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Sommario del 02/05/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la Chiesa è una comunità del “sì”, perché nasce dall'amore di Cristo
  • Il Papa riceve il nuovo ambasciatore della Federazione russa in Vaticano
  • Papa Francesco si collega via webcam con la Tomba del Poverello d’Assisi
  • Benedetto XVI rientra nel pomeriggio in Vaticano, ad attenderlo Papa Francesco
  • Tweet del Papa: vicino a quanti sono disoccupati a causa di una mentalità egoista
  • Messaggio per la festa di Vesakh: cristiani e buddisti difendano la vita umana
  • Londra. Card. Tauran: "Con l'islam non competitori ma pellegrini verso la verità"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Lavoro, Rapporto Ocse: ridurre costo del lavoro per facilitare la ripresa
  • In Europa dibattito sulla crescita economica, tra rigore e sviluppo
  • A due anni dalla morte di Bin Laden, il terrorismo è parcellizzato ma pericoloso
  • Israele pronto a nuovi negoziati con l'Anp. Mons. Shomali: no al muro di Cremisan
  • Cittadinanza onoraria di Assisi a Peres, lo spirito di Assisi per la pace in Terra Santa
  • Somalia, Rapporto Fao su vittime carestia. Caritas: ora investiamo nella pace
  • Allarme aviaria in Cina: il parere del virologo Pregliasco
  • Malawi: pozzo finanziato da volontari di Bergamo porta l'acqua in un asilo a 2 mila metri
  • "Uno di noi": continua la raccolta firme a tutela dell'embrione
  • 500 mila bambini dell’Est senza genitori o madre: effetto dell’emigrazione soprattutto femminile
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Caritas Bangladesh: siamo tutti responsabili per i morti del Rana Plaza
  • India: la giustizia sociale nel messaggio dei vescovi per la Festa del lavoro
  • Iraq: inizierà a giugno il Sinodo caldeo
  • Nord Corea: condannato a 15 anni di lager un cristiano americano
  • Tragedia in Darfur: oltre 60 morti nel crollo di una miniera d’oro
  • Congo. Nord Kivu: i ribelli M23 lasciano i colloqui. Pace a rischio
  • Tunisia: caccia a due gruppi armati al confine con l’Algeria
  • India. Militanti islamici ai missionari cristiani: “Lasciate il Kashmir”
  • L'Oms avverte: il ceppo dell'aviaria da prendere sul serio
  • Messico: appello della Chiesa per combattere la povertà
  • Ucraina: la situazione della libertà religiosa nel Paese
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la Chiesa è una comunità del “sì”, perché nasce dall'amore di Cristo

    ◊   La Chiesa è una comunità del “sì” perché nasce dall’amore di Cristo. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa celebrata nella Cappella della Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che quando i cristiani non fanno lavorare lo Spirito Santo allora cominciano le divisioni nella Chiesa. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Albert Malcolm Ranjith Patabendige, ha preso parte un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani. Al termine della Messa di questa mattina, è stato presentato a Papa Francesco il nuovo numero dell'inserto femminile dell'Osservatore Romano, "Donne Chiesa Mondo". Il servizio di Alessandro Gisotti:

    papa Francesco si è soffermato sui primi passi della Chiesa che, dopo Pentecoste, è uscita per andare nelle “periferie della fede” ad annunciare il Vangelo. Il Papa ha osservato che lo Spirito Santo fa due cose: “prima spinge” e crea anche dei “problemi” e poi “fa l’armonia della Chiesa”. A Gerusalemme dunque, tra i primi discepoli, “c’erano tante opinioni” sull’accoglienza dei pagani nella Chiesa. C’è chi diceva “no” ad un accordo, e chi invece era aperto:

    “C’era una Chiesa del 'No, non si può; no, no, si deve, si deve, si deve’, e una Chiesa del 'Sì: ma … pensiamo alla cosa, apriamoci, c’è lo Spirito che ci apre la porta’. Lo Spirito Santo doveva fare il suo secondo lavoro: fare l’armonia di queste posizioni, l’armonia della Chiesa, fra loro a Gerusalemme e fra loro e i pagani. E’ un bel lavoro che fa sempre, lo Spirito Santo, nella storia. E quando noi non lo lasciamo lavorare, incominciano le divisioni nella Chiesa, le sètte, tutte queste cose … perché siamo chiusi alla verità dello Spirito”.

    Ma qual è dunque la parola chiave in questa disputa alle origini della Chiesa? Papa Francesco ha ricordato le parole ispirate di Giacomo, del vescovo di Gerusalemme, che sottolinea come non si debba imporre sul collo dei discepoli un giogo che gli stessi padri non sono stati in grado di portare:

    “Quando il servizio del Signore diventa un giogo così pesante, le porte delle comunità cristiane sono chiuse: nessuno vuole venire dal Signore. Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. Prima questa gioia del carisma di annunciare la grazia, poi vediamo cosa facciamo. Questa parola, giogo, mi viene al cuore, mi viene in mente”.

    Il Papa si è soffermato su cosa significhi oggi nella Chiesa portare un giogo. Gesù, ricorda, chiede a tutti noi di rimanere nel suo amore. Ecco allora che proprio da questo amore nasce l’osservanza dei suoi comandamenti. Questa, ha ribadito, è “la comunità cristiana del sì” che rimane nell’amore di Cristo e dice dei ‘no’ “perché c’è quel sì”. E’ questo amore, ha affermato ancora il Papa, che “ci porta alla fedeltà al Signore”… “perché io amo il Signore non faccio questo” o quest’altro:

    “E’ una comunità del ‘sì’ e i ‘no’ sono conseguenza di questo ‘sì’. Chiediamo al Signore che lo Spirito Santo ci assista sempre per diventare comunità di amore, di amore a Gesù che ci ha amato tanto. Comunità di questo ‘sì’. E da questo ‘sì’ compiere i comandamenti. Comunità di porte aperte. E ci difenda dalla tentazione di diventare forse puritani, nel senso etimologico della parola, di cercare una purezza para-evangelica, una comunità del ‘no’. Perché Gesù ci chiede prima l’amore, l’amore per Lui, e di rimanere nel Suo amore”.

    Ed ecco allora, conclude il Papa, che “quando una comunità cristiana vive nell’amore confessa i suoi peccati, adora il Signore, perdona le offese”. E, ancora, "ha carità con gli altri" e "la manifestazione dell’amore” e così “sente l’obbligo di fedeltà al Signore di fare come i comandamenti”.

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    Il Papa riceve il nuovo ambasciatore della Federazione russa in Vaticano

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani il Signor Aleksander Avdeev, ambasciatore della Federazione Russa, per la presentazione delle Lettere Credenziali; Mons. Claudio Maria Celli, Arcivescovo tit. di Civitanova, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e il Signor Josef Dravecký, ambasciatore della Repubblica Slovacca, in visita di Congedo. Oggi pomeriggio, il Papa riceverà il card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

    In Siria, Papa Francesco ha concesso il Suo Assenso all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo della Chiesa Greco-Melkita del Rev. Archimandrita Nicola Antipa, B.A., ad Arcivescovo Metropolita di Bosra e Hauran dei Greco-Melkiti.

    In Irlanda, Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kerry, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor William Murphy, per sopraggiunti limiti di età. Il Papa ha nominato vescovo di Kerry il reverendo Sacerdote Raymond Browne, del clero della diocesi di Elphin, finora Parroco a Ballagh, Roscommon.

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    Papa Francesco si collega via webcam con la Tomba del Poverello d’Assisi

    ◊   “O Francesco d'Assisi, intercedi per la pace dei nostri cuori”. E' la preghiera di Papa Francesco pubblicata, via tablet, sul sito "sanfrancesco.org", alla pagina che mostra la webcam accesa 24 ore su 24 sulla tomba di San Francesco, nella Basilica di Assisi. Occasione dell’inedito evento, informa un comunicato della Sala Stampa del Sacro Convento, è stata l’udienza che stamani il Papa ha concesso in Vaticano al ministro generale dei Frati minori conventuali, padre Marco Tasca, accompagnato dal custode del Sacro Convento di Assisi, padre Mauro Gambetti, e dal direttore della rivista "San Francesco Patrono d'Italia", padre Enzo Fortunato.

    Durante l'incontro – riferisce una nota del Sacro Convento – c’è stata la presentazione al Santo Padre del numero speciale della rivista, edita dai frati di Assisi, dedicata alla elezione di Papa Francesco. Il ministro generale ha riferito che il Papa andrà ad Assisi e ha donato una sua benedizione particolare a tutto l'Ordine conventuale, chiedendo di sostenerlo nella preghiera.

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    Benedetto XVI rientra nel pomeriggio in Vaticano, ad attenderlo Papa Francesco

    ◊   Benedetto XVI torna oggi in Vaticano dopo il soggiorno di due mesi a Castel Gandolfo. Il Papa emerito dimorerà nel convento "Mater Ecclesiae", recentemente ristrutturato, come ha ricordato nei giorni scorsi padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, che sulla salute di Benedetto XVI aveva precisato: “è un uomo anziano, indebolito dall'età, ma non ha nessuna malattia”. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    E’ il giorno del rientro in Vaticano per Benedetto XVI. Nel pomeriggio di oggi, intorno alle 16.30, il Papa emerito partirà in elicottero dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo dove ha risieduto negli ultimi due mesi. Da questo pomeriggio, dunque, abiterà nel monastero “Mater Ecclesiae”, ristrutturato dal novembre 2012. Con lui risiederanno il suo segretario, il prefetto della Casa Pontificia, mons. Georg Gaenswein, e le quattro "memores Domini" che lo hanno accompagnato in questi anni. Sarà Papa Francesco ad accoglierlo intorno alle 16.50 nel monastero voluto oltre vent’anni fa da Giovanni Paolo II e che ha ospitato, in questo arco di tempo, quattro tra i più noti ordini claustrali: clarisse, carmelitane scalze, benedettine ed infine le visitandine.

    Il 28 febbraio scorso, giorno dell’inizio della Sede vacante, Benedetto XVI aveva salutato i tanti fedeli che lo avevano accolto a Castel Gandolfo definendosi “un semplice pellegrino”, giunto all’ultima tappa della sua esistenza, ma sempre vicino alla Chiesa con il cuore, l’amore e la preghiera. Preghiere assicurate anche al nuovo Pontefice – Papa Francesco – che ha incontrato il 23 marzo scorso sempre a Castel Gandolfo. Un incontro storico tra “fratelli”, segnato dall’affetto, un momento di profondissima comunione. In questo tempo non sono mancati i colloqui telefonici come in occasione – il 16 aprile – del compleanno di Benedetto XVI. Papa Francesco gli ha rivolto gli auguri, mentre in mattinata, nella cappellina di Santa Marta, aveva offerto la messa per il Papa emerito “perché il Signore sia con lui – aveva detto – lo conforti e gli dia molta consolazione”. Tre giorni più tardi, una nuova chiamata, nella Solennità di San Giuseppe, giorno dell’onomastico di Joseph Ratzinger.

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    Tweet del Papa: vicino a quanti sono disoccupati a causa di una mentalità egoista

    ◊   “Penso a quanti sono disoccupati, spesso a causa di una mentalità egoista che cerca il profitto ad ogni costo”. E’ il nuovo tweet di Papa Francesco, pubblicato oggi - poco dopo le 13 - sull’account in 9 lingue @Pontifex che, nei giorni scorsi, ha superato i 6 milioni di follower. Ieri, durante l’udienza generale, il Papa aveva chiesto con forza ai responsabili della cosa pubblica di “fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione”.

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    Messaggio per la festa di Vesakh: cristiani e buddisti difendano la vita umana

    ◊   “Il nostro autentico dialogo fraterno esige che noi buddisti e cristiani facciamo crescere ciò che abbiamo in comune, e specialmente il profondo rispetto per la vita che condividiamo”. È una delle affermazioni contenute nel Messaggio che il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha indirizzato al mondo buddista in occasione dell’annuale festa di “Vesakh”, la "Festa della luce". Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “L’amorevole gentilezza verso tutti gli esseri” è la “pietra angolare” dell’etica buddista. L’amore di Dio e l’amore del prossimo è invece “il nocciolo dell’insegnamento morale di Gesù”. A un certo punto del Messaggio, il cardinale Jean-Louis Tauran, primo firmatario del documento, mette in relazione questi fondamenti del cristianesimo e del buddismo per esprimere il concetto centrale del Messaggio 2013: la tutela della vita umana. Penso “sia urgente – scrive – creare, sia per i buddisti che per i cristiani, sulla base dell’autentico patrimonio delle nostre tradizioni religiose, un clima di pace per amare, difendere e promuovere la vita umana”.

    Dopo aver ricordato all’inizio del testo l’esortazione di Papa Francesco sulla “necessità del dialogo e dell’amicizia tra i seguaci dei differenti religioni”, il Messaggio per la festa di Vesakh prosegue notando come malgrado i “nobili insegnamenti sulla santità della vita umana”, il male contribuisca “in diverse forme alla disumanizzazione della persona, attenuando il senso di umanità degli individui e delle comunità”. “Questa tragica situazione – insiste il documento – esige che noi, buddisti e cristiani, uniamo le forze per smascherare le minacce alla vita umana e risvegliare la coscienza etica dei nostri rispettivi seguaci per generare una rinascita spirituale morale degli individui e delle società al fine di essere veri operatori di pace, amando, difendendo e promuovendo la vita umana in tutte le sue dimensioni”.

    “Il nostro autentico dialogo fraterno – si legge ancora – esige che noi buddisti e cristiani facciamo crescere ciò che abbiamo in comune, e specialmente il profondo rispetto per la vita che condividiamo”. Dunque, conclude il Messaggio, “continuiamo a collaborare con rinnovata compassione e fraternità per alleviare le sofferenze della famiglia umana, tutelando la sacralità della vita umana”.

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    Londra. Card. Tauran: "Con l'islam non competitori ma pellegrini verso la verità"

    ◊   “I credenti perché sanno che 'l’uomo non vive di solo pane’, sono coscienti che devono dare un loro specifico contributo nella vita quotidiana e che lo devono fare insieme, non come competitori, ma come pellegrini verso la verità”. Lo ha detto il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, intervenendo ieri sera a Londra al 3°incontro dei vescovi e delegati delle Conferenze episcopali d’Europa per le relazioni con i musulmani che si concluderà domani. Promosso dal Ccee, vescovi e delegati si stanno confrontando sullo stato del dialogo con l’islam in Europa guardando soprattutto alle nuove generazioni di musulmani. Ieri sera - riporta l'agenzia Sir - la Baronessa Sayeeda Hussain Warsi, ministro per la Fede e le Comunità - Ufficio estero e Commonwealth, ha incontrato i partecipanti nel corso di una cena informale. Intervenendo nella sessione di apertura, il card. Tauran ha ricordato l’importanza, nel dialogo tra cristiani e musulmani, della visita di Benedetto XVI in Libano, con l’incontro con i capi religiosi musulmani e la creazione del Centro Inter-fede di Vienna “che potrà essere un nuovo canale da usare per denunciare la violazione della libertà religiosa e nello stesso tempo incoraggiare e condividere esperienze positive”. Nella sessione di apertura dei lavori è intervenuto anche l’arcivescovo di Bordeaux, Jean-Pierre Ricard. “Il paesaggio internazionale - ha detto - è stato ampliamente modificato a seguito delle 'Primavere arabe’ d’Egitto e di Tunisia, della guerra in Libia, dell’esplosione siriana e le sue ripercussioni in tutto il Medio Oriente”. Per il cardinale di Bordeaux, questi cambiamenti non sono “senza ripercussione nelle opinioni pubbliche dei nostri Paesi europei”. In Europa, esistono varie forme di dialogo interreligioso: il “dialogo della vita quotidiana”, quello “delle opere” attraverso il quale si collabora in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, quello dello scambio teologico e infine, il dialogo dell’esperienza religiosa “nel quale persone radicate nella loro propria esperienza religiosa condividono le loro ricchezze spirituali”. Nella relazione introduttiva don Andrea Pacini, segretario della commissione per l’ecumenismo e il dialogo del Piemonte-Valle d’Aosta, ha detto che “dialogo e annuncio sono entrambi legittimi e necessari. Sono intimamente legati ma non interscambiabili: d’una parte il vero dialogo interreligioso suppone da parte del cristiano il desiderio di fare conoscere e di amare sempre più Gesù Cristo; e dell’altra, l’annuncio di Gesù Cristo deve essere fatto nello spirito evangelico del dialogo, senza aggressività e senza disprezzo”. Insomma per Pacini, l’atteggiamento che sintetizza dialogo e annuncio è la testimonianza. (R.P.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il lavoro è per la dignità della persona: in piazza San Pietro l'udienza generale del primo maggio.

    In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "La trasmissione interrotta" a proposito di un articolo su psicoanalisi e "mariage pour tous".

    Da Papa Francesco per il primo compleanno: "Donne chiesa mondo" - il mensile dell'Osservatore Romano - festeggia un anno di vita.

    Per essere la Chiesa del sì: celebrazione del Papa a Santa Marta.

    Primo maggio di lutto in Bangladesh: migliaia di persone in corteo per ricordare le vittime del crollo di Dacca.

    La bella stagione: anticipazione dell'introduzione di Antonio Paolucci e delle conclusioni di Ilaria Sgarbozza riguardo al volume "Le spalle al Settecento. Forma, modelli e organizzazione dei musei nella Roma napoleonica".

    Il punto sul vescovo di Alessandria, nell'"Athanasius Handbuch".

    L'arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, monsignor Gualtiero Bassetti, sulla medicina della compassione nell'esperienza del chirurgo Vittorio Trancanelli.

    Custode di mio fratello: l'arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte, al convegno sul tema: "Abitare il mondo da figli. Educare oggi alla corresponsabilità".

    Cristiani e buddisti insieme per difendere la vita: messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso per la festa di Vesakh.

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    Oggi in Primo Piano



    Lavoro, Rapporto Ocse: ridurre costo del lavoro per facilitare la ripresa

    ◊   È' necessario intervenire sul fronte della lotta alla disoccupazione giovanile già nel prossimo vertice europeo di giugno. Lo dice il premier Enrico Letta, intervenendo a Roma alla presentazione del rapporto Ocse. Per l'organizzazione economica l'Italia deve puntare di più sulla crescita. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Per l'Ocse, nello stato attuale di finanza pubblica è impossibile ridurre le tasse. L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo lo dice chiaramente nel suo rapporto sull'Italia presentato a Roma. E comunque, nel caso si dovesse intervenire sul fronte fiscale, è necessario agire prima di tutto sul costo del lavoro, per facilitare la ripresa. Insomma, una possibile abolizione dell'Imu, secondo l'organizzazione di Parigi, sembra poco fattibile.

    La situazione d'altronde non è positiva per l'Ocse, che prevede per l'Italia un calo del pil nel 2013 dell'1,5% e un rapporto deficit-Pil che supererà il 3%. Massima fiducia comunque nel nuovo governo che, dice l'Ocse, ha avuto un giudizio positivo anche dai mercati. Il presidente del Consiglio dei Ministri, Enrico Letta, afferma che l'Italia sta facendo una corsa contro il tempo, perché la comunità internazionale dall'Italia aspetta risultati, ma - mette in luce Letta - è tutta l'Europa a non avere tempo e dunque bisogna puntare prima di tutto alla lotta alla disoccupazione giovanile. Dal ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, arriva un invito a proseguire sul cammino delle riforme, rafforzando la fiducia.

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    In Europa dibattito sulla crescita economica, tra rigore e sviluppo

    ◊   Situazione economica al centro del dibattito europeo, soprattutto per i Paesi più in crisi. Il neopremier italiano, Enrico Letta, dopo Berlino, si è recato a Bruxelles per esporre le linee del suo governo. A Lisbona, invece, visita del presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy. Lavoro e sviluppo gli obiettivi che potrebbero sostituire la politica dei sacrifici, che negli ultimi mesi è stata adottata in Portogallo, Grecia, Spagna e Italia. Ma è possibile un cambiamento del genere? Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’economista Francesco Carlà:

    R. - Ormai è indispensabile, perché vediamo anche i numeri della Cina, che sta facendo registrare un rallentamento nella sua crescita economica e anche della Germania, dove cominciano ad avvertire questo genere di problemi. Quindi il terreno, lo scenario sembra più favorevole rispetto a quello di 18 mesi fa: il punto è che non mi sembra che in Europa ci siano idee molto chiare e soprattutto non mi pare che siano le medesime all’interno dei vari Paesi, anche perché ogni Paese d’Europa ha condizioni diverse e priorità differenti.

    D. - Dire più lavoro vuol dire anche produrre beni richiesti dal mercato generale. Quindi a questo deve affiancarsi una sorta di revisione delle politiche industriali…

    R. - Qui bisogna vedere: la creazione di nuovo lavoro: chi si pensa che la possa fare? Perché, naturalmente, le scuole di pensiero sono sempre molto divergenti: c’è chi pensa la possa fare la spesa pubblica; c’è chi pensa, invece, che la debba fare il mercato con la creazione di condizioni favorevoli allo sviluppo industriale. Naturalmente poi se parliamo di Italia, la condizione di partenza è che il nuovo governo dovrebbe essere un po’ un mix, una sintesi tra questi punti di vista. L’altro aspetto è che ci sono delle iniziative che possono creare lavoro a breve e a medio termine, che sono più sul versante delle condizioni ottimali e attuali per il mercato, mentre, per esempio, maggiore ricerca e sviluppo e maggiori investimenti sull’educazione sembra possono ottenere questi medesimi risultati in un tempo più lungo. La domanda, poi, a questo punto è: l’Italia si può permettere un breve, un medio o un lungo termine?

    D. - La politica enunciata dal premier Letta, nel suo primo discorso, può incontrare l’ostacolo della Germania, che sembra invece sempre molto legata alla logica dei sacrifici per i Paesi in crisi?

    R. - La Germania ha le elezioni di settembre, che sono ovviamente per la Merkel assolutamente prioritarie e determinanti in questa fase, anche perché in Germania comincia a sentirsi vento di antieuropeismo, nonostante finora dall’Europa e dall’euro Berlino abbia avuto un guadagno nel miglioramento delle proprie condizioni economiche di vita sociale e finanziaria. Quello che penso che potrà essere lo scenario prevalente è un’idea di continuare a far scorrere parallelamente le due politiche quella del rigore, soprattutto nei Paesi mediterranei dell’Europa, ma, contemporaneamente, la possibilità di addivenire ad una maggiore crescita.

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    A due anni dalla morte di Bin Laden, il terrorismo è parcellizzato ma pericoloso

    ◊   I media ricordano oggi l’uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta il 2 maggio di due anni fa. In particolare la stampa americana e britannica riferisce di attentati organizzati per l’anniversario da Al Qaeda, ma sventati. Si annuncia inoltre che il Pentagono diffonderà una parte di documenti sequestrati in Pakistan. Dello scenario attuale in relazione al terrorismo internazionale, Fausta Speranza ha parlato con Maurizio Calvi, presidente del Centro Alti Studi sulla Lotta al Terrorismo:

    R. – L’incertezza, sul piano globale, è aumentata, parlando di sicurezza ovviamente. Il mondo continua ad essere insicuro, dal punto di vista sia politico-istituzionale, ma soprattutto dell’ordine e della sicurezza pubblica, in conseguenza, ovviamente, di cellule impazzite che percorrono il pianeta, dal punto di vista generale. E’ una realtà che rimane ancora ingovernabile in tutta l’area subsahariana ma all’interno della quale ovviamente si addestrano, convergono, hanno sistemi di sicurezza derivati dalla "progenie di Bin Laden". Quindi, questi gruppi impazziti o cellule impazzite o cani sciolti che corrono lungo il pianeta, come a Boston, sono la conseguenza di un clima ancora non superato, dal punto di vista della sicurezza internazionale.

    D. – Invece, in particolare di Al Qaeda che cosa dire, a due anni dalla morte di Bin Laden?

    R. – Dal punto di vista dell’immaginifico, dal punto di vista ideologico rimane intatta; dal punto di vista organizzativo, ovviamente, la struttura non si può definire come in passato. Cellule che in qualche modo corrispondono ad un sistema ideologico, che corrispondono ad un sistema più ristretto, più impenetrabile dal quale derivano poi queste incertezze, deriva la mancata sicurezza anche per Boston … sono le conseguenze di una grande attenzione sul piano generale, perché i grandi eventi – ovviamente – hanno bisogno di un sistema di controllo assoluto, soprattutto nella realtà americana.

    D. – Parliamo di scenari internazionali, di congiunture internazionali e torniamo a quell’11 settembre 2001: ora, nel 2013, quali cambiamenti significativi o quali paralleli fare?

    R. – Non ci sono scenari comparabili. Il 2001 è l’effetto della caduta, dello scontro tra Est ed Ovest e quindi del vuoto assoluto di quel momento in cui si è inserito il terrorismo internazionale. Questo vuoto è stato riempito da Al Qaeda, che lavorava già da molti anni in questi scenari. Insomma, dopo il superamento dello scontro Est-Ovest, il terrorismo internazionale ha riempito quel vuoto lasciato da questo scontro. Oggi, dopo 12 anni, non è possibile definire all’interno dello stesso scenario i rischi sulla sicurezza internazionale. Oggi il mondo è ovviamente profondamente cambiato, Bin Laden è morto … E’ rimasto, dal punto di vista ideologico, questo scontro che c’è ancora nel sistema globale, ma soprattutto dal punto di vista ideologico. Ma come struttura, da un grande sistema sono derivati piccoli sistemi e all’interno di questi piccoli sistemi ci sono ovviamente quelli che io ho sempre definito i "cani sciolti" dell’insicurezza internazionale.

    D. – Dunque, il pericolo si è parcellizzato, in qualche modo?

    R. – Esattamente.

    D. – Questo, però, rappresenta dei rischi addirittura forse maggiori?

    R. – Certo: Boston è l’emblema di questa insicurezza. Ovviamente, devono subentrare le politiche di sicurezza in un sistema più o meno grande. Diventa più complicato e più difficile: questo, sì.

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    Israele pronto a nuovi negoziati con l'Anp. Mons. Shomali: no al muro di Cremisan

    ◊   Terminata oggi la visita ufficiale in Italia e in Vaticano del presidente israeliano Shimon Peres. Intanto da Gerusalemme ieri il premier Netanyahu si è detto pronto a riprendere i negoziati con l’Autorità nazionale palestinese, senza precondizioni di pace, dopo l’iniziativa del segretario di Stato americano Kerry e della Lega Araba circa un compromesso sui futuri confini tra i due Paesi. A preoccupare, però, oltre la possibilità di nuovi insediamenti a Gerusalemme, anche il via libera da parte della Commissione Speciale d’Appello israeliana alla realizzazione del muro di Cremisan, con conseguente espropriazione di terreni alla popolazione palestinese. Ma come accogliere le parole di Netanyau? Al microfono di Cecilia Seppia ascoltiamo mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme:

    R. – Queste parole indicano un’apertura. Solo che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Speriamo, quindi, che tutto questo sarà messo in pratica. Questo è il mio augurio. Comunque le parole sono ottimiste e danno speranza.

    D. – C’è stata anche un’apertura da parte palestinese sulla base di quest’iniziativa del segretario di Stato americano Usa, John Kerry, e della Lega Araba, per quanto riguarda lo spostamento dei confini?

    R. – Sì, quest’apertura da parte dei palestinesi è sempre stata basata sulla proposta della Lega Araba: le frontiere del ’67 con possibilità di scambio di territori. Questa è sempre valida. Se si arriva su questa base a negoziati, allora c’è tanta, tanta speranza.

    D. – Dall’altra parte, però, c’è la dichiarazione del ministro israeliano per l’edilizia, che ha detto che non fermerà gli insediamenti e quindi le costruzioni a Gerusalemme. Questo invece preoccupa...

    R. – Questo è preoccupante, perché già pone un atto che può fare esplodere il processo di pace. Questo è molto negativo.

    D. – Altra questione che preoccupa la Chiesa, e non solo in questi giorni, è la decisione della Commissione Speciale d’appello israeliana, che ha approvato la costruzione del muro di separazione sulle terre della valle di Cremisan. Cosa comporta questa decisione?

    R. – Questo comporta che il muro si farà e che i territori che appartengono a 58 famiglie saranno parte della zona di Gilo. In avvenire questi terreni potranno essere inaccessibili, nonostante le promesse, ed anche espropriati. Questa decisione, dunque, ci ha sorpresi: ha sorpreso la Chiesa e ha sorpreso gli abitanti. Dobbiamo, e devono anche loro, andare all’Alta Corte di Giustizia israeliana, perché c’è sempre speranza che sia fatta giustizia.

    D. – Dietro questa decisione d’Israele c’è la necessità di mantenere la sicurezza. Ci potrebbero, però, essere, comunque, delle alternative, anche perché questo muro creerà difficoltà alla popolazione per tanti motivi...

    R. – La miglior sicurezza è la fiducia tra le due parti. Bisogna fare uno sforzo maggiore per negoziare piuttosto che per costruire muri. Questo è il mio augurio. Tutti questi muri, che espropriano terreni ad altri, non vanno nel senso della pace. Il mio augurio è che questo orientamento cambi, che si vada e si facciano tanti sforzi per il processo di pace, per negoziare sulla base della piattaforma internazionale. Allora tutte e due le parti troveranno pace e sicurezza.

    D. – Tra l’altro a Cremisan ci sono questi due conventi salesiani, uno maschile e uno femminile. Si tratta di scuole di formazione agricola e di aiuto agli abitanti. Quindi questo penalizzerà anche gli abitanti di questa zona, dal punto di vista dell’educazione, dell’accesso all’educazione...

    R. – La scuola rimarrà nella parte di Beit Jala palestinese, ma gli studenti avranno difficoltà a venire dall’altra parte, dietro il muro. Questo influirà negativamente sulla scuola e ciò fa parte del problema.

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    Cittadinanza onoraria di Assisi a Peres, lo spirito di Assisi per la pace in Terra Santa

    ◊   Rendere la Terra Santa un luogo dove le persone possano camminare mano nella mano. E’ l’auspicio espresso ieri dal presidente israeliano Shimon Peres nel corso della cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria di Assisi. Il capo dello Stato ha lanciato anche un appello per la fine delle violenze e, riferendosi a Papa Francesco, l’ha definito “un amico prezioso del popolo ebraico”. Alla cerimonia, che si è svolta nel Salone papale del Sacro convento, hanno partecipato il custode della comunità francescana, padre Mauro Gambetti, e mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi. Benedetta Capelli lo ha intervistato:

    R. – E’ stato un incontro di speranza. Ho visto un uomo consapevole del peso che grava sulle sue spalle, in una situazione in cui la Terra Santa è ancora incapace di un equilibrio di pace tra le diverse realtà che la compongono. Ho dato quello che si può dare da Assisi: il sogno di Francesco – che è poi il sogno del Vangelo – cioè una società in cui il dominio non sarà più delle armi, ma dell’incontro tra i popoli. E' quello che soltanto la pace che viene da Dio ci può dare quando abita il cuore. Mi sembra che queste parole lo abbiano toccato, insieme con l’assicurazione che gli ho dato, a nome di tutta la comunità, della nostra preghiera perché non si fa un cammino come questo senza la grazia di Dio.

    D. – Da parte sua, il presidente Peres ha sottolineato anche il valore importante che hanno le religioni nel processo di pace…

    R. – Certamente. Quello che è avvenuto ieri sta dentro l’icona di Assisi, quella che ormai siamo soliti chiamare, da Giovanni Paolo II in poi, lo “spirito di Assisi”: ogni religione autentica esprime la logica di Dio che è logica di amore. Mi sembra che sia stato molto bello, come mi sembra sia stato anche significativo da parte sua riconoscere il ruolo che ha avuto storicamente Assisi nell’accoglienza degli ebrei perseguitati. Allora fu il vescovo Nicolini, in particolare, a darsi da fare per questo, mettendo a rischio anche la propria vita. È stato un momento bello in cui Israele ha riconosciuto questi aspetti significativi della testimonianza cristiana e Assisi ha dato ad Israele la testimonianza attuale: una città ricca di simbolismo, di valori che tutti richiamano alla pace e che, allo stesso tempo, invocano la costruzione della pace.

    D. – San Francesco nel 1219 intraprese il viaggio in Terra Santa per incoraggiare il dialogo e per bandire la violenza. Oggi, a distanza di tanti anni, questo forse è un viaggio che ancora continua, non si ferma…

    R. – Continua e deve essere ancora più determinato e influente. Noi abbiamo l’impressione che il fatto storico di un Papa che ha preso il nome di Francesco sia un programma per noi, sia un impulso molto importante ad andare ancora una volta sulle orme di Francesco, verso tutte le periferie del mondo in cui manca ancora il rapporto tra le persone ed i popoli. E’ un rapporto che non è stato definito in termini di pace, una pace voluta e all’insegna dell’annuncio della verità, perché noi cristiani la costruiamo ricordando sempre che la sorgente della pace è il Signore, il Santo Vangelo e anche Francesco. E’ un annuncio mite, un annuncio accogliente, un annuncio che apre veramente le braccia a tutte le persone, a tutti i popoli.

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    Somalia, Rapporto Fao su vittime carestia. Caritas: ora investiamo nella pace

    ◊   Grave carestia in Somalia: a lanciare l’allarme è la Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, che denuncia la morte per fame di oltre 258 mila persone nel Paese africano, di cui 133 mila bambini. Roberta Gisotti ha intervistato Silvio Tessari responsabile della Caritas Italiana per il Corno d’Africa:

    D. – Silvio Tessari, questi dati pubblicati dalla Fao riguardano il periodo che va dall’ottobre 2010 all’aprile 2011. La Caritas era allora avvertita di questa emergenza?

    R. – Sì, anche perché non è che sia una gran novità una siccità in Somalia. Ce ne sono sempre state, solo che in questo caso poi è diventata sempre più importante, fino a diventare, all’inizio del 2011, una vera e propria tragedia. Già nella primavera del 2011, abbiamo cominciato a lanciare i primi allarmi, seguiti poi da un appello del Papa ai primi di luglio. Quindi, abbiamo cominciato a raccogliere fondi che abbiamo dato alla Caritas Somalia, che ha tutta una rete di organizzazioni, che hanno agito nella difficoltà della situazione. Non bisogna dimenticare, infatti, che sì c’era la siccità, ma c’era soprattutto un livello di anarchia e di violenza in tutto il Paese, che rendeva molto difficile qualsiasi attività.

    D. – Qual è oggi la situazione della popolazione? Sappiamo che non c’è ancora una stabilità politica, anche dopo le ultime elezioni del settembre scorso...

    R. – La siccità che c’era va collocata in un clima di grande violenza, che ha peggiorato la situazione e ha creato anche tanti rifugiati: centinaia di migliaia di somali che sono fuggiti soprattutto in Kenya e in Etiopia. Adesso, a tutt’oggi, si può dire che ancora un milione di somali si trovano all’estero e almeno 370 mila sfollati interni sono a Mogadiscio, una cifra enorme. Che cosa è cambiato dal settembre scorso, quando è stato eletto il presidente Hassan Sheikh Mohamud? La situazione è leggermente migliorata. Io sono in contatto costante con mons. Bertin, che è l’amministratore apostolico della Somalia, oltre che vescovo di Mogadiscio, e lui stesso nel mese di aprile, tre settimane fa, ha potuto fare un viaggio in Somalia che da anni non si poteva fare, per questioni di sicurezza. Quindi, c’è un leggero miglioramento della situazione, anche se naturalmente non tutto il Paese è ancora pacificato. Ma dopo 20 anni di anarchia, non si può migliorare di punto in bianco. Noi abbiamo molti rapporti, molti contatti e la gente ora è abbastanza ottimista sul futuro della Somalia: sono riprese le vaccinazioni, lo scavo dei pozzi… Bisogna dire, onestamente, che il governo attualmente al potere sta facendo bene. C’è un piccolo miglioramento e anche la Caritas Somalia prende atto di questo.

    D. – Tanto più è il momento di sostenere questa popolazione...

    R. – Sì, adesso che c’è anche una sorta di sentimento, di desiderio di pace – c’era anche prima, ma c’erano le milizie armate e gli interessi di origine non chiara – si sente perfino parlando con le persone e c’è un fiorire di attività, soprattutto da parte delle donne. Noi abbiamo tante iniziative, che sono gestite dalle donne in Somalia, che stanno facendo nel loro piccolo dei veri miracoli. Quindi, è il momento in cui non solo bisogna dare aiuto a questa speranza, ma nemmeno guardare troppo indietro dicendo: per tanti anni avete agito così, avete distrutto e così via... Se c’è stata un’assenza della comunità internazionale, che ha in qualche modo gettato benzina sul fuoco, non riuscendo a contenere la violenza, adesso è il momento di aiutare il governo e le autorità locali a mantenere la loro autorità e a mantenere un clima di fiducia e quindi di sviluppo e di miglioramento.

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    Allarme aviaria in Cina: il parere del virologo Pregliasco

    ◊   In Cina, il bilancio dei morti per dell'influenza aviaria H7N9 è salito a 27 con il decesso di un uomo nella provincia dell'Hunan. Finora, sono oltre 120 le persone a cui è stato diagnosticato il virus. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, da parte sua, ha sottolineato che finora non c'è alcuna prova di una trasmissione da uomo a uomo, anche se ha ammesso che l'H7N9 è uno dei “più letali” che si siano mai visti. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano:

    R. - Questa volta siamo più preparati a un’emergenza da non sottovalutare. Se ne sta parlando poco perché l’aspetto mediatico delle altre emergenze che si sono succedute negli anni hanno creato difficoltà e anche ingiustificate problematiche di conoscenza e di sottovalutazione. Attualmente la Cina sta collaborando e - direi - dobbiamo vedere in positivo la capacità dei laboratori internazionali di individuare e circoscrivere dei "fuochi" - purtroppo tristi, perché ci sono stati dei decessi - ma evidenziare la capacità di individuare una potenzialità di rischio che, grazie a questa velocità di individuazione, riusciremo a contenere come un "fuocherello", che se bloccato all’inizio non diventa l’incendio che devasta un bosco, una collina…

    D. - C’è un altro allarme dell’Oms per un nuovo virus simile alla Sars, che negli ultimi giorni ha ucciso cinque persone in Arabia Saudita. Cosa dire su questo caso?

    R. - Sono tanti i virus. La guerra virus-uomo è proprio una guerra "a guardie e ladri": nuove varianti, con nuovi virus che vengono individuati e che - come sempre - hanno una certa capacità diffusiva. Ribadisco però la capacità di aver individuato questi episodi, di averli ricondotti ad una unicità di problema e grazie a questo la possibilità di intervenire nell’immediatezza. Quindi, bisogna parlarne per far sì che sia alta l’attenzione e l’esperienza in un certo senso organizzativa dell’Oms e delle istituzioni; oggi c’è e deve esserci un coordinamento a livello internazionale.

    D. - Professore non è la prima volta che viene lanciato un allarme importante - pensiamo ai precedenti sull’aviaria, sulla mucca pazza, sulla stessa Sars - non crede che ci sia un po’ troppo allarmismo in questo campo?

    R. - La comunicazione è diffusa; non si può fare censura, perché non si riuscirebbe; non è facile equilibrare il livello di informazione e soprattutto ribadire l’incertezza che c’è nella ricerca. Quelle emergenze che ci sono state nel passato, in qualche modo, hanno un’insorgenza che nell’immediatezza sembrava più pesante di quanto poi non sia stato. Tutto questo diventa difficile per i decisori politici. Prendiamo, ad esempio, i casi di Bush e Obama: Bush è stato contestato con Katrina, perché non c’era un’organizzazione; Obama è stato contestato perché in un ultimo uragano, che poi non è stato così pesante, si è detto che abbia sprecato risorse e organizzazioni... Quindi i decisori hanno sempre una difficoltà e sono sotto processo, che a posteriori poi si può fare, ma che nell’immediatezza è difficile. Io credo che bisogna prepararsi: quindi emergenze ci sono, a volte i media esasperano magari l’emergenza perché fa più notizia e poi se "l’apocalisse" non c’è, ce ne si dispiace...

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    Malawi: pozzo finanziato da volontari di Bergamo porta l'acqua in un asilo a 2 mila metri

    ◊   Per la prima volta ieri i bambini e i docenti dell’asilo "Santa Monica" di Chaoni, in Malawi hanno potuto usare acqua pulita corrente. Tutto grazie ad un pozzo, costruito e finanziato da alcuni volontari bergamaschi, con l’aiuto dei missionari monfortani e di padre Piergiorgio Gamba. Fino a ieri, infatti, gli abitanti di Chaoni dovevano prendere l’acqua a cinque chilometri di distanza, percorrendo sentieri estremamente disagevoli. Il servizio di Chiara Merico:

    Il villaggio sorge su un altipiano a circa duemila metri di altitudine e ci si arriva solo a piedi, dopo due ore di cammino, in un percorso molto impervio. A Chaoni non c’è energia elettrica e fino a ieri mancava anche l’acqua, indispensabile per gli abitanti e per i 96 bimbi da 3 a 5 anni che frequentano l’asilo. Per loro il primo maggio del 2013 è stato un giorno storico: per la prima volta i piccoli hanno potuto aprire un rubinetto e vedere scorrere l’acqua. Il pozzo funziona grazie ad un pannello solare, installato sempre dai volontari, che fornisce energia elettrica alla pompa. La nuova sfida è ora completare la costruzione dell’ospedale a Chaoni, finanziato anche con i fondi dell’otto per mille. Il nuovo presidio permetterà alle mamme della zona di partorire sotto assistenza medica. Molte di loro adesso muoiono, mentre cercano di raggiungere un dottore sui difficili sentieri di montagna. Per loro e per i loro figli da ieri è sgorgata una goccia di speranza.

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    "Uno di noi": continua la raccolta firme a tutela dell'embrione

    ◊   Raccogliere un milione di firme a sostegno di “Uno di Noi”, l’iniziativa lanciata da cittadini europei affinché ogni essere umano abbia tutela giuridica fin dal suo concepimento. A questa campagna, che coinvolge 27 Stati comunitari, aderisce anche il Comitato italiano comprendente le maggiori sigle associative del laicato cattolico. Il prossimo 12 maggio è il giorno scelto come Giornata nazionale di raccolta firme, presentata questa mattina ai media, nella Sala Marconi della nostra emittente. Luca Collodi ne ha parlato con la portavoce del Comitato, Maria Grazia Colombo:

    R. - E’ necessario: in questo momento storico è importantissimo questo discorso di rispetto della persona e il rispetto della persona non si può far finta che nasca a un certo punto della vita, ma bisogna che sia messo in campo dall’inizio della vita. Per cui questa campagna senz’altro vuole affermare con chiarezza il riconoscimento dell’embrione con dignità di persona e il rispetto della vita. Bisogna rimettere laicamente al centro la questione della vita. Noi non possiamo, nel tempo che viviamo, non rispettare e non riconoscere che l’embrione è vita umana.

    D. - La campagna a tutela dell’embrione è a livello europeo. In Italia come la state organizzando?

    R. - Direi che la nascita di questo Comitato “Uno di noi”, un comitato italiano - ed è molto bello pensare che l’Italia si muove, ma che abbiamo accanto la Polonia e tutti gli altri Stati che stanno facendo un po’ da corona attorno a questo - la consideriamo molto positivamente, proprio perché vediamo un concretizzarsi dello sguardo europeo, con delle scelte politiche che potranno essere interessanti. In Italia, con questo Comitato, vogliamo dare una scossa da un certo punto di vista e lanciare una sfida, una sfida interessante e mi permetto di dire intelligente, nel senso che non è una sfida che vuole come misurare gli altri, ma che vuole aprire la questione in modo laico a tutti, anche perché se guardiamo in faccia i nostri ragazzi e i giovani che abbiamo davanti, noi a questi ragazzi dobbiamo dare delle ragioni e le ragioni sono importantissime e non hanno né colore né appartenenza, ma partono evidentemente da una identità, che è la nostra.

    D. - Voi avete coinvolto tutte le parrocchie italiane in questa iniziativa per il 12 maggio…

    R. - Sì, sappiamo che molte parrocchie si sono già mosse. Il 12 maggio, però, vuole essereuna mobilitazione straordinaria. Per cui anche chi si è già mosso quel giorno lì deve come dare un segno, un segnale. Questa unità dell’Italia, delle parrocchie e della vita delle parrocchie, che sono un luogo accogliente in cui davvero noi incontriamo tante persone che poi magari ci arrivano anche in modi diversi e per strade diverse. Per cui la parrocchia è come una grande casa che accoglie e che mette al centro la questione della vita. Ripeto: secondo me è un fatto straordinario, che non può non far bene a tutti, non solo ai cattolici.

    D. - Con la raccolta di queste firme che cosa chiedete al Parlamento europeo?

    R. - Con la raccolta di queste firme - dobbiamo raggiungere un milione di firme, ma a livello europeo evidentemente - noi chiediamo all’Europa prima di tutto il riconoscimento della dignità dell’embrione come vita e di conseguenza che non ci siano legislazioni, interventi e atti legislativi che siano contro, ma che siano per favorire la vita e quindi non per manipolazioni varie che riguardano proprio il non riconoscimento. Se uno non riconosce che è vita, tutto è possibile, è manipolabile: può essere strumento, diventa un oggetto. Effettivamente in questo momento, in cui c’è una grossa crisi anche di appartenenza e una grossa crisi demografica, questo è un segnale importantissimo: ricominciamo da lì e l’Europa non può tirarsi indietro!

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    500 mila bambini dell’Est senza genitori o madre: effetto dell’emigrazione soprattutto femminile

    ◊   L’emigrazione dai Paesi dell’est Europa crea “orfani bianchi”: bambini, cioè, lasciati in custodia ai parenti da genitori che cercano lavoro all’estero. Un recente studio condotto in 25 Paesi per conto della Commissione Europea parla di 500.000 bambini rimasti in Romania, Polonia e Repubbliche Baltiche. La partenza dei genitori, soprattutto delle madri, incide sullo sviluppo psicologico dei figli come conferma, al microfono di Elisa Sartarelli, Silvia Dumitrache, presidente dell’Associazione Donne Romene in Italia.

    R. – Sì, perché loro crescono con l’amore. Anche un fiore ha bisogno di una carezza, di uno sguardo pieno di affetto. Così anche i nostri bimbi, crescono attraverso il nostro cuore.

    D. - Il distacco più difficile per i bambini è quello dalla madre, dunque i bambini e le mamme cominciano a soffrire di depressione, spesso senza neanche esserne consapevoli…

    R. – Questo è vero perché tanti bambini rimangono nel Paese di origine, tra le cure dei propri papà, però evidentemente la figura della mamma è vitale, perché loro soffrono per la sua lontananza. Sono tanti, più di 100 i bambini che si sono tolti la vita per questa sofferenza.

    D. – Vi aspettate dunque un aiuto a queste donne da parte delle istituzioni italiane o avete fatto richieste anche alla Romania?

    R. – Sì, è da più di due anni che sto portando avanti questo progetto. Ho ricevuto tanto sostegno da parte dell’Italia, grazie anche all’ex ambasciatore dell’Italia a Bucarest, il dottor Mario Cospito, che ha conferito il patrocinio al nostro progetto “La mamma ti vuole bene”. Poi c’è anche il comune di Milano, l’assessorato alla cultura… Sono tante le istituzioni e i mass media italiani che ci offrono tanto sostegno e spazio. Certo, sarebbe utile poter creare centri di informazione nel Paese di origine e centri di accoglienza in Italia per le persone che arrivano e anche poter portare i figli in Italia magari per fare le vacanze. Per un figlio è importantissimo vedere la madre che lavora, avere una qualche idea del lavoro svolto dalla mamma, perché altrimenti loro rimangono con l’idea di essere stati abbandonati.

    D. – Avete pensato anche di aiutare queste mamme a sviluppare progetti nel loro Paese, quindi in Romania?

    R. – L’ideale per le persone che hanno il desiderio di tornare è di poterle aiutare a sviluppare una piccola impresa, per poterle aiutare a rimanere nel Paese di origine e essere ancora accanto ai loro figli. Io sono certa che il desiderio più grande per loro sia proprio questo. Il sogno di una mamma è di poter fare la mamma!

    D. – Stiamo parlando di un problema delle mamme, ma anche i papà soffrono questa situazione?

    R. – Certo perché loro possono fare i papà… I bambini rimangono con loro ma loro sono i papà e non possono fare da mamma, così perdono la loro identità di capo famiglia e soffrono tanto, specialmente dopo le feste di Natale. Ci sono, infatti, alcune mamme che possono andare a festeggiare il Natale insieme alla propria famiglia, ma dopo c’è sempre un numero maggiore di tentativi di suicidio di bambini e dei loro papà.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Caritas Bangladesh: siamo tutti responsabili per i morti del Rana Plaza

    ◊   La tragedia del Rana Plaza "è una responsabilità che ricade su ciascuno di noi. E siamo grati a Papa Francesco per aver sottolineato il valore della dignità umana in questa nostra storia. Ci sentiamo confortati". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews Benedict Alo D'Rozario, direttore esecutivo della Caritas Bangladesh, che dal 24 aprile scorso, quando il palazzo è crollato con oltre 3mila persone al suo interno, è impegnata nelle operazioni di recupero e di assistenza alle famiglie delle vittime. Ieri, durante la messa presieduta nella cappellina di Casa Santa Marta in occasione della memoria di san Giuseppe lavoratore, papa Francesco ha parlato anche del Bangladesh e di quanto accaduto al Rana Plaza. "Non pagare il giusto - ha detto -, non dare lavoro, perché soltanto si guarda ai bilanci, ai bilanci dell'impresa; soltanto si guarda a quanto io posso approfittare. Quello va contro Dio! Un titolo che mi ha colpito tanto il giorno della tragedia del Bangladesh, 'Vivere con 38 euro al mese': questo era il pagamento di queste persone che sono morte... E questo si chiama 'lavoro in schiavitù'! Per D'Rozario, le parole del Papa sono di grande conforto, e per questo "attraverso la nunziatura, manderemo il messaggio di papa Francesco al primo ministro e al presidente del Bangladesh". "Il nostro lavoro quotidiano - spiega - va dal recupero delle persone, alla distribuzione di acqua, medicine e cibo, fino all'identificazione dei corpi e alla restituzione delle salme alle famiglie. Da oggi abbiamo attivato un nuovo progetto per il sostegno sociale e psicologico di sopravvissuti e familiari delle vittime. Per almeno un mese psicologi dell'università di Dhaka, operatori sociali e religiosi offriranno assistenza e terapie a chi ne ha bisogno". Secondo il direttore della Caritas una tragedia come quella del Rana Plaza, dove il bilancio parla ormai di oltre 400 morti e più di 2mila feriti, "è una responsabilità di tutti noi: governi, industrie, clienti, tutti. Gli uomini d'affari dei Paesi più ricchi vengono da noi perché la manodopera costa poco, ma tutti dimenticano quanto sia dura la vita dei lavoratori, quando prendono 50 dollari al mese! Il nostro governo ha cercato di fare qualcosa, ma sono sorte le imprese private, che non si fanno scrupoli e con le quali le aziende straniere stipulano contratti". "Credo che tutti - incalza - dovremmo chiederci perché una maglietta prodotta in Bangladesh costa 20 euro, mentre se viene prodotta in Europa costa 80 euro. Dobbiamo continuare così, ignorare il rispetto di cui tutti sono degni, per far dormire sonni tranquilli agli altri? Io credo invece che dobbiamo essere consapevoli che le persone di tutto il mondo meritano pari dignità e diritti umani, non solo di chi vive nel nostro stesso Paese. Tutti conoscono questa situazione, il governo e la gente, ma dobbiamo interrogare la nostra coscienza, e chiederci cosa possiamo fare tutti insieme. Perché è nostra responsabilità fare tutto il possibile per garantire e sostenere i diritti e la dignità di ogni essere umano". (R.P.)

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    India: la giustizia sociale nel messaggio dei vescovi per la Festa del lavoro

    ◊   Promuovere la giustizia sociale attraverso un sistema previdenziale garantito e salari equi: è l’esortazione principale contenuta nel messaggio della Conferenza episcopale indiana (Cbci), in occasione della Festa del lavoro. In particolare, i presuli ribadiscono l’importanza dei sindacati, ricordando che anche la Dottrina sociale della Chiesa ne sottolinea “l’influenza positiva” sull’ordine sociale e sulla solidarietà, definendoli “un indispensabile elemento per la vita della società”. Quindi, la Chiesa indiana suggerisce di creare un ufficio pastorale in ogni diocesi del Paese con il compito di andare incontro alle esigenze dei lavoratori immigrati, così da promuoverne l’integrazione spirituale e sociale. “Dobbiamo rafforzare – spiega padre Jaison Vadassery, segretario della Commissione per la Pastorale del lavoro della Cbci – le strutture regionali e i movimenti nazionali coordinati dalle diocesi cattoliche, così da intervenire in modo significativo in favore dei lavoratori più poveri del Paese”. In quest’ottica, la Chiesa locale sostiene il sistema pensionistico contributivo, versato in parte dal lavoratore ed in parte dallo Stato. “La Cbci – continua padre Vadassery – promuove tale sistema sia all’interno della società civile che delle istituzioni ecclesiastiche, perché il lavoro, così come il riposo, sono diritti fondamentali di ogni essere umano”. Infine, il messaggio si conclude con un appello a debellare la piaga del lavoro minorile. (I.P.)

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    Iraq: inizierà a giugno il Sinodo caldeo

    ◊   Inizierà il prossimo 5 giugno a Baghdad il primo Sinodo della Chiesa caldea convocato dal nuovo patriarca Louis Raphaël I Sako, eletto lo scorso 31 gennaio. L'agenda dell'Assemblea sindale è più che impegnativa. Diversi i punti all'ordine del giorno: le nomine di vescovi nelle numerose sedi episcopali caldee rimaste vacanti in Iraq, in Medio Oriente e nei Paesi occidentali; la formazione dei sacerdoti; la stesura definitiva di un “Diritto proprio” della Chiesa caldea da sottoporre al consenso della Sede apostolica; l'aggiornamento e l'armonizzazione dei riti liturgici celebrati in maniera non uniforme nelle varie diocesi; lo studio di misure concrete per arginare il fenomeno della migrazione e incoraggiare i cristiani a rimanere nella propria terra d'origine o a farvi ritorno. Per invocare il buon esito dell'imminente Sinodo, il patriarca Sako ha chiesto alle diocesi, alle parrocchie e ai monasteri caldei di tutto il mondo di recitare una apposita preghiera durante la messa domenicale, dopo le preghiere dei fedeli. Nella supplica si invoca il Padre Onnipotente di essere aiutati “ad amare la nostra Chiesa Caldea così come è, in tutte le sue varietà e differenze, nella sua grandezza come nella sua debolezza”. Davanti alle “tempeste” che “soffiano contro la barca in cui ci troviamo”, tutti i cristiani caldei sono chiamati a invocare “la potenza del tuo Spirito Santo, per aiutarci a riscoprire la tua presenza nella nostra realtà quotidiana e a suscitare in noi tutte le vocazioni necessarie per costruire la tua Chiesa”. “Il patriarca Louis Raphaël I Sako” ribadisce all'agenzia Fides padre Albert Hisham Zarazeer, responsabile della comunicazione per il patriarcato di Antiochia dei caldei – ha mantenuto la sua ferma intenzione di convocare a Baghdad il prossimo Sinodo anche per dare un segno di incoraggiamento a tutte le persone che qui sono stanche delle continue sofferenze”. (R.P.)

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    Nord Corea: condannato a 15 anni di lager un cristiano americano

    ◊   La Corte Suprema della Corea del Nord ha condannato questa mattina a 15 anni di lavori forzati il cittadino statunitense Kenneth Bae - identificato dalle autorità del regime con il nome coreano Pae Jun-ho - con l'accusa di "aver commesso crimini contro lo Stato". Lo ha riferito l'agenzia ufficiale del governo, la Kcna, che non spiega quali siano questi crimini. Bae, un operatore turistico coreano, ma con cittadinanza americana, era stato arrestato a novembre mentre si trovava insieme a cinque turisti che erano entrati in Corea del Nord attraverso il porto nord-orientale di Rajin. Secondo il quotidiano sudcoreano Kookmin Ilbo, le autorità di Pyongyang hanno rinvenuto "informazioni sensibili" nell'hard disk del computer di uno dei membri del gruppo. Ma Bae è anche definito da alcune fonti un "devoto cristiano" che, nei suoi viaggi al Nord, ha portato avanti un'opera missionaria che potrebbe aver attirato l'attenzione delle autorità e provocato l'arresto e la condanna. In Corea del Nord non esiste libertà religiosa e i fedeli sono all'ultimo posto nella scala gerarchica della società. La sentenza è la più dura mai emessa dalle autorità giudiziarie del Nord contro un cittadino straniero. Di solito ai lavori forzati vengono condannati i colpevoli di omicidio, stupro o rapina, oppure i fedeli di qualche religione che non si piegano al controllo e all'ateismo di Stato. Secondo alcuni analisti, questa decisione dimostra la "disperazione" del regime, guidato dal giovane Kim Jong-un, che sta cercando di tornare al tavolo dei colloqui con la comunità internazionale dopo l'escalation di tensione degli ultimi mesi. Le minacce, la chiusura della zona intercoreana di Kaesong e lo spostamento di missili sulla costa orientale - in grado di colpire Stati Uniti e Giappone - hanno isolato ancora di più il Paese, che ha perso anche l'appoggio della Cina. Lo scorso 29 aprile gli Usa avevano chiesto al regime di Pyongyang "l'immediato rilascio" di Bae, senza ottenere risposta. Per il Korea Herald, questo caso somiglia a quello delle due giornaliste americane arrestate nel 2009, condannate a 12 anni di lavori forzati e poi liberate grazie all'intervento della Clinton (allora Segretario di Stato Usa), che in cambio consentì a riprendere l'invio di aiuti umanitari. (R.P.)

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    Tragedia in Darfur: oltre 60 morti nel crollo di una miniera d’oro

    ◊   Più di 60 persone sono morte nel crollo di una miniera d'oro nel Darfur, regione nell'ovest del Sudan, afflitta dalla guerra civile. Il tragico incidente, informano fonti di agenzia, è avvenuto lunedì scorso, ma la notizia è stata resa nota solo oggi, secondo quanto ha riferito un responsabile locale. ''Il numero delle persone morte in seguito al crollo della miniera è più di 60'', ha dichiarato Haroun al-Hassan, commissario locale di Jebel Amir nel Darfur del Nord, il quale ha aggiunto che le operazione di soccorso sono tuttora in corso. (A.G.)

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    Congo. Nord Kivu: i ribelli M23 lasciano i colloqui. Pace a rischio

    ◊   I ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) hanno sospeso la loro partecipazione ai colloqui col governo di Kinshasa, avviati lo scorso dicembre nel vicino Uganda: una decisione che sta alimentando nuovi timori di violenze nell’instabile provincia mineraria del Nord Kivu (est). “Per noi dell’M23 c’è una rottura nei negoziati: non ha alcun senso parlare di pace quando le Nazioni Unite hanno autorizzato il dispiegamento di una brigata d’intervento che potrà attaccarci” ha detto da Kampala, sede del negoziato mediato dai Paesi dei Grandi Laghi, Rene Abandi, alla guida della delegazione dei ribelli. Rivolgendosi al governo del presidente Joseph Kabila, l’esponente della ribellione ha auspicato che “l’esecutivo congolese possa capire che non è con una guerra che si risolverà il conflitto nell’est”. Dalla loro apertura cinque mesi fa - riferisce l'agenzia Misna - i colloqui di Kampala non hanno portato alla firma di un’intesa tra le due parti e il loro andamento è stato molto altalenante. La situazione sul terreno, tutt’ora instabile nonostante una ‘tregua’ nei combattimenti, è stata resa ancora più incerta dalle recenti dichiarazioni dei leader dell’M23, sul piede di guerra dopo che le Nazioni Unite hanno dato il via libera al dispiegamento di una “brigata di intervento”. La brigata, costituita da militari inviati da Sudafrica, Malawi e Tanzania, affiancherà la locale missione Onu (Monusco), il cui mandato è stato prorogato di un anno, con la possibilità di effettuare “operazioni offensive mirate” contro i ribelli attivi nell’est. Inoltre hanno alimentato ulteriori timori di una ripresa delle ostilità informazioni in base alle quali circa 500 combattenti dell’M23, fuggiti il mese scorso in Rwanda in rottura con la fazione che fa capo a Sultani Makenga, sarebbero rientrati in Nord Kivu per rinfoltire i ranghi del movimento sul terreno. Le notizie sono state formalmente smentite da Kigali che da mesi viene accusata dall’Onu e da organizzazioni della società civile di sostenere militarmente ed economicamente l’M23 assieme a Kampala. Di fatto la ribellione, nata nell’aprile 2012 sulla scia del ‘Cndp’ di Laurent Nkunda, sta ancora controllando vaste zone del territorio di Rutshuru dove ha creato una sua amministrazione locale e percepisce le varie tasse ed imposte. L’emittente locale ‘Radio Okapi’ ha riferito ieri che l’M23 ha nominato due nuovi amministratori nei territori di Nyiragongo e Rutshuru. “Denunciamo queste nomine che rafforzano l’amministrazione parallela creata in Nord Kivu. Con atti del genere si capisce che l’M23 è determinato a balcanizzare e destabilizzare la provincia, ipotecando ogni tentativo di pacificazione” ha dichiarato il portavoce della società civile del Nord Kivu, Omar Kavota. D’altra parte la stessa fonte di stampa ha confermato che altri due ufficiali della ribellione si sono consegnati alle Forze armate regolari (Fardc), denunciando “condizioni di vita sempre più difficili all’interno dell’M23” a causa del mancato pagamento dello stipendio e di problemi di gestione. Dall’inizio di aprile altri 87 ribelli hanno reso le armi alla Monusco. (R.P.)

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    Tunisia: caccia a due gruppi armati al confine con l’Algeria

    ◊   Le Forze di sicurezza tunisine sono alla caccia di due gruppi armati jihadisti, ha affermato un portavoce del Ministero degli Interni, precisando che uno si trova sul Monte Chaambi e l’altro nella regione del Kef. Entrambe le località si trovano alla frontiera con l’Algeria. Questi gruppi sarebbero formati almeno in parte da miliziani cacciati dal nord del Mali dall’operazione Serval condotta dall’esercito francese per riprendere il controllo dell’area dalle mani di alcune organizzazione jihadiste. Di recente - riporta l'agenzia Fides - il quotidiano britannico The Guardian ha lanciato l’allarme sul ripiegamento verso la Libia dei combattenti jihadisti cacciati dal nord del Mali. “Se schiacci un palloncino da una parte, si gonfia dall’altra” ha affermato un esperto dell’International Crisis Group a The Guardian, sottolineando che “non vi sono dubbi che le operazioni francesi in Mali hanno avuto l’effetto di comprimere il pallone verso Algeria e Libia”. La presenza di diverse milizie armate libiche e il fiorente mercato nero delle armi alimentato dagli arsenali libici incustoditi a seguito della guerra civile del 2011, aggiungono ulteriori motivi di preoccupazione per la stabilità dell’intero Nord Africa. Armi di provenienza libica sono state rintracciate in Mali, in Egitto, a Gaza e nelle mani dei gruppi dell’opposizione armata siriana. Algeria, Tunisia e Libia hanno affermato di volere collaborare per garantire la sicurezza dei propri confini e cercare di bloccare i traffici di armi e i movimenti dei gruppi armati illegali nella regione. (R.P.)

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    India. Militanti islamici ai missionari cristiani: “Lasciate il Kashmir”

    ◊   Nuove accuse e minacce di estremisti islamici contro i missionari cristiani in Kashmir, dove la situazione sociale e religiosa resta esplosiva. Come riferiscono fonti dell'agenzia Fides, il “Consiglio Unito del Jihad”, organizzazione che riunisce diversi movimenti islamici del Kashmir, afferma che “i missionari cristiani in Kashmir hanno una agenda segreta, sfruttano i poveri e le persone bisognose, offrendo loro aiuti economici per convertirli al cristianesimo”. In una nota del portavoce, Syed Hussain Sadaqat, il “Consiglio Unito del Jihad” definisce l’approccio dei missionari cristiani “fortemente esecrabile”, rimarcando che “l'Islam è la religione di pace e di armonia, che protegge le minoranze. Tuttavia, le attività anti-Islam non possono essere tollerate”. Per questo, come già fatto in passato, il Consiglio invita a tutti i missionari cristiani “ad abbandonare immediatamente la valle del Kashmir”, intimando: “In caso contrario, ne subiranno le conseguenze”. Il Consiglio del Jihad lancia poi un appello alle altre organizzazioni islamiche caritative per aiutare le famiglie povere in Kashmir. Le accuse verso i missionari non sono nuove. Di recente alcuni mullah (leader islamici) hanno accusato i volontari della “Casa Agape”, Centro sociale ed educativo gestito da fedeli cristiani indiani a Srinagar, di “conversione di bambini”. Nel 2012 il Pastore cristiano C.M. Khanna, arrestato a Srinagar e condannato da un tribunale islamico per “conversioni forzate”, era stato poi assolto dall’Alta Corte dello stato di “Jammu e Kashmir”. Il “Consiglio Unito del Jihad” è stato creato nel 1994 per unificare vari gruppi di militanti islamici armati che combattono contro il governo indiano in Kashmir. (R.P.)

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    L'Oms avverte: il ceppo dell'aviaria da prendere sul serio

    ◊   Il nuovo ceppo dell'influenza aviaria, che finora ha già ucciso 25 persone in Cina, costituisce una "minaccia grave per l'uomo che va presa molto seriamente". Lo ha detto uno dei ricercatori dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) al lavoro per studiare l'ultima mutazione del virus influenzale, l'H7N9, definito "letale e molto pericoloso". John McCauley, direttore di un Centro di ricerca britannico che lavora per l'agenzia sanitaria dell'Onu, ha aggiunto che "l'Oms considera questa una minaccia grave, che dovrebbe essere trattata con calma, ma con molta serietà. Al momento non sappiamo se il virus si trasmetta da uomo a uomo, ma non si può escludere questa ipotesi". Colin Butte, esperto di virus aviari del Pirbright Institute, aggiunge che "più a lungo il virus circola senza controllo e più aumentano le possibilità che raggiunga un nuovo stadio, in cui si trasmette attraverso gli esseri umani. In questo caso saremmo davanti a una pandemia". Fino ad ora - riporta l'agenzia AsiaNews - tutti coloro che hanno contratto la malattia sono stati a diretto contatto con dei volatili ed in particolare con dei polli, che sono i portatori del virus. Nel frattempo, questa mattina nella provincia cinese dell'Hunan, un uomo di 55 anni è morto a causa dell'influenza aviaria, portando a 25 il numero totale delle vittime dell'epidemia. Secondo i media cinesi in totale sono 127 le persone che hanno contratto il virus in tutta la Cina. Di queste, "almeno altri 20" sono in pericolo di vita. (R.P.)

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    Messico: appello della Chiesa per combattere la povertà

    ◊   "Non è la mancanza di risorse la causa della povertà, ma la distribuzione iniqua della ricchezza nel mondo” ha affermato mons. Sigifredo Noriega Barceló, vescovo di Zacatecas, in Messico, richiamando l'appello del Papa Francisco sulle origini della crisi economica. Mons. Noriega, in una nota pervenuta all'agenzia Fides, ha voluto infatti spiegare alla sua comunità il messaggio lanciato dal Papa sul suo account Twitter: " In questo periodo di crisi è importante non chiudersi in se stessi, ma aprirsi, essere attenti all’altro". Mons. Barceló ha sottolineato che “è compito degli esperti economici presentare un programma per migliorare la distribuzione delle risorse”. “La ricchezza c’è” - ha aggiunto - solo che sembra che non abbiamo voluto o non abbiamo saputo condividerla. Mons. Noriega ha poi aggiunto che l'economia "di per sé è una scienza neutrale, ma i valori che hanno gli esperti economici ed i consumatori influenzano l’equa distribuzione della ricchezza". (R.P.)

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    Ucraina: la situazione della libertà religiosa nel Paese

    ◊   Il Servizio di informazione religiosa dell’Ucraina (Risu) ha lanciato ieri un nuovo progetto per esaminare le questioni legate alla libertà religiosa nel Paese. Lo scopo principale – secondo quanto riporta l’agenzia Sir - è “raccogliere e diffondere informazioni sulle violazioni e le minacce alla libertà religiosa e riferire sugli eventi o azioni finalizzate a difenderla”. Osservatori esterni ed esperti ucraini hanno concluso che nel corso degli ultimi anni lo stato della libertà di religione in Ucraina ha subito un grave deterioramento. A una recente tavola rotonda organizzata dal Centro “Razumkov” - riferisce l'agenzia Sir - il direttore dell’Associazione ucraina per la libertà religiosa, Viktor Yelensky, ha dichiarato che attualmente la maggior parte dei cittadini - il 65%, con una diminuzione dell’11% rispetto ai dati del 2010 - ritiene che vi sia una libertà di religione assoluta. Yelensky, inoltre, ha osservato che il livello di restrizione della libertà religiosa imposta dal Governo - così come calcolato da centri di ricerca internazionali sulla base di diversi parametri - è drasticamente peggiorato. Gli esperti che hanno partecipato alla tavola rotonda hanno notato che la gente dimostra di avere massima fiducia nella Chiesa, considerata come “una fondazione della società civile ucraina”. Il progetto di monitoraggio della libertà religiosa da parte del Risu, che gode del sostegno della Fondazione nazionale per la democrazia, durerà fino al 20 aprile 2014. L’Agenzia invita le Chiese e le organizzazioni religiose, le comunità e i singoli credenti in Ucraina, a segnalare le violazioni o restrizioni dei diritti e l’intolleranza religiosa. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 122

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