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Sommario del 30/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: Dio è Padre di tutti, la sua onnipotenza è la compassione
  • Mons. Bortolaso, già vicario apostolico di Aleppo: la Siria ha bisogno di ritrovare unità
  • Consegnati al Papa gli atti del Simposio sugli abusi su minori da parte del clero
  • Il Papa nomina il nuovo vescovo di Quibdó in Colombia
  • Negoziati Israele-Santa Sede: progressi significativi
  • Al card. Vegliò l'onorificenza "Stella della Romania" al Seminario su "Migrazioni e solidarietà nella fede"
  • Pio XII e i dollari anti-Hitler. Gian Maria Vian: quello del "Guardian" è falso scoop
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Mali. Denuncia di Intersos: è dramma umanitario, ma soldi per aiuti non arrivano
  • Convegno sui diritti in Iran: società in crisi, economia in caduta verticale
  • Usa: ottimismo sulla riforma della legge sull'immigrazione
  • La Cina soffoca: inquinamento record a Pechino
  • India. Donne disabili, ultime tra le ultime: le iniziative di Pangea
  • Regno Unito. I vescovi: no a legge su nozze gay, non tutela bambini né libertà di coscienza
  • Carceri: al via la campagna per introdurre in Italia il reato di tortura
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: orrore della Chiesa armeno cattolica per il massacro di Aleppo
  • Egitto. I vescovi cattolici: la rivoluzione ha ripreso vigore
  • Libano: alla Via Crucis del Papa i giovani esprimeranno i dolori del Medio Oriente
  • Congo: sui negoziati di pace a Kampala c'è delusione nel nord Kivu
  • Mozambico: oltre 50 mila persone a rischio per le inondazioni
  • Centrafrica: nonostante gli accordi di pace continuano le violenze sui civili
  • Filippine. I vescovi: non farsi intimorire dai problemi del Paese ma restare fermi nella fede
  • Caritas filippina: a Mindanao 800 mila sfollati per il tifone Bopha
  • Pakistan. Punjab: prosciolto in appello un cristiano condannato a morte per blasfemia
  • Venezuela: nota della Chiesa per i tragici eventi nel carcere di Uribana
  • Argentina: mons. Bressanelli chiede l’intervento dello Stato contro la droga
  • India: i dieci punti della Chiesa per l’Anno della Fede
  • Malawi: dimezzati i fondi per i farmaci contro l’Aids
  • Polonia: riconoscenza dei vescovi per coloro che hanno votato contro le unioni di fatto
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: Dio è Padre di tutti, la sua onnipotenza è la compassione

    ◊   La vera onnipotenza sta nell’avere compassione, così come Dio l’ha per ogni persona: è così che Dio dimostra il suo amore e la sua paternità verso l’uomo. Benedetto XVI l’ha affermato questa mattina dell’udienza generale in Aula Paolo VI, proseguendo nella sua riflessione sulla preghiera del “Credo”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Dire di credere “in Dio Padre onnipotente” è ritenere che anche l’essere umano più piccolo possa sentirsi figlio dell’immensamente grande: un figlio amato come nessun padre umano potrà mai fare. E proprio per spiegare la vastità di fede che si condensa nelle prime parole del Credo – la paternità e l’onnipotenza di Dio – Benedetto XVI ha paragonato Dio Padre all’uomo padre, il quale – ha osservato – spesso esercita questo ruolo in contesti di famiglie spezzate e preoccupazioni soverchianti, che “possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli:

    “La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia”.

    La vista di questo scenario sarebbe scoraggiante se l’Antico e soprattutto il Nuovo Testamento non intervenissero a mostrare le “qualità” dell’amore paterno di Dio per gli uomini:

    “Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità (...) L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all’estremo, fino a sacrificio del Figlio (...) Noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita eterna”.

    La “certezza” di questa presenza paterna arriva dalla fede, ma – ha affermato Benedetto XVI – anche dalla storia, che duemila anni fa ha visto il Figlio di Dio morire sulla Croce e poi risorgere, segno tangibile di un amore mai visto. Eppure, ha riconosciuto, proprio la croce potrebbe far sorgere dubbi sull’“onnipotenza divina”:

    “Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio ‘onnipotente’ che risolva i problemi, che intervenga per evitarci le difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore (…) In realtà, davanti al male e alla sofferenza, per molti, per noi, diventa problematico, difficile, credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza 'magica' e nelle sue illusorie promesse”.

    “Oggi – ha commentato il Papa – diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non potrebbe esserci così tanta sofferenza, tanto male nel mondo. Ma il fatto è, ha proseguito, che quella di Dio è una “onnipotenza diversa”:

    “In realtà, Dio, creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando il potere della nostra libertà (...) La sua onnipotenza non si esprime nella violenza, non si esprime nella distruzione di ogni potere avverso come noi desideriamo, ma si esprime nell’amore, nella misericordia, nel perdono (…) in un atteggiamento solo apparentemente debole (…), fatto di pazienza, di mitezza e di amore, dimostra che questo è il vero modo di essere potente! Questa è la potenza di Dio! E questa potenza vincerà!”.

    Ripetendo, in un tweet successivo all’udienza generale, che “ogni essere umano è amato da Dio Padre”, e aggiungendo: “Nessuno si senta dimenticato, perché il nome di ciascuno è scritto nel Cuore del Signore”, il Pontefice ha concluso la catechesi indicando cosa consista la “vera, autentica e perfetta potenza divina”:

    “Rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita”.

    Al termine delle catechesi nelle varie lingue, Benedetto XVI ha espresso dato spazio a una sua ricorrente preoccupazione per ciò che riguarda la formazione cristiana. Nel salutare i fedeli dell’arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsiconuovo e ringraziare ancora la Regione Basilicata per il presepe allestito quest’anno in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha detto:

    “Cari amici, continuate a dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i Sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita nella fede”.

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    Mons. Bortolaso, già vicario apostolico di Aleppo: la Siria ha bisogno di ritrovare unità

    ◊   Tra i saluti in varie lingue di Benedetto XVI all’udienza generale di oggi vi è stato quello al gruppo di vescovi amici del Movimento dei Focolari, che in questi giorni a Roma partecipano al loro incontro annuale. “Assicurando la mia preghiera - ha detto loro il Papa - auspico che il carisma dell’unità a voi particolarmente caro, possa sostenervi e animarvi nel vostro ministero apostolico”. Tra i partecipanti, anche il vescovo emerito mons. Armando Bortolaso, per 10 anni vicario apostolico dei Latini per la Siria, con sede ad Aleppo, e ora residente a Beirut. Adriana Masotti ha raccolto la sua testimonianza:

    R. – Quand’ero ad Aleppo mi sono detto: tu, vescovo dei Latini, che significa per te il tuo lavoro in un contesto così diverso, così variegato? Tu non sei il vescovo dei Latini di Siria, ma sei il vescovo di Gesù e come vescovo di Gesù hai tanti più fedeli che non solo i latini. Per questo ho cercato di creare legami di amicizia con i musulmani, cominciando dal muftì della città di Aleppo, dagli ortodossi, per poi di portare questa unità anche in seno ai miei confratelli cattolici di vari Patriarcati. E ci sono stati frutti molto belli. L’unità in un Medio Oriente così diviso, così differente, così variegato, è una priorità. Ed è quello che, mi sembra, ho cercato di fare.

    D. – Ora, lei vive a Beirut, ha lasciato Aleppo, ma immagino seguirà quello che sta succedendo. Anche oggi, c’è stata questa notizia dei morti trovati in un fiume… Con il sentimento dell’unità nel cuore, come vive questo momento travagliato della Siria?

    R. – E’ un momento molto doloroso. Ma, insieme ad altri vescovi cattolici del Libano dei vari Patriarcati, amici dei Focolari, con cui ci incontriamo, cerchiamo di venire incontro ai rifugiati siriani e particolarmente ai cristiani in modo che restino in Libano e non siano tentati di emigrare altrove e di lasciare definitivamente le loro chiese. Noi cerchiamo di incoraggiare questi cristiani, di aiutarli nei limiti del possibile, affinché si fermino in Libano e, passata la tormenta, possano riprendere il cammino e non lasciare definitivamente il loro Paese, perché sarebbe un impoverimento: sarebbe la scomparsa dei cristiani dal Medio Oriente.

    D. - In generale, per questa situazione in Siria, lei cosa auspica?

    R. – Ci sono molte chiavi di lettura di quello che sta succedendo nel Medio Oriente. A me pare si voglia far prevalere una certa politica per cui bisogna spezzettare, dividere, questi Paesi a seconda delle appartenenze etniche o religiose, pretendendo che la convivenza pacifica non sia possibile. Noi andiamo proprio in senso contrario: invece che sullo scontro delle culture, noi puntiamo sull’incontro. E finora, anche nella storia di questi Paesi del Medio Oriente, abbiamo visto che questa convivenza pacifica è stata possibile. Perché adesso non dovrebbe essere più valido questo principio? La soluzione ai problemi in Medio Oriente è lavorare insieme per la convivenza, le altre soluzioni sono non vere, sono artificiali.

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    Consegnati al Papa gli atti del Simposio sugli abusi su minori da parte del clero

    ◊   Benedetto XVI, al termine dell'udienza generale, ha salutato il padre gesuita Hans Zollner, direttore del Centro per la protezione dei minori e preside dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana. Il sacerdote ha consegnato al Papa il volume in tedesco degli atti del Simposio internazionale svoltosi un anno fa alla Gregoriana sulla questione degli abusi compiuti su minori da esponenti del clero e intitolato “Verso la guarigione e il rinnovamento”. All’incontro col Papa era presente anche il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Il prossimo 5 febbraio si terrà nel pomeriggio, sempre presso l’Università pontificia, un nuovo incontro per presentare gli atti del Simposio di un anno fa, nonché le attività del Centro per la protezione dei minori e del Programma di E-learning, una piattaforma di apprendimento basata su internet per favorire una maggiore consapevolezza riguardo la realtà degli abusi nella Chiesa e nella società, l’aiuto appropriato per le vittime, la conoscenza delle misure canoniche previste e la creazione di un clima di ascolto e di sensibilità nei confronti dei minori e dei più deboli.

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    Il Papa nomina il nuovo vescovo di Quibdó in Colombia

    ◊   Benedetto XVI ha nominato Vescovo della diocesi di Quibdó (Colombia) il Rev.do Juan Carlos Barreto Barreto, del clero della diocesi di Espinal (Colombia), finora Rettore del Seminario Maggiore diocesano "La Providencia". Il Rev.do Juan Carlos Barreto Barreto è nato a El Guamo, diocesi di Espinal, il 26 dicembre 1968. Ha compiuto gli studi di Filosofia e di Teologia nel Seminario Maggiore Missionario dell’"Espíritu Santo" della diocesi di Sonsón – Rionegro. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. E’ stato ordinato sacerdote il 30 gennaio 1993, per il clero della diocesi di Espinal. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi pastorali: Parroco di "Nuestra Señora de Chiquinquirá" e Delegato diocesano per l’Infanzia Missionaria, Vicario Parrocchiale della Cattedrale "Nuestra Señora del Rosario", Parroco di "El Divino Niño", Delegato diocesano per i "Grupos de Oración", Formatore del Seminario Maggiore diocesano "La Providencia", Delegato diocesano per la liturgia, Delegato diocesano per la pastorale sacerdotale e vocazionale e, dal 2008, Rettore del Seminario Maggiore diocesano "La Providencia".

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    Negoziati Israele-Santa Sede: progressi significativi

    ◊   Israele e Santa Sede hanno avuto ieri a Gerusalemme un incontro "serio e costruttivo" nel quadro del negoziato sulle questioni economiche e fiscali che riguardano la Chiesa cattolica in Terra Santa. Un comunicato congiunto della Commissione bilaterale permanente di lavoro "ha preso atto del fatto che sono stati compiuti progressi significativi e auspica una rapida conclusione dell'accordo”. La delegazione della Santa Sede, guidata dal sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Ettore Balestrero, ha ringraziato il viceministro degli Esteri israeliano Ayalon per il suo contributo ai colloqui. I negoziati sono relativi all’articolo 10 paragrafo 2 dell’Accordo fondamentale firmato tra Israele e Santa Sede nel 1993. Le parti hanno concordato di rivedersi in riunione plenaria il prossimo giugno in Vaticano.

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    Al card. Vegliò l'onorificenza "Stella della Romania" al Seminario su "Migrazioni e solidarietà nella fede"

    ◊   “Sincero apprezzamento per un gesto che, nella mia persona, il governo di Romania rivolge alla Santa Sede e, in particolare, come attestazione di ossequio al Santo Padre”. Lo ha espresso il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ricevendo l’onorificenza dell’Ordine Nazionale "Stella della Romania" nell’ambito di un Simposio sul tema: "Migrazioni e solidarietà nella fede". A promuoverlo, ieri sera a Roma, l’Ambasciata della Romania presso la Santa Sede in collaborazione con il dicastero vaticano, la Comunità di Sant’Egidio e la Diocesi Ortodossa Romena d’Italia. Oggi, ha detto nel suo intervento il cardinale Vegliò, citando Benedetto XVI, le migrazioni sono una realtà diffusa che, non di rado, “invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza diventa un «calvario» per la sopravvivenza”. Anche la Romania, ha continuato, “ha dovuto confrontarsi negli ultimi decenni con non pochi problemi migratori. Si stima che oggi circa tre milioni di rumeni lavorino all’estero, in particolare in Spagna, in Italia, in Irlanda e in Germania”. Perché l’immigrazione possa garantire la dignità di ogni persona e rappresentare un itinerario di civiltà, ha affermato il porporato, “chi ha responsabilità di governo è chiamato ad agire sul piano della progettazione, per individuare e realizzare modelli di integrazione e di coesione, aggregando tutte quelle forze sociali, culturali, educative, istituzionali ed ecclesiali che ne hanno competenza”. Ma qual è stato l’andamento dei flussi migratori dei romeni in Italia? Adriana Masotti lo ha chiesto ad Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio:

    R. - Questo è un fenomeno emigratorio - immigratorio in Italia - dei romeni, che effettivamente si colloca dall’89 in poi, dopo la fine della dittatura di Ceausescu. Quella data ha segnato comunque l’inizio di una nuova Romania, quindi di un’apertura all’estero, all’Europa ed in particolare all’Italia. Devo dire che tra i due Paesi c’è una certa affinità di tipo storico: nel secondo dopoguerra, una delle più grandi immigrazioni in Romania - quindi, al contrario, quella dei popoli stranieri entrati in Romania - è stata proprio quella italiana, soprattutto nella zona della Transilvania. Dagli anni’90 fino al 2000, effettivamente, c’è stata un’emigrazione dalla Romania che è andata crescendo numericamente. Teniamo sempre presente quando parliamo di emigrazione di romeni in Italia, di un fenomeno interessante anche per un altro verso: l’emigrazione dei romeni è un’emigrazione di cristiani e soprattutto di cristiani ortodossi. Si riteneva che in Italia fosse l’islam la seconda appartenenza religiosa dopo quella cristiana cattolica, in realtà è diventata quella del cristianesimo ortodosso, grazie proprio alla presenza molto vasta dei romeni in Italia, tanto da essersi stabilita qui una diocesi ortodossa romena, con mons. Siluan, fatto vescovo nel 2004. Ora, questa storia di immigrazione evidentemente ha presentato dei problemi: soprattutto negli anni ’90 e all’inizio del 2000, per un certo pregiudizio e per una certa idea sui romeni, si legava molto il discorso tra zingari e romeni, rom e romeni, confusione che si fa nella stessa Romania. Poi c’è stato un passaggio, secondo me, abbastanza interessante - quello del gennaio 2007 - quando la Romania è entrata nell’Unione Europea. Questo salto ha permesso un certo sviluppo della Romania, tant’è che abbiamo assistito nel 2007 e nel 2008 ad un ritorno in patria di diversi immigrati romeni, perché ad un certo punto c’era quasi più possibilità di lavoro - soprattutto nella manovalanza e nell’edilizia - in Romania, che in Italia. A questo però ha fatto seguito - per problemi di grossa fragilità politica interna, a fine 2008 inizio 2009 in poi - di nuovo un crollo, una crisi, un indebitamento, per cui la situazione economica del Paese è tornata ad essere profondamente problematica. Solo in questi ultimi tempi c’è un nuovo governo che, in qualche modo, presenta una certa stabilità, ma forse è ancora troppo presto per dirlo. Da un punto di vista di immigrazione dei romeni in Italia, oggi c’è, tutto sommato, una certa stabilità da un punto di vista numerico.

    D. - Alla luce di tutto questo, ci sono delle cose che non sono andate bene nella gestione di questi flussi immigratori? E oggi, cosa si può fare di più, anche da parte delle comunità ecclesiali per un rapporto più integrato tra italiani e romeni?

    R. - Per la prima domanda, se qualcosa non è stata fatta bene, questo vale per i romeni ma vale anche per tante altre forme di immigrazione. Non dobbiamo mai dimenticare, che comunque qualsiasi tipo di immigrazione è anche una grande chance, una grande risorsa di energie e di lavoro per il Paese che ospita. Questo non va mai dimenticato, perché in fondo si tratta dell’altra faccia della medaglia: l’immigrazione romena in Italia ha garantito e garantisce tutta una serie di lavori, di forza lavoro, di sostegno al Paese Italia, che gli italiani non fanno, dall’edilizia, alle badanti per gli anziani. Quindi, c’è un aspetto positivo e questo è stato gestito poco e male, tante volte con politiche molto provvisorie, non stabili e che invece dovrebbe essere fatto in maniera più costruttiva e stabile. Da un punto di vista ecclesiale, evidentemente questo discorso è importante, proprio per quello che citavo prima: la nascita di questa diocesi ortodossa di Italia, dal 2004 - ma poco più di un anno fa è stata riconosciuta a livello nazionale la personalità giuridica di questa realtà - e si prevede anche una visita del Patriarca di Romania, probabilmente entro quest’anno in Italia, un fatto importante che può spingere ad una forma di solidarietà, di collaborazione a livello ecclesiale estremamente preziosa, che evidentemente ha i suoi risvolti anche da altri punti di vista.

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    Pio XII e i dollari anti-Hitler. Gian Maria Vian: quello del "Guardian" è falso scoop

    ◊   L’Osservatore Romano torna a ribadire il ruolo fondamentale che ebbe Pio XII contro il nazismo, smontando in chiave storica il presunto scoop del quotidiano “The Guardian”. La testata londinese, lo ricordiamo, aveva insinuato il sostegno economico della Santa Sede al Terzo Reich e parlato di consistenti investimenti immobiliari seguiti “ai milioni” arrivati nelle casse vaticane da Mussolini. Nella pagina intitolata “I dollari del Papa contro Hitler”, il direttore del quotidiano della Santa Sede, Gian Maria Vian, sottolinea che “la storia non deve essere maltrattata” e ribadisce l’entità dei soldi ricevuti nel 1929 dal Vaticano. La pagina riporta anche una puntuale ricerca, basata su documenti degli archivi segreti britannici, che evidenzia l’azione di Pio XII contro il nazismo anche attraverso investimenti negli Stati Uniti. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con lo stesso direttore, Gian Maria Vian:

    R. – Un articolo senza capo né coda, che ha di nuovo rilanciato questa falsità di uno scambio vergognoso tra la Chiesa cattolica e il fascismo, che sarebbe stato riconosciuto dalla Santa Sede in cambio dei milioni di Mussolini. Ma qualsiasi studente di storia è in grado di rendersi conto che si tratta di una ricostruzione storica falsata e basata sul nulla. I milioni di Mussolini non sono altro che l’indennizzo che fu stabilito dalla Convenzione finanziaria che è parte dei Patti Lateranensi firmati nel 1929 tra Italia e Santa Sede, indennizzo molto inferiore a quello che aveva stabilito una legge italiana nel 1871 – la Legge delle Guarentigie – per compensare in qualche modo la perdita del potere temporale e l’incameramento di enormi proprietà vaticane anche private, di Congregazioni religiose, e via dicendo.

    D. – In questo articolo del "Guardian", peraltro, c’è anche un’altra insinuazione…

    R. – L’insinuazione che documenti britannici non meglio precisati attesterebbero lo schieramento della Santa Sede – e questa è un’altra sciocchezza – al fianco del nazismo e del fascismo durante la Seconda Guerra mondiale, quando è esattamente vero il contrario.

    D. – Nella vostra quinta pagina di oggi, mercoledì 30 gennaio, titolate: “I dollari del Papa contro Hitler”. La penna di Luca Possati presenta altri documenti – questa volta ben rintracciabili – emersi dagli archivi segreti britannici e pubblicati su “The Historical Journal”, proprio mentre “The Guardian” stava imbastendo il suo presunto scoop…

    R. – La rivista pubblicata dall’Università di Cambridge – una rivista di storia, l’“Historical Journal”, appunto – nel numero di dicembre è uscita con una ricerca molto interessante e innovativa, dal punto di vista storiografico, di una studiosa, Patricia McGoldrick. Questa studiosa ha lavorato ai National Archives di Londra e ha messo le mani su documenti ora resi accessibili, che erano stati microfilmati dai Servizi segreti britannici nei primi anni della Seconda Guerra mondiale: stiamo parlando del ’40-’43. Da questi documenti, risulta che anche con operazioni rocambolesche, trasferimenti via Lisbona, la Santa Sede indirizzò ingenti fondi finanziari verso gli Stati Uniti, affinché con queste somme di denaro potessero essere aiutate le Chiese e i fedeli perseguitati nei Paesi occupati dalle truppe del Terzo Reich o di Paesi schierati con Hitler, o anche a sostenere l’industria statunitense che compì uno sforzo enorme nella guerra contro Hitler.

    D. – Quindi, in sostanza: si spostano fondi dai luoghi di pericoli, di invasione, di morte, per metterli al sicuro, per poi farli ritornare e per aiutare e fare opera di contrasto. Viene creato, secondo i documenti, un canale privilegiato per l’Europa che consentì di fatto di sostenere – lo accennava anche lei prima – Chiese perseguitate ma anche le popolazioni stremate dalla guerra…

    R. – Esattamente. Si apre uno scenario completamente diverso dalla vulgata diffusa, e Possati ha ragione a dire: “E’ tutta una storia da scrivere, quella finanziaria della Seconda Guerra mondiale”. Confermando, peraltro, quello che sta emergendo da anni. Ad esempio, circa la Santa Sede e gli Stati Uniti è noto come Pio XII sia intervenuto ripetutamente sull’episcopato americano perché i cattolici non si opponessero all’alleanza del loro Paese con l’Unione Sovietica, proprio in funzione anti-hitleriana. Altre carte – ma qui apriremmo altri scenari – sembrerebbero accreditare anche un sostegno dello stesso Papa Pacelli a circoli militari conservatori tedeschi opposti alla dittatura hitleriana. Oltre, poi, a tutta l’azione umanitaria enorme che il Papa e la sua Chiesa, i suoi fedeli, sostennero per salvare con questa opera di carità silenziosa i perseguitati, in primis gli ebrei. Riassumendo: non bisogna maltrattare la storia: la storia va rispettata, i fatti vanno rispettati per quello che sono stati.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un Padre che non si stanca di noi: all'udienza generale Benedetto XVI parla dell'onnipotenza di Dio come espressione di misericordia e perdono.

    Orrore in Siria: in rilievo, nell'informazione internazionale, le violenze dopo il ritrovamento di decine di cadaveri ad Aleppo.

    Il comunicato congiunto della Commissione bilaterale permanente tra la Santa Sede e lo Stato di Israele.

    Piacque a Dio di rivelare se stesso: in cultura, l'arcivescovo Rino Fisichella su una rilettura della "Dei Verbum", il documento più bello e impegnativo del Vaticano II.

    Il patriarca scrittore che previde i tablet: la postfazione del direttore per la nuova edizione del volume di Albino Luciani "Illustrissimi. Lettere ai grandi del passato".

    Mi ero svegliato bambino e mi addormentai ebreo: Gaetano Vallini su libri dedicati alla Shoah, per non dimenticare.

    Il cardinale Pacelli e il mistero dell'oasi di Siwah: Giulia Galeotti recensisce "La lingua segreta degli dei" di Barbara Frale.

    Tornano "Gli ultimi" di Turoldo e Pandolfi: dopo cinquant'anni restaurato il film.

    Andate e testimoniate la gioia della fede: nell'informazione religiosa, la lettera - a nome di san Giovanni Bosco, di cui quest'anno ricorre il bicentenario della nascita - scritta dal rettore maggiore della Società salesiana, Pascual Chavez Villanueva, ai giovani del Movimento giovanile.

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    Oggi in Primo Piano



    Mali. Denuncia di Intersos: è dramma umanitario, ma soldi per aiuti non arrivano

    ◊   Cresce la preoccupazione per la critica situazione umanitaria in Mali, mentre proseguono le operazioni militari che vedono l’esercito francese affiancare da quello governativo nella riconquista del Nord del Paese occupato dai ribelli islamisti. A complicare lo scenario di guerra si aggiungono scontri interetnici. Intanto il primo ministro ad interim Traoré ha annunciato l’intenzione di indire elezioni politiche il prossimo 31 luglio. Roberta Gisotti ha intervistato Federica Biondi, coordinatrice di Intersos, che si trova nella capitale Bamako:

    R. – Noi di Intersos siamo presenti in Mali, nella regione di Mopti, che è la regione-tampone tra il Nord e il Sud, che accoglieva già all’inizio della crisi, nel Nord del Mali, nel gennaio 2012, più di 40 mila persone sfollate. Al momento, si registrano dei movimenti della popolazione di diversa natura. Da un lato, ci sono famiglie che si spostano di nuovo dalle zone dei combattimenti di guerra verso le zone sicure. Dall’altro, questo movimento di riconquista del Nord da parte dell’Esercito maliano e dell’esercito francese fa sì che le persone seguano gli eserciti per ritornare sin da subito, in maniera spontanea, nei loro Paesi di origine.

    D. – L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ieri in un comunicato indicava 350 mila rifugiati, fuggiti dal Nord del Mali...

    R. – Dal Nord del Mali c’è stato, sin dall’inizio della crisi, un afflusso continuo verso i Paesi limitrofi: in Mauritania, in Burkina Faso e in Niger. Noi, come Intersos, siamo presenti in Mauritania, nel campo di M'berra, dove i rifugiati al momento sono 65.210. Il numero sta crescendo vertiginosamente e ha superato il livello dei mille arrivi al giorno.

    D. – Ancora peggiore è la situazione dei rifugiati all’interno del Paese, che forse mancano anche dei servizi primari?

    R. – Sicuramente. La situazione degli sfollati interni al Mali è particolarmente preoccupante. Per prima cosa, al Nord non c’è accesso umanitario e quindi la prima questione da affrontare è quella di avere accesso ai luoghi dove assistere le persone rimaste in quell'area, probabilmente quelle più povere, che non potevano nemmeno pagarsi il trasporto per andare al Sud o nei Paesi limitrofi e, poi, assistere le persone sfollate. Oggi, l’equipe di Intersos, a Mopti, sta facendo una distribuzione di beni di prima necessità per le nuove famiglie, arrivate a seguito di questa crisi, determinata dall’intervento degli Esercito francese e maliano.

    D. – Si parla già di organizzare il possibile ritorno di alcune di queste migliaia di sfollati...

    R. – Assistiamo a un ritorno spontaneo. La comunità internazionale si sta interrogando su quale sia l’accompagnamento più corretto e consono da fare rispetto a questi ritorni: per il diritto internazionale deve essere volontario, e soprattutto deve essere garantita la sicurezza minima, per non trovarsi di fronte a movimenti di andata e ritorno, cioè di ritorno verso le zone di origine e poi di ulteriore sfollamento.

    D. – Siamo quindi di fronte ad una situazione ancora molto fluida...

    R. – Siamo di fronte ad una situazione molto fluida, alla quale stiamo cercando di dare risposta e per la quale abbiamo bisogno di avere i mezzi per rispondere. E’ una coincidenza particolare che ieri ci fosse sia la richiesta di fondi per finanziarie la campagna militare ad Addis Abeba e, nello stesso tempo, a Bamako il lancio della richiesta di fondi per gli aiuti umanitari. I fondi allocati allo sforzo bellico sono stati intensi: si parla di 445 milioni di dollari, già raccolti. Per quelli umanitari, invece, hanno chiesto 370 milioni di dollari per far fronte alla crisi del Mali nel 2013. Questa richiesta al momento è stata finanziata solo all’1%. Quindi, i bisogni ci sono e sono estremamente importanti. Bisogna poter mobilitare le risorse, per poter dare una risposta.

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    Convegno sui diritti in Iran: società in crisi, economia in caduta verticale

    ◊   Guardare all’Iran non solo per il suo programma nucleare, ma anche per la profonda crisi economica, sociale e dei diritti umani in corso nel Paese. Se ne è parlato oggi a Roma in un Convegno promosso dall'Associazione “Iran Human Right Italia”, durante il quale sono stati evidenziati problemi come la pena di morte, gli arresti dei giornalisti e degli oppositori del regime e il grave deterioramento delle condizioni della società iraniana. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Liisa Liiematainen, giornalista finlandese, profonda conoscitrice dell’Iran:

    R. – In Iran è in corso un attacco terrificante ai diritti umani, ma c’è anche un altro fenomeno, completamente dimenticato: la crisi economica e sociale, il calo verticale dell’economia iraniana; la chiusura delle fabbriche. Un deputato conservatore diceva che il sistema produttivo iraniano è operativo solo al 30%. C’è un calo forte anche dei proventi del petrolio e c’è una crisi, dunque, molto, ma molto diffusa e pesante. Quando si parla dell’Iran bisogna ricordare che esiste anche la società, con tutti i suoi problemi che vengono purtroppo spesso messi da parte. Si tende a vedere, infatti, solo l’attività del governo, con il suo programma nucleare, con il suo conflitto interno per il potere, ma non si vede la situazione del Paese, dei cittadini iraniani. Il problema è che in Iran si tende a dare tutta la colpa al presidente Ahmadinejad. A giugno, ci saranno le elezioni parlamentari, ma non c’è ancora una riflessione reale sulla crisi. Credo, infatti, che la vera crisi sia nel fatto che chi è al potere non ha mai ristrutturato l’economia. Chi ha guidato il Paese sapeva già, dopo la rivoluzione, che avrebbe dovuto impostare l’economia non solo sul petrolio, invece non è mai stato fatto nulla. Adesso, l’Iran è arrivato a una situazione molto pesante e molto dolorosa, prima di tutto per i cittadini.

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    Usa: ottimismo sulla riforma della legge sull'immigrazione

    ◊   Negli Stati Uniti i democratici ripongono speranze sulla riforma della legge sull’immigrazione, una delle priorità di questo secondo mandato di Barack Obama e di cui ieri lo stesso presidente ha parlato a Las Vegas. Sono più di dieci anni che repubblicani e democratici si scontrano su questo tema e ora sembra arrivato il momento di una svolta. Lo stesso Obama l’ha rimarcato, notando come ''le divergenze si stanno diradando e un ampio consenso stia alla fine emergendo''. Undici milioni sono le persone che questa riforma permetterà di mettere in regola, persone che “vivono nell’ombra”. A essere coinvolti soprattutto i lavoratori stagionali dell’agricoltura e coloro che sono arrivati negli Usa da bambini. Francesca Sabatinelli ha intervistato Trisha Thomas, giornalista americana dell’Associated Press:

    R. – Io credo che il dibattito sia a un buon punto. E’ interessante il fatto che Obama abbia scelto un liceo a Las Vegas, in Nevada, dove c’è un alto tasso di popolazione ispanica. La ragione per cui sono ottimista è che i repubblicani hanno capito che Obama ha vinto queste elezioni con l’aiuto del voto ispanico. E questo dibattito è molto importante per la popolazione ispanica in America. Ieri, Obama ha parlato della possibilità per 11 milioni di persone con status di illegalità di ottenere la cittadinanza: una cosa che coinvolge tanti ispanici. E per questo c’è interesse da ambedue le parti: democratici e repubblicani. Il giorno prima era accaduto anche che un gruppo di senatori – repubblicani e democratici – abbiano presentato una loro proposta. Quindi, c’è movimento in tutti e due gli schieramenti politici, e questo mi da molta speranza.

    D. – Però, uno dei punti controversi, nonostante sia tra i primi nell’agenda di Barack Obama, resta la sicurezza ai confini con il Messico. I repubblicani insistono molto su questo. Questo potrà continuare ad essere un punto di contrasto?

    R. – Sì, assolutamente sì. Obama ha detto ieri che le persone che hanno attraversato la frontiera sono scese dell’80% rispetto al 2000. Ci sono sei droni – quindi aerei senza piloti – che già sorvolano il sudovest degli Stati Uniti, quindi la frontiera americana è già ben controllata. Ma questo è un punto molto importante per i repubblicani e loro vogliono più agenti, maggiori controlli e più droni. Spingeranno molto su questo. Obama si è anche soffermato - e ai repubblicani interessa molto - sull’“exit control system”, un sistema che garantisca che gli immigrati illegali che vengono respinti non rientrino nel Paese. C’è un altro punto, che è un po’ controverso, ed è la questione delle coppie omosessuali: se queste coppie sono sposate, e se uno dei due è americano, Obama è favorevole all’ingresso dell’altra parte della coppia negli Usa e all’ottenimento della cittadinanza americana. Questo forse rappresenterà un problema al Congresso.

    D. – Legalizzare avrà comunque coinvolgimenti importanti dal punto di vista economico, perché si tratta di 11 milioni di persone…

    R. – Ma certo. Quando saranno “legalizzati”, andranno a pagare le tasse e lavoreranno. Parte di questo programma è anche un migliore controllo del business, delle aziende che fanno uso degli immigrati illegali pagandoli sottobanco o troppo poco, non rispettando le leggi degli Stati Uniti. Un’altra cosa, molto interessante e importante, è che vogliono essere più disponibili nel rilasciare visti a chi vuole venire in America avendo grandi competenze nel campo della scienza, della tecnologia, e stiamo parlando di indiani e cinesi che vogliano venire a studiare e a lavorare in America: questo è molto utile per il nostro Paese ed è un’idea abbastanza accettata da tutti e due gli schieramenti.

    D. – Questo significa che vogliono favorire l’ingresso dei cosiddetti cervelli…

    R. – Sì, e tra questi cervelli rientrano non solo accademici, ma persone con grandi capacità tecnologiche, ingegneri. Ovviamente, questo è un rischio che gli Stati Uniti assumono, perché magari queste persone poi tornano nel loro Paese d’origine. Ma comunque, in questo momento, gli Stati Uniti hanno solo da guadagnare da una situazione del genere, e io credo che questo concetto sia già accettato da tutti: che, cioè, sia un vantaggio per gli Stati Uniti offrire questa opportunità.

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    La Cina soffoca: inquinamento record a Pechino

    ◊   Pechino fa i conti con un inquinamento oltre tutti i limiti: il governo cinese ha annunciato la chiusura di 103 fabbriche e ritirato dalla circolazione il 30% dei veicoli governativi per migliorare la qualità dell’aria, che dall’inizio di gennaio ha raggiunto un livello negativo di 30-45 volte superiore agli standard di sicurezza. Roberta Gisotti ha intervistato Stefano Vecchia, collega, esperto di questioni asiatiche:

    D. – A che cosa imputare questa impennata di inquinamento atmosferico? A fatti contingenti o a politiche industriali miopi in tema di ambiente?

    R. – Diciamo che si tratta della concomitanza di tre fattori. Un fattore ambientale, data la posizione particolare della capitale Pechino, che è a ridosso delle montagne e quindi l’aria che proviene da oriente tende a bloccarsi e a creare un ristagno. C'è poi una questione di carattere climatico, dovuta in parte a mutamenti di questi ultimi anni e da contingenze particolari di questo periodo invernale. Terzo elemento, che più colpisce, è invece il dato riferito alla crescita dell’inquinamento per emissioni civili e industriali. Indubbiamente, in un contesto in cui l’uso del carbone cresce in Cina del 5% l’anno, e in cui le auto sono aumentate di ben il 60%nello stesso periodo e in maggior parte sono concentrate nelle metropoli, questo qualche problema lo crea.

    D. – Il primo ministro, Wen Jiabao, ha dichiarato ieri che occorre pianificare lo sviluppo di aree cittadine e rurali, promuovere il risparmio energetico, ridurre le emissioni e sviluppare l’ecologia. Solo promesse o ci sono le condizioni politiche per realizzare tutto ciò?

    R. – Le condizioni politiche ci potrebbero essere dopo l’elezione dei nuovi vertici del Paese a marzo. Quello che è importante è che il potere, il governo, riconosca già da tempo l’ampiezza di queste problematiche e non nasconda i dati ai cittadini: questo è già un grande progresso. Evidentemente, agire poi sulle cause sarà comunque molto difficile, tenendo presente che la Cina è in grande sviluppo e la classe media va estendendosi e con essa tutte le necessità collegate, come ad esempio l’uso di autoveicoli, in particolare nelle grandi metropoli. E, poi vi sono le necessità di produzione connesse con il bisogno di mantenere un livello di crescita molto alto. Sono tutti fattori concomitanti e il governo punta soprattutto sull’utilizzo di tecnologie nuove, alternative per la produzione di energia elettrica, ma nello stesso tempo sull’uso di tecnologie più evolute per abbattere in particolare i livelli delle polveri sottili, che provengono dagli stabilimenti industriali.

    D. – Quale ruolo può svolgere l’opinione pubblica, maggiormente informata e quindi responsabilizzata?

    R. – Può giocare – e lo sta già facendo – un ruolo molto forte: un ruolo di "guardia" di queste problematiche, di questi fenomeni, e non solo nell’ambito dell’inquinamento e dell’ecologia. Il governo sembra sempre più propenso ad ascoltare. Evidentemente, però, a contrastare questa chiarezza, questa necessità di apertura e anche la necessità di una crescita meno caotica e con una serie di conseguenze anche pesanti, sta appunto anche il bisogno di un Paese che deve continuare a crescere almeno al 7-8% l’anno per riuscire a garantire un livello di benessere per la popolazione equiparabile almeno a quello che sta registrando negli ultimi anni.

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    India. Donne disabili, ultime tra le ultime: le iniziative di Pangea

    ◊   L’India nelle scorse settimane è stata teatro di importanti manifestazioni contro la violenza sulle donne. Migliaia di persone sono scese in strada per protestare in occasione della morte di una giovane ragazza che a New Delhi aveva subito uno stupro di gruppo. Nel corso dei giorni sono cresciute le denunce di aggressioni ma la realtà ancora non cambia. Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente a Calcutta, Luca Lo Presti, presidente della fondazione Pangea Onlus, che da anni opera in India per migliorare le condizioni di vita delle donne disabili:

    R. – Siamo in India dal 2007 ed in questo momento sono nello slum di Park Circus, quella che è proprio la “città della gioia”, dove la gente vive a mezzo metro dal binario del treno, in baracche fatte di stracci, di pezzi di gomma e plastica. È sempre stato così ed ho il timore che sempre sarà così. In questi giorni - finalmente - si è data eco a quelle che sono le violenze che qui le donne subiscono, al disconoscimento che le donne subiscono in un Paese che si dichiara la più grande democrazia del mondo. Qui però il cambiamento vero che si è sentito è stato quello della società civile. E’ scesa infatti nelle piazze, in strada, protesta perché chiede le leggi. Io ho avuto modo di parlare con un parlamentare dello Stato del Sud Bengala che nega assolutamente che in questo Stato e che in India ci siano violenze: dice che sono effetti sporadici di “violenza controllata”, una bolla mediatica. Sappiamo benissimo, invece, dai rapporti di Pangea ma anche dai rapporti di tantissime altre organizzazioni, che la media statistica dello stupro, qui in India, è uno ogni 80 secondi. Siamo davanti alla negazione da parte delle istituzioni, davanti ad una realtà che è quella che ho di fronte in questo istante con bambini nudi che giocano sui binari, dove tra poco passerà un treno, mamme che cercano disperatamente di sopravvivere e di far vivere i loro figli e uomini che qui a Calcutta sono gli ultimi, i cosiddetti “uomini cavallo”, ovvero quelli che tirano a piedi i risciò. L’India della grande tecnologia e delle grandi innovazioni, della grande economia e sviluppo è veramente lontana da quello che è la gente, la popolazione che, per la maggior parte, vive in questo grande continente. La forbice è altissima così come la forbice dei diritti.

    D. - Voi vi occupate della condizione femminile ed in particolar modo avete a cuore la condizione delle donne disabili. Su questo fronte Pangea quale impegno ha?

    R. - Pangea, nelle aree del mondo in cui lavoro, fa “microcredito”: progetti che portano sviluppo e non assistenza, o assistenzialismo; progetti che - qui a Calcutta, o in altre parti dell’India - partono proprio dalle “ultime delle ultime”, ovvero, le donne disabili che sono emarginate perché donne e rigettate perché disabili. La bellezza di un progetto di sviluppo come il nostro è il processo di emancipazione attivato che le ha portate fuori da queste baracche. Abbiamo impiegato tre anni per far capire loro che esistevano, per far sì che loro smettessero di essere oggetti anche di utilizzi sessuali, da parte di tutte le comunità e da parte della propria famiglia, e perché oggi possano essere imprenditrici ed essere assistite sia legalmente che da un punto di vista sanitario.

    D. - Una dimostrazione, quindi, che lavorare accanto alle persone, facendo loro capire che si hanno dei diritti, dà frutti veri, consistenti e importanti…

    R. - Sì, tutto deve partire proprio dalla presa di coscienza perché non c’è aiuto che si possa dare. L’aiuto, ogni persona lo deve dare a se stessa ma trova l’energia solo se parte da un processo di autoconsapevolezza, che inizia dall’aspetto educativo e formativo.

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    Regno Unito. I vescovi: no a legge su nozze gay, non tutela bambini né libertà di coscienza

    ◊   I vescovi cattolici del Regno Unito tornano a prendere posizione contro il progetto di legge sul matrimonio omosessuale. La proposta normativa, il cui testo è stato pubblicato il 25 gennaio, verrà sottoposta ad una seconda lettura dal Parlamento il prossimo 5 febbraio e sarà poi esaminata in commissione dai deputati prima di ritornare a Westminster per il voto definitivo, un iter che potrebbe durare dai 2 ai 9 mesi. Ieri, intanto, la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles ha distribuito un memorandum a tutti i membri del Parlamento, invitandoli a respingere il disegno di legge. Il servizio di Isabella Piro:

    Suddiviso in sei paragrafi, il promemoria dei vescovi evidenzia come la proposta normativa, per la prima volta nella storia legale britannica, “cerchi di rompere il legame esistente tra l’istituzione del matrimonio e l'esclusività sessuale, la lealtà e la responsabilità per i bambini nati dal matrimonio stesso”. Di qui, la sottolineatura che la Chiesa inglese fa: “Il matrimonio promuove il bene comune della società perché promuove una relazione unica nel suo genere, all’interno della quale i figli vengono concepiti, nascono e crescono; è un’istituzione che porta benefici ai bambini”. I presuli ribadiscono, quindi, che parlare di matrimonio esclusivamente per le coppie eterosessuali non è un atteggiamento discriminatorio, anzi: “La dottrina della Chiesa – si legge nel memorandum – condanna le ingiuste discriminazioni basate sull’orientamento sessuale”. Ma, poiché “le unioni dello stesso sesso godono già di diritti legali equivalenti a quelli delle coppie eterosessuali, secondo il Civil Partnership Act del 2004”, i presuli evidenziano come “i cambiamenti proposti dal disegno di legge non siano necessari per garantire il riconoscimento legale e la tutela delle coppie omosessuali”.

    Per questo, la Chiesa inglese afferma: “Ci opponiamo al matrimonio gay non per discriminazione o pregiudizio, ma affinché i valori sociali unici promossi dal matrimonio eterosessuale siano ancora tutelati dalle istituzioni, in futuro”. Altro punto critico evidenziato dalla Conferenza episcopale di Inghilterra è il fatto che “un cambiamento così importante a livello costituzionale e parlamentare non dovrebbe essere esaminato in fretta, poiché esso ha conseguenze a lungo termine, molte delle quali non intenzionali”. “La popolazione britannica, nel suo complesso – aggiungono i presuli - non ha cercato tale cambiamento; nessuno dei principali partiti politici lo ha promesso nel corso dell’ultima campagna elettorale; non è stato indetto alcun referendum e le consultazioni del governo non si sono chieste prima se la legge attualmente in vigore dovesse essere cambiata, ma piuttosto direttamente come dovesse cambiare”.

    Evidenziando, quindi, come “tale proposta di legge apra la strada per ulteriori cambiamenti fondamentali”, i presuli puntano il dito contro le così dette “tutele” promesse dal disegno di legge e che, in realtà, non risultano adeguate. Ad esempio, spiegano i vescovi, “il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione degli impiegati pubblici potrebbe essere limitato”; “non si fa nulla per impedire che le organizzazioni religiose che non optano per il matrimonio omosessuale siano trattate in modo sfavorevole dalle autorità pubbliche, le quali potrebbe rifiutarsi, ad esempio, di concedere una sovvenzione”. Per di più, notano i presuli, il disegno di legge afferma che “è illegale, per la Chiesa anglicana di Inghilterra, celebrare matrimoni omosessuali”. Tuttavia, “se celebrare o meno tali tipi di nozze è una decisione che spetta solo alle organizzazioni religiose”. Il progetto di legge, dunque, “interferisce con l’autonomia della Chiesa” e “crea un pericoloso precedente”, portando anche a “future frizioni tra le organizzazioni religiose stesse”.

    Infine, la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles sottolinea implicazioni – ancora sconosciute – che tale proposta di legge potrebbe avere sulla legge pubblica e privata; le limitazioni che potrebbero risultare a livello educativo nelle scuole, nell’ambito della libertà di espressione e di religione degli insegnanti; o ancora “il divario crescente tra la concezione religiosa e quella secolare del matrimonio”. Di qui, la considerazione finale che i vescovi fanno al termine del loro memorandum: “È importante che i membri del Parlamento siano pienamente consapevoli degli effetti a lungo termine di tale proposta di legge”, perché le scelte che i parlamentari faranno “avranno profonde implicazioni sulla futura struttura delle relazioni tra Stato e Chiesa in Gran Bretagna”.

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    Carceri: al via la campagna per introdurre in Italia il reato di tortura

    ◊   Ripristinare la legalità nel sistema carcerario italiano. Con questa finalità sono state depositate oggi presso la Corte suprema di Cassazione tre proposte di legge di iniziativa popolare per introdurre in Italia il reato di tortura, ridurre l’affollamento penitenziario e riformare la legge sulle droghe. L’iniziativa rientra nell’ambito della Campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe” promossa da varie organizzazioni, tra cui Antigone e Volontari in carcere. Sulle tre proposte, cominciando dalla prima sul reato di tortura, Amedeo Lomonaco ha intervistato Mauro Palma, portavoce della Campagna:

    R. - L’Italia ha ratificato, nel lontano 1988, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e ormai sono passati più di venti anni. Le varie legislature non sono riuscite a introdurre questo reato. E’ vero che l’Italia ha sempre detto di perseguire quei comportamenti con altri reati, tipo le lesioni, le lesioni aggravate, e via dicendo. Però, è altrettanto vero che, anzitutto, dare al reato il nome di tortura ha effetto nel far capire l’unicità di questo tipo di azione. E poi, è anche vero che le figure con cui i reati sono attualmente perseguiti sono figure penali deboli, che vanno in rapida prescrizione. Tanto è vero che quest’anno, per esempio, per almeno tre volte ci siamo trovati di fronte a sentenze in cui il giudice diceva: questo è configurabile come tortura, però dal momento che devo perseguirlo come violenza, lesioni, lesioni aggravate e via dicendo, tutto è andato prescritto. Questo è grave perché lancia un messaggio di impunità e non è rispettoso anche di chi ha subito simili comportamenti.

    D. – La seconda delle proposte di legge riguarda i diritti dei detenuti e temi cruciali come la riduzione dell’affollamento penitenziario…

    R. - Su questo tema abbiamo, da un lato, il supporto del presidente della Repubblica e, dall’altro lato, anche le parole dello stesso Pontefice rispetto alla dignità delle carceri. Ciò nonostante abbiamo un parlamento che - se mi si permette il termine - è stato “balbettante” nei provvedimenti. Qualche piccolissima cosa è stata fatta. Le intenzioni espresse dall’ultimo ministro della Giustizia, il ministro Severino, sono intenzioni largamente condivisibili. Ma i provvedimenti sono inadeguati rispetto alla gravità del problema. L’Italia continua a essere anche condannata in sede internazionale - dalla Corte di Strasburgo, la Corte per i diritti umani - per le strutturali deficienze del sistema detentivo e il suo sovraffollamento. Lacune che fanno sì che, a volte, le condizioni di detenzione diventino offensive della dignità delle persone che vi sono rinchiuse. Allora, bisogna intervenire riducendo i flussi in ingresso e riportando il carcere a quel termine “extrema ratio”. Poi, invece, si fanno sempre leggi che sembrano dare al carcere la prima scelta. Viene subito preferita questa misura. Io ricordo che il termine “extrema ratio” rispetto al carcere venne introdotto, nel suo intervento nel 1996, in un convegno proprio di Antigone, dal cardinale Martini che utilizzò questo tipo locuzione che poi molti hanno ripreso. Si deve quindi ridurre il ricorso al carcere, facilitare la possibilità per chi è meritevole delle misure alternative, abolendo la legge cosiddetta “ex Cirielli” - legge che dà l’impossibilità di concedere misure alternative a chi ha commesso più di un reato, a chi è stato recidivo - istituire un garante sulle condizioni di detenzione che sia anche di monitoraggio continuo e anche di supporto alla stessa amministrazione per affrontare i problemi strutturali.

    D. - Per ridurre il ricorso al carcere e anche per prevedere pene detentive meno severe, la terza proposta vuole modificare la legge sulle droghe…

    R. – La legge sulle droghe, la cosiddetta legge “Fini-Giovanardi”, è una delle leggi che determina molta carcerazione e la determina perché assume, al suo interno, una categoria indistinta che mette insieme coloro che coltivano piantine per uso personale, coloro che detengono droghe, coloro che invece spacciano, coloro che fanno traffico, i narcotrafficanti. Cioè, mette insieme una serie di comportamenti assolutamente non assimilabili e li mette insieme in una logica penalizzante. Allora, per noi, il primo punto è togliere quello che la legge stessa definisce “fatti di lieve entità” e trattarli a parte con forme non detentive. Il secondo punto è depenalizzare l’uso farmacologico delle droghe perché altrimenti, in Italia, abbiamo anche la situazione in cui persone devono ricorrere a cure all’estero proprio perché da noi tutto è totalmente bloccato. Il terzo punto è non interrompere, con la detenzione, coloro che stanno facendo un percorso di disintossicazione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: orrore della Chiesa armeno cattolica per il massacro di Aleppo

    ◊   ì“L'effetto della condizione in cui viviamo da più di un anno è che ormai ci siamo assuefatti all'orrore quotidiano”. Così l'arcivescovo di Aleppo degli armeni cattolici, Boutros Marayati, descrive all'agenzia Fides la situazione vissuta dagli abitanti della metropoli siriana, dove ieri sono stati ritrovati decine di cadaveri di giovani vittime di esecuzioni sommarie collettive. “Ci sono sempre notizie di nuove stragi, c'è il rumore continuo dei bombardamenti, si vive in uno stato di tensione e paura giorno e notte, c'è la fatica per sopravvivere in una quotidianità in cui non si trova nemmeno l'acqua da bere e il carburante per riscaldare le case. Travolti come siamo da tutto questo” spiega a Fides l'arcivescovo “non c'è quasi il tempo di prendere coscienza delle cose terribili in cui siamo immersi. La strage all'Università di qualche giorno fa, dove abbiamo perso anche la povera suor Rima, sembra già una cosa lontana”. Con l'ormai consueto rimpallo di accuse, i media governativi hanno attribuito la responsabilità della strage alle brigate jihaidiste di Jabhat Al-Nusra, mentre i gruppi della Coalizione d'opposizione hanno parlato di “nuovo terribile massacro perpetrato dal regime”. Secondo l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, l'impossibilità di verificare le reali dinamiche dei fatti di sangue rende ancora più alienante la condizione delle popolazioni travolte dal conflitto: “Percepiamo che c'è una deformazione di tutte le informazioni. Non ci si può fidare di quello che si sente dire, e non c'è nessuna possibilità di verificare neanche i fatti che accadono a poca distanza dai nostri quartieri. Anche adesso si sentono i rumori delle esplosioni, ma non sappiamo da chi arrivano e contro chi sono dirette. Siamo al centro di una guerra, ma la viviamo come se fossimo al buio, senza capire davvero cosa sta succedendo. Ci chiediamo solo quando e come tutto questo finirà. E preghiamo il Signore, che ci guardi e ci protegga”. (R.P.)

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    Egitto. I vescovi cattolici: la rivoluzione ha ripreso vigore

    ◊   “L’Egitto è un Paese profondamente diviso” e le proteste represse duramente da esercito e polizia, sono “contro il presidente Morsi e il suo regime islamista. Si manifesta contro la religione nella sua forma fondamentalista e contro la mancanza di libertà. La rivoluzione non è morta, si era fermata, ma ora ha ripreso vigore”. È quanto afferma il portavoce dei vescovi copto-cattolici egiziani, padre Rafiq Greiche, che commenta all'agenzia Sir le violente manifestazioni di questi giorni nel Paese, a 2 anni dalla rivoluzione che defenestrò il presidente Mubarak. Per riportare la calma non sono bastati gli inviti al dialogo del presidente Morsi all’opposizione, rispediti al mittente dal suo leader, El Baradei. Un rifiuto motivato poiché, spiega il portavoce, “si tratta di un dialogo privo di agenda, fatto a uso delle telecamere. Non è stato fatto nulla per riportare la calma, necessaria a impostare un dialogo fruttuoso”. Sullo sfondo resta l’insoddisfazione per l’approvazione di una Costituzione che non garantisce i non musulmani e i liberali. “Il dialogo non può prescindere dal ridiscutere una nuova Carta”, afferma padre Greiche, per il quale “i giovani che manifestano sono più avanti nella lotta politica dell’opposizione. I giovani rappresentano ancora la grande chance per l’Egitto”. Ma, intanto, il Paese ha necessità di uscire subito da questa grave crisi politica: la strada da seguire, per padre Greiche, chiede che “il presidente Morsi si stacchi dai Fratelli Musulmani, diventando di fatto, il presidente di tutto il popolo” e che “la presidenza, intesa come istituzione, si liberi dall’influenza dei partiti; altri punti sono riportare la calma nella popolazione, creare una nuova Commissione per rivedere la Costituzione e aprire il Governo ad altre istanze politiche, che non siano solo quelle islamiste, così da condurre il Paese fuori dal guado di una crisi che mina anche la ripresa economica. Le Chiese in Egitto sono pronte a fare la loro parte favorendo contatti e relazioni avendo come obiettivo il dialogo e la pace. Ma perché ciò avvenga è necessario che la comunità internazionale faccia pressioni politiche e diplomatiche sul governo Morsi a difesa dei diritti umani delle minoranze e della popolazione intera”. (R.P.)

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    Libano: alla Via Crucis del Papa i giovani esprimeranno i dolori del Medio Oriente

    ◊   “Ci sentiamo nel cuore della Chiesa. Le sofferenze della nostra terra e dei popoli del Medio Oriente saranno al centro delle meditazioni. Siamo felici dell’attenzione che il Pontefice riserva al Libano e a tutto il Medio Oriente. Il suo invito a redigere i testi per la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo ci rende orgogliosi e riconoscenti e ci conferma nell’impegno di testimoniare l’amore di Cristo”. Con queste parole padre Toufic Bou Hadir, coordinatore dell’Ufficio patriarcale per i giovani maroniti, commenta al Sir la notizia che saranno proprio i giovani libanesi a scrivere i testi della Via Crucis al Colosseo guidata da Benedetto XVI il prossimo Venerdì Santo.“Ci stiamo già preparando, così come avvenne per l’incontro con il Papa il 15 settembre 2012 a Bkerké, nella preghiera e nello studio delle Scritture - dice il sacerdote - accogliamo come un frutto di quell’incontro questa richiesta e sotto la guida del nostro patriarca, il card. Béchara Boutros Raï, ci apprestiamo a iniziare il cammino. Sentiamo su di noi la responsabilità di questo incarico ma siamo memori delle parole del Papa che quel giorno ci invitarono a non avere paura ad aprirci a Cristo perché in lui si trovano la forza e il coraggio per avanzare sulle strade della vita, superando le difficoltà e la sofferenza”. “Nel meditare sui dolori della nostra terra e dei popoli che la abitano - conclude padre Bou Hadir - non possiamo non pensare al luogo della Via Crucis, quel Colosseo che ha visto morire martiri moltissimi cristiani, denigrati, perseguitati, come sta accadendo ancora oggi in molte parti del mondo”. (R.P.)

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    Congo: sui negoziati di pace a Kampala c'è delusione nel nord Kivu

    ◊   “La popolazione del Nord Kivu va di delusione in delusione. Col passare delle settimane si stanno affievolendo le speranze deposte nei negoziati di Kampala, che finora non hanno portato soluzioni concrete ai nostri annosi problemi. A questa delusione si è aggiunta la mancata firma ad Addis Abeba di un’intesa per il dispiegamento di una forza di interposizione dalla quale una parte della gente si aspettava una nuova garanzia di sicurezza”: lo dice all'agenzia Misna mons. Louis de Gonzague, vicario generale della diocesi di Goma, il capoluogo del Nord Kivu occupato lo scorso novembre dalla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), nel giorno in cui dovrebbero riprendere i colloqui nella capitale ugandese, nella cornice della Conferenza internazionale dei Grandi Laghi (Cirgl). “Qui il problema più grande è l’insicurezza diffusa e quotidiana. Ufficialmente i ribelli si sono ritirati ma di fatto ogni giorno crimini e furti vengono commessi per non parlare dell’impossibilità di spostarsi per le strade delle provincie” aggiunge il prelato, riferendo dell’uccisione domenica sera di un capo quartiere nonchè stretto collaboratore della sua parrocchia dello Spirito Santo, in pieno centro. “E’ stato abbattuto mentre tornava a casa da uomini in uniforme. Abbiamo cercato di portarlo in ospedale ma purtroppo non c’è stato niente da fare” prosegue il vicario di Goma. Dal canto suo, in dichiarazioni rilasciate all’emittente locale ‘Radio Okapi’, Omar Kavota, vice-presidente della società civile del Nord Kivu, ha denunciato “l’indifferenza dei capi di Stato dei Paesi dei Grandi Laghi, dell’Africa australe e dell’Unione Africana” per la mancata firma a Addis Abeba, a margine del vertice continentale, di un accordo sulla pace nell’est del Congo. “Pensavamo che fosse arrivata l’ora del sollievo e invece… siamo rimasti sorpresi per quanto successo” ha aggiunto l’esponente della società civile della martoriata provincia confinante con Rwanda e Uganda. Nella capitale etiopica è stata respinta da alcuni Paesi africani – a cominciare dal Sudafrica – la proposta di costituire una Forza Onu ad hoc per lottare contro l’M23, ma nel comunicare il mancato accordo il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, non ha fornito alcuna spiegazione. Nell’est del Congo sono già dispiegati da anni i Caschi blu della Monusco, la più numerosa e costosa missione di peacekeeping al mondo spesso criticata per la sua inefficienza. Rivolgendosi alla comunità internazionale, Kavota ha auspicato “compassione e solidarietà nei confronti di milioni di persone sfollate, uccise, stuprate e rapite”, dai numerosi gruppi armati che imperversano nella provincia. A Ban Ki-moon il vice-presidente della società civile del Nord Kivu ha invece chiesto “un nuovo piano di pace” per la Repubblica Democratica del Congo. Da oggi gli sguardi dei congolesi sono nuovamente rivolti verso Kampala, dove i mediatori dei Grandi Laghi dovrebbero riproporre il progetto di forza neutrale africana, già sul tavolo da un anno, da dispiegare lungo gli instabili confini tra Congo, Rwanda e Uganda e in prima fila nella lotta all’M23. Ma a Kampala il mediatore nonché ministro ugandese della Difesa, Crispus Kiyonga, dovrà superare le “divergenze persistenti” tra la delegazione del governo di Kinshasa e quella dei ribelli per evitare un fallimento dei colloqui. Oltre a denunciare la mancata applicazione degli accordi firmati nel marzo 2009, l’M23 sta portando avanti rivendicazioni più politiche che minacciano direttamente la sopravivenza delle istituzioni congolesi. Denunciando “brogli su vasta scala” durante l’ultima tornata elettorale del 2011, i ribelli continuano a chiedere l’annullamento dei risultati, lo scioglimento del Senato e delle assemblee provinciali, le dimissioni dei governatori e la creazione di un Consiglio nazionale di transizione che guiderà il Paese fino a un nuovo voto. Per l’esecutivo le istanze dei ribelli sono soltanto “un grande scherzo”. (R.P.)

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    Mozambico: oltre 50 mila persone a rischio per le inondazioni

    ◊   In seguito alle forti piogge che stanno allagando la zona meridionale del Mozambico, dove già un decennio fa morirono centinaia di persone, le autorità locali hanno previsto l’evacuazione di 50 mila persone. Dall’inizio della stagione delle piogge, lo scorso mese di ottobre - riferisce l'agenzia Fides - sono morte circa 50 persone e 8 dei principali fiumi del Paese hanno superato la soglia di allerta. Gli sfollati che hanno abbandonato le zone a rischio - secondo l'Onu - sono almeno 150 mila. Il Paese sudafricano sta attraversando una delle peggiori inondazioni dopo l’ultima più grave del 2000, che colpì milioni di abitanti e causò la morte di circa 800 persone. Le piogge continuano a riversarsi lungo il bacino del fiume Limpopo, nella provincia meridionale di Gaza, dove vivono le comunità più vulnerabili. L’acqua ha gonfiato anche i fiumi dei Paesi vicini e le autorità locali hanno aperto le chiuse di due dighe per ridurre il pericolo di innalzamento dei livelli. Nella zona costiera del Mozambico confluiscono nove bacini fluviali internazionali che la rendono particolarmente vulnerabile alle inondazioni. Anche se ha smesso di piovere nella maggior parte delle aree, il rischio di inondazioni rimane alto a causa delle acque che continuano ad arrivare dall’entroterra. (R.P.)

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    Centrafrica: nonostante gli accordi di pace continuano le violenze sui civili

    ◊   Nonostante gli accordi di pace e la nomina di un Primo Ministro incaricato di formare un governo di unione nazionale, nella Repubblica Centrafricana continuano gli episodi di saccheggi e di violenza contro la popolazione civile. Anche la Chiesa cattolica è stata vittima di questi atti. Alcune religiose della Prefettura di Basse-Kotto (nel sud-est) hanno riferito di essere state minacciate dai ribelli che le accusano di essere state loro a denunciare le violenze contro la popolazione civile commessa nell’area. Mons. Juan José Aguire Muonos, vescovo di Bangassou, ha denunciato gli atti violenti commessi in diverse località delle Prefetture di Basse-Kotto e di Mbomou. Fonti della Chiesa locale riferiscono all’agenzia Fides che nella diocesi di Alindao, nell’est del Paese, sono state rubate motociclette, computer, e sembra pure un’automobile della Caritas. Oltre a rapine e saccheggi, i ribelli (ma non solo loro) commettono abusi e violenze sessuali su donne e ragazze. “Le forze di sicurezza sono dispiegate in gran parte nella capitale, Bangui. Il Paese è vastissimo e in questa fase di transizione è difficile controllare i diversi gruppi ribelli sparsi sul territorio” spiegano le fonti di Fides. “Sono in particolare l’est e il sud-est a sfuggire al controllo delle autorità. Sono aree strategiche, ricche di risorse minerarie. È pure vero che Bangassou è in qualche modo protetta dalle forze ugandesi (appoggiate da elementi delle forze speciali statunitensi) che si trovano in Centrafrica, con il consenso delle autorità locali, per dare la caccia ai guerriglieri dell’Lra (Esercito di Resistenza del Signore), ma le altre aree rimangono scoperte”. “Aspettiamo il nuovo governo di unità nazionale e vediamo come saranno dispiegate le forze di sicurezza per fare fronte a questa situazione” concludono le nostre fonti. (R.P.)

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    Filippine. I vescovi: non farsi intimorire dai problemi del Paese ma restare fermi nella fede

    ◊   Non lasciarsi intimorire dalle turbolenze che sta attraversando il Paese, ma restare fermi nella fede in Cristo, unica vera via di salvezza. E’ l’esortazione contenuta nella lettera pastorale “Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno” diffusa lunedì a Manila dai vescovi filippini al termine della loro assemblea plenaria. Il documento è un’analisi critica delle attuali emergenze e sfide della società filippina alla luce della dottrina sociale della Chiesa. In particolare, i presuli parlano dei disastri provocati dai recenti tifoni Sendong e Pablo, che – affermano – sono anche il risultato dell’azione dell’uomo sul territorio; denunciano il dilagare della cultura della morte e della promiscuità sessuale; gli abusi di potere e la corruzione endemica nelle istituzioni favoriti da un’informazione poco trasparente; la sempre diffusa pratica del familismo in politica; l’incapacità di chi è al potere di affrontare la piaga dell’ingiustizia sociale; la cultura dell’impunità e la perdurante sofferenza dei poveri. La nota pastorale richiama quindi alcuni insegnamenti fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa “basata su una fede che - si sottolinea - si applica a tutti gli ambiti della vita umana: sociale, politico, economico, culturale e religioso”. A cominciare dalla difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale. E qui i vescovi puntano ancora una volta il dito contro la contestata Legge sulla salute riproduttiva (la cosiddetta Rh Bill) ed elogiano l’impegno dei fedeli laici che da anni si battono insieme all’episcopato perché il provvedimento non passi. Per quanto riguarda la corruzione, i presuli filippini ricordano, citando il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, come essa deformi la democrazia, “perché rifiuta le norme morali minando quella giustizia sociale” sottesa al principio del bene comune. Quindi l’appello pressante ai governanti per un intervento più incisivo contro questa piaga, cominciando con l’approvazione di una nuova legge sulla libertà di informazione, quale garanzia di trasparenza. Contraria all’interesse comune è anche la pratica del familismo che perpetua alcune dinastie politiche al potere. Ma il perseguimento del bene comune – ammoniscono i vescovi - riguarda anche i cittadini chiamati a svolgere questo compito con il voto, un voto al quale il nuovo sistema elettronico che si vuole introdurre deve garantire assoluta trasparenza. I vescovi ricordano poi il valore dell’amore evangelico per i poveri che ci invita ad adoperarci per la giustizia sociale. La Chiesa – affermano - non solo è impegnata in prima persona nell’aiuto e nella promozione umana dei poveri, ma cerca di incoraggiare la solidarietà nella società e di spronare le autorità a mettere in campo iniziative concrete contro la povertà. Il documento sottolinea, infine, che l’impegno centrale della Chiesa è l’annuncio della verità: con riferimento all’attuale dibattito politico nel Paese, i vescovi ricordano ai fedeli che non tutto quello che è ”popolare” è necessariamente “giusto” e che non tutto quello che è “legale” è “morale”. “Ognuno deve seguire la propria coscienza”, affermano, ma, come precisa il Catechismo della Chiesa cattolica, “la coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato”. Richiamando il celebre episodio della tempesta sedata raccontata dal Vangelo di Marco, i presuli esortano quindi i fedeli a restare fermi nella fede in Cristo: “Nell’Anno della Fede - sottolineano in conclusione - Benedetto XVI ci esorta a rispondere con la fede a quanto ci accade attorno: con gli occhi fissi su Gesù non affonderemo, ma prenderemo in largo nelle rischiose acque della modernità”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Caritas filippina: a Mindanao 800 mila sfollati per il tifone Bopha

    ◊   Ancora pioggia e frane nelle province di Compostela Valley e Davao del Norte (Mindanao), attraversate il 5 dicembre scorso dal tifone Bopha che ha fatto oltre 100 morti e almeno 800mila sfollati. Nei giorni scorsi altre nove persone sono morte a causa dell'ondata di maltempo che ha colpito l'isola, con piogge torrenziali e forti raffiche di vento. Fra le vittime vi è anche un bambino di un anno. Cynthia Salazar-Perez, responsabile per le emergenze della Caritas filippina, sottolinea all'agenzia AsiaNews che a oltre un mese dal passaggio del tifone la popolazione versa ancora in condizioni critiche. Secondo i dati dell'ufficio Onu per le emergenze umanitarie (Unites Nation Office for Humanitarian Affairs, Ocha), 6.445 persone sono ospitate in Centri di raccolta per gli sfollati. Ben 844.612 vivono invece in casa di parenti o in rifugi di fortuna costruiti al fianco delle proprie abitazioni distrutte dalle frane o dalle raffiche di vento. "La Caritas - racconta la Salazar Perez - ha già aiutato migliaia di sfollati e nelle prossime settimane estenderà ad altre 1000 famiglie la distribuzione di beni di prima necessità e kit di sopravvivenza per le popolazioni residenti in villaggi rurali poco raggiungibili". La donna sottolinea che volontari e operatori sociali inizieranno in febbraio la costruzione di unità abitative e Centri di aiuto stabili nelle aree più colpite, fra tutte la provincia di Compostela Valley. Ogni anno l'arcipelago filippino è investito dal passaggio di una ventina di tifoni, alcuni dei quali dalla portata devastante. Ben 16 tifoni hanno colpito il Paese nel 2012. Ad agosto si sono registrate un centinaio di vittime e un milione di sfollati per una serie di violenti temporali. Nel 2011 sono stati invece 19 i tifoni, dei quali 10 di elevata intensità: il bilancio delle vittime ha toccato quota 1.500 la maggior parte dei quali è stata causata dal tifone Washi. (R.P.)

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    Pakistan. Punjab: prosciolto in appello un cristiano condannato a morte per blasfemia

    ◊   Dopo la giovane Rimsha Masih, la comunità cristiana pakistana può festeggiare il proscioglimento in appello di un uomo condannato a morte - senza prove e in base ad accuse pretestuose - in primo grado per blasfemia. Il verdetto potrebbe restituire nuovo vigore e speranza alle altre vittime della "Legge nera", fra cui la 46enne e madre di cinque figli Asia Bibi ancora in attesa del secondo grado di giudizio. In molti, infatti - riferisce l'agenzia AsiaNews - auspicano una "revisione" della norma, che viene spesso usata per dirimere contrasti e controversie personali e che ha giustificato - a livello ideologico - l'efferato assassinio del ministro cattolico per le Minoranze Shahbaz Bhatti e del governatore del Punjab Salman Taseer nel 2011. Barkat Masih, 56 anni, è nato da una famiglia indù ma si è convertito al cristianesimo; originario della città di Bahawalpur, nella provincia del Punjab, è stato coinvolto (sebbene innocente) in un caso di blasfemia il primo ottobre del 2011, ricevendo in primo grado la condanna alla pena capitale. Fonti locali raccontano che l'uomo, guardiano di professione, è finito nel mezzo di una disputa fra lavoratori, che volevano occupare senza averne diritto una porzione di terra. Egli ha impedito l'ingresso in un ufficio, dove erano conservati i documenti di proprietà, per mantenere fede al compito assegnato. Al rifiuto opposto dal custode, due operai musulmani - Muhammad Saleem e Muhammad Shoaib - lo hanno insultato e minacciato, promettendogli di "fargliela pagare". Essi hanno presentato denuncia alle forze dell'ordine, che hanno eseguito l'arresto a carico di Barkat Masih per insulti al profeta Maometto, una colpa che può condurre alla condanna a morte in base all'articolo 295 C del Codice penale pakistano. Tuttavia, dopo aver trascorso 18 mesi in carcere, lo scorso 28 gennaio il giudice Javed Ahmed dell'Alta corte di Bahawalpur ha accolto il ricorso in appello e prosciolto l'imputato perché il fatto non sussiste. Attivisti per i diritti umani e leader cristiani sono soddisfatti per la sentenza, un segnale positivo anche per molti casi analoghi in futuro. L'Ong World Vision In Progress, che ha sostenuto la difesa dell'uomo, è felice per il verdetto e parla di "inizio di un cambiamento". Haroon Barkat Masih, presidente della Masihi Foundation, ricorda che le leggi sulla blasfemia sono sfruttate per "colpire le comunità emarginate" e che un'accusa "equivale a una condanna a morte". Per questo egli auspica che il caso sia un "precedente" importante e che alla norma vengano fatte le "opportune modifiche". Infine padre Nawaz George, sacerdote della diocesi di Lahore e impegnato nella difesa dei diritti dei cristiani, si dice "entusiasta" per la liberazione "di un innocente" che ha saputo mantenere "salda la propria fede". "Auspichiamo che questo fatto - conclude - possa infondere nuova speranza alla gente che è in prigione, in attesa che venga fatta giustizia". (R.P.)

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    Venezuela: nota della Chiesa per i tragici eventi nel carcere di Uribana

    ◊   “Dinanzi alla politica penitenziaria inefficace del governo, dinanzi al sovraffollamento, alla mancanza di cibo adeguato, alla violenza incontrollata, ai ritardi procedurali e all' umiliazione subita dalle famiglie, tra le altre cose, che continuano a colpire i detenuti in Venezuela, la Chiesa cattolica non può rimanere inerte!”. E’ quanto si legge nel comunicato pubblicato ieri, inviato all’agenzia Fides, della Commissione nazionale per la Pastorale delle carceri della Conferenza episcopale venezuelana (Cev), in cui esprime il suo dolore per i tragici eventi di Uribana e chiede di fare “un'indagine su quanto è accaduto, in modo efficace, indipendente e imparziale, che permetta di processare e punire i responsabili”. Il comunicato, intitolato "E' un momento di lutto nazionale", si riferisce ai fatti violenti accaduti nel Centro penitenziario di Uribana, dove il 25 gennaio, durante una rivolta di cui non sono ancora state chiarite le motivazioni, sono morte 58 persone e 88 sono rimaste ferite. Il comunicato, dopo aver condannato il potere delle bande interne nei Centri di detenzione e l'uso delle armi, ricorda che lo Stato è chiamato a garantire la vita delle persone recluse.“Chiediamo al Governo, ai sensi dell'articolo 272 della nostra costituzione, di impegnarsi più decisamente per risolvere la crisi attuale delle carceri – prosegue il comunicato - e adottare tutte le misure necessarie per evitare il ripetersi di questi eventi e per l'effettiva garanzia di tutti i diritti umani dei detenuti in Venezuela”. La Commissione della Cev chiede anche di ripristinare il permesso, ora sospeso, agli operatori pastorali della Chiesa, di ingresso nei Centri di reclusione. Il documento conclude invitando la comunità cristiana ad adoperarsi pastoralmente a favore del rispetto della dignità umana di tutti. (R.P.)

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    Argentina: mons. Bressanelli chiede l’intervento dello Stato contro la droga

    ◊   Il vescovo della diocesi di Neuquén e vice presidente della Conferenza episcopale argentina, mons. Virginio Domingo Bressanelli, ha espresso preoccupazione per la situazione economica, la disuguaglianza sociale che ancora esiste nel Paese, in particolare nella provincia della sua diocesi, e per la diffusione della droga. La nota inviata all'agenzia Fides riporta una intervista rilasciata dal vescovo alla stampa locale, in cui afferma: "L'anno 2012 non è stato uno degli anni migliori dal punto di vista economico. Si dice che nel 2013 e nel 2014 la situazione può migliorare… E' risaputo che quando ci sono situazioni difficili, quelli che soffrono sono i più vulnerabili, i più poveri, quelli con i redditi più bassi o quelli senza lavoro". Mons. Bressanelli, vescovo di Neuquén dal 2011, ha sottolineato che "è aumentato il numero di persone che si trovano in una situazione di vulnerabilità, che ho incontrato per strada mentre chiedevano aiuto". Sulle cause della situazione sociale, mons. Bressanelli ha citato "la crisi internazionale, soprattutto in Occidente, e i pochissimi investimenti stranieri in Argentina che hanno limitato le fonti di lavoro". Quindi ha sottolineato: "Noi (vescovi) non siamo né dell'opposizione né del governo, noi siamo Pastori". Per questo l'ultimo documento dei vescovi argentini ha toccato "due questioni importanti, come la famiglia e la convivenza sociale". Le parole del vescovo sono state motivate dalla sua richiesta di un intervento deciso dello Stato per contrastare il consumo e la dipendenza dalla droga. “A Neuquén le dipendenze dall'alcol, dal gioco d'azzardo e dalle droghe sono un problema grave” ha denunciato mons. Bressanelli. Secondo quanto gli è stato riferito, i dati sono allarmanti: l'età media dell'inizio al consumo di droga è scesa dai 14 agli 8 anni. "Il problema della droga adesso è presente anche nelle scuole elementari" ha affermato, dicendosi favorevole ad aumentare gli assistenti sociali. "La questione della dipendenza deve essere attaccata da tutte le parti" ha concluso mons. Bressanelli. (R.P.)

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    India: i dieci punti della Chiesa per l’Anno della Fede

    ◊   Come rafforzare la fede della popolazione? Come rispondere alle sfide pastorali (come la povertà e la presenza delle sette) e alle necessità spirituali dei fedeli? Nel pieno dell’Anno della Fede, la Chiesa indiana si interroga e mette a fuoco “dieci punti fondamentali” per vivere in pienezza questo tempo che Benedetto XVI ha consegnato a tutta la Chiesa universale. Come riferito all’agenzia Fides, in un incontro tenutosi ieri a Mangalore, promosso dal vescovo Mons. Aloysius Paul D’Souza, alla presenza di clero, religiosi e fedeli laici, la Chiesa indiana ha rimarcato che l’Anno della Fede richiama ogni credente a “rimettere a fuoco il distacco dai beni terreni e l'impegno per la giustizia sociale”. Guidata dal francescano padre Nithiya Sagayam, segretario esecutivo dell’Ufficio per lo Sviluppo Umano nella Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc), l’assemblea ha ribadito che urge pianificare, in ogni diocesi, modalità e mezzi per rendere efficace l’Anno della Fede, traducendone i contenuti a livello pastorale, per i vari ambiti e le vari fasce d’età. L’assemblea ha approvato un programma in dieci punti nel quale si chiede: di raccontare a bambini e giovani la storia della fede e dei sacrifici compiuti per far germogliare la fede nei diversi territori; creare speciali “équipe della fede” per l’animazione in tutte le diocesi, che operino con associazioni, anziani, giovani, famiglie; rafforzare la solidarietà verso i bisognosi, con team di volontari; istituire delle speciali “équipe della pace” che promuovano unità e riconciliazione nelle famiglie e nei villaggi; celebrare le “Giornate della Pace” per genitori, coppie, giovani, donne; riprendere piani di azione concreti per i diritti dei poveri e degli oppressi (sicurezza alimentare, eguaglianza di genere, giusti salari, diritti del bambino, ecc); costruire buoni rapporti con i funzionari del governo locale; attivare l’Adorazione eucaristica in tutte le chiese; dare una attenzione particolare ai gruppi di giovani, alle famiglie, ai migranti, ai malati ed infine iniziare la Quaresima come “tempo di trasformazione”, concentrandosi sulla riconciliazione tra persone, famiglie, comunità. (R.P.)

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    Malawi: dimezzati i fondi per i farmaci contro l’Aids

    ◊   “È un vero segnale di allarme il dimezzamento dei contributi donati dal fondo internazionale per la lotta all’Aids, che permettevano a quasi 500.000 persone di ottenere regolarmente gli antiretrovirali” denuncia all’agenzia Fides padre Piergiorgio Gamba, missionario Monfortano attivo da decenni in Malawi. “Presto ricominceranno i funerali di centinaia di persone lasciate senza medicinali e saranno azzerati i passi in avanti degli ultimi anni. Il numero degli orfani ricomincerà a crescere in modo drammatico e l'età media riscenderà sotto i quarant'anni”. Il dimezzamento dei fondi per l’acquisto dei medicinali antiretrovirali giunge quando il Paese deve far fronte ai danni economici provocati dalle inondazioni. “In diverse parti del Paese la pioggia ha causato alluvioni che hanno provocato gravi danni. Ad esempio 5.000 capanne nella zona di Mangochi sono state demolite o seriamente danneggiate. Ma nessuno si lamenta. La pioggia è l'unica speranza per un buon raccolto” riferisce padre Gamba. “La povertà del Paese è vissuta in modo particolare dalle comunità cristiane e dalle parrocchie. L'impegno verso una sempre più grande autosufficienza che caratterizza da anni il cambiamento dalla Chiesa missionaria alla Chiesa espressione della realtà locale, è molto sofferto in questi mesi” afferma il missionario. “Ci sono parrocchie che non riescono più ad avere il carburante per i veicoli utilizzati per visitare i villaggi più lontani. Scuole e ospedali sostenuti dalla Chiesa, privi del contributo della gente, sono obbligati a ridurre le attività” conclude padre Gamba. La grave crisi economica ed umanitaria è al centro dei lavori della Conferenza episcopale locale che si è aperta a Lilongwe il 28 gennaio e si chiuderà il 1° febbraio. Tra gli altri temi in discussione ci sono l’attuazione della conclusioni del Sinodo per l'Africa, le iniziative per l'Anno della Fede e la preparazione all'incontro dell'Amecea (Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Orientale) che si terrà in Malawi nel 2014. (R.P.)

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    Polonia: riconoscenza dei vescovi per coloro che hanno votato contro le unioni di fatto

    ◊   Una lettera per ringraziare i deputati che venerdì scorso, 25 gennaio, hanno votato contro le tre proposte di legge volte a sancire le unioni di fatto in Polonia. L’ha scritta il Consiglio per la famiglia della Conferenza episcopale polacca. Nel documento, diffuso ieri, i vescovi esprimono la loro riconoscenza verso coloro che “hanno difeso i valori del matrimonio e della famiglia” e si dicono “convinti che la tutela del matrimonio come unione tra un uomo e una donna è sempre questione fondamentale per l’esistenza e lo sviluppo di una nazione”. Sempre ieri la Corte Costituzionale polacca esprimendo il parere in merito ai progetti di legge sulle unioni di fatto respinti dal Parlamento ha rilevato che la formazione della famiglia attraverso il matrimonio inteso come “unione duratura di un uomo e una donna” è “costituzionalmente preferibile”. La Corte ha richiamato nelle motivazioni uno degli articoli della Costituzione polacca che prevede la tutela del matrimonio, della famiglia, della maternità e della paternità, e dal quale - secondo la Corte - va dedotta l’impossibilità di tutelare le coppie “che non desiderano o sono impossibilitate a contrarre il vincolo matrimoniale”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 30

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.