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Sommario del 07/03/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Conclave: ancora non c’è la data. Padre Lombardi: confronto su temi forti per la Chiesa
  • Nella Basilica di San Pietro i cardinali riuniti in preghiera per la Chiesa
  • Benedetto XVI: sperare in Dio è credere in un'umanità nuova che vive sulla terra
  • Maria Voce (Focolari) su Benedetto XVI: ci dà il coraggio di guardare con ottimismo il futuro
  • Mons. Tomasi all’Onu: più tutele per la libertà religiosa nel mondo
  • La Lev pubblica un libro con gli ultimi interventi di Benedetto XVI
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto. Scontro tra magistratura e presidenza: no alle elezioni del 22 aprile
  • Siria: apprensione per i 21 caschi blu dell’Onu rapiti da un gruppo ribelle
  • Libia, mons. Martinelli: per cristiani vita difficile, ma i libici non sono per islam radicale
  • "Avvenire" consegna al Pakistan 31 mila firme per la liberazione di Asia Bibi
  • Napoli: Città della Scienza, si lavora già alla ricostruzione
  • Il "Progetto Gaia”, utopia di un mondo senza religioni: intervista con il prof. Introvigne
  • Cinema: esce "Il grande e potenze Oz", ideale prequel del capolavoro del '39
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Iraq: Baghdad accoglie il neo Patriarca Sako. Appello ai fedeli: “Non abbiate paura!”
  • Chavez: domani a Roma il card. Urosa presiede una Messa di suffragio
  • Unicef: in Siria distrutte 2400 scuole, 110 docenti uccisi
  • Allarme Fao: nei Paesi poveri è previsto un calo della produzione agricola
  • Congo: ancora combattimenti nel Nord Kivu nonostante gli accordi di pace
  • Zimbabwe: tra gli osservatori al referendum anche i vescovi africani
  • Mali: per la Chiesa la popolazione sta ritrovando la speranza
  • Centrafrica. Leader religiosi: "Nelle zone occupate dai ribelli, paura e desolazione"
  • Pakistan: petizione per eliminare la pena di morte dalla legge di blasfemia
  • Nord Corea: i campi di prigionia si allargano e inglobano i villaggi
  • Irlanda: i vescovi preoccupati per l'evoluzione della legge sull'aborto
  • Belgio: appello dei vescovi al parlamento contro l'eutanasia ai minori
  • Vescovi svizzeri: la “pillola del giorno dopo” allo studio della Commissione Bioetica
  • Russia: "no" della Chiesa ortodossa russa alle nozze gay
  • Il Papa e la Santa Sede



    Conclave: ancora non c’è la data. Padre Lombardi: confronto su temi forti per la Chiesa

    ◊   I cardinali non hanno ancora deciso alcuna data per l’inizio del Conclave. E’ la notizia più significativa offerta stamani da padre Federico Lombardi, durante il briefing al termine della Quinta congregazione generale. Il direttore della Sala Stampa vaticana ha inoltre smentito la notizia secondo cui sarebbe stata programmata una Messa in San Pietro per l’elezione del Pontefice. Nella giornata di oggi, ha poi affermato, saranno presenti a Roma tutti e 115 i cardinali elettori, anche se stamani in Congregazione era ancora assente il cardinale vietnamita. Sul briefing di padre Lombardi ci riferisce Alessandro Gisotti:

    Non c’è ancora alcuna decisione sulla data del Conclave: padre Federico Lombardi ha iniziato il suo briefing offrendo subito ai giornalisti la notizia più attesa. Ed ha successivamente aggiunto che questa decisione dipende dal Collegio cardinalizio. Smentito anche che sia stata “prenotata” la Basilica Vaticana per una Messa per l’elezione del Pontefice per lunedì pomeriggio. Tra l'altro, ha proseguito, una Missa Pro eligendo Pontifice è una Messa che tutti i sacerdoti possono celebrare in questi giorni, pregando lo Spirito Santo perché aiuti la Chiesa in questa situazione così importante. Padre Lombardi ha quindi affermato che nella Congregazione di stamani, la quinta, erano presenti 152 cardinali di cui 114 elettori essendo arrivato ieri a Roma anche il cardinale Nycz, arcivescovo di Varsavia. Manca dunque solo il cardinale vietnamita Pham Minh Man:

    “Il cardinale vietnamita è atteso nella giornata di oggi: vediamo se già ci sarà oggi pomeriggio o se ci sarà domani mattina alle riunioni. Quindi, con oggi dovremmo arrivare il numero completo di quelli attesi, che non hanno detto che non sarebbero venuti”.

    Padre Lombardi ha così informato che è stata rinnovata la Congregazione particolare, dopo i primi tre giorni, per assistere il camerlengo con il sorteggio di tre cardinali:

    “I tre sorteggiati di oggi sono stati il cardinale Raï, per l’Ordine dei Vescovi, il patriarca maronita; il cardinale Monsengwo, per l’Ordine del Presbiteri, e il cardinale De Paolis per l’Ordine dei Diaconi”.

    Gli interventi di questa mattina sono stati 16 in totale e i primi tre sono stati da parte dei responsabili dei dicasteri economici, Versaldi, Calcagno e Bertello. Nella Costituzione apostolica “Pastor Bonus”, ha detto padre Lombardi, si stabilisce che il camerlengo, in occasione della Sede vacante, deve provvedere a far avere al Collegio cardinalizio informazioni sullo stato patrimoniale ed economico della Santa Sede. Questo è quanto stato fatto sinteticamente stamattina dai tre cardinali:

    “Naturalmente i cardinali sono a disposizione, poi, di tutti i membri del Collegio per eventuali approfondimenti o integrazioni, oltre a quello che possono aver detto sinteticamente nel loro intervento”.

    Il direttore della Sala Stampa vaticana ha poi indicato, per grandi linee, quali sono stati gli altri temi toccati nei successivi interventi di stamani:

    “L’evangelizzazione, l’impegno della Chiesa nel mondo di oggi, la Santa Sede, i dicasteri della Curia Romana, i rapporti con gli episcopati, il profilo o le attese nei confronti del nuovo Papa. Questa mattina si è parlato anche di dialogo ecumenico, per esempio, di carità e impegno della Chiesa nei confronti dei poveri”.

    Anche in questa Congregazione, ha reso noto, c’è stata una pausa di circa mezz’ora durante la quale si è svolto un intenso colloquio tra i cardinali per lo scambio di informazioni e opinioni. Padre Lombardi ha, dunque, informato i giornalisti che il collegio cardinalizio ha inviato, a firma del cardinale decano Angelo Sodano, un messaggio di cordoglio ai governanti del Venezuela, in occasione della morte del presidente Hugo Chavez. Ha poi risposto ad una domanda sulle interviste anonime con citazioni di alti prelati non precisati:

    “Se uno ha delle cose da dire meglio che le dica chiaramente dicendo il suo nome e cognome prendendo le sue responsabilità oppure non le dica”.

    Durante il briefing sono state anche mostrate delle immagini del Ctv sui lavori in corso nella Cappella Sistina in vista del Conclave. La congregazione del pomeriggio, ha detto ancora padre Lombardi, sarà molto probabilmente tutta dedicata agli interventi dei cardinali. Rispondendo poi ad una domanda, ha detto che è assolutamente possibile che i porporati possano incontrarsi per una Congregazione anche nel giorno di sabato.

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    Nella Basilica di San Pietro i cardinali riuniti in preghiera per la Chiesa

    ◊   In occasione delle Congregazioni generali del Collegio cardinalizio, una celebrazione di preghiera per la Chiesa si è tenuta ieri questo pomeriggio, presso l’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro. Alla celebrazione, aperta anche ai fedeli, hanno preso parte i cardinali che partecipano in questi giorni alle Congregazioni generali in vista del Conclave. A presiedere i Vespri, il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica vaticana. Il servizio di Debora Donnini:

    Il vento e la pioggia battente non fermano i tanti fedeli che hanno voluto unirsi, nella preghiera per la Chiesa, ai cardinali. Nella Basilica di san Pietro i porporati recitano il Santo Rosario e i misteri gloriosi in latino e italiano. Quindi, l’esposizione del Santissimo Sacramento, da parte dei Frati della Sacrestia, seguito da un breve tempo di adorazione durante il quale i porporati si inginocchiano. A seguire i Vespri, con la Benedizione eucaristica impartita dal cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica vaticana. C’è grande raccoglimento nella Basilica di San Pietro e il bisogno di invocare il Signore in questo tempo fondamentale per la vita della Chiesa viene sottolineato dai fedeli presenti, religiosi, religiose e laici, giovani e anziani. Sentiamo come stanno vivendo questo momento:

    R. – Con una grande preghiera, con una speciale preghiera. In questo momento dobbiamo invocare lo Spirito Santo affinché illumini i cardinali perché ci sia un Papa secondo il cuore di Cristo, di nuovo come lo abbiamo avuto.

    R. – Penso che la preghiera sia la cosa più importante che dobbiamo fare in questi giorni, quello di cui la Chiesa ha bisogno. Il nuovo Papa avrà bisogno di preghiere …

    D. – Perché è venuta qui, a San Pietro, a pregare con i cardinali?

    R. – Perché così si manifesta maggiormente l’unione che vogliamo avere con la Chiesa, con i cardinali …

    R. – Mi sembra opportuno che i cardinali ed i fedeli si raccolgano in preghiera in vista del Conclave.

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    Benedetto XVI: sperare in Dio è credere in un'umanità nuova che vive sulla terra

    ◊   La transizione che sta vivendo la Chiesa in questi giorni di Sede vacante, con il suo senso di attesa e gli interrogativi di tante coscienze, porta in evidenza l’esigenza e il valore della speranza. Speranza, che è poi una certezza, che sia Dio a realizzare i suoi progetti in questa nuova stagione che si apre. Alla speranza, Benedetto XVI ha dedicato l’Enciclica Spe salvi e numerose riflessioni nel corso del suo magistero. Alessandro De Carolis ne rievoca alcune in questo servizio:

    “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Basta accendere la tv in qualsiasi momento della giornata o navigare su qualche sito di informazione per ascoltare quel grido, lanciato duemila anni fa in aramaico dalla Croce, rimodulato anche oggi nei mille idiomi del pianeta terra. Le urla che arrivano dai tanti “sud” del mondo – che in scala ridotta ma non meno dolente sono spesso le emarginazioni di una periferia urbana, di una disabilità ignorata, di un immigrato rifiutato, di una famiglia spezzata – sono in certo modo tutti eco del grido del Golgota. Ed è proprio alla scena del Calvario – ha più volte indicato Benedetto XVI – che i calvari della nostra epoca devono guardare, a Cristo che si sente abbandonato e che l’istante dopo si abbandona al Padre, trasformando la disperazione più abissale nella speranza che non ha fine:

    “Gesù che nel momento estremo della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele”.
    (Udienza generale, 15 febbraio 2012)

    Ma anche per un cristiano è difficile fare totalmente spazio a Dio. Così la fede – quella che si traduce poi, e molto spesso no o in modo sbiadito, nei comportamenti quotidiani – è vittima di uno “spread” tra il suo dover essere e ciò che in realtà è:

    “La nostra speranza è in Dio, non nel senso di una generica religiosità, o di un fatalismo ammantato di fede. Noi confidiamo nel Dio che in Gesù Cristo ha rivelato in modo compiuto e definitivo la sua volontà di stare con l’uomo, di condividere la sua storia, per guidarci tutti al suo Regno di amore e di vita. E questa grande speranza anima e talvolta corregge le nostre speranze umane”. (Angelus, 3 gennaio 2010)

    La “grande speranza” che “corregge” le piccole speranze umane vuol dire – ha spiegato concretamente Benedetto XVI – che…

    “…la speranza cristiana va oltre la legittima attesa di una liberazione sociale e politica, perché ciò che Gesù ha iniziato è un’umanità nuova, che viene ‘da Dio’, ma al tempo stesso germoglia in questa nostra terra, nella misura in cui essa si lascia fecondare dallo Spirito del Signore”. (Angelus, 7 dicembre 2008)

    Inoltre, un cristiano non spera solo per sé stesso, ma “spera” anche per gli altri, “e soltanto così – afferma Benedetto XVI – la speranza diventa “veramente” tale anche per lui:

    “Si tratta perciò di entrare pienamente nella logica della fede: credere in Dio, nel suo disegno di salvezza, ed al tempo stesso impegnarsi per la costruzione del suo Regno. La giustizia e la pace, infatti, sono dono di Dio, ma richiedono uomini e donne che siano ‘terra buona’, pronta ad accogliere il buon seme della sua Parola”. (Angelus, 7 dicembre 2008)

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    Maria Voce (Focolari) su Benedetto XVI: ci dà il coraggio di guardare con ottimismo il futuro

    ◊   La chiarezza di un magistero che ha formato tanti giovani, la capacità di avvicinare anche persone di altre religioni, il valore della preghiera. Sono alcuni degli aspetti del Pontificato di Benedetto XVI che mette in luce la presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, ripercorrendo i quasi otto anni trascorsi, a partire dall’immagine che della Chiesa il Papa emerito ha lasciato ai cristiani. L’intervista è di Gabriella Ceraso:

    R. - Mi sembra che l’immagine che Benedetto XVI vuole lasciarci sia proprio il fatto che la Chiesa è guidata, cioè non è allo sbando e non è alla deriva, perché è una “barca guidata da un timoniere sicuro”, che non neanche il Papa, ma è Cristo. Quindi, ci dà anche il coraggio di guardare con ottimismo al futuro.

    D. – C’è stato un contributo specifico di Benedetto XVI al Movimento dei Focolari, alla vita del Movimento?

    R. – Sì, c’è stato sempre un forte incoraggiamento a seguire il carisma e un riconoscimento del valore del messaggio che Chiara aveva dato; il Papa stesso la definiva una “grande carismatica”. Poi, il suo magistero, così chiaro e così sicuro, è stato un orientamento, in particolare per i giovani del Movimento che ne sono stati molto formati. Quindi, sento che tutti noi gli dobbiamo tanto.

    D. – Avete raccolto anche voci o testimonianze di persone di altre religioni, o persone a voi vicine che vi hanno raccontato cosa ha rappresentato per loro questo Papa?

    R. – Noi abbiamo sentito persone di altre Chiese, o persone di altre religioni che hanno espresso molto sinceramente il loro amore per Benedetto XVI ed anche per la Chiesa cattolica in questo momento e che si uniscono ai cattolici nella preghiera.

    D. – Come state vivendo invece l’attuale periodo della vita della Chiesa, un periodo di attesa del Conclave e del nuovo Pontefice...

    R. – Sicuramente con spirito di fede, come ci ha esortato a fare Benedetto XVI: di fede nello Spirito Santo che guida la Chiesa, e nello stesso tempo anche con uno spirito di preghiera. Ho raccomandato a tutti di sfruttare ogni piccolo grande incontro con il dolore, proprio per offrirlo per questo momento così delicato.

    D. – A Castel Gandolfo, vicino alla residenza del Pontefice emerito, c’è il Centro Mariapoli, proprio del Movimento dei Focolari. Avete avuto modo di manifestare a Benedetto XVI la vostra vicinanza, il vostro affetto e presenza?

    R. – Quando lui è arrivato - come sempre, d’altra parte quando veniva a Castel Gandolfo – ci siamo fatti premura di fargli trovare segni di affetto e di un amore concreto, che possono essere dei fiori, un dolce, un biglietto di benvenuto... Ma poi, quando lui è arrivato a Castel Gandolfo, in piazza, insieme al resto della folla, c’erano non solo le focolarine che si occupano di questa casa, ma anche oltre mille persone del Movimento delle Famiglie che si riuniva in quei giorni a Castel Gandolfo, per dire al Papa la propria fedeltà. Per il futuro, il nostro desiderio è certamente quello di continuare ad essergli vicino, per fargli sentire che il nostro amore non diminuirà ma casomai crescerà.

    D. – Il Papa all’ultima udienza generale, tra le tante, ha detto questa frase: “Non abbandono la Croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”. Secondo lei è una luce nuova che viene gettata anche sul modo di vivere la sofferenza per i cristiani?

    R. – Mi sembra proprio di si. Insieme all’altra frase “sempre e per sempre”, il Papa ha voluto dirci che il disegno di Dio si compie e che noi dobbiamo aderire a questo disegno di Dio e quello è l’importante, anche se questa adesione costa, perché sicuramente anche la sua rinuncia non sarà stata senza sofferenza, però è un prezzo che lui paga per la Chiesa.

    D. – Il 18 maggio secondo il calendario, stabilito da tempo, dell’Anno della Fede ci sarà l’incontro del nuovo Pontefice con Movimenti e Comunità ecclesiali. Avete pensato che sarà la prima occasione per incontrare questo nuovo Papa? C’è un auspicio da poter formulare?

    R. – Sì, noi abbiamo pensato che questo appuntamento rimane in calendario e che sicuramente sarà l’occasione per una maggiore conoscenza da parte del nuovo Papa della realtà dei movimenti, che in un certo senso rappresenta come la punta di un iceberg che è la realtà dei laici, che pensiamo debba essere sempre di più protagonista della Chiesa. Quindi ritengo che sarà senz’altro un momento importante.

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    Mons. Tomasi all’Onu: più tutele per la libertà religiosa nel mondo

    ◊   Minoranze religiose sempre più discriminate nel mondo e le stesse Nazioni Unite non reagiscono abbastanza a questi abusi. Lo ha denunciato ieri mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, intervenendo ai lavori del Consiglio per i diritti umani, riunito nella città elvetica. Le parole del presule al microfono di Roberta Gisotti:

    R. - Se ci guardiamo attorno, vediamo che nel mondo di oggi, in molti Paesi le minoranze religiose – sia cristiane, sia di altre confessioni – sono veramente bersaglio di attacchi anche violenti, alle volte con morti e feriti, altre volte con forme di discriminazione più sottile, attuata attraverso decisioni di tribunali o attraverso risposte della società, dei mezzi di comunicazione, che tendono a emarginare questi gruppi. Davanti a queste situazioni, ci sono dichiarazioni per la libertà religiosa, ci sono norme che provvedono alla difesa anche delle minoranze religiose, però un conto è la normativa esistente e dall’altra parte l’incapacità di attuare questa normativa. Quindi, bisogna fare in modo che prima di tutto cambi la mentalità, la cultura pubblica, che non tolleri che la discriminazione religiosa sia una specie di nuovo razzismo accettabile e che invece cerchi di rispondere in maniera efficace.

    D. – Le Nazioni Unite che cosa dovrebbero fare?

    R. – Cercare di tenere presente nell’agenda anche la questione della libertà religiosa, in modo che veramente questi abusi non si ripetano con la frequenza con cui li vediamo e che vengano finalmente eliminati.

    D. – Quindi, forse manca una denuncia più chiara degli Stati...

    R. – Sì e con l’attuazione concreta delle norme che già esistono, cominciando da lì...

    D. – Lei ha rivendicato un ruolo dello Stato come garante della libertà religiosa...

    R. – La responsabilità dello Stato è di proteggere tutti i suoi cittadini, indipendentemente che appartengano ad un gruppo etnico, ad un gruppo religioso, o ad un gruppo politico. Lo Stato deve guardare ai membri della comunità internazionale e salvaguardare il bene comune attraverso la difesa dei diritti personali di ciascun cittadino. Capita però che lo Stato a volte tenda ad identificarsi con la maggioranza religiosa del luogo e quindi releghi un po’ le altre minoranze a cittadini di seconda classe, o addirittura non riconosca i diritti di cittadinanza uguali agli altri. Certo, uno Stato può mantenere le sue identità anche da un punto di vista religioso: un conto è l’identità storica di un Paese, altro è il modo di agire dello Stato che deve assolutamente essere giusto e quindi trattare tutti i suoi cittadini – e di conseguenza tutti i gruppi sia religiosi, che di altre identità – in maniera giusta ed uguale, come per la maggioranza.

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    La Lev pubblica un libro con gli ultimi interventi di Benedetto XVI

    ◊   Un “piccolo omaggio”, quale “segno della fedeltà della Lev al Santo Padre”. È da oggi in libreria “Non mi sono mai sentito solo – Gli ultimi discorsi di Benedetto XVI”, pubblicazione della Libreria Editrice Vaticana che raccoglie tutti gli interventi pronunciati dal Papa tra l’11 e il 28 febbraio, cioè tra l’annuncio della rinuncia al Pontificato e l’inizio della Sede vacante. La Libreria Editrice Vaticana, si legge nella presentazione dell’opera, “ha accompagnato il Papa nel suo ministero petrino” fin dall’inizio del suo Pontificato. “Il Magistero e gli insegnamenti di Benedetto XVI rappresentano il focus dell’intero catalogo Lev”, la cui missione – si ricorda – è di essere “per sempre strumento per la diffusione della Parola di Dio e del Magisterium”.

    La copertina del volume ritrae Benedetto XVI mentre saluta i fedeli durante l’ultima udienza generale, svoltasi in piazza San Pietro mercoledì 27 febbraio. E proprio una frase pronunciata in quella circostanza viene citata nel titolo: “Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino”.

    Il primo testo riportato è la Declaratio con la quale Benedetto XVI ha annunciato l’11 febbraio in Concistoro “di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma”. Seguono, tra gli altri, la catechesi svolta nell’udienza generale del 13 febbraio, poi l’omelia della Messa del Mercoledì delle Ceneri e il saluto rivolto al Papa a fine celebrazione dal cardinale segretario di Stato, sempre il 13; il testo dell’incontro con i parroci e il clero di Roma, giorno 14; gli Angelus del 17 e del 24 febbraio; la riflessione al termine degli esercizi spirituali della Curia Romana, la mattina del 23; il testo dell’ultima udienza generale, tenutasi il 27; il saluto di congedo ai cardinali presenti a Roma il 28 mattina e infine quello ai fedeli della diocesi di Albano dalla loggia centrale del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, subito dopo il suo arrivo nel piccolo centro laziale.

    Il volume contiene anche il testo della Lettera apostolica data Motu Proprio “Normas Nonnullas”, su alcune modifiche alle norme relative all’elezione del Romano Pontefice. Conclude l’opera un profilo biografico di Benedetto XVI. Nella quarta di copertina sono riportate le parole pronunciate dal Papa nella sua ultima apparizione pubblica, a Castel Gandolfo, il pomeriggio del 28 febbraio: “Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra”. E proprio con grande semplicità quest’opera – afferma la Lev - si propone quale “segno di ringraziamento e di riconoscenza” a Benedetto XVI.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Le congregazioni generali dei cardinali.

    Una primavera romana: Juan Manuel de Prada sulle sue cronache dalla sede vacante del 2005.

    Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "Quel che insegna la mistica della femminilità": sperando di non "poter" più festeggiare l'8 marzo cinquant'anni dopo il celebre saggio di Betty Friedan.

    La gioventù di Armida: Giorgio Vecchio sui primi passi dell'Azione cattolica femminile in Italia e in Europa nel Novecento.

    Ildegarda e le altre: Isabella Farinelli sulla santa di Bingen, al centro di una serie di iniziative a Venezia.

    Il bebè guarito dall'Hiv: Carlo Bellieni sulla bella pagina di storia della medicina scritta in un ospedale del Mississippi.

    Musa di se stessa: Sandro Barbagallo sulla mostra, a Parigi, dedicata alla pittrice Marie Laurencin.

    Fra guai e preghiera: Ritanna Armeni sul massimo ascolto ottenuto dalla fiction televisiva di Rai Uno con protagonista suor Angela.

    La presenza dei cristiani in Iraq esigenza di fede e di patria: nell'informazione religiosa, il messaggio del primo ministro per l'intronizzazione del nuovo Patriarca di Babilonia dei Caldei.

    Una rivoluzione che mina le basi della società: il Patriarcato di Mosca e la legalizzazione dei matrimoni fra omosessuali.

    La felicità della Pasqua: nell'informazione vaticana, la presentazione del reggente della Prefettura della Casa Pontificia, Leonardo Sapienza, alla pubblicazione, da lui curata, che raccoglie i messaggi "urbi et orbi" di Paolo VI.

    Confessori a tempo pieno: intervista di Nicola Gori a padre Rocco Rizzo, reggente del collegio dei penitenzieri vaticani.

    Nell'informazione internazionale, i caschi blu nelle mani dei ribelli siriani.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto. Scontro tra magistratura e presidenza: no alle elezioni del 22 aprile

    ◊   In Egitto, si riaccende la tensione dopo la decisione di un tribunale amministrativo di annullare la convocazione delle elezioni, il prossimo 22 aprile, come deciso dal presidente Morsi. Secondo i giudici, alla base del decreto ci sarebbe un grave vizio procedurale perché il Consiglio della Shura non avrebbe riformulato i cinque articoli considerati illegittimi dalla Corte costituzionale suprema. Un nuovo capitolo, dunque, nel contrasto tra presidenza e magistratura come conferma, al microfono di Benedetta Capelli, Silvia Colombo, ricercatrice dell’Istituto di Affari internazionali:

    R. – Guardando quello che è successo in Egitto dalla metà di novembre in avanti, ci si poteva aspettare una situazione di questo tipo, visto il continuo confronto e le tensioni esistenti tra la magistratura e il presidente Morsi. Siamo ancora in una situazione simile a quanto già successo a metà novembre con il decreto di Morsi, che affidava poteri pressoché assoluti al presidente. In questo momento, visto che la posta in gioco riguardo alle elezioni è molto alta, probabilmente non sarà facile superare questa empasse e non sarà facile portare le due parti verso una convergenza su un punto comune e chiaramente questo porterà naturalmente a un ritardo delle elezioni e quindi a un continuo stallo politico nel Paese.

    D. – Quante possibilità ci sono che il ricorso già annunciato dal presidente possa essere accolto?

    R. – Non penso che ci possano essere grandi possibilità. Si preannuncia una fase di forti tensioni nelle prossime settimane a livello delle principali istituzioni del Paese, quindi tra presidenza e Corte costituzionale suprema, visto che la stessa Corte rappresenta un potere che si controbilancia a quello del presidente. Quindi, non penso che cederà anche proprio perché ci sono aspetti della Costituzione e della stessa legge elettorale che si prestano ad interpretazioni abbastanza ambigue. Di conseguenza, si arriverà ad uno slittamento delle elezioni stesse.

    D. – Ma sono le elezioni la via migliore, la via giusta per togliere l’Egitto dallo stallo politico nel quale è? Sappiamo che l’opposizione ha già detto di voler boicottare il voto…

    R. - Sinceramente, penso che le elezioni rappresentino in qualsiasi processo di transizione, più o meno democratica, una fase cruciale. Di conseguenza, per poter superare anche queste tensioni è necessario che i cittadini possano esprimere il proprio voto liberamente e che queste elezioni siano veramente libere. Probabilmente, vedremo anche che queste elezioni porteranno a cambiamenti nella composizione del futuro parlamento. Al di là della questione del boicottaggio, si parla oggi di un calo di popolarità degli islamisti, il partito che sostiene il presidente Morsi, e c’è una maggiore pluralità delle forze politiche, al di là del blocco principale dell’opposizione, quindi ci si potrebbe comunque aspettare un avanzamento.

    D. - Gli ultimi avvenimenti a Port Said al Cairo sono l’espressione di quale tipo di malumore da parte del popolo egiziano?

    R. – C’è una convergenza di fattori sia a livello politico che a livello socioeconomico. Partirei da questi ultimi. Da due anni, dalla caduta del regime di Mubarak, l’Egitto non è cresciuto da un punto di vista socioeconomico, ma al contrario si è trovato sempre più in basso su un piano inclinato che lo sta portando verso il baratro economico. La crisi sociale di conseguenza riguarda soprattutto l’insoddisfazione profonda e la disperazione della popolazione che ha visto le proprie chance di miglioramento economico o anche solo di sopravvivenza essere sempre più ridotte. A questo si aggiungono le tensioni politiche. Dalla metà di novembre 2012, il Paese si è trovato costantemente in una fase di tensioni e di contrapposizioni, in questa divisione tra islamisti e forze civiche o forze liberali, tra coloro che sostengono il presidente e lo voteranno alle elezioni e quelli che invece si asterranno sono tutti fattori di lacerazione. La situazione è molto complessa. Non sappiamo se le elezioni o l’avvio di un processo di transizione un po’ più regolare, con meno colpi di scena, con meno interruzioni, potrà aiutare a lenire queste tensioni. Ma penso che sia l’unico modo per poter portare avanti questo processo.

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    Siria: apprensione per i 21 caschi blu dell’Onu rapiti da un gruppo ribelle

    ◊   Cresce l’apprensione per i 21 Caschi blu di nazionalità filippina, rapiti ieri da un gruppo ribelle siriano sulle alture del Golan, nonostante giungano rassicurazioni sul loro stato di salute. Il servizio di Salvatore Sabatino:

    Non faremo del male ai caschi blu dell’Onu, ma l’esercito di Assad deve ritirarsi dal villaggio di Jamla. Questa la condizione posta dai sequestratori, appartenenti al gruppo dei “martiri di Yarmuk” per la loro liberazione. I militari sono tutti di nazionalità filippina e il governo di Manila è intervenuto prontamente, chiedendone l’immediato rilascio. Lo stesso aveva fatto poco prima il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Intanto, infuriano anche oggi le battaglie, soprattutto a Raqqah, dove ieri ci sono stati oltre 30 morti. E spunta un video in cui sarebbero visibili combattenti ceceni, giunti nel Paese per sostenere i ribelli. E la crisi che impatta sui Paesi limitrofi: il governo iracheno ha chiuso un valico di frontiera con la Siria nella provincia di Ninive, dopo gli sconfinamenti degli scontri dei giorni scorsi e la morte di alcuni militari di Baghdad, mentre in Turchia è polemica dopo la rissa di stamattina nel parlamento di Ankara, dopo che un deputato dell’opposizione ha criticato la politica "muscolare" di Erdogan nei confronti di Assad.

    Sono sempre di più i rifugiati che fuggono dalle violenze. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, si tratta di "un disastro su larga scala“, con un milione di siriani che hanno lasciato il Paese, la metà dei quali bambini. Francesca Sabatinelli ha intervistato Reem Alsalem, portavoce di Unhcr in Libano:

    R. – The number of people who have registered or are waiting registration…
    Il numero delle persone che si sono registrate, o che stanno aspettando ancora di essere registrate, ha toccato oggi il milione. Noi sappiamo però che il numero dei siriani dev’essere molto, molto più alto di questo, perché ci sono molti che ancora non sono arrivati al luogo della registrazione o che mai si registreranno. Quello che l’Alto Commissariato ha fatto, in realtà, è suonare l’allarme perché questa situazione rappresenta la grave crisi umanitaria causata dalla guerra in Siria. Oltre a questo milione di profughi all’estero, ci sono quattro milioni di persone all’interno della Siria – e queste sono stime prudenti – che hanno bisogno di assistenza. Ora, se si aggiungono quattro milioni di persone all’interno della Siria al milione di persone che si trova fuori dal Paese, stiamo parlando di cinque milioni di persone che rappresentano il 20% della popolazione siriana. E queste, come ho detto, sono stime prudenti, perché noi non abbiamo accesso a molte zone della Siria. Tutto questo dimostra che siamo arrivati a un punto cruciale della crisi siriana.

    D. – Quali sono le condizioni fisiche e psicologiche di queste persone?

    R. – We have to remember that this is really a refugee crisis women and children…
    Dobbiamo ricordarci che questa crisi di rifugiati riguarda sostanzialmente donne e bambini. Oltre il 60% dei rifugiati sono donne e bambini: noi li accogliamo nei punti di valico tra con la Giordania, li incontriamo anche pochi giorni dopo il loro arrivo in Libano… Quella che vediamo è una situazione veramente tragica. Molti arrivano feriti, o soffrono di gravi problemi di salute, vengono con i vestiti che indossano, hanno pochissimo denaro. Alcuni hanno viaggiato per giorni e in situazioni di pericolo, altri sono stati feriti con arma da fuoco mentre cercavano di uscire dalla Siria. Quando arrivano, sono molto preoccupati per i familiari rimasti nel Paese. I bambini, in particolare, hanno visto cose che nessun bambino a quell’età dovrebbe vedere: l’uccisione di membri della famiglia, la distruzione delle loro case. E’ evidente il trauma che hanno sofferto: bagnano il letto, sono molto chiusi, non vogliono parlare con nessuno e quando lo fanno manifestano comportamenti aggressivi. E’ una situazione veramente molto triste. Loro vengono senza sapere cosa il futuro riservi loro: molti non sanno per quanto tempo saranno rifugiati e non c’è nessuno che possa sostenerli. Trovare un alloggio nei Paesi di accoglienza è per loro una grande sfida. Ovviamente, oltre il 60% dei rifugiati vive fuori dai campi e ho visto con i miei occhi oltre 20 famiglie affollare un singolo edificio, in condizioni igienico-sanitarie molto limitate, in Libano come in Giordania. Detto questo, bisogna però ricordare anche che le comunità del Libano e della Giordania sono state di una generosità estrema, aprendo le loro case alle famiglie e condividendo le loro povere risorse, il pane e l’acqua, con le famiglie siriane. Forse, però, tutto questo non riuscirà a indurre la comunità internazionale a rendersi conto che questa non può essere una situazione duratura: se queste condizioni si protrarranno, senza fondi adeguati, la Giordania, il Libano, perfino la Turchia e l’Iraq – che pure hanno i loro problemi – non saranno in grado di tenere aperte le loro frontiere e crolleranno di fronte a tale pressione.

    D. – Questo sarà il risultato dei mancati finanziamenti?

    R. – Exactly. The Un and the humanitarian Ngos and agencies have asked…
    Esatto. A dicembre 2012, le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative e le agenzie umanitarie hanno chiesto un miliardo di dollari per rispondere alle esigenze di base dei rifugiati fino a giugno. Purtroppo, di questo miliardo di dollari che abbiamo chiesto – la più grande richiesta di aiuti umanitari della storia – ne abbiamo ricevuto soltanto il 25%. Qualche cosa sta entrando, ma come le ho detto, questo disastro umanitario sta crescendo a un ritmo così veloce che per rispondere con la stessa velocità, la comunità internazionale dovrebbe contribuire altrettanto velocemente. Se oggi non riusciamo ad avere i fondi necessari, veramente non saremo in grado di affrontare le esigenze più elementari. E quando dico “elementari”, non sto parlando di operazioni umanitarie di gran lusso: parliamo di riuscire a fornire i 20 litri di acqua, le 2.000 calorie di cui le persone hanno bisogno, una coperta, una tenda. Se non riusciremo a ottenere altri fondi, dovremo addirittura stabilire delle priorità tra i più vulnerabili e lasciare fuori da questo piano di emergenza tutti gli altri.

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    Libia, mons. Martinelli: per cristiani vita difficile, ma i libici non sono per islam radicale

    ◊   L’ondata di integralismo che attraversa il Nordafrica sta rendendo la vita impossibile ai cristiani. In Libia, a Tripoli, sabato scorso, un uomo entrato con una scusa nella cattedrale cattolica di San Francesco, ha sparato due colpi contro un sacerdote, mancandolo. Non è la prima volta che i copti residenti in Libia finiscono nel mirino dei salafiti. La scorsa settimana, un gruppo di uomini armati ha attaccato una chiesa a Bengasi aggredendo due preti della comunità egiziana. Sul costante aumento delle violenze e delle intimidazioni, Alessandro Filippelli ha intervistato il vicario apostolico a Tripoli, mons. Giovanni Martinelli:

    R. – L’evoluzione di una società, che ha le sue ragioni anche politiche, purtroppo ha dato troppo spazio al fondamentalismo. Il problema è che realmente la violenza esiste, è stata presente almeno in Cirenaica, nella zona di Barce, Terna, Topuk e in qualche modo anche a Bengasi. Quindi c’è stata violenza, per cui anche le nostre religiose che lavoravano negli ospedali da tanti anni sono dovute partire perché realmente non era facile per loro affrontare questo tipo di violenza.

    D. – In questa fase post-Gheddafi, il Paese sta cercando di trovare un equilibrio di governo. Nel Paese c’è la corrente salafita che punta a confondere le idee: come è possibile confrontarsi con un islam che non cerca un dialogo?

    R. – Io direi che in Libia non sembra ancora esservi un islam "impossibile", perché la popolazione non è abituata a vivere in questo fondamentalismo che non è il suo stile. Però, sono convinto che il confronto debba esserci e quindi necessariamente anche la Chiesa si trova a vincere questa resistenza e forse anche a capire quali siano le ragioni di fondo.

    D. – Cosa intende quando parla di “sorgenti di fondamentalismo che condizionano il rapporto tra il mondo musulmano e la Chiesa”?

    R. – Ci sono le sorgenti del fondamentalismo, in particolare in alcune zone della Cirenaica, parlo di Derna. Qui, abbiamo le sorgenti e purtroppo si sono sviluppate con la rivoluzione, con questa rivoluzione. Si sono sviluppate queste correnti estremiste islamiche che purtroppo condizionano un po’ tutto il Paese. Loro desiderano avere un islam fondamentalista che abbia una sua identità, desiderano in ogni settore della vita sociale e soprattutto per quanto riguarda in particolare le donne e anche le strutture del vivere sociale: loro vogliono dare una identità musulmana. Direi di non aggravare la situazione ma di guardarla con serenità, perché i libici e buona parte del mondo arabo non vogliono il fondamentalismo: vogliono la vita sociale e i rapporti con tutte le realtà umane di cui sono circondati. Quindi, aiutiamoli a ritrovare questo tipo di serenità, è importante.

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    "Avvenire" consegna al Pakistan 31 mila firme per la liberazione di Asia Bibi

    ◊   Trentunomila sottoscrizioni per la liberazione di Asia Bibi, la mamma pakistana condannata a morte nel suo Paese per aver violato, in quanto cattolica, la legge sulla blasfemia. Le firme, raccolte dal quotidiano Avvenire, sono state consegnate ieri a Roma all’ambasciatrice della Repubblica islamica pakistana in Italia, Tehmina Janjua. Da circa due anni e mezzo, il giornale della Cei dedica ogni giorno uno spazio alla causa di Asia Bibi, detenuta da 1358 giorni. Al microfono di Paolo Ondarza, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio:

    R. – Oramai da due anni e mezzo, diamo conto del perché Asia Bibi è condannata alla pena capitale: perché è semplicemente una cristiana. Diamo conto ogni giorno dell’inesorabile passare del tempo… Questa donna è in cella, separata dai suoi figli, dalla sua famiglia. E’ una donna che continua a trovare forza solo nella fede e nella preghiera.

    D. - 31 mila firme, pervenute nella vostra redazione, sono già state consegnate alle rappresentanze diplomatiche pakistane. Qual è il vostro auspicio dopo mesi di impegno?

    R. - Che ci sia un giudice e in qualunque città pakistana venga celebrato il processo di appello ad Asia Bibi, e che si rimetta in movimento il procedimento che ha portato alla condanna a morte questa giovane madre pakistana. Credo sia molto importante che il Pakistan, che è un grande Paese, dimostri che c’è un giudice, un giudice che possa evitare questa ignominia. La legge sulla blasfemia è una normativa che, così com’è, si presta a strumentalizzazioni gravissime e che ha prodotto già quattromila condanne a morte. E’ una legge che non a caso viene chiamata “legge nera”, proprio perché è un cuore ferito, sanguinante, nella realtà del Pakistan, che è un grande Paese e che dovrebbe trovare la via per dimostrare a se stesso e al mondo di voler voltare pagina.

    D. - Asia Bibi è a conoscenza della vostra mobilitazione?

    R. - Non ho la certezza assoluta. Sappiamo che la sua famiglia ne è a conoscenza. Mi piace ricordare come è cominciata la cosa: inizialmente, abbiamo pubblicato una lettera straordinaria di Asia Bibi dal carcere. A partire da questo, sono cominciate ad arrivare in redazione lettere appassionate, bellissime, e abbiamo deciso di accompganere questo slancio dei nostri lettori.

    D. - Quindi, è una mobilitazione partita dal basso, partita dai lettori di Avvenire?

    R. – A me piace dire che la consapevolezza cambia il mondo. Quando un giornale o una televisione, una radio, come la Radio Vaticana, informa con pulizia e aderenza alla verità dei fatti, lì parte la forza dell’opinione pubblica.

    D. – Queste 31 mila firme raccolte danno l’idea di come Asia Bibi non sia sola, anche se, va detto, non sempre tutti gli organi di stampa, tutti i media si sono occupati del suo caso…

    R. – Non c’è una capacità di tenere accesi i riflettori su un caso come questo. Mi ha colpito molto che sulla grande stampa internazionale – lo dico senza vena polemica ma con amarezza – abbia furoreggiato il caso di una donna condannata a morte per una vicenda di adulterio e non si sia riusciti a tenere accesa l’attenzione sulla vicenda di una donna che è stata condannata a morte a causa della sua fede. Forse dice qualcosa del tempo che viviamo.

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    Napoli: Città della Scienza, si lavora già alla ricostruzione

    ◊   “La pista terroristica è la meno credibile”. Da Bruxelles, è il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, a tornare sulle indagini relative al rogo che martedì notte ha distrutto l’area museale della Città della Scienza a Napoli. L’ombra della camorra e l’eversione restano le altre ipotesi. "E’ una ferita aperta per tutto il Paese”, aggiunge la Cancellieri, auspicando una rapida ricostruzione del polo. Su questo fronte, Ue e governo già sono attivi, mentre si è attivata una straordinaria mobilitazione della cittadinanza. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    "Evidentemente, colpire un luogo come quello significa voler andare a colpire il cuore del presente e del futuro di quella realtà. Sicuramente, non c’è neanche un giorno da perdere perché questo è un segnale forte che la criminalità ha voluto dare e a questo segnale forte bisogna rispondere con un segnale altrettanto forte e deve essere quanto più corale possibile”.

    La voce è quella di Francesca Rispoli, coordinatore di Libera, Associazione contro le mafie. Ma a pensare che le fiamme non possano certo fermare la sete di conoscenza e la possibilità di futuro che Bagnoli rappresenta sono in tanti. La ricostruzione ufficiale può contare su circa 20 milioni di euro, dei quali cinque subito disponibili da parte di governo e Regione. Altri fondi si attendono dal Ministero dell’istruzione, dalle compagnie di assicurazione, dal Comune. E si offrono già con le loro competenze periti e architetti da tutta Italia. Le università e i musei italiani fanno sentire le loro voci di vicinanza e unito reagisce il mondo della cultura locale. Caterina Miraglia presiede la fondazione Campania dei Festival:

    “Tutto il sistema museale, tutto il sistema della cultura, sono stati chiamati a essere compatti. Città della Scienza deve essere sostenuta concretamente. L’incasso della Campania dei Festival di quest’anno sarà devoluto, per le parti che sono libere, alle opere, quindi la ricostruzione degli arredi in senso lato del Museo stesso”.

    Ma il segnale da dare subito viene dalla gente comune. Sono tante le iniziative di raccolta fondi partite anche su Internet, su Facebook, su Twitter. La gara di solidarietà non ha precedenti: 30 mila i contatti alla pagina creata per l’occasione, “Ricostruiamo la città della scienza”, dove si trovano tante iniziative che stanno nascendo. Le prime dopo il rogo, nella stessa zona dell'incendio a Bagnoli, saranno spettacoli, lezioni aperte e un flash-mob, domenica. L’appuntamento è per dire "basta a chi vuole depredarci", sostengono gli organizzatori. Ci saranno i fotografi per documentare quanto è accaduto, ma anche bambini e famiglie per sorridere e riflettere, per esempio, con il Teatro Pirata di Jesi, che porta in scena un’opera nel padiglione rimasto in piedi dopo il rogo. L’opera parla di rinascita:questa è la parola chiave, sostiene Francesco Mattioni, direttore artistico del teatro di Jesi:

    R. - Noi con il Teatro delle Nuvole, che lavora all’interno della Città della scienza, siamo amici oltre che colleghi. Abbiamo pensato che data la disgrazia sarebbe saltata tutta la programmazione e invece ci hanno detto che volevano continuare. Pensiamo che sia la risposta da dare, cioè non fermarsi.

    D. - Voi porterete un messaggio di speranza…

    R. – Assolutamente. Già lo spettacolo stesso parla di una persona, che sta in mezzo ai rifiuti che dai rifiuti fa nascere storie e magie, quindi già lo spettacolo parla di questo. Quindi sicuramente venite, vi faremo ridere, vi faremo commuovere, saremo tantissimi.

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    Il "Progetto Gaia”, utopia di un mondo senza religioni: intervista con il prof. Introvigne

    ◊   Tra curiosità e divertimento, ma anche stupore e qualche perplessità, sta crescendo negli ultimi giorni il dibattito sulla Rete Web intorno ad un video postato sul sito di Gianroberto Casaleggio, esperto informatico, co-fondatore del Movimento 5 stelle. Nel filmato di circa 7 minuti, in lingua inglese con sottotitoli in italiano, viene presentato il cosiddetto "Progetto Gaia" per un nuovo ordine mondiale. Di cosa si tratta? Il servizio di Roberta Gisotti:

    Il filmato – riscoperto di recente - risale al 2008: “Gaia: un nuovo ordine mondiale è nato oggi” esordisce una voce femminile fuori campo. “E’ il 14 agosto 2054”, quando conflitti razziali, ideologici, religiosi, territoriali – profetizza il video - apparterranno al passato ed ogni uomo sarà “cittadino del mondo, soggetto alle stesse leggi”, grazie all’avvento di Internet, che cambierà “le comunicazioni, la conoscenza l’organizzazione a livello planetario”, consegnandole “a tutto il popolo” e togliendole a “gruppi massonici, religiosi e finanziari”, che all’inizio del XXI secolo ancora determinano il destino del mondo, spiega la voce fuori campo. Il racconto si snoda quindi a ritroso, citando le piramidi d’Egitto, il Colosseo e la Chiesa della sacra saggezza, simboli del potere. Poi si parla di Gengis Khan, di Savonarola, Lutero, Calvino, di Diderot e Voltaire, di nazismo e fascismo, del movimento no global di Seattle e del V Day di Beppe Grillo e di Chavez, di Obama di al Gore. E si arriva al 2020 alla terza guerra mondiale, che durerà 20 anni e vedrà distrutte San Pietro, Notre Dame e la Sagrada Familia, paventando uso di armi batteriologiche, cataclismi ambientali, innalzamento dei mari, decadimento e fine dell’era del petrolio. Solo 1 miliardo di persone sopravviverà. Ma infine vincerà l’Occidente e la democrazia della Rete, contro le dittature orwelliane di Cina, Russia e Medio Oriente, dove Internet è sotto controllo. Nel 2047 il passaggio più inquietante: ognuno avrà la sua identità in un network sociale e mondiale creato da Google con il nome di Earthlink. Tre anni dopo si avrà un’intelligenza sociale collettiva per risolvere ogni problema, condividendo ogni tipo di informazione e dati on line. Finchè nel 2054 vi sarà la prima elezione in rete per un Governo mondiale chiamato Gaia, dove “partiti politici, ideologie, religioni” spariranno e l’uomo sarà “il solo proprietario del suo destino”.

    Abbiamo chiesto un commento al prof. Massimo Introvigne, sociologo delle religioni: il progetto Gaia è una favola della Rete su cui sorridere o ci sono elementi da valutare seriamente e di cui preoccuparsi?

    R. - Tutta la storia dell’esoterismo del Novecento è percorsa da questa ipotesi di Gaia: Gaia, la Terra, come essere vivente; la religione di Gaia come unica religione, che abolirà la distanza fra uomo e Dio. Questo video va preso sul serio, perché non nasce da una momentanea fantasia utopica internettiana di Casaleggio, ma mostra come questo personaggio - oggi così influente sulla nostra politica - sia inserito in una tradizione esoterica ed occulta che dura da 100 anni.

    D. - Lei crede che ci sia la possibilità che questo progetto Gaia, così com’è formulato - in modo direi anche molto semplice, quasi ingenuo - possa raccogliere dei seguaci?

    R. - Ecco, la novità è il ricorso allo strumento della Rete, anche nelle prime utopie di Gaia, che risalgono all’Ottocento, il mondo sarebbe stato salvato dall’elettricità o dal telegrafo. Poi sono venute la Radio, la Televisione e ora la Rete… Quindi questo strumento tecnologico, tecnocratico cambia, ma lo schema fondamentalmente è sempre lo stesso. Naturalmente il problema che Casaleggio si trova davanti - e in altri suoi lavori lo scrive con chiarezza - è come fare capire questa ideologia a numeri significativi di persone. Per questo - afferma - ci sono gli “influencer”, quei piccoli nuclei, di cui lui fa parte, composti di poche persone che sono però responsabili per il 90 per cento del contenuto mondiale di Internet. Questi “influencer” hanno successo quando trovano dei portavoce, delle persone cioè che sanno parlare alle grandi masse.

    D. - E’ bene, dunque, vigilare su questo fenomeno, se dovesse continuare a prendere piede?

    R. - Qualcuno ha detto che Scientology avesse realizzato uno dei sogni del suo fondatore, Ron Hubbard, e cioè di andare molto vicino a impadronirsi della vita politica di un grande Paese. Io credo che questo sia esagerato perché i seguaci di Casaleggio e Grillo non hanno quella disciplina ferra - nonostante le espulsioni dei dissidenti - che invece regna in un movimento religioso più articolato e strutturato com’è Scientology. Quindi da una parte l’affermazione è esagerata, ma - dall’altra - questa ideologia è persino più inquietante di quella di Scientology, perché Scientology almeno è prevedibile. Ci sono decine, centinaia di volumi sia scritti dai dirigenti di Scientology, sia dai loro critici: quindi Scientology è misteriosa solo per chi non la conosce, ma gli specialisti su Scientology sanno tutto. Mentre qui sul modo di realizzare questi scopi e queste utopie da parte di Casaleggio e del suo piccolo ‘cerchio magico’ molto discreto che lo circonda, sappiamo in realtà, alla fine, molto meno.

    D. – Prof. Introvigne, nel video si punta il dito contro gruppi massonici, religiosi e finanziari che deterrebbero il potere. Ma il rischio qui sarebbe di finire sotto i poteri forti di Internet e qui, poi, se ne fa il nome di uno solo…

    R. - Direi che siamo di nuovo di fronte ad un fenomeno che nella storia si ripropone: ogni volta che qualcuno ci vuole proporre un nuovo potere, fondato su una nuova tecnologia, denuncia i vecchi poteri che sono contro il senso della storia. C’è un dialogo, nel libro “Il grillo canta sempre al tramonto”, tra Grillo, Casaleggio e Dario Fo, dove a un certo punto il Premio Nobel italiano dice: “Però attenzione che avevano già detto tutto Lenin e Marx! Avevano già detto tutto loro”. Anche loro si scagliavano contro i vecchi poteri forti che dominavano il mondo e anche loro hanno finito per costruire un nuovo potere forte, non meno totalizzante, anzi totalitario, di quelli che lo avevano proceduto.

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    Cinema: esce "Il grande e potenze Oz", ideale prequel del capolavoro del '39

    ◊   Ritornano al cinema le meravigliose avventure del Mago di Oz: nel nuovo, spettacolare film della Disney “Il grande e potente Oz”, sugli schermi da oggi, si scopre la genesi del suo potere e come, dietro una semplice maschera, si nasconda il cuore di un uomo che ha scoperto la bontà, l'altruismo e l'amore. Il servizio di Luca Pellegrini:

    "Buon popolo di Oz, il vostro Mago è qui…"

    Glielo dice una ragazza, una delle tante tradite nell'amore, sostituita con il sogno della ricchezza e di una vita di menzogne: "Un uomo, se vuole diventare buono, lo può fare". Ma Oscar Diggs è un mago ciarlatano che non ci pensa proprio al cambiamento: gli va bene così, arrabattarsi girovagando per i paesini dell'Oklahoma nell'anno 1905 mettendo in scena sgangherati numeri di magia. In bianco e nero e una visione molto ristretta, come è all'inizio la sua esistenza, inizia "Il grande e potente Oz", il prequel ispirato alla serie di romanzi che L. Frank Baum scrisse tra il 1900 e il 1920 sulle gesta del meraviglioso mago di Oz. Del quale lo scrittore non volle mai narrare come divenne un vero mago - o meglio, un vero uomo con un vero cuore - e che questa volta fa, invece, il film diretto da Sam Raimi e interpretato da James Franco, che ha il naturale e diretto dono della simpatia, oltre che della bravura.

    Non mancano alcuni divertenti omaggi nei confronti della pellicola, famosissima, girata da Victor Fleming del 1939 e nella quale Judy Garland dava il suo volto alla candida Dorothy. Anche questa volta, come in quel film, è una tromba d'aria a cambiare una vita: Diggs viene rapito mentre fugge a bordo di una mongolfiera. Approda al mondo di Oz, mentre l'immagine sullo schermo si allarga e si arricchisce di meravigliosi colori. Un mondo in cui il bene e il male si affrontano. Quest'ultimo è nel potere di due streghe, naturalmente: Evanora dell'Est che governa la Città di Smeraldo e ha una doppia natura, perché una linea malvagia la trapassa, e la sorella Theodora dell'Ovest, che cederà alle lusinghe del male, mentre Glinda del Sud è mossa da innocente bontà. Quando Diggs riconoscerà finalmente che ci possono essere desideri nobili e buoni e deciderà di aiutare un popolo in pericolo che tenta di recuperare giustizia e pace, diventerà il Mago di Oz.

    "E' il racconto - spiega il regista - di come un uomo mediocre, che era egoista, diventa un grande mago altruista". Attraversando mille avventure e facendo la conoscenza di strane e a volte pericolose creature che colorano anche questa, come ogni fiaba, di un po' di paura. Ma come in ogni fiaba, è il bene che alla fine trionfa.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Iraq: Baghdad accoglie il neo Patriarca Sako. Appello ai fedeli: “Non abbiate paura!”

    ◊   Si è svolta ieri mattina, nella cattedrale caldea di San Giuseppe a Baghdad l‘intronizzazione di Mar Louis Raphael I Sako a Patriarca di Babilonia dei Caldei. Erano presenti numerose personalità religiose, politiche e civili, tra cui diversi Patriarchi di chiese orientali, mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Giordania e Iraq e il primo ministro iracheno Nouri al Maliki. Nel suo discorso di intronizzazione, riportato dal sito Baghdahope, Louis Raphael I Sako, ha dichiarato che “il dialogo con le altre chiese e con le altre componenti religiose del Paese è necessario perché solo così si può realizzare la pace che potrà portare alla rinascita dell‘Iraq”. Il Patriarca caldeo - riporta l'agenzia Sir - ha poi esortato i cristiani iracheni a “non emigrare in quanto sono iracheni a tutti gli effetti perché radicati nella storia e nella cultura del Paese”. Ieri sera, nella sua prima messa da Patriarca caldeo celebrata sempre nella cattedrale di san Giuseppe, a Baghdad, mons. Sako ha rivolto un pressante invito a “non avere paura”. Commentando le parole di Gesù, “non abbiate paura”, il Patriarca ha esortato i fedeli “a rinnovare la fiducia, la comunione e l’unità”: “Ciò che abbiamo vissuto in termini di sofferenza, di tribolazione e del sangue versato dei nostri martiri, può, se vogliamo, incorporarci al mistero di Cristo. La tempesta dovrà passare, come la convivenza coerente dovrà essere vissuta. Dobbiamo risolvere i nostri problemi e le nostre crisi, ritornare autenticamente ai nostri sentimenti più nobili, unirci e rinnovarci spiritualmente, umanamente e socialmente”. Nell’omelia il patriarca ha dettato anche il suo programma di lavoro: innanzitutto “aggiorneremo la nostra liturgia e i nostri metodi di insegnamento, rinnoveremo con determinazione e coraggio le strutture della nostra Chiesa secondo lo spirito del Concilio Vaticano II e l‘Esortazione apostolica 'Chiesa in Medio Oriente’. Il mio programma è lavorare con tutti nella Chiesa caldea come un gruppo unito, nello spirito di autenticità, unità e rinnovamento. Collaborerò con i miei confratelli vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli, uomini e donne, per il bene della Chiesa e della gente”. Rilevante anche l’importanza data al dialogo ecumenico ed interreligioso. Louis Raphael I Sako ha ribadito l’impegno a collaborare con le altre Chiese, in modo speciale con la Chiesa Assira d‘Oriente, “per rafforzare la presenza cristiana in questo Paese ed offrire testimonianza di unità e d‘amore”, e con “i nostri fratelli musulmani” con i quali “approfondiremo i punti di avvicinamento e rispetteremo i punti di differenza”. Al termine il patriarca ha annunciato anche il prossimo Sinodo caldeo che si terrà il 5 giugno. Louis Raphael I Sako è visto da tutti come "l‘uomo del rinnovamento" come testimoniano le sue prime decisioni. Tra queste il congelamento di ogni transazione finanziaria riguardante il patriarcato e i diversi enti a esso collegati nel periodo intercorrente tra l‘arrivo del nuovo Patriarca nella sede a Baghdad e la sua intronizzazione di oggi. Nominata anche la commissione finanziaria del Patriarcato composta da giovani sacerdoti e da due vescovi, mons. Bashar Matti Warda, arcivescovo di Erbil e mons. Emil S. Nona, arcivescovo di Mosul. (R.P.)

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    Chavez: domani a Roma il card. Urosa presiede una Messa di suffragio

    ◊   La Messa solenne in onore del defunto presidente del Venezuela Hugo Rafael Chavez Frias si celebrerà domani a Roma alle ore 19 nella Chiesa Santa Maria ai Monti, in via della Madonna dei Monti, 41 e sarà presieduta dal cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas che si trova a Roma per partecipare al Conclave che dovrà eleggere il nuovo Papa. Lo ha comunicato all'agenzia Fides lo stesso cardinale Urosa Savino e ha chiesto a tutti venezuelani di partecipare all'Eucaristia. L'arcivescovo di Caracas in un comunicato inviato a Fides ha espresso cordoglio alla famiglia del defunto presidente, e ha chiesto a tutti i settori della società di promuovere la calma e l'armonia del popolo. Ieri, il segretario generale della Conferenza episcopale del Venezuela (Cev), mons. Jesus Gonzalez de Zarate ha manifestato alla stampa nazionale, il rammarico della Chiesa per la morte del Presidente e i sentimenti di solidarietà alla sua famiglia. Malgrado alcuni episodi di tensione tra Chiesa e Stato, la preoccupazione per il bene della popolazione ha mantenuto sempre vivo il dialogo e la collaborazione tra le due parti. (R.P.)

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    Unicef: in Siria distrutte 2400 scuole, 110 docenti uccisi

    ◊   Almeno 2.400 scuole sono state danneggiate o distrutte, di queste 772 soltanto a Idlib, 300 ad Aleppo ed altre 300 a Deraa e più di 1.500 scuole sono state utilizzate come rifugi per sfollati; più di 110 insegnanti sono stati uccisi. A due anni dall‘inizio della crisi in Siria, un’indagine dell’Unicef mostra che il livello crescente di violenze rischia di compromettere l’istruzione di centinaia di migliaia di bambini. Un quinto delle scuole del Paese, infatti - riferisce l'agenzia Sir - ha subito danni materiali diretti o sono utilizzate come rifugi per sfollati. Ad Aleppo, il tasso di frequenza dei bambini è sceso del 6% e alcune scuole sono state usate dalle forze armate e da gruppi coinvolti nel conflitto. L’Unicef denuncia che nelle città in cui il conflitto è stato più intenso, alcuni bambini hanno già perso quasi due anni di scuola e rileva che molti genitori sono riluttanti a mandare i figli a scuola, temendo per la loro sicurezza. Nelle aree in cui un alto numero di famiglie sfollate è ospitato, le classi sono sovraffollate e arrivano, in qualche caso, fino a 100 studenti. Al momento l‘Unicef sta sostenendo più di 170 circoli scolastici ad Homs, Daraa, Damasco Rurale, Tartus, Lattakia, Hama e Quneitra, con circa 40 mila bambini. (R.P.)

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    Allarme Fao: nei Paesi poveri è previsto un calo della produzione agricola

    ◊   La produzione di grano nel 2013 secondo le prime stime si aggirera' intorno ai 690 milioni di tonnellate - un aumento del 4,3% rispetto al 2012. Secondo l'ultimo rapporto della Fao Crop Prospects and Food Situation (Prospettive dei raccolti e situazione alimentare) pubblicato oggi, questa sarebbe la seconda piu' grande produzione mai registrata. Il balzo in avanti - riferisce l'agenzia Agi - avra' luogo principalmente in Europa, trainato da un aumento delle semine fatto come risposta ai prezzi sostenuti e a un miglioramento delle rese, soprattutto nella Federazione Russa. Le prospettive per gli Stati Uniti, benche' meno favorevoli a causa di condizioni di siccita' precedenti, nelle ultime settimane sono, in qualche modo, migliorate. Il rapporto 'Crop Prospects and Food Situation' si concentra poi sugli sviluppi che hanno ripercussioni sulla situazione alimentare dei Paesi in via di sviluppo. Nella sua analisi delle zone piu' esposte all'insicurezza alimentare, il rapporto indica: Siria (dove a causa del protrarsi della guerra civile si stima che 4 milioni di persone necessitino con urgenza di assistenza alimentare e sostegno alle condizioni di vita); Corea del nord (dove il periodo di siccita' del maggio-giugno del 2012, seguito da localizzate inondazioni nei mesi di luglio-agosto, ha influito negativamente sulla produzione che e' diminuita e danneggiato le infrastrutture agricole); Repubblica Democratica del Congo (dove l'escalation del conflitto ha fatto aumentare sensibilmente il numero degli sfollati, stimati adesso intorno a 2,7 milioni di persone); Mali (qui il conflitto in corso nel nord del Paese ha interrotto la circolazione dei prodotti alimentari e provocato un grosso numero di sfollati e rifugiati. Tutto cio' non ha fatto che peggiorare la gia' precaria situazione alimentare creata dalla grave siccita' del 2011); Sudan (dove si stima siano circa 3.5 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria, soprattutto nelle zone coinvolte nel conflitto che affligge il Paese). Per quanto riguarda i prezzi alimentari internazionali, l'Indice dei prezzi cerealicoli della Fao ha registrato nel mese di febbraio una media di 245 punti, una flessione di meno dell'1% da gennaio, ma ancora un 8% in piu' rispetto al febbraio dell'anno scorso. (R.P.)

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    Congo: ancora combattimenti nel Nord Kivu nonostante gli accordi di pace

    ◊   Più di 120 persone hanno perso la vita in combattimenti nel territorio del Masisi e in quello di Rutshuru (90 km circa da Goma, capoluogo del Nord Kivu nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo). Lo riferisce nel suo sito ufficiale la Conferenza Episcopale Congolese (Cenco). Tra il 27 e il 28 febbraio si sono affrontati i militari dell’esercito regolare congolese (Forces Armées de la République Démocratique du Congo-Fardc) e i miliziano dell’Armée du Peuple pour un Congo Libre et Souverain (Apcls), uno dei più importanti dei 30 gruppi armati che operano nella provincia congolese. Secondo la Cenco le vittime sono in maggioranza di etnia Hunde, Nande e Hutu. Oltre ai morti e ai feriti, i combattimenti hanno provocato la distruzione del centro commerciale di Kitchanga: “hotel, magazzini, negozi, farmacie e ristoranti sono stati distrutti e incendiati. I quartieri Camp Sayo e Mberere sono stati distrutti al 90%. Secondo la Croce Rossa locale, più di 256 case sono state incendiate”. L’Apls è formata Hundé e il suo leader è un generale autoproclamato Janvier Karaïri. Secondo diverse fonti locali, gli scontri sono scoppiati perché i militari delle Farc inviati nell’area sono ex ribelli tutsi che sono stati integrati nelle forze armate regolari. Nonostante gli accordi di Addis Abeba il Nord Kivu non trova pace anche perché il principale gruppo di guerriglia della provincia, l’M23 si è diviso in due fazione in lotta tra loro. (R.P.)

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    Zimbabwe: tra gli osservatori al referendum anche i vescovi africani

    ◊   “Elezioni pacifiche, senza violenze e intimidazioni sono componente essenziale della costruzione della nazione”: lo hanno sottolineato i vescovi dell’Africa australe, annunciando l’invio di una loro delegazione per monitorare la correttezza del referendum costituzionale e del voto politico in programma nello Zimbabwe. Delle consultazioni, la prima delle quali prevista il 16 marzo, si è discusso ad Harare durante una riunione alla quale hanno partecipato vescovi di Angola, Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia, Sao Tomé e Principe, Sudafrica, Swaziland e Zimbabwe. “Come vescovi – si legge in un testo diffuso al termine dell’incontro e ripreso dall'agenzia Misna – desideriamo dare il nostro contributo a consultazioni pacifiche proponendoci come osservatori d’intesa con la commissione elettorale competente”. Il presupposto è la necessità di un impegno comune affinché il referendum e soprattutto le elezioni legislative e presidenziali previste nei prossimi mesi non sfocino in violenze e abusi come accaduto in occasione del voto del 2008. “Elezioni democratiche – sottolineano i vescovi – dovrebbero essere un’alternativa non violenta a una lotta violenta per il potere e alla guerra civile”. Nel documento si ricorda come i leader politici dello Zimbabwe, anzitutto il presidente Robert Mugabe e il primo ministro Morgan Tsvangirai, abbiano sottolineato pubblicamente che la violenza non può essere una soluzione. Dichiarazioni incoraggianti, suggeriscono i vescovi, anche perché “la pace e la stabilità dello Zimbabwe contribuiranno alla pace e alla stabilità di tutta l’Africa australe”. Nella nota si sottolinea infine come la Chiesa “sia presente nella politica ma non sostenga partiti”. Una linea espressa anche nella posizione assunta in merito alla bozza di Costituzione oggetto del referendum. “La Chiesa – scrivono i vescovi – sostiene la costruzione di uno Stato libero e democratico che abbia una Carta fondamentale basata sulla dignità umana, i diritti e i doveri dei cittadini”. (R.P.)

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    Mali: per la Chiesa la popolazione sta ritrovando la speranza

    ◊   I successi militari delle truppe franco-maliane (appoggiate da quelle del Ciad) nel nord del Mali incoraggiano la popolazione che vede una possibile uscita dalla crisi. “Non solo i gruppi jiahdisti sono stati espulsi e allontanati dai grandi centri urbani del nord, ma la riduzione della loro forza fa sperare ai maliani di un miglioramento delle condizioni di sicurezza del Paese” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali. “Le popolazioni delle città del nord liberate dalla presenza dei gruppi jihadisti hanno ripreso a vivere e si sentono più sicure” aggiunge don Dembele. Il governo ha annunciato la creazione di una Commissione dialogo e riconciliazione per trovare il modo di pacificare il Paese. “La composizione di questo organismo è ancora da decidere. Pensiamo che anche la Chiesa cattolica ne farà parte, perché, come ha detto il Primo Ministro, nella Commissione confluiranno le diverse componenti sociali e religiose del Paese, in modo che tutti i maliani possano riconoscersi in questa struttura” dice don Dembele. “Il Mali non ha mai conosciuto una divisione tra popolazioni del nord e popolazioni del sud, ma si parla piuttosto di diverse componenti della società, anche su base etnica. Credo quindi che all’interno della Commissione si ragionerà in questi termini, invece che di una spaccatura tra nord e sud” conclude il sacerdote. (R.P.)

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    Centrafrica. Leader religiosi: "Nelle zone occupate dai ribelli, paura e desolazione"

    ◊   Le condizioni dei civili nei territori sotto occupazione dei ribelli del Seleka sono “deplorevoli”: a denunciarlo, in un messaggio redatto dopo una missione sul posto, sono i rappresentanti religiosi del Centrafrica che chiedono alla Comunità internazionale un “maggiore impegno” per cercare di risolvere la crisi in atto. Nel corso del loro viaggio a tappe - riferisce l'agenzia Misna - i religiosi hanno soggiornato nelle località di Grimari, Bambari, Alindao e Mobaye, dove hanno riscontrato “un clima di rassegnazione e desolazione” ha spiegato mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui. “Quando si vedono tutti questi giovani armati, i palazzi e le case distrutti, la paura sui volti della gente…si viene presi da un sentimento di desolazione” aggiunge il prelato, rappresentante della comunità cattolica che si è detto “molto toccato” da quest’esperienza. Gli fa eco l’imam Kobir Layama, della comunità musulmana, secondo cui esiste un rischio di conflitto tra le comunità cristiane e musulmana a causa del comportamento di alcuni membri della ribellione. “Queste cose – ha detto l’imam – ci fanno venire le lacrime agli occhi”. Ma non tutto è perduto, ha precisato il reverendo delle chiese protestanti Nicolas Guerekoyame-Gbangou, secondo cui c’è ancora un barlume di speranza e l’aiuto della comunità internazionale è fondamentale “per riportare la pace e la riconciliazione nel Paese”. I religiosi hanno annunciato che organizzeranno una marcia interreligiosa per chiedere la pace in Centrafrica. (R.P.)

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    Pakistan: petizione per eliminare la pena di morte dalla legge di blasfemia

    ◊   Eliminare la pena di morte dalla legge di blasfemia e ritirare le accuse a carico di Sherry Rehman: è quanto chiede una petizione lanciata dall’Asian Human Rights Commission (Ahrc), Organizzazione non governativa con sede a Hong Kong, che ha avviato una raccolta di firme, ben presto appoggiata da altre associazioni ed enti della società civile, in Pakistan e in atri paesi in Asia e nel mondo. Come riferisce a Fides una nota della Ahrc, spunto per l’iniziativa è stata la decisione della Corte Suprema del Pakistan di dichiarare “ammissibili” le accuse di blasfemia a carico di Sherry Rehman, ambasciatore del Pakistan negli Usa, ex parlamentare del Pakistan People’s Party che aveva presentato in passato un proposta di revisione della legge di blasfemia. Secondo l’Ahrc, la Corte Suprema lo ha fatto “per guadagnare popolarità fra i gruppi fondamentalisti islamici”. Il fatto è grave e allarmante, nota l’Ong, perché in tal modo si dà spazio anche nelle più alte sedi istituzionali agli abusi della legge sulla blasfemia. Inoltre la Corte Suprema – avallando le accuse e quindi un processo a carico della Rehman solo perché questa aveva espresso critiche verso la legge in un dibattito televisivo – si presta a “sopprimere la libertà di espressione nel paese”. La nota inviata a Fides dalla Ahrc si chiede “se la Corte Suprema sia stata in qualche modo spinta contro l'ambasciatore Rehman o se si tratta di una crociata personale”. Per questo si lancia la petizione che chiede al nuovo Parlamento pakistano, che sarà eletto nei prossimi mesi, di eliminare la pena di morte dalla legge di blasfemia. D’altro canto la petizione chiede alla Corte Suprema di ritirare l'accusa di blasfemia contro Sherry Rehman. “L'uso della blasfemia è diventata una pratica per limitare la libertà di espressione e di pensiero della società, ed ora è utilizzata dalla magistratura per negare alla popolazione il diritto di discutere questioni relative all’abuso delle leggi da parte dei fondamentalisti”, conclude la nota. (R.P.)

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    Nord Corea: i campi di prigionia si allargano e inglobano i villaggi

    ◊   I famigerati “campi di prigionia” esistenti in Corea del Nord, dove sono detenuti oltre 200mila prigionieri politici e dissidenti, per motivi di coscienza e anche di religione, si ingrandiscono e vanno a inglobare i villaggi circostanti: è quanto denuncia Amnesty International, dopo l’analisi di nuove immagini satellitari. In un comunicato inviato a Fides, Amnesty rinnova la richiesta alle Nazioni Unite di “istituire una commissione indipendente d’inchiesta sulle gravi, sistematiche e diffuse violazioni dei diritti umani, compresi crimini contro l’umanità, in corso nel Paese”. Nei mesi scorsi l’Ong aveva ricevuto notizie sulla possibile costruzione di un nuovo “Kwanliso” (campo di prigionia politica), adiacente al campo n. 14 di Kaechon, nella provincia di Pyongan Sud. Per questo Amnesty aveva chiesto alla società “DigitalGlobe” di fornire immagini satellitari. L’analisi delle immagini rivela che, dal 2006 al febbraio 2013, la Corea del Nord ha costruito 20 chilometri di perimetro intorno alla valle di Ch’oma-bong (70 km a nordest della capitale Pyongyang) e ai suoi abitanti, con nuovi punti d’accesso controllati e con torri di guardia. Gli analisti hanno anche individuato la costruzione di nuovi edifici che potrebbero essere dormitori per operai, forse collegati all’espansione dell’attività mineraria nella regione. In tal modo il governo “rafforza i controlli sul movimento della popolazione (oltre 100mila persone) che vive nei pressi del campo n. 14, annullando, di fatto, la distinzione tra i detenuti del campo di prigionia e gli abitanti della valle”, nota il comunicato. Amnesty International è “preoccupata per le condizioni di vita della popolazione residente all’interno del nuovo perimetro e per le future intenzioni del governo nordcoreano”. Si stima che oltre 200mila persone, compresi bambini, sono detenute nei campi di prigionia politica e in altri Centri di detenzione della Corea del Nord, sottoposte a violazioni dei diritti umani, come l’obbligo di svolgere lavori pesanti, il diniego del cibo come forma di punizione, la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Molti detenuti non hanno commesso alcun reato, e sono unicamente legati a persone ritenute infedeli al regime, dunque sottoposte a una sorta di “punizione collettiva”. (R.P.)

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    Irlanda: i vescovi preoccupati per l'evoluzione della legge sull'aborto

    ◊   Vescovi irlandesi di nuovo schierati sul fronte della protezione e promozione della vita umana nascente in seguito alla volontà del governo irlandese di legiferare per l’aborto. Riuniti a Maynooth (Dublino) in plenaria, i vescovi tornano a ribadire nel comunicato finale che “restano profondamente preoccupati per l’eventuale intenzione di legiferare per l’aborto in questo Paese”. La Costituzione irlandese - riferisce l'agenzia Sir - vieta l’interruzione volontaria della gravidanza ma, a seguito di una decisione della Corte Suprema del 1992, essa è stata autorizzata in caso di grave pericolo per la vita della madre. Polemiche sono tuttavia sorte in questi mesi dopo la vicenda di Savita Halappanavar, la donna morta a ottobre in un ospedale per setticemia, dopo che i dottori le avevano negato un’interruzione di gravidanza. Sulla vicenda sono state avviate alcune inchieste giudiziarie e il Governo è stato sollecitato a riaprire il dibattito per promuovere una nuova normativa. Da qui le numerose dichiarazioni dei vescovi cattolici volte soprattutto a dimostrare come in Irlanda sul fronte della protezione materna e del feto vengono applicate “le migliori prassi esistenti nei nostri ospedali” e che l’Irlanda sia uno dei Paesi con il più basso tasso di mortalità materna. Alcuni politici vorrebbero introdurre l’aborto “limitato” ai casi in cui la madre sta minacciando il suicidio come se “l’aborto - fanno notare invece i vescovi - possa essere una risposta alla intenzione suicidaria, mentre recenti ricerche indicano che raramente l’intenzione suicidaria possa ricondursi ad una singola causa e che l’aborto in se stesso può portare a pensieri suicidi e problemi di salute mentale”. I vescovi sollevano poi anche la preoccupazione “per l’effetto potenziale” che una legislazione sull’aborto in Irlanda può avere per “il personale medico - ostetriche, infermieri, medici e consulenti - che vogliono opporsi per coscienza di partecipare ad un aborto in qualsiasi circostanza”. E infine osservano: “l’esperienza internazionale dimostra che i tentativi legislativi per limitare l’aborto non funzionano. Una volta che l’aborto diventa ammissibile per legge in un Paese, i limiti si erodono nel tempo”. “L’aborto è la distruzione diretta e intenzionale di un bambino non ancora nato ed è gravemente immorale in tutte le circostanze”, scrivono i vescovi che tengono anche a precisare quanto sia importante assicurare “il diritto uguale e inalienabile alla vita di una madre e del suo bambino non ancora nato nelle nostre leggi e nella pratica medica”. (R.P.)


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    Belgio: appello dei vescovi al parlamento contro l'eutanasia ai minori

    ◊   I vescovi del Belgio scendono in campo e dicono no al progetto di legge presentato dal Partito socialista di estendere la possibilità di ricorrere all’eutanasia (introdotta nel 2002) ai minori di 15 anni e alle persone affette da Alzheimer. Nel corso di una conferenza stampa mons. André-Joseph Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles, ha presentato alla stampa l’opinione dell’episcopato belga ricordando “le più vive riserve” che già erano state espresse nel 2002 riguardo alla legge sulla depenalizzazione dell’eutanasia. Mons. Leonard - riferisce l'agenzia Sir - ha quindi dato voce ad un appello lanciato dai vescovi al Parlamento dove il progetto di legge sarà presentato: “Lo invitiamo a considerare come i malati, minori o dementi, possano essere meglio presi in cura dalla Sanità pubblica nel quadro delle cure palliative. Per noi dire no all’eutanasia non significa scegliere la sofferenza né far e lasciar soffrire. I progressi delle cure palliative hanno compiuto grandi passi in avanti nel dare sollievo al dolore e hanno aiutato a prevenire possibili richieste di eutanasia”. I vescovi belgi vogliono poter dare il loro contributo e condividere le loro convinzioni. La lettera, infatti, si conclude così: “Vogliamo onorare sia la nostra democrazia che la dignità umana. Vogliamo ricordare il legame di carne e sangue che unendo tutti gli esseri umani gli uni verso gli altri, li invita a evitare qualsiasi violenza e qualsiasi forma di pressione, nei loro rapporti reciproci”. (R.P.)

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    Vescovi svizzeri: la “pillola del giorno dopo” allo studio della Commissione Bioetica

    ◊   Non esiste una posizione ufficiale della Conferenza episcopale svizzera (Ces) riguardo alla “delicata questione” della “pillola del giorno dopo”; i vescovi elvetici sono in attesa di un rapporto della Commissione Bioetica. È quanto afferma la Ces nel comunicato conclusivo della 299.ma Assemblea ordinaria, svoltasi ad Edlibach dal 4 al 6 marzo. La precisazione dei presuli arriva dopo che, nei giorni scorsi, alcuni mass media avevano parlato di un adeguamento della Chiesa svizzera a quella tedesca, la quale si è detta possibilista sulla somministrazione, negli ospedali cattolici, della “pillola del giorno dopo”, ma solo alle donne vittime di violenza ed esclusivamente nei casi in cui tale farmaco non abbia effetto abortivo, bensì di prevenzione della concezione. I vescovi svizzeri, quindi, “esprimono il loro rammarico per questi difetti di comunicazione”. L’Assemblea ha riflettuto poi anche su un’altra particolare questione, denominata “Iniziativa delle parrocchie”, i cui firmatari lanciano una sorta di “appello alla disobbedienza” sulla base di quelle che chiamano “evidenze”, ovvero prassi abitudinarie nella vita parrocchiale, come la distribuzione della comunione ai divorziati risposati. “Questa questione – si legge nel comunicato – deve essere trattata in comunione con l’Ordinario del luogo, che assicura il legame con la Chiesa universale”. Centrale, inoltre, l’attenzione ai richiedenti asilo, dopo le modifiche, in senso restrittivo, della legge nazionale, in base alla quale ora si prevedono alcune limitazioni al ricongiungimento familiare ed allo status di rifugiato: “I vescovi – prosegue la nota – richiamano la dignità ed i diritti delle persone, siano esse svizzere che straniere”. Per questo, la Ces ha dato mandato alla Commissione episcopale Giustizia e Pace di redigere e pubblicare una dichiarazione ufficiale. Altro punto all’ordine del giorno della Plenaria è stata la preparazione del 150.mo anniversario della Ces, fondata nel 1863: in quest’ottica, i vescovi invitano tutti i cattolici del Paese a ritrovarsi da Einseldeln il 2 giugno prossimo, per celebrare tale Giubileo con una giornata speciale sul tema “Noi costruiamo insieme la Chiesa, la gioia in Dio è la nostra forza”. All’evento prenderà parte anche un coro speciale di 150 giovani e ragazzi provenienti da tutto il Paese. I presuli elvetici hanno discusso, inoltre, di un nuovo orientamento per “Action de Carême”, l’organismo caritativo della Chiesa locale, stabilendo che esso debba concentrare le sue attività nella “promozione, secondo una visione cristiana, della giustizia globale e della riduzione della povertà nelle regioni del sud”. Infine, consapevoli del “clima particolare” dovuto alla Sede vacante del ministero petrino, il presidente della Ces, mons. Markus Büchel, ha reso omaggio al Papa emerito Benedetto XVI ed ha aperto i lavori della Plenaria con l’invocazione allo Spirito Santo per l’elezione del nuovo Pontefice. “In segno di comunione con il Successore di Pietro – conclude la nota – la Ces auspica che tutte le campane del Paese suonino nel momento dell’Habemus Papam”. (A cura di Isabella Piro)

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    Russia: "no" della Chiesa ortodossa russa alle nozze gay

    ◊   Solidarietà della Chiesa ortodossa russa a quanti hanno manifestato in Francia e nel Regno Unito contro i progetti di legge approvati o in via di approvazione in Parlamento che aprono il matrimonio e le adozioni alle coppie omosessuali. In un comunicato ufficiale diffuso anche in lingua francese e inglese dal Patriarcato di Mosca, la Chiesa ortodossa di Russia fa notare come i progetti di legge siano stati avviati “non solamente contro l’opinione di una parte dei deputati, ma anche non tenendo conto delle manifestazioni di protesta massiccia organizzate dai cittadini”. “Queste decisioni - si legge nella nota ripresa dall'agenzia Sir - prese in campo legislativo sono la testimonianza di un capovolgimento che si sta producendo nel concetto del matrimonio in seno alle società europee”. Ma ciò che preoccupa maggiormente anche il Patriarcato russo è l’accesso delle coppie omosessuali all’adozione dei bambini. “Ciò - si legge - favorirà una erosione sempre più profonda delle differenze tra i sessi” e “la rinuncia definitiva ad una rappresentazione secondo la quale l’uomo e la donne hanno una loro vocazione propria e si completano reciprocamente nella vita familiare. Consapevoli del pericolo di un tale processo - conclude la nota - riteniamo che sia importante sviluppare un dialogo con tutte le forze politiche, religiose e areligiose, che difendono le rappresentazioni tradizionali dei valori familiari”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 66

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.