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Sommario del 29/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Prossimi impegni del Papa: Concistoro per i nuovi Santi, Quaresima e celebrazioni pasquali
  • Giornata del malato. Mons. Zimowski: offrire la sofferenza per il bene della Chiesa
  • Card. Ouellet: così in sette anni il Papa ha ascoltato tutti i vescovi del mondo
  • Il direttore di “Popoli”: il Papa chiede di non sottrarsi alla sfida dei social network
  • Rinuncia e nomina episcopale negli Stati Uniti
  • 20 anni del Catechismo: la certezza della fede è che Dio è amore
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Mali, liberate Gao e Timbuctu: si parla del dopo intervento militare
  • Siria: Medici senza frontiere denuncia aumento aborti a causa del conflitto
  • Egitto: 52 morti per le proteste, annunciate nuove manifestazioni anti Morsi
  • Strage in discoteca. P. Chiera: il Brasile si è fermato, Gmg ricorderà questi ragazzi
  • Cei, card. Bagnasco: niente si può equiparare alla famiglia. Un dovere partecipare al voto
  • Ustica, i familiari: dopo il risarcimento aspettiamo i colpevoli
  • "Web listening e spiritualità": presentato a Roma il nuovo impegno di Aleteia.org
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Il vescovo anglicano Dawani: violenze sessuali su donne e bambini
  • Libano: monito del patriarca Rai per i Paesi che in Siria armano regime ed opposizione
  • Guatemala: storico rinvio a giudizio per l'ex dittatore Rios Montt
  • Somalia: attentato a Mogadiscio. Illeso il premier
  • Nigeria: Boko Haram dichiara il cessate-il-fuoco nello Stato di Borno
  • India: per lo stupro e l'omicidio della 23.enne, un imputato minorenne presto libero
  • Indonesia: i vescovi approvano il nuovo regolamento statale sui conflitti sociali e religiosi
  • Indonesia: la Chiesa festeggia 33 nuovi diaconi, futuri sacerdoti
  • Costa Rica: compie 130 anni il primo settimanale cattolico del Paese
  • Giappone: il governo propone all’Unesco di onorare i luoghi cristiani
  • Ungheria. Giornata della Memoria: il card. Erdő prega con il rabbino Schweitzer
  • Il Papa e la Santa Sede



    Prossimi impegni del Papa: Concistoro per i nuovi Santi, Quaresima e celebrazioni pasquali

    ◊   L’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche Pontificie ha reso note le cerimonie che vedranno coinvolto Benedetto XVI nei prossimi due mesi. In particolare, nell’agenda papale spiccano gli impegni per la Settimana Santa, che inizierà il 24 marzo e che vedrà il Papa presiedere in particolare gli appuntamenti del Triduo pasquale, fino alla Veglia della notte di Pasqua e alla Messa del giorno, conclusa dalla celebrazione Urbi et Orbi. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La pietra e lo Spirito, i carismi religiosi uniti al Papa: è l’immagine che ogni anno restituisce in modo plastico la Messa presieduta e concelebrata dal Pontefice con i membri degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di Vita Apostolica. Accadrà anche quest’anno, il 2 febbraio alle 17 in San Pietro, nella festa della Presentazione del Signore e 17.ma Giornata mondiale della Vita consacrata. A questo primo impegno dell’agenda di febbraio, seguirà per Benedetto XVI, lunedì 11, il Concistoro per alcune Cause di Canonizzazione. Due giorni dopo, Mercoledì delle ceneri, un’altra antica tradizione vedrà il Papa presiedere alle 16.30, nella Basilica romana di Sant’Anselmo, la Statio e la processione penitenziale fino alla Basilica di Santa Sabina, conclusa dalla benedizione e dall’imposizione delle Ceneri. L’inizio della Quaresima sarà caratterizzato dalla settimana di esercizi spirituali al Papa e alla Curia Romana – in programma da domenica 17 a sabato 23 febbraio – ospitati come di consueto nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano e predicati quest’anno dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente della dicastero della Cultura.

    Con domenica 24 marzo si apre la Settimana Santa del 2013. Alle 9.30 Benedetto XVI presiederà la Messa, preceduta dalla benedizione delle Palme e dalla processione. Quindi, sarà la volta dei riti del Triduo pasquale, preceduti dalla Messa del Crisma – che Benedetto XVI presiederà alle 9.30 del Giovedì Santo nella Basilica Vaticana – e quindi inaugurati nel pomeriggio dello stesso giorno alle 17.30, in San Giovanni in Laterano, con la Messa in Coena Domini. Alle 17 del Venerdì Santo, Benedetto XVI sarà di nuovo in San Pietro per la celebrazione della Passione del Signore per poi spostarsi al Colosseo per presiedere al rito della Via Crucis, con inizio alle 21.15. Il giorno successivo, Sabato Santo, l’appuntamento è per la “Madre di tutte le Veglie”, alla quale il Papa darà inizio alle 20.30 nella Basilica Vaticana, per poi approdare alla mattina di Pasqua e alla celebrazione eucaristica solenne, che Benedetto XVI presiederà in Piazza San Pietro dalle 10.15 e che sarà da tradizione conclusa con la Benedizione Urbi et Orbi, impartita dalla Loggia centrale della Basilica.

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    Giornata del malato. Mons. Zimowski: offrire la sofferenza per il bene della Chiesa

    ◊   “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”: è il tema scelto dal Papa per la XXI Giornata mondiale del malato, che verrà celebrata l’11 febbraio presso il Santuario Mariano di Altötting in Baviera, nella festa della Madonna di Lourdes. Ad illustrare il Messaggio di Benedetto XVI ed il programma dell’evento, questa mattina in sala stampa vaticana, è stato mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, che presiederà la cerimonia, quale Inviato speciale di Benedetto XVI. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Sarà un’occasione – ha detto mons. Zimowski – “di riflessione, rinnovata attenzione e impegno da parte di tutti” per “la cura della vita, della salute e della sofferenza”, come indicato dal Papa nel suo Messaggio per la Giornata, imperniato intorno alla figura del Buon Samaritano, che in questo Anno della Fede ci invita ad imitarlo “nel sapersi chinare e nel farsi carico delle necessità dell’altro.” Sarà “un momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa, ha aggiunto mons. Zimowski, nonché di richiamo per tutti a riconoscere nel Volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo che soffrendo, morendo e risorgendo ha operato la salvezza dell’umanità”.

    “Va’ e anche tu fa’ lo stesso. Un 'mandato' incisivo, perché con quelle parole il Signore indica ancora oggi quale deve essere l’atteggiamento e il comportamento di ogni suo discepolo nei confronti degli altri, specialmente se bisognosi di cura".

    “Guardando l’agire di Cristo”, “possiamo comprendere l’amore infinito di Dio” e manifestarlo “verso tutte le persone bisognose di aiuto perché, ferite nel corpo e nell’anima”:
    “Ma questa capacità di amare non può venire solo dalle nostre forze, quanto piuttosto dal nostro essere in una costante e vissuta relazione con Cristo attraverso una vita di fede, pregata e vissuta”.

    Ad arricchire di contenuti della Giornata sarà il Convegno scientifico internazionale, dal titolo “Far del bene a chi soffre”, ospitato il 7 ed 8 febbraio prossimi presso l’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt, organizzato dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il dicastero ha curato anche la pubblicazione di un Sussidio tradotto nelle principali lingue, a disposizione delle varie Chiese locali quale accompagnamento di fede preghiera e riflessione lungo tutto l’Anno liturgico sui temi della sofferenza e della salute. Da ricordare, infine, le speciali indulgenze concesse da Benedetto XVI in occasione di questa Giornata per chi assiste persone malate e per chi accoglie la propria sofferenza come dono d’amore.

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    Card. Ouellet: così in sette anni il Papa ha ascoltato tutti i vescovi del mondo

    ◊   Benedetto XVI sta incontrando in questi giorni i vescovi italiani in visita ad Limina. Un evento che segue al completamento, in questi sette anni di Pontificato, delle visite di tutti i vescovi del mondo alla Sede Apostolica. Un traguardo su cui si sofferma il prefetto della Congregazione dei Vescovi, il cardinale Marc Ouellet, intervistato da Olivier Bonnel:00:05:08:23

    R. - La Visita “ad Limina” è di origini antichissime. La prima traccia si trova nella Lettera di San paolo ai Galati. Con la venuta dei vescovi a Roma, si rende visibile l’universalità della Chiesa, nella sua unità e nella sua diversità. Colpisce, infatti, l’universalità che proviene dalla pluralità delle culture, ma in profondità la sua universalità deriva da Cristo, l’unico salvatore.

    D. - Quali sono i principali frutti di questi incontri?

    R. - I frutti sono innanzitutto spirituali, perché venendo a Roma ogni vescovo conferma la professione della propria fede sulla tomba di San Pietro. Attraverso l’incontro del vescovo con il Papa, si rafforza l’unità e la collegialità tra i vescovi e il successore di Pietro e la Chiesa stessa si rinsalda nella comunione e nello slancio missionario.

    D. - Ci sono, ovviamente, in tante diocesi situazioni difficili, a volte drammatiche: pensiamo ai tanti Paesi che vivono situazioni di guerra, come la Siria, o emergenze umanitarie, come l’Africa. La Chiesa si fa vicina particolarmente a chi è in difficoltà…

    R. - Quando un vescovo giunge a Roma, porta in sé le gioie, le speranze e le sofferenze della sua Chiesa. Nella fraternità della Chiesa, si condividono le sofferenze provocate da tante situazioni negative e in questa condivisione ogni vescovo si sente sostenuto dal Papa e dai vescovi a svolgere la sua missione, a favore della giustizia e della pace.

    D. - Il Papa, per quanto riguarda le diocesi in Occidente, è preoccupato in particolare per la questione antropologica: la famiglia, la tutela della vita, la libertà educativa ed ora anche l’obiezione di coscienza…

    R. - Nell’incontro personale con i vescovi, il Papa si mostra padre di tutti e indica la via per ritrovare i fondamenti della persona, della famiglia, della tutela della vita e del senso autentico della libertà.

    D. - Grande attenzione è anche rivolta dal Santo Padre alle Chiese che subiscono persecuzioni violenze, che non godono libertà religiosa…

    R. - Non può essere diversamente, perché la libertà di professare la propria fede è stata introdotta nel mondo dal cristianesimo. Quest’anno, ricordiamo il 17.mo Centenario dell’Editto di Costantino, con il quale l’imperatore concesse la libertà di culto. Tale libertà appartiene alla persona in quanto tale ed è il fondamento di ogni altra libertà. Questo diritto deve essere riconosciuto e sancito dagli ordinamenti civili di ogni nazione e questo diritto della persona compete anche alle comunità religiose, che devono potersi organizzare e svolgere le loro attività culturali, educative ed assistenziali, secondo il proprio credo. La libertà religiosa - di cui il Beato Giovanni Paolo II è stato apostolo e pioniere - deve essere riconosciuta e promossa per tutti, come il Santo Padre insegna.

    D. - Tutti i vescovi, commentando i colloqui con il Papa, restano colpiti dalla sua capacità di ascolto…

    R. - Quello dell’ascolto è un tratto caratteristico della personalità del Papa. Questo ascolto si approfondisce con domande che il Santo Padre rivolge ai vescovi, che riguardano situazioni particolari e la vita stessa delle diocesi, in un dialogo fraterno e sincero, come si addice ai responsabili della Chiesa. Il Papa offre ad ogni vescovo l’esempio di come ascoltare, per poi guidare la Chiesa sulla via del Signore.

    D. - Quali sono le impressioni del Santo Padre dopo questi incontri?

    R. - Oserei rispondere con quanto disse Benedetto XVI, nell’omelia della Messa per l’inizio del suo Pontificato: “La Chiesa è viva. La Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro”. Questa realtà, credo che il Santo Padre abbia potuto costatarla nei sette anni durante i quali ha incontrato i vescovi del mondo, riscontrando la vitalità della Chiesa su tutta la terra, che - tra le sofferenze del mondo - è continuamente ringiovanita e resa bella dallo Spirito Santo, con la forza del Vangelo.

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    Il direttore di “Popoli”: il Papa chiede di non sottrarsi alla sfida dei social network

    ◊   “Un mese di Pontifex”: è l’indagine realizzata dal mensile internazionale dei Gesuiti, "Popoli", sul primo mese di Benedetto XVI su Twitter. Dalla ricerca statistica, risulta che i tweet del Papa hanno generato oltre 270 mila messaggi di risposta. La maggior parte sono stati neutrali, 26 mila circa positivi e 22 mila circa negativi. L’indagine – consultabile sul sito www.popoli.info – ha anche analizzato la presenza sui Social Network della gerarchia ecclesiale. Sui dati salienti dell’indagine su @Pontifex, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore di Popoli, Stefano Femminis:00:02:48:72

    R. – I numeri sono impressionanti: 270.456 persone, che hanno commentato coerentemente con quello che è lo spirito di un social network, che prevede l’interazione. C’è stata una grande quantità di messaggi neutrali, cioè persone che hanno semplicemente ritwittato il messaggio del Papa. Tra quelli che l’hanno fatto, però, i tweet positivi sono stati di più: sono stati oltre 26 mila contro i 22.500 negativi. Abbiamo poi fatto anche un’analisi dei contenuti di questi tweet, analizzandone un campione. Tra quelli positivi emergono in particolare le citazioni del Papa stesso e poi una grande fetta di messaggi positivi, anche di ringraziamenti e auguri e una parte rilevante dedicata a preghiere. Il Papa nel mese che abbiamo analizzato ha spesso invitato a pregare sulle vicende della Nigeria e della Siria, in particolare. Questo ha colpito molto il popolo di Twitter. Per quanto riguarda invece i messaggi negativi, emergono cose interessanti. E’ interessante che, tolta una quantità, non solo di critica, ma di veri e propri insulti, che purtroppo fa parte dell’essere presenti su un social network, ci sono poi una serie di rilievi negativi che hanno a che fare con questioni tristemente note, come quelle di alcuni sacerdoti, protagonisti di episodi di pedofilia, piuttosto che critiche sul potere e la ricchezza della Chiesa, del Vaticano. Come a dire che l’annuncio del Vangelo, l’annuncio del messaggio di Cristo, in qualche modo, non è l’oggetto delle critiche, ma sono altri gli elementi sotto accusa. Questo, credo, possa far riflettere in generale la Chiesa sulle potenzialità della presenza sui social network, appunto a livello di istituzioni o di personalità ecclesiali.

    D. – In qualche modo questa indagine, con i suoi chiaroscuri, dimostra appunto l’importanza del non lasciare questo terreno ad altri...

    R. – Certo, il Papa ha più volte sottolineato l’importanza e il desiderio della Chiesa di essere là dove è l’uomo: su Twitter, su Facebook e su altri social network, sulla Rete l’uomo c’è, è presente con i propri problemi, con le proprie domande e anche con le proprie critiche. Quindi, è importante per la Chiesa essere anche lì e dialogare con le persone più lontane o comunque più critiche. Bisogna sempre tener presente che la distinzione tra mondo digitale e mondo reale è ormai una distinzione che si regge sempre di meno, proprio perché l’uomo, l’essere umano, è presente sui social network in modo integrale. Quindi anche nell’annuncio evangelico e nella trasmissione del messaggio della Chiesa non ci si può tirare fuori da questo mondo e da questa sfida.

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    Rinuncia e nomina episcopale negli Stati Uniti

    ◊   Negli Stati Uniti, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Portland in Oregon, presentata per raggiunti limiti di età da mons. John G. Vlazny. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Alexander K. Sample, finora vescovo di Marquette. Mons. Alexander K. Sample è nato il 7 novembre 1960 a Kalispell, nella diocesi di Helena (Montana). Dopo aver frequentato la Bishop Gorman High School a Las Vegas (Nevada), ha ottenuto il B.S. (1982) e il M.S. (1984) in Metallurgies Engineering esso la Michigan Technological University Houghton (Michigan). Entrato in Seminario, ha svolto gli studi filosofici presso il Saint John Vianney Seminary a St. Paul (Minnesota) e quelli teologici presso il Licenza in Diritto Canonico presso l’Angelicum Roma (1996). È stato ordinato sacerdote il primo giugno 1990 per la diocesi di Marquette. Dopo l’ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della Saint Peter Cathedra la Marquette (1990-1993); Parroco della Saint George Parish a Bark River, della Saint Michael Parish a Perronville e della Sacred Heart Parish a Schaffer (1993-1996); Cancelliere diocesano e Parroco della aint Christopher Parish a Marquette (1996-2005). Inoltre è stato Consultore, Membro del Consiglio Presbiterale, Vicario Giudiziale aggiunto, Difensore del Vincolo, Promotore della Giustizia e Cappellano dei Cavalieri di Colombo della diocesi. Nominato Vescovo di Marquette il 13 dicembre 2005, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 25 gennaio 2006. In seno alla Conferenza Episcopale è Membro del Subcommittee on Native American Catholics e del Subcommittee on the Catechism. Inoltre, è Vice Postulatore della causa di Frederic Baraga, primo Vescovo di Marquette. Oltre l’inglese, conosce l’italiano e lo spagnolo.

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    20 anni del Catechismo: la certezza della fede è che Dio è amore

    ◊   Dio "limita" l'uomo? Il credere in Lui si basa su delle "certezze"? Sono i dubbi di molti ai quali il Catechismo della Chiesa Cattolica offre tra le sue pagine una risposta argomentata e lucida. A questo particolare aspetto della fede e delle sue caratteristiche, il gesuita p. Dariusz Kowalczyk dedica la 12.ma puntata del suo ciclo di riflessioni sul Catechismo, a 20 anni dalla pubblicazione:

    La fede cristiana è una libera risposta dell’uomo a Dio che si è rivelato in Gesù. Tale risposta però è impossibile senza grazia. Per questo il Catechismo afferma: “La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa” (CCC 153). Allo stesso tempo viene sottolineato che la grazia non è contraria “né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo “ (cfr. CCC 154). La grazia di Dio, infatti, non ci limita; anzi, essa ci apre delle possibilità nuove. In altre parole, il rapporto vivo con Dio ci fa più uomini, più liberi e più responsabili. Qual’è dunque il motivo definitivo di credere? Accettiamo le verità della fede poiché ci appaiono credibili, buone e belle. Le accettiamo in quanto ci sono state trasmesse da nostri genitori o da altre persone per noi importanti. In fondo però – come leggiamo nel Catechismo – “noi crediamo «per l’autorità di Dio stesso […], il quale non può né ingannarsi né ingannare»” (CCC 156).

    Il Catechismo ci dice poi che “la fede è certa, più certa di ogni conoscenza umana” (CCC 157). Tale affermazione potrebbe stupire. Non si tratta però di una certezza di tipo matematico, come quella che dice che due più due fa quattro. La certezza della fede ha carattere esistenziale, e proprio per questo su di essa possiamo costruire la nostra vita. Dio mi ama, Cristo mi salverà in ogni situazione – queste sono le certezze della fede. L’altra caratteristica della fede è lo sforzo di comprendere. La grazia di Dio apre “gli occhi della mente” (Ef 1,18) a un intendimento sempre più profondo delle cose rivelate in Gesù. Il Catechismo riporta le parole di Sant’Agostino: “Credo per comprendere e comprendo per meglio credere”. Accogliamo queste parole come un invito alla lettura più approfondita del Catechismo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   A proposito di due mostre a Parigi, in prima pagina un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "Luoghi comuni su Dio".

    I dollari del Papa contro Hitler: in cultura, il direttore - "Non si deve maltrattare la storia" - e Luca M. Possati sulla riceca di Patricia M. McGoldrick, pubblicata su "The Historical Journal", che ricostruisce nei particolari le operazioni finanziarie condotte durante la Seconda guerra mondiale per combattere il nazismo.

    Davanti allo specchio del concilio: Francesco Coccopalmerio sul perché il Codex iuris canonici è il più autorevole testo di ecclesiologia.

    Il fascino dell'arte fuori sede: Isabella Ducrot sull'"Annunciazione di Cortona" del Beato Angelico esposta in questi giorni alla Galleria Borghese.

    Contro l'antisemitismo: Giorgio Napolitano e Renzo Gattegna per la Giornata della memoria.

    Troppi sofismi: l'Academie des sciences morales e la sociologa Nathalie Heinich sul "mariage pour tous".

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'Egitto, la cui stabilità è a rischio.

    Versioni latine a prova di smartphone: proposta di Luciano Canfora sul "Corriere della Sera".

    Una voce ecumenica per tutti gli immigrati: nell'informazione religiosa, Riccardo Burigana sulla dichiarazione comune al voto dell'assemblea dele Christian Churches Together ad Austin.

    La prefazione dell'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, al libro di Mimmo Muolo "Le feste scippate. Riscoprire il senso cristiano delle festività".

    Con la tradizione verso il futuro: nell'informazione vaticana, l'apertura del Sinodo della Chiesa caldea.

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    Oggi in Primo Piano



    Mali, liberate Gao e Timbuctu: si parla del dopo intervento militare

    ◊   In Mali, la Francia e i suoi partner africani hanno riconquistato le città di Gao e di Timbuctu, dove hanno trovato distrutti antichi e rari manoscritti. L’Unione Africana ha stimato in 460 milioni di dollari il fabbisogno necessario all'aiuto per i rifugiati e per le attività umanitarie: il Fondo monetario internazionale (Fmi) stanzia un po’ più di 18 milioni, mentre il Giappone promette 120 milioni. Il presidente francese, Hollande, sottolinea che spetterà alle forze africane perseguire “i terroristi” nel nord del Paese e dare al Mali una stabilità durevole. Della fase che si aprirà dopo l’uscita di scena degli integralisti islamici, che da mesi controllavano il nord del Mali, Fausta Speranza ha parlato con Anna Bono, docente di Storia e istituzioni africane all’Università di Torino:

    R. - Secondo quanto anche stabilito dalle Nazioni Unite già lo scorso anno, nell’immediato futuro il Paese dovrebbe essere affidato ad una missione di Paesi africani, Paesi dell’Africa occidentale riuniti in un organismo regionale, l'Ecowas (Economic Community of West African States), per un totale di circa seimila uomini, una parte dei quali sono già entrati nel Paese. Dovrebbero prendere in mano loro la situazione, e naturalmente anche all’esercito maliano, che tra l’altro in queste settimane dovrebbe essere addestrato da alcune centinaia di soldati europei e americani per diventare più efficiente e per riuscire, in un prossimo futuro, a gestire la situazione da solo.

    D. - Quali limiti intravedere? Per esempio: nel governo del Mali si è pronti per questo tipo di percorso?

    R. - Un punto interrogativo importante è come il Mali accetterà questa situazione. Il secondo colpo di Stato - uno dei due verificatisi in Mali l’anno scorso nel giro di pochi mesi - è stato a quanto pare proprio causato da un dissenso profondo, radicale all’interno delle forze politiche e militari del Mali. Si sono divisi su questo punto: se accettare l’interferenza militare da parte di Paesi stranieri - cosa diventata inevitabile - non tanto dalla Francia, quanto appunto dalle truppe di Paesi africani. D’altra parte, il Mali è evidentemente incapace da solo di gestire la situazione: l’ha dimostrato la rapidità con cui i movimenti integralisti, e prima ancora il Movimento di liberazione del Nord dei tuareg, hanno nel giro di poche settimane occupato praticamente metà del Paese, tutta la parte settentrionale. Sono problemi antichi, problemi radicati - di sottosviluppo, di corruzione, di tribalismo - ed è importante capire che quello che è successo in questi ultimi mesi in Mali ha avuto origine nel tempo, negli anni, addirittura nei decenni. Questo vale anche per i Paesi confinanti, la Mauritania, l’Algeria, il Niger: tutti Paesi che hanno permesso - per una serie di motivi, come la debolezza dei governi e l’incapacità, la mancanza di volontà di questi governi di amministrare bene la cosa pubblica - che su territori immensi si creassero delle reti transnazionali di cellule terroristiche. E il problema fondamentale in questo momento è proprio questo. Fuggiti da Gao, fuggiti da Timbuctù, forse anche da Kidal, entro pochi giorni i miliziani dei movimenti maliani si sposteranno - si stanno già spostando - altrove, o si stanno mescolando alla popolazione, ma senza scomparire. Anzi, sicuramente - non c’è dubbio su questo - si ricostituiranno, si riaggregheranno, si riorganizzeranno altrove. È questo il problema enorme che andrebbe affrontato e con grandissime difficoltà: perché non basta un intervento internazionale affinché questo avvenga, ma ci vuole anche la volontà dei vari governi nel garantire un intervento costante, efficace e di lungo periodo in questa direzione.

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    Siria: Medici senza frontiere denuncia aumento aborti a causa del conflitto

    ◊   In Siria, donne e bambini pagano il prezzo più alto della guerra. E’ quanto ribadisce, in un comunicato, Medici Senza Frontiere, che denuncia le crescenti difficoltà ad operare nel Paese a causa della diffusa insicurezza. Particolare preoccupazione desta anche la situazione di donne incinte che partoriscono prematuramente, mentre aumenta pure il numero di aborti spontanei. Da giugno 2012 a gennaio 2013, i medici di Msf hanno effettuato più di centomila visite ed eseguito oltre 900 interventi chirurgici. Benedetta Capelli ha intervistato il direttore di Medici Senza Frontiere Italia, Kostas Moschochoritis:

    R. – Facciamo appello a tutte le parti in conflitto, in Siria, a rispettare i pazienti, il personale medico e le strutture sanitarie perché fino a questo momento non è stato così. Durante la guerra, le vittime del conflitto sono soprattutto coloro che fanno parte della popolazione più vulnerabile, cioè i bambini, le donne e i malati cronici che si trovano senza assistenza medica. Il sistema sanitario, infatti, a causa della guerra è crollato. Vediamo poi un aumento di aborti spontanei oppure di nascite premature, a causa dello stress delle donne. Anche l’assistenza ai neonati prematuri è molto difficile, perché le strutture non funzionano e dobbiamo trasportare i bambini in Turchia per avere le cure adeguate ed è una cosa molto difficile e rischiosa a causa dei continui bombardamenti.

    D. – Questo significa mettere a repentaglio il futuro di un intero Paese?

    R. – Assolutamente. E ad aggravare la situazione c’è anche il fatto che siamo in pieno inverno in Siria e il freddo e la neve stanno raggiungendo le varie regioni. I bisogni sanitari, dunque, stanno crescendo: sono in aumento, come succede sempre durante l’inverno, le malattie respiratorie che vanno ad aggiungersi alle patologie croniche come l’ipertensione o il diabete. E - ripeto - avendo un sistema sanitario al collasso, i pazienti rimangono senza le cure adeguate.

    D. – Lei ha parlato dei tanti parti prematuri e delle donne che invece perdono i bambini a causa dello stress dovuto al conflitto. Molte Ong parlano anche di donne che subiscono violenza di gruppo. Lo stupro, quindi, come arma di guerra. Di questo voi ne avete notizia?

    R. – Purtroppo i movimenti nelle zone dove lavoriamo noi sono molto difficili a causa dell’insicurezza. Noi abbiamo solo una visione parziale della realtà e non possiamo esprimerci su quanto sta accadendo in tutto il Paese. Ovviamente, i problemi sono tanti e, purtroppo, noi curiamo e ne vediamo solo una piccola parte.

    D. – Quindi cosa chiede Msf? Di accedere alle zone più difficili da raggiungere?

    R. – Asolutamente sì! Chiediamo di avere accesso dove ce n’è bisogno. Da mesi abbiamo chiesto l’autorizzazione a lavorare nelle parti della Siria controllate dalle forze governative ma senza successo. L’appello - uguale per ogni guerra - è di rispettare i pazienti, i civili, il personale medico e le strutture sanitarie. Ripeto: questo non è stato così fino adesso. Abbiamo anche alcune notizie di esplosioni di bombe e razzi vicino alle strutture sanitarie, anche quelle supportate da Medici Senza Frontiere.

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    Egitto: 52 morti per le proteste, annunciate nuove manifestazioni anti Morsi

    ◊   I problemi politici e sociali in Egitto sono ''una vera minaccia '' per la sicurezza del Paese. Così, il ministro della Difesa e capo delle forze armate egiziane, Abdel Fatah el Sisi. A Port Said annunciata per questa sera una manifestazione di protesta contro il presidente Morsi, mentre migliaia di persone hanno accompagnato i feretri delle due vittime degli scontri di questa notte. Rimane, comunque, il coprifuoco e la legge di emergenza nelle tre principali città egiziane sul canale di Suez. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    A Port Said, Ismailiya e Suez sono in vigore le leggi di emergenza ed il coprifuoco notturno, provvedimenti imposti dal presidente Mohamed Morsi per contenere l’ondata di violenza scoppiata nel secondo anniversario della rivolta anti-Mubarak, venerdì scorso, e dopo la sentenza di condanna a morte di 21 imputati nel processo per il massacro dello stadio di Port Said. L’opposizione rifiuta l’invito al dialogo del presidente e, contestando anche il referendum che ha approvato la recente Costituzione, chiede che Morsi riconosca la propria responsabilità politica per gli socntri di piazza. Il governo, intanto, ha deciso di estendere i poteri dell'esercito, incluso quello di arrestare i civili in caso di problemi all'ordine pubblico. Amnesty International sollecita affinché sia abbassata la forza della repressione da parte dei militari. Scontri si sono registrati, comunque, anche oggi Al Cairo: ucciso dal fuoco incrociato, di polizia e contestatori, un passante. Un’altra vittima si segnala proprio a Port Said, 21 i feriti per scontri davanti a una stazione di polizia. In città, intanto, migliaia di persone sono scese in strada per accompagnare i feretri di due persone uccise nella notte, 52 le vittime complessive per i disordini in tutto il Paese. I movimenti rivoluzionari e il Fronte delle opposizioni delle tre città sul canale di Suez hanno annunciato manifestazioni di protesta per questa sera. In questo scenario il ministro della Difesa e capo delle forze armate egiziane, Abdel Fatah el Sisi, ha ribadito che i problemi politici e sociali sono ''una vera minaccia'' per la sicurezza del Paese e che se la situazione attuale dovesse proseguire ci sarebbero “gravi conseguenze per la stabilità”. Il commento di Massimo Campanini docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:

    R. - L’Egitto sta attraversando un periodo molto delicato, perché la fase della transizione dalla rivoluzione al consolidamento delle strutture sociali politiche è ancora in corso e praticamente non se ne vede la fine. Io penso che ci siano degli agenti provocatori che abbiano interessi a mantenere alta la tensione. Bisogna vedere se si tratta di azioni che vogliono restringere gli spazi di partecipazione democratica e di espressione pubblica o semplicemente di gente che cerca di approfittare della situazione per fini privati. Però indubbiamente penso che l’Egitto stia rischiando veramente molto in quelle che potrebbero essere le evoluzioni e il consolidamento della rivoluzione.

    D. - Le opposizioni riunite nel Fronte nazionale di liberazione respingono l’invito al dialogo del presidente Morsi definendolo soltanto formale. Per sedersi al tavolo chiedono che il presidente riconosca le proprie responsabilità nelle violenze…

    R. - Che il presidente abbia delle responsabilità oggettive, visto il ruolo istituzionale, è indubbio, ma ho anche l’impressione che le forze di opposizione non siano molto disposte al dialogo. In realtà queste non hanno accettato fin dall’inizio la vittoria dei Fratelli musulmani; hanno sempre costantemente cercato di approfittare della situazione di transizione per poter - sia pure legalmente - rovesciare il governo. Sarà importante verificare alle prossime elezioni politiche, previste per aprile, se ci sarà una riconferma dei partiti islamici e del voto di orientamento islamico.

    D. - I militari hanno giocato un ruolo importante nella prima fase di transizione: ricordiamo che detengono i gangli vitali dell’economia del Paese. Adesso che ruolo hanno?

    R. - L’impressione è che per il momento i militari si muovano obbedientemente dietro alle indicazioni di intervento del governo e del presidente. Però, questo non vuol dire che non ci possano essere all’interno del’esercito, delle forze che potrebbero prima o poi favorire un intervento radicale o un nuovo colpo di Stato. Questo però farebbe ripiombare l’Egitto nell’incubo delle leggi di emergenza, e sarebbe gravemente pregiudiziale per la vita politica e democratica del Paese.

    D. - A livello economico i militari possono effettivamente imprimere dei cambiamenti?

    R. - I militari sono una forza a livello economico, anche se non si sa bene in che proporzione dominino l’economia egiziana. Però certamente il fatto che occupino certi spazi del mondo civile ed economico, fa si che rappresentino una forza con cui bisogna fare i conti e che non può essere dismessa con troppa facilità, anche perché il problema economico è il problema principale che oggi l’Egitto si trova a fronteggiare. Il Paese è sull’orlo di una crisi che potrebbe essere estremamente pericolosa per gli equilibri interni. Quindi la risoluzione del problema economico è nell’interesse del governo chen certamente, da questo punto di vista, dovrà fare i conti con l’importanza industriale e commerciale del sistema militare.

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    Strage in discoteca. P. Chiera: il Brasile si è fermato, Gmg ricorderà questi ragazzi

    ◊   Brasile ancora sotto shock per la tragedia della discoteca di Santa Maria, dove sono morti 231 giovani a seguito di un incendio, mentre sono ancora decine i ragazzi in ospedale, alcuni in gravissime condizioni. Nelle ultime ore, la polizia ha arrestato quattro persone, mentre sembra ormai certo che nella discoteca, al momento della strage, fosse presente un numero molto più alto di persone rispetto a quelle autorizzate. Per una testimonianza su come il Brasile e soprattutto i giovani abbiano reagito a questa tragedia, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Renato Chiera, fondatore della "Casa do Menor" di Rio de Janeiro:

    R. – E’ una tragedia che ha fatto fermare il Brasile, al punto che anche una scuola di samba, che doveva sfilare ieri ha trasformato la sfilata del Carnevale in una processione. Hanno poi voluto fare una Messa a Rio de Janeiro, che è stata celebrata dal vescovo di Rio. Erano tanti i giovani e un centinaio sono ancora in ospedale, molti in condizioni gravissime.

    D. – Quest’anno, se uno pensa al Brasile pensa proprio ai giovani e alla ormai imminente Giornata mondiale della gioventù. Questa tragedia, ovviamente, ha colpito anche molto coloro che stanno organizzando tra i giovani la Gmg...

    R. – Senz’altro, perché è la gioventù che soffre. Abbiamo l’uccisione dei ragazzi per la violenza. Adesso, quest’evento si unisce a tutto il dolore della gioventù, che ha speranza. Molti erano studenti. Sono infatti 30 mila gli studenti in questa città universitaria di Santa Maria, che si trova vicino a Porto Alegre. Si tratta quindi di giovani che vogliono studiare per avere un futuro. La Giornata mondiale della gioventù, senz’altro, avrà le tracce e porterà l’eco e l’impronta di questo momento, che ricorda la morte, ma ricorda anche tanti altri giovani, che non muoiono per un incendio come questo, ma muoiono per l’incendio dell’odio, per la violenza, per la ritorsione, per il narcotraffico. Noi, quindi, vorremmo che la Chiesa assumesse tutto questo dolore. Anche il Papa, certamente, assumerà tutto questo.

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    Cei, card. Bagnasco: niente si può equiparare alla famiglia. Un dovere partecipare al voto

    ◊   Niente può essere equiparato alla famiglia. Così, in sintesi, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha parlato al Consiglio permanente della Cei, aperto ieri pomeriggio a Roma. La domanda innata di ogni bambino ad avere un padre e una madre e l’inviolabilità della vita umana: questi i temi forti della sua prolusione, che tocca anche la politica. Partecipare al voto, ha detto, è un "dovere irrevocabile”. Ma, sottolinea il porporato, al centro del suo discorso c’è Gesù Cristo. Il servizio di Debora Donnini:

    “No, non finiremo mai di parlare di Gesù”. E se anche nell’opinione pubblica riecheggeranno "solo alcune nostre parole", e non precisamente queste forse perché ritenute “scontate”, “non è vero che a noi interessa far politica, noi vogliamo dire Gesù”. E’ chiaro il punto di partenza della prolusione del cardinale Bagnasco: annunciare che “l’Infinito fatto bambino, è entrato nella nostra umanità”. Centrale, nel suo discorso, la questione dei valori non negoziabili: la vita dal suo concepimento alla morte naturale e dunque “la rinuncia all’eutanasia comunque si presenti, la libertà di coscienza e di educazione, la famiglia basata sul vincolo del matrimonio fra l’uomo e la donna, la giustizia uguale per tutti, la pace”. “E’ necessario che in un momento elettorale si certifichi dove essi trovano dimora”, afferma il porporato, sottolineando che “su questi principi i cattolici sanno che non esiste compromesso o mediazione” perché “ne va dell’umano nella sua radice”.

    “La madre di tutte le crisi è l’individualismo”, figlio di una cultura nichilista, “per cui tutto è moralmente equivalente”, un tarlo che “nel suo congenito utilitarismo” ritiene che non c’è natura precostituita , “è il soggetto a crearsela”, “un moderno delirio di onnipotenza”, da cui deriva anche il calo dei matrimoni e la grave situazione demografica. Si continua a riproporre “il tema dei matrimoni omosessuali quasi si trattasse di un approdo inevitabile”, ma la famiglia, sottolinea il cardinale Bagnasco, precede lo Stato, “è un istituito dotato di una sua naturalità”, iscritta nel codice fisico della persona. “Il diritto del bambino – non al bambino – viene prima di ogni desiderio individuale”, ribadisce. La coppia, per fare famiglia, oltre all’amore ha doveri e diritti e alla famiglia nulla può essere equiparato, “né tanto né poco”, né può essere indebolita da ideologie antifamiliari e modelli alternativi:

    “Se la natura dell’uomo non esiste, allora si può fare tutto, non solo ipotizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La recente sentenza della Cassazione sull’adottabilità da parte delle coppie omosessuali, oltre ad essere stata immotivatamente ampliata nella propria valenza, non può certo mutare la domanda innata di ogni bambino: quella di crescere con un papà e una mamma nella ricca armonia delle differenze”.

    Lo sguardo del porporato è rivolto alle prossime elezioni. Il presidente dei vescovi italiani sottolinea come la biopolitica sia ormai “una frontiera immancabile di qualsiasi programma” con i suoi temi cruciali come vita, stati cosiddetti vegetativi, aborto, eutanasia attiva e passiva. “Linee di compromesso, o peggio di baratto tra economia ed etica della vita, a scapito della seconda sarebbero gravi” – ricorda – perché la persona sarebbe ridotta in termini di costi e ricavi. Vita, famiglia e libertà sono le realtà alla radice del bene comune. E la società deve avere alla base un progetto di bene comune, altrimenti cadrà in balia di pressioni e interessi dove sarà esaudito chi fa la voce più forte. La vita fragile, sottolinea ancora, chiede “alla comunità e ai suoi apparati istituzionali di non essere abbandonata ma di essere presa a cuore”:

    “Ecco perché quando si giunge di fronte alla grande porta dei fondamentali dell’umano, non è possibile il silenzio da parte di alcuno, persone e istituzioni: si è arrivati al 'dunque'. Reticenze o scorciatoie non sono possibili: bisogna dire il volto che si vuole dare allo Stato: se è una famiglia di persone o un groviglio di interessi, se un agglomerato di individui o una rete di relazioni su cui ciascuno sa di poter contare, specialmente nelle fasi di maggiore fragilità”.

    Sempre guardando al prossimo voto in Italia, il cardinale sottolinea che “la diserzione dalle urne è un segnale di cortissimo respiro”. “Non bisogna – dice – cedere alla delusione, tanto meno alla ritorsione: non sarebbe saggio e, soprattutto, sarebbe dannoso per la democrazia. Partecipare è dovere irrevocabile”. “La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile”, ricorda ancora, citando l’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, ma “«non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia”. “Per questo – prosegue – a quanti sono in campo osa oggi richiedere parole chiare circa le proprie personali intenzioni, e alle formazioni politiche l’impegno su programmi espliciti, non infarciti di ambiguità lessicali e tattiche”.

    Il presidente della Cei afferma, quindi, che “il Paese sano è stanco di populismi”, comunque vestiti, e che “le riforme domani saranno realizzate solo se oggi non si fanno promesse incaute e contraddittorie”. Gli italiani chiedono che nessuno dei sacrifici compiuti vada perduto. E che a partire da questi si “allestisca l’intelaiatura di una ripresa concreta”. Si chiede anche che la politica “cessi di essere una via indecorosa per l’arricchimento personale”, che “il malcostume della corruzione sia sventato”, che si mettano in riga comportamenti come l’evasione fiscale. Parlando poi della crisi, il cardinale Bagnasco rileva anche che “azioni importanti nell’ultimo periodo sono state fatte per recuperare affidabilità”, “a prezzo anche di pesanti sacrifici non sempre proporzionalmente distribuiti”. La condizione di indigenza si è allargata, sottolinea ancora, e la disoccupazione giovanile “è, per ora, una sorta di epidemia che non trova argini”. Scongiurato il baratro, c’è quindi da rivoluzionare il modello. Bisognare rilanciare l'occupazione e difendere l’economia sociale, il Terzo settore. “Noi vescovi – dice – vorremmo annunciare oggi, come particolare persuasione il vangelo del lavoro”. Un accenno va anche alla sanità, “per condannare gli imbrogli” e per chiedere che la politica dei tagli sia guidata dal criterio che al centro vi sia sempre il paziente.

    Allargando lo sguardo sul mondo, il cardinale Bagnasco tra i fronti di crisi evidenzia quello della persecuzione ai cristiani, ricordando che gli esperti parlano di “oltre centomila cristiani delle varie confessioni uccisi nel 2012”. “Una cifra spaventosa” che non può lasciare indifferenti. Tra i luoghi dove i cristiani vengono colpiti ricorda l’Asia, l’Africa e, in particolare, il Nord Africa: dietro i sommovimenti avvenuti di recente, afferma, “emergono inquietanti tentativi di ulteriore discriminazione e in troppi Paesi ai cristiani non è consentito alcun segno di appartenenza religiosa, salvo mimetizzarsi, nascondersi, dislocarsi”. Quanti soffrono e muoiono per Cristo, lo fanno anche per noi, sottolinea il cardinale Bagnasco, e “la comunione con queste situazioni di martirio” dà “vigore al nostro lavoro pastorale, impegnato oggi nella rievangelizzazione delle terre che hanno da tempo conosciuto il Vangelo”. Quindi, il presidente della Cei abbraccia la questione della pastorale, sottolineando che “non abbiamo un prodotto da imporre”, ma una Persona che cambia la vita e che “bisogna far sì che il tempo della nuova evangelizzazione coincida con la riscoperta dell’identità cristiana e della sequela personale del Signore”.

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    Ustica, i familiari: dopo il risarcimento aspettiamo i colpevoli

    ◊   Lo Stato dovrà pagare per la morte delle 81 vittime dell’abbattimento del volo Itavia, avvenuto tra Ponza e Ustica nel giugno del 1980. Un giudice civile, in sede di Cassazione, ha stabilito che fu un missile a far precipitare il Dc9 partito da Bologna e diretto a Palermo. Totale la mancanza di vigilanza da parte dei radar civili e militari. Ecco quindi che i Ministeri della difesa e dei trasporti, così come stabilito ieri dalla Terza sezione civile della Cassazione, dovranno risarcire con un milione e 200 mila euro quei familiari delle vittime che per primi hanno intrapreso la causa civile. Francesca Sabatinelli ha intervistato Daria Bonfietti presidente dell'associazione familiari delle vittime della Strage di Ustica:

    R. – E’ la verità che ci ha consegnato il giudice Priore nel 1999 e, proprio perché quella sentenza è stata ritenuta corretta dai magistrati di primo, di secondo grado e poi anche della Cassazione, non si è potuto non condannare i responsabili, cioè il Ministero dei Trasporti e il ministero della Difesa: l’uno per avere detto da sempre che non c’erano aerei in giro, quella notte, che volassero insieme al DC9, e invece la certezza provata della presenza di altri aerei c’è; gli altri, per avere impedito in ogni modo alla verità di essere facilmente conquistata. Noi l’abbiamo conquistata lo stesso, andando in fondo al mare a recuperare il relitto. Questa è la soddisfazione di essere arrivati a far condannare al risarcimento coloro che hanno impedito alla verità di farsi luce.

    D. – Lei stessa però ha detto che non è finita, che bisogna trovare gli autori della strage…

    R. – Io voglio sapere qual è stato quel Paese che quella notte impunemente ha potuto abbattere un aereo civile in tempo di pace e non ha pagato. Si è deciso che era indicibile quello che questi Paesi occidentali, alleati nostri e non, stavano compiendo nei nostri cieli: per non far sapere quella cosa, hanno fatto di tutto fino a mantenere il segreto per 32 anni. Credo che ai prossimi governi non si possa non chiedere con forza che si muovano in maniera diversa da quello che è stato fatto negli ultimi precedenti. Sono anni che i giudici di Roma hanno inviato rogatorie per farsi rispondere a certe domande alla Francia, all’America, all’Inghilterra, al Belgio, e questi si permettono di non rispondere.

    Il giudice Rosario Priore è uno dei protagonisti della vicenda Ustica. La sentenza della Cassazione fa sua la tesi del missile contro il volo dell'Itavia. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. - Credo che ci siamo fermati al mio vecchio impianto di accusa.

    D. - Si può dire dopo tanti anni che è una vittoria della giustizia? C’è un po’ di amarezza nel dirlo…

    R. - Un po’ di amarezza c’è: occorrono tanti anni perché si facciano questi passi. Io devo dire che i giudici di Palermo hanno lavorato benissimo. Credo che adesso possano raccordarsi anche con quello stralcio che io avevo creato a suo tempo, sul quale stanno lavorando dei miei giovani colleghi che hanno preso in carico questa nuova istruttoria, nella quale sono nate poi le rogatorie a diversi Stati. (Il giudice Priore dispose l’indagine-stralcio nell’ordinanza di rinvio a giudizio di nove alti ufficiali in carica all’Aeronautica e nei servizi, la sera della tragedia. Il fascicolo riguarda le posizioni di oltre 30 tra ufficiali, sottufficiali e funzionari ministeriali indagati per falsa testimonianza, favoreggiamento e calunnia. Nell’ordinanza-sentenza del giudice Priore si afferma che “appare impossibile che le decisioni prese dai militari italiani non siano state senza l’avallo di un livello superiore”. N.d.R.)

    D. – Lei stesso ha detto: “Adesso bisogna andare laddove fino ad oggi è stato taciuto”. Stiamo parlando degli altri Paesi. E lei ha citato le rogatorie, finora senza risposta. A breve ci sarà un nuovo governo, in che modo dovrà fare pressione?

    R. – In un certo senso si dovrà ritornare alla carica. Ci vogliono personaggi con grande autorevolezza in campo europeo, perché queste rogatorie vanno sostenute, specialmente nei confronti della Francia, e di altri Paesi. Cito il caso ultimo, quello del Belgio, che aveva degli aerei in volo nell’esercitazione militare, anche il Belgio ci ha risposto che non possono riferirci niente perché si tratta di segreto militare. Ovunque andiamo ci scontriamo sempre con qualche segreto. Sarebbe ora - sono passati più di 30 anni - che qualcuno si decidesse a toglier questi segreti!

    D. - Sono passati appunto più di 30 anni, sono cambiate tantissime cose, è addirittura morto il colonnello Gheddafi, uno dei protagonisti di questa vicenda. Ma allora perché si devono ancora tenere nascoste queste verità?

    R. - In genere gli Stati sono portati a conservarle per anni, sono i cosiddetti arcana imperii, cioè molti basano la loro autorità, il loro “potere” proprio su questi segreti. Però, secondo me non hanno più ragion d’essere. Spero che qualcosa si muova, specialmente in Francia che poi è stato – lo dico con la dovuta cautela - il Paese più sospettato, quello che invece non ha mai risposto; o meglio ha risposto in un modo assurdo dicendoci che il radar di Solenzara, quello che doveva difenderla dal fianco Sud, chiudeva alle cinque del pomeriggio. In Francia neanche gli uffici postali chiudono così presto!

    D. - Lei cosa pensa? Si saprà veramente mai questa verità su Ustica?

    R. - Qualcosa si intravede, non si possono più sostenere tesi assurde come è stato fatto per anni come quella del cedimento strutturale. Ma lei lo sa che è stato anche sostenuto che le strutture dell’aereo hanno collassato perché l’aereo ha fatto per anni il trasporto del pesce da un’isola all’altra delle Hawaii, e l’acido che colava dalle ceste di pesce avrebbe corroso i metalli dell’aereo? Sono state sostenute delle tesi assurde perché noi non avevamo nessuna prova o segno di cedimento strutturale.

    D. - Questa è una battaglia vinta dalla giustizia. Una battaglia vinta dai familiari delle vittime, non dimentichiamolo, che però ancora aspettano di sapere…

    R. - Giusto. Speriamo che almeno su questo piano sia fatta giustizia. Poi se non dovesse arrivare sugli altri piani, come quello penale, io ho sempre fiducia nella verità storica: gli studi storici ci diranno o forse proveranno a dirci qualcosa.

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    "Web listening e spiritualità": presentato a Roma il nuovo impegno di Aleteia.org

    ◊   Aleteia.org, l’aggregatore internazionale di oltre mille tra media, istituzioni e Movimenti cattolici, cambia il suo paradigma editoriale e grazie alla tecnologia fornita da Google, si mette in ascolto della “rete” per rispondere alle domande più frequenti su fede, etica e spiritualità. Lo testimonia il dossier presentato oggi “ Web listening e spiritualità” . Il servizio di Gabriella Ceraso:

    A pochi mesi dal suo lancio ufficiale, Aleteia – che parla sei lingue – cambia passo, sostenuto dalla tecnologia più avanzata. Andrea Salvati è il direttore generale del network, già dirigente Google-Italia:

    “Abbiamo deciso di utilizzare la tecnologia anche per migliorare e innovare il lavoro editoriale. In parole molto semplici - monitorando le ricerche degli utenti, le discussioni che avvengono nei social network, gli approfondimenti richiesti sulle varie tematiche attinenti questioni di vita, fede e società - abbiamo la possibilità di produrre contenuti in riferimento a quello che effettivamente gli utenti stanno cercando e chiedendo”.

    Cominciare dunque dall’utente: è un cambiamento di paradigma editoriale. Jesús Colina, giornalista spagnolo, è il presidente di Aleteia:

    “Noi vogliamo essere un ponte, tra la richiesta e la produzione cattolica. Per cui, presentare questi contenuti, portare traffico ai siti cattolici, offrire le risposte alle persone in ricerca di senso, a quelli che noi chiamiamo i cercatori della verità”.

    Il dossier "Web listening e spiritualità" presentato oggi è proprio un esempio del monitoraggio della rete, avvenuto nel 2012, da cui risulta che fede, bioetica e famiglia sono le tematiche più cliccate e richieste nei Paesi esaminati di lingua spagnola, italiana, francese e inglese. Ma quali sono le più frequenti domande degli utenti, e che cosa suggeriscono alla comunità cattolica?:

    “Chi è Gesù, forse è una delle domande più richieste in Internet. Ma, curiosamente, c’è una domanda ancora più frequente: che cosa è la Chiesa. E poi, come pregare. In generale, le prime risposte sono date dalle Chiese riformate, protestanti, o anche dalle sette religiose o da siti generalisti, o in qualche caso anche da siti islamici. Ma è veramente difficile che nella prima schermata appaia una risposta cattolica”.

    Dunque, un lavoro che potrà, a cose fatte, aiutare anche a colmare delle lacune, involontarie ma possibili, nel mondo dell’informazione cattolica. Il contributo essenziale rimane quello di Google, e non solo come piattaforma stabile, veloce ed efficace. Jesús Colina:

    “Loro ci hanno proposto la creazione di un motore pensato per il mondo cattolico, in maniera che io possa – per esempio – andare a cercare argomenti solo sui bloggers cattolici, solo sui video cattolici prodotti da produttori cattolici, o sulle case editrici cattoliche. In sei secondi, possiamo fare una domande e avere risposte che oggi, in tempo reale, i cattolici stanno fornendo su questi argomenti”.


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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Il vescovo anglicano Dawani: violenze sessuali su donne e bambini

    ◊   Le Nazioni Unite hanno riferito che 2,5 milioni di persone hanno abbandonato la Siria. Molte sono donne e bambini. L‘International Rescue Committee riferisce però che una volta raggiunti i campi profughi donne e bambini “restano vulnerabili a molteplici forme di violenza a sfondo sessuale, e purtroppo solo alcuni casi sono denunciati a causa del sentimento di vergogna o per timore di ritorsioni”. E’ l’ultimo grido d’allarme proveniente dalla Siria ed a farsene portavoce - riferisce l'agenzia Sir - è il vescovo anglicano di Gerusalemme Suheil Dawani in un comunicato rilanciato ieri da Londra dalla Comunione anglicana. “Le ultime notizie provenienti dalla Siria e dai campi profughi - scrive il vescovo - sono profondamente terribili e tragici. Prego ogni giorno per tutti coloro che si trovano nel dolore e nel terrore, soprattutto per le donne e i bambini”. Ed aggiunge: “Sono profondamente preoccupato per la popolazione, in particolare per le donne e i bambini, che si trovano in Siria, e nei campi profughi in terra straniera. Le mie preghiere sono per la pace, la giustizia e la riconciliazione, affinchè possiamo vivere in un mondo di non-violenza, rispettare le nostre donne ei bambini come tesori e trattarli con il rispetto e la dignità che tutti gli esseri umani meritano. La crisi - incalza il vescovo Dawani - chiede una azione urgente”. (R.P.)

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    Libano: monito del patriarca Rai per i Paesi che in Siria armano regime ed opposizione

    ◊   I leader degli Stati “che fanno la guerra in Siria fornendo denaro, armi e mezzi sia per il regime, sia per l'opposizione”, con la loro “malvagia opera di istigazione” sono responsabili davanti al tribunale della coscienza e della storia dei “crimini di assassinio, distruzione, aggressione e deportazione di cittadini innocenti” che stanno martoriando da quasi due anni il popolo siriano. La vibrante denuncia – raccolta dall'agenzia Fides - viene dal cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti. Nell'omelia pronunciata nella sede patriarcale di Bkerké durante la Messa domenicale, in occasione della Giornata di solidarietà indetta dalla Chiesa maronita a favore dei rifugiati siriani accolti in Libano, il patriarca Rai ha attribuito alle colpe e alle omissioni della comunità internazionale, un peso decisivo nel devastante perpetuarsi del conflitto siriano. Citando l'enciclica di Papa Giovanni XXIII Pacem in Terris, il card. Rai ha chiamato in causa anche l'Onu e la sua “responsabilità di organizzazione sorta dopo la Seconda guerra mondiale con il fine essenziale di mantenere e consolidare la pace tra i popoli”. Il capo della Chiesa maronita ha stigmatizzato anche gli effetti destabilizzanti che il conflitto siriano minaccia di avere sullo scenario libanese. Il patriarca Rai ha richiamato i diversi Partiti libanesi a “non puntare gli uni sul regime e gli altri sull'opposizione in Siria”, perché con le loro opzioni divergenti “creano intralci alla vita pubblica del Libano e paralizzano le decisioni nazionali, compresa la ratifica di una nuova legge elettorale”. In questo modo - ha stigmatizzato il card. Rai – si incentivano i timori di una tracimazione del conflitto siriano in territorio libanese, e si fomenta la tendenza dei libanesi a emigrare all'estero. Rivolgendosi ai rifugiati siriani, il patriarca maronita li ha invitati a essere riconoscenti nei confronti dello Stato e del popolo che li hanno accolti, chiamandoli a conformarsi alla “cultura libanese fondata sull'apertura, l'ospitalità e l'unità nella varietà” e ad astenersi da ogni comportamento lesivo della pace civile. Lo Stato libanese, a giudizio del porporato, è tenuto a “controllare le frontiere, registrare i rifugiati e prendere tutte le misure necessarie a impedire l'infiltrazione di armi in Libano”. Secondo il patriarca, occorre “sventare ogni eventuale complotto ordito sia all'interno che all'esterno, e evitare ogni strumentalizzazione religiosa, comunitaria o politica dei rifugiati”. Anche il flusso dei profughi va monitorato: a detta del patriarca Rai, occorre coordinarsi con l'Onu e con gli altri Stati per non sovraccaricare il Libano con un numero di rifugiati che il Paese dei Cedri non sarebbe in grado di sopportare, economicamente e socialmente. (R.P.)

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    Guatemala: storico rinvio a giudizio per l'ex dittatore Rios Montt

    ◊   Efraín Ríos Montt, 88 anni, presidente ‘de facto’ del Guatemala in un periodo seppure breve passato alla storia per decine di massacri di civili (23 marzo 1982-8 agosto 1983) siederà in tribunale sul banco degli imputati per genocidio. Così ha deciso un tribunale di Città del Guatemala accogliendo la richiesta della pubblica accusa di processare l’ex dittatore per l’eccidio di 1171 indigeni Maya Ixiles perpetrato nel dipartimento settentrionale del Quiché durante il suo regime: 15 mesi - riferisce l'agenzia Misna - che la storia recente del povero Paese centroamericano ricorda come l’era della ‘tierra arrasada’ (terra bruciata) nei confronti dei nativi, ancora oggi spesso discriminati ed abbandonati dallo Stato. “Esistono basi serie per sottoporlo a giudizio per la supposta probabilità della sua partecipazione ai delitti che gli vengono imputati” ha detto il giudice Miguel Gálvez leggendo il pronunciamento della Corte nella piccola aula del ‘Juzgado Primero B de Mayor Riesgo’ affollata da familiari delle vittime, attivisti per i diritti umani e militari a riposo, alla presenza di Ríos Montt. I suoi legali avevano chiesto il non luogo a procedere sostenendo che l’ex generale non fosse stato a conoscenza dell’operato delle forze armate. Con Ríos Montt sarà processato per genocidio anche il generale a riposo José Rodríguez, suo stretto collaboratore, all’epoca dei fatti capo della II Sezione dello Stato maggiore della difesa: secondo l’accusa pianificarono ed eseguirono strategie concepite per “annichilire” l’etnia Ixil del Quiché nell’ambito della lunga guerra civile (1960-1996). Le parti sono state chiamate a presentarsi nuovamente in tribunale il 31 gennaio per l’udienza in cui si deciderà la data del processo e la composizione del collegio giudicante. Già leader del ‘Fronte repubblicano guatemalteco’ (Frg), deputato e presidente del Congresso dopo il ritorno della democrazia, Ríos Montt è stato rinviato a giudizio, per la prima volta, solo il 26 gennaio scorso, pochi giorni dopo aver perso l’immunità parlamentare che per anni l’ha protetto. Deve rispondere di un altro massacro di civili, quello di Dos Erres, nel dipartimento settentrionale del Petén, dove fra il 6 e l’8 dicembre 1982 furono assassinati almeno 250 indigeni, tra cui 67 bambini. Durante il suo regime venne condotta una campagna anti-guerriglia di inaudita ferocia: centinaia di villaggi vennero rasi al suolo, oltre 15.000 guatemaltechi vennero assassinati, 500.000 si rifugiarono sulle montagne per sfuggire all’esercito e 70.000 cercarono riparo nei Paesi vicini, specialmente in Messico. (R.P.)

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    Somalia: attentato a Mogadiscio. Illeso il premier

    ◊   E’ rimasto illeso il primo ministro somalo Abdi Farah Shirdon, bersaglio di un attentato suicida davanti al suo ufficio questa mattina in cui, secondo i primi bilanci diffusi dalla stampa locale, almeno sei persone sono rimaste uccise. L’emittente somala ‘Radio Shabelle’ ha riferito di una potente esplosione udita nella zona del palazzo presidenziale, molto vicino alla sede del capo del governo al centro di Mogadiscio. Dalla prima ricostruzione dell’accaduto - riferisce l'agenzia Misna - è emerso che l’attentatore si sia fatto esplodere dopo essersi avvicinato a un gruppo di uomini della sicurezza, davanti all’edificio. Oltre alle sei vittime un numero imprecisato di soldati sarebbe stato ferito e alcuni, in gravi condizioni, sono stati trasportati in ospedale, ma non è ancora chiaro l’eventuale coinvolgimento di civili. Per ora l’attentato non è stato rivendicato. Agenzie di stampa internazionali hanno sottolineato che l’attentato odierno potrebbe far ripiombare la capitale somala nel clima più cupo della ventennale guerra civile, dopo 18 mesi circa di calma relativa. Lo scorso dicembre tre persone avevano perso la vita nell’esplosione di un’autobomba in una delle strade centrali e più frequentate di Mogadiscio. Il mese prima un altro attentato aveva colpito un ristorante frequentato da politici e giornalisti. Gli attacchi non erano stati rivendicati, ma per la polizia sarebbero da ricollegare ai miliziani Al Shabaab costretti al ritiro dalla capitale nell’agosto 2011 e poi da tutte le principali città del Paese in seguito all’offensiva messa in atto dalle truppe africane e somale. Tuttavia negli ultimi mesi non si sono fermate le violenze ai danni di operatori dell’informazione: nel corso del 2012 ben 18 giornalisti sono stati vittime di omicidi mirati, commessi per lo più a Mogadiscio. L’ultimo sul macabro elenco è stato Abdihared Osman Adan, ucciso il 18 gennaio da diversi colpi d’arma da fuoco mentre si recava nell’ufficio dove lavorava sia per la radio che per la televisione del gruppo Shabelle, nel quartiere di Wadajir. (R.P.)

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    Nigeria: Boko Haram dichiara il cessate-il-fuoco nello Stato di Borno

    ◊   Boko HarBoko Haram, o per lo meno una parte di questo gruppo jihadista che agisce nel nord della Nigeria, ha dichiarato il cessate il fuoco. Secondo il sito del quotidiano “Nigerian Tribune”, un gruppo che si suppone faccia parte della setta Boko Haram (sotto questa denominazione infatti agiscono diverse fazioni), ha dichiarato di aver avuto un meeting a porte chiuse con il Governatore dello Stato di Borno, Alhaji Kashim Shettima, e alcuni leader politici e religiosi dello Stato. Incontrando i giornalisti Sheikh Abu Mohammad Abdulazeez Ibn Idris, comandante di Boko Haram per il Borno centrale e settentrionale, ha affermato che dopo essersi consultato con il leader della setta, Shiekh Abubakar Shekau, ha deciso di proclamare il cessate il fuoco. Sheikh Abdulazeez ha però aggiunto che il governo deve rilasciare immediatamente e senza condizioni i membri di Boko Haram in detenzione. Il leader di Boko Haram ha riconosciuto che a causa della guerriglia, un gran numero di bambini e donne musulmani ha sofferto, e ha deciso di deporre le armi per evitare ulteriore sofferenze ai civili. Boko Haram ha condotto diversi attacchi contro chiese ed altri luoghi di culto cristiani, ma ha pure colpito leader islamici, considerati “moderati”. (R.P.)

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    India: per lo stupro e l'omicidio della 23.enne, un imputato minorenne presto libero

    ◊   Uno fra i sei imputati nello stupro e omicidio della ragazza indiana 23enne, che un mese fa ha scosso il mondo intero, è minorenne: lo ha accertato il tribunale minorile di Delhi. Questo, secondo la prassi giuridica indiana, potrebbe consentirgli di essere libero fra pochi mesi. L'età dell’imputato, descritto dalla polizia di Delhi come il più brutale dei sei accusati, è stata dichiarata di “17 anni, sei mesi e 24 giorni”, come appurato dal certificato di nascita. La legislazione indiana prevede che un minorenne di età compresa tra 16 e 18 anni, in caso di condanna per un reato, può essere condannato e rinchiuso in un riformatorio per tre anni al massimo e, in seguito, rilasciato in libertà vigilata. Tuttavia la legge prevede, inoltre, che un minorenne può essere trattenuto in tali strutture rieducative solo fino a quando raggiunge i 18 anni di età e che, successivamente, non può essere nuovamente giudicato, condannato o messo in prigione. Secondo questa norma, dunque, il giovane potrà scontare pochi mesi di pena e poi essere rilasciato non appena sarà maggiorenne, il 4 giugno prossimo. Padre Nithiya Sagayam, direttore del “Franciscan Peace Centre” in Tamil Nadu, e Segretario esecutivo dell’Ufficio per lo Sviluppo Umano nella Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc) commenta all’agenzia Fides: “Se il giovane ha commesso crimini tanto gravi, come stupro e omicidio, rimetterlo in libertà come può essere la soluzione? Questo è un problema serio per il Paese, è una questione che si deve sollevare con urgenza, che tocca la legalità e l’impunità. Urge chiedersi: chi si può considerare minorenne? Un ragazzo che stupra e uccide può essere considerato tale? Il giovane in questione ha una evidente responsabilità civile e penale”. L’altra questione, nota padre Sagayam, è che “i minori in India sono esposti a una cultura, propinata dai mass-media, che propaganda violenza e sesso: questo non tutela il loro sviluppo psico-fisico e aumenta la diffusione dei crimini nella società”. (R.P.)

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    Indonesia: i vescovi approvano il nuovo regolamento statale sui conflitti sociali e religiosi

    ◊   Vi sarà maggiore coordinamento fra il governo centrale, le autorità civili locali, la polizia e l’esercito per prevenire o fermare i conflitti sociali e religiosi che agitano il vasto arcipelago indonesiano: è la novità introdotta dal Regolamento approvato ieri dal presidente Susilo Bambang Yudhoyono, che ha firmato l’“Istruzione del Presidente della Repubblica 2/2013”. Come appreso dall'agenzia Fides, le nuove norme danno a governatori, sindaci e reggenti maggiori poteri nella gestione dei conflitti fra comunità diverse e della violenza di carattere sociale e religioso, tramite il coordinamento delle politiche di sicurezza. Spiegando le ragioni del nuovo Regolamento, Yudhoyono ha citato “violenze, disordini, conflitti sociali e religiosi, nonché gli atti di terrorismo”, registrati nel 2012. Negli ultimi mesi il governo indonesiano è stato,infatti, criticato “per non aver saputo gestire i conflitti sociali”. Fonti di Fides notano che, fra le aree maggiormente sensibili vi sono le Molucche, i sobborghi della metropoli Giakarta come Bogor e Bekasi, l’area della Papua indonesiana, l’isola di Sumatra. Padre Benny Suseyto, segretario della “Commissione per il Dialogo Interreligioso” nella Conferenza episcopale, riporta all’agenzia Fides la soddisfazione e le speranze dell’episcopato indonesiano: “Siamo convinti sia un passo nella giusta direzione. Il coordinamento fra governo, polizia, leader locali è essenziale: troppe volte in passato questa carenza ha generato vittime e permesso che la violenza facesse gravi danni. Le nuove norme gioveranno ai diversi contesti potenzialmente conflittuali”. Padre Benny spiega a Fides: “Le cause principali dei conflitti sociali e religiosi in Indonesia sono la provocazione e la manipolazione della religione per fini politici. Spesso micro-conflitti locali non si sono potuti fermare per le deficienze della leadership politica o per la mancata applicazione delle leggi esistenti”. Sull’impatto che le nuove regole avranno sui gruppi estremisti, come l’Islamic Defenders Front (Fpi), il Segretario afferma: “I gruppi estremisti islamici in Indonesia sono piccoli ma rumorosi. Se c’è la volontà politica di fermarli, non possono nuocere. L’armonia sociale e religiosa si può costruire”. In particolare, la Chiesa cattolica crede che “bisogna agire, promuovere il rispetto della legalità e dei diritti umani, ma anche pregare e dialogare con tutti”. (R.P.)

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    Indonesia: la Chiesa festeggia 33 nuovi diaconi, futuri sacerdoti

    ◊   A testimonianza della vitalità della Chiesa indonesiana, foriera di vocazioni in molti casi anche adulte, nei giorni scorsi sono stati ordinati 33 nuovi diaconi, che fra sei mesi - secondo una pratica comune nel Paese - riceveranno il sacerdozio. Le cerimonie di imposizione del primo grado dell'Ordine sacro sono avvenute a Bekasi e a Yogyakarta; nel primo caso, sono inoltre coincise con i festeggiamenti per i 37 anni di sacerdozio dell'arcivescovo di Jakarta mons. Ignatius Suharyo. La parrocchia di Pulogebang (reggenza di Bekasi, provincia di West Java) ha ospitato l'ordinazione di nove diaconi, avvenuta la scorsa settimana. Il rito è stato presieduto da mons. Suharyo e, secondo una tradizione ormai consolidata negli ultimi decenni, essa è avvenuta in una chiesa locale e non nella cattedrale della capitale. La scelta cade sulle singole parrocchie, spiegano fonti cattoliche locali, per rinsaldare il legame sul territorio fra i vertici della Chiesa e i fedeli, mostrando loro la necessità di nuove vocazioni e di numerosi sacerdoti al servizio della comunità; oltre che diventare "occasione di incontro, confronto e di festa" per i futuri diaconi. L. Suryoto, ex seminarista di East Jakarta, aggiunge che si è trattato di una doppia festa, con i 37 anni di sacerdozio dell'arcivescovo di Jakarta: "Per lui - afferma - si è trattato di un vero e proprio dono". L'ordinazione degli altri 24 neo diaconi - che riceveranno il sacerdozio fra giugno e luglio - è invece avvenuta a Yogyakarta, nello Java centrale, per mano dell'arcivescovo di Semarang mons. Johannes Pujasumarta. Essi appartengono a diverse congregazioni attive nella zona, mentre nove di loro sono diocesani e provengono da Semarang (8) e Purwokerto (1). In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione totale. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. Le vocazioni al sacerdozio, in special modo in età adulta, restano ancora "molto alte". Una decina di anni fa i gesuiti hanno aperto le porte del noviziato anche agli adulti, accogliendo moltissimi trentenni decisi a dedicare "interamente" la vita a Cristo. In seguito, molti altri istituti hanno compiuto una scelta analoga, avviando seminari e classi speciali da affiancare ai tradizionali seminari. (R.P.)

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    Costa Rica: compie 130 anni il primo settimanale cattolico del Paese

    ◊   Il settimanale "Eco Catolico" della Chiesa cattolica in Costa Rica, celebra 130 anni della sua fondazione, avvenuta il 6 gennaio 1883, per iniziativa del vescovo di San José de Costa Rica, mons. Bernardo Augusto Thiel. Per questa ricorrenza è stata celebrata una Messa nel santuario nazionale del Sacro Cuore di Gesù a San José, il 16 gennaio, con la partecipazione di diversi vescovi del Paese, del nunzio apostolico, di dipendenti e collaboratori. Inoltre, come parte delle celebrazioni, in questo mese di gennaio sono state realizzate delle attività promozionali per un rilancio della versione stampata e della versione digitale. L'ultimo studio fatto posiziona l'Eco Catolico come il primo settimanale nel Paese. Il suo direttore, Martin Rodriguez, spiega nella nota inviata all'agenzia Fides, che questo anniversario è un'occasione per convalidare la missione evangelizzatrice del settimanale, "con tutto ciò che comporta riguardo alla proclamazione della Buona Novella della salvezza e alla denuncia di tutto ciò che si oppone al piano di Dio per gli esseri umani". Mons. José Rafael Quirós Q., vescovo di Limón e presidente della Commissione episcopale delle comunicazioni, ha ricordato lo spirito del fondatore del giornale: "Fare dell’Eco Catolico un giornale per la formazione e l'orientamento cristiano. Presentare la Verità come fonte che orienta la vita cristiana; la Giustizia come impegno che realizza l'amore a Dio e al prossimo; il Coraggio come metodo per denunciare le vie errate su cui vogliono portare il nostro popolo credente, con criteri lontani dalla cultura cristiana, fortemente ancorata nel cuore dei costaricensi". (R.P.)

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    Giappone: il governo propone all’Unesco di onorare i luoghi cristiani

    ◊   Per la prima volta nella sua storia, il governo giapponese sta considerando l'idea di proporre all'Unesco i luoghi storici della presenza cristiana nel Paese per farli inserire nella lista dei "capolavori del patrimonio artistico dell'umanità". I governatori delle Prefetture di Nagasaki e Kumamoto - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno presentato al ministro della Cultura Hakubun Shimomura una lista di 13 siti che Tokyo dovrebbe presentare il prossimo mese all'organismo internazionale. La delibera finale è attesa per settembre. Dei 13 luoghi, quasi la metà riguarda la presenza cristiana nel Paese. Spicca la cattedrale di Oura a Nagasaki, costruita da due missionari francesi della Società delle missioni estere nel 1864 per onorare i 26 martiri cristiani - 9 europei e 16 giapponesi - che erano stati crocifissi in quel luogo nel 1597 per ordine di Toyotomi Hideyoshi. L'edificio è il primo di struttura occidentale costruito nel Paese e nel 1933 è stato dichiarato "tesoro nazionale". Dopo l'inaugurazione, un gruppo di persone provenienti dal villaggio di Urakami chiese a padre Petitjean - uno dei due missionari costruttori - di poter entrare nella chiesa per "poter salutare Maria". Il sacerdote venne così a scoprire che erano Kakure Kirishitans, discendenti dei primi cristiani giapponesi costretti all'anonimato a causa della persecuzione imperiale. Dopo questo primo gruppo, decine di migliaia di cristiani sotterranei vennero nella cattedrale e ripresero la pratica cristiana: papa Pio IX, informato dell'avvenimento, parlò di "miracolo dell'Oriente". Oltre alla cattedrale, i governi locali hanno proposto anche alcuni siti di martirio e una parte delle catacombe in cui i cristiani nipponici del XVI secolo cercarono rifugio dalla caccia lanciato contro di loro dalla corte di Tokyo. Nagasaki è infatti il punto di partenza dell'evangelizzazione del Giappone, che venne respinta con forza dallo shogunato di Tokugawa e costretta al bando per 250 anni. (R.P.)

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    Ungheria. Giornata della Memoria: il card. Erdő prega con il rabbino Schweitzer

    ◊   Domenica scorsa 27 gennaio, anche l'Ungheria ha commemorato la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, nel giorno dedicato alla memoria della Shoa e alla lotta contro l’antisemitismo. A Budapest, uno dei centri più importanti della cultura ebraica in Europa centrale, è stata organizzata una marcia per la vita. Domenica la sera in una delle chiese cattoliche della capitale magiara ha avuto luogo una preghiera speciale con la presenza e il discorso del card. Péter Erdő, primate d’Ungheria, arcivescovo di Esztergom-Budapest e del 90enne capo rabbino József Schweitzer, sopravissuto agli orrori di Auschwitz. Vi hanno partecipato vescovi e rappresentanti delle chiese e comunità cristiane presenti in Ungheria. Inoltre sempre nella giornata di domenica ha avuto luogo la posa della prima pietra di una nuova sinagoga a Csepel (rione 21° di Budapest), la prima sinagoga costruita dopo 80 anni. In Ungheria sono presenti diversi rami dell’ebraismo e ognuno possiede diverse sinagoghe non solo Budapest ma in tutto il Paese. (A cura di don Csaba Török)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 29

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.