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Sommario del 03/06/2013
Il Papa: i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi sono luce per tutti
◊ Peccatori, corrotti e santi. Papa Francesco ha incentrato su questo trinomio la sua omelia per la Messa di stamani nella Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che i corrotti fanno tanto male alla Chiesa perché sono adoratori di se stessi; i santi invece fanno tanto bene, sono luce nella Chiesa. Alla Messa – concelebrata con il cardinale Angelo Amato – ha preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori della Congregazione delle Cause dei Santi e un gruppo di Gentiluomini di Sua Santità. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Cosa succede quando vogliamo diventare noi i padroni della vigna? Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dal Vangelo odierno sulla parabola dei vignaioli malvagi per soffermarsi sui “tre modelli di cristiani nella Chiesa: i peccatori, i corrotti e i santi”. Il Papa ha osservato che dei peccatori “non è necessario parlare troppo, perché tutti noi lo siamo”. Ci conosciamo “da dentro – ha proseguito – e sappiamo cosa è un peccatore. E se qualcuno di noi non si sente così, vada a farsi una visita dal medico spirituale”, perché “qualcosa non va”. La parabola, però, ci parla di un’altra figura, di quelli che vogliono “impadronirsi della vigna e hanno perso il rapporto con il Padrone della vigna”. Un Padrone che “ci ha chiamato con amore, ci custodisce, ma poi ci dà la libertà”. Queste persone “si son sentite forti, si sono sentite autonome da Dio”:
“Questi, pian pianino, sono scivolati su quella autonomia, l’autonomia nel rapporto con Dio: ‘Noi non abbiamo bisogno di quel Padrone, che non venga a disturbarci!’. E noi andiamo avanti con questo. Questi sono i corrotti! Quelli che erano peccatori come tutti noi, ma hanno fatto un passo avanti, come se fossero proprio consolidati nel peccato: non hanno bisogno di Dio! Ma questo sembra, perché nel loro codice genetico c’è questo rapporto con Dio. E come questo non possono negarlo, fanno un dio speciale: loro stessi sono dio. Sono i corrotti”.
Questo, ha aggiunto, “è un pericolo anche per noi”. Nelle “comunità cristiane”, ha detto ancora, i corrotti pensano solo al proprio gruppo: “Buono, buono. E’ di noi” - pensano - ma, in realtà, "sono loro per se stessi”:
“Giuda ha incominciato: da peccatore avaro è finito nella corruzione. E’ una strada pericolosa la strada dell’autonomia: i corrotti sono grandi smemorati, hanno dimenticato questo amore, con il quale il Signore ha fatto la vigna, ha fatto loro! Hanno tagliato il rapporto con questo amore! E loro diventano adoratori di se stessi. Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane! Che il Signore ci liberi dallo scivolare su questa strada della corruzione”.
Il Papa ha così parlato dei santi, ricordando che oggi è il cinquantesimo della morte di Papa Giovanni XXIII, “modello di santità”. Nel Vangelo di oggi, ha soggiunto, i santi sono quelli che “vanno a prendere l’affitto” della vigna. “Loro sanno cosa li aspetta, ma devono farlo e fanno il loro dovere”:
“I santi, quelli che obbediscono al Signore, quelli che adorano il Signore, quelli che non hanno perso la memoria dell’amore, con il quale il Signore ha fatto la vigna. I santi nella Chiesa. E così come i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi fanno tanto bene. Dei corrotti, l’apostolo Giovanni dice che sono l’anticristo, che sono in mezzo a noi, ma non sono di noi. Dei santi la Parola di Dio ci parla come di luce, ‘quelli che saranno davanti al trono di Dio, in adorazione’. Chiediamo oggi al Signore la grazia di sentirci peccatori, ma davvero peccatori, non peccatori così diffusi (generici ndr), ma peccatori per questo, questo e questo, concreti, con la concretezza del peccato. La grazia di non diventare corrotti: peccatori sì, corrotti no! E la grazia di andare sulla strada della santità. Così sia”.
Incontro in Vaticano tra Papa Francesco e il presidente di Capo Verde
◊ Papa Francesco ha ricevuto oggi, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il presidente di Capo Verde, Jorge Carlos de Almeida Fonseca, che ha poi incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Durante i cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - sono state ricordate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di Capo Verde. In particolare, si è parlato dell’Accordo tra la Repubblica e la Sede Apostolica riguardante lo stato giuridico della Chiesa Cattolica nel Paese, che sarà firmato prossimamente nella capitale Praia”, nel corso di un viaggio di mons. Mamberti nell’arcipelago. “In tale contesto – prosegue il comunicato - non si è mancato di fare riferimento all’identità culturale e religiosa della popolazione capoverdiana, la cui quasi totalità è di fede cristiana, così come all’importante ruolo che la Chiesa cattolica ha svolto e svolge tuttora nel Paese con le sue istituzioni di carattere educativo e sanitario. Infine, si è accennato ad alcune importanti sfide e situazioni che interessano in particolare la Regione, come pure al tema della presenza di numerosi capoverdiani in diversi Paesi del mondo”.
Fedeli di tutto il mondo in Adorazione eucaristica con Papa Francesco
◊ Nella solennità del Corpus Domini, e nel contesto dell’Anno della Fede, Papa Francesco ha presieduto, dalle 17 alle 18, nella Basilica di San Pietro, una speciale Adorazione eucaristica in comunione con le cattedrali e le parrocchie di tutto il mondo, per un’ora unito in preghiera in adorazione del Santissimo Sacramento. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Il Coro della Cappella Sistina ha accompagnato il cammino di Papa Francesco attraverso la navata centrale di San Pietro, fino all’altare, dove ha presieduto un’ora di Adorazione eucaristica, in comunione con i fedeli di tutto il mondo che nelle chiese e nelle cattedrali di ogni Paese, collegati con Roma, si sono uniti al Santo Padre. “Un solo Signore una sola fede”: il titolo scelto per questo evento unico, voluto da Benedetto XVI in occasione dell’Anno della Fede, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II. Si è pregato per il bene della Chiesa, perché “il Signore la renda sempre obbediente all’ascolto della sua Parola, per presentarsi dinanzi al mondo sempre più bella, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” e poi si è pregato per "quanti nelle diverse parti del mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitù e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro schiavo; per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza; per tutti coloro che si trovano nella precarietà economica, soprattutto i disoccupati, gli anziani, gli immigrati, i senzatetto, i carcerati e quanti sperimentano l'emarginazione”. I canti e le invocazioni sono stati intervallati dalle letture, accompagnate dal suono di un’arpa, delle preghiere dei Papi predecessori: Pio XII, il Beato Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, il Beato Giovanni Paolo II, il Papa emerito Benedetto XVI. L’intenso sguardo di Papa Francesco non ha mai abbandonato l’ostensorio con il Corpo di Cristo, poggiato sull’altare. E con il suo, quello di tutti i fedeli raccolti in preghiera nella Basilica. Al termine dell’Adorazione eucaristica Papa Francesco ha preso tra le mani l’ostensorio e ha benedetto i presenti con il Santissimo Sacramento.
Tante le persone che hanno preso parte all'Adorazione eucaristica presieduta da Papa Francesco in San Pietro. Marina Tomarro ha raccolto alcune voci:
R. – Per me la festa del Corpus Domini è la festa di tutti noi cristiani perché è ciò che il Signore ci ha lasciato. Questa è la festa per dire: "Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Anche adesso il Papa ci ha dato l’opportunità di vivere insieme a lui questo momento bello, di vivere tutta quanta la Chiesa, con il Santo Padre, per dire: "Credo, Signore accresci la mia fede".
R. – Penso che questo momento che il Papa ha voluto di preghiera mondiale sia un grandissimo regalo che ci ha fatto perché ritrovarsi davanti al Signore con tutta la comunità di cristiani del mondo è un bel messaggio e ciascuno di noi deve farne tesoro nella vita di tutti i giorni, nell’ambiente di lavoro e nelle comunità in cui viviamo.
R. - Venire qui e fare l’Adorazione nel giorno del Corpus Domini, pensando che è in comunione con tutta la Chiesa, è bello ed emozionante.
D. – Cosa vuol dire per lei pregare davanti all’Eucaristia?
R. – Noi, puntualmente, ogni settimana, ci incontriamo con un gruppo di amici e preghiamo davanti all’Eucaristia. Credo che sia un po’ come la benzina per il motore di noi cristiani senza la quale non potremmo fare la carità, non potremmo amare il prossimo... Quindi, restare in adorazione davanti al Santissimo ci riempie per poi trasmetterlo agli altri.
R. – Si ha fede, si sta con Lui, si vive nella Sua grazia, per averlo sempre con noi...
R. – Condividere un tempo mio con il Signore che dà senso al mio tempo, alla mia vita… E’ una comunione intima di amore. Siamo nelle sue mani, con le nostre fatiche, debolezze, che ci portiamo nella vita.
D. – Il Papa ci invita anche a condividere il dono dell’Eucaristia con tutti gli altri. In che modo accogliere la sua esortazione?
R. - Chiedendo ma soprattutto ascoltanto per cercare di farsi capacità, come diceva Santa Caterina, perché il Signore possa farsi torrente.
R. – Con molta gioia ma anche con molta consapevolezza perché fare comunione non significa solo andare in Chiesa. Quando il sacerdote ci invita ad andare in pace, è proprio quell’annuncio, cioè dire: il Signore ha preso qualcosa di me e io te lo rioffro perché possa tu incontrarlo nell’Eucaristia.
R. – Come dice anche il Santo Padre, andando verso gli altri, andando verso i fratelli, nelle periferie. Io vengo da una diocesi nella periferia di Roma e quindi capisco bene cosa voglia dire andare nelle periferie delle periferie con i giovani, con i poveri.
Mons. Palmer Buckle: all'Adorazione il Papa vicino alle miserie della nostra realtà
◊ Il mondo intero si è unito spiritualmente, ieri pomeriggio, con la Basilica di San Pietro e con la preghiera di Papa Francesco per tutto il mondo, specie per persone e realtà più disagiate. Roberta Gisotti ne ha parlato con mons. Charles Palmer Buckle, arcivescovo di Accra, capitala del Ghana, Paese dell’Africa, molto lontano dalla realtà occidentale di Roma:
R. – Quando abbiamo avuto la notizia, è stata bene accolta. So che ieri in tutte le parrocchie è stata celebrata la Santa Messa per il Corpus Domini e dopo la Santa Messa parecchi sono rimasti in parrocchia per collegarsi spiritualmente con il Santo Padre e anche con il Vaticano, dalle tre alle quattro, ed anche per le intenzioni sia del Santo Padre sia della Chiesa universale.
D. – Papa Francesco aveva indicato di pregare per quanti soffrono nuove schiavitù o sono vittime di guerre, della tratta di persone, del narcotraffico e anche di pregare per i bambini e le donne che subiscono violenze. Quali di questi drammi sono più avvertiti nel Ghana?
R. – Dobbiamo dire la verità, per noi le nuove schiavitù sono una realtà: i bambini schiavizzati, che lavorano svolgendo determinati lavori che in realtà non dovrebbero fare, le donne che soffrono diversi tipi di violenza, dobbiamo ammettere che queste, sì, sono delle realtà che noi viviamo molto da vicino nel Paese. In un Paese in via di sviluppo, molte volte i diritti umani non sono ben seguiti, per così dire. E allora abbiamo pregato il Rosario, specificatamente per queste intenzioni del Santo Padre. Intenzioni per le quali nelle famiglie, negli ambienti di lavoro, abbiamo potuto pregare facendo una riflessione.
D. – E’ stato importante questo sentirsi uniti con il Vaticano, con la persona del Papa nella preghiera?
R. – Certamente, molti dei nostri seguono, sono già in sintonia con quello che succede in Vaticano. Ma questo appello del Santo Padre è stato molto bene accolto, sia da parte dei religiosi, sia dai sacerdoti, sia dai vari gruppi che abbiamo qui, molti dei quali singolarmente e anche in comunità hanno pregato per le intenzioni del Santo Padre. Speriamo che questo appello avvenga, di tanto in tanto, affinché la Chiesa si senta veramente unita attorno al Santo Padre, specialmente per pregare per il nostro mondo che veramente ha bisogno di una testimonianza di questo genere.
Altre udienze di Papa Francesco
◊ Papa Francesco ha ricevuto stamani Sua Beatitudine Nersès Bédros XIX Tarmouni, Patriarca di Cilicia degli Armeni, e seguito, e il card. Manuel Monteiro de Castro, Penitenziere Maggiore.
Tweet del Papa: "Impariamo da Maria la capacità di decidere, affidandoci a Dio"
◊ Nuovo tweet di Papa Francesco. Sull’account @Pontifex in nove lingue si legge: “A volte sappiamo quello che dobbiamo fare, ma non ne abbiamo il coraggio. Impariamo da Maria la capacità di decidere, affidandoci a Dio”. L'account del Papa conta circa 6 milioni e 750 milioni di follower, di cui 2.564.000 in lingua inglese e 2.514.000 in lingua spagnola.
Messa in San Pietro a 50 anni dalla morte di Giovanni XXIII. Intervista con mons. Capovilla
◊ Il 3 giugno di 50 anni fa si spegneva Giovanni XXIII. Oggi alle 17.00, nella Basilica Vaticana, mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, presiederà una Messa per i fedeli della sua Diocesi nell'occasione di questo anniversario. Al termine della celebrazione l’arrivo in Basilica di Papa Francesco. Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, fu eletto 261.mo Pontefice il 28 ottobre 1958, succedendo a Pio XII, e fin dall'inizio rivelò uno stile che rifletteva la sua personalità umana e sacerdotale maturata attraverso una significativa serie di esperienze e un’intensa vita spirituale. Morì la sera del 3 giugno 1963 e fu Beatificato da Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000. Per un ricordo personale del "Papa buono", Laura De Luca ha intervistato mons. Loris Capovilla, che fu segretario particolare di Papa Giovanni XXIII:
R. – Il suo colloquio con Dio era qualcosa di immediato, spontaneo, sereno. Come il bambino che si rivolge alla mamma. La sua era la fede semplice dei piccoli e dei poveri. Lui l’ha potuto affermare in una lettera stupenda ai suoi genitori. Era rappresentante del Papa in Bulgaria, e il giorno di Natale nostalgicamente pensa alla sua cascina di campagna. Vede tutti i suoi attorno alla povera, modesta mensa e sente una tale nostalgia che dice: “Natale è la festa delle famiglie, specialmente quelle che hanno molti bambini, come la nostra. Ed è per amore dei bambini che noi dobbiamo essere buoni e vivere in grande pace”. E disse: “Sappiate che io ho studiato, ho preso lauree, ho dimenticato quasi tutto quello che ho imparato e appreso a scuola. Nulla ho dimenticato di quello che ho appreso da voi, papà e mamma; quello che ho imparato dal mio parroco, che mi ha battezzato. E questa è la luce che è il meglio della mia vita: la forza per continuare ad obbedire a quello che il Signore mi dice attraverso il Santo Padre.
D. – Questa figura gigantesca del secolo passato, riconosciuta da tutti – non soltanto dalla cattolicità – ha avuto una vita significativa. Con questo bagaglio lui ha attraversato la sua carriera, una carriera importante – dal punto di vista delle cariche – però anche nella preparazione …
R. – Il giorno della sua elezione al papato, affacciato al balcone centrale della Basilica di San Pietro – erano le sei della sera – i fari della televisione e delle cineprese lo accecarono, e lui che era curioso, amava vedere anche in volto i suoi fratelli e sorelle, non vide niente. E un po’ deluso di non aver visto nulla, disse: “Mi sono voltato per rientrare dal balcone nell'Aula delle Benedizioni. Ero preceduto dal Crocifisso rivolto verso di me, è mi è sembrato che Gesù mi dicesse: ‘Angelino! Hai cambiato nome e vestito, ma ricordati che se non rimarrai mite e umile di cuore, come sono io, non vedrai nulla della vita della Chiesa e della vita del mondo. Rimarrai cieco!”. Mite e umile di cuore: è stata la prima sua espressione da Papa.
D. – Possiamo dire che fu proprio l’urgenza di parlare di Dio nella maniera più giusta a consentirgli questa intuizione storica di convocare il Concilio?
R. – Quando iniziai il servizio con lui, mi diede una norma pratica e saggia di comportamento. Mi disse: “Io ti farò tante confidenze, ti dirò che decisioni devo prendere. Se tu sei contento di questa notizia che ti do, puoi dirmelo. Se tu avessi qualche riguardo in merito e non fossi così entusiasta, non devi dirmelo: ti interrogo io”. Capitò per il Concilio: quando me ne ha parlato la prima volta, non ho detto nulla. La seconda, non ho detto nulla. Alla terza mi ha detto: “Come mai? Ti ho parlato di questo evento che lo Spirito mi detta dentro e tu non hai detto nulla?”. Io ho detto: “Perché lei non me l’ha domandato”. “No, no: è un altro, il motivo. Sai che sono vecchio, che è un progetto enorme, che io non potrei realizzarlo … Perché tu ragioni alla maniera di un commendatore che è al tavolo a discutere un progetto!”. Io dissi di no: “Santità, quello che lei decide è fatto tutto molto bene e servirà all’umanità intera”. E lui m’ha detto: “Quello che importa non è attuare, fare; ma è accettare l’ispirazione, ed essere oggetto di attenzione da parte di Dio stesso che ti chiama a collaborare con Lui, è già una grande impresa! Anche se solo mi accadesse di annunziarlo, sarebbe già un grande evento”. Questo è il primo, grande insegnamento che mi ha dato. E il secondo insegnamento: “Ricordati, io sono vescovo. Devo morire come un vescovo. Quando ci fosse qualche cosa di grave, me lo devi dire in tutta chiarezza”. Ed è stato l’ultimo, vero, grande colloquio con lui quando gli ho detto: “Santo Padre, è venuta l’ora”. E lui mi ha detto: “Un momento: bisognerà domandare ai medici”. “Santità, li abbiamo già interrogati”. Mi guardò: “E’ così?”. “Sì, Santità, è così”. “Allora prendiamo congedo”. Poi ha detto: “Mi dovete portare il Sacramento dell’Eucaristia solennemente, dovranno essere presenti i miei più alti collaboratori: devo parlare a ciascuno e congedarmi e fare il voto che il Concilio Vaticano II sia continuato e coronato dalle benedizioni del Signore. Quanto alla successione, Gesù l'ha già stabilita. Se dopo di me si farà anche diversamente, non importa nulla: noi contiamo fino ad un certo punto. E’ Dio che conta, e si serve di noi piccoli uomini per fare grandi cose o piccole cose nel segno della salvezza dell’umanità intera".
Il card. Ravasi presenta il Cortile dei Gentili di Marsiglia
◊ Una settimana di scambi e dialoghi nella città nominata “Capitale della Cultura 2013”: s’inserisce in questo contesto la nuova tappa del “Cortile dei gentili”, ambientata a Marsiglia dal 6 all’8 giugno e ribattezzata “Parvis du Coeur”. La struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti, guidata dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, torna in Francia dopo l’esordio parigino del marzo 2011, mettendo a confronto due grandi esponenti del pensiero filosofico d’oltralpe come Albert Camus e Paul Ricouer. Il servizio di Fabio Colagrande:
Quello marsigliese si chiama “Parvis du Coeur”, cioè “Cortile del cuore”, perché è la “Festa del Sacro Cuore”, che si celebra venerdì prossimo a Marsiglia, la cornice naturale per la nuova tappa del “Cortile dei Gentili”. Permette infatti – commenta il cardinale Ravasi – di unire senza imbarazzi, pur sullo sfondo della spiccata “laicité” francese, la dimensione religiosa e quella civile. Tutto è legato all’epidemia di peste che colpì la città portuale nel XVIII secolo, come spiega lo stesso porporato:
“La celebrazione del Sacro Cuore, che farò nella basilica, avrà una dimensione anche civile, perché si collega ad un evento storico che è molto caro ai marsigliesi: la grande epidemia di peste che si stese nel 1720, come un sudario, sulla città e che venne affidata dalle autorità della città stessa – i cosiddetti échevins, gli scrivani che rappresentavano la pubblica amministrazione – proprio al Sacro Cuore. Sorgerà poi una grande basilica nella quale io celebrerò un pontificale e guiderò una processione. E questo fa sì che questo Cortile sia anche chiamato – per l’aspetto religioso-civile – parvis du coeur, cioè Cortile del cuore”.
Il “Cortile marsigliese”, organizzato dall’arcidiocesi locale e dall’Istituto cattolico per il Mediterraneo, con la collaborazione della municipalità cittadina, si apre il 6 giugno con una conferenza pubblica dedicata proprio all’autore del romanzo “La peste”, Albert Camus, pensatore ateo sul quale si soffermerà il cardinale Ravasi. In un ideale scambio di prospettive, il giorno seguente il confronto tra Camus e il filosofo cristiano Paul Ricouer sarà affidato invece a studiosi laici. E’ lo stesso porporato a spiegare il suo legame con Camus:
“Io ho un legame, devo dire, con Camus perché una delle mie prime opere più impegnative dal punto di vista esegetico – 'Commento a Giobbe' – aveva un capitolo dedicato proprio a 'La peste', al romanzo di Camus, perché lì si apriva quel tormentato dibattito attorno al rapporto tra Dio e il male. Sembra quasi che si ripeta, con questo Cortile dei Gentili, ciò che accade nel romanzo, quando si verifica quasi una sorta di scontro dialettico tra il dr. Rieux, che è il medico ateo – scandalizzato, sconcertato dalla morte di un bambino per la peste – e dall’altra parte il gesuita padre Paneloux il quale invece cerca di ritrovare le ragioni trascendenti che riescano a giustificare anche questo evento.
La giornata conclusiva del Cortile sarà invece dedicata alla dimensione più “popolare” del dialogo, con un incontro fra i giovani del Mediterraneo, organizzato dalla fondazione cattolica “Apprentis d’Auteuil”, e una nuova edizione del “Cortile dei bambini”, nel cuore di Marsiglia, che vedrà i più giovani, come al “Cortile” palermitano, dialogare attraverso l’arte. “Disegna il Mediterraneo” è il tema affidato alla loro fantasia.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Come una lampada: in prima pagina, un editoriale del direttore sul cinquantesimo anniversario della morte di Giovanni XXIII. Oggi pomeriggio Papa Francesco riceve a San Pietro il pellegrinaggio della diocesi di Bergamo e Venezia ricorda l'anniversario: anticipazione dell’introduzione di Brian Edwin Ferme, rettore della Basilica di San Marco, e della prolusione dell'arcivescovo Agostino Marchetto; su Roncalli in Bulgaria uno stralcio dal libro di Lorenzo Botrugno “L’arte dell'incontro”.
La guerra è sempre una follia: nel giorno dell'Adorazione eucaristica mondiale il Papa celebra la Messa con i militari italiani e prega per la pace.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la rivolta nelle città turche.
Roma-Parigi andata e ritorno: Paolo Vian - nell'edizione 2013 della Strenna dei Romanisti - sulle opere d'arte, manoscritti e archivi del Papa trafugati da Napoleone.
L'introduzione di Luca Bressan al volume “Chiese in dialogo. Per la vita buona delle nostre città” pubblicato in occasione della storica visita del Patriarca ecumenico, Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, alla città di Milano.
Tre anni fa moriva mons. Padovese. Padre Martinelli: ha amato con la forza dei fatti
◊ Il 3 giugno di tre anni fa, veniva ucciso mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia. A colpirlo a morte il suo autista turco. Mons. Padovese viene ricordato come una delle figure martiri, che hanno dato la vita per la missione in Turchia, insieme con don Andrea Santoro, missionario fidei donum ucciso nel 2006. Per ricordare mons. Padovese Fausta Speranza ha intervistato padre Paolo Martinelli, preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum:
R. – Una presenza attenta ai cristiani, attenta al dialogo interreligioso molto rispettoso, all’attività ecumenica, penso soprattutto con i nostri fratelli ortodossi. Poi, questa testimonianza di fede, una fede che viene comunicata non per una forza dialettica ma proprio con l’impegno della propria vita: ecco, lo stare in questi luoghi, condividere la vita quotidiana delle persone.
D. – Mons. Padovese era una studioso di Patristica. La maggior parte degli scritti che ci ha lasciato riguarda i padri della Chiesa, i primi secoli del cristianesimo. Anche questo è un patrimonio che ci lascia?
R. – Lui certamente è stato innanzitutto un grande patrologo, uno studioso della spiritualità patristica. Ancora nei tempi in cui lui era studente si recava in Turchia proprio per studiare questa terra come terra santa della Chiesa, laddove per la prima volta – come ricordano gli Atti degli Apostoli – i cristiani vengono chiamati cristiani ad Antiochia. Credo che lui abbia potuto lavorare negli anni della sua presenza in Anatolia proprio riconoscendo in essa la terra che custodisce la memoria delle prime comunità cristiane fuori dalla Palestina. Ha saputo valorizzare questo come un patrimonio innanzitutto per la vita della fede, per la Chiesa, ma poi come valore culturale in sé: cioè, riscoprire questa profondità della terra di Anatolia, della terra di Turchia, come terra che conserva la memoria cristiana.
D. – Si parla molto di tradurre in lingua turca gli scritti di mons. Padovese: che ne pensa?
R. – Credo sarebbe una cosa molto bella. Da parte nostra, stiamo cercando di far conoscere sempre di più in Italia le sue opere, anche perché ci sono molti inediti soprattutto degli ultimi anni e mons. Padovese aveva fatto molte conferenze intorno all’idea dell’Anno Paolino e anche negli ultimi tempi avevano insistito molto sull’idea della libertà religiosa come elemento essenziale di un confronto sereno tra persone, popoli, che appartengono a religioni diverse. Penso anche in particolare agli studi sui padri della Chiesa che hanno vissuto in terra d’Anatolia, in Cappadocia, in Turchia, proprio perché è un contributo a far conoscere le radici di quella terra. Credo che la conoscenza delle sue opere sarebbe un bel contributo al rapporto e al dialogo interreligioso.
D. – Le posso chiedere in pochissime parole un ricordo personale?
R. – Ci conoscevamo da tantissimo tempo, perché noi venivamo dalla stessa parrocchia di origine di Milano. Anzi, io arrivo proprio adesso da Milano perché ieri sera abbiamo fatto un momento commemorativo nella sua parrocchia, nella Santissima Trinità. Devo dire che è una presenza che mi ha sempre accompagnato. Poi, non solo, lui è stato anche mio formatore, mio professore, e poi a Roma abbiamo lavorato insieme all’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università dell'Antonianum. Quando lui è diventato vescovo in Turchia, siamo sempre rimasti molto in rapporto e devo dire che per me vederlo così dedicato ai pochi cristiani sparsi in quella immensa terra, mi ha sempre dato una profonda commozione e proprio lì mi sono reso conto ancora di più di chi lui fosse, nonostante lo conoscessi da 40 anni. In quegli anni, dal 2004 al 2010, come pastore dei cristiani di quella terra ha fatto vedere come nel suo cuore ci fosse una grande carità pastorale e tutti i suoi studi – perché di fatto è stato anche un grande studioso – si sono come riversati in un amore per quel popolo. Questo è veramente il ricordo per me più profondo che ho della sua persona.
Hamdallah nuovo premier dell’Anp, per Hamas atto illegittimo
◊ Gli Stati Uniti salutano positivamente la nomina di Rami Hamdallah alla guida dell'esecutivo dell'Autorità Nazionale Palestinese, decisa ieri dal presidente dell’Anp e leader di Fatah, Abu Mazen. Il segretario di Stato, John Kerry, in un messaggio allo stesso Hamdallah parla di ''opportunità per procedere verso la soluzione dei due Stati e la realizzazione delle aspirazioni dei palestinesi''. Negativa la reazione di Hamas che, per voce di Fawzi Barhum, ha definito questa scelta ''illegittima ed illegale, che non contribuirà a sanare i dissensi con al-Fatah”. Hamas insiste piuttosto per la costituzione di un ''governo nazionale di tecnocrati''. In questo scenario il nuovo premier, che ha sostituito il contestato Salam Fayyad, prevede, per ora, di restare in carica tre mesi “favorendo la riconciliazione”. Rami Hamdallah, 55 anni, presidente dell'Università a-Najah di Nablus, in Cisgiordania, ha ricoperto importanti ruoli in ambienti accademici ed economici e viene definito "moderato". Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Roberto Totoli, professore di islamistica all’Università Orientale di Napoli:
R. – Sul fronte interno la reazione di Hamas è comprensibile perché tre mesi fa Abu Mazen aveva promesso una sorta di governo di unità nazionale. Quindi, questa scelta, l’ultimo giorno utile della nomina del nuovo capo del governo, in qualche modo, scavalca le promesse. E calcolando che questo nuovo premier incaricato dovrà formare il governo e quindi anche, probabilmente, rimuovere l’amministrazione nella Striscia di Gaza, ecco che Hamas si sente in qualche modo scavalcato e si ripropongono le vecchie contrapposizioni.
D. – Cauto ottimismo dagli Stati Uniti… Comunque le cose cambiano sul fronte internazionale?
R. – Sul fronte esterno, certo Fayyad con le sue ricette economiche era molto apprezzato all’estero, in Europa e negli Stati Uniti, però era criticato all’interno soprattutto da Hamas e da Fatah. Quindi, in qualche modo, probabilmente, l’amministrazione americana considera che questa nuova figura, non iscritta ad alcuna formazione dell’Olp, possa scavalcare la situazione di stallo di questi ultimi tempi. Certo che scavalcando Hamas si ripropone quella logica di contrapposizione che in qualche modo blocca lo schieramento palestinese.
D. – Le dimissioni annunciate di Fayyad facevano aprire speranze anche di unità tra Fatah e Hamas; adesso è del tutto naufragata questa speranza?
R. - Diciamo che la reazione di Hamas è quanto mai logica sentendosi scavalcato. Però la rimozione di Fayyad era considerata anche da loro essenziale. Quindi, può darsi che sia una reazione per trattare meglio la formazione del nuovo governo. Si vedrà nelle prossime ore se si tratta di un fondamento definitivo nella prospettiva di avere un governo di unità nazionale o quantomeno condiviso.
D. – I passi verso i due Stati e le cosiddette aspirazioni dei palestinesi sono comunque molto lenti, è un processo molto difficile. A che punto siamo nella costruzione di una vera pace nell’area?
R. – Lo dice la storia stessa. E’ da più di 60 anni che non si riesce a trovare una via e questi piccoli movimenti e spostamenti eludono tutta una serie di problemi reali: la compattezza del fronte palestinese all’interno, i rapporti con Israele e l’espansione degli insediamenti palestinesi. Questi sono i veri problemi più che la nomina di un ministro, o di un’altra figura, o di amministratore nella Striscia di Gaza.
D. - Come si sblocca la situazione?
R. - Con un intervento forte, definitivo degli Stati Uniti nella regione e con la decisione di tracciare confini sul campo che diano origine finalmente a due Stati che seguano le direttive di decenni fa dell’Onu e che, in qualche modo, rassicurino la sicurezza di Israele, i diritti all’esistenza del popolo palestinese.
D. – Quando dice “un intervento degli Stati Uniti” che cosa intende esattamente?
R. – Intendo che gli Stati Uniti hanno capacità, anche se con l’amministrazione Obama, Netanyahu ha mostrato un’indipendenza anche oltre a quanto fatto dai suoi predecessori. Gli Stati Uniti possono veramente farsi garanti della sicurezza e avere i mezzi per contribuire alla costruzione di uno Stato palestinese come unica potenza mondiale oggi che si trova anche nella regione e in tutto il mondo.
La rivoluzione ancristiana in Europa. Introvigne: l'area più delicata è l'obiezione di coscienza
◊ Sta suscitando un ampio dibattito l’articolo dello storico ed editorialista Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul Corriere della Sera, che parla di una rivoluzione che sta investendo l’Europa e che riguarda la mentalità e i costumi: una rivoluzione antireligiosa - si afferma - che in Europa per ragioni storiche è essenzialmente anticristiana. “Abbiamo contato in Europa 41 leggi suscettibili di influire negativamente sulla libertà religiosa dei cristiani in 15 Paesi, tra cui fortunatamente non c’è l’Italia”, ha osservato di recente Massimo Introvigne, coordinatore dell’Osservatorio della Libertà religiosa istituito dal Ministero degli Esteri. Debora Donnini lo ha intervistato proprio a partire dalla questione dell’obiezione di coscienza:
R. – L’area più delicata riguarda l’obiezione di coscienza che in quasi tutti i Paesi è riconosciuta ai medici nei confronti dell’aborto - ancorché vediamo proprio in Italia, in queste settimane, una campagna per limitarla - ma in genere è riconosciuta in modo molto modesto ai farmacisti nei confronti delle pillole anticoncezionali e anche delle pillole abortive. La questione delle pillole abortive e dei farmacisti si pone in molti Paesi europei più in generale all’interno di un clima, documentato da varie indagini, che dall’Europa si sta estendendo agli Stati Uniti e al Canada e che tende a mettere in discussione il principio stesso dell’obiezione di coscienza per motivi religiosi.
D. – Un altro fronte è quello della celebrazione dei cosiddetti matrimoni tra persone dello stesso sesso. “In Francia – ricorda Galli della Loggia – in base alla legislazione vigente è di fatto impossibile per i cristiani sostenere pubblicamente che le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso costituiscono secondo la loro religione un peccato”…
R. – Ci sono due tipi di legislazione da prendere in considerazione, dal punto di vista della libertà religiosa. A proposito delle unioni civili c’è stato purtroppo un caso, che si è concluso negativamente dal punto di vista della libertà religiosa anche presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, che riguarda una funzionaria di stato civile che in Gran Bretagna in ragione delle sue convinzioni cristiane si è rifiutata di celebrare un’unione civile tra due persone omosessuali. Il suo licenziamento è stato considerato “giustificato” dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha scritto che il diritto delle persone omosessuali a vedere riconosciuta la loro unione prevale sul diritto di libertà religiosa. Il caso è in appello. Anche in Italia purtroppo le proposte di legge depositate già in questa nuova legislatura sulle unioni civili in alcuni casi escludono esplicitamente la possibilità dell’obiezione di coscienza, prevedendo anzi gravi sanzioni per gli ufficiali dei comuni che avessero a rifiutare di prestare il loro concorso alla celebrazione e alla registrazione di queste unioni civili. La seconda area evocata da Galli della Loggia è quella delle leggi sull’omofobia, norme che naturalmente sono giustificate quando si tratti di proteggere le persone omosessuali da aggressioni o da violenze ma che in diversi Paesi europei – non solo in Francia – sono utilizzate per multare persone per reati di opinione, cioè per avere affermato, per esempio, che il comportamento omosessuale è oggettivamente disordinato.
D. – Galli della Loggia parla di consapevolezza che in Europa la libertà religiosa ha rappresentato storicamente l’origine (e la condizione) di tutte le libertà civili e politiche. Dal cristianesimo sono nati per esempio gli ospedali, le banche, perché anche i poveri potessero migliorare la loro condizione... E’ preoccupante che l’Europa stia rifiutando la sua matrice?
R. – Molte volte l’intolleranza e la discriminazione, in questo caso contro i cristiani, si fondano sull’ignoranza e sulla falsificazione della storia. I diritti delle donne sono un’invenzione del cristianesimo: non c’erano nel mondo antico. Le donne erano totalmente soggette prima ai padri, poi ai mariti, in alcuni tempi storici e culture con un diritto di vita e di morte. I diritti delle donne, come quelli dei bambini con il divieto dell’aborto e dell’infanticidio, si affermano in Europa con l’avvento del cristianesimo, così come quella della cura dei malati, così come quella che poi fiorisce in tante istituzioni, dall’economia attorno ai monasteri fino alla nascita della banca nel Medioevo, che permette a tutti senza distinzione di vedere il loro denaro custodito e di potere partecipare all’attività economica. Senza fare paragoni spiacevoli, tanti sociologi della storia – penso a Rodney Stark – ci hanno mostrato come in altre aree dove il cristianesimo non è passato, queste istituzioni abbiano fatto molta più fatica ad affermarsi e siano arrivate molto più tardi. Quindi, i diritti della persona, che piaccia o no, sono un portato del cristianesimo.
Governo italiano pronto a varare piano per incentivare occupazione giovanile
◊ In Italia occorrono maggiori sforzi per incentivare la trasformazione dei contratti a tempo determinato in posti di lavoro fisso''. Lo afferma l'Ilo, l'Organizzazione Internazionale del lavoro, che invoca alternative alla cosiddetta "staffetta intergenerazionale". Intanto il governo italiano si dice pronto a varare il "piano shock" per l’economia a partire dalla detassazione per le imprese che assumono giovani disoccupati. "Bene, – spiega la leader Cgil, Camusso – ma gli incentivi riguardino solo i contratti stabili." “Dalle frasi spot si passi ai fatti”, chiede Liliana Ocmin, segretario confederale della Cisl al microfono di Paolo Ondarza:
R. - Le esenzioni fiscali possono essere uno strumento: più volte noi abbiamo effettivamente chiesto uno shock fiscale. Ovviamente poi devono essere accompagnate dagli investimenti, dalle innovazioni e dalla ricerca. Si deve anche trovare una sostenibilità, perché noi non possiamo oggi pensare di poter elargire fondi, senza avere una copertura economica. Io penso che l’unico modo per creare occupazione sia fare sul serio un piano di intervento, di rilancio, di politiche industriali ed energetiche, uscendo dalle logiche di contrapposizione, che non portano da nessuna parte. Noi sicuramente evidenzieremo la necessità di poter utilizzare lo strumento della “staffetta intergenerazionale” tra i giovani e gli anziani, ma è anche necessario continuare a rinforzare e ampliare il credito di imposta. Sicuramente un tema che non possiamo assolutamente trascurare è quello legato alla conversione dei contratti non standard a contratti a tempo indeterminato, soprattutto per quelle fasce di età in cui i giovani hanno bisogno di costruirsi una vita familiare. Noi pensiamo che sia anche importante continuare a promuovere lo strumento dell’apprendistato, ma dobbiamo farlo celermente perché i giovani non credo abbiano bisogno di risposte solo per il loro futuro, ma per il loro presente: c’è una generazione che oggi attende risposte e le attende da parecchio tempo.
D. - Due milioni e mezzo di giovani che non lavorano e che non studiano…
R. - Sì, è scandaloso! E credo che questo dato non solo ci porti indietro negli anni, ma che condizioni irreversibilmente il futuro e il presente di una generazione intera. Per quanto riguarda poi in particolare il Sud, dove i giovani spesso vivono in un contesto di grandissima difficoltà, ovviamente si rischia di andare ad allargare le file della malavita organizzata. Non credo che sia poi da sottovalutare neanche il numero dei giovani che rappresentano i “cervelli” e vanno all’estero: questa è una grande difficoltà! Noi siamo un Paese anomalo: importiamo "manovalanza" immigrata ed "esportiamo i cervelli" e i talenti.
D. - E’ colpa di un mancato investimento, come ha sottolineato recentemente anche il capo dello Stato Napolitano, a proposito della "fuga dei cervelli", ovvero: “investiamo per la formazione di questi giovani e poi lasciamo che vadano altrove”…
R. - E’ Pil "regalato" agli altri Paesi, indubbiamente! E questo perché diamo via i nostri talenti, li regaliamo e poi soprattutto i più bravi… Voglio dire che un Paese che non investe nella cultura, che ha le difficoltà che ha, non può uscirne se non investe concretamente, se non dà opportunità occupazionali, affinché questi talenti possano rientrare. Credo che riguardo a questo sia necessario anche fare una riflessione sulla mancata meritocrazia, sul mancato riconoscimento valoriale delle capacità e delle opportunità, che questi giovani non trovano nel proprio Paese. Questo ovviamente condiziona in modo irreversibile il futuro di tutto il Paese.
Congresso Mondiale di Oncologia: i Paesi poveri chiedono accesso alle cure
◊ Si avvia alla conclusione il 49.mo Congresso Mondiale di Oncologia, in corso a Chicago. Oltre 8000 gli studi presentati dai 30 mila esperti provenienti da tutto il mondo. A farla da padrone le nuove cure, su base genetica, che permettono di avviare terapie mirate, con effetti collaterali molto più contenuti. Cure costose, non alla portata di tutti; ecco, dunque, che i Paesi meno sviluppati fanno sentire la loro voce. Da Chicago, il servizio del nostro inviato, Salvatore Sabatino:
E’ il congresso della speranza, ma anche quello della denuncia. Se da una parte, infatti, si moltiplicano gli studi sulle terapie oncologiche mirate, dall’altra i Paesi in via di sviluppo fanno sentire la propria voce. Chiedono maggiore collaborazione a quelli più ricchi, e nel contempo propongono cure più alla loro portata, capaci comunque, di essere efficaci. Dall’India, ad esempio, arriva uno studio che propone un test a base di aceto per il tumore della cervice, capace di sostituirsi al più costoso pap test. Un modo veloce per diagnosticare il tumore, per di più con il vantaggio di dare immediatamente il risultato del test, in zone dove le donne altrimenti sarebbero costrette a viaggiare per ore alla ricerca di un medico. Questa nuova strategia, spiegano i ricercatori, potrebbe evitare 22 mila morti per cancro alla cervice in India e oltre 70 mila negli altri paesi poveri. Un segnale importante, insomma, specchio di un mondo che sta cambiando, schiacciato com'é dalla crisi economica. Crisi che rischia di rallentare la strada verso terapie più sofisticate, capaci di portare risultati fino a pochi anni fa inimmaginabili.
Al Congresso Mondiale di Oncologia, in corso a Chicago, anche il prof. Giovanni Martinelli, direttore della Divisione di Ematoncologia dell'Istituto Europeo dei Tumori di Milano. Lo studioso non manca di sottolineare il grande senso di responsabilità che l'Occidente ha nei confronti dei Paesi più poveri, incapaci di sostenere costose cure contro il cancro. Il nostro inviato a Chicago, Salvatore Sabatino, lo ha intervistato:
R. – Ci sono stati dei messaggi importanti. Credo che vadano inquadrati proprio nell’ottica del miglioramento delle cure, di creare ponti con Paesi sottosviluppati per migliorare quindi la qualità delle terapie e la possibilità di accedere alle terapie da parte di queste popolazioni che, oggi come oggi, sono escluse dalla possibilità di accedere a farmaci che ormai sono vitali.
D. – Farmaci sempre più moderni e, ovviamente, sempre più costosi, che quindi alla fine possono permettersi solo i Paesi del “primo mondo” …
R. – Esatto. E’ un po’ la necessità di razionalizzare questi sforzi attraverso la realizzazione di progetti mirati nel Terzo mondo, realizzazioni di strutture orientate alla malattia. Per le malattie infettive creare l’ospedale, per i tumori creare un ospedale specifico e poi, la necessità di guardare intorno a noi alla realtà del mondo occidentale, più sviluppato, perché le molecole nuove sono sempre più sofisticate, gli anticorpi monoclonali porteranno sicuramente vantaggi ai pazienti, nel senso del miglioramento dei risultati, ma anche della qualità di vita. Ma tutto ciò comporta uno sforzo economico di non secondaria importanza che necessita di scelte politiche oculate. Dai risultati che vengono dall’Asco si vede già come la crisi abbia avuto un trend di diminuzione degli investimenti, in Europa. Ma in particolare in Italia, la situazione degli investimenti nella ricerca è veramente particolarmente grave in quanto la carenza di fondi porterà – se non nell’immediato, nell’immediato futuro – ad una contrazione delle prestazioni scientifiche che il nostro Paese potrebbe fornire.
D. – Diciamo che l’Occidente ha le sue responsabilità: ovviamente, in questo momento sta vivendo un momento di crisi economica. Come sottolineava lei, i Paesi in via di sviluppo, i Paesi del Terzo mondo, anch’essi presenti qui, all’Asco, si stanno attrezzando in maniera diversa: stanno proponendo anche delle cure low cost …
R. – Sì, ed è proprio questo il problema fondamentale: coniugare la prestazione medica, il risultato clinico con la compatibilità economica di ciascuna nazione.
Sabato a Milano “10 Piazze per 10 Comandamenti” con videomessaggio del Papa
◊ Momenti di festa, di testimonianza di fede e il video messaggio di Papa Francesco scandiranno l’8 giugno a Milano, a partire dalle 20.30 in piazza Duomo, il prossimo appuntamento di “10 Piazze per 10 Comandamenti”, evento nazionale promosso dal Rinnovamento nello Spirito Santo e patrocinato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione in occasione dell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI. Su questa iniziativa, incentrata sul terzo Comandamento “Ricordati di santificare le feste” e presentata oggi in conferenza stampa nella sede della Curia Arcivescovile milanese, Amedeo Lomonaco ha intervistato il presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, Salvatore Martinez:
R. – Il progetto nasce nel settembre dello scorso anno, alla vigilia dell’Anno della Fede, con Papa Benedetto XVI e riprende adesso da Milano, l’8 giugno. “Ricordati di santificare le feste” ci dice che la nostra vita è fatta anche di memorie sociali ed affettive. È quindi necessario educare le nuove generazioni all’arte di vivere. Inoltre, ci dice anche che la vita è fatta non soltanto di giorni feriali, ma anche di giorni festivi. E ci ricorda che si può apprezzare la musica se ci sono delle pause, si può apprezzare il lavoro se c’è riposo. Ma il riposo deve essere inteso come creatività dell’amore, dell’impegno verso i propri cari, verso i più deboli, cioè la sospensione di tutto ciò che ordinariamente – il negozio, la vita di ogni giorno – non ci permette di cogliere. Questo nobilita la nostra vita e, soprattutto, ci permette di capire che non viviamo soltanto su questa Terra per obbedire alle nostre voglie, ai nostri desideri, ma alimentando ideali e valori che poi si trasmettono alle nuove generazioni, come la migliore eredità per una vita buona, giusta e felice.
D. – La sera dell’8 giugno, verrà anche proiettato un videomessaggio registrato per questa occasione da Papa Francesco. Un videomessaggio che sarà collegato al tema generale dell’iniziativa “10 Piazze per 10 Comandamenti”, ovvero: “Quando l’amore dà senso alla tua vita”.
R. – Certamente, il tema “Quando l’amore dà senso alla tua vita” sembra oggi essere plasticamente realizzato da questo Pontificato, che sta dando un volto sempre più umano e più amorevole alla fede. Dopo il grande lavoro fatto da Benedetto XVI, questo Vangelo corre tra le strade, arriva nelle piazze – come faremo a partire da Milano l’8 giugno – per dire che è possibile includere Dio nell’orizzonte umano e raccontarlo attraverso testimoni, gesti di ogni giorno che danno valore alla nostra vita, specie quando è illuminata dalla fede.
D. – La giornata dell’8 giugno sarà dunque un’occasione per riflettere sul terzo Comandamento: “Ricordati di santificare le feste”, giorni di riposo – le feste – dopo il lavoro, da offrire all’intimità con Dio. Ma, sempre più spesso, la festa è sinonimo di consumismo, di dimenticanza di Dio…
R. – Dobbiamo stare attenti a intendere il riposo come vacanza, come "vacatio" di ideali e di valori. Non si tratta di oziare. Spesso, si sente dire anche nelle case – soprattutto dai genitori ai propri figli quando faticano durante la settimana – “Non disturbatemi perché voglio riposare!”. Ecco, questo è l’esatto contrario del riposo inteso dai Comandamenti. Il riposo è spazio creativo: è la capacità di ascoltare, ad esempio, i propri figli, è la possibilità di essere uniti intorno alle memorie di una famiglia prendendosi cura, ad esempio, dei nonni o andando a visitare gli ammalati. È, in definiva, la possibilità di liberare l’uomo dalla stessa schiavitù del lavoro.
D. – È passato un anno dall’Incontro mondiale delle famiglie. Quale oggi l’eredità di questo evento?
R. – È interessante che la presentazione a Milano sia avvenuta proprio ad un anno di distanza dal 3 giugno, giornata conclusiva del VII Incontro mondiale delle famiglie che si è tenuto proprio qui a Milano. Assieme a lavoro e festa – come ha voluto ricordare il cardinale Scola questa mattina nel suo intervento – la terza parola fondamentale di questo importante incontro fu famiglia, perché è chiaro che intorno al tema del lavoro e della festa c’è il bisogno di riscoprire il valore della famiglia, non soltanto come luogo degli affetti e delle memorie, ma come luogo nel quale la solidarietà, il sacrificio, la responsabilità e l’aiuto reciproco vengono fondati. Ecco perché la famiglia diventa non soltanto piccola chiesa domestica, ma al contempo laboratorio di una società giusta.
Siria. Il nunzio: sequestri, flagello silenzioso nel Paese devastato dalla guerra
◊ "I sequestri di persona sono un flagello silenzioso che da mesi colpisce centinaia di famiglie. I siriani sono terrorizzati da questi atti criminali che hanno molteplici autori e scopi: dal sequestro per estorsione ad opera di bande senza colore, a quelli a sfondo etnico religioso o politico". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews, mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che denuncia la piaga dei rapimenti ricordata ieri dal Papa all'Angelus. Dopo aver espresso la sua vicinanza alla popolazione siriana, da oltre due anni vittima della guerra, il Papa ha lanciato un ennesimo appello per tutte le persone scomparse in questi mesi: "Desidero assicurare la mia preghiera e la mia solidarietà per le persone rapite e per i loro familiari, e faccio appello all'umanità dei sequestratori affinché liberino le vittime. Preghiamo sempre per la nostra amata Siria!" Per mons. Zenari, la vicinanza di Papa Francesco è "fondamentale in un momento in cui il dramma e la sofferenza dovuta ai rapimenti colpisce in modo profondo la popolazione, già falcidiata dalla violenza, dagli scontri fra ribelli e regime, dalla crisi economica". In questi mesi i sequestri di persona hanno coinvolto non solo laici, ma anche sacerdoti e personalità religiose. Dal 22 maggio scorso la comunità cristiana di Aleppo chiede il rilascio di mons. Gregorio Yohanna Ibrahim, vescovo siro-ortodosso, e mons. Boulos al-Yazigi, prelato greco-ortodosso, rapiti nei pressi del confine con la Turchia e a tutt'oggi nelle mani dei sequestratori. (R.P.)
Mons. Jeanbart: “In Siria caos e macerie. Uniti al Papa chiediamo il dialogo”
◊ “Vediamo solo caos e distruzione in un conflitto che è tutti contro tutti. In un Paese sfigurato, con la popolazione civile condotta al macello, l’appello di Papa Francesco richiama al dialogo e alla riconciliazione. Urgono passi concreti e speriamo che la Conferenza di Ginevra sia la svolta per una soluzione politica al conflitto siriano”: lo dice all’agenzia Fides mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo metropolita di Aleppo per i greco-cattolici (melkiti). L’arcivescovo esprime riconoscenza al Papa per le parole espresse all’Angelus di ieri, affermando che danno “consolazione e speranza”. Mons. Jeanbart esprime tutta la sua preoccupazione e tristezza “nel vedere un Paese ridotto in macerie”, e “nell’assistere a violenze, uccisioni terribili di civili e di bambini, sequestri, che sfregiano il volto del popolo siriano”, in una sorta di “degrado della stessa umanità”. Sui due vescovi (il siro-ortodosso Gregorio Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi) ancora sotto sequestro, e sui due preti rapiti dal febbraio scorso (l’armeno cattolico Michel Kayyal e il greco ortodosso e Maher Mahfouz ), l’arcivescovo dice: “Non ci sono novità, non si sa nulla e questo è segno del caos che regna. I sequestrati sono persone che facevano opere umanitarie, aiutando la gente a vivere in questa tragica situazione. E’ molto preoccupante. Dove andremo a finire?” Di fronte a un sofferenza immane, “il nostro timore è che i fedeli cristiani continuino a lasciare il Paese, in cerca di una vita dignitosa”. “Si soffre per mancanza di merce, combustibili, elettricità, a volte di cibo. Ma quello che ci fa soffrire di più è vedere il futuro che diventa sempre più scuro. Il futuro per noi cristiani e per tutti i siriani – precisa – non può che essere basato sulla piena cittadinanza, sulla libertà, sulla dignità e sul rispetto dell’altro. Altrimenti cosa ci accadrà?” La Siria è “una terra santa che ha visto la nascita della Chiesa universale. L’appello del Papa è prezioso – spiega mons. Jeanbart – perché richiama il mondo intero a fare qualcosa per noi. Auspichiamo che la imminente Conferenza di Ginevra riesca ad aprire un reale spiraglio di pace, a offrire un’apertura reale verso il dialogo e verso una soluzione politica”. Ieri nelle chiese siriane e nelle comunità della diaspora, “abbiamo pregato con il Papa nell’ora di adorazione eucaristica, un momento importantissimo per affidare a Dio la Siria e invocare la pace”, riferisce l’arcivescovo. (R.P.)
Turchia: sugli scontri di piazza la Chiesa invita al dialogo
◊ Le rivolte esplose in Turchia sono “un segnale d'allarme” che il governo turco potrebbe prendere in considerazione, se vuole tutelare la stabilità che negli ultimi 10 anni ha favorito la crescita economica del Paese e il rafforzamento del suo ruolo internazionale. Così dichiara all'agenzia Fides il vescovo Louis Pelatre, vicario apostolico di Istanbul. Secondo il vescovo di rito latino, “in politica è sempre saggio seguire la prospettiva del compromesso per armonizzare le spinte e gli interessi rappresentati dai diversi settori della società”. Mons. Pelatre mette in chiaro che le comunità cristiane presenti in Turchia non sono in nessun modo coinvolte direttamente nei conflitti politici che si scorgono dietro le manifestazioni e gli scontri di piazza partiti da Istanbul – con la protesta per bloccare la costruzione di un Centro commerciale che avrebbe sventrato un parco nel quartiere di Taksim – e dilagati subito in tutto il Paese. Secondo il vicario apostolico, le manifestazioni vedono in prima fila gli studenti e godono dell'appoggio di settori legati ai vecchi apparati kemalisti. Ma dietro le proteste “non si intravvede finora una reale alternativa politica al partito al potere, che rimane forte e gode dell'appoggio della maggioranza della popolazione”, mentre l'esercito – in passato decisivo nella definizione degli assetti politici turchi – mantiene una posizione defilata. Secondo i manifestanti il governo di Erdogan sfrutta il consenso acquisito nella società turca - fondato sulla stabilità e sulla crescita economica di cui ha goduto la Turchia nell'ultimo decennio – per perseguire un piano autoritario di islamizzazione dall'alto. In questo senso – nota il vescovo Pelatre - “le proteste potrebbero spingere il governo a rivedere le sue strategie. Erdogan finora ha dato spazio ai gruppi islamisti, ma nel suo stesso partito ci sono altre forze e altre sensibilità. La base del suo consenso è più larga delle forze islamiste, e lui ha bisogno dell'appoggio di tutti per continuare a governare. Lo stesso Presidente Abdullah Gul, che appartiene allo stesso schieramento, esprime spesso posizioni accomodanti e articolate. C'è da sperare che i fatti di questi giorni alimentino in tutti lo spirito di moderazione, e non l'autoritarismo”. In ogni caso, mons. Pelatre non vede per ora il pericolo che la Turchia sia contagiata dai conflitti innescati in Medio Oriente dalla cosiddetta 'Primavera araba': “I paragoni fatti tra le rivolte turche di questi giorni e i conflitti che dilaniano il Medio Oriente non mi sembrano fondati. I contesti e le vicende appaiono del tutto differenti” dichiara a Fides il vicario apostolico di Istanbul. Dal canto suo mons. Ruggero Franceschini, presidente della Conferenza episcopale turca (Cet) invita alla "moderazione ed al dialogo". Da Iskenderun, “dove le proteste non sono ancora esplose” il presule, che è anche arcivescovo di Smirne, ritiene che le manifestazioni siano un segno del “timore del popolo di andare verso uno Stato a carattere religioso”. Nondimeno, aggiunge, esiste il rischio “di un eccessivo laicismo che pervade molti Paesi occidentali”. Da qui l’appello al dialogo e alla moderazione per evitare ulteriori violenze. (R.P.)
Card. Van Thuân: il 5 luglio si conclude fase diocesana del processo di beatificazione
◊ Il 5 luglio si concluderà la fase diocesana del processo di beatificazione del cardinale François Xavier Nguyên Van Thuân, già presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Il giorno successivo è prevista una messa di ringraziamento nella chiesa Santa Maria della Scala a Roma. Nato il 17 aprile 1928 a Huê (Viêt Nam), vescovo di Na Thrang nel 1967, il porporato era da pochi giorni vescovo di Saigon quando la città cadde nel potere dei comunisti del Nord. Nel 1975 Van Thuân fu messo in prigione, perché era il nipote di Ngo Dinh Diem, il presidente del Vietnam. Nonostante fosse lasciato a lungo senza cibo e acqua, dalla cella scrisse una serie di messaggi alla comunità cristiana grazie ai fogli di carta che un bambino di 7 anni gli procurava di nascosto. Così nacque il libro “Il cammino della speranza”. Da Saigon fu trasferito in catene a Nha Trang, quindi al campo di rieducazione di Vihn Quang, e poi in isolamento per 9 anni, con due sole guardie con lui. Non poté portare con sé la Bibbia. Allora raccolse tutti i pezzetti di carta che trovava e compose un minuscolo libro sul quale trascrisse più di 300 frasi del Vangelo che ricordava a memoria. Liberato il 21 novembre 1988, nel 1994 fu chiamato a ricoprire la carica di vice presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Quattro anni dopo ne divenne presidente. Fu creato cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001. Morì il 16 settembre 2002. (R.P.)
Taiwan: a Nantou terremoto di forza 6.3 provoca morti e feriti
◊ Tre persone sono morte e un'altra è ancora dispersa dopo la più forte scossa di terremoto avvenuta a Taiwan. La scossa ha raggiunto la forza di 6.3 della scala Richter. Altre 20 persone sono rimaste ferite, tre di esse in maniera seria. Secondo l'ufficio metereologico centrale -riporta l'agenzia AsiaNews - il terremoto è avvenuto alle 13.43 della giornata di ieri ed ha avuto l'epicentro nella località di Renai, nella provincia di Nantou. Il ministro dell'interno Lee Hong-yuan, direttore del Drought Disaster Relief Center, ha reso noto che un turista di 54 anni, che si trovava con un gruppo di escursionisti sul monte Alishan, nella parte centrale dell'isola, è morto per essere stato colpito da alcune pietre staccatesi dalla parete rocciosa sovrastante. Un altro cinquantenne ha subito la stessa sorte, sempre a causa di rocce che precipitavano dalla montagna, mentre si trovava in escursione nella provincia di Nantou. Questa mattina un terzo escursionista di 69 anni, colpito ieri dalle pietre che cadevano dalla montagna nella zona di Lugu, è deceduto nell'ospedale del capoluogo. Pompieri e poliziotti sono ancora alla ricerca di un uomo sepolto dallo smottamento del terreno montagnoso sempre nella provincia di Nantou. L'agenzia nazionale dei vigili del fuoco ha riportato anche il ferimento in maniera grave di una donna che stava guidando sull'autostrada nei pressi del monte Alishan. La sua auto è stata colpita da una roccia precipitata dal pendio adiacente la carreggiata. Le altre due persone ferite seriamente (anch'esse state colpite da rocce e pietre) stavano percorrendo un sentiero di montagna nella località di Jhushan, provincia di Nantou. Il presidente Ma Ying-jeou, che al momento del terremoto, stava visitando la centrale nucleare numero 3 col premier Jiang Yi-huah, ha subito contattato il ministro dell'interno ha inviato il vice premier Mao Chi-kuo, nelle province di Chiayi e Nantou per coordinare lo stato di emergenza. La violenta scossa ha danneggiato alcuni edifici, ed è tornata la paura del "921", il grande terremoto del 21 settembre 1999 sempre nella zona centrale di Taiwan che, con una forza di 7.3 gradi della scala Richter, aveva provocato 2.416 morti. Per sicurezza, sei convogli del servizio di treno rapido sono stati fermati durante la scossa di terremoto. Inoltre, per controllare eventuali danni alla linea di ferrovia veloce, 23 treni sono stati cancellati, per cui 50mila passeggeri hanno dovuto cambiare i loro piani di viaggio. Secondo il ministero dell'educazione, almeno 90 scuole nella zona centrale dell'isola hanno subito danni. Alcune di esse oggi sono rimaste chiuse. In due edifici scolastici sono rimaste ferite due persone. Si stimano danni per circa 350mila dollari Usa. (R.P.)
Cina: decine di morti per l'incendio in un impianto di macellazione
◊ Sono almeno 93 le vittime dell’incendio che questa mattina ha devastato un’azienda aviaria dei sobborghi di Dehui, nella provincia nord-orientale di Jilin. Oltre 300 i lavoratori che alle sei del mattino si trovavano nell’impianto, specializzato nella macellazione dei polli di proprietà della Jilin Baoyuanfeng Poultry Company. Secondo le testimonianze, un’esplosione forse provocata da un corto circuito ha preceduto l’incendio che si è diffuso velocemente. La complessa struttura prefabbricata dell’azienda, ma anche la circostanza che i cancelli fossero chiusi al momento dell’incidente, ha ritardato l’opera dei soccorritori. Le fiamme - riporta l'agenzia Misna - sono state domate dopo sei ore dalle squadre antincendio e la polizia ha aperto un’indagine per stabilire le cause del rogo, ma anche le circostanze in cui i lavoratori hanno perso la vita. I dispersi sono decine. L’incendio di oggi evidenzia ancora un volta la precarietà delle condizioni di lavoro nelle aziende cinesi e l’insufficienza delle misure di sicurezza. Eventi del genere non sono rari, in particolare nelle miniere e nelle manifatture, sia per lo scarso rispetto dei regolamenti di sicurezza da parte delle aziende, sia per l’insufficienza delle misure di controllo attuate dalle autorità. Secondo statistiche ufficiali, lo scorso anno incidenti sul posto di lavoro sono costati la vita a 79.552 cinesi, con una media di 218 decessi al giorno. Alcuni osservatori sottolineano che questa casistica, sebbene ridotta del 30% rispetto a cinque anni prima, suggerisce ancora la presenza di ampie “zone d’ombra” nello sviluppo cinese. (R.P.)
Myanmar: i fedeli kachin pregano col Papa per la pace
◊ E’ stata un'adorazione eucaristica intensa e partecipata quella che ha vissuto ieri, la comunità cattolica della diocesi di Myitkyina, nel Nord del Mynamar, in comunione con Papa Francesco. La diocesi abbraccia il territorio dove abita la popolazione di etnia kachin, a maggioranza cristiana, che ha vissuto negli ultimi due anni il dramma della guerra, dello sfollamento e immani sofferenze, visti gli abusi perpetrati sui civili. Come riferisce all’agenzia Fides padre Joseph Yung Wa, cancelliere della diocesi, i fedeli si sono riuniti nella Cattedrale intitolata a San Colombano e hanno pregato per la pace in Myanmar. Padre Yung Wa racconta Fides che, fra gli altri luoghi della diocesi dove si è tenuta l’adorazione eucaristica in contemporanea mondiale, vi sono anche un orfanotrofio, dove vivono 190 bambini e una comunità di 150 famiglie, vittime del conflitto, che hanno sperimentato lutto e sfollamento. “Le intenzioni di preghiera suggerite dal Papa – soprattutto per le vittime della violenza – hanno trovato eco concreta e reale nella vita dei nostri fedeli”, riferisce il prete. “Tutto il popolo kachin nutre forti speranze che la preghiera possa dare frutti concreti”, dice. Infatti nei giorni scorsi il governo del Mynamr e i ribelli armati della “Kachin Indipendence Organization” hanno siglato un accordo in sette punti che “potrebbe essere un primo passo verso una pace duratura”. Il sacerdote di Myitkyina informa che la comunità ha pregato anche per due preti della diocesi, padre Thomas e padre Peter, deceduti nei giorni scorsi per cause naturali. Due uomini che “hanno dedicato tutta loro vita a Cristo e all’opera pastorale in favore di poveri e sofferenti”. (R.P.)
Iraq: la Comunità Papa Giovanni XXIII apre una Casa famiglia a Baghdad
◊ La Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi invia dei propri volontari a Baghdad per dare vita alla prima Casa famiglia in Iraq. La notizia è stata ufficializzata dal responsabile generale Giovanni Paolo Ramonda. La richiesta di una Casa famiglia - riferisce l'agenzia Sir - era venuta dall’arcivescovo latino di Baghdad, Jean Benjamin Sleiman, ospite sabato scorso del meeting annuale della Comunità a Rimini Fiera. “La mia grande speranza è che ci sia a Baghdad una vostra casa famiglia - ha dichiarato mons. Sleiman -. Il mio Paese ha bisogno di iniziative d’amore, di vita, ha bisogno di essere ricreato. Ci sono in questo momento problemi di unità nazionale, ma le emergenze maggiori sono i 2 milioni di bambini vittime della guerra, molti dei quali orfani, strumentalizzati e venduti, e le tante donne che vengono sfruttate, soprattutto le vedove. Creare una Casa famiglia certamente non risolve tutti i problemi, ma dà speranza. È lo Spirito Santo che ispira questi buoni sentimenti. Come i cinque pani e i due pesci hanno potuto sfamare una moltitudine così il beneficio di questa opera può sfamare un’umanità”. L’annuncio di questa nuova iniziativa è arrivato proprio in occasione del convegno “Una famiglia per tutti, l’esperienza delle Case famiglia fondate da don Oreste Benzi a 40 anni dalla prima apertura” appena conclusosi a Rimini. (R.P.)
Honduras. Il card. Rodríguez Maradiaga: il Paese deve guarire dalla violenza
◊ "Abbiamo bisogno di Melchisedec oggi in Honduras per portarci la pace", ha detto ieri nella celebrazione della domenica il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa. Il cardinale ha spiegato ai fedeli presenti nella cattedrale che Melchisedec significa "il mio re è giustizia" e questo è ciò che manca in Honduras, dinanzi gli atti criminali che fanno di questa nazione centroamericana la più violenta al mondo. "Melchisedec era sacerdote e re, è un simbolo delle più alte aspirazioni e speranze degli esseri umani, un incontro vivo di pace e di giustizia, la città da lui governata era aperta alle migliori relazioni umane in cui s'accoglieva lo straniero, dove si erano dimenticate le armi: come ci sarebbe bisogno di Melchisedec in Honduras oggi a portarci la pace, la giustizia e il perdono di cui abbiamo bisogno", ha affermato. Il cardinale ha ribadito che "abbiamo bisogno di guarigione nel nostro Honduras, non solo perché ci sono dengue e altre malattie, ma abbiamo bisogno di guarigione perché c’è gente che vive senza Eucaristia, e senza di essa non possiamo impegnarci”. “Dio ci ha dato la vita, non per fare soldi, non per consumare, con queste motivazioni la vita diventa priva di significato", ha sottolineato il cardinale. (R.P.)
Messico. Uccise due migranti che avevano denunciato le estorsioni, Chiesa chiede protezione
◊ L'uccisione di due donne immigrate honduregne avvenuta il 30 maggio nel Chiapas, nel sud del Messico, è stata una vendetta da parte di una banda dedita all’estorsione dei migranti privi di documenti che le due vittime avevano appena denunciato. Lo ha rivelato, il vescovo di San Cristóbal de Las Casas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel. Dopo la Messa della domenica, mons. Arizmendi ha voluto rivolgersi alla stampa perché considera "un imbarazzo a livello internazionale" il fatto che il Messico "non fornisca una maggiore protezione a coloro che viaggiano" lungo il territorio messicano. “Nei loro Paesi di origine, in particolare in El Salvador, Honduras e Nicaragua, queste persone non trovando il modo di migliorare le loro condizioni economiche, anche perché subiscono la violenza delle maras (bande), anche se sanno i pericoli a cui sono esposti, cercano di attraversare il Messico diretti negli Stati Uniti”, ha affermato il vescovo. Nella nota inviata a Fides, mons. Arizmendi ha ricordato che la Chiesa, in innumerevoli occasioni, ha denunciato la situazione degli immigrati nella zona di Palenque, nello Stato del Chiapas, che "vengono assaliti da bande criminali che estorcono loro denaro, picchiandoli a sangue e, nei casi peggiori, li uccidono". Purtroppo, ha aggiunto il vescovo, i fatti di questi giorni dimostrano che "ancora non si sono adottate le misure necessarie per prevenire i reati o almeno ridurli". La Chiesa cattolica, diverse volte, ha suggerito ai militari d’accompagnare il treno per proteggere gli immigrati. “Nel caso di Suleida Raudales Flores e Cynthia Carolina Cruz Bonilla, assassinate il 30 maggio, avevano denunciato due giorni prima, l'estorsione della quale erano state vittime. In qualche modo la banda criminale è stata informata, le hanno identificate, hanno fermato il treno, e poi le hanno giustiziate a sangue freddo", ha detto il vescovo. (R.P.)
Niger: evasione dal carcere di Nyamei. Dieci le vittime
◊ Sale a dieci il bilancio delle vittime nell’assalto alla prigione di Niamey in Niger. I disordini avvenuti sabato 1° giugno nel carcere africano hanno visto evadere una ventina di detenuti tra i quali dei pericolosi jihadisti. Ad affermarlo all’agenzia Fides una fonte missionaria dalla capitale del Niger che conferma che si è trattato di un assalto esterno da parte di un gruppo armato. I complici degli assalitori, detenuti all’interno del carcere, hanno approfittato della confusione per impadronirsi delle armi dei secondini e darsi alla fuga. Almeno 10 persone sono rimaste uccise per l’esplosione di una granata. Secondo la fonte questi sono gli effetti dell’operazione Serval in Mali che ha spinto i jihadisti in direzione dei Paesi limitrofi al Mali. Dopo i recenti attentati ad Arlit e Agadez ora si colpisce nella capitale che pensava di essere risparmiata. È la prima volta che succede una cosa del genere a Niamey e la gente ha paura. Rafforzati i controlli accanto alle ambasciate soprattutto in vista di domenica 9 giugno quando si terrà la cerimonia di consacrazione di mons. Djalwana Laurent Lompo, vescovo ausiliare di Niamey, il primo nigerino ad essere consacrato vescovo. (F.B.)
Elezioni in Guinea Equatoriale: vittoria della maggioranza
◊ Maggioranza assoluta in tutte le circoscrizioni del Paese per il Partito democratico di Guinea Equatoriale (Pdge) del presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, al potere dal 1979. Nella capitale il partito ha conquistato 9 dei 10 seggi alla Camera dei deputati, 5 su 6 poltrone al Senato e 12 incarichi da consigliere municipale su 13. A Bata, seconda città, il partito del presidente occuperà tutti i 10 seggi di deputati in palio. L’esito delle votazioni era scontato in quanto il partito di Mbasogo aveva costituito un’ampia coalizione elettorale con altre 11 formazioni. Solo due partiti di opposizione hanno presentato alcuni candidati. Sull’affluenza ai seggi, fonti locali dell'agenzia Misna e fonti di stampa straniere avevano riferito di una partecipazione ridotta degli aventi diritto, dovuta alla percezione diffusa che mancassero garanzie per un voto trasparente e democratico. Il 26 maggio i guineani sono andati alle urne – per la prima volta dopo il referendum costituzionale di novembre 2011, approvato dal 97% degli elettori – per scegliere deputati, consiglieri di 30 amministrazioni municipali e per la prima volta un senato, costituito da 75 membri. In ballo ora c’è la successione al presidente: la nuova Costituzione prevede, dopo il voto, la nomina di un vicepresidente, carica che dovrebbe andare con molta probabilità al figlio di Obiang, Teodorin. Già nel marzo 2012 il capo dello Stato lo aveva scelto come secondo vicepresidente; una manovra, probabilmente architettata per mantenere la sua famiglia saldamente al potere. Obiang Junior, già ministro dell’Agricoltura dal 2008, è oggetto di un mandato di cattura spiccato lo scorso luglio dalla giustizia francese ed è sospettato di riciclaggio e di appropriazione indebita di fondi pubblici. Mentre il Presidente Obiang Nguema oltre che per la cattiva gestione dei petrodollari viene criticato per le costanti violazioni dei diritti umani, in particolare ai danni di oppositori politici, giornalisti e attivisti. (F.B.)
Etiopia: ad Addis Abeba migliaia di persone in piazza per i diritti umani
◊ Circa diecimila persone sono scese per le strade di Addis Abeba ieri per chiedere il rilascio di giornalisti, attivisti e oppositori detenuti in carcere. Si tratta di una rara manifestazione, la prima nel Paese dal 2005, quando centinaia di manifestanti che protestavano contro presunti brogli nelle elezioni, furono uccisi dalle Forze dell’ordine. La manifestazione è stata organizzata dal partito di opposizione Semayawi (Blu) e chiedeva, oltre al rilascio dei prigionieri politici, iniziative del governo contro inflazione, corruzione e disoccupazione. I partecipanti - riporta l'agenzia Misna - hanno sfilato in corteo nei quartieri di Arat Kilo e Piazza fino a viale Churchill, nel centro della capitale. Gli osservatori fanno notare che il fatto stesso che la manifestazone sia stata autorizzata e si sia svolta pacificamente e senza incidenti, potrebbe indicare un mutamento da parte del partito al potere Eprdf (Fronte Democratico Rivoluzionario d’Etiopia) e un atteggiamento di maggiore tolleranza del nuovo primo ministro Hailemariam Desalegn, succeduto quasi un anno fa a Meles Zenawi. Nonostante tassi di crescita economica tra i più elevati del continente, le organizzazioni per i diritti umani puntano il dito contro le autorità di Addis Abeba e considerano la legge antiterrorismo approvata nel 2009, uno stratagemma attraverso cui il governo reprime ogni forma di opposizione o espressione critica. Assieme all’Eritrea, il Paese detiene il record africano per numero di giornalisti dietro le sbarre. (R.P.)
Usa: gli effetti della legalizzazione della marijuana sui bambini
◊ Il consumo terapeutico della marijuana è legale in 18 Stati e a Washington. In Colorado si vendono prodotti da forno, caramelle e bibite gassose contenenti questa droga, cosiddetta leggera, per alleviare i dolori, ad esempio, delle persone che soffrono di cancro, Hiv e altri tipi di malattie. Nel 2012 - riporta l'agenzia Fides - il Colorado e lo Stato di Washington hanno votato a favore della legalizzazione di piccole dosi per uso antidolorifico. In seguito ai disturbi di alcuni bambini che si erano ammalati gravemente per aver ingerito marijuana, un gruppo di esperti del Centro per la Cura delle Intossicazioni e Droghe di Rocky Mountain, a Denver, ha riesaminato 1.400 registri degli interventi di pronto soccorso effettuati su alcuni piccoli per ingestioni accidentali tra il 2005 e il 2011 nell’ospedale pediatrico del Colorado. E’ risultato che, nel mese di ottobre 2009, nessuno dei 790 bambini con sintomi di intossicazione accidentale avevano tracce di marijuana nelle urine. Nel 2009, in seguito alla legalizzazione dell’uso medico della droga, è risultato che 14 dei 588 bambini assistiti avevano ingerito marijuana. I piccoli avevano tra gli 8 mesi e i 12 anni di età. Otto sono rimasti ricoverati. Il sintomo più comune era la mancanza di forze, anche se tra questi qualcuno è arrivato in ospedale con difficoltà respiratorie. Gli esperti si dicono preoccupati per il livello di sedazione che questa droga causa nei piccoli tanto da addormentarli, non farli respirare bene o addiritttura far perdere loro i sensi. Nei bambini infatti la marijuana deprime significativamente il sistema nervoso centrale, cervello e apparato respiratorio, e spesso possono aver bisogno di rianimazione respiratoria. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 154