombardi - sono accompagnati dai fedeli, in questo periodo così particolare anche attraverso Internet entrando nel sito "Adopt a cardinal", che assegna a ciascun visitatore un cardinale per cui pregare. Già 220 mila gli iscritti a questo particolare movimento di preghiera.

    Diciotto gli interventi nella Congregazione di stamani, per un totale di oltre 100 i porporati che sinora hanno preso la parola. Sui temi affrontati, padre Lombardi:

    “Di questa mattina io sono stato colpito da alcuni temi: si è parlato di dialogo interreligioso. Si è parlato anche dei temi della cultura di oggi, della bioetica, dei temi della giustizia nel mondo; poi dell’importanza di un annuncio positivo del Cristianesimo, dell’annuncio dell’amore, un annuncio anche gioioso, e molto dell’annuncio di misericordia. Anche i temi della collegialità sono stati evocati diverse volte; e poi, anche, la donna nella Chiesa”.

    Infine, sono state presentate le immagini del Ctv dell’appartamento presso la residenza di Santa Marta, in Vaticano, dove il Papa vivrà temporaneamente, in attesa che vengano rinnovati i locali nel Palazzo Apostolico.

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    Gli affreschi della Cappella Sistina testimoni e ispiratori delle elezioni dei Papi

    ◊   Sono state posizionate nella Cappella Sistina, chiusa al pubblico da martedì, le due stufe che serviranno, una a bruciare le schede, e l'altra a segnalare, grazie ai fumogeni, l'elezione del nuovo Papa. Nei giorni scorsi il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha richiamato l’attenzione sul "Trittico Romano", opera poetica di Giovanni Paolo II scaturita dalla contemplazione degli affreschi michelangioleschi. Papa Wojtyla ricorda come le pitture di Michelangelo abbiano ispirato i cardinali nei due Conclavi a cui egli prese parte. Il servizio di Paolo Ondarza:

    “Proprio qui, ai piedi di questa stupenda policromia sistina, si riuniscono i cardinali, una comunità responsabile per il lascito delle chiavi del Regno. Michelangelo li avvolge, tuttora, della sua visione. Era così nell’agosto e poi nell’ottobre del memorabile anno dei due Conclavi e così sarà ancora. Bisogna che a loro parli la visione di Michelangelo”. Il legame tra arte e fede da sempre evidenziato da Giovanni Paolo II assume un carattere tutto particolare nei versi poetici del "Trittico Romano", scaturiti dalla contemplazione degli affreschi della Cappella Sistina, luogo in cui si svolge l’elezione del Sommo Pontefice. Nell’introduzione all’opera di Papa Wojtyla, l’allora cardinale Ratzinger ricorda quei due Conclavi e come essi siano stati ispirati dagli affreschi michelangioleschi. Può dunque l’arte avere un ruolo nella delicata e cruciale fase del Conclave? Risponde Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani:

    R. - Gli affreschi della Cappella Sistina sono la dottrina della Chiesa messa in figura, dal “Fiat lux” all’Apocalisse, c’è il Nuovo Testamento e l’Antico, c’è il giudizio per tutti e per ognuno. C’è tutto nei circa 2.500 circa metri quadrati degli affreschi sistini. Se i cardinali elettori avranno occhi per guardare, capiranno la delicatezza del loro ruolo e la gravità delle loro decisioni. Questo significa che la Cappella Sistina è per questo che è stata fatta e decorata con quelle immagini: basta dire che il Papa che l’ha commissionata – Sisto IV della Rovere – ha voluto che quella cappella “magna”, quella cappella grande della Chiesa cattolica, avesse le stesse misure del perduto Tempio di Gerusalemme - misure che sono registrate nella Bibbia, Libro dei Re - perché fosse in un certo modo l’Arca della nuova e definitiva alleanza fra Dio ed il suo popolo, sotto il segno della Chiesa di Roma.

    D. – Cosa dicono nello specifico questi affreschi, cosa possono comunicare in un momento tanto delicato e cruciale come quello del Conclave?

    R. – Quando i cardinali entreranno per il Conclave nella Cappella Sistina, per un effetto ottico – studiato evidentemente apposta – lo sguardo si poserà come prima immagine sulla parete di destra. In particolare sul grande riquadro di Pietro Perugino, che rappresenta la consegna delle chiavi: si vede Pietro inginocchiato, Cristo davanti a lui che gli consegna le chiavi; praticamente, è l’istituzione del Papato di Roma. Questa è la prima cosa che i cardinali vedranno. Poi, quando saranno i cardinali seduti nei loro scanni, lo sguardo andrà al Giudizio Universale, il loro sguardo dovrebbe posarsi sulla parte alta dell’affresco, laddove c’è una scena che stava molto a cuore a Michelangelo: si vedono degli angeli che presentano gli strumenti della Passione di Cristo. Perché questa presentazione? Perché al tribunale dell’Altissimo saranno quelle le prove testimoniali per ciascuno di noi, quindi naturalmente anche per i cardinali. Noi saremo salvati o dannati in base alla nostra fedeltà a Cristo.

    D. – Questi affreschi, sia quelli di Michelangelo, che quelli di Perugino, come quelli degli altri pittori del ‘400, nascono per decorare un ambiente deputato all’elezione del successore di Pietro?

    R. – La Cappella Sistina nasce come cappella “magna”, come cappella grande del Papa di Roma. È il luogo delle grandi liturgie, dei grandi eventi e quindi anche dell’elezione del nuovo Papa. È - simbolicamente parlando - l’Arca della nuova e definitiva alleanza.

    D. – Arriviamo ora ai nostri giorni: siamo entrati nella Sede Vacante, la Sistina è chiusa al pubblico ed è già in allestimento per il Conclave. Come vive attualmente la comunità dei Musei Vaticani queste giornate?

    R. – I Musei Vaticani intanto sentono il costo del Conclave, perché la parte più appetita, più cercata e desiderata dei Musei Vaticani è chiusa: la Cappella Sistina. Naturalmente, i Musei Vaticani sono attrezzati per fronteggiare nel modo migliore questa speciale evenienza. Il Conclave capita di rado e per me è il primo Conclave a cui partecipo da direttore dei Musei.

    D. – Per lei, come direttore dei Musei Vaticani, cosa vuol dire esser chiamato a custodire e conservare la Cappella Sistina, un luogo tanto prezioso, da un punto di vista storico artistico, ma anche per quanto riguarda la religione e la fede...

    R. – Nella mia lunga carriera, arrivato a questo punto – dopo che Benedetto XVI mi ha affidato, nel 2007, la direzione dei Musei Vaticani – ho capito quello che sapevo già prima, ma qui l’ho potuto sperimentare: che i Musei Vaticani sono in un certo senso i musei di tutti gli altri musei. In Italia e nel mondo ci sono cloni, imitazioni, del Museo che i Papi di Roma hanno inventato. Ho capito anche qual è la specificità dei Musei Vaticani: la dimostrazione dell’universalità e insieme della pluralità della Chiesa di Roma; sono universali in quanto le opere d’arte che custodiscono sono fatte per tutti, destinate agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Sono anche plurali, perché i Musei Vaticani raccolgono le testimonianze del fare artistico umano in tutte le sue varianti ed il fare artistico umano ha sempre interessato la Chiesa. Questo credo sia il vero carattere distintivo, la specificità dei Musei del Papa.

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    Benedetto XVI: storia del cristianesimo diversa senza la presenza delle donne

    ◊   Senza il contributo delle donne, la storia del Cristianesimo sarebbe stata ben diversa. È la constatazione che alcuni anni fa Benedetto XVI fece durante un’udienza generale. Nel giorno della festa della donna, Alessandro De Carolis ripropone in questo servizio alcune delle riflessioni del Papa emerito dedicate al “genio femminile” e alla sua incidenza nella Chiesa e nella società:

    Nazareth e Magdala, Assisi e Siena, Avila e Lisieux, e l’elenco potrebbe continuare in lungo nella storia e in largo nella geografia. Anche a un orecchio con poca dimestichezza delle cose di Chiesa i nomi di queste città suggeriscono abbastanza facilmente un rimando ad altri nomi e volti. Maria la “beata fra le donne” e la Maria redenta da un amore più grande del suo passato. La Chiara “sorella” spirituale del “Giullare di Dio” e la Caterina analfabeta che parlò ai re e spronò i Papi. La Teresa grande contemplativa e la Teresa della “piccola via”. Cosa ne sarebbe stato della Chiesa senza loro e senza le altre migliaia, straordinarie figure di donna, sante note o sconosciute, che da duemila anni testimoniano Cristo? Una domanda che non ha mai lasciato dubbi a Benedetto XVI:
    “La storia del Cristianesimo avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se non ci fosse stato il generoso apporto di molte donne. Per questo, come ebbe a scrivere il mio venerato e caro predecessore Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica
    Mulieris dignitatem, ‘la Chiesa rende grazie per tutte le donne e per ciascuna… La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del ‘genio’ femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e nazioni”. (Udienza generale, 14 febbraio 2007)
    Donne, madri, laiche o religiose. Benedetto XVI nel 2010 dedicò alle figure femminili del Medioevo cristiano catechesi indimenticabili. E non si è risparmiato quando la figura della donna, in tempi decisamente più recenti, è stata gradualmente risucchiata da certe, come ebbe a dire, “correnti culturali e politiche che cercano di eliminare, o almeno di offuscare e confondere, le differenze sessuali iscritte nella natura umana considerandole una costruzione culturale”:

    “È necessario richiamare il disegno di Dio che ha creato l'essere umano maschio e femmina, con un’unità e allo stesso tempo una differenza originaria e complementare”. (Discorso per i 20 anni della Mulieris Dignitatem, 9 febbraio 2008)

    E nemmeno si è risparmiato, Benedetto XVI, nel denunciare quei luoghi e quelle culture dove, ha detto…

    “…la donna viene discriminata o sottovalutata per il solo fatto di essere donna, dove si fa ricorso persino ad argomenti religiosi e a pressioni familiari, sociali e culturali per sostenere la disparità dei sessi, dove si consumano atti di violenza nei confronti della donna rendendola oggetto di maltrattamenti e di sfruttamento nella pubblicità e nell'industria del consumo e del divertimento”.

    Ricordare la donna, quindi, ricordare la festa dell’8 marzo, vuol dire questo per i cristiani e la Chiesa:

    “Riflettere sulla condizione della donna e a rinnovare l’impegno, perché sempre e dovunque ogni donna possa vivere e manifestare in pienezza le proprie capacità ottenendo pieno rispetto per la sua dignità”. (Angelus, 8 marzo 2009)

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    Chiara Amirante: in preghiera per una grande Pentecoste, il mondo ha bisogno di Santi

    ◊   Tutta la Chiesa si sta preparando spiritualmente all’elezione del nuovo Papa: parrocchie, movimenti e associazioni, laici e religiosi, stanno seguendo con grande partecipazione questo momento importante della vita ecclesiale. Sergio Centofanti ha intervistato Chiara Amirante, fondatrice della Comunità Nuovi Orizzonti:

    R. - Stiamo vivendo in preghiera, invocando lo Spirito Santo e pregando perché sia un momento anche di grande Pentecoste per tutta la Chiesa, ma soprattutto cercando di fare tesoro di questo grande insegnamento che Benedetto XVI ci ha dato con questo gesto inatteso per tutti noi. E’ stato un insegnamento perché in un mondo dove si vive di attivismo, di volercela sempre fare a tutti i costi, di voler sempre risolvere i problemi con le proprie forze, vedere una figura gigante come Papa Benedetto - che decide di dare le dimissioni, ma non certo, come ha detto lui, per scendere dalla Croce, ma per servire la Chiesa nella preghiera - ci ricorda questa grande forza che viene dal riconoscere la propria debolezza e le proprie fragilità. Proprio su queste fragilità e debolezza, il Signore manifesta la sua potenza e soprattutto ci ricorda che è solo una la cosa necessaria: la preghiera. Quindi, l’importanza di immergerci in questa dimensione contemplativa della vita, sapendo che con la preghiera si spostano le montagne.

    D. – Quali nuovi orizzonti vedete per la Chiesa?

    R. – Saranno quelli che lo Spirito Santo, ancora una volta, ci dischiuderà. Certamente, non possiamo non prendere atto che sono tempi molto difficili per tutta l’umanità, dove il consumismo, l’edonismo, l’egocentrismo, il narcisismo, stanno portando terribili frutti di morte nelle nuove generazioni, che si manifestano in cifre statistiche preoccupanti da tutti i punti di vista. Però, i nuovi orizzonti che pensiamo - e che lo Spirito Santo ci dischiude - sono orizzonti di santità della Chiesa, per cui: se è vero che fa sempre più rumore l’albero che cade della foresta che cresce, è anche vero che c’è un fiorire di tanti carismi e di tanti Santi silenziosi che portano avanti questa meravigliosa notizia del Vangelo.

    D. – Di cosa ha bisogno oggi la Chiesa per comunicare in modo più efficace il Vangelo all’uomo di oggi?

    R. – C’è bisogno di Santi. Torniamo proprio a quella che è la semplicità e la radicalità del messaggio evangelico che riscopriamo essere il cuore della nostra chiamata: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. Anche portare questo grande annuncio che Cristo è risorto, che Cristo ha vinto la morte. Oggi sembra regnare una cultura di morte, forse noi cristiani facciamo ancora troppo poco tesoro di quello che è il grande segreto che il Signore della creazione ci ha dato: il segreto della pienezza della gioia. Per cui, credo che ci sia un urgente bisogno di riscoprire questa chiamata alla santità, ma anche questa chiamata a vivere “come in cielo, così in terra”, questa chiamata a vivere questa pienezza di gioia, pienezza di vita e di pace che Cristo è venuto a donarci, che è costata il suo Sangue, e di cui il mondo ha un infinito bisogno.

    D. – Nella tua esperienza, anche presso la tua comunità, quali segni di speranza vedi?

    R. – Nella mia comunità segni di speranza ce ne sono tantissimi, perché ogni giorno ho la grazia di poter contemplare veramente i miracoli che Cristo risorto opera quando gli apriamo anche solo uno “spiraglietto” del cuore. Vedo migliaia e migliaia di giovani che sono arrivati in comunità, veramente con la morte e la disperazione nel cuore, senza più alcuna speranza, senza più voglia di vivere, anzi voglia solo di morire, che proprio per aver provato semplicemente a vivere il Vangelo – e ci hanno provato perché hanno visto altri giovani “risorti” - hanno detto: “se ha funzionato con loro, magari funziona anche con noi…”. Gli orizzonti di speranza sono proprio questo aver visto in pochi anni, in questo popolo della notte che viveva di espedienti, viveva di violenze, di droga, di spaccio, diventare 300 mila “cavalieri della luce”, che prendono un impegno a vivere il Vangelo e a testimoniare la gioia di Cristo risorto; a provare ad impegnarsi e a vivere questa rivoluzione dell’amore che silenziosamente può rinnovare questa società. Questo è un grande segno di speranza e questo è meraviglioso.

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    Sfruttamento di minori e traffico di esseri umani nella denuncia di mons. Tomasi all’Onu

    ◊   Schiavitù, prostituzione infantile, pedopornografia crescono nel mondo e la maggior parte delle vittime sono donne: lo ha ricordato mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, intervenendo ieri alla 22.ma sessione del Consiglio dei Diritti Umani. Almeno 136 nazionalità in 118 Paesi sono colpite a diverso titolo dal drammatico fenomeno del traffico di esseri umani. La maggior parte delle vittime sono donne, circa il 60%, ma ci sono anche tanti bambini. E purtroppo il numero dei minori cresce in modo allarmante: è passato in 3 anni dal 20% al 27%. L’inaccettabile traffico di esseri umani, che comporta il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale, frutta ai mercanti di schiavitù miliardi e miliardi di dollari all’anno. Mons. Tomasi ricorda che in molti Paesi lo sfruttamento dei bambini è possibile per una situazione di estrema debolezza legislativa e dunque incoraggia a livello internazionale a fare pressione perché tutti i Paesi abbiano normative adeguate contro il traffico di esseri umani e poi chiede forme più incisive di cooperazione regionale per il rispetto dei diritti umani. Ma nello stesso tempo mons. Tomasi sottolinea come il crescere dell’organizzazione internazione della “offerta” sia dovuta al crescere drammatico della “domanda” e che dunque bisogna anche agire per un’azione forte contro coloro che potremmo definire i “consumatori”, coloro che pagano per inaccettabili prestazioni sessuali. E’ necessario combattere impunità e corruzione che sono dietro a tali fenomeni. E poi una raccomandazione di mons.Tomasi in considerazione delle vittime: è fondamentale assicurare forme di assistenza a chi ha subito schiavitù sul lavoro o schiavitù sessuale per creare le condizioni per riportarle a una vita dignitosa all’interno della società. Dopo aver raccomandato l’impegno sul piano legislativo, però, Mons.Tomasi ricorda che non può essere tutto risolto attraverso le normative: bisogna anche combattere la cultura che spinge a comportamenti indegni e bisogna combattere la povertà che porta tanti alla disperazione di vendere il proprio corpo o addirittura i propri figli. (F.S.)

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    Due nuovi tweet della Segreteria di Stato: difendere diritti di più deboli e minoranze religiose

    ◊   La Segreteria di Stato della Santa Sede ha lanciato oggi due nuovi tweet sul suo account Twitter @TerzaLoggia. Il primo è di mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati: “L’azione diplomatica della Santa Sede è impegnata alla tutela dei diritti dei più deboli". Il secondo tweet è di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra: “Il rispetto della libertà religiosa delle minoranze – scrive - è la pietra miliare del dialogo e della collaborazione”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   I lavori della settima congregazione generale dei cardinali.

    Nell'informazione internazionale, in primo piano l'Africa e la fame nel mondo: pubblicate le stime della Fao sulla produzione di grano nel 2013.

    Una diplomazia globale: stralci dall'intervento dell'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, al convegno «Fede e Diplomazia: le relazioni internazionali della Santa Sede nell’età contemporanea».

    Il dubbio è un buon cane da guardia: in cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi sul rapporto tra fede e amore nella lotta con le proprie incertezze.

    Un’epoca malata per mancanza di pensiero: l'arcivescovo Rino Fisichella sulla nuova evangelizzazione.

    Un’Europa amata e messa in guardia: il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, vice presidente della Comece, sull'insegnamento di Benedetto XVI.

    Niente sede vacante per la cura delle anime: nell'informazione vaticana, Nicola Gori a colloquio con monsignor Krzysztof Nykiel, reggente della Penitenzieria Apostolica.

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    Oggi in Primo Piano



    Nuove sanzioni Onu contro la Corea del Nord che rompe l’accordo di non aggressione con Seul

    ◊   Crisi Nordcoreana. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu approva all'unanimità una nuova tornata di sanzioni contro Pyongyang, che ha minacciato di sferrare un attacco nucleare "preventivo" contro gli Stati Uniti e qualsiasi altra potenza ostile e ha abrogato ''tutti gli accordi di non aggressione con la Corea del Sud''. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Sale la tensione sul nucleare nordcoreano. Pyongyang ha abrogato “tutti gli accordi di non aggressione con la Corea del Sud”, tagliando la linea rossa di collegamento telefonico con Seul. La decisione a poche ore dal nuovo giro di vite deciso dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che ha varato, all’unanimità, nuove sanzioni contro il Paese, dopo che Pyongyang ha effettuato, senza ascoltare il “no” della Comunità internazionale, il terzo test nucleare il 12 febbraio scorso. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha ribadito che la decisione dei 15 è ''un messaggio inequivocabile'' e che non verranno tollerati nuovi test nucleari. ''E' necessario invertire la rotta – ha evidenziato – e puntare sulla costruzione della fiducia con i Paesi vicini''. La risoluzione Onu aggiunge tre individui e due entità alla lista nera delle Nazioni Unite e ha imposto un giro di vite sulle attività bancarie e ai trasferimenti di denaro legati al programma nucleare di Pyongyang. Ieri, la Corea del Nord ha minacciato un attacco nucleare "preventivo" contro gli Stati Uniti e qualsiasi altra potenza ostile. Martedì scorso, aveva già manifestato la volontà di strappare l'armistizio che chiuse la guerra di Corea del 1950-'53. Dichiarazioni, quelle di ieri, bollate dalla Casa Bianca come “provocazioni”, “minacce vane: "Abbatteremo ogni missile”, è stata la risposta statunitense. In questo scenario, il portavoce del Ministero della difesa sudcoreano, Kim Min-seok, ha detto che la Corea del Nord continua le sue esercitazioni militari ''a un livello aumentato'', mentre Seul ha rafforzato la sua vigilanza ''nella convinzione che le esercitazioni in corso possano portare a provocazioni di tipo militare''.

    Sulla crisi nordcoreana, Massimiliano Menichetti ha intervistato Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo:

    R. - A oggi, ci troviamo ancora in una situazione di forte polemica politica, non di vero pericolo militare. Gli esperti ritengono che la Corea del Nord non abbia ancora un arsenale tale da poter minacciare una super potenza nucleare come gli Stati Uniti. Rimane certamente una situazione di tensione fortissima, e soprattutto la pressione nei confronti della Corea del Sud, che non è analogamente amata come gli Stati Uniti, pur avendo “un ombrello protettivo” da parte di Washington. Ricordiamo però che da 60 anni tra la Corea del Nord e la Corea del Sud non corrono rapporti di pace, tra loro c’è solo un armistizio. Adesso, la Corea del Nord ha colto l’occasione per rialzare la "temperatura" tra le due capitali.

    D. - Finora, si è assistito anche a un gioco delle parti. La Nord Corea, molto povera, minaccia aggressioni, quindi punizioni di taglio economico o sostegni per aiutare il governo…

    R. - Noi ci troviamo di fronte a una Corea del Nord che da anni si trova in una forte crisi economica. Tanto è vero che parte delle sanzioni sono relative alle attività bancarie, finanziarie, esportazioni di valuta… Ma, ad esempio, c’è - anche all’interno di queste sanzioni - un bando dettagliato relativo alla vendita di prodotti di lusso come gioielli, yatch, auto da corsa… Comprendiamo bene: sono sanzioni che non possono colpire duramente l’economia, sono segnali evidentemente politici.

    D. - Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato all’unanimità: significativo, anche per quanto riguarda l’isolamento, che la Cina abbia voltato contro la Corea del Nord...

    R. - Bene o male, la Cina è sempre stata il grande alleato di riferimento. Certamente, il Paese è importantissimo sul piano economico e finanziario, ma ormai Pechino ha preso posizioni abbastanza nette nei confronti di Pyongyang. Addirittura, poco tempo fa, il 27 febbraio, il vicedirettore del giornale della scuola centrale del Partito comunista cinese ha ipotizzato - in un’intervista rilasciata al Financial Times - di abbandonare la Corea del Nord. Questi sono segnali moto chiari. Il fatto che la Russia e la Cina siano schierate chiaramente, palesemente a favore di queste sanzioni, è un indice di crescente isolamento. Ora, la speranza è che il regime della Corea del Nord sia in grado di recepire questi segnali di avvertimento. Certo, è una partita lunga, che dura purtroppo da molti anni, e che ancora non vede dei passi in avanti.

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    Caracas, oggi i funerali di Hugo Chavez, attesi oltre 50 capi di Stato

    ◊   In Venezuela, è il giorno dei funerali del presidente Hugo Chavez. Delegazioni di molti Paesi stanno giungendo a Caracas tra di loro anche due deputati americani. Incessante l’omaggio alla salma di Chavez, che sarà imbalsamata. Nel pomeriggio, a Roma, l'arcivescovo di Caracas, il cardinale Jorge Urosa Savino, celebrerà una Messa in suffragio del presidente nella Chiesa di Santa Maria ai Monti. Da Caracas, il servizio di Alessandro Rampietti:

    Una folla imponente di sostenitori del defunto Presidente Venezuelano Hugo Chavez ha continuato a sfilare per tutto il giorno e tutta la notte nella camera ardente allestita all’accademia militare. File lunghe chilometri sotto un sole torrido che ha portato al collasso l’organizzazione dell’evento. Tanto che il vicepresidente Nicolas Maduro è apparso per calmare gli animi promettendo che tutti avranno l’opportunità di vederlo. La salma del comandante resterà esposta per altri sette giorni. E non solo, a sorpresa ha annunciato che il corpo sarà imbalsamato come quello di Lenin, Mao e Ho Chi Mi.

    Fra poche ore, intanto, si terranno i funerali di Stato. Scuole e uffici pubblici chiusi, vietata la vendita di alcolici e portare armi. L’intera città si fermerà. Sono attese delegazioni da più di 50 Paesi con 34 capi di Stato. Tutte le nazioni vicine, alleate e non, saranno presenti ma anche il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. 16 i Paesi che hanno proclamato giornate di lutto nazionale a dimostrazione che, per quanto controverso e anche disprezzato dai nemici a casa e all’estero, l’ex comandante venezuelano ha lasciato un segno indelebile sul continente.

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    Tunisia verso un nuovo governo. Intervista esclusiva col fondatore del partito Ennahda

    ◊   Le prime elezioni politiche in Tunisia, dopo la caduta della dittatura di Ben Ali, si terranno entro novembre. Lo ha detto il primo ministro incaricato Ali Laarayedh. Annunciato anche il nuovo governo di cui faranno parte esponenti politici, ma anche personalità indipendenti. Un passo importante dopo la situazione di estrema tensione venutasi a creare in seguito all’uccisione del segretario del Partito dei patrioti democratici, Chokri Belaïd. Episodio che ha causato le dimissioni del precedente Premier Jebali e che ha diviso il Partito al governo Ennahda. Salvatore Sabatino, ha intervistato Abdelfattah Mourou, fondatore e vicepresidente del Partito Ennahda:

    R. - L'assasinat de notre confrère...
    L’assassinio del nostro confratello, Chokri Belaid, ha dato un nuovo colore alla vita politica in Tunisia. Temiamo il peggio. Eravamo sulla buona strada: noi tunisini avevamo scelto il suffragio universale come la sola via per discutere tra i diversi partiti politici. Ma adesso, questa nuova connotazione dopo l’attentato ci dà grande agitazione, grande paura. Come possono i tunisini perseguire il tragitto per la transizione democratica con questo pericolo degli attentati? Credo che fino ad adesso i tunisini siano stati uniti nel perseguire questa via democratica che abbiamo scelto, soprattutto attraverso la mediazione delle istituzioni messe in atto e, soprattutto, con il consiglio costituzionale che sta preparando la nuova costituzione. Ci servirà ancora poco tempo. Noi abbiamo qualche mese soltanto per arrivare a mettere in atto questa Costituzione e cercheremo di rassicurare i tunisini che la prossima volta ci saranno elezioni nel modo giusto e dovuto, questo perché i tunisini possano scegliere i loro dirigenti, i nuovi dirigenti.

    D. – Lei è il fondatore di Ennahda. Dopo l’attentato avete auto problemi, vi siete divisi…

    R . – On est partagés sur un point de vue...
    Ci siamo divisi su un punto di vista che ho sollevato io stesso, ho detto che Ennahda dovrebbe fare meglio per la stabilità della Tunisia, che ha commesso grandi errori. Perché? Perché noi islamici non abbiamo antecedenti politici nella nostra vita. Come, del resto, tutti gli altri attori della vita politica non vengono da partiti politici datati: sono arrivati tutti dopo la rivoluzione ed è per questo che c’è un grande ritardo nella realizzazione dei compiti che spettano a questi partiti politici e soprattutto a Ennahada, che però ha una grande responsabilità.

    D. – La Tunisia è un Paese molto vicino all’Europa. Lei pensa che l’Unione Europea vi possa aiutare in questo momento e come può immaginare il futuro del vostro Paese?

    R. – Les discours que nous avons entendu...
    I discorsi che abbiamo ascoltato sono rassicuranti. Ma le azioni no, perché credo che soprattutto la Francia sia molto diffidente nei riguardi degli islamici, nel senso che non è sicura che gli islamici siano democratici. Questo non ci aiuta affatto: c’è un’altra destra, in cui ci sono islamici più radicali di noi. Ennahda ha fatto la scelta, ha scelto la via democratica, vuole agire democraticamente, vuole coordinare queste azioni con i laici e lo fa in modo molto pratico. I francesi vogliono che tutti gli islamici lascino il potere e per il bene di chi? Quando Ennahda lascerà il potere, verranno i più radicali che faranno molto male alla Tunisia.

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    Myanmar, oggi il primo Congresso del partito della San Suu Kyi

    ◊   Quasi 900 membri della Lega nazionale per la democrazia, il partito della leader pro-democratica birmana, Aung San Suu Kyi, si sono radunati oggi a Rangoon per eleggere i leader del movimento. Il fatto stesso che il partito sia stato autorizzato per la prima volta a organizzare il Congresso è un segno delle riforme politiche introdotte recentemente nel Paese. Si tratta inoltre di un test per la Lega, che sta lavorando per trasformarsi in un movimento di opposizione strutturato, prima delle elezioni in programma nel 2015. Del significato di questo appuntamento, e dei cambiamenti in atto in Myanmar, Fausta Speranza ha parlato con Raffaele Marchetti, docente di relazioni internazionali all’Università Luiss di Roma:
    R. - Certamente, il partito di San Suu Kyi sta ottenendo un riconoscimento sempre maggiore anche all’interno del Paese: ha partecipato alle elezioni, ha vinto un numero interessante e significativo di seggi. Questa riunione è un tassello in più nella legislazione interna del partito. Ciò non significa che sia un partito che oggi può aspirare a governare il Paese, che al momento è ancora nelle mani dei militari. Però, appunto, è un cammino, fatto di piccoli passi, che sta andando avanti. Ci sono cambiamenti in corso e questi sono significativi. Naturalmente, non possiamo aspettarci una radicale trasformazione del Paese in tempi brevi, però quello che dobbiamo dire è che ci sono forze, motivi e interessi che stanno spingendo sempre più per una ristrutturazione del Paese in termini politici ma anche economici.

    D. - Che significato ha in tutta l’area, nell’equilibrio geopolitico della regione, questo cambiamento che sta avvenendo in Myanmar?

    R. - Questo ha un significato molto profondo. Devo dire che in qualche modo le logiche geopolitiche regionali stanno influenzando questo cambiamento: ci sono dei fattori esterni che stanno spingendo il regime a cambiare. Certamente, c’è un crescente interesse e disponibilità dell’Occidente, degli Stati Uniti in primis - ricordiamo il viaggio prima di Hillary Clinton, di Obama - e poi anche dell’Unione Europea a sostenere questo processo di transizione da parte occidentale che ha che vedere con motivi economici. Il Myanmar è un Paese con grandi potenzialità economiche in termini di risorse naturali e di sviluppo industriale, ma ha anche un significato geopolitico. Proprio perché è stato in qualche modo marginalizzato in questi anni, il Myanmar si è ritrovato a costruire legami sempre più intensi con l’India, ma poi soprattutto con la Cina. Questo tipo di aperture occidentali vogliono in qualche modo ribilanciare l’orientamento del Myanmar anche verso l’Occidente e quindi a scapito del rapporto privilegiato con la Cina. Questo tipo di strategia occidentale mira anche a ridimensionare la proiezione regionale della Cina. Da un lato, il Myanmar ha un interesse a stabilire rapporti con l’Occidente, perché questo, in qualche modo, lo rende un po’ più autonomo nei confronti della Cina. E poi oltre agli Stati Uniti e all’Europa, ci sono gli altri Paesi dell’Asean, - che hanno concesso al Myanmar nel 2014 di presiedere l’organizzazione - che hanno interessi a limitare una presenza sempre più massiccia della Cina nel Myanmar.

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    Giornata della donna, la testimonianza di un'attivista egiziana

    ◊   Ricorre oggi la Giornata internazionale delle donne e l’attenzione mondiale va alla violenza che molte di esse sono ancora costrette a subire. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, l’ha definita “una minaccia globale” da “combattere ovunque si possa annidare”. Tra i Paesi in cui il problema è molto sentito ci sono quelli del Nordafrica, protagonisti delle cronache degli ultimi due anni. Ma le donne hanno giocato un ruolo essenziale anche per il successo delle “primavere arabe”. Lo ha spiegato, al microfono di Davide Maggiore, l’attivista egiziana Sally Toma:

    R. - We made it clear on 25th on January…
    Quel 25 gennaio, l’abbiamo detto chiaramente: non eravamo là fuori come donne bisognose d’aiuto, che volevano ottenere qualcosa e che cercavano protezione, ma per essere fianco a fianco con gli uomini, per dirigere e guidare. Siamo state presenti nella piazza sin dall’inizio e continueremo ad esserci. Ci sono molte donne attiviste che fanno parte di campagne e movimenti molto importanti. Le donne egiziane hanno sempre lavorato, sono sempre state fuori casa, non come negli altri Paesi arabi. Abbiamo i nostri diritti e questo è molto importante. Ma quello che manca adesso è l’inclusione dei nostri diritti nella Costituzione, il riconoscimento delle pari opportunità nel lavoro tra uomo e donna.

    D. - Le donne sono anche vittime di violenze a scopo intimidatorio. Pensa che la comunità internazionale e le ong possano aiutare ad acquisire una maggiore consapevolezza su questo?

    R. - It is very important to raise awareness…
    È molto importante riuscire ad acquisire consapevolezza, ma è necessario ricercarne le ragioni: perché questo accade? La metà di coloro che protestano, la metà della piazza sono donne. Accade che si stanno organizzando aggressioni nei riguardi delle donne da parte di teppisti affinché non vadano a protestare. Succede invece che oggi le donne sono caparbie e scendono in piazza in solidarietà tra di loro, a dire: “Io non ho paura! Scendere in piazza è un mio diritto!”. È molto più importante mostrare solidarietà verso le donne piuttosto che far aumentare la consapevolezza.

    D. - Due anni fa, durante le manifestazioni, l’Egitto sembrava essere unito contro il regime. Oggi sono sorte divisioni. In molti contesti, le donne sono state costruttrici di pace: potrebbero giocare questo ruolo anche in Egitto?

    R. - Yes. We have been seeing that in movements…
    Sì. Abbiamo constatato che recentemente, in diversi movimenti di opposizione, le donne si stanno sollevando: è ora di costruire ponti e di portare le cose ad un livello diverso. Le donne sono capaci di fare questo. Non dimentichiamo che le donne sono madri di ragazzi che sono morti, quindi devono continuare la battaglia dei figli per riportarci tutti ad una sola cosa.

    D. - Anche la comunità copta, della quale lei fa parte, si è unita alla battaglia dell’intera popolazione egiziana, mostrandosi come parte integrante del popolo egiziano...

    R. - Yes. We are full part of the Egyptian people…
    Sì: noi siamo parte integrante della popolazione egiziana. Non ci siamo mai sentiti una minoranza. Dodici milioni di copti non possono essere considerati una minoranza: dodici milioni di persone sono tante e appartengono tutte a questo Paese. Per molto tempo, i copti non si sono sentiti parte integrante dell’Egitto, perché c’erano discriminazioni, dal punto di vista della legge e della vita quotidiana. Ma era molto chiaro, anche prima del 25 gennaio, che i copti erano pronti a fare una rivoluzione per dire al mondo: "Ho il diritto di essere ascoltato, non solo tra le mura di una Chiesa, ma anche al di fuori, come egiziano! Ho diritti, ma devo anche fare il mio dovere come cittadino nei riguardi del Paese: ci sono persone che muoiono al fianco dei musulmani. La battaglia è la stessa: è la lotta per un Egitto libero, uno Stato civile”. Penso che quando il Paese sarà libero anche i copti saranno liberi e si sentiranno uguali agli altri.

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    Rapporto Ocse: Italia Paese sempre più ecosostenibile

    ◊   Gli investimenti nell'energia rinnovabile sono stati pari, secondo le stime, a 21 miliardi di euro nel 2011, con un aumento del 43% rispetto all'anno precedente. Lo rileva il rapporto Ocse sulle performance ambientali "Italia 2013". Diminuisce la quantità di rifiuti conferiti in discarica, anche nelle regioni del Sud rimangono pesanti criticità. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Oramai, sempre più imprese investono in progetti legati alla tutela ambientale, all'efficienza energetica e dell'uso delle risorse. Basta dire che nel settore idrico, e in quello dei rifiuti gli investimenti sono ammontati a circa 5 miliardi di euro nel 2010. Secondo il rapporto Ocse, l'Italia è uno dei leader mondiali ed europei nel settore delle energie rinnovabili in termini di investimenti, fatturato e occupazione. Il Paese si sta avvicinando all'obiettivo del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo. Scarsa invece la produzione di brevetti, per numero al di sotto di quelli degli altri Paesi avanzati. Progressi sono stati fatti anche nella tutela dei fiumi, dove fosforo e nitrati sono in netta diminuzione. Calano poi i rifiuti che vanno in discarica. Ma la situazione rimane critica in Campania, Lazio e Sicilia. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini:

    R. - Abbiamo fatto molto per migliorarla, ma il Centro-Sud del nostro Paese è ancora troppo dipendente dalle discariche. Quello che stiamo cercando di fare a Roma è dimostrare che si può vivere senza discarica. È una bella scommessa da questo punto di vista e spero di farcela per poter dare un segnale a tutto il Mezzogiorno.

    D. - Su Roma prende ipotesi una discarica al Laurentino, oppure è solo fantasia?

    R. - È una notizia che ho letto sulla stampa. Io non sto lavorando per trovare una discarica a Roma, ma per far funzionare al massimo tutti gli impianti, in maniera tale da poter recuperare e valorizzare i rifiuti. Credo non ci sia bisogno di un’altra discarica a Roma.

    D. - Qual è allora la soluzione, oltre a valorizzare?

    R. - Raccolta differenziata, recupero della frazione umida - che a Roma è il 40% dei rifiuti urbani - e produzione di compost e valorizzazione energetica, attraverso l’uso del combustibile derivato dai rifiuti per generare elettricità.

    D. - Però, le istituzioni locali, fino ad ora, non hanno dati grandi segnali. Lei si aspetta anche un cambiamento con Zingaretti alla Regione?

    R. - Io mi aspetto un significativo cambiamento, anche per le vicende note. Di fatto, il ruolo della Regione, che è cruciale per questo tipo di politiche, è stato molto marginale negli ultimi 4- 5 mesi, nel momento in cui avrebbe dovuto esercitare un ruolo importante per governare il processo. Mi auguro che con il presidente Zingaretti questa situazione venga superata.

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    Al Gemelli, presentata la prima Carta dei diritti per disabili in ospedale

    ◊   E’ stata presentata ieri la prima "Carta dei Diritti delle Persone con Disabilità in Ospedale", realizzata dalla Cooperativa Sociale Spes Contra Spem e adottata, per la prima volta in Italia, dal Policlinico Agostino Gemelli di Roma. Un documento che pone l'attenzione sulle barriere architettoniche strutturali classiche, ma soprattutto sulle difficoltà che incontrano le persone disabili ogni volta che devono sottoporsi ad una visita o un esame diagnostico in ospedale. Una carta che garantisca al paziente con disabilità l’accesso, senza difficoltà, a tutti i servizi sanitari e la libera scelta fra differenti procedure e trattamenti sanitari. Il prof. Nicola Panocchia, dirigente medico presso l’Istituto di Clinica Chirurgica del Policlinico Agostino Gemelli di Roma, ci parla dei diritti delle persone con disabilità e quanto, in un clima di riduzione delle spese, l’attuazione della Carta possa essere possibile. Intervista di Eliana Astorri:

    R. – Sono i diritti che hanno tutti i malati, diritti sanciti dalla Carta europea del malato. Non sono quindi diritti speciali – penso al diritto alla privacy, al reclamo, alla personalizzazione delle cure – ma diritti che ognuno di noi vorrebbe. Il problema è che per le persone con disabilità esigere questi diritti è un problema, perché ci sono delle barriere non solo architettoniche, ma anche organizzative e culturali che impediscono alle persone con disabilità di usufruire di questi diritti per loro fondamentali. Una delle problematiche maggiori è la disabilità intellettiva, cognitiva, ovvero, quelle persone che non sono in grado di autodeterminarsi, che hanno bisogno di assistenza. Uno dei problemi maggiori, per esempio è quello di permettere ad una persona – famigliare, caregiver od operatore – di assistere 24 ore su 24 questa persona, perché attraverso questo familiare, questo operatore, la persona è in grado di esprimere e comunicare con i medici. A volte, il familiare o il caregiver è proprio uno strumento di cura.

    D. – Bisogna però che questi progetti dalle parole si traducano in realtà. Ci sono dei costi: avete parlato, ad esempio, di segnalazioni acustiche nei pronto soccorso per i non vedenti, o segnalazioni visive per chi non può ascoltare. Ci sono dei costi, soprattutto in questo momento...

    R. – Sì, ci sono dei costi, ma non sono poi così elevati come si crede. Io parto da un altro presupposto: i diritti esprimono dei valori, i valori in cui una società crede. Allora, se noi riteniamo che le persone con disabilità debbano godere di questi diritti – perché esprimono un valore, ovvero, quello della concezione dell’uomo nella società in cui noi viviamo – allora non c’è costo che tenga.

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    Memoria di S. Giovanni di Dio. Fra Fabello: la società ha urgente bisogno di buoni samaritani

    ◊   L’8 marzo 1550 si spegneva a Granada, in Spagna, San Giovanni di Dio. Soldato, bracciante, libraio, Juan Ciudad, questo il suo nome, dopo aver ascoltato Giovanni d’Avila si convertì alla fede, vendette tutto e si fece mendicante per aiutare i più poveri. Colpito dalla drammatica situazione in cui versavano i malati della sua epoca, nel 1539 fonda un ospedale, primo della straordinaria e benemerita opera che da 500 anni svolgono i Fatebenefratelli, così come è universalmente conosciuto l’Ordine da lui fondato dei Fratelli Ospedalieri. Fra Marco Fabello, direttore della Rivista Fatebenefratelli e direttore generale dell’Istituto di ricovero e cura Fatebenefratelli di Brescia, intervistato da Alessandro De Carolis, prende spunto dalla figura del Buon Samaritano evocata da Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Giornata del malato di quest’anno:

    R. - Il Buon Samaritano è l’icona che, soprattutto al mondo di oggi, è necessaria. E possiamo anche pensare anche all’albergatore che, ai tempi d’oggi, non si fiderebbe tanto di uno che dice: “Ti pagherò dopo”. Oggi, non c’è questa disponibilità all’accoglienza, c’è diffidenza e non c’è molta solidarietà. In questa sanità che un po’ langue, io credo che possiamo sentirci tutti un po’ più insicuri, forse tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci soccorra, perché stiamo andando in un mondo per cui, in una nazionalità per ricchi, i poveri saranno sempre più poveri.

    D. - Nel suo Messaggio il Papa scrive: “Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore che guarisce l’uomo, bensì la capacità di accettare la tribolazione unendola a quella di Cristo”. I Fatebenefratelli in che modo vivono questo nella pratica ospedaliera?

    R. - E’ chiaro che viviamo un po’ la situazione di difficoltà del mondo che ci circonda. Ma il senso dell’umanizzazione, del portare e avere come centro di riferimento il malato, il cercare di condurre i familiari dei malati in una certa direzione, l’avere a cuore soprattutto le persone più deboli – i malati di mente in particolare e i malati di Alzheimer – ma comunque tutte le persone che hanno più difficoltà nella vita, è quello che cerchiamo di fare, anche con recenti aperture, con centri per malati in coma o per nuove forme psichiatriche. Stiamo cercando di dare una risposta – come buoni samaritani – cercando di fare nel migliore dei modi, con i limiti che abbiamo, ma teniamo sempre presente questo segno che Giovanni di Dio ci ha donato – scritto grosso nel cuore e nell’anima – di essere ospitali: ospitare l’uomo, ospitare la persona che ha tanti problemi e che aspetta solo che qualcuno gli tenda la mano.

    D. - Alla fine del suo Messaggio, Benedetto XVI ringrazia tutte le istituzioni cattoliche che, come la vostra, vivono la missione di assistere i malati. Cosa significano per voi queste parole del Papa?

    R. - Sono importantissime in questo periodo, soprattutto oggi che le istituzioni cattoliche soffrono tremendamente per il momento che stanno vivendo. Anche noi stiamo patendo la situazione e la viviamo come senso di povertà: abbiamo fatto il voto di povertà, ma adesso lo stiamo vivendo nel senso che non riusciamo sempre a essere per i malati la risposta giusta, perché la situazione è quella che purtroppo conosciamo. Però, ci vengono in contro figure importanti – il Papa lo dice – come il prossimo Beato Luigi Novarese, Roul Follereau, Beata Teresa di Calcutta, Giovanni di Dio, aggiungo io, e altri che possono rappresentare i punti di riferimento che ci aiutino ad avere più fede e forse ad avere più speranza, perché le difficoltà delle nostre strutture sanitarie cattoliche potranno essere superate a condizione che siano sempre più cattoliche. Più cattoliche non nel senso di esclusivismo, ma nel senso di essere universali, di essere più attente ai malati e ai loro bisogni, a essere più aperte. La qualità dell’assistenza, in termini di valore e di carisma, devono far la differenza. Diversamente non risolviamo – o risolviamo poco – i problemi.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: cristiani e musulmani ricordano Benedetto XVI

    ◊   "I cristiani della Terra Santa desiderano un Papa che sia testimone di pace, aperto al dialogo con le altre fedi e i non credenti". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews, mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Israele del Patriarcato latino di Gerusalemme. Secondo il prelato per i cristiani residenti in Israele e nei Territori palestinesi la pace non è solo l'assenza di guerra, ma la speranza di poter testimoniare Cristo nella propria terra. "Un clima di rinnovata fede e vitalità sta caratterizzando questi giorni particolari - racconta mons. Marcuzzo - in questi giorni cristiani, ebrei, musulmani, drusi e greco-ortodossi hanno organizzato momenti di preghiera e iniziative per commemorare Benedetto XVI e attendono ora l'elezione del nuovo successore di Pietro". Fra il 25 e il 28 febbraio, giorno dell'inizio della sede vacante - riferisce l'agenzia AsiaNews - tutte le parrocchie del Patriarcato di Gerusalemme hanno organizzato diverse iniziative di preghiera, vespri, processioni, adorazioni. Alcune comunità hanno invitato i musulmani a esprimere la loro opinione sul pontificato di Benedetto. Molti hanno citato l'episodio del discorso di Ratisbona, dove le parole del Papa sono state fraintese, ma in seguito comprese e meditate durante la sua visita in Israele, Giordania e Palestina. "La popolazione ha organizzato la maggior parte dei gesti in modo spontaneo - spiega il vescovo - alcuni hanno anche organizzato un pellegrinaggio a Tiberiade. Sulle rive del lago Gesù ha consegnato le chiavi del regno dei cieli all'apostolo Pietro e lì si trova la basilica dedicata alla Cattedra di San Pietro". Il 28 febbraio alle 20.00 tutte le parrocchie della Terra Santa hanno celebrato la messa solenne in onore del Papa e per pregare per i cardinali chiamati ad eleggere il nuovo successore di Pietro. La comunità di Nazareth ha commemorato la visita di Benedetto XVI del 2009, utilizzando per la messa gli stessi paramenti sacri indossati dal Papa. "Io stesso - racconta mons. Marcuzzo - ho avuto l'onore di indossare la casula e di accendere il candelabro d'argento donato dal Papa". Per ringraziare il Santo Padre, il sacrestano della basilica ha realizzato un cartellone con scritto "grazie Benedetto" in varie lingue. "Alla fine della celebrazione - aggiunge il prelato - la gente aveva riempito il pannello con preghiere e messaggi di augurio e sul sagrato centinaia di fedeli mi hanno letteralmente accerchiato, chiedendo di inviare al Papa le loro preghiere, i messaggi di vicinanza e invitandolo a tornare in Terra Santa da Papa emerito". (R.P.)

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    Egitto. L'imam di Al-Azhar: gli scontri non sono a sfondo religioso ma politico-sociale

    ◊   I continui attacchi contro la minoranza cristiana e i casi di arresti per presunte dissacrazioni del Corano e conversioni riportano alla luce lo spettro di uno scontro religioso fra cristiani e musulmani egiziani. Contro questa visione si è espresso nei giorni scorsi Ahmed al-Tayeb, grande imam dell'Università islamica di al-Azhar. All' incontro inter-confessionale "Al-Azhar's Family House", egli ha sottolineato che "i conflitti di questi giorni sono soprattutto frutto di scontri politici e sociali non religiosi. Islam e cristianesimo sono due religioni di amore, di pace e di perdono che non hanno nulla a che fare con l'estremismo". Per "educare" imam e leader religiosi non islamici ad affrontare i casi di fanatismo - riferisce l'agenzia AsiaNews - al-Azhar ha proposto ai rappresentanti della Chiesa copto ortodossa, cattolica e protestante una serie di incontri al Cairo dal titolo "Insieme per l'Egitto". Nell'incontro avvenuto lo scorso 6 marzo, il grande imam Al-Tayeb ha dichiarato di aver parlato con i leader salafiti che avrebbero confermato il loro impegno ad evitare nuove cause di conflitto inter-confessionale. Nonostante le rassicurazioni di al-Tayeb, i salafiti continuano a lanciare minacce contro la minoranza cristiana sfruttando radio, siti web e televisioni. Lo scorso 6 aprile ha suscitato scalpore la proposta di Mahmoud Shu'ban, professore di al-Azhar famoso per le sue posizioni radicali, che vuole obbligare i copti e tutte i membri delle altre religioni a pagare la jizya, la tassa versata per secoli dai non islamici a califfi e sultani. Per lo studioso salafita in questo modo i copti pagherebbero di fatto la loro protezione e nessuno potrebbe perseguitarli. Dopo la caduta del presidente Hosni Mubarak nel 20110, sono avvenuti decine di episodi di violenza contro i cristiani. Gli autori sono per la maggior parte gruppi salafiti o cittadini musulmani aizzati dagli imam locali ad attaccare i vicini cristiani, spesso per ragioni legati a proprietà e denaro. Da gennaio salafiti e radicali islamici hanno assaltato quattro villaggi cristiani incendiando chiese ed abitazioni. A Bani Suef il tribunale tiene in carcere da mesi una madre con sette figli e due bambini per ragioni legate alla religione. Ad Alessandria un commando di salafiti uccide cinque persone sospettate di costruire una chiesa. L'ultimo caso è avvenuto la scorsa settimana Kom Ombo nella provincia di Aswan (Alto Egitto), per ragioni legate alla "presunta" conversione forzata di una giovane musulmana. Fomentati dalle autorità religiose locali, un gruppo di giovani musulmani ha attaccato le abitazioni dei cristiani copti, dando fuoco a diversi edifici e alla chiesa. (R.P.)

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    Siria. Msf: "Aiuti umanitari insufficienti. Serve accordo per facilitarli"

    ◊   A due anni dall’inizio di un conflitto molto violento, la situazione umanitaria in Siria è “catastrofica e l’assistenza fornita è completamente al di sotto dei bisogni”. Lo denuncia Medici Senza Frontiere (Msf), chiedendo a tutte le parti coinvolte nel conflitto di “negoziare un accordo in merito all’assistenza umanitaria, con l’obiettivo di facilitarne l’implementazione in tutta la Siria attraverso i Paesi vicini o attraverso le linee del fronte”. Al contempo, le Nazioni Unite e i donatori internazionali - propone Msf - devono “riconoscere la frammentazione del Paese e dare urgentemente il proprio supporto alle Organizzazioni non governative (ong) per garantire l’assistenza umanitaria”. In Siria - riferisce l'agenzia Sir - il sistema sanitario è al collasso. La mancanza di cibo è costante; le forniture di acqua e di elettricità sono interrotte in continuazione. “L’assistenza medica è sotto attacco, gli ospedali vengono distrutti e il personale medico viene catturato”, racconta Marie-Pierre Allié, presidente di Medici Senza Frontiere. Secondo le stime delle Nazioni Unite, in Siria ci sono ormai 2,5 milioni di sfollati, mentre è stato danneggiato il 57% degli ospedali e il 36% non è in grado di funzionare. Questi dati non includono le cliniche private o gli ospedali di fortuna che sono stati distrutti o danneggiati. Più di 5000 siriani continuano a fuggire ogni giorno dal Paese: secondo l’Unhcr il numero totale dei rifugiati è arrivato a un milione. La maggior parte si trova nei Paesi vicini, dove “i programmi di assistenza - denuncia Msf - sono insufficienti e si riesce a malapena a rispondere al massiccio afflusso di persone”. Nelle aree controllate dal governo siriano, l’assistenza è gestita dalla Mezzaluna rossa araba siriana (Sarc) e da altre organizzazioni locali, autorizzate dal governo a fornire aiuti. Le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie internazionali autorizzate, sono costrette a lavorare in partnership con organizzazioni locali la cui capacità d’intervento è al limite e lavorano solo in alcune aree geografiche. Nelle zone sotto il controllo dell’opposizione, gli aiuti internazionali sono estremamente ridotti. Msf, a causa della mancanza di un’autorizzazione governativa, non ha accesso ai territori controllati dalle autorità di Damasco, ma ha aperto 3 ospedali nel nord del Paese ed ha visto direttamente che gli aiuti sono largamente insufficienti. “Le autorità di Damasco hanno la chiave per andare oltre questo stallo e per rimuovere tutti gli ostacoli perché l’assistenza umanitaria sia presente in tutto il Paese”, dichiara Christopher Stokes, direttore generale di Msf.

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    Leader civili e religiosi uniti contro le armi nucleari

    ◊   Di fronte ali pericoli di una escalation nucleare e alle provocazioni lanciate nei giorni scorsi da paesi come la Corea del Nord, leader religiosi e della società civile nel mondo levano un grido per fermare le armi atomiche e ricordano come monito “l'impatto umanitario delle armi nucleari”. Come riferisce una nota inviata all'agenzia Fides, la “Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari (Ican) ha organizzato nei giorni scorsi ad Oslo un incontro che includeva numerosi leader religiosi, oltre 500 rappresentanti della società civile e 132 rappresentanti di governi, che hanno esaminato le “disastrose conseguenze delle armi nucleari”. Diplomatici, scienziati, attivisti presenti hanno rimarcato che la corsa all’energia nucleare, a scopo civile e militare, “ha devastanti effetti sulla salute dei popoli e sull'ambiente”. Alla conferenza erano presenti i leader del “Consiglio Mondiale delle Chiese” che hanno richiamato i governi del nazioni del mondo “ad agire con responsabilità”. Fra le voci presenti, il Cardinale nigeriano John Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja, ha detto che “in un mondo civile le armi nucleari non possono trovare posto”. Posizione, questa, condivisa dal capo del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Peter Maurer. Nel caso delle armi nucleari, la prevenzione e il divieto sono “l'unica strada percorribile”, ha aggiunto. Il Vescovo giapponese Mons. Laurence Yutaka Minabe, nato da genitori sopravvissuti a Hiroshima, ha raccontato la sua esperienza e come suo padre sia morto di cancro in seguito alle radiazioni. Alcuni paesi in Africa e America Latina, che hanno espressamente rinunciato alle armi nucleare – ha concluso la conferenza – possono fornire “una leadership morale” agli sforzi internazionali per “liberare il mondo dalle armi nucleari e prevenire il disastro globale che il loro uso creerebbe”. (R.P.)

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    Kenya. Appello dei vescovi: mantenere la pace in attesa dei risultati elettorali

    ◊   Un appello a “mantenere la pace, rispettare la vita umana e ad osservare la legge” è stato lanciato dalla Conferenza episcopale del Kenya (Kec), in una nota a firma di mons. Philip Anyolo, vice-presidente dei vescovi. La dichiarazione arriva dopo le elezioni presidenziali e generali del 4 marzo scorso, di cui si attende ancora il risultato definitivo. Per la vittoria è necessaria la maggioranza assoluta delle preferenze e almeno il 25% dei voti nella metà delle 47 circoscrizioni. Una condizione, quest’ultima, introdotta dalla nuova Costituzione per garantire al capo dello Stato ampio sostegno in tutto il Paese ed evitare che la sua elezione sia il frutto dei voti etnici e regionali. Nel caso in cui nessuno dei candidati in lizza garantisca questi numeri il ballottaggio si terrà, probabilmente, il prossimo 11 aprile. “Ringraziamo i keniani – scrivono i vescovi – per aver esercitato in largo numero il diritto sovrano ad eleggere, in modo pacifico, i loro leader”. Confrontando, quindi, questa tornata elettorale con quella del 2007, che scatenò innumerevoli violenze, i vescovi parlano di “votazioni storiche” grazie alle quali il Kenya può intraprendere “un percorso positivo”, cercando di “guarire le profonde ferite della divisione, costruire l’unità nazionale ed una struttura istituzionale per salvaguardare il futuro”. Esprimendo, quindi, il cordoglio per l’uccisione di due poliziotti nel corso delle votazioni, la Kec invita nuovamente gli abitanti del Paese ed i candidati in lizza a mantenere la calma in attesa dei risultati elettorali definitivi e li esorta alla ripresa delle attività nelle scuole, nel trasporto pubblico e nel mondo del lavoro in generale. Infine, la Kec invita i fedeli a “continuare a pregare per il successo del processo elettorale”. Dal canto suo - riferisce l'agenzia Misna - Musalia Mudavadi, leader del Forum democratico unito ‘Amani’ e candidato alle elezioni presidenziali ha ammesso la sconfitta e affermato che al momento i due favoriti in corsa per il seggio sono Uhuru Kenyatta e Raila Odinga. Mudavadi ha detto di aver chiamato i due rappresentanti delle coalizioni avversarie (Cord e Jubilee) per congratularsi e assicurare il suo sostegno al vincitore. “Ho ricordato ad entrambi la nostra promessa di favorire la pace e l’unità nazionale qualunque sia il responso delle urne” ha detto. (I.P.)

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    Centrafrica: i vescovi denunciano le sofferenze della popolazione

    ◊   I vescovi del Centrafrica denunciano “l’inerzia e l’inazione totale dei firmatari degli accordi di Libreville, in una dichiarazione pubblicata al termine di un Consiglio straordinario della Conferenza episcopale centrafricana (Ceca). Gli accordi di Libreville dell’11 gennaio - riferisce l'agenzia Fides - sono stati firmati dal governo di Bangui e dai ribelli della coalizione Seleka dopo che questi avevano preso il controllo di vaste aree del Paese e minacciato di marciare sulla capitale. Mons. Désiré Nestor Nongo Aziagbia, vescovo di Bossangoa, ha affermato che “c’è un sentimento di sconforto condiviso dai vescovi del Centrafrica dopo la firma degli accordi degli accordi di Libreville. Si constata che i protagonisti della crisi vivono nell’inerzia e nell’inazione totale. Non si fa niente. Il popolo centrafricano è completamente preso in ostaggio. Soffre. Dunque bisognava trovare dei mezzi per liberare la popolazione dall’asfissia nella quale è mantenuta”. A metà febbraio i vescovi centrafricani si erano pronunciati sulle drammatiche condizioni di vita della popolazione. Il loro nuovo intervento giunge dopo una missione conoscitiva effettuata da alcuni leader religiosi del Paese nelle aree ancora controllata dalla coalizione ribelle Seleka. “Una situazione deplorabile” hanno affermato gli esponenti religiosi, cristiani e musulmani al termine del cosiddetto “tour di pace” che li ha portato a visitare le città di Grimari, Bambari, Alindao et de Mobaye. Mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, afferma di avere provato “un sentimento di desolazione. Quando vedete tutti questi giovani armati, tutti questi edifici distrutti, è la desolazione. E abbiamo anche visto la paura nel viso delle persone. Tutto questo ci ha profondamente colpito”. L’imam Kobir Layama ha denunciato che le azioni di Seleka rischiano di provocare un conflitto tra cristiani e musulmani, dicendosi “disgustato” e amareggiato per tutto questo. I leader cristiani e musulmani hanno l’intenzione di promuovere una marcia inter-religioso per chiedere un ritorno della pace in Centrafrica. (R.P.)

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    Indonesia: dai gruppi radicali islamici, stop alle chiese a Giava

    ◊   La comunità cristiana protestante “Banua Niha Keriso Protestan”, nella città di Bandung (provincia di Giava occidentale) ha ricevuto minacce e l’ordine di fermare le assemblee di culto. Un leader di quartiere, a capo di un nutrito gruppo di musulmani, ha ordinato ai fedeli cristiani di togliere tutte le immagini cristiane e lasciare l'edificio in cui si riuniscono a pregare. Come riferito all'agenzia Fides dal’ “Indonesian Committee of Religions for Peace”, al rifiuto opposto dai leader dalla comunità, i musulmani hanno promesso di tornare con una folla di militanti, per sloggiare i cristiani con la forza. Secondo Theophilus Bela, presidente “Jakarta Forum of Christian Communication”, è possibile che i fedeli islamici siano istigati a farlo dopo la preghiera islamica del venerdì. Fonti di Fides ricordano che questa è l’ultima di una serie di azioni anticristiane avvenute dopo che, nei giorni scorsi, nella provincia di Giava occidentale è stato rieletto come governatore l’islamista Ahmad Heryawan, del Prosperous Justice Party. Ahmad è promotore di una islamismo piuttosto intollerante verso le minoranze religiose. Il giorno prima delle elezioni ha promesso ai radicali (Fronte dei Difensori dell’Islam) di “liberare” la provincia dalle comunità di ahmadi, considerati “setta eretica” dai musulmani sunniti. Va notato che il governatore è stato rieletto ma con un margine più stretto (circa il 30% rispetto al 40% dei consensi, ottenuto cinque anni fa). Negli ultimi anni a Giava occidentale, una regione fortemente industrializzata accanto alla capitale Giacarta, si sono verificati violenti attacchi contro chiese cristiane e gruppi ahmadi. Secondo un recente studio del “Wahid Insitute”, ente musulmano che promuove il pluralismo, l’intolleranza religiosa resta un problema serio in Indonesia. Lo studio cita 274 casi di intolleranza religiosa avvenuti nel 2012, e la provincia di Giava occidentale risulta quella con maggior numero di casi, ben 43. In due episodi eclatanti, alle comunità cristiane della “Yasmin Church” di Bogor e della “Philadelphia Church” di Bekasi (entrambe in Giava occidentale) viene tuttora negato il diritto di costruire un proprio tempio. (R.P.)

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    El Salvador: la tregua tra gang è un’iniziativa positiva ma occorre fare di più

    ◊   La "tregua" tra le bande in El Salvador è definita come "positiva", perché ha salvato la vita di circa 2.000 persone. Lo ha riferito il ministro della Sicurezza David Munguia Payes a quasi un anno dall’avvio dell’iniziativa. Tuttavia, nonostante i risultati positivi di questo primo accordo, 2.110 persone sono state uccise nel Paese dal marzo 2012 (dati pubblicati dalle agenzie di stampa e raccolte dalla polizia locale). La "tregua", che ha avuto inizio il 9 marzo 2012, "è un’iniziativa positiva in particolare per la riduzione degli omicidi", ha detto in conferenza stampa Munguia Payes. Nel 2011, gli omicidi sono stati 4371; nel 2012, con la "Tregua" si contavano 2376 omicidi (vale a dire, 1995 di meno). Il ministro ha difeso la "tregua", sottolineando che "è l'unica cosa che produce dei risultati nel combattere la violenza nel Paese". In una nota inviata all'agenzia Fides si ricorda che “la tregua riguarda i membri delle bande che non si devono uccidere a vicenda”, ma ciononostante le "maras" “sono ancora il principale fattore di violenza nel Paese", ha detto Munguia Payes. La seconda fase della "tregua" che è dichiarare comuni privi di violenza, è diventata operativa nel mese di gennaio in quattro dei 262 comuni del Paese. La "tregua" è una iniziativa dell’Ordinario militare, mons. Fabio Colindres e di un ex deputato del Fronte Farabundo Marti per la Liberazione Nazionale, Raul Mijango, in accordo con il governo, che ha negato di aver negoziato con le bande. In questi giorni, in occasione del primo anniversario del patto, mons. Colindres e Mijango hanno realizzato delle visite a diverse prigioni del Paese, nelle quali sono imprigionati i capi delle bande che hanno accordato la tregua. (R.P.)

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    Nicaragua: "no" della Chiesa allo sfruttamento dell’oro a Matagalpa

    ◊   La diocesi di Matagalpa insieme al suo vescovo mons. Rolando Alvarez Lagos, si oppone alla prospettata apertura di miniere d’oro nell’area. La dichiarazione - presentata nel corso di una conferenza stampa - è stata letta da padre Pablo Espinoza parroco di Nostra Signora di Fatima nel comune di Rancho Grande, dove le aziende minerarie vogliono a ogni costo istallarsi e sfruttare le terre fertili del comune. Nella dichiarazione - riferisce l'agenzia Fides - il clero diocesano di Matagalpa, esprime allarme sull’apertura di miniere d’oro nell’area “che minacciano l'equilibrio ambientale e il futuro delle generazioni a venire”, e ribadisce “la necessità di preservare la terra come una casa comune e proteggere la popolazione, la cui opinione è ignorata, anche quando ha esortato il governo a negare l'autorizzazione dei lavori minerari a Rancho Grande e il resto della diocesi”. Il Nicaragua è diventata meta di diverse società minerarie perché negli ultimi anni si è scoperto che si possono aprire in modo relativamente facile e veloce miniere d’oro di altri minerali. (R.P.)

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    Portogallo: 64 mila chilometri di pellegrinaggio da oceano ad oceano

    ◊   Più di 4 milioni di persone, 250mila volantini distribuiti in 15 lingue e un viaggio di quasi 65mila chilometri. Sono queste le cifre della più grande campagna pro-vita mai organizzata su scala mondiale intitolata “Da oceano a oceano”. Dopo aver attraversato più di 20 Paesi, la copia dell’icona della Madre di Dio di Czestochowa (Polonia), che aveva iniziato il suo pellegrinaggio nel giugno del 2012 a Vladivostok sulle sponde dell’oceano Pacifico, è ora giunta in Portogallo dove proseguirà il suo viaggio attraverso l’Asia e l’Europa. Secondo Ewa Kowalewska, direttrice di “Human Life International” in Polonia e coordinatrice generale del pellegrinaggio, lo scopo principale della campagna è di sensibilizzare la società sui temi della difesa della vita e della famiglia e di “diffondere la civiltà della vita e dell’amore”. L’icona - riporta l'agenzia Sir - ha raggiunto Fatima il 3 marzo e sarà ora esposta alla venerazione dei fedeli nella cappella delle apparizioni durante la recita del rosario. Nel corso del mese di marzo visiterà diverse città portoghesi per poi ritornare a Fatima per la celebrazione della domenica della Divina Misericordia. L’8 aprile, festa dell’Annunciazione, l’icona di Czestochowa raggiungerà le acque dell’oceano Atlantico dove terminerà la prima fase del suo pellegrinaggio mondiale. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 67

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