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Sommario del 31/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Vicini agli oppressi. Il Papa ai vescovi campani: lottare contro camorra e disoccupazione giovanile
  • Venezuela. Incidenti nel carcere di Uribana, solidarietà del Papa: mai più drammi simili
  • Plenaria dicastero della Cultura dedicata ai giovani. Card. Ravasi: ascoltarli oltre gli schermi digitali
  • Negoziati su accordo Santa Sede-Palestina: auspicata rapida conclusione
  • On line i manoscritti della Biblioteca Vaticana. Mons. Pasini: un passo nello spirito universale dell'istituzione
  • Altre udienze e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'Onu ad Israele: gli insediamenti violano i diritti umani dei palestinesi
  • Egitto: accordo per fine violenze. Il vescovo di Giza: pensare a bene del Paese
  • Crisi e salute pubblica nell'Ue. Il commissario Tonio Borg: riorganizzare la sanità europea
  • Rapporto sulla libertà di stampa di Rsf: speranze deluse dopo la "Primavera araba"
  • Rapporto Eurispes: la crisi pesa su giovani e famiglie, pessimismo sul futuro
  • Convegno a Roma sui valori cristiani in politica
  • Aiuto alla Chiesa che Soffre ricorda il fondatore, padre van Straaten, a 10 anni dalla morte
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: distrutta una chiesa in Mesopotamia. L’arcivescovo: tutti perdono con la guerra
  • Libia: due comunità religiose costrette ad abbonare la Cirenaica. I timori di mons. Martinelli
  • Giordania: le sétte mettono a rischio i rapporti tra cristiani e musulmani
  • India: nel Karnataka timori dei cristiani per raduno di fondamentalisti indù
  • Usa: i vescovi salutano l’accordo bipartisan sulla riforma dell’immigrazione
  • Cina: condannato a morte un monaco tibetano. Per Pechino “istigava” le autoimmolazioni
  • Centrafrica: accuse tra governo e ribelli. Pace a rischio
  • Colombia. Il governo replica alle Farc: minacciano il processo di pace
  • Circa 300 rifugiati sudanesi al giorno arrivano in Sud Sudan
  • Svizzera: la Caritas destina 100mila franchi per i rifugiati del Mali
  • Rwanda. Il nunzio all'Assemblea Caritas: "Mostrate solidarietà nella fede"
  • Kenya: nuovo appello dei vescovi in vista delle elezioni del 4 marzo
  • Panama: "Patto Etico Elettorale" dei vescovi in difesa della democrazia
  • Brasile. Il card. Braz de Aviz: "La Gmg rafforzerà l'identità della Chiesa latinoamericana"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Vicini agli oppressi. Il Papa ai vescovi campani: lottare contro camorra e disoccupazione giovanile

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto oggi il secondo gruppo di presuli della Conferenza episcopale della Campania, in visita “ad Limina”. All’incontro ha partecipato anche il cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe. Sergio Centofanti lo ha intervistato:

    R. - È stato un incontro meraviglioso perché avvenuto in un clima di profonda comunione, di apertura, nel quale il Santo Padre ci ha dato degli indirizzi, perché naturalmente conosceva bene la situazione attraverso le relazioni che gli avevamo inviato. Ma, anche dopo aver ascoltato ogni singolo vescovo, ha fatto una sintesi di tutti quelli che sono i tanti lati positivi che sono emersi anche nelle attività delle singole diocesi e di qualche difficoltà che dobbiamo affrontare e quindi incoraggiandoci ad andare avanti.

    D. - Quali sono le preoccupazioni principali del Papa?

    R. - Intanto, il Papa ha preso atto di una vivacità delle varie Chiese, che si manifesta attraverso un impegno molto serio, molto convinto, dei sacerdoti e dei religiosi, ma anche e soprattutto dei laici, i quali con una nuova coscienza della loro identità cristiana si sentono chiamati anche ad evangelizzare gli ambienti in cui si trovano. Quali sono i problemi? Prima di tutto, sono quelli di ordine sociale: mancanza di lavoro, presenza delle attività camorristiche che impediscono lo sviluppo non solo sociale ma anche umano dei nostri territori, l’inquinamento, e tutte quelle cose che purtroppo caratterizzano un po’ il nostro vivere in questa realtà campana. Ma, in ogni caso, il Santo Padre, sia perché precedentemente era spesso intervenuto, sia perché ha visto l’impegno dei vescovi e dei sacerdoti, ci ha detto di andare avanti. Una nota molto bella, particolare, sono le vocazioni, che nei nostri territori stanno attraversando un periodo bello, direi quasi una primavera di giovani che rispondono al Signore e che vogliono seguire il Cristo, dando la loro vita per il bene della Chiesa e quello delle anime.

    D. - Quindi il Papa vi ha incoraggiato a continuare la vostra lotta, come Chiesa, alla criminalità organizzata e in particolare nel vostro impegno per l’occupazione dei giovani…

    R. - Assolutamente sì. Il Papa era già intervenuto altre volte, ma in questo caso ha chiesto di farci voce - noi come Chiesa, e nel nome di Cristo - dei più deboli, dei più umiliati, di coloro che vengono sopraffatti, soprattutto di quelli che non riescono a causa della mancanza di lavoro - mi riferisco ai giovani - a realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni.

    D. - Cosa l’ha maggiormente colpita di questo incontro con il Papa?

    R. - Il Papa ci ha seguiti uno per uno con molta lucidità e con molta chiarezza e soprattutto ha individuato nella sua sintesi i problemi che avevamo esposto dicendoci di andare avanti. Ci ha benedetti e ha detto che ci è vicino in questa opera pastorale apostolica nella nostra regione.

    D. - Come ritornate a Napoli?

    R. - Carichi di questa bontà. La visita ad limina è sempre un segno di profonda comunione dei vescovi con il Papa e dei vescovi tra loro. Alla fine ho visto anche le sensazioni degli altri confratelli vescovi che erano molto soddisfatti e soprattutto molto carichi per questo incoraggiamento ricevuto dal Papa.

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    Venezuela. Incidenti nel carcere di Uribana, solidarietà del Papa: mai più drammi simili

    ◊   Dopo i violenti scontri verificatisi il 25 gennaio scorso nel carcere venezuelano di Uribana, costati la vita a 58 persone, in gran parte detenuti, il Papa invita le autorità del Paese a operare perché questi fatti drammatici non si ripetano mai più. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Benedetto XVI esorta le istituzioni a “continuare a lavorare in uno spirito di collaborazione e buona volontà per superare i problemi ed evitare la ripetizione in futuro di tali eventi drammatici”. L’appello è contenuto in un telegramma di cordoglio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in cui il Papa esprime il proprio profondo dolore per i “tragici incidenti” assicurando la sua preghiera per i defunti e “la sua più profonda vicinanza spirituale e solidarietà” alle famiglie delle vittime e ai circa 90 feriti. Proprio ieri, il governo venezuelano ha prorogato di altri tre mesi lo stato di emergenza carceraria per la costruzione di nuovi penitenziari. Secondo l’Osservatorio venezuelano delle prigioni, nel Paese ci sono oltre 45 mila detenuti in strutture che potrebbero ospitarne al massimo 15 mila. L’esecutivo ha aperto un’inchiesta su quanto accaduto: secondo una prima ricostruzione, ad innescare gli incidenti sarebbe stata una perquisizione condotta dalla Guardia nazionale. Alcune bande avrebbero approfittato dell’occasione per aggredire gli agenti: ne sarebbe nato uno scontro durissimo, con i detenuti che avrebbero rubato le armi, ma si ipotizza che altre munizioni fossero all’interno del carcere. Testimoni hanno parlato anche di due esplosioni. Il penitenziario dovrebbe ospitare 850 persone ma al momento ce ne sono 2.500. Per la Commissione Onu per i diritti umani la responsabilità degli scontri è da attribuire alle autorità venezuelane. La Chiesa venezuelana, da parte sua, parla di una “politica penitenziaria inefficace del governo, dinanzi al sovraffollamento, alla mancanza di cibo adeguato, alla violenza incontrollata, ai ritardi procedurali e all'umiliazione subita dalle famiglie” dei detenuti e invoca “un'indagine indipendente e imparziale, che permetta di processare e punire i responsabili”.

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    Plenaria dicastero della Cultura dedicata ai giovani. Card. Ravasi: ascoltarli oltre gli schermi digitali

    ◊   Le “Culture giovanili emergenti” al centro dell’Assemblea Plenaria annuale del Pontificio Consiglio della Cultura, che si aprirà a Roma, il pomeriggio del 6 febbraio nell’Aula Magna dell’Università Lumsa, con una seduta pubblica arricchita da un concerto di musica rock, per poi proseguire a porte chiuse fino al 9 febbraio. Di buon incentivo per tutti i partecipanti sarà l’udienza con il Papa all’inizio dei lavori. L’evento, di ampio respiro internazionale, è stato presentato stamane in sala stampa vaticana dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero promotore. Il servizio di Roberta Gisotti.

    La questione giovanile, nella società e nella Chiesa. Ascoltare i giovani è “una preziosa opportunità ed un’esigenza per gli adulti e per le comunità cristiane”: si parte da qui in questa Assemblea. “La loro lingua è diversa dalla mia” – ha esordito il cardinale Ravasi – “sono nativi digitali” comunicano con twitter, con i segni grafici del cellulare, “al dialogo fatto di contatti diretti, visivi, olfattivi…” “hanno sostituito il freddo ‘chattare’ virtuale attraverso lo schermo” La logica informatica del save o delete “regola anche la loro morale che è sbrigativa”. Appaiono come “‘sconnessi’ dall’insopportabile complessità sociale, politica, religiosa che abbiamo creato noi adulti”. Da qui una serie di domande contradditorie che - ha sottolineato il presdiente del Pontoficio Consiglio della Cultura - interpellano la coscienza di genitori, maestri, preti classe dirigente:

    “Sono individualisti, eppure seguono le mode di massa. Sono legati ad un’etica di tipo emozionale, istintiva, eppure hanno un rigore estremo nell’amicizia. Sono vitali, ma al tempo stesso si bruciano, nel vuoto: pensiamo alla droga, ma non soltanto. Sono sconnessi con il nostro mondo, con l’esterno della società, della politica, eppure sono i più connessi in assoluto con la comunicazione. Loro disprezzano sostanzialmente la cultura paludata, però, dall’altra parte, la musica è una delle componenti fondamentali, non solo della loro formazione, ma del loro esistere. Sono si dice pigri, inerti - ci si lamenta - si trascinano, ma sono quelli che pongono ripetutamente - lo dicono – il fatto che noi, generazione precedente e società li abbiamo lasciati disoccupati: non ci preoccupiamo e non siamo in grado di trovare loro un impegno. Sono egocentrici, ma, allo stesso tempo, cosa sarebbe del volontariato, se non ci fossero i giovani, essendone loro la testimonianza più viva”.

    Giovani che sono il presente e non solo il futuro, ha ricordato il porporato. Su 5 miliardi di abitanti nei Paesi in via di sviluppo oltre la metà ha meno di 25 anni, l’85 per cento della gioventù mondiale.

    Ricco il programma della Plenaria illustrato alla stampa da mons. Carlos Alberto Azevedo, delegato del Dicastero promotore. Dopo l’analisi delle culture giovanili, dei linguaggi e rituali, la proposta evangelica:

    “Bisogna comprendere la fatica e tante volte l’insuccesso delle prassi ecclesiali, che scava il fossato tra giovani e Chiesa. Anche nella fede c’è bassa natalità. La generazione degli adulti o non sa come o non ha spazio per curare la propria fede e generare nella fede”.

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    Negoziati su accordo Santa Sede-Palestina: auspicata rapida conclusione

    ◊   In seguito ai negoziati bilaterali che si sono svolti negli anni passati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), si è tenuto ieri un incontro ufficiale a Ramallah, presso il Ministero degli Affari Esteri dello Stato di Palestina. I colloqui sono stati guidati da Riad Al-Malki, ministro degli Affari Esteri dello Stato della Palestina, e da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati. Le parti, informa un comunicato congiunto, hanno avuto uno scambio di vedute sulla bozza d’accordo in esame, in particolare sul Preambolo e sul Capitolo I del documento. I colloqui si sono realizzati “in un’atmosfera aperta e cordiale, espressione dei buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina”. Le delegazioni, spiega la nota, “hanno espresso l’augurio che i negoziati siano accelerati e giungano ad una rapida conclusione”. È stato così concordato che si riunirà un “gruppo tecnico congiunto per darvi seguito”. È stata infine espressa gratitudine per il contributo della Santa Sede di 100 mila euro per il restauro del tetto della Basilica della Natività a Betlemme.

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    On line i manoscritti della Biblioteca Vaticana. Mons. Pasini: un passo nello spirito universale dell'istituzione

    ◊   Dopo due anni di lavoro, un primo gruppo di 256 manoscritti digitalizzati della Biblioteca Apostolica Vaticana, provenienti dal Fondo Palatino, sono da ieri disponibili in Rete sul sito della biblioteca papale, all’indirizzo www.vaticanlibrary.va. Si tratta di una prima tappa di un progetto più ampio di digitalizzazione degli ottantamila manoscritti conservati nei suoi fondi che l’istituzione vaticana ha intrapreso, grazie all’aiuto di alcuni sponsor, nella fedeltà alla sua originaria vocazione umanistica, per accogliere le nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Al microfono di Fabio Colagrande, il prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, mons. Cesare Pasini:

    R. – Certo, è un piccolo passo, ma fortemente atteso. Dovevamo arrivarci l’anno scorso, ma siamo arrivati con qualche giorno di ritardo... Siamo, comunque, felicissimi di poter dire al mondo che il progetto di rendere accessibili i manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, dove tu li studi e in qualsiasi luogo, collegandosi via web, ha preso avvio!

    D. – Quanto tempo e quanto sforzo c’è voluto per compiere questo primo piccolo, ma importante passo?

    R. – C’è voluto uno sforzo di programmazione, durato due anni. Adesso è circa un anno da che abbiamo cominciato a concretizzare e a digitalizzare i manoscritti. Fra l’altro, sono coinvolti anche altri progetti più parziali. Per esempio, i manoscritti ora messi in linea, per la maggior parte vengono dalla Biblioteca di Heidelberg. Questi manoscritti sono stati digitalizzati grazie ad un’intesa molto bella, che è avvenuta qualche anno fa ormai, fra la Biblioteca dell’Università di Heidelberg e la Biblioteca Apostolica Vaticana.

    D. – Qual è la filosofia che sta dietro a questa scelta di mettere a disposizione di tutti, in Rete, sul web, questi che sono tra i "pezzi" più preziosi della Biblioteca del Papa?

    R. - E’ la filosofia di sempre della Biblioteca Apostolica Vaticana, nata con Niccolò V, con Sisto IV e più avanti con Sisto V, secondo cui questi beni dell’umanità vengono resi accessibili a coloro che li vogliono utilizzare, conoscere e studiare. Inizialmente, in quei secoli, bisognava venire a Roma e qui consultarli, ma la consultazione e l’accesso erano liberi. Oggi lo è ugualmente: basta avere le caratteristiche di una persona che si sa accostare a queste documentazioni così complesse. Ora, avere questa libertà di accesso ai manoscritti, nella modalità moderna, significa farli arrivare anche tramite il web, con immagini digitalizzate. Questo è lo stesso spirito di servizio, che ha animato per secoli la Biblioteca Apostolica Vaticana e che noi siamo felici di fornire anche con immagini digitalizzate.

    D. – Può indicare alcuni dei manoscritti più pregiati o più notevoli tra questi primi 256 manoscritti messi in rete?

    R. – Ce n’è per esempio uno famoso, che fa parte della collezione dei manoscritti palatini, indicato come “De arte venandi cum avibus”, cioè la caccia agli uccelli: un famoso volume di Federico II, illustrato con particolarità molto dettagliate sul come vengano raffigurati gli uccelli e come se ne faccia la caccia. Questo, forse, è il più famoso fra i 256 manoscritti ora messi online. Poi ci sono quei bei manoscritti medievali con i testi usati nei monasteri...

    D. – Sottolineiamo anche che c’è un progetto generale di digitalizzazione nella Biblioteca Vaticana, che poi però è fatto di tanti singoli progetti…

    R. – Infatti, stiamo digitalizzando manoscritti cinesi, manoscritti del cosiddetto Gruppo Alamire, di un musicista e copista di manoscritti musicali. C’è poi tutto un grande progetto legato ad una collaborazione con la Biblioteca di Oxford. Si digitalizzeranno anche gli incunaboli, i manoscritti greci, probabilmente anche i manoscritti ebraici. Poi c’è il progetto base, che sempre mi preme sottolineare, perché è quello che raccoglie tutto, perché se i macchinari, se la struttura, se le procedure di acquisizione non fossero ben calibrate e sostenute, la raccolta dei materiali non sarebbe possibile. Ora, questo è quello che noi abbiamo potuto realizzare grazie ad un’intesa e anche ad una sponsorizzazione con la società internazionale EMC e con Dedanext e Dedagroup. Sono loro i nostri sponsor fondamentali per fare andare avanti il progetto, speriamo, fino a 80 mila, se non oggi, domani, se non domani, negli anni! Se vedendo che il frutto del nostro lavoro... se altre istituzioni, altri sponsor, altre persone, volessero entrare a dare sostegno, sarebbero ben accolti. Coloro che ora stanno collaborando sono ben felici di avere altri collaboratori e non ci sono gelosie in questo progetto.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani il cardinale Joao Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le società di vita apostolica.

    II Santo Padre ha annoverato tra i Membri dei Dicasteri e degli Organismi della Curia Romana i seguenti Eminentissimi Signori Cardinali, creati e pubblicati nel Concistoro del 24 novembre 2012: nella Congregazione per la Dottrina della Fede l'Eminentissimo Signor Cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja; nella Congregazione per le Chiese Orientali gli Eminentissimi Signori Cardinali Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, e Baselios Cleemis Thottunkal, Arcivescovo Maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi; nella Pontificia Commissione per l'America Latina l'Eminentissimo Signor Cardinale Rubén Salazar Gómez, Arcivescovo di Bogotá; nella Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli l'Eminentissimo Signor Cardinale James Michael Harvey, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le mura; nel Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica l'Eminentissimo Signor Cardinale Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti; nel Comitato di Presidenza del Pontificio Consiglio per la Famiglia gli Eminentissimi Signori Cardinali John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja, e Luis Antonio G. Tagle, Arcivescovo di Manila; nel Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace l'Eminentissimo Signor Cardinale Rubén Salazar Gómez, Arcivescovo di Bogotá; nel Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti gli Eminentissimi Signori Cardinali Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, e Luis Antonio G. Tagle, Arcivescovo di Manila; nel Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso l'Eminentissimo Signor Cardinale Baselios Cleemis Thottunkal, Arcivescovo Maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi; nel Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali l'Eminentissimo Signor Cardinale Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti; nell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica l'Eminentissimo Signor Cardinale James Michael Harvey, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le mura.

    Il Papa ha inoltre nominato Consultore del medesimo Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti l'Ill.mo Prof. Marco Impagliazzo, Docente Ordinario di Storia contemporanea presso l'Università per Stranieri di Perugia, Presidente della Comunità di Sant'Egidio.

    Il Santo Padre ha nominato Membro del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti l'Ecc.mo Mons. Lucio Andrice Muandula, Vescovo di Xai-Xai, Presidente della Conferenza Episcopale del Mozambico.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Allahabad in India, presentata dall’Ecc.mo Mons. Isidore Fernandes, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico e ha nominato S. E. Mons. Ignatius Menezes, Vescovo emerito di Ajmer, Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della Diocesi di Allahabad.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Pontoise, in Francia, l’Ecc.mo Mons. Stanislas Lalanne, finora Vescovo di Coutances (Francia).

    Il Papa ha nominato Vescovo della Diocesi di Kayes in Mali, il Reverendo Jonas Dembélé, del clero di San, finora Parroco e Segretario dell’Unione Nazionale dei Sacerdoti del Mali.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Dori (Burkina Faso), il Rev. do Sac. Laurent Birfuoré Dabiré, finora Vicario giudiziale e Cancelliere della Diocesi di Diébougou, nonché Officiale del Tribunale Ecclesiastico della Provincia Ecclesiastica di Bobo-Dioulasso.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell'informazione internazionale, il Mali, dove il Governo rifiuta di trattare con gli islamisti.

    Comunicato congiunto sull'incontro bilaterale tra Santa Sede e Stato di Palestina.

    Apprendisti alla scuola dello Spirito: in cultura, anticipazioni dell'intervento del cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, che oggi apre a Bangalore, in India, una conferenza internazionale sul Vaticano II, e della relazione dell'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, sulla "Gaudium et spes", a conclusione del ciclo delle letture teologiche sui documenti conciliari.

    Giuseppe Sciacca sulla martire che infranse le statue degli idoli: riaperta al culto la chiesa dei santi Luca e Martina a Roma.

    Anatomia dello snob: su amore e ambizione, centrali nella "Ricerca" di Proust, l'articolo di Alain Besancon nel prossimo numero di "Vita e Pensiero".

    Se l'imam danneggia l'islam: nell'informazione religiosa, un articolo sulla decisione, annunciata dal ministro dell'Interno francese, di espellere alcuni predicatori radicali stranieri.

    Il matrimonio che ha fondato l'America, in un documento presentato alla Corte suprema dai vescovi statunitensi.

    Il candelabro che diffonde la luce del Papa: nell'informazione vaticana, la Messa per l'Osservatore Romano e la Tipografia Vaticana celebrata questa mattina dall'arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato.

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    Oggi in Primo Piano



    L'Onu ad Israele: gli insediamenti violano i diritti umani dei palestinesi

    ◊   Israele fermi gli insediamenti in Cisgiordania, perché sono discriminatori nei confronti dei palestinesi. E’ quanto si legge in un rapporto pubblicato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Si tratta della condanna più netta dal 1967, mentre dal 2012 Israele non partecipa alle riunioni del Consiglio Onu perché considerato “di parte”. Dura la reazione dello Stato ebraico che parla di un pronunciamento che mette in pericolo il processo di pace. Benedetta Capelli ne ha parlato con Eric Salerno, esperto di Medio Oriente del quotidiano Il Messaggero:

    R. - È una condanna molto dettagliata che soprattutto propone, suggerisce e chiede agli Stati aderenti alla Convenzione di Ginevra di applicare sanzioni politiche ed economiche nei confronti di Israele se non smette di costruire nei Territori e se non chiude - insiste anche su questo - tutti gli insediamenti. Parla anche della possibilità di portare la questione davanti alla Corte internazionale di giustizia, in quanto la questione della colonizzazione del territorio palestinese occupato rientra nelle questioni legate ai crimini contro l’umanità.

    D. - Quali conseguenze si potranno prospettare? Ci saranno dei Paesi che cavalcheranno quest’onda?

    R. - Sicuramente qualche Paese deciderà di sottolineare questo aspetto, e forse comincerà ad introdurre sanzioni nei confronti di Israele. Ovviamente questo non succederà subito con i Paesi europei e neanche con gli Stati Uniti. Dall’Europa dovrà venir fuori una politica, un’idea più comune, e per questo ci vorrà molto tempo; non credo che succederà come conseguenza di questa condanna che avrà sicuramente effetti sull’atteggiamento della comunità internazionale nei confronti di Israele.

    D. - Israele dice che questo rapporto sostanzialmente mina gli sforzi per la pace...

    R. - È la tradizionale risposta degli israeliani che affermano che gli insediamenti non c’entrano con l’idea di come fare la pace con i palestinesi. Questa è la linea di Netanyahu, il premier israeliano - è quello che lui dice da quattro anni, da quando è diventato premier - ed è quello che ha bloccato i negoziati, perché i palestinesi dicono che la cosa importante è fermare gli insediamenti prima di continuare i negoziati. Negli ultimi quattro anni, gli insediamenti sono cresciuti moltissimo e lo spazio per creare uno Stato palestinese indipendente accanto ad Israele si restringe sempre di più.

    D. - A livello di politica israeliana, questo rapporto quanto può incidere in un momento di estrema incertezza della politica dopo le elezioni legislative?

    R. - Questo rapporto si aggiunge al clima di isolamento in cui vivono gli israeliani e la stessa politica israeliana. Il nuovo vincitore delle elezioni, Lapid - che proviene da un partito di centro-sinistra, ma che potrebbe anche essere definito di centro–destra - sta negoziando con Netanyahu per entrare nel governo. Lui sostiene che la prima cosa che deve essere fatta è il blocco degli insediamenti e la ripresa dei negoziati per i quali vorrebbe avere anche una data. Perciò potrebbe succedere qualcosa in Israele, a prescindere dalle dichiarazioni delle Nazioni Unite e degli stessi palestinesi.

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    Egitto: accordo per fine violenze. Il vescovo di Giza: pensare a bene del Paese

    ◊   Un patto per rinunciare alla violenza e per formare un comitato che getti le basi e fissi l’agenda del dialogo nazionale. È quanto hanno sottoscritto, oggi, le forze politiche al potere e di opposizione in Egitto, riunite sotto la mediazione del grande imam della moschea di Al-Azhar al Cairo e rettore dell'omonima università. Intanto, sul terreno prosegue lo stato di emergenza dopo le violenze dei giorni scorsi, costate la vita a 56 persone. Proteste legate al secondo anniversario della costituzione e della condanna a morte di 21 tifosi per la strage allo stadio di Port Said. Per un commento, Marco Guerra ha intervistato il vescovo di Giza, mons. Antonios Aziz Mina:

    R. - Se prima c’era una maggioranza relativa per i Fratelli Musulmani, che raggruppano con loro anche tutte le tendenze musulmane, ora la cosa è cambiata; c’è una grande maggioranza di opposizione composta da piccole minoranze. Purtroppo non hanno lo stesso programma o le stesse idee ma hanno un solo obiettivo: essere opposizione contro questa tendenza islamica e la situazione si è ribaltata.

    D. - La situazione sembra fuori controllo. La leadership egiziana non è in grado di far rispettare l’ordine?

    R. – La rivoluzione c’è stata per trovare la libertà, la dignità, per una vita più umana. Niente di questo è stato realizzato. Quindi, il popolo si è ribellato contro lo stato di emergenza che è stato imposto. Il governo non può mantenere l’ordine, perché gli ordini che dà non godono di una intesa interna: il popolo non è d’accordo con quello che viene ordinato.

    D. - Quello che colpisce è anche un certo silenzio del presidente Morsi e dei Fratelli Musulmani

    R. – Prima, il presidente, quando parlava, parlava spontaneamente e godeva di una certa base popolare che lo sosteneva. Ora non parla spontaneamente, tutto viene preparato, tutto viene scritto. Parla meno ed è, secondo me, un metodo per non affrontare la realtà.

    D. – El Baradei ha aperto al dialogo. Come va letto questo passo dell’opposizione?

    R. - Va letto bene, perché l’opposizione si limitava a fare solo il contraccolpo, la reazione e non l’azione. El Baradei, a mio giudizio, doveva prendere questo ruolo molto tempo prima, per guidare un dialogo proficuo. Prima o poi il governo prenderà parte a questo dialogo per sapere che cosa pensa l’opposizione.

    D. - In questo clima di instabilità qual è la situazione dei copti e cosa rischia la minoranza cristiana in Egitto?

    R. – Ora non è il tempo di pensare alle minoranze cristiane o a come stanno le cose per una certa fazione, ma piuttosto bisogna pensare a come sarà l’Egitto nel suo insieme. Avremo noi i nostri diritti e potremo trovare pace in questo Paese, vivendo con dignità, solo se difendiamo i diritti umani di ogni egiziano sulla terra egiziana.

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    Crisi e salute pubblica nell'Ue. Il commissario Tonio Borg: riorganizzare la sanità europea

    ◊   La crisi economica che si è abbattuta dal 2008 sull’Europa ha avuto pesanti ripercussioni sui Servizi Sanitari Nazionali, che ad oggi rappresentano le prime voci di spesa per i singoli Stati. Necessari, dunque, piani di intervento per ridurre i costi, puntando sulla trasparenza, la riduzione degli sprechi e campagne di prevenzione mirate. Il nostro inviato a Bruxelles, Salvatore Sabatino, ha intervistato, in esclusiva, il commissario europeo Tonio Borg, chiedendogli quale sia attualmente la situazione della Sanità nel Vecchio Continente:

    R. - Ci sono grandi divari: ci sono ineguaglianze nel settore della sanità, della salute, ed io sono convinto che dobbiamo inventare una politica nuova, di coesione, non soltanto per ragioni economiche, ma anche per le questioni relative alla salute pubblica. Questo non vuol dire che la nostra regione non abbia un livello alto di protezione circa la salute, ma ci sono delle differenze e l’Unione Europea, che ha l’ambizione di arrivare ad una maggiore integrazione, deve trovare delle soluzioni a questo problema, soprattutto in questo momento di crisi finanziaria, dove ci sono riduzioni della spesa e quindi anche sulla salute pubblica e qualche volta con gravi conseguenze.

    D. - La crisi è arrivata nel 2008; quindi sono cinque anni che ha colpito pesantemente il continente europeo e ovviamente una delle voci che ha bisogno di tagli è quella della spesa sanitaria. Però i tagli come vanno fatti per non creare poi disagi al cittadino...

    R. - Devono essere fatti in modo intelligente, attraverso l’utilizzo di tecnologie moderne che garantiscano un livello di salute pubblica soddisfacente. Ci sono dei limiti, dei parametri da rispettare; non dobbiamo dimenticare la dimensione sociale, perché questo è importante. Ad esempio, in Irlanda del Nord utilizzano l’e-health, cioè un sistema di monitoraggio nella casa stessa: un anziano può tenere sotto controllo il livello della pressione del sangue e dell’ipertensione senza andare in ospedale.

    D. - Puntare sul territorio in pratica…

    R. - Sì, questo è conveniente per il paziente e per gli Stati e riduce la spesa pubblica. Ci sono altre cose da fare, e questo è importante, perché i sistemi della salute pubblica non saranno più sostenibili se non facciamo anche dei tagli ma in modo intelligente e con una buona riorganizzazione. La responsabilità per questo, rimane degli Stati membri, ma la Commissione può coordinare questi sforzi.

    D. - So che lei non ama fare le classifiche. Però, ci sono dei Paesi che si comportano bene e che sono più virtuosi, ed altri che avrebbero bisogno di un aiuto anche nella gestione...

    R. - È difficile rispondere a questa domanda, perché un Paese può avere dei problemi in un settore, ma essere invece molto organizzato in altri settori, come quello della salute pubblica. Ma generalmente, il sistema e l’efficienza di un Paese riflette il suo sistema economico, cioè indica se è economicamente forte o no. É il Pil che fa la differenza. Ma questo è il punto di partenza. Talvolta ci sono Paesi ricchi che non sono molto organizzati, forse lo sono nella difesa, ma non nel sistema sanitario. La Commissione ha il compito di mandare questo messaggio: la salute deve essere uguale per tutti, sia per quelli che hanno i mezzi, sia per quelli che non li hanno. Quindi non una salute povera per i poveri, perché se dimentichiamo questa direzione sociale creeremo più problemi per noi stessi.

    D. - Ci sono ovviamente delle priorità e delle sfide dell’Europa. Una di queste è la lotta all’alcool, poi al fumo, ed ovviamente l’aumento della popolazione anziana, che determina un cambiamento dei servizi sanitari nazionali…

    R. - Certo, queste sono le sfide moderne in cui si impegna la Commissione, almeno chi collabora con me, ad eccezione del cancro, dove c’è una strategia particolare. La nostra strategia è attaccare le cause delle malattie croniche, cioè più che avere una strategia per il diabete o per le malattie cardiovascolari, dobbiamo avere una strategia che attacca le cause di tutte queste cose e queste sono, come lei ha detto: l’obesità, il consumo di alcool, il fumo e poi la mancanza di attività fisica.

    D. - Prevenzione pura…

    R. - Prevenzione, perché purtroppo tutti gli Stati membri dedicano solo il tre percento per la prevenzione e il restante 97 percento per curare le malattie. Allora dobbiamo incoraggiare ancora di più gli Stati membri e i governi ad investire maggiormente sulla prevenzione. Questo è chiaro, ma purtroppo non accade.

    D. - Perché secondo lei questo non accade?

    R. - Non accade perché forse non c’è più tanta coscienza di queste cose. Ci sono malattie che vengono inevitabilmente contratte, ma altre - come il diabete - si possono prevenire. Per quanto riguarda il diabete si registra una forte incidenza anche tra i giovani, non solamente tra gli anziani, in modo particolare nei Paesi del Sud, dove è un problema, ma anche nei Paesi del Nord. L’obesità e la mancanza di attività fisica producono o accelerano il passo verso questa malattia. Ad esempio, anche certi tipi di cancro, possono essere prevenuti, altri possono essere diagnosticati con lo screening. Bisogna investire di più in queste cose, e la Commissione ha il compito di creare questa coscienza fra gli Stati membri. La nostra intenzione è quella di ridurre il numero dei fumatori del due percento in Europa nei prossimi cinque anni. Questa è un’altra meta che dobbiamo raggiungere.

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    Rapporto sulla libertà di stampa di Rsf: speranze deluse dopo la "Primavera araba"

    ◊   La classifica 2013 della libertà di stampa in 179 Paesi del mondo: è quanto viene descritto nel rapporto della Ong internazionale Reporters sans frontières (Rsf), pubblicato ieri. Democrazie nordeuropee in testa - Norvegia, Olanda e Finlandia - , dittature asiatiche in coda - Corea del nord, Turkmenistan e Eritrea - mentre in Europa continua il trend negativo legato alla cattiva legislazione sulla stampa. Segno distintivo, dopo i mutamenti legati alle primavere arabe, è un “ritorno alla normalità”. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Mimmo Candito presidente di Rsf Italia:

    R. - Si ritorna alla delusione o comunque alla riduzione delle aspettative che i processi di trasformazione sociale e politica avevano lasciato immaginare.

    D. - E questo è particolarmente vero nei Paesi interessati dalle “Primavere arabe”: Tunisia, Egitto e Libia sono rimasti a livelli molto bassi. I nuovi governi si sono poi "rivoltati" contro i giornalisti che si sono fatti voce della richiesta di libertà del popolo. In Siria, poi ricordiamo i 66 giornalisti uccisi nel 2012…

    R. - Una cifra impressionante. Purtroppo le tensioni generate dalle aspettative e dalla speranza, ma anche dalla profonda trasformazione, si stanno riducendo e trasformando in un processo soltanto di protesta.

    D. - Ai primi posti di democrazia i Paesi nordici, agli ultimi le dittature in Turkmenistan, Eritrea e soprattutto Corea del Nord, dove nulla sembra cambiato con l’arrivo di Kim Jong-Un.

    R. - Credo che non ci fossero grandi aspettative in realtà. La Corea del Nord è uno di quei Paesi quasi simbolo di cosa significhi un regime. Vorrei ricordare poi la Russia, dove il potere di Putin è repressivo e noi tendiamo a dimenticarlo perché abbiamo bisogno del gas russo.

    D. - Il continente più in basso nella classifica è l’Asia: il Giappone segnale una brusca caduta per il bavaglio imposto ai giornalisti sul il caso Fukushima, migliora la situazione in Birmania, mentre spostandoci nella “virtuosa” Europa, che occupa i primi 30 posti in classifica, il rapporto dice che il modello europeo si sta sfasciando. Quali sono i Paesi più critici?

    R. - L’Italia è sicuramente uno di questi Paesi. La “legge bavaglio”, i tentativi di costrizione, i processi e le minacce indicano come il nostro Paese, pur essendo riuscito a risalire tre o quattro posizioni, non ha ancora una classifica da essere considerata in termini positivi.

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    Rapporto Eurispes: la crisi pesa su giovani e famiglie, pessimismo sul futuro

    ◊   La crisi ha letteralmente fiaccato le famiglie italiane. L'ultimo rapporto Eurispes, presentato oggi a Roma, lo mette in luce in modo netto, visto che secondo l'indagine il 73% degli italiani ha visto un calo del proprio potere d'acquisto. Quasi il 53% dei cittadini poi è pessimista sull’andamento dell’economia nei prossimi 12 mesi. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Gli italiani tentano di difendersi dalla crisi. E lo fanno con una vita a basso costo, dunque meno uscite fuori, maggior ricorso alle vendite su Internet, taglio netto a cinema e ristoranti, più trasporti pubblici. Basta dire che almeno il 40,6% degli italiani è stato costretto a ridurre le spese per la sanità, mentre è aumentato del 28% il ricorso ai "Compro Oro". Gli acquisti a rate sono preferiti da quasi il 31%. Strategie che si mettono in campo anche per rispondere alle pressioni del fisco, il cui peso è aumentato per il 41,7% dei cittadini, mentre l'Imu è vista male da tre persone su quattro. Per il presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara, l'Italia é troppo ripiegata sul presente e le risposte sono state spesso parziali:

    “Però la nostra, e di questo siamo convinti, è un’emergenza innanzitutto etica. Per troppo tempo ogni singolo cittadino, dal più semplice al rappresentante della classe dirigente, ha pensato di poter impunemente ingannare se stesso, affidandosi, invece che alla realtà, alla sua rappresentazione”.

    Gli italiani comunque continuano ad essere malati di tecnologia. Il 41% degli intervistati ha uno smartphone, mentre il 40% naviga con continuità in Internet. Ma c’è il rovescio della medaglia: infatti solo un terzo dei genitori conosce la password dei propri figli in Rete.

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    Convegno a Roma sui valori cristiani in politica

    ◊   La tutela della vita umana e della famiglia, valori non negoziabili, è la base su cui costruire una politica ed una economia che garantiscano una società giusta. E’ questa la convinzione al centro della tavola rotonda “I valori cristiani nella politica. Le aspettative dei cattolici”, organizzata a Roma dal movimento culturale "Umanesimo Cristiano" in vista delle ormai prossime elezioni politiche. A fronte di una confusa campagna elettorale e del crescente numero di elettori indecisi, si chiede ai candidati di esplicitare chiaramente su quali principi si orienterà la propria azione. Paolo Ondarza ha intervistato Claudio Zucchelli, presidente di "Umanesimo Cristiano":

    R. – Le nostre indicazioni sono rivolte a tutti coloro che si presentano nei vari schieramenti, ma si presentano con un’etichetta cattolica. Noi gli chiediamo soprattutto di dire con chiarezza che le loro scelte politiche saranno ispirate in primo luogo ai principi non negoziabili. Questa affermazione potrebbe anche portarli ad essere una minoranza, ma in quanto cattolici siamo chiamati alla testimonianza, al "martirio", cioè a pagare prezzi, qualunque essi siano. Dobbiamo dire: questa è la verità del Vangelo.

    D. – In questo senso citate anche l’esperienza di altri Paesi, come Francia e Spagna…

    R. – Noi abbiamo chiamato due cattolici, un francese e uno spagnolo, due giornalisti, perché cerchino di farci capire come sia potuto avvenire che la cattolicissima Spagna e la figlia maggiore del cattolicesimo, cioè la Francia, a un certo punto si siano, invece, incamminate verso scelte politiche contrarie ai principi fondamentali cristiani. Capire come è successo ed evitare che succeda anche in Italia. E, poi, l’obbiettivo è quello di avere un coordinamento internazionale tra i politici cattolici per chiedere con più forza che la politica in genere sia conforme al messaggio evangelico.

    D. - Guardando all’attuale campagna elettorale, centrata principalmente sulle questioni strettamente economiche, vista l’urgenza della crisi, che spazio hanno i valori cristiani?

    R. – Molto poco. L’urgenza della crisi ha in realtà indotto, a nostro avviso, una sorta di materialismo, per cui sembra che i problemi degli uomini siano solo i problemi economici e, invece, la spiritualità dell’uomo, cioè il suo valore spirituale profondo di essere umano viene messo in secondo piano. Questo purtroppo, nella negoziazione politica, fa sì che spesso i cosiddetti valori o principi non negoziabili siano in realtà molto negoziati, in particolare la famiglia, il matrimonio dei gay, le adozioni, il fine vita su quale i cristiani non possono negoziare nulla. I cristiani vogliono che la famiglia diventi il centro dell’economia e, quindi, il centro attorno al quale elaborare le politiche fiscali.

    D. – Se va detto che i valori non negoziabili non sono al centro dei programmi politici delle varie coalizioni, va anche ammesso che la tutela di questi valori non è ritenuta così urgente da parte di tutti gli elettori cattolici? Inoltre secondo un recente sondaggio il 16% di questi ultimi è ancora indeciso sul voto…

    R. - In effetti, vi è stato un battage politico in questi ultimi anni, che ha ribaltato il rapporto tra economia strumentale e valori irrinunciabili. Il compito di associazioni culturali come la nostra è esattamente quello di aiutare la gente a capire che questa sua indecisione, questa sua incertezza, deriva proprio dal fatto che gli è stato proposto un messaggio sbagliato. Prima la soluzione di problemi materiali e poi dopo, se c’è tempo, la realizzazione dei principi fondamentali. Invece, l’economia è uno strumento per il benessere e l’elevazione materiale dell’uomo e quindi è ovvio che non può che essere successiva alla affermazione dei valori dell’uomo.

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    Aiuto alla Chiesa che Soffre ricorda il fondatore, padre van Straaten, a 10 anni dalla morte

    ◊   “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, Acs, ricorda in particolare oggi il suo fondatore, padre Werenfried van Straaten, a dieci anni dalla morte e a cento anni dalla nascita, con la Messa nel pomeriggio nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, presieduta dal presidente di Acs-Italia, mons. Sante Babolin, e concelebrata da sacerdoti che beneficiano di una borsa di studio Acs e da quattro sacerdoti in rappresentanza delle Chiese di Bielorussia, Cuba, Nigeria e Pakistan. “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, Fondazione di diritto pontificio avviata nel 1947 da padre van Straaten, realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2011 ha realizzato oltre 4.600 progetti in 145 nazioni. Per un ricordo di padre van Straaten, Fausta Speranza ha intervistato Antonia Willemsen, già segretaria generale di Aiuto alla Chiesa che Soffre e storica collaboratrice del monaco premostratense:

    R. - Una delle cose più forti che ricordo è che lui ha creduto molto nell’uomo, ha sempre detto: “L’Uomo è molto migliore di quello che pensiamo; ma anche Dio è molto migliore di quello che pensiamo!”. Questo trova fondamento in quello che ha vissuto nella sua vita: la generosità della gente molto spesso ha superato la sua immaginazione. Questa per me è stata una delle cose più importanti.

    D. – Ecco, però, padre van Straaten è riuscito a farsi strumento, è riuscito ad intercettare la generosità delle persone. Secondo lei, qual è stato il suo segreto?

    R. – Il segreto era nella sua capacità di combinare due cose. Chiedeva aiuto per chi soffriva e allo stesso tempo aveva come compito la pastorale per i benefattori: ha sempre dato risposte a situazioni difficili per la fede, per la coscienza e così ha sempre coniugato questi due aspetti.

    D. – Lei è stata anche segretario generale di Aiuto alla Chiesa che soffre: quali sono stati gli impegni più significativi?

    R. – Lui ha incominciato con i religiosi espulsi, dando aiuto a queste persone nella Germania distrutta. Poi, contemporaneamente, ha dovuto convincere le popolazioni in Belgio, Olanda e nell’Europa occidentale a non odiare più il nemico di ieri: i tedeschi, e a comportarsi da cristiani. Questo è stato un aspetto. Poi, ha iniziato a lavorare per la Chiesa “oltrecortina”: è stato molto difficile, perché apertamente non si potevano aiutare la maggior parte dei Paesi dell’Est. Poi è venuto il cosiddetto Terzo Mondo, quindi America Latina, Africa e Asia. Una cosa molto importante è stata la Fondazione dei Figli e delle Figlie della Risurrezione in Congo: oggi conta 200 membri. In America Latina è stato importante, all’inizio, valutare come poter aiutare: così abbiamo scelto di sostenere tre istituti in Brasile, Cile e Colombia per poter successivamente sostenere meglio dove potesse essere necessario.

    D. – Ci sarà stato un momento in cui ha visto padre van Straaten un po’ scoraggiato?

    R. – Sì. Padre van Straaten aveva fondato anche i “Soci costruttori”, negli anni Cinquanta. Fu un gran successo: tanti giovani hanno collaborato, sono andati in Germania a costruire chiese, case ... Ad un certo momento ha dovuto lasciare i “Soci costruttori” perché il suo abate riteneva che questa istituzione avesse preso il sopravvento e che lui dovesse continuare soltanto con “Aiuto alla Chiesa che soffre” e non più con i “Soci costruttori”. In quel momento l’ho visto veramente scoraggiato!

    D. – E poi, che cosa gli ha dato il coraggio di andare avanti?

    R. – Prima di morire, ne ha parlato di nuovo: aveva superato quel momento riconoscendo la necessità di continuare il suo lavoro oltrecortina, in America Latina e così via; ha visto la necessità perché tantissimi benefattori avevano creduto in lui. Ma se lei mi chiede: “Quando l’ha visto scoraggiato?”, ecco, quello era stato il momento più grave per lui.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: distrutta una chiesa in Mesopotamia. L’arcivescovo: tutti perdono con la guerra

    ◊   La chiesa siro-ortodossa di Santa Maria e la scuola cristiana di Al-Wahda sono state distrutte a Deir Ezzor, cittadina della Mesopotamia, al centro di scontri che hanno causato un esodo della popolazione civile. Lo riferisce all'agenzia Fides l’arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, metropolita di “Jazirah ed Eufrate”, spiegando che “è un giorno molto triste per me e per tutta la comunità”. Le due strutture sono state colpite e distrutte nel fuoco incrociato fra esercito regolare e gruppi ribelli. La Mesopotomia, notano fonti locali di Fides, sta vivendo “una lenta agonia”, e tutta la popolazione civile (arabi, cristiani, curdi, e altri gruppi) sta pagando un prezzo altissimo. L’arcivescovo Matta Roham nota a Fides: “Questa guerra feroce è prima di tutto una guerra contro la nostra civiltà. E’ un conflitto dove tutti perdono, nella distruzione del nostro amato Paese. Se i ribelli o il regime pensano di vincere, alla fine, credo ci ritroveremo solo un Paese in rovina, con migliaia di orfani, vedove, poveri e soprattutto destabilizzato dall’inimicizia nella società”. L’arcivescovo si rivolge a quanti stanno combattendo: “Chi ricostruirà tutto quanto abbiamo costruito in decenni di duro lavoro? E quanto tempo ci vorrà? Chi ricucirà le relazioni sociali deteriorate? Chiediamo la preghiera di tutti cristiani del mondo, per riavere la pace in Siria”. (R.P.)

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    Libia: due comunità religiose costrette ad abbonare la Cirenaica. I timori di mons. Martinelli

    ◊   “Due comunità religiose lasciano la Cirenaica dopo aver subito pressioni dai fondamentalisti” denuncia all’agenzia Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, che riferisce che nell’est della Libia, “la situazione è critica. Il 20 febbraio sono previste imponenti manifestazioni in tutta la Cirenaica per cui il vicario apostolico di Bengasi è stato avvertito di lasciare la chiesa a partire dal 13 febbraio e di mettersi al riparo” continua mons. Martinelli. Il vicario apostolico di Tripoli traccia il quadro della situazione della Chiesa in Cirenaica. “nei giorni scorsi sono stati costretti ad abbandonare Derna la congregazione della Sacra Famiglia di Spoleto che era lì da quasi 100 anni, e un sacerdote salesiano polacco, che ha subito maltrattamenti da parte di alcuni fondamentalisti. A Beida un’altra comunità religiosa femminile si è ritirata anche se in questo caso per motivi interni. A Barce le Suore Francescane del Gesù Bambino lasceranno la loro casa nei prossimi giorni. Qui a Tripoli finora la situazione è abbastanza tranquilla, ma nella Cirenaica l’atmosfera è molto tesa” afferma mons. Martinelli che aggiunge: “Ci dispiace di dovere ridurre le nostre attività in quell’area perché abbiamo costruito un rapporto molto intenso e bello, fatto di testimonianza e di amicizia, con il popolo libico, che purtroppo negli ultimi tempi risente della presenza dei fondamentalisti. Questi non rappresentano l’identità del popolo libico ma è una delle espressioni della società libica di oggi. Come Chiesa prenderemo le nostre precauzioni ma non possiamo abbandonare i cristiani che rimangono sul posto. Resteranno due comunità di religiose a Bengasi, una piccola comunità a Tobruk e infine un’altra piccola comunità di suore indiane a Beida” dice mons. Martinelli che conclude:“Restiamo impoveriti ma pieni di speranza che un giorno le nostre comunità riprenderanno vigore”. (R.P.)

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    Giordania: le sétte mettono a rischio i rapporti tra cristiani e musulmani

    ◊   I testimoni di Geova e le sétte di provenienza americana, con i loro metodi di propaganda, creano problemi alle comunità cristiane medioerientali di antica tradizione e ai loro rapporti con la maggioranza musulmana. A lanciare l'allarme è il sacerdote giordano Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media, con sede ad Amman. “Negli ultimi tempi” spiega padre Bader all'agenzia Fides “Tante famiglie mi chiamano per segnalarmi l'insistenza con cui i Testimoni di Geova chiedono di entrare nelle loro case per distribuire materiale di propaganda. Quelli che sono passati con loro, hanno cominciato sùbito a manifestare pubblicamente la propria ostilità verso la comunità cristiana a cui prima appartenevano”. Il sacerdote ricorda che già nel 2008, davanti agli effetti prodotti in Giordania dall'attività di decine di predicatori, i capi delle Chiese insediate nel Regno hascemita avevano espresso in un documento la loro condivisa preoccupazione. “I Testimoni di Geova e i militanti di altre sétte” riferisce padre Bader “vanno per città e villaggi e fanno propaganda anche presso le famiglie musulmane. Citano la loro Bibbia e il loro Vangelo. Anche quando non condividono la fede trinitaria, parlano di Gesù, e vengono percepiti come cristiani. In questo modo, fanno confusione e violano il tradizionale rispetto per cui nella nostra società ogni comunità religiosa evita di fare proselitismo tra i menbri degli altri gruppi”. Secondo il sacerdote giordano, il fenomeno rappresenta anche una provocazione pastorale: ”se i nostri fedeli subiscono il richiamo delle sètte, vuol dire che non hanno assaporato davvero la ricchezza della fede in cui pure sono stati educati”. Nello stesso tempo, padre Bader non ritiene che il suo allarme esprima una concezione contraria alla libertà religiosa: “Auspichiamo tutti che anche nel mondo arabo si affermino in senso pieno la libertà religiosa e la libertà di coscienza. Ma i metodi di proselitismo aggressivo, rivolti a comunità di credenti, non possono essere giustificati col richiamo a questi principi”. (R.P.)

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    India: nel Karnataka timori dei cristiani per raduno di fondamentalisti indù

    ◊   C'è grande preoccupazione tra la comunità cristiana del Karnataka per l'imminente convegno della Rashtriya Sawayamsevak Sangh (Rss), uno dei gruppi ultranazionalisti indù più violenti nei confronti delle minoranze etniche e religiose dell'India. La convention si terrà a Mangalore il prossimo 3 febbraio e Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), chiede alla National Human Rights Commission (Nhrc) e al chief minister dello Stato di "garantire ai cristiani speciale protezione per la loro vita, le loro proprietà e la libertà di culto, in pubblico e in privato". Dal 2008 il Karnataka è governato dal Bharatiya Janata Party (Bjp), partito ultranazionalista indù vicino a gruppi come la Rss, che sono spesso autori di violenze e persecuzioni contro la minoranza cristiana. Fra tre mesi la popolazione tornerà al voto per eleggere il nuovo governo, e secondo Sajan George "il Bjp vuole usare il convegno per consolidare la propria base elettorale e riaffermare la sua identità nazionalista". "In Karnataka - sottolinea il presidente del Gcic - ci sono già tentativi di inculcare l'hindutva [ideologia indù], a partire dai libri di testo. Al convegno sono attesi almeno 100mila seguaci della Rss: questa mobilitazione potrebbe trasformarsi in attacchi contro i cristiani". Nel 2008, in coincidenza con i pogrom anticristiani dell'Orissa, il Karnataka ha registrato attacchi contro le chiese locali e le comunità, e da tempo è uno degli Stati più "pericolosi" per la minoranza. Secondo un rapporto del Gcic sui dati relativi alla persecuzione anticristiana, il Karnataka ha "primeggiato" anche nel 2012, con 41 casi di violenza su 135 attacchi in tutta l'India. (R.P.)

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    Usa: i vescovi salutano l’accordo bipartisan sulla riforma dell’immigrazione

    ◊   “Un primo passo importante”: così i vescovi degli Stati Uniti salutano l’accordo bipartisan siglato al Senato sulla riforma dell’immigrazione. Grazie all’intesa, raggiunta da un comitato paritetico composto da quattro repubblicani e quattro democratici, il varo definitivo della nuova normativa potrebbe avvenire già entro questa primavera. Tra i punti salienti dell’accordo: la definizione di un percorso verso la piena regolarizzazione degli stranieri presenti illegalmente sul territorio statunitense (stimati in circa 11 milioni) e nuove norme per facilitare i ricongiungimenti familiari, temi da tempo all’attenzione dell’episcopato. In una nota firmata da mons. José H. Gomez, presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale (Usccb), i vescovi sottolineano che “è fondamentale che l’accordo quadro contempli un percorso che consenta agli immigrati privi di documenti di uscire dall’ombra e avere la possibilità di diventare cittadini degli Stati Uniti, così da dare speranza a milioni di persone”. Pur rilevando che l’accordo è migliorabile in diversi punti, come ad esempio in materia di tutele sul lavoro degli immigrati, la nota assicura l’impegno dell’episcopato a collaborare con il Congresso per una riforma che sappia conciliare la tutela della dignità e dei diritti umani fondamentali degli immigrati con la necessaria salvaguardia della sicurezza delle frontiere. Da molto tempo i vescovi americani chiedono una riforma complessiva, a livello federale, del sistema dell’immigrazione e hanno ripetutamente espresso la loro preoccupazione per le leggi introdotte in alcuni Stati come l’Arizona che hanno imposto un pesante giro di vite contro gli immigrati. Ogni anno la Conferenza episcopale dedica al tema dell’immigrazione una Settimana di riflessione. Quest’anno, l’iniziativa si è svolta dal 6 al 12 gennaio sul tema “Non siamo più stranieri: il nostro viaggio della speranza continua”. La Settimana ha anche celebrato l’anniversario della pubblicazione della lettera congiunta dei vescovi di Stati Uniti e Messico sull’immigrazione. (L.Z.)

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    Cina: condannato a morte un monaco tibetano. Per Pechino “istigava” le autoimmolazioni

    ◊   Un monaco tibetano è stato condannato a morte oggi da una Corte cinese della provincia del Sichuan per aver istigato otto persone ad autoimmolarsi. Oltre a lui, il tribunale ha condannato un altro tibetano - nipote del primo - a 10 anni di prigione. Sui due pesa l'accusa di omicidio volontario. Come riporta l'agenzia ufficiale Xinhua, 130 persone hanno assistito al verdetto. Per il momento, la Corte ha sospeso per due anni la pena di morte comminata a Lorang Konchok, 40 anni, che potrebbe così commutarsi in carcere a vita. Tuttavia, le autorità cinesi hanno revocato a vita i diritti politici del monaco. Il nipote Lorang Tsering, 30 anni, sconterà "solo" 10 anni di prigione, perché avrebbe agito su ordine di Konchok. I suoi diritti politici sono stati sospesi per tre anni. Secondo i giudici, membri del governo tibetano in esilio a Dharamsala e media stranieri avrebbero collaborato con Lorang Konchok per diffondere la notizia delle autoimmolazioni, che il regime cinese ha sempre cercato di mettere a tacere. L'uomo è un lama Geshe del monastero di Kirti, a cui appartenevano molti monaci che hanno scelto di autoimmolarsi. Dal 2009 a oggi almeno 100 tibetani si sono dati fuoco per protestare contro il regime cinese e per chiedere il ritorno del Dalai Lama in Tibet. (R.P.)

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    Centrafrica: accuse tra governo e ribelli. Pace a rischio

    ◊   I ribelli del Seleka hanno accusato il presidente Francois Bozizé di non onorare l’accordo di pace firmato due settimane fa a Libreville, in Gabon, che ha sospeso l’offensiva delle milizie armate arrivate in poco tempo a controllare buona parte del nord. La coalizione ribelle (Seleka vuol dire appunto Alleanza in lingua sango, ndr) accusa il capo di Stato di aver ‘accantonato’ di fatto la nomina di un ministro della Difesa e di continuare a svolgerne il ruolo. L’intesa raggiunta nella capitale gabonese prevedeva che le forze di opposizione nominassero un primo ministro e il Seleka un ministro della Difesa Nicolas Tiangaye, esponente dell’opposizione, era stato quindi nominato a guidare l’esecutivo, ma il presidente sembra prendere tempo sulla nomina di un nuovo capo della Difesa. Bozizé, nei giorni scorsi, ha accusato i ribelli di aver violato il cessate-il-fuoco e di essersi resi responsabili di episodi di violenza e saccheggi in alcune località del nord. Secondo l’intesa di Libreville, la transizione che verrà avviata da Bangui durerà 12 mesi, durante i quali il contestato presidente François Bozizé non potrà destituire il capo del governo. Alla fine di questo periodo sono previste elezioni legislative. Inoltre il presidente, al potere dal 2003 con un colpo di stato, si è impegnato a non candidarsi per un nuovo mandato nel 2016. (R.P.)

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    Colombia. Il governo replica alle Farc: minacciano il processo di pace

    ◊   “L’ordine del presidente alla forza pubblica è quello di continuare a perseguire le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia). L’ordine impartito a questa delegazione è di continuare a lavorare per raggiungere un accordo e mettere fine alla guerra. Non ci distoglieremo da questo obiettivo”. L’ex vice presidente e capo negoziatore del governo al processo di pace dell’Avana, Humberto De la Calle, ha replicato in questo modo al comunicato con cui la delegazione guerrigliera rappresentata al processo di pace - riferisce l'agenzia Misna - ha rivendicato il “diritto” dei ribelli a continuare a detenere elementi delle forze di sicurezza in qualità di prigionieri di guerra. Una nota diffusa dopo il sequestro, lo scorso fine settimana, di due agenti di polizia nel dipartimento sud-occidentale di Valle del Cauca, a cui sarebbe seguito, ieri, il rapimento di tre ingegneri dipendenti di un’azienda petrolifera, sempre nella regione del Cauca. “Mentre la comunità internazionale sottolinea che non è per mezzo delle armi che si ottengono i cambiamenti e appoggia genericamente il negoziato, le Farc danno questa risposta sbagliata che minaccia il processo di pace. Andiamo all’Avana per concludere il conflitto, perché è ciò che abbiamo deciso. Se non fosse così, lo dicessero chiaro per non far perdere tempo al governo” ha aggiunto De la Calle leggendo una nota ufficiale prima di ripartire per Cuba. “Non ci lasceremo fare pressione per fermare le operazioni militari” ha detto ancora il capo negoziatore del governo riferendosi alla tregua unilaterale decretata dalle Farc fra il 20 novembre e il 20 gennaio scorsi, che non è servita comunque a convincere l’esecutivo a fare altrettanto. La fine dei sequestri era stata posta come condizione dal presidente Juan Manuel Santos per avviare colloqui di pace. Nel febbraio dell’anno scorso le Farc si erano impegnate a rinunciare ai rapimenti a scopo di estorsione liberando anche gli ultimi 10 ostaggi in uniforme ancora nelle loro mani. Tuttavia, anche nell’annuncio della delegazione all’Avana, hanno precisato che la cosiddetta ‘Ley 002’, una sorta di norma interna fissata dal gruppo armato, “resterà vigente in merito all’imposta per il finanziamento”: si tratta di una “regola” di cui si venne a conoscenza durante il precedente negoziato di pace del Caguán (1998-2002, infine fallito), in base alla quale qualsiasi persona con un patrimonio superiore al milione di dollari è obbligata a versarne il 10% alla guerriglia per non essere sequestrato. (R.P.)

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    Circa 300 rifugiati sudanesi al giorno arrivano in Sud Sudan

    ◊   Sono più di 177mila i rifugiati provenienti dal Sud Kordofan ospitati dal Sud Sudan, soprattutto nell’insediamento di Yida (che da solo accoglie 61mila persone) nello Stato di Unity. Per far fronte ai nuovi arrivi l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha avviato l’apertura il 1° marzo di un nuovo campo ad Ajuong, sempre nello stesso Stato. Per preparare la popolazione locale all’arrivo di decine di migliaia di rifugiati - riferisce l'agenzia Fides - l’Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Unocha) ha organizzato un incontro tra i leader del campo di Yida e i capi dei villaggi dell’area di Ajuong. Sono stati discussi i problemi della ripartizione dei pascoli, della raccolta della legna e delle condizioni di sicurezza. Secondo l’Unhcr “ogni giorno circa 300 rifugiati arrivano in Sud Sudan. La situazione resta fluida e fino a 60mila nuovi rifugiati potrebbero raggiungere il Paese nei prossimi 5 o 6 mesi, durante la stagione asciutta”. Il Sud Kordofan, Stato del Sudan al confine nel Sud Sudan, è teatro di un conflitto tra l’esercito di Khartoum e i ribelli dell’Splm-N (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord). (R.P.)

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    Svizzera: la Caritas destina 100mila franchi per i rifugiati del Mali

    ◊   Sono centomila i franchi svizzeri che la Caritas elvetica ha stabilito di destinare agli aiuti per i rifugiati del Mali: da diverso tempo, infatti, 60mila maliani del nord hanno lasciato le loro case, in seguito agli scontri tra ribelli e truppe francesi, rifugiandosi nel centro e nel sud del Paese, mentre altri 9mila sono fuggiti nelle nazioni vicine. Oltre al sostegno monetario, la Caritas ha organizzato anche aiuti alimentari e sanitari per gli sfollati. “I rifugiati interni – spiega Mamadou Diarra, rappresentante della Caritas Svizzera in Mali – sono per lo più ospitati ed accolti dalla popolazione locale; ma le famiglie del Paese non hanno risorse sufficienti per continuare ad aiutarli oltre qualche settimana”. Da notare, inoltre, che la popolazione sfollata è composta soprattutto da donne e bambini, con un tasso di malnutrizione che supera il 6%. Gli aiuti della Caritas, quindi, prevedono la distribuzione di cereali, olio, latte e prodotti proteici. L’organizzazione metterà a disposizione anche prodotti igienici ed un presidio sanitario gratuito per la cura della malaria endemica. L’obiettivo è quello di aiutare, nel complesso, 20mila famiglie sfollate e 4mila famiglie ospitanti. (I.P.)

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    Rwanda. Il nunzio all'Assemblea Caritas: "Mostrate solidarietà nella fede"

    ◊   “L’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per commemorare i 50 anni del Concilio Vaticano II, deve essere un’occasione per dimostrare la necessità della solidarietà nella fede”: sono le parole di mons. Luciano Russo, nunzio apostolico in Rwanda. Il presule è intervenuto all’Assemblea annuale della Caritas del Paese, presieduta da mons. Thaddé Ntihinyurwa. “C’è bisogno – ha detto mons. Russo – di una solidarietà nuova che vada al di là del semplice aiuto materiale: c’è bisogno di una solidarietà dello spirito”, perché “sebbene la dimensione caritativa e sociale sia un elemento fondamentale, è lo spirito di comunione che rappresenta un aspetto di notevole importanza per la missione della Chiesa”. Definendo, poi, la Caritas del Rwanda “un’istituzione meritevole”, il presule ha colto l’occasione per ringraziare tutti coloro che dedicano “il loro tempo, le loro energie, il loro zelo e le loro competenze professionali ad offrire risposte sempre più adeguate ai bisogni dei poveri, dei bisognosi e degli emarginati”. Quindi, mons. Russo ha evidenziato come “le opere caritative e sociali della Chiesa cattolica non consistono affatto in attività opzionali o marginali, bensì esse sono una dimensione fondamentale della sua missione”. Infine, il nunzio in Rwanda ha richiamato quanto scritto da Benedetto XVI nella sua prima enciclica, Deus Caritas est, ovvero che “l'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio, celebrazione dei Sacramenti, servizio della carità”, compiti che, come afferma il Papa, “si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro”, perché “la carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”. (I.P.)

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    Kenya: nuovo appello dei vescovi in vista delle elezioni del 4 marzo

    ◊   Un cuore e uno spirito rinnovati per il bene del Kenya. È quanto chiedono i presuli cattolici di fronte agli scontri e alle violenze politiche che hanno attraversato il Paese negli ultimi giorni. Un appello rivolto all’intera nazione in vista delle elezioni presidenziali del 4 marzo prossimo, con l’obiettivo, appunto, di arginare i pesanti eccessi che hanno caratterizzato la recente tornata di primarie, nel corso delle quali una persona è morta e altre cinquanta sono rimaste ferite. Ma, soprattutto, l’intento è quello di scongiurare il ripetersi del bagno di sangue avvenuto nel 2008 quando, come si ricorderà, almeno mille persone furono massacrate durante gli scontri post-elettorali. In un documento pubblicato sul sito della Conferenza episcopale e ripreso dall’Osservatore Romano, i presuli si dicono increduli per come “i partiti hanno condotto le loro primarie in totale disprezzo delle regole del diritto e i principi della democrazia”. Infatti, affermano, “abbiamo assistito a disordini, alla corruzione degli elettori, alla pianificazione dei brogli, al nepotismo, al totale disprezzo per i diritti democratici del popolo” e tutto ciò “nonostante la nuova Costituzione”. Di qui, il forte invito rivolto in primo luogo alla commissione elettorale perché eserciti fino in fondo il suo mandato con l’autorità e l’indipendenza necessari “per conquistare la fiducia dei keniani”. Secondo i vescovi le attuali sfide sono “superabili”, considerata la volontà dei cittadini di evitare il ripetersi degli scontri del 2008. Tutto questo, però, richiede “lo sforzo congiunto di tutti i keniani di non votare i leader assetati di potere. Per i vescovi c’è “bisogno di una nuova mentalità che metta il popolo al primo posto. Un nuovo spirito di onestà e integrità, giustizia e ordine, che metta al primo posto gli interessi del popolo”. I presuli, ritengono insomma che il popolo keniano “meriti di meglio”», molto di meglio di quanto finora abbia dimostrato l’attuale classe politica. «Per mettere alle nostre spalle l’orrore di cinque anni fa, ci meritiamo la possibilità di tenere elezioni libere e leali, e la possibilità di votare senza paura e intimidazione”. In questo senso, i vescovi esprimono alcune indicazioni. In primo luogo, invitano i candidati a impegnarsi pubblicamente per il rispetto delle regole, per una campagna elettorale pacifica e per l’utilizzo di percorsi legali e non violenti nell’eventualità di contestazione dei risultati. I leader politici vengono anche invitati a non fomentare le divisioni etniche, la corruzione e la strumentalizzazione dei giovani per provocare situazioni di caos. La magistratura, a sua volta, dovrebbe assicurare un intervento tempestivo per cancellare subito ogni dubbio su questioni controverse. (L.Z.)

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    Panama: "Patto Etico Elettorale" dei vescovi in difesa della democrazia

    ◊   La Conferenza episcopale di Panama ha preparato una bozza del progetto di "Patto Etico Elettorale" volto a ricercare un accordo sociale, in particolare tra le organizzazioni politiche, in modo che il processo elettorale del 2014 si possa svolgere in un clima di responsabilità e di rispetto. In un comunicato inviato all'agenzia Fides, l'arcivescovo di Panama e presidente del Consiglio della comunicazione della Conferenza episcopale, mons. José Domingo Ulloa, afferma: "Il Patto Etico è solo un mezzo per aiutare i cittadini ad assumersi la responsabilità d'incoraggiare i candidati, in modo che nelle prossime elezioni, si riesca rafforzare la democrazia con veri progetti e dibattiti concreti". Mons. Ulloa ha aggiunto anche che tutti i gruppi politici hanno espresso la volontà di firmare il patto che sarà pronto per il mese di febbraio e così, finalmente, evitare gli eventi di violenza e lo squallido dibattito politico delle elezioni passate. (R.P.)

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    Brasile. Il card. Braz de Aviz: "La Gmg rafforzerà l'identità della Chiesa latinoamericana"

    ◊   “La Gmg avrà una eco profonda in Brasile e in tutta l’America latina dove è forte la presenza di giovani aperti alla ricerca spirituale e al senso della vita. La visita di Benedetto XVI, che è una figura significativa per il nostro Continente, è un’opportunità splendida per rafforzare questa identità che non è solo della Chiesa di Rio ma di tutta l’America Latina”. Nelle parole del cardinale brasiliano Joao Braz De Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, c’è tutta l’attesa per la prossima Gmg che si svolgerà a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio di questo anno. Tutto è quasi pronto a Rio per accogliere i pellegrini, ne sono attesi circa due milioni, in buona parte dal Continente latino-americano, spiega il cardinale che all'agenzia Sir rivela che “all’inizio del cammino organizzativo le Autorità della città avevano la testa rivolta soprattutto ai mondiali di Calcio del 2014 e alle Olimpiadi del 2016, e non avevano ben compreso la dimensione della Gmg. Se i mondiali possono portare in Brasile circa mezzo milione di persone, la Gmg ne porterà circa due milioni, un numero che ha stupito le Istituzioni. Non mancano i problemi sul campo ma l’impegno nel risolverli concretamente è forte grazie anche all’intesa tra la città di Rio e la Santa Sede”. A preoccupare è la sicurezza visto il tasso di criminalità della città carioca. Rassicurante a riguardo il Prefetto: “ci sono stati sviluppi molto positivi in questo senso negli ultimi anni. Le Forze dell’ordine hanno ripreso il controllo di diverse favelas in mano alla criminalità. La Polizia sta riuscendo a contenere la criminalità combattendo anche la corruzione al suo interno”. Un cenno particolare il cardinale lo riserva all’aspetto missionario e sociale della Gmg che potrebbe essere considerato retaggio della teologia della liberazione che ancora pervade il Continente latino-americano: “Non si può ricercare la soluzione dei problemi sociali al di fuori della visione della fede e non può esserci un rapporto con Dio senza un impegno sociale profondo”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 31

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